ZECCHINO SI È DIMESSO. L'UNIVERSITA' AD AMATO MISTRETTA: "SONO PRONTO PER IL COMUNE E RESTO RETTORE" UNA CULTURA DELLA RICERCA SCOMPARE IL TITOLO DI "DOTTORE" I LAUREATI NON POTRANNO USARLO STATALI CONDANNATI PER CORRUZIONE: SÌ AL LICENZIAMENTO CICLI SCOLASTICI: NON CONTANO I PROGRAMMI MA I RISULTATI FINALI ================================================================== TAR: SPECIALIZZANDI DA RETRIBUIRE SANITÀ, VIA LIBERA DELLE REGIONI ALLA RIPARTIZIONE DI 131MILA MLD TRAPIANTI DI FEGATO AL "BROTZU" LONDRA, L'OSPEDALE DEGLI ORRORI DUE NUOVE ARMI PER BATTERE L'AIDS CAGLIARI: SCOPERTO IL GENE CHE NON AMA I BAMBINI CAGLIARI: ISOLATO IL GENE DELL'INSUFFICIENZA OVARICA PRECOCE LA FORMAZIONE DELLE SINAPSI DIO È SPIRITO, ANZI CERVELLO:"I NEURONI GUIDANO LA FEDE" LA CHIESA BENEDICE LA MORFINA ANTIDOLORE BALCANI: "CONVIENE CERCARE ALTROVE LE VERE CAUSE DELLE LEUCEMIE" I PARASSITI ALL'ORIGINE DEL SESSO? SCLEROSI MULTIPLA: VERSO NUOVE STRATEGIE DI CURA BSE: "GLI ESAMI RAPIDI PURTROPPO NON SERVONO" POLICLINICO: IL VERDE NON SCATTA MAI AIAS: PER RANDAZZO CHIESTA L'ASSOCIAZIONE A DELINQUERE ================================================================== ______________________________________________________ Il Sole24Ore 3 feb. '01 ZECCHINO SI È DIMESSO. L'UNIVERSITA' AD AMATO Il ministro lascia il Governo, ma non toglie la fiducia ad Amato - "Insieme a D'Antoni per un centro autonomo" Andreotti e Zecchino: addio al Ppi Al premier l'interim dell'Università - Castagnetti: non è una scissione, né un esodo ROMA Ortensio Zecchino e Giulio Andreotti hanno annunciato ieri l'adesione a Democrazia europea, il movimento politico fondato da Sergio D'Antoni. Il quale ha ribadito in più occasioni che non ci saranno accordi elettorali di alcun tipo con Forza Italia e più in generale con il Centro-destra. Zecchino si è anche dimesso dal Governo - l'interim del suo dicastero (Ricerca scientifica e Università) è stato assunto dal presidente del Consiglio - e ha scritto a Pierluigi Castagnetti per annunciargli l'uscita dal Ppi. Dimissioni anche per il sottosegretario alle Finanze Armando Veneto. Ciò non toglie che l'ex ministro ha anche tenuto a ribadire allo stesso presidente del Consiglio "un rapporto di fiducia verso questo governo". A conferma del fatto - ribadito anche da Andreotti, nella conferenza stampa ma anche nella lettera a Leopoldo Elia, con la quale ha spiegato le ragioni della sua scelta - che non siamo dinanzi a un passaggio dal Centro-sinistra al Centro- destra, bensì dinanzi a una scelta per una terza forza autonoma, in nome dell'obiettivo di superare, con il rilancio della proporzionale, l'attuale bipolarismo. G.Co. _______________________________________________________ L'Unione Sarda 2 feb. '01 MISTRETTA: SONO PRONTO PER IL COMUNE MA NON LASCIO L'UNIVERSITA' Parla il rettore che conferma di aver ricevuto una proposta dalla coalizione di centrosinistra "Sono pronto a questa avventura" Mistretta: "Ma sul mio nome tutti devono essere d'accordo" Manca ancora la designazione ufficiale, ma ormai non ci sono più dubbi. È Pasquale Mistretta il candidato della coalizione di centrosinistra per la corsa alla successione di Delogu sulla poltrona più importante della città. Sessantotto anni, ingegnere, cagliaritano doc, una vita passata all'Università, prima come docente di Tecnica urbanistica poi al vertice assoluto dell'Ateneo cagliaritano: Mistretta è rettore da quasi dieci anni, forte di tre elezioni consecutive (l'ultima, l'anno scorso, col settanta per cento dei consensi). Non è un esordiente della politica: è stato militante e dirigente del Partito socialista fino al '93, quando ha scelto di puntare solo sulla vita universitaria. Ora tutto è pronto per il gran rientro. Professore, ha deciso di fare sul serio? "In che senso?". È diventato il candidato sindaco per il centrosinistra? "Non sono il candidato, ma uno che sta valutando un'affettuosa proposta arrivata da parte di una coalizione politica importante. Ma i tempi non sono ancora maturi". Delogu ha dato le dimissioni ufficiali. "Sì, ma è anche vero che la legge gli consente, nei prossimi venti giorni, di tornare sulla sua decisione. Quindi non si possono accelerare i tempi". Sa che le notizie sulla sua candidatura hanno scatenato un putiferio nella coalizione? "Da quello che so io non c'è stato alcun vertice. Tutt'al più ci sarà stato qualche incontro estemporaneo nei palazzi della politica. Ma penso nulla di ufficiale". Ma i partiti sono tutti d'accordo, o no? "Me lo auguro, perché io sono pronto a questa avventura solo col consenso di tutte le forze del centrosinistra. A livello nazionale, regionale, ma soprattutto cittadino. Non ho alcuna intenzione di farmi digerire per forza". Lascerà il suo ufficio di via Università? "Per il momento non ci penso neanche. Questo periodo è troppo importante, si sta attraversando una delicata fase di transizione, soprattutto per l'attuazione della riforma universitaria". Quasi sicuramente se la vedrà con Emilio Floris. "Non so ancora se si concretizzerà un duello di questo tipo, ma di certo la situazione è strana". Strana? "Sì perché Floris è alla finestra, ma facendo politica attiva può mettere il naso nelle decisioni interne. Io, invece, sono fuori dai giochi, posso agire solo di rimessa. Le decisioni spettano ad altri". E se all'ultimo momento saltasse fuori Massimo Fantola? "La situazione non cambia. Sono amico di entrambi, e so che possono contare su un grande bacino di consensi in città". Ma Fantola è un ingegnere, come lei. L'elettorato è quasi lo stesso. "Questo non c'entra, al limite si può dire che Fantola ha una macchina da voti ben collaudata. Ma Floris non è certo da meno". Non è mistero che il centrosinistra parta all'inseguimento del Polo. "Serve una rincorsa decisa. Non so se dipenda dalla città o da come il centrosinistra si è presentato nelle ultime consultazioni elettorali. Io penso di partire da uno scarto negativo del 6-7 per cento. Ma esiste sicuramente lo spazio per recuperare". Con quale campagna elettorale? "Metterò in campo la mia esperienza universitaria. Punterò molto sulle prospettive per gli studenti sardi e vorrei favorire l'occupazione giovanile. E l'Università diffusa in tutta la Sardegna è una delle carte vincenti". Giulio Zasso _______________________________________________________ Corriere Della Sera 1 feb. '01 UNA CULTURA DELLA RICERCA Martinelli Alberto Università e talenti sprecati UNA CULTURA DELLA RICERCA di ALBERTO MARTINELLI Accade sempre più spesso che laureate e laureati delle nostre università continuino gli studi o lavorino in centri di ricerca esteri, in particolare americani, e, che in vi rtù delle loro capacità scelgano di non ritornare più in Italia. Non c' è da stupirsi; nell' economia globale e nella società della conoscenza cresce sempre più la mobilità del lavoro altamente qualificato, non solo all' interno dell' Unione europea, ma del mondo sviluppato in genere. Il successo indubbio di molti nostri ricercatori può essere addirittura motivo di orgoglio, a riprova del fatto che le nostre istituzioni universitarie non sono poi male. C' è però di che preoccuparsi, visto che il drenaggio dei cervelli (brain drain) tende a essere a senso unico; la nostra capacità di attrarre giovani scienziati stranieri è infatti piuttosto scarsa. Importiamo calciatori ed esportiamo scienziati, il che rende il nostro campionato di calcio pi ù interessante, ma non migliora certo la nostra capacità di accrescere il benessere e migliorare la qualità della vita. Si badi che non si tratta di un problema minore che interessa un numero limitato di professori e ricercatori. Investire nei giovan i talenti è nell' interesse di tutti. La produzione, applicazione e diffusione delle conoscenze, la ricerca e l' alta formazione sono risorse sempre più strategiche nella competizione internazionale tra "sistemi Paese" e "sistemi regione". E tuttavia , non solo i finanziamenti delle nostre imprese e del nostro governo continuano a essere decisamente inferiori a quelli degli altri Paesi sviluppati (in generale e in particolare nel settore delle nuove tecnologie); ma, pur formando laureati di ottim a qualità, non riusciamo spesso a offrire loro condizioni di lavoro interessanti e non siamo in grado di attrarre una immigrazione qualificata. Il problema è nazionale, ma se parliamo di Milano, è necessario coordinare le attività dei diversi atenei per creare centri di ricerca di eccellenza, che possano godere anche del sostegno finanziario di fondazioni e imprese pubbliche e private. I gruppi di ricerca devono essere meglio assistiti nella formulazione e nella gestione dei progetti di ricerca per i programmi dell' Unione europea. Accanto ai finanziamenti pubblici, nazionali e comunitari, devono crescere gli investimenti privati nella ricerca scientifica, anche grazie al ruolo svolto da incubatori e società di "venture capital". Devono, in oltre, migliorare le retribuzioni dei ricercatori e deve modificarsi la cultura di molti professori universitari che perseverano in atteggiamenti autoritari e egoistici, in palese contrasto con il clima che si respira nei migliori laboratori e centri di ricerca stranieri. E, infine, va migliorata la qualità della vita, la vivibilità urbana, dall' ambiente alle infrastrutture, dall' offerta culturale e artistica al senso civico. Milano è una delle capitali europee della scienza e della cultura: s ette università, migliaia di docenti/ricercatori, più di 150.000 studenti; centinaia di laboratori di ricerca e centri studi con un gran numero di scienziati e tecnici; celebri istituzioni culturali come la Scala e il Piccolo Teatro, decine di miglia ia di professionisti che costruiscono le loro relazioni di lavoro sulla base di conoscenze e competenze specialistiche; mezzo milione di imprese nell' area metropolitana, di cui quasi i due terzi sono attivi nel terziario. Ma tutto questo non basta, se l' arretratezza delle istituzioni, la pigrizia delle élites, il disinteresse dei cittadini, il deteriorarsi della qualità della vita, riducono la nostra capacità di attrarre e conservare i giovani talenti. _______________________________________________________ Corriere Della Sera 31 Gen. '01 SCOMPARE IL TITOLO DI "DOTTORE" I LAUREATI NON POTRANNO USARLO Sarà riservato soltanto ai diplomati in medicina Rizzo Sergio Scompare il titolo di "dottore" I laureati non potranno usarlo DOPO LA RIFORMA ROMA - "Buongiorno, dotto' ". "Avanti, dotto' ". "Come andiamo, dotto?". Un bel giorno, per sfuggire alla persecuzione di portieri, parcheggiatori e conoscenti occasionali , Romualdo Farinelli, imprenditore romano che gestiva le sale cinematografiche, si appese una targhetta d' oro sulla giacca: "Non sono dottore". E la staccò soltanto dopo essersi laureato in lettere, per tigna, alla tenera età di 76 anni. Erano gli a nni Sessanta e già allora uno così era una mosca bianca. Figuriamoci oggi, che il titolo non si nega proprio a nessuno, laurea o non laurea. Il "dotto' " ha superato indenne il boom economico, il Sessantotto e la rivoluzione di Internet. Ma ora, per quanto possa apparire incredibile, sta per andare clamorosamente in soffitta, e per sempre. La commissione di esperti incaricata dal ministero dell' Università di stendere il regolamento per coordinare la riforma universitaria con l' accesso agli ord ini professionali, presieduta da Giampaolo Rossi, proporrà di abolire il titolo di "dottore". I neolaureati, tranne medici e ricercatori universitari, non se ne potranno più fregiare. E il titolo scomparirà dal "pezzo di carta" incorniciato e appeso con orgoglio alla parete, spesso premio tangibile di una vita di sacrifici per intere famiglie. Se la proposta passerà, non ci saranno più "dottori" in giurisprudenza, in chimica, in architettura, e così via. Ma soltanto "laureati". Rossi spiega che dopo l' introduzione, con la riforma universitaria, della laurea breve triennale, si pone un problema di equità. "Dare il titolo di dottore a tutti sarebbe ridicolo. Al tempo stesso concederlo soltanto alle lauree lunghe sarebbe discriminatorio nei c onfronti delle lauree brevi, che sono lauree a tutti gli effetti. Così proporremo di abolirlo", dice il presidente della commissione. Precisando che gli unici che potranno continuare a farsi chiamare dottore saranno soltanto i medici e i ricercatori, "come del resto è in tutta Europa". Ma siccome la misura non potrà essere retroattiva, chi è già laureato si può tranquillizzare: non sarà infatti costretto a cancellare il prefisso "dott." dai biglietti da visita. "Naturalmente la mia è una propost a - dice Rossi -. Per diventare norma dovrà essere approvato il regolamento. C' è da dire che nei testi della legge di riforma, del decreto 509/99 sull' autonomia universitaria e dei decreti sulle lauree brevi e specialistiche la parola dottore non e siste. Nell' identificazione degli ordini e delle attività professionali, di fatto il titolo non c' è più". La proposta della commissione di esperti guidata da Rossi sarà fra un paio di giorni sul tavolo del ministro dell' Università. E per Ortensio Zecchino quella del nuovo regolamento sugli Ordini potrebbe essere l' ultima incombenza prima delle preannunciate dimissioni dal governo. Ma intanto negli ambienti degli ordini professionali sta già facendo discutere. Il presidente dell' ordine dei c ommercialisti Francesco Serao è pronto alla guerra santa pur di non rinunciare al "dottore" commercialista. E vede come il fumo negli occhi l' eventualità di un solo ordine che riunisca i commercialisti, laureati, e i ragionieri, "soltanto" diplomati . Anche il presidente dell' ordine dei ragionieri si rende conto che non sarà facile, e ammette che se non sarà possibile si continuerà così. Sarà anche in procinto di essere abolito, ma il "dotto' " continuerà a dividere gli italiani ancora per chis sà quanto tempo. Sergio Rizzo _______________________________________________________ Il Sole24Ore 2 feb. '01 STATALI CONDANNATI PER CORRUZIONE: SÌ AL LICENZIAMENTO ROMA Per i dipendenti pubblici condannati definitivamente per gravi delitti contro la pubblica amministrazione scatterà automaticamente la risoluzione del rapporto di lavoro. A stabilirlo è il disegno di legge sulla giustizia amministrativa approvato ieri, con modifiche, dal Senato. Il provvedimento torna ora alla Camera, dove era stato già licenziato in prima lettura, per il via libera definitivo alla fine di un iter lungo e tortuoso. Il testo prevede anche che nel caso di rinvio a giudizio di uno "statale" potrà essere applicata la sospensione dal servizio o la destinazione ad altro ufficio senza comunque intervenire sulla qualifica funzionale e sulla remunerazione del dipendente in questione. Secondo il relatore del Ddl a Palazzo Madama, il diessino Giovanni Pellegrino, il provvedimento rappresenta "passo ulteriore per la tutela dei diritti di quei dipendenti sottoposti a provvedimento penale e disciplinare e, al tempo stesso, una garanzia in più per le amministrazioni". Garanzia che deriverebbe dalla riduzione della discrezionalità della sospensione per l'amministrazione "introducendo - ha aggiunto Pellegrino - un principio di maggiore trasparenza e prevedendo misure più incisive per il dipendente". Lo sforzo fatto - ha sottolineato il parlamentare della quercia - "va nella direzione di un migliore punto di equilibrio fra le contrapposte esigenze". Il testo approvato ieri da Palazzo Madama interviene nel rapporto tra processo penale e disciplinare per quel che riguarda gli effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle strutture pubbliche. Una materia definita da Pellegrino "difficile e delicata". In particolare, il disegno di legge equipara alla sentenza di condanna emersa a seguito del dibattimento le condanne penali conseguenti al patteggiamento o al rito abbreviato. Il testo uscito dal Senato prevede che al momento della sentenza definitiva di condanna il dipendente della pubblica amministrazione venga sospeso dal servizio, senza che vi sia carattere discrezionale di questa azione da parte dell'amministrazione stessa. La questione era dibattuta da molto tempo. Il problema degli "statali" che, pur condannati, risultavano regolarmente in servizio svolgendo le funzioni originarie loro affidate era emerso soprattutto in seguito ai processi scaturiti dalle inchieste su Tangentopoli. Un chiaro caso, secondo Pellegrino, di "mancata armonizzazione fra la giustizia penale e quella amministrativa". A questo punto la parola finale spetta alla Camera, che ha già concesso il primo disco verde al provvedimento nell'ormai lontano maggio del '98. Un iter lungo ma addirittura più fortunato della maggior parte degli altri Ddl che erano stati inclusi nel pacchetto anti-corruzione dalla Commissione parlamentare ad hoc istituita nella primavera del '98. ---firma---R.R. _______________________________________________________ Il Sole24Ore 3 feb. '01 CICLI: NON CONTANO I PROGRAMMI MA I RISULTATI FINALI Per Benedetto Vertecchi (uno dei saggi che ha riformato i cicli) si tratta di orientamenti di massima Conterà sempre di più il risultato finale" (NOSTRO SERVIZIO) ROMA "Non chiamiamoli nuovi programmi. Sono, invece, orientamenti che fissano il risultato finale a cui devono giungere le scuole, senza stabilire come ci si deve arrivare. Toccherà agli istituti, invece, scegliere le modalità del percorso. E proprio per questo, ora, si procede ad affinare i meccanismi di valutazione dell'attività scolastica, in modo da garantire uniformità di risultati agli utenti e ai cittadini". Benedetto Vertecchi, ordinario di pedagogia sperimentale all'Università di Roma 3, è anche componente della Commissione dei saggi sul riordino dei cicli e presidente dell'Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell'istruzione. Vertecchi offrirà il suo contributo a una partita difficile: stabilire, cioè, in che modo si possano misurare i gradi di apprendimento negli istituti dopo la rivoluzione dei cicli. Su tutta la questione dei nuovi programmi c'è un grande clamore di polemiche. Per esempio Dario Antiseri, coordinatore della commissione che si occupa di storia, dice che "non è affatto vero" che saranno cancellate conoscenze essenziali del passato: "Noi, invece vogliamo salvaguardare quest'insegnamento. E partiamo, innanzitutto, con il combattere il tradizionale insegnamento mnemonico per insistere sull'identità della civiltà occidentale, dalla Grecia a Roma, dal Cristianesimo al Medio Evo alla Rivoluzione scientifica. Ma senza l'inutile ripetitività degli attuali programmi. Perciò proponiamo al ministro De Mauro quella che io considero un'ottima scansione: lo studio cronologico della storia dal quarto anno della scuola di base fino al secondo anno delle secondarie superiori. E poi, negli ultimi tre anni delle superiori, degli approfondimenti per fornire agli studenti le varie interpretazioni o scuole storiografiche su determinati eventi e processi storici". Ma anche sulla valutazione sono sorte molte polemiche, come quella sull'opportunità di continuare le interrogazioni. Ecco le risposte di Vertecchi alle questioni in ballo. Perché lei dice che non bisogna chiamarli programmi ? Sono indicazioni molto diverse da quelle attuali. Dicono, per esempio, qual è il grado di competenze linguistiche che, alla fine del percorso scolastico, deve avere un allievo. Ma non prescrivono anche come bisogna fare per arrivarci. Facciamo un esempio concreto confrontando "il vecchio" e "il nuovo". Per imparare il latino, adesso, si comincia con rosa-rosae, l'analisi logica, i verbi della prima coniugazione, e poi si va avanti. D'ora innanzi, invece, si stabilirà che alla fine del corso lo studente deve essere in grado di tradurre un testo di latino, interpretarlo e commentarlo. Come sia arrivato a saper fare questo, i nuovi ordinamenti non lo indicano. Perché ciascuna scuola deve avere l'autonomia di scegliere i modi per farlo. L'autonomia, temono molti, può diventare anarchia e far perdere l'unità degli studi. Francesco De Sanctis, il primo ministro della Pubblica istruzione dell'unità d'Italia, diceva di avere la certezza che nella stessa ora dello stesso giorno si insegnava in tutte le scuole d'Italia la stessa cosa. Oggi sostenere questo sarebbe da pazzi, ovviamente. Invece, prevedere sistemi di valutazione dei percorsi di apprendimento è importante. Anche su questo c'è stata polemica, c'è chi ha sostenuto che sarebbe necessario abolire le interrogazioni. Senza essere drastici va detto che, se si stabilisce che è importante il risultato finale di arrivo, allora è necessario fare verifiche di continuo con i ragazzi. In questo modo, l'interrogazione diventa un procedimento poco pratico, con i ritmi e i tempi che ha. E allora, come si fa ? I sistemi sono tanti. Per esempio, ai miei studenti all'università, che sono più di un centinaio, ogni 15 giorni faccio un test scritto e, già 24 ore dopo, loro sanno il risultato. Si fa presto, con un sistema automatizzato. Ma non è nemmeno necessario che le scuole facciano tutte in questo modo. ---firma---Marco Ludovico ================================================================== _______________________________________________________ Repubblica 1 Feb. '01 TAR: SPECIALIZZANDI DA RETRIBUIRE Sentenza Tar sui medici BARI (m.c.) - I medici chirurghi che abbiano frequentato i corsi di specializzazione post laurea, fra l'83 e il '91, hanno diritto al rimborso per l'opera svolta durante il periodo della specializzazione. Lo ha deciso il Tar del Lazio, accogliendo il ricorso di 100 medici pugliesi che avevano chiesto al ministero dell'università e della ricerca scientifica, il rispetto di una sentenza della Corte di giustizia europea: la direttiva comunitaria, emessa il 3 ottobre 2000, aveva riconosciuto l'obbligo incondizionato, dal 31 dicembre '83, per tutti gli Stati membri dell'Unione europea, di retribuire in maniera adeguata i periodi di formazione (a tempo pieno o ridotto) dei medici ammessi alla frequenza di scuole post universitarie conformi alle normative europee. _______________________________________________________ Il Sole24Ore 2 feb. '01 SANITÀ, VIA LIBERA DELLE REGIONI ALLA RIPARTIZIONE DI 131MILA MLD ROMA Molti, benedetti e subito. Superati con una estenuante maratona notturna gli ultimi testa a testa Nord-Sud, le Regioni hanno trovato un accordo per distribuirsi la torta dei fondi sanitari 2001. Un boccone mai così ghiotto: oltre 131mila miliardi di lire, che però lasciano ancora l'amaro in bocca in sede locale dove già si parla di sottostime. Un accordo, quello raggiunto ieri, che ha fatto saltare tutte le previsioni precedenti di "pesi e misure" della popolazione e che alla fine è stata accolta da tutti, almeno formalmente, come la migliore delle strade percorribili. Qualche centinaio di miliardi in più alle Regioni "più svantaggiate" (il Sud, in sostanza) e la pace è stata siglata. Con tanto di firma finale, sotto l'occhio vigile del Governo, nel corso della Conferenza Stato-Regioni svoltasi ieri a Palazzo Chigi. Parole di pace sono risuonate da parte di tutti. Enzo Ghigo, presidente del Piemonte e rappresentante dei "governatori", ha parlato di "esempio di quel federalismo solidale che la Conferenza delle Regioni porta avanti e dal quale bisogna partire per ogni disegno di riforma costituzionale". Vasco Errani, presidente dell'Emilia Romagna e vice di Ghigo, ha ricordato l'importanza di una decisione, la ripartizione dei fondi sanitari per il 2001, che pesa almeno per il 70% sui bilanci locali, ma non senza mettere in guardia il Governo: "Le Regioni hanno fatto la loro parte, ora tocca al Governo". Riferendosi con ciò a qualcosa di estremamente concreto: la necessità di "monitorare" la spesa (come impone la Finanziaria 2001), i rischi per i prossimi contratti e l'attesa dei 16 mila mld destinati ai vecchi ripiani. Non meno tranchant è stato il presidente della Lombardia, Roberto Formigoni: "Questo modo di procedere è arrivato al capolinea: non si può andare avanti con un Fondo perennemente sottostimato". Che le risorse per il 2001 non siano poca cosa, è evidente. Ma altrettanto evidente è che il pericolo di una sottostima è in cima alle preoccupazioni dei governi locali: si attendono a esempio gli effetti del contratto dei medici, mentre il secondo biennio del contratto per il personale è ai nastri di partenza e mentre, ancora, crescono i timori per l'andamento della farmaceutica. Sovrappiù di spese che il Fsn 2001 forse non potrà "coprire". Anche dopo l'accordo di ieri che ha premiato il Mezzogiorno ("la Lombardia è stata magnanima col Sud", ha detto Formigoni): è stata accantonata una quota di 1.000 mld (500 a a carico delle Regioni e 500 aggiunti dallo Stato) destinata al riequilibrio in favore delle Regioni (del Sud) che non raggiungono la quota capitaria. Dei 500 mld a carico dello Stato, 200 sono stati già ripartiti, in attesa che avvenga lo stesso per gli altri 300 mld. Da Palazzo Chigi sono poi arrivare altre decisioni. Come il disco verde alle nuove esenzioni per le malattie rare e al decreto sulle patologie croniche (si veda "Il Sole-24 Ore" del 31 gennaio). E il via libera della Conferenza unificata al Dpcm sui flussi migratori, che prevede l'ingresso in Italia nel 2001 di 63mila lavoratori extracomunitari: 50mila per motivi di lavoro autonomo subordinato e non stagionale e 13mila per lavoro subordinato e stagionale. ---firma---Roberto Turno _______________________________________________________ L'Unione Sarda 1 feb. '01 TRAPIANTI DI FEGATO AL "BROTZU" Presto al "Brotzu" i trapianti di fegato Prevista la creazione di nuovi reparti come la cardiochirurgia pediatrica e il centro per la cura dell'autismo Un reparto d'avanguardia per la cura delle malattie epatiche Trapianti di fegato al "Brotzu". Lo prevede il "Programma sanitario" varato dal direttore generale Franco Meloni, oggi all'esame dell'assessorato alla Sanità. Una volta ottenuto l'ok regionale, partirà la fase operativa per costituire una "Centro di chirurgia epatica e dei trapianti". Sarà bandito il concorso per la nomina di un responsabile e completata l'organizzazione del reparto, che si avvarrà per lo più di personale già presente al "Brotzu", dove esiste un servizio di "Epatologia". Il nuovo centro completerà l'organizzazione ospedaliera nel campo dei trapianti: al "Brotzu" si eseguono infatti quelli di cuore, rene e cornea. Mancavano all'appello quelli di fegato. Lacuna che potrebbe essere eliminata in tempi brevi, con notevoli benefici per la Sanità in Sardegna. "Una volta approvato dalla Regione il Programma annuale - spiega Franco Meloni - ritengo che potremmo iniziare l'attività entro l'estate, o al più tardi, subito dopo". Ottimismo giustificato da un orientamento decisamente favorevole da parte della Regione. "Si tratta di un progetto che non possiamo non valutare positivamente - spiega l'assessore regionale alla Sanità Giorgio Oppi - per i notevoli benefici che apporterà a quanti soffrono di gravi patologie epatiche, oggi costretti a rivolgersi all'estero". Oppi intende dire che cesseranno i viaggi della speranza di quanti sono costretti a emigrare nella penisola e all'estero per avere un nuovo organo. Con pesanti disagi e a caro prezzo. Perché, oltre alla pena di lunghe liste d'attesa, devono sopportare spese non indifferenti. Basti pensare che, per un solo trapianto, a volte si spende anche un miliardo. "La Regione interviene in tutti i casi, - precisa Oppi - e spende per le cure all'estero circa 100 miliardi all'anno. Ovvio, quindi, che veda con favore la nascita di nuove specializzazioni in grado di assicurare ai sardi l'assistenza necessaria, senza gravosi spostamenti all'esterno dell'isola". Il nuovo centro non si occuperò solo di trapianti di fegato, ma affronterà, sotto il profilo chirurgico, tutta una serie di gravi patologie di origine oncologica. A dirigerlo sarà chiamato (tramite concorso) un personaggio di comprovata esperienza nel settore. Ufficiosamente, circolano già nomi come quello di Massimo Rossi, allievo di Raffaello Cortesini e di dario Alfani, all'università La Sapienza di Roma, i chirurghi che eseguirono proprio al "Brotzu" i primi trapianti di rene. Tra i "papabili" anche Gianni Ambrosino, di Padova e Gualdi di Bologna. Ma nel Programma annuale dell'Azienda ospedaliera non si parla solo di trapianti. Sono numerosi i settore destinati ad essere potenziati. Eccone alcuni. Neuroriabilitazione Sarà un reparto con dieci posti letto in grado di trattare patologie di tipo neurologico, vascolare e cardiologico. In questi casi, un intervento tempestivo può evitare ai pazienti stati di invalidità che rendono poi difficile il reinserimento nelle vita sociale e lavorativa. Stroke unit Si tratta di un centro altamente specialistico, dotato di 8 posti letto, destinato al trattamento immediato dei pazienti colpiti da ictus. Quando infatti si manifesta il disturbo, esiste un periodo di tempo di circa tre ore, chiamato "finestra terapeutica", durante il quale un intervento rapido consente di raggiungere ottimi risultati sul piano diagnostico e terapeutico. La nuova unità agirà in stretto contatto con la neuroriabilitazione. Cardiochirurgia pediatrica Dopo anni di polemiche, nasce finalmente un reparto di cardiochirurgia pediatrica, la cui mancanza dava origine a numerosi e costosi viaggi della speranza nella penisola e all'estero. Il nuovo reparto, per il quale sarà individuato un responsabile, agirà in stretta collaborazione con la cardiologia pediatrica, l'emodinamica e la cardiochirurgia. Tra i candidati più accreditati a dirigerlo, si fa il nome di Piero Abruzzese, in servizio sino a qualche anno fa nella divisione cardiochirurgia diretta da Valentino Martelli. Centro per la cura dei bambini autistici Il programma annuale del "Brotzu" prevede l'organizzazione di un "Centro per la diagnosi precoce e la riabilitazione comportamentale e della parola nei disturbi generalizzati dello sviluppo". In termini più semplici, un centro specializzato nella diagnosi e cura dell'autismo. Malattia che in Sardegna registra circa 1600 casi, spesso soggetti in età adulta difficilmente recuperabili proprio per la difficoltà di eseguire tempestivamente una diagnosi corretta. Oggi però esistono presidi in grado di riconoscere e affrontare in tempo la malattia, assicurando ai piccoli pazienti la possibilità di recuperare tutte le funzioni. Per questo dovrà essere creata un'équipe di specialisti che seguirà l'indirizzo terapeutico, in uso negli Stati uniti, che fa capo al professor L. Loovas dell'università della California. Dopo un periodo di assistenza nel centro del Brotzu (ma in locali non ospedalieri) ai bambini dovrà essere assicurata la terapia domiciliare. Radiologia È previsto il rinnovo radicale di una parte delle apparecchiature (quelle obsolete) esistenti in Radiologia, che verranno sostituite con altre di ultima generazione. Arriveranno così un nuovo strumento per la Tac, un angiografo digitale e una P.E.T. (tomografo ad emissione di positroni), quanto c'è di più moderno nel campo della diagnostica per immagini. La P.E.T. fornisce infatti - si legge nel programma - "informazioni di tipo funzionale e viene utilizzata per il controllo dell'attività biochimica, del metabolismo cellulare, della fisiologia e patologia di vari organi e tessuti". Uno strumento particolarmente utile per individuare, nella diagnosi dei tumori, piccole lesioni da metastasi invisibili con altri strumenti. Lucio Salis Parla il chirurgo Massimo Rossi Come avviene l'intervento: "Dal donatore si preleva solo un pezzo dell'organo" Trapianti di fegato al "Brotzu", una prospettiva ormai vicina. Ne parliamo con Massimo Rossi, 43 anni, chirurgo epatologo, allievo del professor Raffaello Cortesini (università La Sapienza, di Roma). È stato proprio Cortesini, negli anni Ottanta, a eseguire al "Brotzu" i primi trapianti di rene. Anche Rossi lavorerebbe volentieri a Cagliari, (dove ha già operato) ma prima dovrà vincere il concorso per la nomina del responsabile del Centro trapianti di fegato. Rossi ha avuto numerose esperienze all'estero, in Inghilterra, negli Usa, a Pittsburgh, presso la scuola del professor Thomas Starzl, in Germania, a Essen presso il professor Broelsc, e di recente ha frequentato uno stage in Giappone, tenuto dal professor Tanaka. Quanti centri per i trapianti di fegato ci sono oggi in Italia? "Nel centro sud tre a Roma, uno a Bari, Napoli e Palermo. Nel nord, a Pisa, Bologna, Modena, Torino, Milano, Udine e Padova. Nel 1999 sono stati eseguiti 680 trapianti; nel 2000 più di 700". C'è un problema di scarsità d'organi? "Esiste ma sino a un certo punto. Perché si è creata una buona organizzazione formata dal Centro nazionale dei trapianti, dall'interregionale e da quelli regionali, che stanno lavorando molto bene, cercando di migliorare la situazione nel campo delle donazioni". Più frequente il trapianto di fegato da cadavere o da vivente? "In Italia sinora si è fatto ricorso a organi prelevati da cadavere. Il trapianto da vivente è stato autorizzato solo di recente dal ministero della Sanità. Ora dovranno essere emessi i decreti attuativi con cui verranno individuati i centri che potranno eseguirlo. Sinora è stato eseguito solo un intervento di questo genere, dal professor D'Amico, insieme al professor Tanaka, quando si trovava a Roma". Che vantaggio c'è a farlo da vivente? "Questo genere di trapianto ha avuto una grossa espansione con la donazione dall'adulto al bambino. Poi, con l'esperienza maturata nel dividere gli organi, (il cosiddetto split) si è utilizzato, sempre per i bambini, anche il fegato prelevato da cadavere. Oggi c'è un grosso spazio per il trapianto di fegato da vivente, in particolare "da adulto ad adulto". Questo è possibile perché basta prelevarne un pezzo. Poi sia l'organo del donatore che quello del ricevente ricrescono sino a raggiungere dimensioni normali". L. S. _______________________________________________________ Il Sole24Ore 1 feb. '01 LONDRA, L'OSPEDALE DEGLI ORRORI LONDRA Andrew O'Leary aveva 11 mesi quando è morto improvvisamente in una culla dell'Alder Hay Hospital di Liverpool. I genitori l'hanno sepolto senza sapere di interrare una bara vuota. Diciotto anni dopo hanno ritrovato il corpo del figlio, nella cantina dell'ospedale, suddiviso organo per organo in 36 barattoli diversi. È una lista infinita di orrori quella che è emersa dall'inchiesta britannica sul prelievo e la conservazione di intere parti di cadaveri in uno dei principali ospedali pediatrici del Regno Unito. Due giorni dopo la presentazione del rapporto in Parlamento, il paese è sotto shock. Contro le autorità mediche che hanno permesso che migliaia di corpicini venissero smembrati a insaputa dei genitori per motivi di ricerca si erge un muro compatto di indignazione e ira. I quotidiani hanno divulgato le conclusioni dell'inchiesta senza risparmiare dettagli raccapriccianti. I tabloid hanno pubblicato le foto dei neonati privati di una sepoltura degna del nome: pagine e pagine di nomi e cognomi dei piccoli i cui sono stati ritrovati nei laboratori dell'Alder Hey. L'Independent titola "La cantina degli orrori" sopra una fotografia dello stanzone lugubre e lercio. Ai giornali hanno fatto coro migliaia di genitori che, con le voci piene di sdegnata incredulità, stanno chiamando dalle prime ore della mattina i centralini dei maggiori ospedali del paese. Vogliono sapere se anche al loro bambino è stato tolto il cuore, il fegato o il cervello, se anche loro dovranno interrare, accanto al figlio già sepolto, organi prelevati senza il loro permesso. Non è circoscritto all'Alder Hey lo scandalo delle parti rubate. L'inchiesta, condotta dall'avvocato Michael Redfern, ha trovato che a livello nazionale sono 104.300 gli organi conservati senza autorizzazione. Il Radcliffe Hospital di Oxford ne ha 4.400. Il Great Ormond Street Hospital, uno degli ospedali pediatrici più famosi al mondo, 3.000. Il peggio non è ancora passato. Il ministro della sanità britannico Alan Milburn ha dato disposizioni affinché si risalga al proprietario di ogni organo.I parenti dovranno poi decidere se ordinare la loro distruzione o se invece andare a prendere gli organi e seppellirli. Un'operazione straziante, come ha dimostrato ieri Carol Wainwright, una donna di 40 anni che si è recata all'Alder Hey accompagnata dal figlio Joseph per portarsi via i resti del piccolo Oliver, morto in culla nel 1994. E' uscita barcollando con un cofanetto di legno stretto al petto. _______________________________________________________ L'Unione Sarda 31 gen. '01 DUE NUOVE ARMI PER BATTERE L'AIDS Si chiamano inibitori dell'integrasi e della fusione virale gli ultimi ritrovati della scienza Centomila i sieropositivi, il virus si trasmette per via sessuale Le nuove armi che potranno contrastare la diffusione dell'epidemia sono gli inibitori dell'integrasi e gli inibitori della fusione virale. E ulteriori benefici sono attesi da nuove strategie e combinazioni terapeutiche che potranno ridurre i pesanti effetti collaterali associati alle terapie dell'HIV, migliorando la qualità della vita dei pazienti. Il punto sui trattamenti per l'AIDS è stato fatto nel convegno sulle terapie antiretrovirali, promosso dal Cro-Istituto Nazionale Tumori di Aviano. "Le notizie che giungono dallo sviluppo di farmaci appartenenti a nuove classi sono confortanti" osserva Umberto Tirelli, primario della Divisione di Oncologia Medica A dell'Istituto Nazionale Tumori di Aviano. "Rispetto ai farmaci oggi disponibili, le nuove molecole andranno a colpire il virus in altri suoi meccanismi di attacco o di formazione, permettendo così una terapia più efficace". Delle due nuove classi di farmaci, gli inibitori dell'integrasi colpiscono l'enzima che consente al DNA virale di integrarsi all'interno della cellula ospite. Attualmente, di questa classe vengono sperimentale due molecole che hanno mostrato una notevole efficacia nell'inibizione dell'integrasi e sono quindi ottimi candidati per l'ulteriore sviluppo in farmaci. Gli inibitori della fusione virale agiscono invece impedendo l'entrata dei virus nei linfociti. Le notizie sulle nuove terapie arrivano proprio quando anche in Italia viene rilanciata l'emergenza AIDS. Alla fine dello scorso anno erano più di centomila le persone sieropositive, ma il numero è destinato a crescere, anche per i comportamenti a rischio che sono ancora diffusi nella popolazione italiana. Secondo una stima dell'Istituto Superiore di Sanità, la metà degli uomini e i tre quarti delle donne attualmente con AIDS conclamato oggi in Italia hanno contratto l'infezione attraverso contatti eterosessuali, con particolare attenzione alla voce partner promiscuo. Per contrastare la diffusione dell'epidemia, oltre alla messa a punto di nuovi farmaci, si punta a ottimizzare le terapie già disponibili attraverso la sperimentazione di nuove strategie terapeutiche e di combinazioni che facilitino l'adesione del paziente alla terapia. Ad Aviano si è poi discusso della cosiddetta terapia "a singhiozzo", presentata a Durban, alla XIII Conferenza mondiale sull'AIDS, da Anthony Fauci e David Ho, e che viene adesso sperimentata anche in Italia. _______________________________________________________ L'Unione Sarda 1 feb. '01 CAGLIARI: SCOPERTO IL GENE CHE NON AMA I BAMBINI Equipe dell'ospedale per le microcitemie scopre una delle cause della sterilità Le donne potranno evitare la menopausa precoce Donne e capre. Accostamento irriguardoso se non nascesse dalla scoperta di un gene. Si chiama FOXL2 ed è stato individuato nelle donne colpite da una rara malattia ereditaria che provoca sterilità e disturbi agli occhi. Ma cosa c'entrano le capre? C'entrano, perché una variante della stessa patologia che affligge gli ovini potrebbe essere causata proprio da quel gene. Ma non sarà certo per questo che FOXL2 si imporrà da oggi all'attenzione generale. Gli studiosi dell'Istituto di ricerca sulle talassemie di Cagliari con la scoperta del gene hanno infatti aperto la strada a straordinarie prospettive di ricerca sulle cause della sterilità e della menopausa precoce. E di conseguenza, alla elaborazione di nuove terapie che consentiranno a tante coppie minacciate dalla sterilità di avere un figlio. I risultati dello studio sono stati presentati ieri dal professor Antonio Cao, responsabile del centro Cnr presso l'Istituto e dall'assessore alla Sanità Giorgio Oppi. Ad illustrarli, lo stesso autore, Giuseppe Pilia, che si è avvalso dell'aiuto di un folto gruppo di collaboratori sardi, tra i quali Laura Crisponi. A consacrare degnamente l'avvenimento, proprio ieri è intervenuta la pubblicazione sull'autorevole rivista scientifica Nature genetic . "Un successo anche per l'ospedale microcitemico - ha sottolineato Cao - dove collaborano studiosi del Cnr, universitari e ospedalieri che possono contare sul sostegno di Telethon e sull'appoggio finanziario dell'assessorato alla Sanità". Lo studio del dottor Pilia si inserisce nel sempre più ampio filone della ricerca sulla componente genetica delle malattie dell'uomo. Ed ha il merito di individuare, per la prima volta al mondo, un gene importante per la sterilità umana e di aprire, per le coppie interessate, la possibilità di avere una diagnosi precoce e un adeguato trattamento terapeutico. Della sterilità si sapeva sinora che può essere provocata da malattie autoimmuni, ma anche da trattamenti chemioterapici. In altri casi, la presenza di un fattore ereditario lascia sottintendere un'origine genetica. Circa L'uno per cento delle donne ha problemi di fertilità, per cui entra in menopausa precoce prima dei trent'anni o, nei casi più gravi, non sviluppa neppure le mestruazioni. E è proprio a loro che lo studio di Pilia vuole dare una risposta, perché quando si accorgono di essere sterili ormai è troppo tardi. La soluzione è quindi arrivare a una diagnosi precoce, prima che entrino in menopausa, per intervenire con precauzioni adeguate o con una terapia.I risultati della ricerca chiariscono ora che tra le cause di infertilità ce n'è anche una di origine genetica. Per arrivare a queste conclusioni l'équipe di Pilia è partida dall'esame di una malattia rara, BPES (Sindrome blefarofimosi- ptosi ed epicanto inverso) che provoca malformazioni agli occhi e, nelle donne, insufficienza ovarica precoce. In pratica, sterilità. Il gene FOXL2 è stato individuato proprio in un paziente affetto da questa malattia, ricoverato presso l'ospedale microcitemico. FOXL2 non è un gene qualsiasi, ma appartiene alla famiglia dei cosiddetti "regolatori", nel senso che regolano l'attività di altri geni. "In particolare - ha precisato Pilia - ha una funziona specifica a livello delle ovaie, per l'accrescimento dei follicoli e degli ovoiciti che sono alla base della fertilità femminile". La scoperta ha importanti risvolti sul piano pratico, perché un esame di tipo genetico (su FOXL2 e sui geni che regola) consentirà alle donne di prevedere una diagnosi precoce di sterilità, prima che intervenga la menopausa. Conoscendo prima il loro destino, potranno quindi decidere di avere figli o prelevare gli ovociti e congelarli per una futura gravidanza. "Ma la nostra speranza - la concluso Pilia - è capire come possiamo fare il modo che il gene continui a funzionare e consentire quindi alle donne, con una terapia adeguata, di arrivare alla menopausa a 50 anni". L. S. _______________________________________________________ Le Scienze 31 Gen. '01 CAGLIARI: ISOLATO IL GENE DELL'INSUFFICIENZA OVARICA PRECOCE È un disturbo che colpisce l'uno per cento delle donne Una delle cause più frequenti di infertilità femminile è l'insufficienza precoce delle ovaie: le cellule dei follicoli, le minuscole cavità sferiche dove maturano gli ovociti all'interno delle ovaie, diventano insensibili all'azione degli ormoni che stimolano l'ovulazione. Il risultato è che la produzione di ovociti si interrompe prima del quarantesimo anno di età e la paziente non è più in grado di concepire. È un disturbo molto diffuso, colpisce l'uno per cento delle donne, e può dipendere da fattori diversi, tra cui una malattia autoimmune che danneggia il tessuto ovarico o l'esposizione a radiazioni ionizzanti. Nella maggior parte dei casi, però, si tratta di una disfunzione di origine genetica, trasmessa di generazione in generazione all'interno della stessa famiglia. Ora, un gruppo internazionale guidato da Giuseppe Pilia, dell'Istituto di ricerca sulle talassemie e le anemie mediterranee del CNR di Cagliari, ha identificato la mutazione responsabile del disturbo. È l'alterazione di un gene, il FOXL2, attivo nelle cellule dei follicoli. La proteina sintetizzata dal FOXL2 è un fattore di trascrizione che regola l'espressione di altri geni. Questi, a loro volta, sintetizzano fattori di crescita necessari per il corretto funzionamento dei follicoli e per la maturazione dell'ovocita. I ricercatori di Cagliari hanno identificato il gene studiando una famiglia di persone affette da una sindome ereditaria che determina malformazioni del cranio, delle palpebre e insufficienza ovarica precoce. La notizia della scoperta è apparsa sull'ultimo numero di "Nature Genetics". La prossima tappa della ricerca sarà la creazione di un ceppo transgenico di topi portatori della mutazione. Servirà per studiare dal vivo il meccanismo della malattia. Cristina Valsecchi _______________________________________________________ Le Scienze 30 Gen. '01 LA FORMAZIONE DELLE SINAPSI Seguito passo passo l'utilizzo delle proteine da parte dei neuroni Per molti decenni, le cellule cerebrali chiamate glia sono state trascurate dagli studi poiché si riteneva avessero un ruolo secondario, per il rifornimento delle sostanze nutritive, o come semplice supporto di altre cellule. Uno studio recente, confuta invece queste ipotesi: le cellule gliali hanno l'importante compito di comunicare ai neuroni quando cominciare a interagire tra di loro. I neuroni spediscono e ricevono messaggi attraverso le connessioni chiamate sinapsi, punti di stretto contatto in cui i neuroni producono segnali chimici. La prima indicazione di come le cellule gliali possano essere implicate nelle comunicazioni sinaptiche avvenne nel 1997, quando un gruppo di ricercatori guidato dal neurobiologo Ben Barres della Stanford University trovò che i neuroni cresciuti vicino alle cellule gliali, chiamati astrociti, erano dieci volte più reattivi di quelli cresciuti isolati. Mancava solo di sapere perché. Per trovare una soluzione al problema, il gruppo di Barres ha condotto decine di esperimenti su neuroni cresciuti con o senza cellule gliali. La ragione dell'aumento di attività sinaptica diventa evidente quando i ricercatori colorano varie proteine che i neuroni usano per costruire le sinapsi. I neuroni esposti ai glia agglomerano queste proteine in un numero di sinapsi sette volte maggiore rispetto a quanto fanno i neuroni isolati. Secondo quanto riportato da "Science", il gruppo ha confermato questo conteggio registrando i neuroni sotto il microscopio. È così stato possibile riscontrare la somiglianza delle sinapsi nei due diversi insiemi di neuroni. I neuroni isolati sembrano contenere tutti i mattoni necessari per costruire le sinapsi, ma non cominciano la costruzione finché non hanno il via dalle cellule gliali. "Nessuno si aspettava questa connessione - ha spiegato Charles Stevens neurobiologo del Salk Institute for Biological Studies di La Jolla, in California - anche se il risultato è in accordo con i precedenti risultati secondo cui le cellule gliali aumentano l'attività sinaptica." _______________________________________________________ Repubblica 31 Gen. '01 DIO È SPIRITO, ANZI CERVELLO:"I NEURONI GUIDANO LA FEDE" Uno studio dell'Università della Pennsylvania introduce la neuroteologia. E se l'anelito verso il Cielo non fosse sola anima? di SHARON BEGLEY NEW YORK - Inizia ogni seduta di meditazione, accendendo candele e bruciando incenso al gelsomino prima di mettersi nella posizione del loto. Si concentra sulla sua interiorità, affinché l'essenza che egli considera essere il suo vero io si liberi dai desideri, dalle preoccupazioni e dalle sensazioni corporee. Questa volta però c'è qualcosa di diverso. Il giovane monaco tibetano ha a fianco a sé una cordicella e nel braccio sinistro l' ago di un'endovenosa. Quando si avvicina all'apice dello stato di meditazione tira la cordicella. All' altro capo, nella stanza accanto, Andrew Newberg , dell'Università di Pennsylvania, sente lo strattone e inietta un mezzo di contrasto. Poi collega il paziente ad una macchina chiamata Spect che consente di visualizzare immagini del cervello ed ecco che la sensazione che l' uomo prova di essere un tutt'uno con l'universo si riduce ad una serie di dati sul monitor. La regione dell'encefalo posteriore che compone i dati sensori per darci la sensazione di dove l'io finisce e inizia invece il resto del mondo, sembra essere stata vittima di un black out. Privata degli input sensori perché l'uomo è concentrato sulla sua interiorità, questa "zona di orientamento" non può svolgere il suo compito di marcare il confine tra l' io e il mondo. "Il cervello non aveva scelta", spiega Newberg. "Percepiva l'io come infinito, un tutt' uno con il creato. Era una sensazione del tutto reale". I primi a studiare l'esperienza religiosa sono stati i neurologi, che hanno scoperto un collegamento tra l'epilessia del lobo temporale e l'improvviso manifestarsi di un interesse religioso nel paziente. Oggi i ricercatori studiano esperienze più comuni. Newberg insieme a Eugene d'Aquili, ha chiamato questo campo neuroteologia. In un libro che uscirà in aprile conclude che le esperienze spirituali sono l'inevitabile conseguenza della configurazione cerebrale. "Il cervello umano è stato geneticamente configurato per incoraggiare la fede religiosa". Anche la semplice preghiera ha un effetto particolare a livello cerebrale. Nelle immagini cerebrali registrate dalla Spect riferite a suore francescane in preghiera si notava un rallentamento di attività nell'area deputata all'orientamento, che dava alle suore un senso tangibile di unione con Dio. "L'assorbimento dell'io all'interno di qualcosa di più vasto, non deriva da una costruzione emotiva o da un pensiero pio", scrivono Newberg e d'Aquili in "Perché Dio non se ne andrà". "Scaturisce invece da eventi neurologici". La neuroteologia spiega come il comportamento rituale susciti stati cerebrali da cui deriva una vasta gamma di sensazioni, dal sentirsi parte di una comunità, all'avvertire un'unione spirituale profonda. Le nenie infondono un senso di quiete che i credenti interpretano come serenità spirituale. Al contrario, le danze dei mistici Sufi provocano una ipereccitazione che può dare ai partecipanti la sensazione di incamerare l'energia dell'universo. Questi rituali riescono ad attingere proprio a quei meccanismi cerebrali che fanno sì che i fedeli interpretino le sensazioni come prove dell'esistenza di Dio. I rituali quindi tendono a focalizzare l'attenzione sulla mente, bloccando le percezioni sensoriali, incluse quelle che la zona deputata all'orientamento utilizza per stabilire i confini dell'io. Ecco perché persino i non credenti si commuovono durante i riti religiosi. "Finché il nostro cervello avrà questa struttura", dice Newberg, "Dio non andrà via". Copyright Newsweek/la Repubblica Traduzione di Emilia Benghi _______________________________________________________ Repubblica 28 Gen. '01 LA CHIESA BENEDICE LA MORFINA ANTIDOLORE Il placet di Ruini durante un convegno alla Lateranense. Sgreccia: "D'accordo anche Pio XII" di ORAZIO LA ROCCA CITTÀ DEL VATICANO - Dopo il sì ufficiale del Parlamento, anche la Chiesa cattolica benedice apertamente l'uso della morfina per alleviare le sofferenze dei malati terminali. Il placet arriva - ieri - nel mezzo di un convegno ad hoc, "Dignità del vivere e del morire" in corso alla Pontificia università Lateranense, dalle parole del cardinale Camillo Ruini, vicario del Papa e presidente dei vescovi italiani. Un placet, quello del porporato, ribadito per puntualizzare due concetti-base: e cioè, che mai e poi mai l'uso della morfina possa essere previsto come una sorta di anticamera all'eutanasia di Stato e che la Chiesa, fermo restando la difesa del diritto alla vita, non è insensibile alle sofferenze dei malati terminali. Posizione, quest'ultima, ribadita, in particolare, anche dall'arcivescovo Elio Sgreccia, direttore del Centro di bioetica dell'università Cattolica e vice presidente della Pontificia accademia per la vita: "Fu Pio XII a sollevare il problema dell'assistenza ai malati terminali attraverso la morfina, sollevando a quel tempo anche non poche reazioni di segno contrario". Nella sua prolusione al convegno - promosso dai 19 enti del Forum associazioni cattoliche e sanitarie -, il cardinal Ruini parla della nuova legge che consente di somministrare morfina antidolore, come di "una risposta molto umana all'alternativa disumana della soppressione della vita". In una società che - ragiona Ruini - tende "a mettere tra parentesi la morte", i cristiani sono chiamati a "testimoniare il Vangelo" tenendo conto del dilagante nichilismo che ha portato alle estreme conseguenze una affermazione del filosofo tedesco Martin Heiddeger per cui "l'uomo è un essere fatto per la morte". Di fronte a tale tendenza, "nostro compito - conclude il porporato - è affermare concretamente che sì la morte è la fine di tutto, ma è anche l'inizio di una dimensione totalmente nuova nella cui prospettiva anche la sofferenza ha un senso". "Il sì della Chiesa alla morfina per lenire le sofferenze dei malati non è una novità - spiega monsignor Sgreccia - già papa Pacelli disse che era lecito e raccomandabile curare il dolore con l'uso di determinati oppiacei". Un "sì", comunque, a ben determinate condizioni: consenso dell'ammalato quando l'uso della morfina è destinato a togliere la conoscenza; dare tempo al paziente di assolvere a tutte le sue volontà finali se l'uso è prolungato; ma, soprattutto, non fare del ricorso alla morfina antidolore come una sorta di eutanasia "strisciante". "Per la Chiesa - aggiunge ancora monsignor Sgreccia - è lecito l'uso della morfina" non solo per i malati terminali, ma anche per altre malattie o forme di ricoveri dolorosi, parti compresi. _______________________________________________________ La Stampa 31 Gen. '01 BALCANI: "CONVIENE CERCARE ALTROVE LE VERE CAUSE DELLE LEUCEMIE" Identikit dell'uranio impoverito Secondo tutti i dati scientifici il rischio radioattività è minimo Paolo Volpe HO scritto di "uranio impoverito" su "Tuttoscienze" del 15 settembre 1999 quando il tema era da tutti ignorato. Oggi che tutti ne parlano mi pare utile tornarci su aggiungendo alcuni dati. Poiché da questi dati si possono trarre conclusioni in controtendenza, tengo a precisare che non intendo difendere né l'uranio né la Nato né tantomeno la guerra. Ciò che mi preoccupa è che, attribuendo esclusivamente all'uranio (ora anche alle tracce di plutonio) le morti anomale dei militari in Kossovo, non si orientano gli sforzi per cercarne cause più probabili. L'uranio è l'elemento atomicamente più pesante fra quelli naturali: ha peso atomico 238,029, media pesata fra quelli dell'uranio 238 (che è il 99,283%), quello dell'uranio 235 (0,711%) e del 234 (0,0054%). Tutti e tre sono radioattivi ma, a parità di quantità, con intensità diverse: il 238 (tempo di dimezzamento =4,5 miliardi di anni) dà 0,33 microCurie per grammo, il 235 (dimezzamento = 0,7 miliardi di anni) dà 2,2 microCurie per grammo e infine il 234 (dimezzamento = 245 mila anni) dà 6100 microCurie per grammo. Nell'uranio naturale, data la composizione, queste attività sono rispettivamente 0,33, 0,33 e 0,016 microCurie; totale 0,67 microCurie per grammo. L'uranio impoverito è uno scarto degli impianti che producono il combustibile per le centrali nucleari. In questi impianti, composti da tanti stadi, in uno stadio intermedio viene immesso uranio naturale (come fluoruro); ad una estremità si estrae l'uranio arricchito (= combustibile) in cui la percentuale d'uranio 235 è salita ad almeno il 2%, e all'altra estremità viene estratto l'uranio impoverito, che contiene circa lo 0,2% dell'isotopo 235. In esso le attività dei tre isotopi risultano rispettivamente: 0,33 (per il 238), 0,004 (per il 235) e 0,06 (per il 234) microCurie per grammo, per un totale di 0,41 microCurie per grammo. L'uranio è molto comune e si trova dappertutto: nel terreno, nei materiali da costruzione e perfino in noi stessi; nel terreno, in un metro di profondità, ve ne sono in media otto tonnellate per km quadrato, nei materiali da costruzione la quantità varia a seconda del tipo; il nostro corpo ne contiene fino a 60 microgrammi. Come radioattività l'uranio emette radiazioni alfa da 4,2 MeV (dal 238), da 4,4 MeV (dal 235) e da 4,7 MeV dal (234); per l'uranio impoverito l'attività di circa 0,41 microCurie per grammo vale solo per l'uranio in polvere, perché l'uranio massiccio, emettendo solo dalla superficie, ha attività per grammo molto minore. Infatti queste radiazioni percorrono in aria poco più di tre centimetri e quindi 1°) sono fermate da sottili strati solidi e 2°) sono efficaci solo a contatto. L'uranio emette anche radiazioni gamma: il 238 con energia molto debole; un po' più energetiche sono quelle del 235. Comunque, chi si trovasse a 10 cm da 1 grammo di uranio (finemente suddiviso, perché l'uranio massiccio, per autoassorbimento, emette anche meno radiazioni gamma) riceverebbe una dose di 2,4 microrem all'ora (la dose naturale media è di 20 microrem all'ora, ma arriva anche a valori doppi); masse maggiori non darebbero molto di più, sempre a causa dell'autoassorbimento. Per altre valutazioni si tenga conto che la dose ricevuta diminuisce con il quadrato della distanza. Tutti riconoscono che il rischio maggiore è dato dall'aerosol che si genera quando un proiettile urta contro qualcosa di estremamente duro (gli altri urti non hanno questo effetto e il proiettile rimane una massa metallica). I proiettili di gran lunga più usati sono stati quelli da 30 mm, con un po' meno di 300 g di uranio. Esperienze sugli impatti hanno dato come valore massimo di polverizzazione il 35% del peso, e di questo 35% solo il 60% con dimensioni adatte all'inalazione. Dunque l'impatto di un proiettile dà , al limite, 60 grammi (25 microCurie) di aerosol di uranio che, sotto tal forma, è piroforico: reagisce con l'ossigeno generando gli ossidi (UO2, UO3 e U3O8). Le particelle di ossido si attaccano al pulviscolo atmosferico rimanendo in aria per un certo tempo; in quel momento, vicino all'impatto, si può respirare uranio molto al di sopra del consentito. Ma in breve tempo una semplice brezza può riportare il pulviscolo a concentrazioni non rischiose (ritenute, molto prudenzialmente, 0,2 picoCurie per metro cubo). Quanto a lungo l'aerosol rimanga sospeso dipende dalle condizioni atmosferiche. Alla prima precipitazione il pulviscolo viene portato al suolo dove, essendo gli ossidi insolubili, tali rimangono, a far parte dell'uranio naturalmente presente. In piccola parte gli ossidi possono dar luogo allo ione uranile, specie molto reattiva che dà sali generalmente solubili. Qualora questa frazione venisse dilavata e finisse in una falda acquifera, ritornerebbe quasi tutta in soluzione. Essendo 0,2 microCurie per metro cubo la concentrazione massima ammissibile nell'acqua potabile stabilita dalla legge (italiana ed europea, le più severe), si può stimare in 100 kg la quantità di uranio che una piccola falda di 200 metri per 100 per 10 di profondità può sopportare senza offrire rischi a chi la usa. Se inalato, l'uranio viene espulso all'80% con il catarro in tempi brevi; il resto viene espulso in tempi lunghi; solo l'1% passa dai bronchi nel sangue. Quello ingerito (compreso quello che dai bronchi passa allo stomaco con il catarro) viene escreto con le urine in 3 giorni. La tossicità chimica dell'uranio, che non è tra le più alte fra quelle dei metalli pesanti, è comunque prevalente sulla radiotossicità. Secondo la Health Physics Society la dose soglia per inalazione che dà effetti transitori sul rene (organo critico) è di otto milligrammi, mentre sono necessari 40 milligrammi per averne un danno permanente. Nell'uranio impoverito sono poi state scoperte tracce di plutonio. Il problema, non trascurabile, è l'entità di queste tracce; infatti tracce infinitesime di plutonio 239 sono presenti anche nell'uranio naturale per la fissione spontanea dell'uranio 235 che irraggia con neutroni il 238; l'ordine di grandezza è di picogrammi per chilo. Se vi sono quantità maggiori, ciò potrebbe significare che all'uranio impoverito derivante dagli impianti di arricchimento è stato aggiunto anche uranio che ha subito il riprocessamento. Il plutonio è molto più radioattivo dell'uranio (tempo di dimezzamento solo 24.300 anni); emette particelle alfa accompagnate da radiazioni gamma molto deboli ed è molto radiotossico: ha una attività (alfa e gamma) di circa 60 milliCurie per grammo. E' anche eccezionalmente tossico chimicamente: è mortale nella misura del microgrammo. Dunque, nel caso specifico, è fondamentale sapere quanto è disperso nell'uranio e quant'è l'entità delle tracce. Un ultima considerazione: in tutte le discussioni pubbliche ho visto intervenire, come esperti, solo i medici. E' ovviamente la categoria che può dire la parola finale, ma non ha le competenze per giudicare se e quanto uranio (o plutonio) può essere inalato o ingerito sul teatro di guerra. Forse sarebbe il caso di interpellare anche chimici, fisici e radioprotezionisti. Università di Torino _______________________________________________________ La Stampa 31 Gen. '01 I PARASSITI ALL'ORIGINE DEL SESSO? Barbara Gallavotti I parassiti sono esseri insignificanti e dannosi? Nulla di più falso. Lo dimostra un gran numero di recenti ricerche che mettono in luce come questi piccoli e vituperatissimi organismi siano in grado di influenzare in modo inaspettato non solo l'esistenza delle loro vittime ma anche il corso dell'evoluzione biologica. Secondo una tesi sempre più accreditata ad essi si dovrebbe persino il merito dell'esistenza del sesso. Un artificio particolarmente elegante per manipolare le sue vittime è quello messo in atto dal parassita chiamato Toxoplasma gondii. Il suo stratagemma è stato svelato da uno studio svolto da alcuni ricercatori inglesi e pubblicato di recente sui "Proceedings of the Royal Society of London". Il ciclo vitale del Toxoplasma può completarsi solo se esso parassita in successione due organismi diversi, di solito un topo e un gatto. Questo passaggio avviene con facilità se un gatto divora un roditore infetto e dunque è interesse del piccolissimo sfruttatore che il suo primo ospite finisca nelle fauci del predatore. Ma come raggiungere questo scopo? Uccidere il topo e attendere che qualche felino di passaggio banchetti con il suo cadavere servirebbe a poco, perché i gatti di norma evitano le carogne. Dunque il Toxoplasma agisce assai più subdolamente. I topi infettati appaiono del tutto normali tranne che per un dettaglio: non mostrano la caratteristica repulsione verso i luoghi segnati dall'odore dei gatti, anzi a volte sembrano esserne persino attratti. Il parassita, dunque, "guiderebbe" letteralmente le sue vittime verso il cacciatore, probabilmente agendo sul loro cervello in modo da influenzarne il comportamento. Dato che il Toxoplasma può infettare anche l'uomo, alcuni ricercatori stanno cercando di scoprire se e in quale misura il microrganismo sia in grado di influire sulle azioni di una persona. Qualcuno troverà umiliante l'eventualità che un microbo possa in qualche modo determinare comportamenti umani, eppure ciò non è nulla rispetto ad altre conseguenze dovute all'esistenza dei parassiti. Molti scienziati, per esempio, sono convinti che essi siano la causa principale dell'esistenza del sesso e di tutto ciò che ne deriva, dal corteggiamento ai profondi sentimenti che chiamiamo amore. Perché mai quasi tutti gli animali e le piante mettono in atto un meccanismo di riproduzione tanto complesso come quello sessuale? La ricerca del partner e l'accoppiamento richiedono una enorme quantità di energie e senza dubbio è assai più semplice riprodursi asessualmente, ad esempio dividendosi in due come fanno i batteri. Tuttavia il sesso dà un enorme vantaggio: permette di generare individui tutti diversi fra loro, ciascuno in possesso di un diverso assortimento di geni ereditati dai due genitori. Gli organismi generati asessualmente, invece, sono tutti geneticamente identici all'individuo da cui discendono. La diversità genetica comporta anche la diversità delle difese che l'organismo è in grado di mettere in campo contro le infezioni: proprio questo aspetto sarebbe l'arma vincente contro i parassiti rappresentata dall'evoluzione del sesso. Infatti le strategie usate per vincere le resistenze di un ospite sovente non servono a conquistare i sui "parenti", se questi sono stati generati sessualmente. Quindi ogni volta che un parassita tenta di passare da una vittima all'altra deve fronteggiare ostacoli che potrebbero rivelarsi del tutto sconosciuti e ciò limita molto le sue possibilità di diffusione. Più si guarda al mondo dei parassiti, più essi appaiono come fantastici burattinai che, avvolti nell'ombra, guidano l'evoluzione e l'esistenza di organismi ben più complessi di loro. Lo ricorda fra l'altro lo scrittore scientifico Carl Zimmer nel suo recentissimo libro "Parasite rex" (Free Press editore), sottolineando come in fondo anche la specie umana si comporti da parassita rispetto al grande organismo-Terra. Non che ci sia nulla di male ad essere un parassita: basta non sfruttare il proprio ospite tanto da distruggerlo. A meno che non si abbia un'altra vittima a disposizione sulla quale traslocare rapidamente. Ma per ora noi non abbiamo individuato nuovi organismi-Terra da infettare. _______________________________________________________ Corriere Della Sera 1 feb. '01 SCLEROSI MULTIPLA: VERSO NUOVE STRATEGIE DI CURA Francesco Monaco SULLA prestigiosa rivista "Neurology" (organo ufficiale della American Academy of Neurology ) recentemente è stato pubblicato un articolo di un gruppo di ricercatori italiani concernente alcuni processi della cosiddetta "apoptosi" (morte cellulare programmata) che avvengono nel corso della sclerosi multipla. Apoptosi è un termine che deriva dal greco e sta ad indicare la caduta delle foglie degli alberi come avviene in autunno. Nei Paesi Occidentali, la sclerosi multipla costituisce la principale causa di disabilità neurologica non traumatica nel giovane. Sebbene la causa della malattia non sia nota, è oggi universalmente accettato che si tratti di una forma autoimmune. Le malattie autoimmuni sono condizioni determinate da una reazione anticorpale anomala che colpisce strutture del nostro organismo. Nel caso della sclerosi multipla il bersaglio degli anticorpi è rappresentato dalla mielina (guaina che riveste gli assoni dei neuroni e permette un'efficiente trasmissione degli impulsi nervosi) del sistema nervoso centrale (SNC). La distruzione della guaina mielinica può avvenire in qualsiasi area del sistema nervoso centrale e i disturbi che ne conseguono possono quindi manifestarsi in ogni sistema neurologico (funzione motoria, sensitiva, visiva, coordinazione e così via). Di qui la definizione di "multipla" o anche di "malattia demielinizzante". La diagnosi viene oggi posta con l'individuazione delle zone alterate ("placche di demielinizzazione") alla Risonanza Magnetica (vedi figura). Il decorso della malattia è variabile: la maggior parte dei pazienti presenta, nei primi tempi, un andamento con aggravamenti e remissioni; una percentuale minore di pazienti presenta un andamento cronico fin dall'esordio. Dopo alcuni anni (8-15) la maggior parte dei pazienti con aggravamenti e remissioni sviluppa una forma cronica secondaria, che può portare, nei casi più gravi, ad una invalidità permanente. La variabilità del decorso clinico della malattia riflette l'andamento della risposta immunitaria. Le fasi di aggravamento sono caratterizzate da un'imponente attivazione anticorpale, che dopo un periodo variabile si "spegne", determinando la remissione della sintomatologia. Nel lavoro pubblicato dai ricercatori dell'Università "Amedeo Avogadro" di Novara, nato dalla collaborazione tra il Centro Sclerosi Multipla della Clinica Neurologica (Cristoforo Comi, Maurizio Leone, Paola Naldi) e il Laboratorio di Immunologia (Umberto Dianzani), viene dimostrato che i pazienti con sclerosi multipla presentano un difetto nel meccanismo di spegnimento della risposta immunitaria, determinato da un difetto nella morte cellulare "programmata" (l'apoptosi, per l'appunto) dei linfociti presenti nel sangue. Tale difetto è presente nella maggior parte dei pazienti con forme croniche. E' pertanto possibile che la cronicizzazione della malattia dipenda da un mancato spegnimento della risposta immunitaria. Se questi risultati, descritti per la prima volta in questo studio, venissero confermati, nel futuro si potrebbe ipoteticamente prevedere fin dall'esordio della malattia quali pazienti presentino maggiore rischio di cronicizzazione e di conseguenza sarebbe possibile pianificare una strategia terapeutica più mirata. L'avanzamento delle conoscenze in campo neuroimmunologico ha infatti permesso, negli ultimi anni, di sviluppare farmaci in grado di modificare l'andamento della sclerosi multipla (per esempio interferone-beta, copolimero 1, immunoglobuline). Soltanto con il miglioramento della comprensione dei meccanismi che determinano lo sviluppo e la progressione della malattia sarà possibile offrire strategie terapeutiche sempre più efficaci e specifiche. Università "A. Avogadro", Novara _______________________________________________________ Corriere Della Sera 30 Gen. '01 BSE: "GLI ESAMI RAPIDI PURTROPPO NON SERVONO" De Bac Margherita L' ESPERTO AGUZZI "Errori possibili: anche chi è risultata sana può essere malata" ROMA - Una mucca creduta pazza che invece "rinsavisce" grazie alle controanalisi. E così in Italia i casi di Bse sono fermi a uno. Sorprende o è normale che i test rap idi ci riservino questi colpi di scena? Adriano Aguzzi, neurobiologo dell' università di Zurigo sceglie la via della diplomazia: "Sono un po' sorpreso. In effetti il test rapido, basato sulla tecnica del western blot, quello della ditta Prionics adop erato in Italia, è sì poco sensibile, ma molto specifico. Alla positività corrisponde la malattia prionica. Nel mio laboratorio ne abbiamo fatti migliaia e così è avvenuto. Se il test viene eseguito correttamente non dovrebbe dare falsa positività". Ritiene più probabile che il test rapido, eseguito nei laboratori di Padova, fosse negativo in partenza e che sia stato letto male? "Ricordo semplicemente che è necessaria un po' di esperienza. È un' analisi complessa, la sua valutazione si basa su u na serie di criteri. Bisogna avere familiarità con certi incidenti tecnici. Per questo se ne devono occupare solo laboratori specializzati". Il consumatore deve preoccuparsi? "No, direi anzi il contrario. Il problema sono i falsi negativi. Non abbiam o mai taciuto sul limite di questi strumenti diagnostici che hanno una sensibilità del 90%. C' è un margine di errore del 10% e si tratta di false negatività. Devono preoccupare le mucche infette che, non essendo identificate, entrano nella catena al imentare come sane pur nascondendo il prione. Lo ripeto, dal punto di vista della tutela sanitaria questi test non servono a molto, ma era necessario che partisse una rete di sorveglianza attiva e non basata solo sulle segnalazioni spontanee dei casi neurologici". Quindi non è escluso che tra i circa 10 mila bovini controllati, qualcuno sia sfuggito, anche se malato? "No, non è escluso". Cosa ci vuole per uscire da questa incertezza? "È questione di tempo. Anche i primi test per l' Aids erano un disastro. Ora la qualità dei kit è migliorata, ma sono sempre imperfetti. C' è il rischio di non identificare il virus dell' Hiv quando l' infezione è nella cosiddetta fase finestra. Per la Bse siamo nell' identica situazione". Per ora dunque è bene attribuire ai test rapidi anti Bse un valore relativo. "Lo dico da settimane. Ma è come mettersi a urlare in mezzo al deserto". In Italia la sorveglianza attiva, attraverso i test su animali al di sopra dei 30 mesi, è scattata a rilento il primo gen naio: un bovino malato su 10 mila. Un primo bilancio si può trarre? "Non credo che la Bse in Italia sia comparsa per magia. C' era già, anche se credo che non sia un problema gigantesco". Il ministro Umberto Veronesi si è detto felice che i casi si s iano ridimensionati ad un solo. "Continui invece a stare all' erta". Adesso in Italia c' è chi è pronto a giurare di aver visto circolare mucche pazze nei nostri allevamenti. "Da un eccesso all' altro. Prima negavano che ci fosse la Bse, ora esageran o nei sospetti. Le malattie neurologiche del bovino sono diverse e i sintomi possono essere confusi". I ricercatori sono vicini a trovare test per controllare animali vivi? "Non ho notizie per confermarlo". Margherita De Bac mdebac@rcs.it Arretrati _______________________________________________________ L'Unione Sarda 1 feb. '01 POLICLINICO: IL VERDE NON SCATTA MAI Monserrato. Nella statale 554 il via libera dura appena una manciata di secondi Gli studenti della Cittadella: "Code di mezz'ora" Monserrato Una corsa di ottanta chilometri orari per non perdere l'onda verde, ma il traffico e gli incroci trasformano la strada statale 554 in un fiorire di stop rossi. Le tre carreggiate di via San Fulgenzio, da poco riaperta alla circolazione, non hanno risolto alcun problema. La circonvallazione - e precisamente il grande incrocio a croce che collega Quartu e l'hinterland cagliaritano con la cittadella universitaria e il nuovo Policlinico - è un lungo serpentone d'acciaio: le macchine non mancano mai e si registrano code chilometriche. Chi arriva da Quartu ha a disposizione 30 secondi di luce verde per poter superare il semaforo. Un mezzo pesante o un cedimento nei riflessi e per quel mezzo minuto di verde bisognerà aspettare altri 90 secondi. Che possono sembrare pochi, ma non per chi deve seguire lezioni universitarie o recarsi al lavoro. "Arrivare in facoltà o a prendere posto in biblioteca è una gara di resistenza", dice Gianluca Locci, giovane studente quartese di Medicina, obbligato a imboccare la 554 ogni mattina per prendere parte alle lezioni che si svolgono alla Cittadella universitaria "Aspetto anche tre quarti d'ora in fila, tra le 8 e le 9 del mattino, prima di riuscire a svoltare per Sestu. E non parliamo della strada di ritorno, l'ormai famosa scorciatoia è diventata un inferno: fango, buche e cunette sono percorse da tutti e ci si trova in fila anche in una stradina di campagna". Sono, invece, venti i secondi di verde contro un minuto e mezzo di rosso per le centinaia di automobilisti che provengono da Monserrato e per quelli che dall'università devono rientrare in città. Il tutto ovviamente in sincronia, così che il centro dell'incrocio sia intasato dalle macchine che tentano di procedere contemporaneamente nei due sensi. "L'allargamento di via San Fulgenzio è stato proficuo", dice Giorgio Di Martino, studente ventiquattrenne assiduo frequentatore della biblioteca universitaria di Monserrato, "ma il problema non è stato risolto, anzi. Verso le 18.30 è impossibile uscire dalla cittadella: la coda per il semaforo arriva sino all'ingresso dello stabile. Pochi giorni fa abbiamo dovuto fare marcia indietro per consentire il passaggio di un'ambulanza diretta al Policlinico. La strada è troppo stretta bisognerebbe allargarla". Lo svincolo diretto a Sestu diventa più facile e veloce per chi proviene da Cagliari, anche perché le direzioni possibili dopo aver superato il semaforo diventano due grazie alla corsia di decelerazione che permette l'ingresso in città. Un minuto di semaforo verde, cui assistono gli altri automobilisti già in attesa ai rispettivi stop da trenta secondi, è seguito da un altro minuto di luce rossa. Ma dov'è finito il progetto miliardario per la costruzione di un cavalcavia che snellisca la circolazione? La risposta alle amministrazioni competenti. Nell'attesa le code nella 554 si allungano a perdita d'occhio Serena Sequi _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 31 Gen. '01 AIAS: PER RANDAZZO CHIESTA L'ASSOCIAZIONE A DELINQUERE Sette anni di carcere ridotti di un terzo per il rito abbreviato al presidente. Cinque agli altri tre imputati di Mauro Lissia CAGLIARI. L'Aias Sardegna era governato da un clan familiare: la famiglia Randazzo. Che grazie a un oliatissimo meccanismo di rapporti e di reciproche coperture perseguiva un obbiettivo preciso: l'arricchimento personale del presidente ed ex deputato democristiano Bruno Randazzo e dei suoi collaboratori, il responsabile amministrativo Sebastiano Urru, il segretario Egidio Denegri e l'imprenditore edile Marco Medda. Non una società, dunque: per il pm Mauro Mura un'associazione a delinquere. Un'associazione dedita alle truffe nei confronti dell'amministrazione regionale, con una sequenza lunga anni di appropriazioni indebite. Tradotto in pene: Mura ha chiesto al tribunale sette anni di carcere per Randazzo e cinque per gli altri tre imputati, ma il conto va ridotto di un terzo per via del rito abbreviato, scelto dagli imputati. L'udienza è durata circa quattro ore e si è conclusa con l'aggiornamento: il 20 febbraio parlerà la difesa, quindi il collegio presieduto da Francesco Sette andrà in camera di consiglio per la sentenza. Tangenti, ristrutturazioni a costi folli, bilanci rimasti nell'ombra: il pubblico ministero Mura non ha usato toni forti nella sua requisitoria ma l'analisi accusatoria è interamente fondata su documenti che secondo il magistrato lascerebbero ben poco spazio alle interpretazioni. Per Mura, l'Aias di Cagliari lavorava alla realizzazione di un utile d'impresa, ma dentro l'utile c'erano anche le tangenti riservate ai quattro imputati. Randazzo prendeva il doppio degli altri tre, le cifre sono esorbitanti. Cifre che pesavano drammaticamente sul bilancio dell'associazione per l'assistenza ai disabili, fino a mettere in forse il pagamento degli stipendi ai dipendenti. In un clima di perenne crisi finanziaria che costringeva la Regione ad aumentare le rette per prevenire il tracollo dell'assistenza ai più deboli. Ma il meccanismo era stato ideato - secondo l'accusa - proprio per quello. Su tutti, un modo per muovere miliardi: l'acquisto e la ristrutturazione di immobili, che spesso di traducevano in demolizioni totali e conseguenti ricostruzioni. Mura è stato categorico: "L'Aias avrebbe potuto acquisire locali di proprietà comunale, invece li acquistava per poi ristrutturarli e ogni lavoro veniva svolto dall'impresa di Marco Medda, senza che risulti un qualsiasi contratto d'appalto. Di fatto, l'impresa di Medda e l'Aias non erano soggetti distinti, erano la stessa cosa". Stessa cosa e stesso obbiettivo: "Arricchirsi" ha detto Mura. Gonfiando i costi e scegliendo invariabilmente gli interventi più costosi. Con effetti disastrosi sui conti: "Nel bilancio del '93 ci sono interessi bancari passivi per trenta miliardi, a fronte di ricavi complessivi da Regione e comuni per quaranta miliardi. Come si fa a far fronte a un impegno del genere?". Eppure il collegio dei revisori faceva finta di nulla: "La partita veniva regolarmente liquidata dicendo che tutto risultava in ordine. Anzi - ha rilevato il pubblico ministero - puntualmente il collegio si complimentava con l'amministrazione dell'Aias per la correttezza dell'attività. Il tutto davanti a bilanci incredibili". Bilanci che dal 1986 non venivano neppure trasmessi all'Aias nazionale, ignaro di quanto avvenisse in Sardegna. E quanto avveniva appare - secondo la ricostruzione accusatoria - di una gravità inquietante: sarebbero almeno quaranta i miliardi passati dalla sezione Aias di Cagliari all'Aias Sardegna, una società gemella diventata nel giro di qualche anno la cassaforte personale della famiglia Randazzo. Ma c'è poco da meravigliarsi, per l'accusa. Perchè ogni decisione, ogni scelta, passava solo per l'ex notabile democristiano, padre e padrone incontrastato dell'assistenza ai disabili in Sardegna: "Non parliamo di assemblee, di direttivi, di giunte o quant'altro - ha spiegato Mura - l'intesa era talmente forte da consentire a Randazzo di governare tutto. Il presidente aveva realizzato con le persone che ricoprivano incarichi stabili un patto che non poteva riservare sorprese. Basta guardare la composizione del consiglio direttivo: tranne uno o due, erano tutti familiari e parenti di Randazzo. E l'attività era frenetica, dalla realizzazione di opere edili agli appalti per mense e pulizia". Su ogni affare, una parte all'Aias e una al 'governo'. All'udienza conclusiva parleranno gli avvocati Luigi Concas, Gianfranco Anedda e Antonio De Toni.