UNIVERSITA': RIFORMA OSTAGGIO DELLE CORPORAZIONI CAGLIARI: FARMACOLOGIA TRA I "CENTRI DI ECCELLENZA" LA REGIONE DA NOVE MILIARDI PER L'UNIVERSITÀ DAL 31 MARZO SPARISCE IL DIPLOMA ISEF: CINQUE ANNI PER DIVENTARE INSEGNANTI COSÌ CREIAMO PROFESSORI SENZA QUALITÀ RACCORDO ALBI-UNIVERSITÀ: ALLARME DELLE ASSOCIAZIONIM.C.D. C' ERA UNA VOLTA L' UNIVERSITÀ. ORA C' È UNA SCUOLA DI BASE "L' UNIVERSITÀ DEVE CONTARE DI PIÙ" LE BUGIE DEL NUMERO PROGRAMMATO ESAMI:MEGLIO IL QUIZ DELL'INTERROGAZIONE UNIVERSITÀ: GLI STUDENTI DANNO IL VOTO AI PROFESSORI POLEMICA A SCIENZE POLITICHE UNIVERSITÀ, ALBERONI LASCIA LO IULM E ACCUSA: CORRUZIONE NELL'ATENEO ================================================================== "SULLE CURE DEL FUTURO ITALIA IN PRIMA FILA CON BEN 75 ROGETTI" SARDEGNA: PARTIRÀ ENTRO L'ESTATE IL CENTRO DI PRENOTAZIONE GENOMA: LICINIO CONTU HA VINTO LO SCONTRO COL RETTORE MISTRETTA PER I MANAGER PUBBLICI AUMENTO DI 80 MILIONI ALL'ANNO RIVELATI I SEGRETI DEL GENOMA UMANO VERSO IL COMPLETAMENTO DEL GENOMA GENOMA, È CORSA AL BUSINESS IL FARMACO CONTRO LA MOSCA TZÈ TZÈ? E' UN ANTIRUGHE IL DOLORE FISICO AI GIORNI NOSTRI LA PRIMA MEDICINA CONTRO LA SEPSI ================================================================== LONDRA: DIECIMILA MILIARDI DI BYTE TUTTI IN UNA CARTA DI CREDITO GLI HARD-DISK DEL FUTURO ================================================================== ____________________________________________________________________ Il Sole24Ore 16 feb. '01 UNIVERSITA': RIFORMA OSTAGGIO DELLE CORPORAZIONI di Alessandro Figà Talamanca Avrà successo la riforma degli ordinamenti didattici universitari? La risposta a questa domanda non dipende soltanto dalle discussioni, che si stanno svolgendo negli atenei, sui nuovi regolamenti didattici. Un nodo cruciale è la definizione degli sbocchi professionali che saranno accessibili a chi consegue la laurea triennale, e su questo punto la discussione si svolge altrove. La riforma fallirà se la maggioranza degli studenti non si accontenterà del primo livello di laurea e cercherà di proseguire oltre. Per motivi populistici, legati anche a interessi accademici concreti, le università non tenteranno nemmeno di contrastare la pressione dei laureati di primo livello che vorranno passare, senza esami di ammissione, agli studi di secondo livello. E infatti, in molti casi, i regolamenti didattici di ateneo non prevedono nessuna selezione per l'ammissione dei laureati alla laurea specialistica. L'effetto della riforma sarebbe allora quello di portare tutte le lauree a cinque anni, il minimo necessario per conseguire la laurea specialistica, salvo, al solito, ulteriori ritardi. Insomma, senza una spontanea rinuncia della maggioranza degli studenti al proseguimento degli studi oltre il primo livello di laurea fallirà la sfida che l'università italiana ha di fronte: impartire, nella stessa istituzione, e a cura degli stessi docenti, un'istruzione di massa che raggiunga il 30% dei giovani e l'istruzione di élite di cui non può fare a meno un Paese moderno. Questa rinuncia spontanea al proseguimento degli studi potrà avvenire solo se ai laureati di primo livello saranno aperti sufficienti e adeguati sbocchi professionali. Diviene quindi cruciale la disciplina dell'accesso agli impieghi e alle professioni per i laureati universitari. Un primo passo in questo senso è stato compiuto con la circolare, a firma Bassanini, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 27 dicembre scorso, che stabilisce che la laurea di primo livello dà accesso, nel pubblico impiego, a tutte le posizioni funzionali non dirigenziali per le quali era precedentemente prevista la laurea, con la possibilità di accedere, dopo cinque anni di servizio, ai concorsi per le qualifiche dirigenziali. La laurea specialistica potrà invece servire, a seconda dei casi, ad accedere direttamente alla dirigenza. Si tratta di un compromesso ragionevole, anche se, forse, sarebbe stato meglio non conferire alcun valore legale, al di fuori dell'ambito accademico, alla laurea specialistica, affidandone invece il riconoscimento al mercato del lavoro intellettuale. Ma anche la soluzione trovata per l'accesso al pubblico impiego rischia di essere vanificata dal regolamento che il ministero dell'Università sta mettendo a punto per l'accesso alle professioni. Non si tratta qui delle professioni regolate da direttive europee (quelle sanitarie e quella di architetto o ingegnere edile), e nemmeno della professione di avvocato, per la quale la legge ormai prevede una specifica preparazione, fornita dalle Scuole di specializzazione per le discipline forensi. Si parla invece di attività, più che professioni, che in molti Paesi europei non sono regolate e che invece da noi possono essere esercitate solo dopo un'iscrizione a un albo istituito e regolato dalla legge. Sono regolate, in Italia, le "professioni" di chimico, biologo, assistente sociale, geologo, agronomo e anche di ingegnere industriale, o addirittura ingegnere dell'informazione e persino di statistico. L'esistenza di "ordini professionali" per queste attività non risponde all'esigenza di proteggere gli utenti di un servizio pubblico, ma solo a quella di proteggere i laureati in alcune discipline dalla concorrenza di laureati in altre discipline, o magari di non laureati. Sarebbe stato meglio per tutti - e cioè per il sistema produttivo, che beneficerebbe da una maggiore apertura alla concorrenza, ma anche per gli studi universitari - trasformare questi ordini in associazioni volontarie, prive dell'esclusiva nell'esercizio di un'attività, o almeno recidere il collegamento del tutto artificioso tra queste "professioni" e specifici corsi di laurea universitari. Che senso ha riservare l'attività di "biologo" ai laureati in biologia, quando questa scienza è coltivata anche da laureati in chimica o in medicina o in scienze naturali? Si pensa davvero di promuovere lo sviluppo della tecnologia dell'informazione, proteggendo gli ingegneri dell'informazione dalla concorrenza di laureati in informatica, in fisica, in matematica, in statistica, e perché no, di esperti che non hanno nemmeno una laurea? Che senso ha riservare ai laureati in statistica attività che finora svolgono egregiamente anche laureati in economia, in scienze politiche, in matematica, in fisica o scienze politiche? Sappiamo bene, però, che il progetto di riforma degli ordini professionali che avrebbe a priori potuto limitare la lista delle professioni protette a quelle regolate in sede comunitaria è miseramente fallito. Era quindi inevitabile che per le nuove lauree si chiarissero le condizioni di accesso a tutti gli ordini professionali esistenti, compresi quelli, per così dire, inutili, con l'aggiunta di qualche inquietante matricola (assistenti sociali, statistici). Ammettiamo pure che sarebbe stato difficile, anche in questo caso, seguire la strada di riconoscere valore legale alla sola laurea di primo livello, lasciando a ogni successiva preparazione universitaria l'onere di giustificare la sua utilità in un mercato non protetto. Era forse quindi inevitabile la previsione di due distinte sezioni di ogni ordine, la prima per i laureati e la seconda, in linea di principio, per i laureati specialisti. Quello che però rischia di vanificare le disposizioni sul pubblico impiego, e di entrare seriamente in conflitto con le direttive europee, è il fatto che chi è in possesso della sola laurea non potrà mai sostenere l'esame di ammissione alla seconda sezione, nemmeno dopo una congrua esperienza professionale. Questo protegge indebitamente dalla concorrenza non solo gli attuali iscritti agli ordini, che saranno ope legis inseriti nella sezione superiore, ma anche le università meno innovative, le cui "lauree specialistiche" godranno del privilegio di costituire un passaggio obbligato per l'accesso ad alcune attività, senza nessuna garanzia che esse forniscano una preparazione veramente utile all'attività professionale. Il conflitto con le disposizioni sul pubblico impiego è evidente. Ad esempio, un laureato in "scienze del servizio sociale", che entri in un'amministrazione pubblica dovrebbe, secondo la circolare Bassanini, poter accedere, dopo cinque anni di servizio, ai concorsi per le posizioni di dirigente. Ma questo contrasta con le disposizioni proposte sull'albo professionale degli assistenti sociali, secondo le quali ci vuole in ogni caso la laurea specialistica per esercitare le attività di "elaborazione e direzione di programmi, pianificazione, organizzazione e gestione manageriale dei servizi, nonché direzione di strutture, enti o amministrazioni", cioè l'attività propria di un dirigente. Le stesse considerazioni si applicano a chi entra in un'amministrazione con una laurea in chimica, in agraria, in biologia, in ingegneria, in geologia e persino in statistica. Ma ancora più grave è il contrasto con la direttiva europea 48/89, recepita da un decreto legislativo entrato in vigore in Italia nove anni fa. La direttiva stabilisce che un cittadino dell'Unione europea il quale, dopo una formazione universitaria triennale, può esercitare nel suo Paese un'attività professionale, o adire a un impiego pubblico o privato, può esercitare la stessa professione e adire agli stessi tipi di impiego in ogni altro Paese dell'Unione. Il Paese ospitante potrà richiedergli al più una esperienza pratica aggiuntiva. Questo significa, ad esempio, che chi consegue un diploma universitario triennale in biologia, chimica o geologia nel Regno Unito, dove le attività di biologo, chimico o geologo possono essere liberamente esercitate, potrà iscriversi, dopo una breve esperienza professionale, alle sezioni delle corrispondenti professioni italiane riservate a chi ha un diploma di laurea di durata quinquennale. La stessa strada sarà invece sbarrata a un cittadino italiano, che ha il torto di essersi laureato in Italia, magari con una laurea rilasciata da un'università di maggior prestigio. E tutto questo per difendere gli interessi corporativi di ordini professionali che non hanno alcuna giustificazione o utilità sociale. L'ironia della sorte ha voluto che il decreto ministeriale che regola l'accesso agli ordini, che è ancora in bozza, debba essere firmato, nella sua forma finale, dal nuovo titolare del dicastero dell'Università, Giuliano Amato: proprio lo stesso Amato che, come presidente dell'Autorità per la concorrenza e il mercato, fu il primo a segnalare gli ostacoli alla libera concorrenza, e in ultima analisi i danni agli utenti e al sistema produttivo, che erano causati dagli ordini professionali in Italia. È possibile che sia proprio lui a firmare un decreto che, rafforzando i vincoli che limitano in Italia la concorrenza e il mercato, sacrifica la riforma universitaria sull'altare degli interessi corporativi degli ordini? ____________________________________________________________________ L'Unione Sarda 14 feb. '01 CAGLIARI: FARMACOLOGIA TRA I "CENTRI DI ECCELLENZA" Prestigioso riconoscimento per la scuola del professor Gian Luigi Gessa Prestigioso riconoscimento per la scuola di farmacologia cagliaritana fondata dal professor Gian Luigi Gessa. Il ministero per l'Università e la Ricerca scientifica l'ha infatti inserita nel novero dei "Centri di eccellenza". Non si tratta di una "medaglia" qualsiasi, perché sono solo 23 gli istituti prescelti in una selezione alla quale hanno partecipato tutte le università italiane. E tra i premiati, la Neurobiologia cagliaritana si trova ai primi posti, unica rappresentante della Sardegna. Comprensibile la soddisfazione del professor Gessa, il quale tiene però a sottolineare che il riconoscimento va a tutti i componenti la scuola, una squadra di talenti apprezzata a livello internazionale. Non a caso, la domanda al ministero è stata presentata a nome di "Neurobiologia delle dipendenze", proprio per sottolineare il significato dell'attività di un gruppo del quale fanno parte personalità come quelle di Gian Luigi Gessa, Antonio Argiolas, Giovanni Biggio, Maria Del Zompo, Gaetano Di Chiara, Walter Fratta. Nomi che rappresentano la ricerca al più alto livello nel campo delle tossicodipendenze, alcolismo, tossicologia alimentare, solo per citare alcune delle materie oggetto di studio. Attività destinata a ricevere nuovo impulso proprio da un riconoscimento ministeriale che avrà ricadute molto concrete. È infatti previsto l'arrivo di un finanziamento di tre miliardi e mezzo, per ricerche che dovranno essere sostenute anche dall'università. Pur non essendo stata inclusa tra i "magnifici 23", ha ottenuto una buona considerazione anche la scuola di economia rappresentata dai professori Raffaele Paci e Antonio Sassu, della facoltà di Economia e commercio di Cagliari. ____________________________________________________________________ L'Unione Sarda 14 feb. '01 LA REGIONE DA NOVE MILIARDI PER L'UNIVERSITÀ La Giunta regionale, presieduta dall'assessore alla Programmazione Pietro Pittalis, ha approvato ieri un ampio programma di finanziamenti destinati alla ricerca scientifica. Complessivamente sono disponibili oltre 9 miliardi e mezzo che andranno a finanziare 127 progetti presentati dall'Università di Cagliari (65 progetti), di Sassari (34) e dai Centri di ricerca (28). La qualità delle proposte - si legge in una nota - è stata valutata attraverso un punteggio da una commissione interdisciplinare. "La ricerca scientifica - ha detto Pittalis - costituisce uno degli obiettivi più qualificanti dell'azione del governo regionale: ora le amministrazioni universitarie dovranno rispettare tempi e modalità previste dalle direttive". Particolarmente validi sono risultati i progetti legati alla new economy (commercio elettronico e web marketing) ma anche temi di ricerca più tradizionali come "il taglio del granito" e l'uso di materiali e tecniche di intervento per il recupero dei centri storici o nel campo medico, come la diagnosi precoce sull'Alzheimer e sull'Aids. ____________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 17 feb. '01 DAL 31 MARZO SPARISCE IL DIPLOMA ISEF: Dal 31 marzo 2002 più esami a Scienze motorie allarme tra i fuori corso Carlo Maciocco CAGLIARI. La data fatidica è quella del 31 marzo 2002: dopodiché non esisterà più il diploma Isef, ma la laurea in Scienze motorie. Saranno sempre tre anni però le discipline saranno ventisette, tre in più rispetto al vecchio diploma, di cui dieci 'professionalizzanti', cioè tecnico-pratiche. All'Isef erano sedici. Differenze sostanziali di programma che pongono un dilemma: che ne sarà degli studenti non in grado di diplomarsi entro la scadenza? Nella peggiore delle ipotesi vedranno andare in fumo tutto il loro lavoro, perché nessuno degli esami sostenuti verrà riconosciuto dalla nuova facoltà. Più probabilmente dovranno integrare la loro preparazione con un numero di prove variabile a seconda degli accordi con ciascun ateneo. Sul futuro degli studenti cagliaritani si è discusso ieri in un'assemblea convocata dal professor Venerando Monello, responsabile della sede Isef del capoluogo: "Fortunatamente - ha detto di fronte a molti ragazzi ansiosi di conoscere la propria sorte - il nostro Rettore era uno sportivo ed è quindi sensibile ai nostri problemi. La soluzione più probabile è che gli esami supplementari da sostenere siano tre per il primo anno, cinque per il secondo e cinque per il terzo". In tutto tredici, più della metà. Soprattutto i 54 studenti del terzo anno, di cui 49 fuori corso, non tirano certo un sospiro di sollievo: proprio in vista della meta rischiano di vedersi appioppare un'altra valanga di materie. D'altronde non ci sono altre soluzioni in vista: dal ministero alla Pubblica Istruzione hanno più volte ribadito che la data del 31 marzo 2002 è assolutamente improrogabile. Mentre lo stratagemma di una possibile gestione del diploma Isef da parte dell'Università per un periodo di tre anni, proposto dall'associazione nazionale degli Isef, non è accettabile perché la legge non lo contempla. Gli studenti di Napoli, di fronte alla triste possibilità di vedersi riconoscere solo quattro esami su ventiquattro, hanno deciso di ricorrere per vie legali. Al di là di questa ipotesi resta una sola soluzione: "Mettetevi d'impegno - è stata l'esortazione del professor Monello ai ragazzi - e cercate di diplomarvi entro la scadenza. Noi, ve lo promettiamo, cercheremo di venirvi incontro". ____________________________________________________________________ Corriere Della Sera 14 feb. '01 CINQUE ANNI PER DIVENTARE INSEGNANTI Il ministero dell'Istruzione presenterà un decreto con i nuovi corsi di formazione per docenti. Scoppia la polemica Laurea triennale e poi un biennio "pedagogico". Gli esperti: un errore, manca la preparazione culturale Roma. Per diventare insegnanti si dovrà seguire un percorso universitario di cinque anni, il tempo per conseguire una laurea triennale e seguire la scuola di specializzazione biennale. La durata della formazione resterà invariata per chi insegnerà ai bambini del ciclo di base e per chi salirà in cattedra al liceo. I contenuti saranno diversi. Avremo insomma un unico ruolo e a determinate condizioni sarà possibile per i docenti transitare da un ciclo all'altro. Naturalmente chi ha già inziato il vecchio percorso, lo potrà portare a compimento. La laurea specialistica non sarà obbligatoria, ma costituirà un titolo per avanzamenti di stipendio e di carriera, al posto dei "concorsi a quiz". "Il problema più urgente - spiega il sottosegretario all'Università, Luciano Guerzoni - è quello dell'aggiornamento culturale degli insegnanti in servizio. Un docente che consegue la laurea specialistica e aggiorna il suo bagaglio culturale ha diritto a un riconoscimento in termini economici e di carriera". Il ministro della Pubblica istruzione, Tullio De Mauro, sta predisponendo, di concerto con l'Università, un decreto che riordina i corsi di studio per la formazione dei docenti. E sui nuovi percorsi universitari si sono riaccese le polemiche che contrappongono quanti ritengono sufficiente laurea triennale e specializzazione e quanti, come il pedagogista e responsabile dell'Istituto di valutazione, Benedetto Vertecchi, temono che possa mancare ai futuri docenti una solida formazione culturale. La nuova organizzazione della formazione universitaria dei docenti non convince Vertecchi. "L'avvio dal prossimo anno della riforma della scuola richiede un insegnante dalla formazione solida, altrimenti la competenza professionale su cosa si appoggia - si domanda il pedagogista -. Se devo insegnare didattica dell'italiano a qualcuno, bisogna che questa persona abbia una competenza di base, lo stesso vale per la didattica della storia e della matematica. Se tutti oggi si lamentano che la cultura fornita dalla laurea quadriennale non basta, come potrà bastare la laurea triennale". "Personalmente - aggiunge Vertecchi - sono favorevole all'ipotesi di formazione del docente che prevede la laurea triennale seguita da quella specialistica biennale e un periodo di avviamento alla professione da realizzare nelle scuole. Le scuole di specializzazione sono molto deboli dal punto di vista organizzativo. Mi chiedo quale affidamento si possa fare su queste scuole in presenza di grandi numeri, come quelli che si prevedono di qui a qualche anno quando ci sarà un forte ricambio di docenti per limiti di età". Cinque anni sono invece sufficienti per il presidente dell'Unione insegnanti medi Luciano Corradini, a condizione che ci sia "una preparazione equilibrata tra competenze disciplinari, pedagogiche ed esperienze pratiche di tirocinio". Ieri sera, intanto, il Senato ha approvato a larghissima maggioranza, nonostante l'opposizione di Governo e Lega, la sanatoria per gli studenti universitari esclusi dai corsi a numero chiuso che si erano rivolti al Tar. Il provvedimento passa ora alla Camera. Sempre ieri il governo ha illustrato ai sindacati un'ipotesi di proroga delle supplenze fino al 30 giugno. ____________________________________________________________________ Corriere Della Sera 14 feb. '01 COSÌ CREIAMO PROFESSORI SENZA QUALITÀ Il dibattito sulla riforma universitaria, sempre più accanito, ci tocca tutti, perché l'Università prepara, tra l'altro, i futuri docenti, ed è perciò responsabile della cultura avvenire. Ci sono ora due novità, ma prima di parlarne riassumo, all'osso, la questione. La riforma prevede un'organizzazione degli studi basata sulla formula 3"2: un triennio di base e un biennio specialistico; si aggiungerà poi, per chi punta alla ricerca, il dottorato. È chiaro che il triennio avrà un carattere propedeutico e informativo; sarà concluso non con una tesi di laurea, ma con una modesta esercitazione scritta. Il vero momento della maturazione critica e dell'organizzazione del sapere avrà posto nel biennio specialistico. La formula quinquennale pareva imprescindibile almeno per le facoltà umanistiche, che preparano prevalentemente docenti per le scuole. Non possiamo gettare in pasto agli studenti medi dei laureati che al massimo hanno assimilato una serie di conoscenze, ma non hanno idea di come queste conoscenze siano state elaborate, si connettano tra loro e col mondo. Così, invece, sta per avvenire, dopo mesi di scontri tra difensori della cultura e astratti programmatori. Al biennio specialistico si vogliono sostituire due anni di cosiddetta Scuola di specializzazione a carattere più che altro pedagogico, sui quali molti sono scettici, ritenendo che non possano assolutamente fare le veci di un biennio davvero specialistico. Pare s'intenda occultare un'antica verità: per insegnare bene occorre conoscere bene ciò che s'insegna. E veniamo alle novità: una buona, l'altra cattiva, al solito. La buona è che l'Accademia dei Lincei, che rappresenta il massimo livello della nostra cultura, sta per rendere pubbliche delle "Osservazioni sulla formazione degli insegnanti della scuola italiana". L'Accademia protesta contro i "tentativi d'abbassamento delle competenze e delle conoscenze disciplinari richieste ai futuri insegnanti", e di trasformazione surrettizia della scuola da "luogo dell'apprendimento a luogo della socializzazione". Ricorda che "dovere primario dell'insegnante è possedere la piena conoscenza del sapere che è destinato a trasmettere alle nuove generazioni", conoscenza possibile solo dopo approfonditi studi disciplinari. Desta anche preoccupazione la credibilità sociale dei docenti, "condizione indispensabile per un rinnovamento della scuola italiana che ne innalzi la qualità e consenta la formazione di quel ceto dirigente nazionale di cui dai più avvertiti studiosi si avverte l'esiguità". Perciò si ritiene irrinunciabile l'adozione della formula quinquennale, cui potrà seguire un anno di Scuola di specializzazione a fini professionalizzanti. L'Accademia evidenzia infine possibili interferenze tra la normativa riguardante i futuri docenti e quella relativa alle figure del pubblico impiego, per molte delle quali la laurea triennale è ritenuta sufficiente. Questa preoccupazione appare ora anche più motivata. Il Consiglio dei ministri del 7 febbraio ha trasmesso alle commissioni della Camera e del Senato un decreto legislativo del ministro Bassanini, che, secondo le indiscrezioni, sancirebbe irreparabilmente queste interferenze. Il decreto distinguerebbe, nella scuola, carriere dirigenziali, cui afferirebbero i presidi, e non dirigenziali, per tutti i docenti, dalle scuole elementari ai licei, bloccati al 7° livello impiegatizio. A questo punto, non è solo un paradosso prevedere professori di liceo con laurea triennale, e, che so, direttori d'albergo con laurea quinquennale. Se questo decreto legislativo, che può entrare in vigore senza discussione, confermasse i nostri timori, i docenti delle secondarie precipiterebbero a un livello da cui non sarebbero più affrancabili. Altro che bassi stipendi, altro che proletarizzazione. Si formerebbe una casta di paria, cui è negato il passaggio a incarichi più gratificanti, cui è impossibile riagganciare una carriera magari momentaneamente abbandonata. Che cosa ci si può aspettare da una casta così demotivata e sottostimata? Accanto, trionferebbero i privilegiati, quello con laurea quinquennale, e poi quelli col dottorato, quasi dei superuomini. Possibile che si voglia creare un mondo così? ____________________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 feb. '01 RACCORDO ALBI-UNIVERSITÀ: ALLARME DELLE ASSOCIAZIONIM.C.D. ROMA Il nuovo assetto degli Ordini e delle competenze proposto dalla Commissione presieduta dal professor Giampaolo Rossi per "armonizzare" ai nuovi titoli universitari, laurea e laurea specialistica, gli ordinamenti professionali allarma le professioni non regolamentate. Le Associazioni rappresentative delle professioni non regolamentate lamentano, prima di tutto, di non essere state consultate. Dunque, la bozza di regolamento (ora all'esame dei Consigli nazionali) "nasce vecchia", secondo il presidente dei tributaristi Lapet, Roberto Falcone, poiché non tiene conto di quella parte delle professioni che hanno saputo affermarsi sul mercato anche senza essere organizzate in Ordini e senza avere attività riservate. Il compito della Commissione, tuttavia, è stato tracciato dalla legge 4/99 (modificata dalla 370/99): l'intervento è stato infatti circoscritto alle professioni che sono subordinate a un esame di Stato. Però questa delimitazione rischia di diventare penalizzante per le Associazioni non riconosciute. La bozza di regolamento - spiega il presidente dei tributaristi Int, Riccardo Alemanno - "contiene attribuzioni di riserve per attività e funzioni che oggi sono libere e non soggette a privativa, non considerando quanto esistente nel settore professionale e assegnando esclusive a questa o quella categoria". Alemanno ha scritto ieri una lettera di protesta al presidente del Consiglio e al presidente della Repubblica. I tributaristi contestano, per esempio, che agli iscritti nella sezione A dell'Albo dei dottori commercialisti e dei ragionieri commercialisti, cioè ai laureati abilitati, "siano riservate", in base alla bozza di regolamento, anche la consulenza fiscale o contabile. Per gli iscritti nella sezione B dei due Albi, cioè per i laureati specialisti abilitati, si ipotizza, tra l'altro, la riserva delle procedure concorsuali, che oggi non sono un'esclusiva di queste professioni. "La Commissione - ribatte il presidente, Giampaolo Rossi - non ha il potere di aggiungere o togliere riserve o competenze: una precisazione che abbiamo fatto nella relazione di accompagnamento della proposta. Occorre fare attenzione perché alcune attività sono riservate in esclusiva, com'è per i geologi per esempio, in altri casi no. Il regolamento deve distribuire le competenze tra gli iscritti alle sezioni A e B ma il regime delle esclusive è disciplinato dagli ordinamenti professionali o dalle leggi previgenti, che su questo punto non vengono modificati". I tributaristi non sono gli unici a essere allarmati di fronte alle proposte della Commissione. "Di fatto - afferma Enrico Bocci, presidente dell'Alsi, l'Associazione degli informatici - una laurea di tre anni di un ingegnere dell'informazione varrà molto di più, in termini di spendibilità professionale, di una corrispondente laurea specialistica in informatica di cinque anni. Sarà ovvio che uno studente preferirà comunque iscriversi a ingegneria, avendo la chance dell'iscrizione all'Ordine". A gettare acqua sul fuoco ci pensa Riccardo Cappello, presidente dell'Agiconsul, l'Associazione dei giuristi aderenti a Fita-Confindustria. Per Cappello le Associazioni non regolamentate devono battere gli Ordini sul terreno della formazione certificata per gli iscritti, in modo da proporsi quale reale garanzia della qualità delle prestazioni nei confronti dei consumatori. ____________________________________________________________________ Corriere Della Sera 12 feb. '01 C' ERA UNA VOLTA L' UNIVERSITÀ. ORA C' È UNA SCUOLA DI BASE Canfora Luciano C' era una volta l' università. Ora c' è una scuola di base Nei Quaderni Fiorentini Paolo Grossi ha da poco pubblicato un breve saggio, che rischia, in un' epoca conformistica come l' attuale, di passare inosservato. Non si tratta del grido di dolore di un lodatore del tempo andato. Paolo Grossi formula una considerazione scientifica e la argomenta: c' era una volta, ma purtroppo non c' è più, l' università in Italia. Il tassello finale del processo che ha privato il nostro Paese di una struttur a fondamentale quale quella universitaria si è compiuto con l' appena varata riforma. Il luogo di formazione del sapere critico viene definitivamente ridotto a sede di "informazione di base". Poiché d' altra parte la scuola di tipo liceale non è più in grado di assolvere a tale funzione era quasi inevitabile, non migliorandosi la scuola, che si declassasse l' università. E' segno di demagogia suicida trattare un Paese, che già disponeva di strutture avanzate, come se fosse un Paese emergente, bi sognoso di dotarsi - quasi fosse una tabula rasa - dei primi elementari strumenti di acculturazione di massa. L' idea, tipicamente oligarchica, messa in pratica dai ministri di centro-sinistra è quella di creare poche super-università di "eccellenza" (come buffamente diceva l' ex ministro Berlinguer), dove profumatamente pagando si impartisca, a pochissimi, quel sapere che l' università di Stato doveva assicurare ai veramente meritevoli. Che poi il successore di Berlinguer non sia stato capace d i spezzare questa spirale demagogico-oligarchica e si sia invece ridotto a mero esecutore della dissennata riforma del suo predecessore, resta uno dei misteri più oscuri e degli episodi più umilianti di questa ormai declinante legislatura. Quando era ancora possibile salvare l' università dall' annichilimento, il successore di Berlinguer ha preferito comportarsi come un semplice esecutore d' ordini. Quando la legislatura è finita e si fa già campagna elettorale, il medesimo abbandona la maggiora nza per manifestare il suo disagio. Forse poteva ridurre tale disagio contrastando il più grave provvedimento che abbia mai investito il nostro sistema universitario. Luciano Canfora ____________________________________________________________________ Corriere Della Sera 14 feb. '01 "L' UNIVERSITÀ DEVE CONTARE DI PIÙ" Grossi presenta il programma: bisogna puntare su ricerca e nuovi fondi Il 14 e il 21 marzo si voterà per eleggere il successore di Mantegazza Elezioni in Statale, il candidato a "rettore" spiega le sue strategie. Lo sfidante Decleva ha scritto una lettera ai docenti "L' Università deve contare di più" Grossi presenta il programma: bisogna puntare su ricerca e nuovi fondi In vista delle sca denze elettorali del 14 e 21 marzo, nelle quali i docenti dell' Università Statale saranno chiamati ad eleggere il nuovo rettore in sostituzione di Paolo Mantegazza, i due candidati al titolo di "Magnifico", Adalberto Grossi di Medicina ed Enrico Dec leva di Storia, hanno inviato lettere ai colleghi per presentare le proprie candidature. Grossi è convinto che, nell' ambito della competizione scientifica, la Statale "non occupa il posto che le compete". Tanto che, ha ricordato nella sua lettera ai docenti, "sono rimasto colpito che, al contrario del Politecnico e della Bocconi, la Statale non era presente agli Stati Generali della città un segnale di distacco che dobbiamo colmare". La conclusione è che "l' università deve essere presente negl i organismi tecnico-decisionali della città, nelle sue attività di ricerca e programmazione". Secondo obiettivo, che ne consegue, è il "rafforzamento delle capacità di ricerca: alla Statale ci sono 1350 professori e 630 ricercatori: la piramide va ro vesciata". Grossi auspica un' università che, con l' autonomia, sia in grado di reperire fondi attraverso offerte nel campo della ricerca. Per questo concorda con il professor Alberto Martinelli quando scrive: "E' necessario coordinare le attività de i diversi atenei per creare centri di eccellenza che possano godere del sostegno finanziario di fondazioni e imprese pubbliche e private Accanto ai finanziamenti pubblici, nazionali e comunitari, devono crescere gli investimenti privati nella ricerca scientifica". E, per attuare questi programmi, pensa a incubatori tecnologici, aumento di dottorati e di assegni di ricerca. Un ulteriore obiettivo indicato da Grossi è lo snellimento della burocrazia. Il tutto per ottenere "un sistema grazie al quale laurearsi alla Statale rappresenti un segno di altissima distinzione rispetto alla laurea conseguita presso altre sedi". Insomma: ricerca, collaborazione con l' esterno e competizione tra atenei. E a chi gli sottolinea che sarebbe ancora un rettore di medicina, forse con scarsa attenzione per le facoltà umanistiche, replica: "I rettori provenienti da facoltà scientifiche hanno mostrato attenzione per quelle umanistiche. Il contrario non si è sempre verificato". L' attuale prorettore En rico Decleva, parimenti candidato al rettorato, aveva già inviato nei giorni scorsi una lettera ai docenti nella quale sottolineava la riconoscenza a Mantegazza e la propria azione svolta in qualità di prorettore, carica che detiene dall' ottobre del ' 97. La sua è stata una lettera nella quale si è detto disponibile a raccogliere "indicazioni, suggerimenti, proposte e rilievi critici" da parte di tutti per elaborare, successivamente, un documento di sintesi "sul quale - scrive - i colleghi poss ano meglio verificare il significato di un loro eventuale appoggio alla mia candidatura". Una forma per dimostrare la propria disponibilità ad essere figura di sintesi e coordinamento tra i vari organi dell' ateneo: "Il primo impegno che mi sento di assumere - scrive infatti Decleva -, in caso di elezione, è proprio quello di continuare a garantire e a valorizzare le prerogative e il grado di coinvolgimento dei vari organi in cui si articola la vita del nostro ateneo, anche al fine di assicurare una equilibrata considerazione per tutte le diverse istanze e le componenti che vi si esprimono". Pierluigi Panza ____________________________________________________________________ Il Sole24Ore 12 feb. '01 LE BUGIE DEL NUMERO PROGRAMMATO In dirittura d'arrivo il Ddl per gli esclusi ai test '99, ammessi "con riserva" dai TarMaria Carla De Cesari Nel Paese del diritto è sempre l'ultima a morire la speranza di trovare, magari con l'aiuto di un giudice, la deroga a una disposizione legislativa. Così, nonostante una sentenza della Corte costituzionale e una legge-quadro per individuare i corsi universitari a numero programmato, le Camere si preparano a lincenziare una nuova sanatoria per gli studenti di medicina, odontoiatria, veterinaria e architettura che, bocciati nel 1999 ai test di ammissione, avevano ottenuto l'immatricolazione con riserva in seguito a ordinanze dei Tar. Decisioni, queste ultime, che non avevano tuttavia superato il vaglio del Consiglio di Stato, con il risultato di cancellare dagli elenchi delle università circa 3mila studenti. Di qui l'ennesimo "appello" al Parlamento che - puntualmente - ha risposto con il Ddl 4864. Il testo, licenziato il 25 gennaio, in sede redigente, dalla commissione Pubblica istruzione del Senato. Palazzo Madama ha peraltro varato un cambiamento importante rispetto alla versione approvata dall'Aula della Camera, nonostante il parere contrario del Governo, come ricorda il sottosegretario all'Università, Luciano Guerzoni. È stato infatti reintrodotto l'emendamento, già cassato a Montecitorio, in base al quale gli studenti immatricolati con riserva nel 1999, che abbiano sostenuto almeno un esame, sono iscritti al secondo anno del relativo corso. Il Senato si avvia, dunque, a superare i "paletti" posti dalla Camera, che aveva previsto la possibilità per gli studenti di iscriversi al secondo anno di un altro corso di studi non a numero programmato, con l'obbligo delle università di riconoscere il percorso già effettuato in crediti formativi. Il Senato ha poi confermato una norma di salvaguardia per gli studenti iscritti con riserva nel 1999, che nel 2000/2001 abbiano di nuovo affrontato e (questa volta) passato i test per l'accesso: questi - che in base al superamento dei quiz 2000 dovrebbero essere iscritti al primo anno - sono invece altrettanto inseriti al secondo anno del relativo corso a numero programmato. Altrimenti risulterebbero ingiustamente penalizzati rispetto a quelli che hanno preferito "esimersi" dalle nuove selezioni. Anche in questo caso, verranno riconosciuti i crediti maturati nel 1999/2000. Inoltre, chi abbia fruito di borse di studio o delle agevolazioni connesse al diritto allo studio, per esempio l'assegnazione di un posto nelle residenze, mantiene il beneficio a patto di rispettare i requisiti di merito e di reddito. Dunque, se la Camera non tornerà sui suoi passi, si produrrà uno "strappo" rispetto alla legge 264/99, approvata dopo una sentenza (la 383/98) della Corte costituzionale. Di fatto ci sarà un'altra sanatoria, questa volta neppure giustificata dal fatto di azzerare il contenzioso prima dell'entrata in vigore di un nuovo quadro legislativo. L'ultimo "condono" era stato varato proprio con la legge 264/99, che aveva provveduto all'iscrizione di circa 5mila studenti nei confronti dei quali i giudici amministrativi, prima dell'entrata in vigore della norma (21 agosto 1999), avevano emesso ordinanze sospensive. Disciplinare l'accesso all'università - avevano detto i giudici di Palazzo della Consulta - è costituzionalmente legittimo, purché le restrizioni non siano decise dall'autorità amministrativa (il ministro dell'Università o gli atenei) in modo arbitrario ma secondo criteri adeguati. In particolare, la Corte aveva salvato il numero programmato per i corsi disciplinati da direttive europee. Che, per il riconoscimento dei diplomi nei Paesi Ue, fissano standard minimi "a garanzia che i titoli... attestino il possesso effettivo delle conoscenze necessarie all'esercizio delle attività professionali corrispondenti". Le direttive stabiliscono, inoltre, che agli studi teorici si accompagnino esperienze pratiche e di tirocinio. "E ciò implica e presuppone - concludevano i giudici costituzionali - che tra la disponibilità di strutture e il numero di studenti vi sia un rapporto di congruità, in relazione alle specifiche modalità di apprendimento". La sentenza 383/98 della Corte costituzionale aveva, quindi, ritenuto legittimi gli accessi "contingentati", a livello nazionale, per i corsi regolati da direttive comunitarie: medicina e chirurgia, veterinaria, odontoiatria e architettura. Un'indicazione poi recepita dalla legge 264/99, che ha incluso anche i diplomi dell'area sanitaria. La legge, ha inoltre previsto il numero programmato anche per i corsi in scienze della formazione primaria (dove il tirocinio fa parte del curriculum), le scuole di specializzazione e i corsi universitari di nuova attivazione; il numero di posti è definito ogni anno dal ministero dell'Università in base alla valutazione dell'offerta potenziale del sistema universitario, tenendo conto del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo. Accanto al numero programmato a livello nazionale, le università possono definire un tetto alle immatricolazioni per i corsi per i quali l'ordinamento didattico preveda posti-studio personalizzati o per i diplomi per i quali è previsto l'obbligo di tirocinio. ____________________________________________________________________ Unione Sarda 14 feb. '01 ESAMI:MEGLIO IL QUIZ DELL'INTERROGAZIONE "Il vero problema non sono i docenti ma gli esami, ormai inadeguati per una corretta valutazione della preparazione degli studenti". Il professor Roberto Crnjar (preside della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali) ne è talmente convinto da aver già adeguato ai tempi quelle che definisce verifiche di conoscenza. Ovviamente, nel rispetto delle norme che regolano la vita universitaria. "Come tanti colleghi ricorro ai test, che spersonalizzano la prova limitando il giudizio alla preparazione sulla materia. Gli studenti rispondono a una serie di domande su argomenti affrontati durante le lezioni. Credo che si debba limitare la valutazione a ciò che si è spiegato e non pretendere di più". Roberto Crnjar ha introdotto anche un'altra novità: "Il candidato può attribuirsi un voto, giudicando il proprio test, che confronterà poi con quello della commissione. Tra le due votazioni il più delle volte non c'è una grande differenza". Il professor Crnjar ha poi un sogno: "Avere in Italia un'università come quella americana, con i campus e un'interazione permanente tra i docenti e gli studenti. Si creerebbe così una parità di condizioni. Oggi, purtroppo, molti studenti sono penalizzati dal vivere lontano dalla sede dell'università e da tutti i problemi che il pendolarismo comporta". Ai test si ricorre ormai in molti esami. "Per noi sono la norma", spiegano Paola Zuddas e Luca Fanfani, docenti di Laboratorio di mineralogia alla facoltà di Scienze geologiche. "Ai candidati chiediamo di compilare un quiz e svolgere un esercizio. All'orale affrontano un'altra parte del programma". Zuddas e Fanfani sono rimasti stupiti nel vedere le loro materie inserite nella tabella degli "esami della paura" pubblicata domenica 4 febbraio. "Il fatto che la media sia bassa - spiegano - non significa che siamo eccessivamente severi, ma che preferiamo utilizzare interamente tutto lo spettro di voti , cioè da 18 a 30, piuttosto che far ripetere la prova più volte. I nostri studenti sono informati sui parametri di giudizio da noi adottati e possono quindi verificare la correttezza del nostro comportamento. Inoltre, l'esame viene preparato con lezioni ed esercitazioni e siamo sempre disponibili per qualunque chiarimento". ____________________________________________________________________ L'Unione Sarda 12 feb. '01 UNIVERSITÀ: GLI STUDENTI DANNO IL VOTO AI PROFESSORI Con i moduli anonimi di valutazione degli insegnamenti e dei servizi offerti dall'Ateneo Trentamila test per capire i bisogni e orientare la didattica Giovani e poco propensi alla diplomazia, gli studenti non vanno per il sottile. Riassumono in una parola il giudizio sui docenti che complicano la loro vita: "Carrogne". Che vuol dire tutto e niente. Indica certamente un'elevata difficoltà a superare l'esame, ma non chiarisce meriti o demeriti didattici. Si fonda su un unico parametro, la severità, tralasciando elementi fondamentali come la preparazione o la chiarezza nelle spiegazioni. A dire il vero, carrogna è solo un'espressione goliardica. E come tale va presa. Per esprimere un giudizio sui professori, gli studenti hanno però a disposizione uno strumento più complesso e attendibile: il "Nucleo di valutazione d'Ateneo". Reso obbligatorio da una legge del '99 si basa sulla compilazione di un questionario rigorosamente anonimo che viene decodificato da un lettore ottico. Serve a stabilire il grado di soddisfazione. Quest'ultimo diventa poi una sorta di bussola per orientare le strategie formative e l'organizzazione, adeguandole ai bisogni degli studenti. I risultati della valutazione vengono consegnati, per la parte che li riguarda direttamente, in via riservata ai docenti. Non viene cioè reso pubblico il giudizio espresso dagli studenti sul singolo professore. L'Università di Cagliari ha avviato questo sistema ancor prima che venisse imposto dalle norme nazionali. L'iniziativa è giunta al terzo anno e ora sono in fase di elaborazione i dati raccolti nell'anno accademico 1999-2000. Complessivamente sono sono stati compilati quasi trentamila questionari (esattamente 28962 su circa 40 mila iscritti) coinvolgendo 1072 insegnamenti, cioè il 65 per cento del totale. L'inchiesta interessa nove facoltà, 34 corsi di laurea e 17 di diploma universitario, di cui sei nelle sedi staccate di Nuoro, Oristano ed Iglesias. Parte del questionario è dedicata allo studente. Pur preservando l'anonimato, consente di individuare alcuni elementi sulla sua formazione di base e sulle difficoltà da lui incontrate. Lo fa con domande sull'età, la scuola di provenienza, sesso, anno di iscrizione, eventuale attività lavorativa da conciliare con gli studi, pendolarismo e quant'altro possa essere utile a trasformare problematiche individuali in generali analizzabili statisticamente. Vengono poi chieste informazioni sull'assiduità di frequenza ai corsi. Lo studente può quindi esprimere la propria soddisfazione, o insoddisfazione, sui servizi a lui offerti, sull'impegno richiesto, sugli orari, sull'organizzazione, sulla disponibilità di laboratori, aule o attrezzature. Per quando riguarda le lezioni, può giudicare contenuti, materiali didattici, capacità di comunicazione e disponibilità del docente a ricevere gli studenti e a dare spiegazioni in aula. Il tutto per giungere a un "voto" sull'utilità e l'efficacia dei metodi adottati. Nella parte finale del sondaggio si valuta il grado di soddisfazione complessiva del corso. Per ora, non è dato conoscere in dettaglio il risultato dell'indagine. L'Università fa comunque sapere che gli studenti si dichiarano complessivamente soddisfatti. La media di Ateneo è di 3,82 punti su cinque, e in tre facoltà supera il 4. Va peggio in quelle scientifiche (ad eccezione di Scienze matematiche, fisiche e naturali), dove lo scarto non supera comunque i 0,2 punti rispetto alla media. Dall'analisi dei dati è emerso che "l'apprezzamento dichiarato dagli studenti per un insegnamento è legato senza dubbio sia agli aspetti organizzativi sia alle capacità del docente". In proposito incidono notevolmente alcuni requisiti del professore: saper indicare con chiarezza gli obiettivi e i programmi de corso, spiegare in modo facilmente comprensibile, indicare gli aspetti più importanti, suscitare l'interesse, essere disponibile a fornire chiarimenti in aula. Non viene data invece troppa importanza all'inadeguatezza delle strutture e delle attrezzature. Almeno in generale, non in casi particolari, come Ingegneria dove sul livello di insoddisfazione pesa non poco il sovraffollamento in aula di cui soffrono anche gli iscritti in Scienze della formazione. Questi ultimi, però, non se ne lamentano più di tanto. "Ovviamente - sottolinea una nota dell'Ufficio per la valutazione - il livello di soddisfazione degli studenti non può essere confrontato tra le varie facoltà, sia perché non si possono effettuare paragoni tra facoltà molto diverse ( come, ad esempio, Giurisprudenza e Scienze matematiche, fisiche e naturali) sia perché le aspettative degli studenti variano molto da facoltà a facoltà, così come variano molto le percezioni che hanno gli studenti dei loro docenti e dell'organizzazione" Ma quel che condiziona di più nella formulazione del giudizio è l'impegno richiesto. Si scopre così che "nella tre facoltà in cui gli studenti si dichiarano maggiormente soddisfatti, l'impegno richiesto è più basso della media di Ateneo, mentre dove la soddisfazione è minore l'impegno richiesto è notevolmente più elevato rispetto alla media di Ateneo". Formulata in altri termini e con il supporto di una rigorosa metodologia riemergono così i fondamenti della teoria della carrogna . Solo che ha un altro nome e si esprime attraverso il cosiddetto coefficiente di correlazione. Detto in soldoni spiega un fatto semplice, semplice: più è faticoso superare gli esami e meno gli studenti sono soddisfatti. Quando questo rapporto si esaspera, l'insoddisfazione assume il volto della carrogna. Una proiezione, insomma, delle proprie difficoltà e su chi viene individuato, a torto o a ragione, come la causa. Con buona pace delle statistiche e del loro indiscutibile valore. Stefano Lenza ____________________________________________________________________ L'Unione Sarda 15 feb. '01 POLEMICA A SCIENZE POLITICHE il preside getta acqua sul fuoco, gli studenti di destra attaccano Una facoltà in guerra o una pacata scuola di dibattito? A seconda di chi la descrive, la facoltà cagliaritana di Scienze politiche - dove sono stati ritrovati i volantini "antiPolo" - cambia completamente volto. Il preside Gianfranco Bottazzi smentisce "nel modo più categorico" le notizie che la popolazione universitaria ha appreso dal giornale "relativamente a un presunto clima di intimidazione e a volantini che circolerebbero "da qualche tempo" nei corridoi della Facoltà". Fra le aule, spiega il professore, "è naturalmente e legittimamente presente una dialettica politica tra diverse posizioni, ma gli studenti della Facoltà sono semmai un esempio di civile confronto, molto più sereno e pacato di quanto non sembri avvenire nel panorama politico regionale e nazionale". Ma se il preside, che si unisce a chi condanna ogni forma di intolleranza, ribadisce "la totale infondatezza di ogni allusivo coinvolgimento della Facoltà", alcuni studenti sono di tutt'altro avviso: "Il preside sa benissimo chi fa queste scritte. Purtroppo nella nostra facoltà il clima non è sereno come si vuole far credere: destra e sinistra neppure si salutano e ogni volta che ci sono le elezioni si sfiora la rissa". "Lo scontro - racconta Giulio De Sotgiu, fondatore della lista "Scienze politiche" - è tra lo schieramento di destra, di cui noi facciamo parte assieme alla lista "Nuovo Ateneo", e quello di sinistra rappresentato da Unione studentesca: non c'è iniziativa che i nostri avversari non ci boicottino, sia che si tratti di una festa che di un convegno. La verità è che il gruppo della sinistra ha trasformato la facoltà in un luogo dove si fa politica, come dimostra l'uso strumentale dell'aula studenti, ormai ridotta a un circolo politico vero e proprio". Un clima che, a detta degli interessati, diventa rovente sotto le elezioni universitarie: "Alle ultime elezioni universitarie - dice Luca Frongia, uno dei tre rappresentanti "piazzati" dalla lista Scienze politiche - un ragazzo è stato aggredito vicino all'aula studenti, e ogni volta che organizziamo un convegno siamo costretti a chiamare la sicurezza, a nostre spese naturalmente: è l'unico modo per difenderci dalle azioni di disturbo della sinistra". ____________________________________________________________________ Corriere Della Sera 16 feb. '01 UNIVERSITÀ, ALBERONI LASCIA LO IULM E ACCUSA: CORRUZIONE NELL'ATENEO Milano, era rettore dal '97: la sua gestione aveva rilanciato l'istituto specializzato in lingue e comunicazione Le dimissioni del sociologo: corruzione nell'ateneo. La replica del vertice: lo quereliamo Milano. La rottura si è consumata a San Valentino e del resto, dalle liti furibonde agli strascichi legali, tutto ricorda il classico epilogo dei grandi amori finiti male. Francesco Alberoni si è dimesso ieri da rettore dello Iulm, la "libera università di lingue e comunicazione" fondata nel '68 da Carlo Bo e Silvio Baridon, dov'era arrivato nell'86 e che guidava dal '97. Non che l'abbia mandata a dire: "Mi sono battuto contro ciò che considero pratiche di corruzione, incompatibili con i fini e la dignità del nostro ateneo", ha scritto tra l'altro in una lettera indirizzata urbi et orbi a tutte le autorità accademiche, al personale, agli studenti, ai rettori delle università lombarde, al sindaco di Milano e al presidente della Regione, alla Camera di Commercio e alla Fondazione Cariplo, perfino al ministro dell'Università. Ovvio che il consiglio di amministrazione non l'abbia presa bene. Lunedì i vertici dell'ateneo si riuniranno, s'annuncia una querela per diffamazione all'ormai ex rettore. Anche perché la causa scatenante della rottura, la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso, è stata a quanto pare una banale questione di nomine: Alberoni desiderava che a coordinare i corsi di scienze turistiche fosse il professor Emanuele Invernizzi, direttore dell'istituto di Economia e Marketing, ma le cose sono andate altrimenti. E il confronto con il consiglio d'amministrazione ed il suo presidente, Gilberto Gabrielli, non è stato dei più lievi. Il rapporto, come si dice, si era logorato da tempo. Nell'ateneo c'era chi accusava il rettore d'essere una sorta di "satrapo", la stessa nomina a professore ordinario della moglie, Rosa Giannetta, non era passata senza resistenze e malumori. A questo punto il prorettore Marino Livolsi è il più probabile candidato alla successione. I vertici dell'università hanno comunicato le dimissioni con quattro righe gelide: "Il senato accademico ha preso atto con rammarico delle dimissioni del professor Francesco Alberoni da rettore e le ha trasmesse al consiglio di amministrazione per competenza". Fine delle trasmissioni. E di un rettorato durante il quale, comunque sia, l'università è fiorita. Dall'89 sono cresciuti i corsi, gli studenti passati da 5.800 a 7.500, lo spazio da 4 mila metri quadrati in affitto a 30 mila di proprietà. E poi c'è il progetto di un "Campus" da 100 mila metri quadrati, con tanto di servizi e alloggi. Il piano di recupero di una delle storiche aree dismesse di Milano, 21 mila metri quadrati, è già stato approvato, i lavori sono iniziati. Eppure, scrive il sociologo, "con il successo e l'aumento della ricchezza sono aumentate anche le ambizioni, le avidità e i tentativi di impadronirsi del potere dell'università a tutti i livelli. Si sono affacciati anche da noi i metodi diffusi in molte altre università, di spendere il denaro non in vista del fine ideale, ma per conquistare maggioranze nei vari consigli, per crearsi degli alleati, dei clienti, secondo una logica politica". E ancora: "Si sono diffuse modalità del decidere le spese che suscitano in me perplessità. E so che sono stati tali metodi perversi a portare alla rovina quasi tutte le università libere". È qui che parla della sua lotta "contro ciò che considero pratiche di corruzione", non meglio definite. Più oltre scrive di "aver fatto presente questi pericoli in tutte le sedi. Ho constatato che sono stati considerati segno di eccessivo allarmismo. Ma non era così. Infatti, le ambizioni personali, gli interessi di parte diventano sempre più forti e stanno già intaccando il funzionamento dell'ateneo". Ma non basta : "Mi sono reso conto che io personalmente costituisco l'unico ostacolo a interessi, metodi, stili (...) diffusi nei nuovi gruppi dirigenti". Così, "per non essere complice di chi considero dei distruttori e lasciare solo a loro la responsabilità", Alberoni si dimette: "Non posso e non voglio assistere alla corruzione di una impresa che è stata intrapresa con scopi nobili e disinteressati. Non posso restare in rapporto con persone che non stimo e di cui non mi fido". ================================================================== ____________________________________________________________________ Corriere Della Sera 13 feb. '01 "SULLE CURE DEL FUTURO ITALIA IN PRIMA FILA CON BEN 75 ROGETTI" Glauco Tocchini Valentini: "Adesso il ruolo dei nostri laboratori non sarà più marginale" Foresta Martin Franco IL PIANO DEL CNR "Sulle cure del futuro Italia in prima fila con ben 75 progetti" ROMA - L' Italia, che ha avuto un ruolo marginale nel sequenziamento del genoma, tenta il recupero lanciando un grande programma di ricerca denominato "Genomica funzion ale". Si tratta di 75 progetti che avranno come tema il funzionamento e le alterazioni dei geni dell' uomo, con lo scopo di mettere a punto nuove terapie per la cura di molte malattie, non solo di origine genetica. Ce li illustra il professor Glauco Tocchini Valentini, direttore dell' Istituto di biologia cellulare del Cnr e responsabile dell' iniziativa. SELEZIONE - "Il primo elemento di novità consiste nel modo con cui sono stati selezionati i 75 progetti - sottolinea il professor Tocchini Val entini -. Un modo che non esito a definire rivoluzionario per il nostro sistema ricerca. Abbiamo raccolto 466 proposte e le abbiamo sottoposte alla valutazione di due grandi istituti internazionali: il Laboratorio europeo di biologia molecolare di He idelberg e il Cnrs di Strasburgo. La selezione è stata molto severa, dovendo tenere conto anche delle limitate risorse: 20 miliardi per i prossimi due anni. Altrimenti molti altri progetti avrebbero meritato di essere approvati". UOMO E ANIMALI - Anc he se l' oggetto principale dello studio sono le funzioni dei geni dell' uomo, poiché non è possibile fare esperimenti genetici su esseri umani, molti progetti prenderanno in esame cavie animali. "L' uomo possiede circa 30 mila geni. Migliaia di ques ti sono in comune con forme più elementari di vita come batteri, vermi, moscerini; ma soprattutto con piccoli mammiferi come i topi - spiega lo scienziato -. Posto che si voglia tentare di capire, per esempio, il meccanismo di alterazione del gene ch e provoca la fibrosi cistica nell' uomo, si può rintracciare lo stesso gene in una cavia e alterarlo per studiare come insorge la malattia. Il tutto è finalizzato a trovare un rimedio terapeutico". INFEZIONI - Ma, a parte le malattie genetiche , anche la lotta alle più banali malattie infettive potrà trarre giovamento da questi studi. "Nell' arco della mia carriera ho assistito alla sconfitta delle infezioni batteriche ma, successivamente, anche al loro ritorno a causa, per esempio, della resistenza agli antibiotici da parte di alcuni ceppi batterici. Il sequenziamento del genoma di un batterio e l' individuazione del gene responsabile di produrre le tossine che attaccano le cellule umane ci permetterà di sintetizzare il farmaco effic ace, a base di molecole che inibiscono le tossine dannose". Il progetto "Genomica funzionale" coinvolge dodici diverse aree di ricerca nell' ambito delle scienze biologiche e, in maniera equilibrata, università e istituti di ogni parte d' Italia. "Qu anto ai finanziamenti - osserva Tocchini Valentini -, pur apprezzando lo sforzo del governo che li sta incrementando, sarebbe necessario un budget almeno dieci volte maggiore". Franco Foresta Martin Arretrati ____________________________________________________________________ L'Unione Sarda 17 feb. '01 CUP: PARTIRÀ ENTRO L'ESTATE IL CENTRO DI PRENOTAZIONE È in arrivo il "Cup" regionale, ovvero il centro di prenotazione. Il progetto è promosso dall'assessorato regionale alla Sanità, nell'ambito di un programma ministeriale per il monitoraggio e il governo delle liste d'attesa. Come prima fase, in via sperimentale, dovrebbe essere avviato nell'area metropolitana di Cagliari. La sperimentazione avverrà in più stadi successivi: già dalla prima fase si realizzerà un call center metropolitano e regionale (entro l'estate) in grado di fornire informazioni a tutta la popolazione sia sui tempi d'attesa che sull'erogabilità delle prestazioni sanitarie sul territorio regionale. Entro i sei mesi successivi sarà avviato il "cup" metropolitano, che consentirà a tutti gli utenti di prenotare da qualsiasi punto tutte le prestazioni erogate dalle strutture delle tre aziende coinvolte, garantendo così trasparenza ed equità di trattamento, ed evitando ai cittadini inutili e costosi spostamenti. Il nuovo "cup" metropolitano sarà accessibile attraverso gli sportelli tradizionali, il call center, le farmacie, un nucleo sperimentale di medici di famiglia. Dopo la sperimentazione, il servizio sarà esteso a tutta la Regione: i cittadini avranno la possibilità di prenotare da qualsiasi punto della Sardegna e senza spostarsi da casa. Un accordo sindacale, invece, riguarda la riduzione delle liste d'attesa, promozione di adeguate campagne sulla prevenzione, l'attivazione capillare dell'assistenza domiciliare integrata. ____________________________________________________________________ L'Unione Sarda 14 feb. '01 GENOMA: LICINIO CONTU HA VINTO LO SCONTRO COL RETTORE MISTRETTA Arrivano i fondi per il genoma dei sardi La Regione assegna 3 miliardi e mezzo all'Asl per finanziare la ricerca del genetista Il professor Licinio Contu ha vinto la sua battaglia, l'Università di Cagliari ha perso. Dopo un serrato duello col Rettore Pasquale Mistretta, il genetista ha ottenuto che i tre miliardi e mezzo destinati dalla Regione alla ricerca sul genoma dei sardi siano tolti all'ateneo e assegnati alla Asl 8. Lo ha deciso la Giunta regionale su proposta dell'assessore alla Programmazione Pietro Pittalis. Una brutta botta per l'università di Cagliari, che Contu non ha voluto commentare, dopo essersi battuto sino all'ultimo per evitare quello che considerava un autentico sopruso. Per capire meglio i contorni della vicenda, è necessario compiere un passo indietro, sino al 20 marzo dell'anno scorso, quando all'assessorato alla Programmazione si tenne una conferenza stampa per presentare alcune importanti iniziative nel campo della ricerca scientifica. Alla presenza, tra gli altri, del Rettore Pasquale Mistretta e del professor Licinio Contu, l'assessore Pittalis annunciò che la Regione avrebbe finanziato con tre miliardi e mezzo uno studio sul genoma dei sardi. Destinatario, il professor Contu. Dopo le felicitazioni di rito, la pratica amministrativa iniziò un iter piuttosto rapido. In particolare, fu nominata una commissione di esperti che approvò il progetto della ricerca. Subito dopo, l'assessorato alla Programmazione preparò la convenzione tra la Regione e l'Università. Il documento fu consegnato ai primi di ottobre in rettorato e lì si fermò. Rimbalzò da un ufficio all'altro, mentre Contu attendeva con comprensibile trepidazione. Trascorse così il mese di ottobre, poi novembre e dicembre. Il genetista si informava, esercitava pressioni ma non riusciva a capire cosa stesse succedendo. A gennaio perse la pazienza e denunciò la singolare situazione che vedeva l'università prender tempo mentre la Regione intendeva assegnarle un finanziamento di tre miliardi e mezzo. Il "mistero" fu svelato dal Rettore Mistretta: il professor Contu l'anno venturo andrà in pensione, quindi non può gestire una ricerca che implica, tra l'altro, funzioni assistenziali (cioè l'uso delle attrezzature della clinica universitaria). Contu la prese male. In questo studio di assistenza non se ne parla neppure - ribatté - e comunque, se c'era un problema del genere, il Rettore me lo avrebbe dovuto dire prima che che io accettassi l'incarico. Il resto è storia di ieri. Con l'intervento dell'assessore Pittalis, che ha dirottato il finanziamento dall'università alla Asl 8, dove Contu potrà finalmente curare lo studio sul genoma. Lucio Salis ____________________________________________________________________ L'Unione Sarda 11 feb. '01 PER I MANAGER PUBBLICI AUMENTO DI 80 MILIONI ALL'ANNO Dirigenti pubblici, arriva il contratto ROMA Accordo in vista per il nuovo contratto di oltre 7 mila dirigenti pubblici (di cui meno di 500 sono alti burocrati dello Stato) che dovrebbe renderli sempre più simili ai manager del settore privato. "L'aumento economico - secondo il coordinatore del dipartimento sindacale della Fp-Cgil, Gianni Nigro - dovrebbe aggirarsi in media su 80 milioni annui lordi per i dirigenti generali e su 17 milioni per quelli di seconda fascia che sono assai più numerosi". Per martedì prossimo, è previsto il nuovo round tra Aran (l'agenzia per la contrattazione nel pubblico impiego) e i sindacati dopo l'ultima riunione che si è svolta in questa settimana e che ha portato ad un avvicinamento delle posizioni. Si tratta di un "contrattone" perché interessa - ed è questa ancora un'altra novità - i dirigenti di ben cinque comparti: ministeri, parastato, università, ricerca, aziende autonome. Il contratto, dunque, porterà nella categoria una ventata di managerialità. "Ci saranno massima trasparenza e garanzia - dicono i sindacati - per gli incarichi, i reincarichi, la loro revoca e l'eventuale recesso". Ecco, in sintesi, i contenuti dell'accordo che si profila dopo l'ultima riunione che si è tenuta questa settimana. Parte economica: per i dirigenti generali il trattamento proposto è di circa 130 milioni annui lordi (90 milioni, comprensivi dell'indennità integrativa speciale, di retribuzione base e 40 milioni di retribuzione di posizione); per la seconda fascia, invece, 85 milioni annui lordi (70 milioni comprensivi sempre dell'indennità integrativa speciale di paga base e 15 milioni di indennità di posizione). Per i dirigenti di prima fascia poi vanno aggiunti gli importi dei contratti individuali. La Finanziaria ha previsto una somma aggiuntiva di cento miliardi: il 40% ai dirigenti generali; il 60% per quelli di seconda. Da qui, l'aumento di 80 milioni annui lordi medi per i dirigenti di prima fascia e i 17 milioni per quelli di seconda che sono di gran lunga più numerosi. Incarichi: la loro attribuzione dovrà avvenire sulla base di criteri indicati nel contratto vincolanti per le amministrazioni. Quando l'incarico scade, in assenza di una valutazione negativa, il nuovo non potrà essere di livello inferiore ma equivalente o superiore. Dirigenti "in parcheggio": se parcheggiati presso la Presidenza del Consiglio continueranno a percepire, oltre allo stipendio, l'indennità di posizione che sarà ridotta del 50% dopo sei mesi. Licenziamento immotivato: in questo caso, il dirigente potrà essere reintegrato in servizio facendo ricorso agli istituti della conciliazione e dell'arbitrato. ____________________________________________________________________ L'Unione Sarda 12 feb. '01 RIVELATI I SEGRETI DEL GENOMA UMANO Oggi gli scienziati apriranno gli archivi e illustreranno nelle principali città del mondo i risultati di anni di ricerche Sono nascosti nelle proteine i meccanismi biologici dell'uomo ROMA Il patrimonio genetico umano è meno complesso di quanto non si credesse, a quanto hanno accertato due gruppi di scienziati che hanno fatto la mappa del genoma umano e sono arrivati a risultati diversi, anche se non molto divergenti. Un gruppo internazionale di scienziati, finanziato con fondi pubblici americani e britannici, ha calcolato che i geni umani sono 30.000-40.000. Un altro gruppo, finanziato dall'azienda americana Celera Genomics, ha stabilito che i geni sono 26.000-38.000. Prima che venissero svolte queste ricerche si credeva che i geni umani fossero circa 150.000. Ambedue i gruppi presenteranno oggi i propri risultati in diverse capitali. Il gruppo finanziato con capitali pubblici americani e britannici pubblicherà la sua sequenza del genoma umano sulla rivista "Nature". L'altro gruppo stamperà la sua sulla rivista "Science". Sono nascosti nelle proteine gran parte dei segreti dei meccanismi biologici umani. Le proteine, più dei geni, emergono come vere protagoniste delle scoperte legate al Progetto Genoma. La riduzione del numero dei geni presenti nel codice genetico umano, per gli scienziati americani che lavorano sul genoma, comporta rivalutare il ruolo delle proteine, per la cui sintesi i geni contengono le informazioni necessarie. "Gran parte dei processi biologici avviene a livello delle proteine, non del Dna", ha detto Craig Venter, presidente della Celera Genomics, la società privata impegnata nella sfida con il consorzio pubblico angloamericano per la mappatura del patrimonio genetico umano. Gli scienziati di entrambi i gruppi sono convinti adesso che il codice genetico umano, più che essere una formula che contiene la risposta a tutti gli interrogativi sulle caratteristiche e le malattie di una persona, assomiglia invece di più ad un cartello stradale. Il codice genetico è un' indicazione di massima, ma ciò che definisce un essere umano non sono le singole parti di quel codice, ma le modalità con cui conducono alla produzione di proteine. "Questo dimostra anche quanto siano irrilevanti i brevetti dei geni umani", ha detto Venter. "L'industria farmaceutica sostiene che ad ogni gene deve corrispondere un brevetto e quindi una medicina. Ma i casi in cui un approccio di questo genere è realmente utile si contano sulla dita di una mano. I geni non determinano se avrai il cancro al colon. Possono indicare se c'è la possibilità di un rischio maggiore di un tumore di questo genere". Gli ultimi risultati presentati dal team di Venter e dal consorzio pubblico, con la sostanziale riduzione del numero dei geni e la conseguente crescita di attenzione per le modalità con cui i geni operano, hanno suscitato anche reazioni polemiche negli Usa. Secondo William Haseltine, della società "Human genome sciences", che possiede un centinaio di brevetti genetici, i ricercatori dei due gruppi "hanno perso moltissimi geni che noi sappiamo esistere: ne mancano la metà, forse di più". Haseltine e i suoi ricercatori si dicono convinti che ci siano almeno 120.000 geni nel codice umano. Ma i due gruppi che guidano il Progetto Genoma sono ormai convinti che lo scenario sia diverso. "Ci sono assai poche malattie che sono causate da un singolo gene - afferma Ari Patrinos, che ha seguito le ricerche del consorzio pubblico per conto del Ministero dell'Energia degli Usa - e sta crescendo la consapevolezza che i nostri geni non controllano tutto". Una sempre maggiore importanza, alla luce dei risultati delle ricerche presentate in questi giorni, viene data a quella parte del Dna che viene chiamata "spazzatura". Un'area dove si accumulano "cianfrusaglie" genetiche di ogni genere - come quelle portate da attacchi di batteri - fino ad oggi ritenute di secondaria importanza: proprio in questa parte del Dna, però, potrebbero invece nascondersi molte risposte. Gli scenari sono ancora tutti da esplorare. "Improvvisamente è come se avessimo l'immagine della Terra vista dalla Luna, ed è piuttosto eccitante", ha detto Harold Varmus, ex direttore dell'Istituto nazionale della sanità negli Usa. ____________________________________________________________________ Le Scienze 17 feb. '01 VERSO IL COMPLETAMENTO DEL GENOMA Si cominciano ad acquisire anche le informazioni sui telomeri Alcuni tratti del genoma umano, di cui tanto si parla, non sono ancora stati analizzati completamente. È questo il caso dei telomeri, che sono, per così dire, le estremità dei cromosomi. I telomeri sono stati solo parzialmente inclusi nella sequenza pubblicata proprio perché hanno proprietà uniche che li rendono difficili da isolare e analizzare. Su questo problema ha lavorato un gruppo dell'istituto The Wistar di Philadelphia. I ricercatori hanno così scoperto alcune caratteristiche importanti dei telomeri, come il fatto che essi esibiscono notevoli variazioni da individuo a individuo. I telomeri e le regioni adiacenti, chiamate subtelomeriche, rappresentano solo l'uno per cento del materiale genetico umano, ma sono estremamente importanti. Quando la macchina cellulare che gestisce i telomeri viene danneggiata, la cellula non riesce più a dividersi correttamente, che è una delle caratteristiche dei tumori. Ma i telomeri hanno anche altre importanti funzioni, come quella di regolare l'invecchiamento delle cellule. Per analizzare i telomeri, i ricercatori hanno sviluppato un particolare veicolo di clone a partire da un lievito, per produrre copie delle regioni dei telomeri di DNA umano. La sequenza pubblicata fu ottenuta invece con un veicolo di clone batterico, che di solito non include completamente le regioni dei telomeri. I ricercatori hanno trovato che alcune regioni subtelomeriche presentano lunghe e complesse serie di DNA ripetitivo, mentre altre non ne hanno quasi per nulla. Almeno per 18 dei 46 telomeri del genoma umano, la combinazione e l'organizzazione di queste sequenze può variare fortemente da persona a persona. Questo schema di variazioni a grande scala non è presente in altre regioni del genoma umano e suggerisce quindi che i telomeri siano più facilmente soggetti a variazioni e quindi a evoluzione. ____________________________________________________________________ Il Sole24Ore 14 feb. '01 GENOMA, È CORSA AL BUSINESS NEW YORK Lo chiamano il "Libro della Vita". È la mappa genetica, un agglomerato di codici, espresso da combinazioni di quattro lettere, A, T, C, G. Per essere pubblicata, la catena di 3,1 miliardi di "coppie base" per decifrare i 23 cromosomi, avrebbe bisogno di uno spazio di 75mila pagine del nostro giornale. Al traguardo sono arrivati in due, il consorzio pubblico per il progetto sul Genoma umano e Celera, un'azienda che ha finanziato privatamente un progetto analogo e che appare in vantaggio almeno sotto il profilo degli affari. Il pubblico, finanziato principalmente da fondi angloamericani, e il privato erano in concorrenza e litigavano. Il presidente Clinton li ha costretti a fare la pace lo scorso giugno, quando hanno annunciato insieme l'assemblaggio della mappa. Ieri, a Washington e Londra, i due gruppi hanno confermato le anticipazioni di due articoli che usciranno ufficialmente nei prossimi giorni sulle riviste "Nature" e "Science". Non sono però mancate le polemiche. Il consorzio pubblico accusa il gruppo privato di aver sostanzialmente "copiato" le ricerche iniziali del consorzio, dipsonibili a tutti. Celera ha naturalmente negato nel corso di un'intervista di Craig Venter, il suo fondatore, alla Cnbc. Intanto ci sono due fatti nuovi importanti. Il primo è che la mappa umana è formata da circa 30mila geni e non dai 100mila stimati fino a oggi (a voler essere precisi Celera ha identificato 26.588 geni, stimando che ve ne potrebbero essere altri 12mila; il consorzio afferma che vi sono fra i 30 e i 40mila geni). Il secondo è che 100 milioni di anni fa il topo e l'essere umano avevano uno stesso genitore: rispetto ai topi noi umani abbiamo il vantaggio di circa 300 geni (non sembra un gran cosa sui circa 30mila ma, del resto, un verme ne ha poco meno di 20mila). L'importanza di questi risultati è straordinaria perché delimita di molto il campo di ricerca, e potrebbe consentire l'ingresso in tempi più brevi del previsto nell'era del trattamento genetico per malattie incurabili. Ed è da questo punto di vista che Celera, come aveva promesso Venter, appare avvantaggiata grazie a un modello più completo e soprattutto accessibile. A differenza del progetto pubblico, che aveva come obiettivo la ricostruzione della mappa per renderla disponibile a tutti, Venter aveva in mente un modello di "business". E su questo campo ha di fatto battuto la concorrenza pubblica. Tutte e due le squadre si erano impegnate a rendere pubblica la mappa genetica. Celera però ha cercato di aggiungere alla mappa degli "accessori" di software che consentono al ricercatore di identificare molto più rapidamente il loro campo d'azione, senza perdere tempo prezioso in un intreccio di labirinti impossibili. E lo ha messo sul mercato già dall'anno scorso, sulla base della mappa assemblata allora. Colossi farmaceutici come la Pfizer o la American Home Product o la Wyeth Ayerst, ma anche aziende biotecnologiche più piccole, come la Immunex, hanno acquistato la sottoscrizione per l'accesso ai software speciali di Celera (Cra) che consentono un'eleborazione rapida dei dati disponibili su una mappa che parte dai due estremi della catena. La mappa del Consorzio pubblico parte invece solo da un estremo e rende perciò più difficile la ricostruzione di "territori genetici". Grazie alla sottoscrizione, la Immunex, a esempio, ha identificato la scorsa estate una nuova serie di geni per produrre i "Cytokine", una famiglia di segnali chimici fra le cellule di sistema immunitario. La catena di produzione è dunque già in moto. Celera mette a disposizione la mappa genetica e gli "accessori" per esplorarla e sfruttarla. Le compagnie biotecnologiche identificano nella mappa geni utili alla loro ricerca e cercano di trasformare in un prodotto le soluzioni che hanno identificato. A quel punto, visto che la mappa genetica e lo sfruttamento dei singoli geni è un patrimonio comune, brevettano il prodotto e lo mettono sul mercato. La frontiera è appena delineata, ma lo spazio che si apre davanti a questo settore è enorme. Non è un caso se ieri il titolo Celera ha avuto un guadagno in Borsa superiore al 17,31%, che ha portato le quotazioni intorno ai 49 dollari. Non dimentichiamo però che il prezzo massimo è stato nelle ultime 52 settimane di 276 dollari, il minimo di 27. La strada sarà lunga e, nonostante la mappa e il software per interpretarla, non sempre facile. ____________________________________________________________________ Corriere Della Sera 11 feb. '01 IL FARMACO CONTRO LA MOSCA TZÈ TZÈ? E' UN ANTIRUGHE De Bac Margherita Il farmaco contro la mosca tzè tzè? E' un antirughe ROMA - Un farmaco miracoloso contro la malattia del sonno. E una crema antirughe. Cosa hanno in comune? L' eflornitina, una molecola già conosciuta da qualche anno come la più efficace e la meno dan nosa per curare gli africani, soprattutto in Gambia e Zimbabwe, sprofondati nel coma dopo la puntura della micidiale mosca tzè tzè. Nuovi studi su questo principio attivo hanno permesso di arrivare a conclusioni risolutive per il destino del farmaco: funziona anche sulla pelle, levigando i segni dell' invecchiamento. Grazie alle vendite della crema nel mondo occidentale (dove un tubo arriva a costare 45 dollari), sarà possibile commercializzare l' eflornitina in Africa a prezzi abbordabili. Seco ndo l' Herald Tribune, la multinazionale Bristol Myers Co e la Gillet Co hanno già messo a punto l' antirughe, che si chiama Vaniqa, e la Bristol è molto vicina ad un accordo con l' Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) e l' associazione "Medici senza frontiere" per produrre l' antisonno in forma iniettabile. Ogni anno la malattia della mosca tzè tzè, la tripanosomiasi, colpisce 300 mila persone. L' eflornitina è l' unico rimedio "miracoloso". Ma per ora virtuale. La multinazionale non avev a più interesse a produrlo da quando è stato dimostrato che non funziona contro i tumori. Medici senza frontiere sono rimasti con una scorta di mille dosi. "È vero, stiamo lavorando in questa direzione, ma ci sono ancora dei problemi nella formulazio ne. L' obiettivo è ottenere la riduzione del prezzo base della molecola", conferma Ayo Oduola, esperto di malattie tropicali dell' Oms. L' industria, accusata di lavorare solo per il mondo occidentale, si riscatta con una "buona azione" (involontaria ) a favore dei continenti poveri. Margherita De Bac mdebac@rcs.it ____________________________________________________________________ Corriere Della Sera 14 feb. '01 IL DOLORE FISICO AI GIORNI NOSTRI Ronchey Alberto La nuova legge e un' altra questione bioetica IL DOLORE FISICO AI GIORNI NOSTRI di ALBERTO RONCHEY Entra in vigore la legge sulla terapia del dolore fisico "severo", secondo il gergo dell' Organizzazione mondiale per la Sanità, che permette ai medici prescrizioni più generose di morfina e antidolorifici d' efficacia simile, consentite già da tempo in altre nazioni europee. Finora, le norme di legge in Italia erano fra le più restrittive o arretrate nel concedere sollievo alla sofferenza, mentre i medici rischiavano l' accusa di spaccio. Lo sa bene chiunque abbia subìto certe prove davvero severe, lo ignora chi per buona sorte non abbia mai sofferto e visto soffrire "sotto la zanna feroce". Ora, non senza opportune precauzioni contro il risc hio di favorire la tossicodipendenza da oppiacei, vengono almeno consentiti dosaggi fino a trenta giorni e anche d' uso domiciliare per gli affetti da "patologie tumorali o degenerative". Sarebbe stata forse giustificabile qualche maggiore concession e per chi, affetto da innumerevoli altri mali, non trova sollievo nei blandi analgesici di rito sbrigativo e convenzionale, ma è decaduta una dogmatica proibizione. Persino chi ha saputo sopportare il male fisico elevando al massimo la propria soglia di resistenza è consapevole che la capacità d' autocontrollo psichico e la tempra più vigorosa incontrano limiti insuperabili, almeno per l' umanità del nostro tempo. Non siamo gladiatori, né primati appena scesi dagli alberi. Eppure sull' antichiss imo soffrire dopo la comparsa degli umani nel tardo Pleistocene, affiorano differenti concezioni e valutazioni. A fine gennaio, proprio quando il Senato accordava l' approvazione finale all' attesa legge, presso l' Università Lateranense s' apriva un convegno sulla "dignità del vivere e del morire", laddove un eminente cardinale dichiarava l' assenso all' uso della morfina per i malati terminali, come alternativa "molto umana" rispetto a quella controversa eutanasia che in Olanda e in Svizzera c hiamano "dolce morte" o "suicidio assistito". Ora l' ammissione confessionale dell' uso di morfina è certo apprezzabile, ma perché la facoltà di lenire i patimenti si dovrebbe limitare ai malati terminali? La sofferenza, in ogni stadio di tante malat tie, può risultare prolungata e atroce, dunque nel nostro tempo disumana. "La morte - rispondeva il porporato in quel convegno - è la fine di tutto, ma è anche l' inizio d' una dimensione totalmente nuova, nella cui prospettiva anche la soffer enza ha un senso" (Corriere, 28 gennaio). Salvifica penitenza, quasi come il cilicio e l' autoflagellazione? Sarà così, per chi ha il conforto di crederlo e per dottrina confessionale. Ma si dovrebbe apprendere o sapere che il dolore fisico più aggre ssivo spoglia le persone da quella dignità che tutti e in ogni sede, civile o religiosa, proclamano di voler tutelare, anzi le riduce come animali feriti nel selvaggio stato di natura. E poi, se il dolore "ha un senso", perché si concede l' anestesia nelle sale chirurgiche? La prevedibile risposta è che il chirurgo, altrimenti, non potrebbe operare. Senza dubbio è vero, ma perché si ricorre alla chirurgia? Oltreché per estirpare un male, spesso proprio per sottrarsi a qualche specifico dolore. A questo punto, non si tratta solo di resistenza individuale o della fragilità d' animo imputabile all' edonismo delle società contemporanee, ma di rigetto della tortura come abiezione che non significa espiazione o purificazione. È in causa, propriamente, una questione morale che implica un' omissione di soccorso doverosa con le risorse della medicina e della farmacologia nel nostro tempo. In ogni biblioteca, si possono consultare pregevoli trattati scientifici sulla storia del dolore umano attraverso i secoli e i millenni. C' è molto da imparare, anzitutto nei testi delle antiche scuole di medicina, sui patimenti subìti dalla specie nel corso dell' evoluzione, su quel retromondo che fu definito "il lunghissimo corteo dei nostri sofferenti antenati" e sulla nozione aggiornata della minima dignità personale. ____________________________________________________________________ Le Scienze 14 feb. '01 LA PRIMA MEDICINA CONTRO LA SEPSI Il farmaco non è privo di effetti collaterali, seppure limitati Un gruppo di scienziati di diverse istituzioni internazionali hao annunciato sul "New England Journal of Medicine" di avere scoperto la prima medicina in grado di curare la sepsi. L'importanza del risultato è tale che la pubblicazione, prevista per marzo, è stata anticipata di un mese. La sepsi è una infezione batterica del sangue, che provoca una serie di reazioni chimiche che producono vaste infiammazioni e una coagulazione anormale del sangue. Spesso la sepsi, di cui si verificano circa 750.000 casi all'anno nei soli Stati Uniti, uccide distruggendo letteralmente gli organi interni del malato. Le cause della sepsi possono essere molteplici, dalla polmonite ai traumi, fino alle complicazioni chirurgiche. Normalmente la sepsi viene curata con antibiotici e sistemi di respirazione forzata, che cercano di evitare l'insufficienza polmonare, ma senza attaccare direttamente l'infiammazione sanguigna. Il nuovo farmaco è un derivato di una sostanza normalmente presente nel sangue, la vitamina C attivata, che normalmente contiene le infezioni e limita la coagulazione. Le prove cliniche sono state svolte su 1690 pazienti in 11 diverse nazioni. Alla metà dei pazienti il farmaco è stato somministrato per quattro giorni, direttamente per via endovenosa, mentre l'altra metà è stata trattata con un placebo. Dopo 28 giorni di osservazione, i pazienti trattati con la medicina hanno mostrato una percentuale di sopravvivenza il 19 per cento superiore. La medicina non è priva di effetti collaterali, che però sono limitati al 3,5 per cento dei pazienti, che hanno sviluppato delle serie emorragie. In confronto al rischio presentato dalla malattia stessa, questo pericolo è però molto ridotto e vale la pena di correrlo. ================================================================== ____________________________________________________________________ Repubblica 16 feb. '01 LONDRA: DIECIMILA MILIARDI DI BYTE TUTTI IN UNA CARTA DI CREDITO La scoperta di una Università inglese rivoluziona la memoria dei computer e della compressione dei dati Londra. Immaginate un rettangolo grande come una carta di credito. E immaginate che quello spazio possa ospitare 11 mila miliardi di byte. Avrete una piattaforma che farebbe girare il computer più piccolo e con la memoria più potente del mondo. Oggi un pc gira su 1,5 Gigabyte, poco più di un miliardo di byte. Insomma, se la premessa è vera, tutta la British Library starebbe in una carta di credito. Ma la premessa è vera. Almeno stando a quanto riportato dal Financial Times e a giudicare dal fiuto di una grande società inglese che ha acquistato il brevetto di questa carta di credito magica. E, almeno a prima vista, ha fatto l'affare del secolo, visto che i costi di produzione si aggirano intorno ai 50 dollari, poco più di 100 mila lire. Questa tessera in realtà ha un nome molto più complesso: più che di un supporto fisico si sta parlando di un rivoluzionario sistema di compressione inventato alla Keele University di Staffordshire, in Inghilterra. Si chiama Khd (Keele High Density). Lo hanno inventato il professor Ted Williams e il suo staff. Il brevetto lo ha acquistato la Cavendish Management Resources che ha fornito il venture capital per finanziare l'impresa. In realtà, si tratta di più invenzioni distinte. La prima è la Khd vera e propria, vale a dire il sistema di compressione che consente di ottenere 10,8 Terabyte in pochi centimetri quadrati. Ogni centimetro quadrato è un'unità chiusa che contiene ossido di metallo e un conduttore fatto di fibre ottiche sospese sopra il metallo in un lubrificante. Poi c'è l'invenzione che riguarda la lettura dei dati. Nel sistema binario composto da 0 e 1, il nuovo meccanismo di lettura tiene conto solo delle differenze che ha la stringa successiva rispetto a quella che la precede e lo spazio viene ridotto fino a un ottavo rispetto a quanto avviene oggi. La terza, collegata direttamente a queste due, è la riproduzione dei dati. Il supporto su cui verranno registrati e riprodotti è un nuovo tipo di materiale (una specie di tessuto) che accrescerà di 30 volte la capacità di memoria dei dischi. Insomma, ce n'è abbastanza per parlare di una piccola rivoluzione. Per questo, Mike Downey della Cavendish è corso ad accapparrarsi la scoperta dei ricercatori di Keele. "Questa invenzione - ha detto al Financial Times - rappresenta uno straordinario balzo in avanti nella memoria tecnologica e può essere usata in molti settori dai computer ai cellulari all'elettronica di consumo". Uno scenario che non è così lontano. La Cavendish ha già fissato la scadenza: entro due anni il Khd sarà sul mercato di tutto il mondo. ____________________________________________________________________ Le Scienze 15 feb. '01 GLI HARD-DISK DEL FUTURO Un nuovo sistema di immagazzinamento dati promette densità di 15 Gigabit per centimetro quadrato Utilizzando un nuovo mezzo magnetico, realizzato da Charles Rettner e Bruce Terris dei laboratori IBM, dovrebbe diventare possibile immagazzinare i dati con una densità ora impensabile, fino a 15 Gbit (miliardi di bit) per centimetro quadrato. In confronto, la tecnologia di oggi permette densità fino a soli 3 Mbit (milioni di bit) per centimetro quadrato. Negli ultimi anni l'aumento di densità è stato ottenuto riducendo le dimensioni dei grani magnetici delle superfici dei dischi e aumentandone allo stesso tempo il numero. Rettner e Terris hanno però utilizzato un approccio diverso, suddividendo invece il mezzo magnetico in tante piccole "isole" mediante un fascio focalizzato di ioni. Si è visto così che quando queste isole diventano sufficientemente piccole (con dimensioni inferiori a 130 nanometri) ognuna di esse contiene un solo dominio magnetico e può quindi essere utilizzata per immagazzinare un bit di informazione. Allo stesso tempo, le isole sono abbastanza grandi da essere termicamente stabili, almeno a temperatura ambiente. Utilizzando questa tecnica i ricercatori hanno realizzato con successo la scrittura e la lettura di dati fino a 15 Gbit per centimetro quadrato. La tecnica non sembra però essere applicabile immediatamente, poiché i campioni di laboratorio sono ancora molto piccoli e per ora non è possibile costruirne di sufficientemente grandi a un costo ragionevole.