INCANTANO LONDRA LE CERE DEL SUSINI DE RITA: TRA GLI ATENEI C'È SQUILIBRIO DI RISORSE LA RICERCA A "MOSCA CIECA" WEBER: I PROFETI STIANO LONTANI DALLE CATTEDRE. L'UNIVERSITÀ RIFÀ LA MAPPA DEGLI ALBI I CNR SARDI NON SI TOCCANO SASSARI: SI È APERTO IL 439º ANNO ACCADEMICO TUTTI PROMOSSI ALL' ESAME: SOSPESA LA PROF G. ISRAEL:"ALL'UNIVERSITA' ARRIVA UN'ORDA DI IGNORANTI INAUDITI" CAGLIARI. QUANDO L'ESAME DIVENTA UN INCUBO "GLI STUDENTI? MA SONO IGNORANTI" B.MARONGIU: "QUANDO L'ESAME DIVENTA UN INCUBO". ================================================================== RISCHIO ELEZIONI SULLE LAUREE SANITARIE MA I DECRETI ARRIVERANNO IN TEMPO E I DIPLOMI SARANNO EQUIPARATI PER DIVENTARE MEDICI DI FAMIGLIA TRE ANNI DI "SPECIALIZZAZIONE" NASCE L'OSPEDALE SENZA DOLORE RICERCA SULL' ALZHEIMER: CLINICHE PSICHIATRICHE DISCRIMINATE? I GRASSI E LA RESISTENZA ALL'INSULINA PERCHÉ L'ELICA È LA FORMA DELLE PROTEINE GENI: 400 MALATTIE RARE CHE COLPISCONO I BAMBINI ECCO L'OCCHIO ARTIFICIALE I BATTERI SONO DIVENTATI LAVORATORI GENETICI PARASSITI ED EVOLUZIONE BROTZU. MALATI ESASPERATI IN FILA PER PAGARE IL TICKET ================================================================== ____________________________________________________________________ L'Unione Sarda 1 feb. '01 INCANTANO LONDRA LE CERE DEL SUSINI Non di soli lucidi olii e bronzi e tempere e marmo e pastelli grassi ha brillato, in questo fortunato passaggio di millennio, l'astro dell'arte in Sardegna, mai così radiante nella scena nazionale ed europea. Sono rientrate proprio ieri, nei loro eleganti sepolcri di cristallo della Cittadella dei Musei, le cere. Quattro simulacri anatomici di Clemente Susini, esposti a Londra dal 19 ottobre dell'anno passato sino alla scorsa settimana di gennaio. E a quanto si evince dalla nutrita rassegna stampa che le accompagna, tra i quasi trecento Spectacular Bodies ( questo il titolo della mostra ) esposti nella prestigiosa Hayward Gallery da Martin Kemp e Marina Wallace, i "corpi spettacolari" della nostra collezione universitaria hanno letteralmente trionfato. Cagliari e le sue cere sono citati in oltre un centinaio di recensioni delle più note testate di ogni angolo del globo: Times, Daily Mirror, Nature, De Telegraaf, New York Times, Bizarre, Der Spiegel, El Pais, persino in una rivista indiana dal nome impronunciabile. E irradia allora, vera e meritata soddisfazione anche Alessandro Riva, cattedrattico di Anatomia dell'Ateneo cagliaritano, che da anni, con entusiasmo impetuoso quanto contagioso, cura - indefatigabile tutore - quelle straordinarie riproduzioni ottocentesche e il prezioso Museo che le accoglie. Racconta estasiato dei seicento cataloghi della raccolta cagliaritana andati a ruba nel bookshop della Hayward, e mostra la lettera di cinque medici inglesi che già assicurano la loro visita alla Cittadella, ancora peraltro sguarnita di una elementare biglietteria. Ma al di là di questa meritata consacrazione dei nostri mirabili manufatti: come spiegare questa improvvisa quanto frenetica fame d'anatomia? Cosa ha spinto a ideare e allestire questa singolare esposizione, prevalentemente "anatomica" appunto, in uno dei più affermati santuari mondiali dell'arte contemporanea? A scorrere con attenzione la patinata pesante del sontuoso catalogo, la risposta sembra quasi di carattere "terapeutico". Come se l'antica arte di descrivere la prodigiosa "macchina divina", fatta di carne e di ossa, fosse ritornata insomma in tutta la sua storica, monumentale flagranza a consolare e forse rassicurare sulle misere sorti di questa flebile arte di fine millennio. Carta, tela, stoffa e ancora porcellana, legno, gesso, avorio: tutti i materiali dell'arte concorrono con abbagliante coralità a cantare il prodigio invisibile della nostra fisica interiorità, manipolati da grandi artisti e ineguagliati artigiani. Dai virtuosismi leonardeschi al precisionismo del seicento olandese, dai lumi di Zoffany alle smorfie di Messerschmidt, passando per il proto- espressionismo di Banks, è una galleria infinita di membra scorticate, sezionate, colorate e preservate dalla corruzione del tempo, nel nome dell'arte e della scienza. E nel cuore di quest'orgia di pelli strappate e orbite vuote, gridano tutto il loro irresistibile verismo le cere straordinarie di quella italianissima banda di portentosi plasmatori di forme: Zumbo da Siracusa, grandissimo illusionista barocco di pestilenze e cancrene, e i bolognesi Lelli e Manzolini con sua moglie Anna, poeti e visionari di polpe caduche e ossa tenaci, e infine Clemente Susini, quest'apollineo Fidia delle viscere nude, figlio neoclassico di Madre Ragione. Trecento artisti - infine - per un solo oggetto delle loro atroci attenzioni: il nostro corpo. Quest'abitacolo meraviglioso dell'anima che è stato fondamento primo dell'arte occidentale. Sulla sua anatomia, struttura geometrica stabile, architettura delle architetture, poggiano le colonne gigantesche dell'arte classica, il sacro concetto di "forma" del Rinascimento, la solidità inderogabile dell'immortale Accademia. Già il grande Caravaggio, per aver osato disgregare, con semplice incidenza di luce, la santa compiutezza delle umane membra, fu paragonato all'Anticristo. Che dire allora di Picasso? Primo feroce chirurgo del secolo ventesimo. È lui, resecatore impenitente, armato di bisturi cubista, che massacra veramente quel sistema volumetrico di muscoli e di sangue che tratteneva saldo, da cinque secoli, la gabbia spaziale della prospettiva. E quando arriveranno a milioni le tremende mutilazioni della carne prodotte dalla Grande Guerra, l'arte disumanizzante delle avanguardie avrà già distrutto da un pezzo l'immagine dell'uomo. Da allora l'anatomia, per gli artisti, diventa sempre più noiosa materia accademica e la forza dell'arte intanto si dissangua, lentamente, sino all'afasia incalzante degli ultimi decenni del secolo: sino al vuoto inquietante del Concettuale circondato dalle chimere colorate e dalle nuove attrazioni di una tecnologia padrona. La mostra di Londra, nel confronto tra l'ossessione scientifica di ieri e lo stanco sperimentalismo di oggi, ha rivelato impietosa tutta l'isteria gracile di tanta arte "mentale" che tenta di reimpadronirsi dell'anatomia con il trucco scontato dell'osceno o la puntata - vana - nel raccappricciante. Un confronto perduto in partenza: tra l'immaterialità di un'espressione estetica estenuata e la capacità, invece, di esprimersi come "arte" maiuscola, di una serie infinita di formidabili manufatti, che nacquero con modestissime intenzioni scientifiche di mera funzionalità didattica, dalle mani di decine di oscuri artisti-artigiani cui la mostra sul Tamigi ha reso piena giustizia. Ed è un confronto appassionante, che si ripete anche nelle splendide sale della nostra Cittadella dei Musei, ogni volta che il rigore manuale di Clemente Susini e delle sue cere, iperrealiste eppure surreali, vere eppure capaci di potenti suggestioni visionarie, si misura con la tristissima assenza di gravità di tanta cosiddetta arte contemporanea. Giorgio Pellegrini ______________________________________________________ Il Sole24Ore 9 feb. '01 DE RITA: TRA GLI ATENEI C'È SQUILIBRIO DI RISORSE ROMA C'è un forte squilibrio nella distribuzione delle risorse tra le istituzioni universitarie. È questo l'allarme lanciato dal presidente del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, Giuseppe De Rita, all'incontro tenutosi ieri alla sede centrale del Cnr. In poche parole, a parità di iscritti, alcuni atenei ricevono più finanziamenti dal Murst e altri molto meno. È quanto De Rita ha appreso dalla prima valutazione (verrà aggiornata entro aprile) presentata dai Nuclei istituiti dalla legge 370/99 e che porterà il ministero dell'Università a rivedere la ripartizione dei finanziamenti. Ma l'incontro è stato anche l'occasione per richiamare le due istituzioni deputate alla valutazione - il Comitato nazionale e i Nuclei di base - a una maggiore collaborazione. De Rita ha infatti spiegato che la legge assegna al primo una valutazione di sistema e ai secondi analisi specifiche per ogni ateneo, ma presuppone anche un lavoro di stretta dipendenza tra i due organismi. Le singole università devono inviare le valutazioni al Comitato entro il 30 aprile di ogni anno, pena l'esclusione da alcuni finanziamenti e il Comitato, dal canto suo, deve impegnarsi a corrispondere a tutte le università la griglia complessiva delle valutazioni. Solo in questo modo ogni ateneo potrà avere percezione della propria "resa" attraverso il confronto con quella degli altri. De Rita ha inoltre annunciato l'avvio tra 15 giorni di un nuovo sistema informativo che elaborerà i dati a disposizione del Comitato. Sarà uno strumento scientificamente garantito al quale la stampa potrà fare riferimento nella compilazione delle graduatorie dei vari atenei. Non è infatti solo la distribuzione delle risorse che differenzia le università. Un altro dato su cui De Rita ha invitato a riflettere è il tasso di abbandono degli studenti tra il primo e il secondo anno. Un dato che ha valori sensibilmente diversi da un ateneo all'altro e sul quale esistono delle stime anche per facoltà. Su base nazionale, per esempio, il tasso di abbandono di medicina e chirurgia è pari al 2,9%, mentre a sociologia sale addirittura al 34 per cento. È vero che la facoltà di medicina prevede già da qualche anno il numero programmato, che in qualche modo argina il fenomeno dell'abbandono, ma 30 punti percentuali di differenza necessitano altre spiegazioni e soprattutto interventi concreti. In ogni caso, il bilancio di questo primo anno di attività del Comitato e dei Nuclei di ateneo è apparso ai docenti molto positivo. L'attività del 2000 è iniziata in un clima di incertezza dal momento che la legge 370/99 veniva sperimentata per il primo anno e imponeva scadenze precise per la trasmissione dei dati. Quest'anno invece il meccanismo dovrebbe essere ormai rodato e in grado di sfornare un quadro notevole di comparazioni nazionali. ______________________________________________________ Il Sole24Ore 7 feb. '01 LA RICERCA A "MOSCA CIECA" di Riccardo Viale - Fondazione Rosselli Fino alla seconda metà dell'800 il sistema della scienza accademica europea era relativamente autonomo dalla società e dalla politica. Le limitate risorse necessarie per l'attività di ricerca erano alla portata dei bilanci nazionali, mentre i Governi non si intromettevano nella vita scientifica, se non per finalizzarla a scopi di natura extrascientifica. Questa situazione di libertà epistemologica cominciò a essere drasticamente ridimensionata soprattutto negli Usa, a partire dalla fine dell'800, con la nascita dei grandi programmi governativi di ricerca su sanità, agricoltura, territorio e difesa, cui si aggiunsero negli anni successivi gli obiettivi nazionali di competitività industriale, spazio e ambiente. Di contro il mondo della ricerca ha moltiplicato in modo esponenziale discipline, specializzazioni e progetti, ponendo una massa di richieste sempre più onerose (da 5 a 10 volte le risorse disponibili nelle deficitarie casse statali). Il risultato inevitabile, soprattutto in sistemi come quello europeo, a forte presenza pubblica, è che i Governi sono indotti a fissare una rigorosa scala di priorità di ciò che è o non è finanziabile, in base alle risorse disponibili e agli obiettivi nazionali. Come fare, però, a individuare una gerarchia di merito che ottimizzi l'offerta, cioè le capacità scientifiche nazionali, in rapporto al soddisfacimento della domanda, cioè delle funzioni di utilità economica, sociale e politica di un Paese? Come incrociare da una parte la valutazione di quali aree scientifiche privilegiare, in funzione delle loro prospettive di sviluppo e della qualità della ricerca prodotta, e dall'altra l'individuazione delle tecnologie necessarie all'impresa per essere competitiva, e di quelle necessarie al Governo per affrontare problemi sociali e politici come quelli legati all'ambiente, alla salute o alla supremazia militare? Questo esercizio di anticipazione del futuro, viste l'imprevedibilità, per definizione, dell'attività scientifica e l'opacità della domanda sociale, sembrerebbe quasi impraticabile. Come superare queste difficoltà? Chi abbia occasione di consultare i Science Engineering Indicators della Natural Science Foundation di Washington - considerata un po' la "Bibbia" della politica scientifica e tecnologica - si accorgerà che la risposta è contenuta nel capitolo dedicato a industria, tecnologia e competizione, nella sezione intitolata "Technology Foresight". I principali Paesi occidentali, eccetto l'Italia, si sono posti da anni il problema di costruire i loro programmi nazionali di ricerca sulla base di analisi di prospettiva del futuro scientifico e tecnologico. Ciò è stato realizzato in due modi. Il primo modo - attraverso la metodologia Delphi, introdotta negli Usa dalla Rand Corporation nel 1950, e utilizzata successivamente da Giappone (dal 1971), Germania, Francia e Gran Bretagna - si è posto l'obiettivo di interrogare un certo numero di esperti sugli sviluppi futuri di determinate aree tecnologiche, e sul loro impatto nella creazione di benessere, qualità della vita, e così via. La debolezza di questa metodologia, però, era di essere pervasa da una visione troppo verticale, per settori industriali, dello sviluppo tecnologico. Ciò che determina lo sviluppo tecnologico odierno sembra sempre più legato all'avanzamento conoscitivo di quelle tecnologie che, per la loro trasversalità, hanno ricevuto il nome di tecnologie "generiche" o "critiche". Sulla base di questa considerazione, i principali Governi Ocse hanno realizzato in questi anni, al loro interno o su commissione a centri di ricerca esterni, analisi di foresight sulle tecnologie critiche. Questo ha portato all'identificazione di una serie di sotto-aree prioritarie - ceramiche avanzate, nanotecnologie, materiali biocompatibili, comunicazioni a larga banda, semiconduttori, e così via - che hanno informato la redazione dei programmi nazionali di ricerca di questi ultimi dieci anni in molti Paesi industrializzati. Ad esempio, il recente progetto annunciato da Clinton a favore delle nanotecnologie è il risultato di queste analisi. I primi studi di Technology Foresight erano improntati soprattutto a un modello di Science and technology push, cioè di offerta possibile della conoscenza, ed erano scarsamente attenti, invece, al lato della domanda di tipo economico e sociale, come la competitività industriale o la salute e l'ambiente. In Europa, per indicazione dei Paesi del Nord e della Commissione europea, si è proceduto negli ultimi due anni a incrociare sempre più l'analisi tecnologica con le anticipazioni sulla domanda sociale e industriale. E in Italia che cosa è stato fatto? In questi anni i piani nazionali della ricerca sono stati realizzati con un mix tipicamente italiano, fra "regole del pollice" e mediazione dei partiti nel mondo dell'industria e dell'università. L'urgenza di dotarsi di analisi di anticipazione tecnologica era già presente alla fine degli anni 80. Ma probabilmente la sua realizzazione avrebbe comportato la diminuizione degli spazi per la mediazione politica: infatti un'analisi di Technology Foresight stabilisce delle gerarchie di priorità sulle scelte da compiere che limitano l'arbitrarietà delle decisioni politiche. Se ciò è stato considerato un arricchimento del processo decisionale pubblico negli altri Paesi, da noi è avvenuto il contrario. L'ultimo Piano nazionale della ricerca sembra fare, però, un passo avanti. Da una parte stabilendo la necessità dell'analisi di prospezione tecnologica (preziosa soprattutto in rapporto alle fosche proiezioni del rapporto fra spese di ricerca e Pil, che passerebbe dall'1,15% del 2001 allo 0,99 del 2003) e dall'altra avendo assorbito il concetto delle tecnologie critiche come motore dello sviluppo tecnologico del Paese. Inoltre nel documento si supera la logica del finanziamento a pioggia e si sposa il modello di scelta delle macroaree strategiche. È un'architettura assimilabile a quella di altri Paesi europei. Manca ancora, però, la logica di giustificazione delle priorità, presente negli altri programmi europei, che solo l'analisi di Technology Foresight potrebbe garantire. Se il Piano vorrà essere uno strumento credibile per picking the winner ("individuare il vincitore", dal titolo del fortunato libro di Irvine e Martin), il Governo dovrà affrontare seriamente i costi politici che comporta promuovere un'analisi delle priorità della ricerca basata sul Technology Foresight. ______________________________________________________ Repubblica 5 feb. '01 I PROFETI STIANO LONTANI DALLE CATTEDRE. L'Università secondo Max Weber PAOLO MAURI È di questi giorni la provocazione di Flavia Ravazzoli dell'Università di Pavia che dà il trenta politico per protestare contro il disservizio crescente. È recentissimo l'appello di una docente di lettere in crisi di identità al presidente Ciampi. Dove va la scuola? Se lo chiedessimo a Max Weber direbbe: "Entro l'aula di lezione nessun'altra virtù ha valore al di fuori della semplice onestà intellettuale". Così si concludeva una sua celebre conferenza, "La scienza come professione", che faceva parte di un ciclo dedicato al lavoro intellettuale. Weber la tenne a Monaco nel novembre del 1917. È un testo giustamente famoso: oggi Comunità lo ripropone in nuova traduzione insieme ad un'altra conferenza, "La politica come professione" , pronunciata due anni dopo. Weber ha il pregio fondamentale di andare alle radici. Weber censura i profeti: l'insegnamento non è per loro, poiché le cattedre non debbono servire ad annunciare una concezione del mondo, ma a svolgere un lavoro quanto più è possibile scientifico. Censura anche chi "arreda l'anima con oggetti antichi garantiti come autentici e tra questi anche la religione", speculando su pretese esperienze mistiche con cui alcuni fanno i venditori ambulanti sul mercato editoriale. E addita la fallacia di un sistema che valuta l'insegnamento solo e soltanto dalle aule piene, dal successo di un corso, come avveniva già allora nelle università private americane con i cui sistemi di reclutamento Weber stabilisce un interessante confronto. Il primo compito di un docente, dice Weber, è quello di insegnare ai propri allievi a riconoscere i fatti scomodi e cioè quei fatti che sono scomodi per una opinione di parte. Dalla funzione critica alla funzione etica. Non è proprio di una riflessione sui ruoli, degli insegnanti, ma anche degli alunni, di cui oggi la scuola avrebbe bisogno nel turbinare di proposte spesso fatalmente stravaganti? ______________________________________________________ Il Sole24Ore 6 feb. '01 L'UNIVERSITÀ RIFÀ LA MAPPA DEGLI ALBI Riforme in cantiere La commissione di esperti del ministero ha predisposto il regolamento che ora sarà inviato alle categorie. Allo studio una nuova articolazione delle attività che tiene conto sia delle competenze sia del titolo di studio richiesto per l'accesso Maria Carla De Cesari ROMA La riforma universitaria rivoluziona, per regolamento, il panorama delle professioni. Le nuove figure che faranno riferimento agli Albi derivano dalla necessità di consentire, anche nel settore degli Ordini, la spendibilità dei due titoli accademici istituiti dal Dm 509/99: la laurea e la laurea specialistica. La settimana scorsa la commissione di esperti nominata dal ministro dell'Università e presieduta da Giampaolo Rossi ha terminato i lavori istruttori per predisporre la bozza di regolamento (si tratterà di un Dpr). Subito dopo il ministro Ortensio Zecchino, prima delle dimissioni, ha firmato la lettera per inviare il documento agli Ordini. La bozza si riferisce alle professioni di agronomo e forestale, agrotecnico, architetto, assistente sociale, biologo, chimico, commercialista o dottore commercialista (a seconda che nel settore contabile ci sia o meno un solo Albo), geologo, geometra, ingegnere, perito agrario, perito industriale, psicologo, ragioniere commercialista (se nel settore contabile prevarrà la soluzione di mantenere due Ordini) e statistico. Come anticipato dal Sole-24 Ore del 30 gennaio scorso, gli Albi si organizzeranno con due livelli, uno per i laureati e uno per i laureati specialisti. Anche gli architetti (la cui proposta è arrivata alla Commissione il 1° febbraio), alla fine, non faranno eccezione alla regola dei due "elenchi". In base alla legge 4/99, come modificata dalla 370/99, la Commissione (si vedano le schede in questa pagina) ha individuato, per gli attuali Ordini, le nuove sezioni, le competenze attribuite ai relativi iscritti estrapolandole dagli ordinamenti attuali (utilizzando l'espressione: "sono riservate"), i titoli di studio per l'esame di Stato di cui sono state riviste le prove. Per quanto riguarda i requisiti accademici, la Commissione non fa riferimento ai crediti maturati nei singoli curricula, ma alle "classi" di appartenenza delle lauree e delle lauree specialistiche. "La riforma - si spiega nella relazione - tende a coniugare le esigenze di autonomia, e quindi di possibile differenziazione delle università, con quelle di verifica delle capacità necessarie per l'abilitazione all'esercizio delle attività professionali, consentendo l'ammissione agli esami di Stato a coloro che abbiano una base sufficiente, acquisita con il titolo di studio, senza richiedere che nel corso di studi si sia superata la totalità degli esami corrispondenti alle materie oggetto dell'abilitazione. Deriva, peraltro, da ciò l'opportunità di rafforzare il contenuto degli esami di Stato prevedendo in via generale due prove scritte, una pratica ed una orale". La proposta di regolamento fa salvi i diritti degli attuali iscritti agli Ordini (che faranno parte della sezione B degli Albi) e stabilisce che i laureati secondo il "vecchio" ordinamento possano candidarsi all'esame di Stato per accedere, indifferentemente, ai due elenchi. Per quanto riguarda i Collegi (geometri, periti agrari, agrotecnici, periti industriali) la Commissione ipotizza l'accesso anche con la laurea (oltre che con i diplomi di scuola superiore e il tirocinio) per garantire la libera circolazione dei professionisti in base alla direttive 89/48 e 92/51 Cee. Questa proposta ha suscitato le reazioni degli Ordini tecnici, ingegneri e dottori agronomi e forestali in testa. Per questi ultimi i Collegi, pur di guadagnare iscritti giocheranno al ribasso, con un abbassamento della qualità. "Per sventare questo disegno, gli Ordini tecnici - minaccia Dina Porazzini, presidente del Consiglio nazionale dei dottori agronomi e forestali - potrebbero giungere a boicottare la riforma, non iscrivendo i laureati nella sezione A dei loro Albi". Per Giampaolo Rossi si tratta di una posizione figlia dei contrasti interni al mondo delle professioni, che non è addebitabile al comportamento delle commissione, il cui "principio ispiratore è stato quello di conferire un'adeguata valorizzazione delle lauree, assicurando anche il riconoscimento agli studi che portano alle lauree specialistiche". "Il confronto tra la Commissione e le rappresentanze delle professioni - gli fa eco il sottosegretario all'Università, Luciano Guerzoni - è stato positivo; i problemi tra le diverse categorie non vanno scambiati per opposizione alle proposte contenute nella bozza di regolamento. Peraltro, va ricordato che l'eliminazione, per estinzione, di professioni riconosciute non rientra nel mandato della legge 4/99". Per Guerzoni, il documento elaborato dalla Commissione è "aperto a miglioramenti sulla base del parere delle professioni attraverso il concerto con la Giustizia. Senza forzature, ma anche senza stravolgimenti". ______________________________________________________ L'Unione Sarda 6 feb. '01 I CNR SARDI NON SI TOCCANO Il presidente dell'ente nazionale di ricerca rassicura Onida . Salvati dai previsti tagli della riforma . I Cnr della Sardegna restano nell'Isola. Le voci di accorpare i centri sardi ad altri della penisola o persino di smantellarli sono state fugate dal presidente del massimo ente di ricerca nazionale. Il professor Lucio Bianco, durante un incontro con l'assessore regionale alla Pubblica istruzione Pasquale Onida, l'altro giorno a Roma, ha riconosciuto la specificità della Sardegna e ha dato precise rassicurazioni sul futuro dei quattordici istituti e centri sparsi tra Cagliari, Sassari, Oristano e Alghero. "L'incontro - spiega Onida - aveva lo scopo di chiarire il ruolo del Cnr in Sardegna, soprattutto a seguito dell'applicazione della riforma dell'Ente che prevede il totale smantellamento delle sedi direzionali degli istituti e dei centri sardi o l'accorpamento con sedi di altre città della penisola. Se questo piano passasse - rileva l'assessore - l'intervento di razionalizzazione dell'Ente si trasformerebbe in un'operazione di centralizzazione priva di logica in un modo moderno di concepire la scienza e la cultura". La riforma, nonostante le successive rassicurazioni giunte dopo le proteste dei ricercatori sardi, si sarebbe portata dietro tagli nei finanziamenti per la ricerca nell'Isola e probabilmente anche negli organici. "Il professor Bianco - aggiunge Onida - considerate validissime le osservazioni e le esigenze della Regione sarda, ha dato precise garanzie di un suo intervento perché gli organi del Cnr che vogliano mantenere in Sardegna la direzione gestionale e scientifica possano farlo senza timore di essere fagocitati da altri centri. Ovviamente - conclude Onida - chi preferisse prendere un'altra strada è liberissimo di farlo". La notizia dell'accorpamento aveva messo in allarme soprattutto il centro per i "Rapporti italo-iberici" di Cagliari e la maggior parte dei Cnr di Sassari, che avevano paventato i timori di un ridimensionamento. Secondo le notizie trapelate da Roma, l'istituto diretto dallo storico medioevista Francesco Cesare Casula sarebbe finito sotto la direzione di un centro di Napoli che nulla o poco ha da spartire con le ricerche effettuate da più di vent'anni dagli studiosi cagliaritani. "Una decisione che ci aveva colto di sorpresa e che non poteva soddisfarci", ricorda Casula: "se proprio era necessario un accorpamento sarebbe stato più logico con uno dei centri di Milano o di Torino che da tempo collaborano con noi. Le rassicurazioni raccolte a Roma dall'assessore Onida ci rallegrano perché crediamo che in Sardegna debbano funzionare centri autonomi e finalizzati a studi specifici sull'area mediterranea". Il Cnr di Casula, per esempio, da alcuni anni non si limita più a studi medioevisti, ma ha allargato le ricerche all'età contemporanea interessandosi all'evoluzione dei paesi originati dal regno di Spagna. "E la Sardegna - sottolinea ancora Casula - in questo contesto ricopre un ruolo molto importante". Il discorso non vale per i centri che invece intendessero accorparsi per meglio distribuire risorse, uomini e mezzi. È il caso dei due prestigiosi istituti cagliaritani di Gianluigi Gessa (neurofarmacologia) e Antonio Cao (talassamie e anemie mediterranee) che dovrebbero unirsi in un grande centro con sede al Policlinico universitario di Monserrato. Oppure dell'Istituto di biofisica che opera a Torre Grande: la direttrice Silvana Vallerga ha manifestato "piena soddisfazione per i cambiamenti annunciati" considerando l'accorpamento a un centro ligure come un sicuro miglioramento. I direttori dei centri sassaresi, che in maggioranza si erano detti preoccupati per il futuro della loro attività, potranno ora scegliere il loro destino. ______________________________________________________ La nuova Sardegna 7 feb. '01 SASSARI: SI È APERTO IL 439º ANNO ACCADEMICO Inaugurazione nel segno di profonde trasformazioni Il collettivo studentesco irrompe in sala, ma non rovina la festa di Vannalisa Manca SASSARI. Le note del "Gaudeamus igitur", intonato dagli studenti del coro di ateneo sono risuonate leggere nell'aula magna dell'Università dove ieri sera si è aperto ufficialmente il 439º anno accademico. Note e toni dell'ufficialità, con il rettore Alessandro Maida e il senato accademico nel classico ermellino. Una serata che si mostra utile anche per fare il punto della situazione del nostro ateneo, con una relazione del rettore. Alessandro Maida aveva appena iniziato a parlare quando, nella sala gremita, irrompe il Collettivo studentesco. Un picchetto, uno striscione rivolto al rettore e poche parole di disapprovazione: "Siamo stati invitati a presenziare a questi lavori, ma non vogliamo partecipare a questa vostra autocelebrazione. L'anno scorso, fuori da questa sala, abbiamo preso pugni e spintoni. Protestiamo contro la riforma che chiude l'università ai ceti più poveri e voi non avete cancellato le tasse. No ai baroni". Il rettore aspetta che il gruppo ripieghi lo striscione, poi, imperturbabile, riprende la lettura della relazione nel punto in cui era stato interrotto. Penserà in chiusura di lavori, a dare una risposta al Collettivo. Risposta che non è riuscita a mascherare l'indole del politico che si nasconde in Maida: "Studenti, qua siete i benvenuti. È casa vostra. Va bene il vostro spirito critico ma rivendichiamo i risultati raggiunti. Nella relazione non ci sono trionfalismi, ma speranze. Non abbiamo cancellato le tasse, perchè questo non è possibile, ma non le abbiamo aumentate". E nella relazione (della quale parliamo sotto in maniera più approfondita) Alessandro Maida entra nel merito di quelle trasformazioni che nei prossimi dieci anni cambieranno il volto della nostra università. Riforma degli ordinamenti didattici, nuovi corsi di laurea, master, scambi con altre università anche estere. Offerta formativa armonizzata con le richieste del mercato del lavoro, collaborazioni con Confindustria, Api Sarda, Camera di commercio. Fiore all'occhiello, insieme agli studenti senior che faranno da tutor alle matricole, è il Centro di orientamento appena inaugurato che avrà il compito di indirizzare prima e guidare poi, lo studente in tutto il percorso della sua carriera universitaria e verso l'attività lavorativa. Grande fermento anche in materia edilizia: numerosi i cantieri aperti e interventi di ammodernamento sono in corso in tutte le facoltà. Un capitolo importante è stato dedicato al settore della ricerca, compito primario dell'università, come ha sottolineato anche il prof. Francesco Feo, ordinario di Patologia generale, nella sua prolusione sulla "Nascita ed evoluzione del metodo sperimentale e sua applicazione nella ricerca scientifica". A parlare di successi raggiunti, grazie alla collaborazione degli universitari, è stato Eleuterio Sale, rappresentante degli studenti che ha fornito alcuni suggerimenti su quanto resta da fare. Tullio Caria, rappresentante del personale tecnico-amministrativo, soffermandosi sul contratto, ha chiesto, impegni per una risposta economica più adeguata. ______________________________________________________ Corriere Della Sera 6 feb. '01 TUTTI PROMOSSI ALL' ESAME: SOSPESA LA PROF Aveva assegnato "30" per protesta Il preside: prove non valide Saranno ripetute Spadari Martino UNIVERSITA' DI PAVIA Tutti promossi all' esame: sospesa la prof PAVIA - "Il 30 politico all' Università degli Studi di Pavia non esiste. Si è trattato di una clamorosa e isolata azione di protesta. Per questa ragione sono stato costretto a sospendere dall' insegnamento e dal servizio la professoressa Flavia Ravazzoli, docente di Filosofia del Linguaggio presso il nostro ateneo, annullando così anche i 30 che aveva "regalato" in sede di esame lo scorso 2 febbraio". Roberto Schmid, rettore dell' U niversità degli Studi di Pavia, non ha avuto dubbi nell' affrontare il caso dei "30 politici" assegnati per protesta a otto studenti del corso di filosofia del linguaggio e semiotica. Spiega il rettore: "Gli esami sotto accusa, non essendo mai stati svolti, non sono da considerarsi validi. Perciò la seduta d' esame dovrà essere immediatamente e correttamente sostenuta dagli studenti. Sul comportamento della professoressa Flavia Ravazzoli, invece, si esprimerà una speciale commissione di verifica interna. Intanto la docente è stata sospesa. L' amministrazione, analizzando il suo caso, ha tenuto conto anche dei danni di immagine ed economici che le accuse ingiustificate della docente hanno causato all' intera struttura accademica". Flavia Rav azzoli ha saputo della sua sospensione ieri sera. "Mi aspettavo un provvedimento disciplinare, ma non la sospensione dall' insegnamento - ha commentato -. Spero che questa decisione, presa senza neppure ascoltarmi, non comprometta il curriculum dei m iei studenti". Cosa farà adesso? "Aspetterò che il rettore e il preside di facoltà mi convochino per comunicarmi la loro decisione. Ma non rinnego il mio gesto, né lo stato di degrado che ho denunciato: la mancanza dei sussidi didattici e le pessime condizioni degli ambienti nei quali siamo costretti a lavorare sono sotto gli occhi di tutti. E anche gli studenti si sono mobilitati con una raccolta di firme per denunciarlo". Dei nove studenti che si erano presentati all' appello, una sola ha rifi utato il trenta politico. Ha ventun anni, preferisce restare anonima: "Quando la professoressa ha annunciato che ci avrebbe promossi tutti con un 30 politico oppure avremmo dovuto rinunciare all' appello, i miei compagni hanno consegnato il libretto. Io ho preferito andarmene: non mi sembrava giusto, tornerò il prossimo mese. Un commissario d' esame mi ha guardato in silenzio, ma non mi ha trattenuto. Sembrava d' accordo con me". M. Sp. ______________________________________________________ Repubblica 4 feb. '01 G. ISRAEL: "RIFORMA:ALL'UNIVERSITA' ARRIVA UN'ORDA DI IGNORANTI INAUDITI" La lettera di Giorgio Israel Giorgio Israel docente di matematica alla Sapienza di Roma È indubbio che oggi il vero nodo della scuola sia il crollo totale dell'autorità dell'insegnante, il quale non ha più strumenti di alcun tipo per impedire che gli studenti entrino ed escano di classe quando vogliono, fumino, usino i cellulari e facciano molte altre cose ben peggiori. Il disastro è cominciato dal momento in cui sono stati aboliti gli esami di riparazione. Tolto questo strumento intermedio e ragionevole è rimasta la sola bocciatura, un'arma troppo totale per essere usata e, difatti, i bocciati rappresentano una percentuale ridicola. Questo significa che puoi fare quello che vuoi: non studiare mai, andare a scuola quando ti pare, occuparla, spernacchiare l'insegnante. Tanto alla fine basteranno un paio di interrogazioni decenti ad evitare la bocciatura. Di qui l'orda di ignoranti inauditi che stanno arrivando all'Università e che la sfasceranno completamente. Di fronte al disastro inferto da D'Onofrio il ministro Berlinguer non è tornato indietro, come avrebbe fatto una persona ragionevole, ma ha inventato il delirante marchingegno dei debiti formativi, per cui nei primi due mesi dell'anno in classe si fanno lezioni di recupero per quelli che hanno accumulato tali debiti, con perdita di tempo per chi ha studiato e finisce per dubitare della utilità del suo sforzo. Ormai scelta dei programmi, dei libri, modalità dell'insegnamento eccetera sono soggetti all'intevento persistente e penetrante di sindacati, personale non docente, studenti e genitori. Quest'onda sta invadendo anche l'Università dove si è introdotta la pratica del giudizio anonimo degli studenti sui professori. Il risultato è che molti colleghi, per non subire giudizi abbassano il livello dei corsi, danno voti alti, insomma fanno i buoni. Per chi ha sempre votato a sinistra (! NdR) è sommamente deprimente constatare come proprio la sinistra abbia umiliato una delle categorie che più le era vicina, che abbia posto le premesse per il trionfo della scuola privata, che abbia massacrato l'insegnamento delle materie umanistiche, della storia, della filosofia con programmi che solo un ignorante avrebbe potuto formulare. Ma quando leggo su Repubblica la risposta di Benedetto Vertecchi, uno dei principali responsabili di questa situazione, non mi stupisco più. Lui è soddisfatto, tira sospiri di sollievo e attribuisce i pochi mali alla globalizzazione, intesa come gli influssi astrali di Don Ferrante. In un'altra pagina leggo una dichiarazione del professor Roberto Maragliano, a suo tempo posto da Berlinguer a capo della Commissione per la riforma della secondaria. Costui ora dice che i computer sono già in grado di ascoltare e capire i nostri desideri. Cosa differenzia persone del genere da Berlusconi e dalle sue tre I, visto che entrambi credono che Internet sia una scienza? ______________________________________________________ Il Sole24Ore 4 feb. '01 CAGLIARI. QUANDO L'ESAME DIVENTA UN INCUBO QUELLI CHE NON DANNO MAI PIU' DI VENTI . L'esame universitario diventa un incubo se i professori sono "carrogne" L'incubo angoscia di giorno e tiene svegli la notte. Incerte diagnosi parlano di "sindrome da carrogna", definizione coniata dagli stessi malati. Unica categoria a rischio, gli studenti universitari. Colpisce a prescindere dall'età anagrafica. In quella accademica, invece, secondo l'anno di corso. In Medicina, per dirne una, si manifesta fin dagli esordi delle matricole, mentre in Giurisprudenza è particolarmente acuta più avanti. Un gruppo di ricercatori è al lavoro per stabilire le varianti epidemiologiche in tutto l'Ateneo. L'osservazione dei pazienti ha evidenziato il peggioramento del quadro clinico in base a due fattori: stress per la preparazione e risultato dell'esame. Ripetuti insuccessi comportano l'aggravamento dei sintomi e, talvolta, la mortalità. Ovviamente universitaria, addio alla laurea. Casi di guarigione improvvisa sono legati esclusivamente al superamento dell'esame. Permangono comunque sintomi secondari per periodi più o meno prolungati, talvolta per tutta la vita. Nello slang universitario, la carrogna è il docente animato da eccessivo rigore e imperturbabile severità. La pietà gli è sconosciuta e non si commuove davanti al povero disgraziato che per la seconda, terza, quarta, quinta volta, e via ripetendo, tenta di rispondere alle domande. Impietoso, ma quasi sempre gentile, cerca di metterlo a suo agio: "Si rilassi, pensi per un minutino e mi dica quel che le ho chiesto". Ha una granitica certezza: chi ha studiato sa, chi non ha studiato ignora. Turbamenti emotivi e vuoti di memoria (in questo momento non riesco a mettere a fuoco) provocano i suoi istinti più brutali che riesce a contenere con molta fatica. Allenato alla dissimulazione, evita accuratamente lo sfogo. Stringe i denti, manda giù saliva impregnata di rabbia e congeda il candidato con una formula classica di due parole: "Si accomodi". Non fosse sconveniente, mostrerebbe anche il suo nauseato disprezzo per quell'alunno ignorante, disamorato della materia, approdato causalmente all'università sottraendo braccia ai campi o alle fabbriche. Andrea ("Chiamatemi così perché non si sa mai come la prende il prof") convive con il morbo della carrogna da più di due anni. Ormai si considera un cronico. Iscritto in Lettere moderne ha collezionato un record negativo di cui però non è certo di essere l'unico detentore: ha dato sei volte l'esame di Letteratura latina e si accinge a tentarlo ancora. Il suo insuperabile Everest è il professor Paolo Cugusi. "Studio tantissimo ma non riesco a strappare neppure l'agognato 18. Rifiutarlo? Neanche per sogno. Certo, mi abbasserà la media ma non m'importa. Ho la tesi pronta da tempo e mi manca solo questo esame per laurearmi". Colleziona bocciature ma con disinvoltura: "Nessun rancore, in fin dei conti il professore è anche piuttosto cortese. Purtroppo studio ma non passo. Vado perfino a lezione da un ex assistente. Che ne so, prima o poi verrà la volta buona". Quali siano le pareti rocciose sulle quali scivola puntualmente lo spiega un suo collega e compagno di sventure: "L'esame è organizzato malissimo", sentenzia Carlo alla quarta replica di un copione che vorrebbe buttare nel fuoco. Soprattutto la parte finale, quella in cui lascia la sedia dopo il cortese invito a ripresentarsi una prossima volta. "Si fa storia della letteratura - racconta Carlo - senza un sufficiente supporto antologico. Le domande? Vita e opere degli autori collocandoli in un quadro generale molto vago. Per la parte monografica, la più impegnativa, viene chiesta la traduzione di un brano piuttosto ampio che deve essere la più letterale possibile. Poi inizia un bombardamento su sintassi, morfologia, fonetica, grammatica storica. Dal punto di vista emotivo è piuttosto dura. Non riesci ad arrivare sentendoti sicuro della preparazione perché è impossibile tenere sotto controllo una mole così vasta di materiale. Se venisse diviso in due parti, tutto sarebbe più semplice". In Giurisprudenza, la prova del fuoco arriva al terzo anno: Diritto Civile. Cosa significa l'impatto col professor Angelo Luminoso lo racconta un ta-tze-bao (chiamato proprio così da chi lo ha affisso) appeso all'ingresso della facoltà. "Nell'appello di dicembre di Diritto civile la percentuale dei "passati" ha toccato i minimi storici. Sembra che questa volta la parola d'ordine fosse: "Se lo riveda"". Roberta dovrà rivederselo per la quarta volta. Vanta una media del 27 ma comincia a dubitare di se stessa: "Sto pensando di essere diventata stupida di colpo. Studiamo su un testo di 350 pagine, neanche tante, ma è un concentrato incomprensibile. Il vero problema non è il docente ma sono i suoi assistenti. Non danno spiegazioni chiare e sono dei cani. Quando ti interroga il professore sono capaci di mandargli dei bigliettini per fargli sapere che non hai seguito i seminari, per altro non obbligatori, e per informarlo che con loro non hai risposto a una domanda". Altro ostacolo, il professor Andrea Pubusa (Diritto amministrativo). "Innanzitutto - dice uno studente - bisogna trovarlo ben disposto. Se è in giornata no non c'è niente da fare. Le leggi fondamentali bisogna conoscerle a memoria e non è certo facile. Anche perché il manuale (Sandulli) è dell'89 e dobbiamo aggiornarlo noi procurando i testi delle norme approvate negli ultimi anni". Il virus della carrogna è mutante si presenta in modo differente da facoltà a facoltà. A Ingegneria elettrica ha assunto le sembianze di Daniele Giusto, docente di Comunicazioni elettriche: "Con lui hai poche speranze di portare a casa un buon voto", dice uno studente. E sbaglia, perché la possibilità è zero. Almeno stando alle statistiche. Secondo uno studio dell'Università, nell'anno accademico 98-99 nessun candidato è andato oltre un risicato 20. Stessa sorte è toccata all'81,8 per cento degli iscritti in Ingegneria meccanica che si sono confrontati con Carla Caredda, docente di Analisi matematica. Idem per il 67,5 di chi ha affrontato la prova di Matematica generale a Economia e commercio (docente, Sandro Brusco). È andata un po' meglio (41 per cento) agli aspiranti medici chiamati a rispondere alle domande di Francesco Casula (Fisica). L'elenco dei contaminati potrebbe continuare. L'epidemia, insomma, dilaga. Tanto che, dicono i bene informati, il rettore ha chiesto terapie d'urto per arginare la diffusione del male. Il timore è di vedere decimata la popolazione dell'Ateneo. Alla fine sarebbe stata consigliata una cura preventiva: severità sì ma senza esagerare. "Non è proprio così - precisa il rettore Pasquale Mistretta - È vero invece che è stato rivolto un invito ad accelerare i tempi per la stesura della tesi, perché i fuori corso sono un costo per noi e un problema per il mercato del lavoro: arrivando tardi, si rischia di essere scavalcati da chi si è laureato per tempo. "Le carrogne" non esistono. C'è molta attenzione e senso di responsabilità. I professori sono coscienti delle difficoltà dei regazzi". Non altrettanto gli studenti della sensibilità dei docenti. Almeno di quella delle carrogne. Stefano Lenza ______________________________________________________ L'Unione Sarda 8 feb. '01 "GLI STUDENTI? MA SONO IGNORANTI" Università 2/. Dopo gli studenti sentiamo i professori, quelli che in gergo vengono chiamati "carrogne" "Gli studenti? Ma sono ignoranti" Non sono preparati: studiano poco e hanno carenze di base Zero senso di colpa e niente scongiuri per neutralizzare eventuali maledizioni delle loro vittime. I docenti degli esami-incubo si sentono l'ultimo argine al dilagare del pressappochismo studentesco e ne sono orgogliosi. Per gli studenti, invece, sono solo carrogne, definizione in slang cagliaritano coniata per indicare professori ritenuti, a torto o a ragione, più pignoli che severi, animati da un rigore smodato spesso sconfinante nel sadismo. "Pretendono l'impossibile", dicono i ragazzi. Insomma, studiare non basta per avere la certezza di superare l'esame. E le cattedre delle carrogne sono ritenute patiboli dove le medie vengono decapitate da 18, 19 o 20 trentesimi spacciati per benevole concessioni. Magari dopo che il disgraziato di turno ha studiato sei, sette otto mesi. Ma è proprio così? La verità è difficile da stabilire. Tanto vale allora, dar voce a opinioni di parte. Dopo aver riferito quella degli studenti, la parola passa ai professori, in modo particolare a quelli in testa alla hit parade delle carrogne. "Non superano la prova perché sono dei grandi ignoranti", taglia corto Angelo Luminoso (Diritto civile a Giurisprudenza) considerato uno sterminatore di candidati. Con lui, le probabilità di "passare" al primo tentativo sono piuttosto basse. Non è uno che si accontenta del minimo necessario, tant'è che concede la promozione a buon mercato piuttosto raramente: solo il 3,4 dei candidati riesce a "sdoganarsi" con un voto tra il 18 e il 20. Meno della metà di chi (7,7 per cento) strappa il massimo (tra 29 e 30). Ben il 35,4 per cento, poi, porta a casa una valutazione tra il 27 e il 28. Luminoso, insomma, pretende ma sa anche riconoscere il merito. "Nell'impreparazione - osserva - si è raggiunto il livello di guardia. Il mio è l'unico esame monografico del corso di laurea. Si studia un solo argomento e lo si approfondisce. Questo suppone che si abbiano le basi di diritto privato. La gran parte degli studenti, magari fuori corso, si presenta invece senza aver rivisto le nozioni elementari di privato. Se non hanno la voglia, o l'intelligenza, di impossessarsi degli elementi fondamentali per capire la materia, non è colpa mia. Lo studente medio supera tranquillamente l'esame. C'è poi una massa che cerca alibi alle proprie lacune. ll programma è stato dimezzato da oltre mille a poco più di 500 pagine. L'esame si può sostenere in due prove e può essere ripetuto quando si vuole, anche ogni mese. Tutti i dettagli vengono spiegati a lezione, svolgiamo esercitazioni e perfino processi simulati. Noto nei giovani una preoccupante passività: non c'è interesse a imparare, a prepararsi per il lavoro, ma solo a sbarcare l'esame. Tutto ciò spiega le bocciature". Il suo collega di Diritto amministrativo, Andrea Pubusa, la pensa più o meno allo stesso modo. "Il problema sono le materie, non i docenti. Non chiedo di sapere le leggi fondamentali a memoria ma di conoscerle bene. Non promuovo chi non è preparato, chi segue il corso e dimostra di aver studiato supera tranquillamente l'esame. La realtà è che tanti studenti non sono sufficientemente motivati. Si iscrivono perché non trovano lavoro". Più comprensivo Daniele Giusto, docente di Comunicazioni elettriche. "Va male - spiega - per Ingegneria elettrica non in Elettronica. Probabilmente scontano carenze di base. Le prove scritte sono uniche e anonime. Nella valutazione non si può quindi tenere conto del corso di appartenenza. Per superare questa situazione abbiamo separato i corsi, istituendone uno ad hoc per Elettrica". Probabilmente non c'era altra scelta visto che il 100 per cento degli studenti non riusciva a decollare oltre un bassissimo 20 trentesimi e la media si attestava su un deprimente 19. Sandro Brusco (Matematica a Economia e commercio) non concede attenuanti al momento del giudizio: la media dei suoi voti è appena 20,3 e il 67,5 dei candidati ne sta al di sotto collocandosi tra il 18 e il 20. Brusco capisce però le difficoltà dei ragazzi. "Arrivano con conoscenze ridotte perché alle scuole superiori la matematica viene insegnata piuttosto male. Siamo pertanto obbligati a svolgere un programma abbastanza vasto, partendo dalla parte generale prima di affrontare quella finanziaria specifica del corso di laurea. Essendo un esame del primo anno, gli studenti non hanno ancora elaborato un buon metodo di studio". Francesco Casula guarda anche lui alla formazione scolastica per spiegare gli scarsi successi degli aspiranti medici. Nella sua materia, (Fisica) nel 41,1 per cento dei casi non ottengono più di 20 e mediamente viaggiano sul 22,5. "Al test di ammissione alla facoltà, basato su standard ministeriali - spiega - in chimica e fisica i primi 200 classificati hanno avuto un voto medio di 4,5 decimi. Basta questo per capire con quali inadeguati strumenti affrontino poi le applicazioni della fisica alla medicina. Da quando il carico didattico del primo anno è stato alleggerito, la preparazione è migliorata perché si può dedicare più tempo allo studio della materia". Infine, letteratura latina. Per gli studenti di lettere è l'ostacolo più duro da superare. Ora non è più obbligatorio, ma scansarlo significa porre un limite al futuro riducendo le possibilità d'insegnamento. Il titolare della cattedra, il professor Paolo Cugusi, ha sicuramente una spiegazione al perché di tanta difficoltà. Ma non è stato possibile raccogliere il suo parere. Stefano Lenza ______________________________________________________ L'Unione Sarda 8 feb. '01 B.MARONGIU: "QUANDO L'ESAME DIVENTA UN INCUBO". Lettera del Prof. Bruno Marongiu Ho letto sull'Unione Sarda del 4 febbraio, cronaca di Cagliari, l'articolo di Stefano Lenza "Quando l'esame diventa un incubo". Nella tabella dedicata agli esami della paura appare, per il corso di laurea in Chimica, l'esame di Chimica Organica I, docente Giovanna Gelli. Come Presidente del Corso di Laurea in Chimica, desidero innanzitutto manifestare alla professoressa Gelli la stima incondizionata di tutti i colleghi. Le sue doti di equilibrio e di umanità sono note a tutti noi. Cosa ancora più importante nel contesto dell'articolo, queste doti sono riconosciute dagli studenti, che delineano attraverso le schede di valutazione un profilo altamente positivo del loro docente. La professoressa Gelli è particolarmente attenta alle esigenze degli studenti ed è sempre disponibile a fornire ogni tipo di supporto didattico. Gli esami sono condotti in modo rispettoso della persona e attento a creare un clima di serenità. Tengo a sottolineare che questo atteggiamento è la norma nel Corso di Laurea in Chimica, dove rigore scientifico e metodologico sono associati a disponibilità e correttezza, nella convinzione che solo così possa essere accertata la reale preparazione degli studenti. Non si tratta qui di difendere in modo corporativo una collega da attacchi esterni. Siamo ben coscienti del fatto che l'Università in generale non è senza difetti, anche nel nostro Ateneo esistono carenze didattiche, che occorre individuare e correggere. Proprio per questo siamo stati, noi chimici, tra i più forti sostenitori dell'introduzione dell'attuale sistema di valutazione dell'attività didattica dei docenti. In generale, ritengo che a quei dati occorra fare riferimento quando si vuole esprimere un giudizio sul corpo docente. La tabella riportata nell'articolo di Lenza appare invece, nella migliore delle ipotesi, affrettata ed approssimativa, almeno per quanto riguarda Chimica Organica I. Per questo esame la media indicata (22/30) non corrisponde al valore reale, che per tutti gli esami dell'anno accademico 1998/1999 risulta essere invece 26/30. Il valore viene dall'aver considerato due soli studenti, appartenenti, per di più, al vecchio ordinamento didattico ormai disattivato. (Nei precedenti anni accademici 1996/1997 e 1997/1998 la media è 27/3 25/30, rispettivamente, nel 1999/2000 è 27/30). Per inciso, nell'articolo si fa riferimento ad una fonte universitaria; la segreteria studenti, interpellata da me, dichiara di non aver fornito dati di questa natura; mi domando quale altra fonte universitaria degna di attendibilità avrebbe potuto fornirli. In generale, quando si citano dei numeri a sostegno delle inchieste sarebbe necessario prendere in esame una quantità di dati statisticamente significativa, oltre ovviamente ad indicarne chiaramente la fonte. Prof. Bruno Marongiu Presidente del corso di laurea in Chimica Università di Cagliari ********** Risponde Stefano Lenza. Non posso che condividere l'opinione espressa dal professor Marongiu sulla professoressa Gelli. Nel mio articolo nessuno esprimeva opinioni sul suo operato di docente. La tabella pubblicata non descrive la realtà della situazione? Non sono un esperto della materia e non posso quindi esprimere un giudizio sul metodo e i risultati della ricerca. Ed ha ragione il professor Marongiu sul fatto che i dati devono essere attendibili. Proprio perché cosciente di questa necessità, ho scelto di proporre ai lettori un quadro basato su elementi oggettivi e provenienti da una fonte attendibile. La tabella indicava, per ciascuna facoltà, l'esame col voto medio più basso e la percentuale di candidati che aveva ottenuto tra 18 e 20 trentesimi. Tant'è che nella tabella non figuravano alcuni degli esami considerati più difficili dagli studenti. La garanzia di serietà e attendibilità era assicurata dalla fonte: l'"Analisi degli insegnamenti dei corsi di laurea dell'Ateneo cagliaritano", pubblicata dall'Università di Cagliari con il contributo del Ministero dell'Università e della ricerca scientifica e del Fondo sociale europeo. Se tutto ciò non è stato sufficiente, me ne scuso. Sbaglia però il professor Marongiu a ipotizzare "attacchi esterni". Mi sembra decisamente azzardato. ================================================================== ______________________________________________________ Il Sole24Ore 6 feb. '01 RISCHIO ELEZIONI SULLE LAUREE SANITARIE Università Si cerca di accelerare l'iter del testo per permettere l'approvazione delle Camere. In caso contrario l'intera area professionale potrebbe essere l'unica a restare fuori dalla riforma Sprint finale per le lauree triennali dell'area sanitaria. Se non verranno inviate alle Camere in tempo per poter esprimere i pareri prima dello scioglimento elettorale, infatti, i profili del Ssn rischiano di restare fuori della porta della nuova formazione disegnata con la riforma degli studi universitari. E che per tutte le altre professioni rappresenta ormai un fatto già acquisito. Il testo del decreto che regolamenta l'organizzazione dei corsi e quello degli allegati che descrivono l'attività propria di ciascun operatore, materie di studio comprese, è stato messo punto di concerto dai ministeri dell'Università e della Sanità ed è in questi giorni all'esame del Consiglio universitario nazionale (che dovrebbe esprimersi entro l'8 febbraio) e del Consiglio superiore di Sanità che già oggi potrebbe dire la sua. Le indicazioni sui tempi sono arrivate al Cun dal sottosegretario Luciano Guerzoni, il quale, presentando il provvedimento agli esperti il 24 gennaio scorso, ha chiesto di anticipare la formulazione dei pareri del Cun (senza stravolgimenti, per non ricominciare l'iter del "concerto" col ministero della Sanità) per poter subito trasmettere i testi alle Camere, assegnarli intorno al 12 febbraio e richiedere il prescritto parere entro 20 giorni. Le lauree triennali riguardano oltre 500mila operatori sanitari (quelle specialistiche biennali sono attese a breve e l'idea è di farle partire operativamente in contemporanea con le altre). ART001Gli ordinamenti didattici sono divisi nelle quattro classi di professioni indicate dalla legge 251/2000: infermieristiche e di ostetrica; della riabilitazione; tecniche; della prevenzione. A ognuna faranno capo più profili. La prima riguarderà infermieri, ostetriche e infermieri pediatrici. La seconda, podologi, fisioterapisti, logopedisti, ortottisti-assistenti di oftalmologia, terapisti della neuro e psicomotricità dell'età evolutiva, tecnici dell'educazione e riabilitazione psichiatrica e psicosociale, terapisti occupazionali ed educatori professionali. La terza classe interesserà i tecnici audiometristi, di laboratorio biomedico, di radiologia medica, di neurofisiopatologia, ortopedici, audioprotesisti, della fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardiovascolare e gli igienisti dentali. Nella quarta classe ci sono tecnici della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro, assistenti sanitari e dietisti. Ogni classe avrà i suoi compiti: quelli specifici, in base ai quali gli atenei organizzeranno i vari corsi di laurea e quelli più generali, simili per tutti. Per quanto riguarda le indicazioni generali, tutte le classi fanno riferimento a valutazioni, prescrizioni e controlli che i medici devono svolgere nei vari ambiti professionali; tutte le attività che utilizzano specifiche apparecchiature dovranno anche occuparsi dell'addestramento al_l'uso e della formazione degli operatori. Per quasi tutti, poi, sono previsti compiti di educazione sanitaria e di didattica (aggiornamento professionale). Gli ambiti di attività sono quelli delle strutture sanitarie, pubbliche o private, sia in regime di dipendenza che libero professionale e, per alcune professioni, si parla anche di supporto all'attività di primo livello sul territorio. Infine, tutte le aree hanno un'indicazione in comune: almeno il 50% dell'impegno orario complessivo è riservato allo studio o ad altre attività formative di tipo individuale, con possibilità di percentuali minori per singole attività formative a elevato contenuto sperimentale o pratico. ______________________________________________________ Il Sole24Ore 6 feb. '01 PER DIVENTARE MEDICI DI FAMIGLIA TRE ANNI DI "SPECIALIZZAZIONE" Serviranno almeno tre anni di studi, dopo la laurea, per indossare il camice di medico di famiglia. È quanto ha deciso l'Unione europea in una direttiva ormai a un passo dall'approvazione definitiva: dopo l'ultimo sì (in terza lettura) del Parlamento di Strasburgo, giovedì scorso, manca solo il via libera del Consiglio dei ministri Ue che dovrebbe arrivare entro febbraio. Questa nuova normativa sul riconoscimento dei titoli per i lavoratori dell'Unione tocca da vicino una serie di professioni. E va ad impattare soprattutto con quelle della Sanità (infermieri, dentisti, veterinari, ostetriche, farmacisti e medici). Oltre ai corsi post-laurea più lunghi per i "generalisti" (in Italia attualmente durano due anni) la direttiva - che dovrebbe entrare in vigore nel 2003 - introduce anche il principio della formazione permanente dei medici (già varato, nel nostro Paese, con la riforma ter della Sanità) e punta a semplificare il riconoscimento dei titoli di studio per chi si vuole muovere all'interno dell'Unione. Chi ospiterà il professionista non dovrà più prevedere, in maniera sistematica, prove attitudinali e tirocini di adattamento, ma dovrà provvedere ad alleggerire tutte queste misure se non addirittura a sopprimerle. La direttiva, infine, mette in campo anche due sanatorie su misura per dentisti e farmacisti italiani. Nel primo caso riconosce a livello comunitario i titoli di chi - con una laurea in medicina in tasca - ha seguito "soltanto" il corso di formazione tra il 1980 e il 1984 (la laurea in odontoiatria è nata nel 1985). La seconda sanatoria riguarda i farmacisti italiani che hanno iniziato il loro ciclo di studi universitari prima del 1 novembre 1993 e la cui formazione non è conforme alla direttiva 85/42/Cee. Direttiva che l'Italia ha recepito con tre anni di ritardo (dal 1 novembre 1993 invece che dal 1987). ______________________________________________________ Repubblica 9 feb. '01 NASCE L'OSPEDALE SENZA DOLORE La commissione voluta dal ministro Veronesi ha concluso il suo lavoro: ecco le linee guida del nuovo progetto MARIO REGGIO ROMA - Monitoraggio costante dello stato di sofferenza dei malati gravi, preparazione specialistica di medici e infermieri alla terapie antidolore, disponibilità di adeguate quantità di farmaci oppioidi in tutte le strutture ospedaliere italiane. Queste le linee guida elaborate dalla Commissione di studio sull'ospedale senza dolore istituita dal ministro Veronesi il 20 settembre scorso. In ogni struttura verrà creato un "Comitato permanente" composto da un numero di medici e infermieri compreso tra tre e quindici. Saranno il Comitato e le facoltà di Medicina delle Università a curare la preparazione specialistica del personale sanitario. Agli infermieri spetterà controllare almeno due volte al giorno il livello di dolore di ogni paziente, utilizzando parametri internazionali che tengano conto di particolari condizioni del paziente, come l'età e la condizione psichica. Il Comitato, oltre a coordinare il lavoro delle équipe di assistenza, dovrà assicurare la costante disponibilità dei farmaci oppioidi. "Il progetto "ospedale senza dolore" assieme alle cure palliative e alla nuova legge sulla regolamentazione dei farmaci oppioidi - si legge nella relazione della Commissione - è l'atto conclusivo di una piccola rivoluzione culturale e comportamentale nei confronti del problema del dolore e della sofferenza umana, troppo spesso e troppo a lungo dimenticate". Le linee guida dell'ospedale senza dolore sono l'ultima tappa di un percorso lungo e irto di ostacoli. Il primo tassello risale al 24 febbraio del '99, quando la Camera approvò in via definitiva il decreto Bindi sugli "hospice": 310 miliardi destinati alla creazione degli ospedali per malati terminali e 150 miliardi destinati all'assistenza domiciliare di chi non ha più speranze di sopravvivenza. Veniva così sancito il diritto ai pazienti in condizioni molto gravi di essere assistiti da personale specializzato e la possibilità di ridurre la sofferenza. Ma ci sono voluti ancora due anni, segnati da discussioni infinite tra le forze parlamentari, perché il 24 gennaio del 2001 la Commissione Sanità del Senato desse il via libera alla nuova normativa sui farmaci antidolore. Dopo un'estenuante tira e molla da parte del Polo e di Alleanza Nazionale, alla fine il decreto Veronesi sull'uso terapeutico della morfina e degli analgesici oppiacei, è diventato legge dello Stato. Mettendo fine ad una situazione che non aveva eguali in Europa. Prima dell'approvazione della legge, infatti, un infermiere o un medico che veniva "pescato" con delle dosi di morfina da somministrare ad un malato terminale nella sua abitazione rischiava l'arresto per spaccio di stupefacenti. Se il medico ardiva prescrivere una cura antidolore, doveva sopportare un vero e proprio percorso ad ostacoli tra le complesse procedure burocratiche. E se alla fine riusciva ad averla vinta, poteva prescrivere una terapia per solo otto giorni. Con il risultato che soltanto alcuni testardi continuavano a prescrivere farmaci antidolore. Adesso, finalmente, le procedure sono molto più snelle e la prescrizione è valida per 30 giorni. ______________________________________________________ La nuova Sardegna 4 feb. '01 RICERCA SULL' ALZHEIMER: CLINICHE PSICHIATRICHE DISCRIMINATE? CAGLIARI. Perché le cliniche psichiatriche delle università di Cagliari e Sassari non sono state inserite tra le unità di valutazione per la malattia di Alzheimer? La domanda è stata posta dai consiglieri regionali Noemi Sanna, Mariella Pilo, Pietro Fois, Edoardo Usai e Cesare Corda con un'interpellanza all'assessore regionale della Sanità. Tra i centri inseriti, secondo i consiglieri, c'è invece un centro privato. L'accesso a questo centro comporterebbe una spesa iniziale non indifferente a carico dei pazienti, a differenza di quanto accade nelle strutture pubbliche che da anni curavano l'assistenza psicoterapica in questo tipo di malati. Secondo Sanna e gli altri consiglieri regionali che hanno sottoscritto l' interrogazione, la decisione di escludere le cliniche psichiatriche universitarie dalle unità di valutazione comporta una grave discriminazione e un serio pregiudizio nei confronti dei malati. ______________________________________________________ Le Scienze 8 feb. '01 I GRASSI E LA RESISTENZA ALL'INSULINA La riduzione del GLUT4 nelle cellule adipose è l'unica causa della resistenza all'insulina I medici hanno notato da tempo una correlazione fra l'obesità e il rischio di sviluppare diabete di tipo 2. Ora una ricerca mostra che l'incapacità delle cellule adipose di assorbire lo zucchero dal sangue sembra in grado di provocare lo stesso problema nei muscoli e nel fegato. Lo studio in questione è stato svolto da Barbara Kahn del centro medico Beth Israel Deaconess di Boston, e pubblicato su "Nature". Nello studio, i ricercatori sono stati in grado di interrompere l'assorbimento di glucosio stimolato dall'insulina nelle cellule adipose dei topi, eliminando una sostanza chiave nel trasporto dello zucchero, il GLUT4. Normalmente, l'insulina stimola i muscoli e le cellule adipose a mandare del GLUT4 alla membrana cellulare, per far iniziare il trasporto di glucosio nella cellula, dove viene trasformato in carboidrati complessi e grasso. Nonostante i ricercatori abbiano interrotto l'assorbimento di glucosio solo nelle cellule adipose, hanno osservato che anche la risposta all'insulina dei muscoli e del fegato era fortemente ridotta e tutti i topi hanno mostrato una resistenza all'insulina tipica degli esseri umani obesi. Questo significa che le cellule adipose mandano in circolo qualche sostanza che istruisce anche i muscoli e il fegato a ignorare i segnali dell'insulina. Come negli esseri umani, la resistenza all'insulina è il primo passo verso il diabete; in alcuni casi, il corpo è in grado di compensare il problema, mentre in altri si ha l'aumento di glucosio nel sangue che definisce i diabeti. Anche se i ricercatori non arrivano a concludere che la riduzione del GLUT4 nelle cellule adipose è l'unica causa della resistenza all'insulina, sicuramente va considerata come un importante fattore di rischio. Uno degli aspetti più interessanti di questa ricerca è il fatto che essa rinforza la tendenza a considerare i tessuti adiposi come un organo endocrino, in grado di dire che cosa fare ad altri organi che si occupano di accumulare energia. ______________________________________________________ La Stampa 7 feb. '01 PERCHÉ L'ELICA È LA FORMA DELLE PROTEINE SCOPERTA ITALIANA UN recente studio eseguito utilizzando tecniche di fisica teorica, geometria e informatica ha permesso di rivelare come la diffusa presenza di eliche nelle proteine degli organismi viventi possa avere una spiegazione così semplice da eludere per anni le ricerche di molti studiosi. In un articolo pubblicato sulla rivista inglese "Nature" il gruppo di ricercatori della SISSA di Trieste formato da Amos Maritan, Cristian e Antonio Trovato, in collaborazione con J. Banavar (Usa), ne fornisce la spiegazione: le eliche osservate nelle proteine hanno la forma più adatta ad essere "impaccata" occupando il minore spazio possibile. La scoperta del gruppo italo-americano è venuta studiando la generalizzazione della nota "congettura di Keplero" che ha occupato per ben quattro secoli alcune delle più brillanti menti matematiche e fisiche. Keplero, nel lontano 1611, si domandò quale fosse la maniera ottimale per disporre delle sfere in modo da occupare un minor volume possibile. Questo problema, apparentemente astratto, ha anche conseguenze pratiche più che rilevanti: l'impaccamento efficiente di oggetti è uno dei maggiori problemi logistici. Sorprendentemente essa ha anche dei notevoli risvolti scientifici: a bassa temperatura ed alte pressioni gli atomi di certi elementi si comportano come sfere dure e formano un cristallo dove sono massimamente impaccati. La risposta al problema di Keplero consente di sapere che tipo di cristallo formano! In due dimensioni, la risposta è nota ai giocatori di biliardo: l'impaccamento migliore delle sfere è quello che si osserva nella disposizione iniziale delle palle di biliardo, dove quella centrale è circondata da altre 6 palle. Per avere la risposta in tre dimensioni, basta sovrapporre consecutivamente tali strati "esagonali" in maniera che le palle di uno strato si trovino sopra le depressioni dello strato precedente. Questa e' la soluzione al problema di Keplero. Curiosamente, nonostante solo nel 1998 uno studioso americano ne abbia confermato rigorosamente la validità, la gente comune la "conosceva intuitivamente" e la applicava in continuazione: le pile di arance dal fruttivendolo o l'accatastamento delle palle di cannone corrispondono tutte alla disposizione ottimale di Keplero (proprio come gli atomi menzionati sopra). Il problema studiato da Maritan, Micheletti, Trovato e Banavar generalizza quello di Keplero: qual è il modo più efficiente di occupare lo spazio se le sfere sono collegate tra di loro come perle lungo una collana? La risposta, trovata con l'ausilio del calcolatore tra il numero astronomico di configurazioni possibili, è di disarmante semplicità: l'elica! L'elica ottimale suggerita dal computer sfrutta lo spazio nel migliore dei modi e non presenta buchi o cavità, né tra le spire né lungo l'asse. Come per il problema di Keplero, era naturale chiedersi se anche la natura avesse già adottato la soluzione ottimale, e la risposta è stata positiva. In tutti gli esseri viventi abbondano proteine di varia forma, ma che contengono, quasi invariabilmente eliche. Tali eliche si rivelano essere ottimali nell'uso dello spazio come quelle trovate dal computer (dove, in analogia, le sferette della "collana" rappresentano gli amminoacidi concatenati tra loro). Come per il caso degli atomi che si impaccano, i dettagli della complesse interazioni chimiche tra gli amminoacidi sono importanti per la forma finale della proteina. Tuttavia, proprio come la congettura di Keplero spiega come mai atomi diversi cristallizzino nella stessa forma, così il nuovo studio italo-americano fornisce una nuova spiegazione più semplice e generale del perché le eliche siano così frequentemente osservate nelle proteine. Di nuovo, la Natura sembra aver trovato la risposta più giusta ed efficiente ancora prima che il problema venisse formulato! L'esempio più noto di struttura elicoidale realizzata dalla natura è senza dubbio la doppia elica del DNA, l'acido nucleico nella cui sequenza di basi è scritto il codice genetico alla base della vita. Nello stesso numero di "Nature" il lavoro dei ricercatori italiani è stato ripreso e commentato da due ricercatori svizzeri, Andrzey Stasiak e John Maddocks, proprio per determinare se anche la struttura a doppia elica del DNA sia un esempio di impaccamento ottimale. La risposta è affermativa anche in questo caso. Sembra quindi emergere un semplice principio geometrico, quello dell'occupazione efficiente dello spazio, alla base di alcune delle strutture più frequentemente formate dalle macromolecole biologiche. t.s. ______________________________________________________ L'Unione Sarda 7 feb. '01 GENI: 400 MALATTIE RARE CHE COLPISCONO I BAMBINI Sono circa quattrocento le patologie legate a disturbi del metabolismo che colpiscono i bambini Bisogna riconoscerle quando il piccolo viene alla luce Ogni anno nascono in Sardegna dai tre ai cinque bambini che rischiano la vita o un grave danno neurologico perché affetti una malattia ereditaria del metabolismo. Di cosa si tratta? La causa di queste complesse patologie è legata a un'alterazione genetica di uno degli enzimi responsabili delle reazioni chimiche che regolano i processi vitali dell'organismo. Sono 400 le forme finora conosciute, la maggior parte individuate di recente. Possono essere interessati tutti i principali sistemi metabolici, con malattie del ricambio dei carboidrati e disordini del metabolismo degli aminoacidi, le acidurie organiche e le malattie da accumulo lipidico. In Sardegna la malattia più diffusa è quella di Wilson, un caso su 7000 nati vivi. Non sempre accade che la malattia ereditaria del metabolismo si manifesti alla nascita. L'esordio e la gravità dei suoi sintomi dipendono in gran parte dall'entità del difetto enzimatico, dai tessuti interessati dal difetto e dal grado di tossicità della sostanza accumulata nell'organismo. Talvolta, dopo un periodo di benessere, si registra nei neonati un progressivo e rapido peggioramento dello sviluppo psicomotorio cui possono seguire convulsioni, stato comatoso e, in alcuni casi, morte improvvisa. Esistono però anche forme che procedono più lentamente: bambini che per mesi o anni hanno avuto una vita normale come i loro coetanei, iniziano a manifestare segni clinici specifici del difetto metabolico, come alterazioni ossee, un deterioramento neurologico o psichico, alterazioni della funzionalità del fegato o di altri organi e apparati. Oggi è possibile evitare l'evoluzione sfavorevole delle malattie metaboliche e garantire ai bambini che ne sono affetti (si stima che siano lo 0,3-0,4 per cento dei neonati) una buona qualità di vita. Condizione indispensabile per riuscirci è individuare in tempi stretti la patologia del paziente con una diagnosi precoce. Nella maggior parte dei casi è importante identificare la malattia prima della comparsa dei segni clinici. Oggi, in base a una legge del '92, tutti i neonati al terzo giorno di vita sono sottoposti a screening per le malattie più frequenti come la Fenilchetonuria e l'Ipotiroidismo. Non viene così diagnosticata la maggior parte delle altre malattie metaboliche ereditarie, che possono rivelare sintomatologia clinica troppo tardi, non consentendo una diagnosi tempestiva e una appropriata terapia. Il congresso nazionale degli screening neonatali - che si è tenuto a Cagliari di recente - ha evidenziato un radicale cambiamento delle strategie per una diagnosi precoce delle malattie ereditarie del metabolismo. "Esistono strumentazioni all'avanguardia che, analizzando poche gocce di sangue prelevate al momento dello screening neonatale, sono in grado di diagnosticare con una sola analisi fino a trenta malattie del metabolismo", spiega Stefano De Virgiliis, direttore della II Clinica pediatrica dell'Università di Cagliari: "I continui progressi delle ricerche scientifiche stanno poi evidenziando nuove possibilità terapeutiche che permettono la guarigione dell'errore metabolico, quando viene riconosciuto tempestivamente". Come già avvenuto in altre regioni italiane (Lazio, Toscana, Veneto, per prime), è necessario che anche la Regione sarda approvi una legge specifica per il potenziamento dei servizi assistenziali e istituisca un Centro di riferimento regionale per le malattie metaboliche ereditarie, così da garantire la prevenzione e l'assistenza specialistica dei pazienti, sia nell'infanzia che in età adulta. Da dieci anni il Servizio per le malattie metaboliche, diretto da Stefano De Virgiliis nel presidio ospedaliero del Microcitemico, provvede alla prevenzione e alla diagnosi precoce delle malattie ereditarie rare del metabolismo. "Un servizio che ha funzionato in questi anni grazie all'entusiasmo di un gruppo di precari che hanno raggiunto nel corso degli anni un'alta professionalità", precisa De Virgiliis. I contributi dell'assessorato regionale alla Sanità hanno raggiunto l'obiettivo di una precisazione epidemiologica e confermato l'elevata frequenza di queste malattie in Sardegna. Non sono però sufficienti per continuare a garantire un adeguato funzionamento e soprattutto un potenziamento del centro, che deve costituire un punto di riferimento per tutta la regione. "È necessaria una totale riorganizzazione e concreti investimenti che impediscano che il patrimonio di conoscenze e la ricerca finora svolta, vengano persi", sottolinea il direttore della Clinica pediatrica: "Soprattutto la Sardegna deve essere in grado di offrire ai malati sardi un centro di riferimento che svolga su tutto il territorio un'attività di prevenzione e diagnosi prococe delle malattie metaboliche", aggiunge il pediatra: "Il rischio è che i pazienti affetti da malattie rare del metabolismo siano costretti ad andare fuori dalla Sardegna per curarsi". Tra gli obiettivi del Centro di riferimento per le malattie metaboliche ci dovranno essere, oltre alla cura dei malati, anche la promozione di ricerca per il miglioramento delle conoscenze cliniche di base delle malattie ereditarie del metabolismo e l'applicazione di tecniche avanzate per diagnosi e terapia precoce. Serena Schiffini ______________________________________________________ Le Scienze 6 feb. '01 I BATTERI SONO DIVENTATI LAVORATORI GENETICI I batteri sono diventati esperti chimici, in grado di modificare la nostra biologia per soddisfare i loro bisogni nutrizionali Nuove tecnologie molecolari frutto della ricerca genetica, descritte su "Science", illuminano alcuni aspetti del rapporto che abbiamo con i batteri che vivono nel nostro corpo. Lo studio rivela che i batteri presenti nel nostro intestino, per esempio, riescono a modificare il modo in cui si esprimono i nostri geni. Durante milioni di anni di evoluzione, questi batteri sono diventati chimici esperti, in grado di modificare la nostra biologia per soddisfare nello stesso tempo i loro bisogni nutrizionali e varie nostre esigenze. Lo studio è stato condotto da Jeffrey I. Gordon del Dipartimento di biologia molecolare e farmacologia della Washington University School of Medicine a St. Louis. Il problema della coesistenza di microbi e uomini è stato affrontato utilizzando come modello i topi. Dopo aver cresciuto una generazione di topi in ambiente sterile, i ricercatori li hanno inoculati con Bacteroides thetaiotaomicron, un batterio normalmente presente negli intestini sani sia dei topi sia degli esseri umani. Con una tecnica che fa uso di micromatrici di geni, un prodotto della ricerca genetica, i ricercatori sono stati in grado di tenere sotto controllo il funzionamento di circa 20.000 geni. Si è così scoperto che il batterio influenza il comportamento di geni coinvolti in numerose funzioni intestinali. L'inserimento di questi microbi ha infatti attivato geni che controllano l'assorbimento e il metabolismo di zuccheri e grassi. Ma non solo, essi hanno anche attivato geni che controllano l'integrità della barriera intestinale, nei confronti di organismi e sostanze pericolosi, e la crescita dell'intestino nel periodo successivo alla nascita. ______________________________________________________ Repubblica 6 feb. '01 ECCO L'OCCHIO ARTIFICIALE la speranza dal Giappone Investiti 15 milioni di dollari, pronto nel 2005 le nuove frontiere ROMA - Dalle frontiere della ricerca bioelettronica giapponese sono in arrivo nuovi dispositivi che, nelle speranze degli scienziati, entro pochi anni potrebbero restituire a milioni di persone non vedenti o ipovedenti almeno alcune delle funzioni visive perdute. Entro il 2005, per essere precisi, data entro cui, secondo il governo di Tokyo, che ha investito 15 milioni di dollari nelle ricerche, sarà sul mercato una retina artificiale da impiantare a chi ha perduto la vista a causa di malattie o incidenti. O anche, per l'avanzare degli anni, un problema particolarmente sentito in Giappone, dove la popolazione anziana aumenta con un ritmo tra i più veloci del mondo. Le linee di ricerca seguite dagli scienziati delle università di Osaka, Nagoya e Nara, sono due, e prevedono entrambe un "allaccio" di dispositivi elettronici alle cellule viventi. La prima, che riprende e perfeziona un esperimento effettuato nell'Illinois lo scorso anno, consiste nello sviluppo di un nuovo tipo di "fotodiodi", semiconduttori capaci di convertire la luce in impulsi elettrici. Inserito immediatamente dietro la retina, lo strato di fotodiodi produce segnali visivi simili a quelli naturali, che vengono poi elaborati ed inviati al cervello per mezzo del nervo ottico. In America, ci sono già tre pazienti con una retina artificiale costruita secondo il medesimo principio, ma sembra che i risultati siano stati deludenti a causa della scarsa potenza del segnale generato. Ma gli esperti del ministero nipponico dell'economia, commercio ed industria, che finanzia il progetto, sono certi di poter fare di meglio. "Potremo offrire alle persone qualcosa di più della sola percezione di luci ed ombre," ha spiegato un portavoce del dicastero. La seconda strada su cui puntano i ricercatori giapponesi richiede invece il ricorso ad un paio di occhiali, su cui è collocato un microscopico strumento fotosensibile che registra le immagini e le trasmette sotto forma di raggi infrarossi ad un "ricevitore" inserito nella retina. In questo modo, dovrebbe essere possibile leggere i caratteri più grandi, riconoscendo le insegne e le targhe stradali. Sebbene i test a vasta scala sugli animali non siano ancora cominciati, i giapponesi sono ragionevolmente sicuri di raggiungere i loro obiettivi entro quattro o cinque anni. Poi gli studi si concentreranno sulla visione a colori, mentre per il recupero completo della vista ci sarà da aspettare ancora almeno 30 anni. (c.d.gio.) ______________________________________________________ La Stampa 7 feb. '01 PARASSITI ED EVOLUZIONE Fondamentali per l'equilibrio degli ecosistemi Isabella Lattes Coifmann SEMBRA un paradosso. I parassiti, quegli esecrati parassiti di cui non si parla tanto volentieri, sono importanti per gli ecosistemi quanto i leoni o i leopardi. Soltanto ora ci s'incomincia ad accorgere che i parassiti sono una forza dominante nell'evoluzione della vita. C'è addirittura chi li chiama "le superstar dell'evoluzione". Che cosa s'intende per parassiti? Tutti gli organismi che utilizzano altri esseri viventi come cibo e come "casa". Con questa definizione si includono nei parassiti non solo tenie, vermi intestinali, protozoi e simili, ma anche batteri, funghi, e virus agenti di malattie. Si può estendere il suo significato anche ai bruchi che sbocconcellano le foglie di cavolo e quindi a tutti gli insetti che danneggiano le piante. Non sono poche le specie animali in cui la femmina sceglie il maschio con cui accoppiarsi in base al test "parassiti". Un esempio? Un piccolo pesce che vive nel lago Malawi, nell'Africa sudorientale, il Copadichromis eucinostomus. I maschi di questa specie, per attrarre le femmine, costruiscono una sorta di nido sul fondo del lago. Questi nidi non sono tutti uguali. Alcuni sono proprio rudimentali, una manciata di granellini in cima a una pietra. Altri invece sono più elaborati. Hanno forma conica e sono alti parecchi centimetri. E sono tutti addensati, l'uno vicino all'altro. Ogni maschio difende gelosamente il proprio nido e respinge qualunque intruso. La femmina se ne sta per i fatti suoi per la maggior parte del tempo. Ma quando le sue uova sono mature, va nella zona nidi e incomincia a ispezionarli accuratamente l'uno dopo l'altro. Quando ha scelto il partner che fa per lei, depone un uovo e se lo mette in bocca. Il partner immediatamente le versa in bocca il suo sperma e lei si allontana nuotando, portandosi in quell'originale incubatrice l'uovo fecondato, che lì porterà a termine il suo sviluppo. Ora, i ricercatori hanno dimostrato sperimentalmente che la scelta delle femmine non è casuale. Loro scelgono a ragion veduta i maschi che hanno costruito i nidi più grossi e più accurati. Sono quelli che hanno meno vermi intestinali. Perché i maschi che sono infestati dal maggior numero di vermi debbono mangiare continuamente e hanno ben poco tempo da dedicare alla costruzione del nido. Sono quindi i parassiti che determinano la scelta sessuale. In altri casi, i parassiti diventano determinanti per modellare la struttura della società, come nel caso delle Atta, le formiche tagliafoglie. Queste formiche, che vivono nelle regioni tropicali del Nuovo Mondo, sono note perché si vedono spesso nei boschi in lunghe processioni. Ciascuna inalbera a mo' di vessillo un frammento di foglie verdi che ha staccato dagli alberi. Le Atta trasportano le foglie nel nido, le masticano ben bene impastandole con la saliva, fino a ridurle in una massa spugnosa che serve da substrato per la coltivazione dei funghi microscopici, dei quali si nutrono. Tra le Atta si distinguono due tipi di individui: individui grossi che trasportano le foglie e individui più piccoli che si vedono spesso a cavallo dei frammenti verdi. Per molto tempo non si è capito quale fosse la loro funzione. Fino al giorno in cui si è scoperto che una mosca parassita attacca le tagliafoglie con un particolare approccio. Atterra sul vessillo e da lì si lascia scivolare fino al corpo della trasportatrice, depositando un uovo tra testa e torace della formica. La formicuzza che cavalca la foglia sorveglia con gli occhi ben aperti. Non appena si accorge che una mosca parassita sta per fare il suo giochetto, interviene prontamente facendola fuggire o uccidendola addirittura. Per evitare i parassiti, c'è anche chi ha escogitato una strategia comportamentale rivoluzionaria. Come i bruchi arrotolatori di foglie, che sparano i loro escrementi a oltre mezzo metro di distanza. Che cosa ha portato all'evoluzione di questa sorta di "cannone anale"? E' stata la presenza delle vespe parassite che sono attratte proprio dall'odore delle feci. La lontananza di queste ultime dal soggetto che le ha prodotte consente al bruco di evitare il contatto col suo nemico. Una pianta attaccata da larve di insetti fitofagi si difende spesso fabbricando sostanze tossiche che avvelenano i parassiti. E può anche chiamare aiuto, non con la voce s'intende, ma emettendo sostanze chimiche volatili che si spandono nell'aria e raggiungono le vespe che parassitano le larve suddette. Per loro quell'odore è un profumo calamita. Immediatamente si precipitano sulla pianta aggredita e depositano le loro uova sulle larve che la infestano. E' il caso di dire:" Il nemico del mio nemico è mio amico". Le cavallette della specie Melanoplus sanguinipes, quando sono infettate dal protozoo parassita Nosema acridophagus, si scaldano al sole per aumentare la temperatura corporea. E questa "febbre" le aiuta a combattere l'infezione parassitaria. Anche altri insetti usano la medesima strategia. In certe circostanze è possibile "cuocere" letteralmente il parassita. Naturalmente la miglior maniera per difendersi dai parassiti è quella di evitarli. E' ciò che fanno le rondini della specie Hirundo pyrrhonata, le quali fabbricano parecchie colonie di nidificazione, ma non si fermano in nessuna per due anni di fila. Questa tattica consente loro di evitare le mosche succhiatrici, le zecche e gli altri parassiti che trasformano presto le colonie in immondezzai invivibili. Secondo alcuni ricercatori, questi esempi non sono che la cima di un iceberg. E molto rimane ancora da scoprire su questo argomento. Lo studio dei parassiti non è semplice. Quelli interni hanno spesso un complicato ciclo biologico che si svolge in specie diverse di ospiti. E anche quando gli esperimenti sono possibili, i risultati non sono attendibili perché in laboratorio, dove vi è cibo in abbondanza e non vi sono predatori, gli animali tollerano i parassiti molto meglio dei loro simili che si trovano in un mondo ostile e pericoloso. E c'è ora un nuovo motivo di preoccupazione. Il riscaldamento globale dovuto all'effetto serra potrebbe estendere a nuove regioni l'habitat dei parassiti e le malattie di cui molti sono vettori. Una prospettiva poco allegra. ______________________________________________________ L'Unione Sarda 10 feb. '01 BROTZU. MALATI ESASPERATI IN FILA PER PAGARE IL TICKET Anche tre ore d'attesa: pazienti esasperati con i bigliettini. I responsabili degli uffici ammettono il caos Malati in fila per pagare il ticket Un operaio: "Ho dovuto chiedere un giorno di ferie per venire qui" Tre ore per pagare il ticket. E il piano sottoterra dell'ospedale "Brotzu" diventa una polveriera. File interminabili davanti agli sportelli, attese estenuanti e pazienti sull'orlo di una crisi di nervi. Un semplice scontrino per la visita medica: quanto basta per trasformare una pura formalità in una vera e propria odissea. Basta poco per colpire nel segno, basta poco per scatenare le ire anche delle persone più calme. "Perché qui", sottolinea una pensionata di 63 anni che preferisce mantenere l'anonimato, "aspettare è la regola. Ogni volta è la stessa storia, ogni volta ci si deve inchinare a una situazione che nessuno sembra avere il minimo interesse a risolvere. Ogni volta è una lotta al massacro". La donna è un fiume in piena, spara a zero contro tutti. Contro i compagni di sventura: "Fanno i furbi e provano in tutti modi soffiarti il posto". Contro i dirigenti dell'ospedale: "Pretendono la rassegnazione di chi è già costretto a combattere ogni giorno contro mille problemi. Forse si dimenticano che la gente sta male: in caso contrario, non ci sarebbe alcun motivo per venire in ospedale". Li chiamano bigliettini anti-fila, ma i tagliandini col numero possono davvero poco col frenetico viavai che ogni giorno travolge la struttura medica di via Peretti. Lo scenario sembra perfetto, quasi costruito. Sottoterra, dove ogni lamentela si spegne nel vuoto. Francesco Piras, giovane imprenditore, è appena sceso nella rampa di scale. Due, tre passi lungo il corridoio: "Scusi, dove si paga il ticket?". L'indicazione con la mano di un medico vale più di qualsiasi risposta: il fiume umano in lista d'attesa si scorge appena. Altri due passi e una decisione categorica: "No grazie, se ne riparla la settimana prossima, quando magari avrò l'intera mattinata libera". Eppure ieri mattina, assicurano sia i medici che gli stessi pazienti, l'attesa era quasi sopportabile. Soprattutto se paragonata a quella di giovedì quando la fila davanti agli sportelli ha raggiunto livelli record. "Qualcuno", sussurrano dal corridoio, "ha dovuto trattenersi per quasi tre ore, nessuno se n'è andato via prima di un'ora". Dai piani alti confermano: "Tutto vero, forse le tre ore sono un po' esagerate: in ogni caso c'è una spiegazione valida: problemi col nuovo sistema informatico". E, ovviamente, il personale contato sino all'ultima unità. Magra consolazione per chi è costretto a mollare tutto, lavoro compreso, per pagare (soltanto pagare) la visita in ospedale. "Per accompagnare mia moglie", conferma Mario Murtas, operaio in una fabbrica a Macchiareddu, "ho dovuto chiedere un giorno di ferie. Da circa due mesi purtroppo la mia presenza al "Brotzu" è sempre più frequente: ormai ho capito come funzionano le cose in questo ospedale. Sono arrivato da dieci minuti e so benissimo che ci resterò a lungo". Ticket, storie di ordinaria follia. Murtas tiene a puntualizzare: "Negli ultimi mesi la musica è cambiata, in meglio: questo nessuno lo può negare. Nei reparti hanno accelerato decisamente i tempi per le visite e si dimostrano sempre più puntuali nelle comunicazioni a casa. Lo stesso non si può dire per l'ufficio ticket: il caos c'era, il caos resta. Forse è addirittura aumentato". I momenti di tensione non mancano. I dipendenti (talvolta due, talvolta quattro) fanno i salti mortali per cercare di placare gli animi. Ma la buona volontà di chi aspetta in fila non basta, gli scatti d'ira sono inevitabili. Come quello di Paolo Dessì, cinquantenne, che ieri ha sfogato tutta la sua rabbia mentre attendeva il suo turno: "Cinque anni fa ho avuto un infarto, oggi mi ritrovo qui a pagare per fare una visita e, soprattutto, ad aspettare ore e ore per avere il lasciapassare". Nel mirino anche il metodo: "Trovo davvero assurda l'organizzazione. È il medico di famiglia che fa la prescrizione: perché non pagare direttamente a lui. In questo modo si eviterebbe tutto questo spreco di tempo e le file interminabili. File ovunque: mi sembra di essere tornato indietro con gli anni, quando facevo il servizio di leva". Fabiano Gaggini Tutta colpa del computer "E per il futuro speriamo in Internet" Tutta colpa del computer. E della registrazione dei dati attraverso un nuovo sistema informatico: quello che in teoria dovrebbe snellire il lavoro e garantire un numero limitatissimo di errori e nello stesso tempo un rimborso immediato (e sicuro) delle prestazioni. L'innovazione all'ufficio ticket del "Brotzu" non è passata inosservata: soprattutto per centinaia di pazienti che giovedì e venerdì hanno rischiato l'esaurimento nervoso per una visita medica. Un vero e proprio incubo. E il primo ad ammetterlo è proprio il direttore sanitario dell'ospedale, Giorgio Sorrentino: "Vedendo tutta quella gente in lista d'attesa mi sono reso conto che avevano tutti i motivi di questo mondo per lamentarsi". Ma c'è una spiegazione, "una valida spiegazione", tiene a sottolineare Sorrentino: "Era la prima volta che si raccoglievano i dati attraverso il computer. Ci sono stati piccoli intoppi, un tecnico si è addirittura ammalato. Poi tutto si è risolto, col trascorrere delle ore i dipendenti acquistavano sempre più dimestichezza con la nuova procedura informatica: già nel pomeriggio la situazione era ritornata alla normalità". Un impatto devastante. "Ma le nuove tecnologie", sostiene il direttore sanitario, "col trascorrere dei giorni si riveleranno una mossa vincente". Il motivo? "Semplice, l'azienda "Brotzu" viene rimborsata dalla Regione. Per questo dobbiamo inserire ogni dettaglio della nostra attività nel sistema informatico: in tutto il 2000, solo le visite ambulatoriali, sono state due milioni e 313 mila". Anche per quest'anno si prevede più o meno lo stesso numero. E ogni paziente dovrà essere registrato, volta per volta: un'operazione che richiede, inevitabilmente, del tempo. In sintesi: se prima bastava un timbro e via nell'impegnativa, d'ora in poi bisognerà rispondere a una serie di domande e aspettare che vengano digitate le risposte sul file. "La prestazione va catalogata in ogni dettaglio", spiega Ugo Storelli, vicedirettore del "Brotzu": "Innanzitutto vanno inseriti nel pc tutti i dati anagrafici dell'assistito". E ancora: "L'indirizzo, il nome della Asl di provenienza, l'esenzione o meno, il codice della ricetta, persino la descrizione dell'intervento e la procedura da eseguire". Il peggio è passato, sembrano dire gli amministratori dell'ospedale di via Peretti: "Il nuovo programma è avviato". Ma l'attesa - assicurano i pazienti - esiste da sempre, intoppi informatici o meno. "Siamo consapevoli dei disagi per i pazienti", ammette ancora Giorgio Sorrentino, "e stiamo studiando la soluzione che elimini definitivamente le file agli sportelli. Certo, se avessimo i soldi per assumere quindici persone non esiteremmo un attimo a farlo. Purtroppo, non è così". La speranza si chiama Internet: "Stiamo valutando la possibilità di far pagare il ticket, e non solo quello, attraverso la rete telematica. Lo so benissimo", precisa lo stesso Sorrentino, "non basterà a risolvere il problema alla radice: ma se anche riuscissimo a contattare via e-mail un dieci per cento degli utenti sarebbe già un grande risultato". Non solo: "Tra i tanti progetti in cantiere c'è anche quello di dimensionare il personale a disposizione in base all'afflusso: più gente agli sportelli nel periodo di maggiore traffico, uno o al massimo due sportellisti nei momenti morti". L'unica certezza sono i circa ottocento pazienti al giorno. Aspettando tempi migliori, da via Peretti arrivano i consigli utili per evitare la fila. A cominciare dall'orario. L'ufficio ticket apre dalle 7,30 alle 13 e (nel pomeriggio) dalle 15,30 alle 18,30, escluso il venerdì. "È chiaro", sottolineano i medici, "che l'ideale sarebbe presentarsi nel pomeriggio, ossia la sera prima della visita". Non tutti sanno poi che gli sportelli per il pagamento del ticket sono tre: oltre a quello centralizzato, dove si concentra la maggior parte delle persone, ce ne sono altri due specializzati: il laboratorio chimico (o analisi) e l'accettazione di radiologia. "Inutile dire", afferma ancora Ugo Storelli, "che, con una migliore distribuzione dei pazienti, il volume di traffico per il ticket subirebbe uno snellimento non indifferente". F. G.