PREMIATO IN RETTORATO IL GRUPPO DI GESSA RICERCA: PERCHÉ NESSUN BIOLOGO E DUE GIURISTI? SCIENZIATI MADE IN ITALY UNA VITA DA CENERENTOLA NOI, RICERCATORI IN ESILIO RICERCATORI EMIGRATI ALL' ESTERO "MACCHÉ ESILIO, È UNA SCELTA" SE STUDIARE È UN OPTIONAL NUMERO CHIUSO, STOP ALLA SANATORIA LAUREATI? TROVANO SUBITO LAVORO IULM, A MARZO IL NUOVO RETTORE PREGO, LA LAUREA PUÒ ATTENDERE ERSU E BORSE DI STUDIO: ENTRO IL 10 AGOSTO L'ULTIMO ESAME L'ESAME REGALATO: RINVIATO A MAGGIO L'INTERROGATORIO DELLA STUDENTESSA ================================================================== LA SANITA' A DUE MARCE SANITÀ, LE REGIONI CHIEDONO FONDI AGGIUNTIVI TASK FORCE PER GLI ERRORI IN CORSIA SANITÀ PRIVATA SE C'È URGENZA IL NUOVO DOPING? LA MANIPOLAZIONE GENETICA INTERVENTO RIVOLUZIONARIO ALL'OSPEDALE S.FRANCESCO DEL ZOMPO:ORA VI SPIEGO COME NASCE LA FAME D'ARIA GLI XENOTRAPIANTI TUMORI, SCOPERTO ENZIMA DELLA LORO IMMORTALITÀ E ORA CHE IL GENOMA È SVELATO? VERSO UNA NUOVA MEDICINA IL MORBO DI CROHN PIÙ GRAVE NEI PAZIENTI FUMATORI ARRIVA L'ETÀ DELLA MENOPAUSA LE DONNE NON SI "ARRENDONO" ================================================================== _____________________________________________________________ L'Unione Sarda 18 feb. '01 PREMIATO IN RETTORATO IL GRUPPO DI GESSA arrivano i finanziamenti Scienziati tra i primi nel mondo L'équipe di ricercatori cittadini inserita tra i Centri di eccellenza Il ministero dell'Università ha inserito il progetto presentato da un'équipe di ricercatori cagliaritani tra i 23 "Centri di eccellenza" riconosciuti a livello nazionale. Premiato il gruppo di studio di "Neurobiologia della dipendenza" coordinato dal professor Gianluigi Gessa, del quale fanno parte i professori Gaetano Di Chiara, Giovanni Biggio, Maria Del Zompo, Walter Fratta, Antonio Argiolas e Micaela Morelli. Aldilà del valore scientifico del riconoscimento, il decreto firmato dal ministro Ortensio Zecchino ha un importante ricaduta sul piano pratico. Apre infatti la strada a finanziamenti di notevole entità per la scuola cagliaritana di Neuroscienze. Sulla scia del provvedimento, sono già arrivati tre miliardi e mezzo, per un programma di ricerca che verrà "cofinanziato" con un miliardo e 200 milioni dall'Università di Cagliari. Sul piano scientifico il "Centro di eccellenza sulla Neurobiologia delle dipendenze" colloca le neuroscienze dell'ateneo cittadino ai vertici nazionali. Il giudizio di referenti internazionali sui lavori presentati dall'équipe coordinata dal professor Gian Luigi Gessa ha infatti inserito il Centro cagliaritano al terzo posto (su 23) dopo quelli di Bologna e Genova. Per entità dei finanziamenti, Cagliari figura invece al quarto. La proposta presentata al ministero è frutto della collaborazione di tre diversi dipartimenti universitari: Neuroscienze, del quale fanno parte i professori Gessa, Fratta, Del Zompo e Argiolas; Biologia sperimentate, diretto da Giovanni Biggio e Tossicologia, diretto da Gaetano Di Chiara. Si tratta di un programma di ricerca interdisciplinare favorevolmente valutato anche perché accomuna il contributo di quattro facoltà (Biologia, Medicina, Farmacia e Psicologia). L'università di Cagliari - come ha sottolineato il rettore Pasquale Mistretta - si è presentata con un progetto rappresentativo dell'intero settore delle neuroscienze. Quello del ministero è l'ultimo di una serie di prestigiosi riconoscimenti conquistati dall'équipe diretta dal professor Gian Luigi Gessa. L. S. Pasquale Mistretta"Questo è un successo della scuola E cresceremo ancora" Le Neuroscienze stanno dando grandi soddisfazioni al rettore dell'università, Pasquale Mistretta. L'estate scorsa la prestigiosa rivista "Nature" ha inserito la scuola che fa capo al professor Gian Luigi Gessa nei primi cinque posti in Italia. Ora il ministero riconosce il "Centro di eccellenza di Neurobiologia della dipendenza", inserendolo al terzo posto (su una graduatoria di 23) a livello nazionale. Mistretta ha più di un motivo di essere orgoglioso, perché, aldilà del valore della proposta, è stato lui l'abile tessitore di tutta l'operazione. In particolare, ha insistito perché i tre dipartimenti che si occupano di neuroscienze presentassero al Governo una proposta unitaria. Solo così, infatti, avrebbero avuto il massimo delle possibilità di successo. Come infatti è avvenuto. "Su sette proposte formulate da gruppi di ricerca importanti - dice Mistretta - ho avuto il difficile compito di sceglierne tre. Di queste, ho messo al primo posto questa poi premiata, al secondo quella che fa capo al gruppo di Scienze politiche e di Ingegneria, al terzo quella che fa riferimento alla facoltà di Fisica. Il ministero, attraverso la prima selezione internazionale, ha accantonato quella dei fisici. Alla fine, è stata premiata Neuroscienze. Una proposta che ho chiesto fosse presentata unitariamente da tutto il gruppo di ricercatori che fa capo alla scuola del professor Gessa". Un successo significativo. "È il successo di una scuola. Il risultato della valutazione di referenti internazionali senza interferenze di carattere geopolitico o di opportunità. Ne è venuta fuori una valutazione nazionale con risultati piuttosto chiari. In Medicina, il nostro centro è al terzo posto". È previsto anche l'arrivo di notevoli finanziamenti. "Il ministero ha previsto tre miliardi e mezzo, mentre un altro miliardo e 200 milioni sarà stanziato dal nostro ateneo. Un investimento piuttosto impegnativo". Come mai non è andata avanti anche la seconda proposta presentata dall'università di Cagliari? "Il progetto riguardava "La crescita economica delle regioni dell'Unione europea e del Mediterraneo". Nella selezione finale non è stato preso in considerazione perché il ministero disponeva di un pacchetto di risorse finanziarie limitate. Purtroppo, una delle due proposte avanzate da Cagliari doveva essere sacrificata. Un vero peccato, perché, altrimenti, sarebbero arrivati altri due miliardi e 200 milioni". _____________________________________________________________ La Stampa 21 feb. '01 RICERCA: PERCHÉ NESSUN BIOLOGO E DUE GIURISTI? I finanziamenti alla ricerca scientifica universitaria sono modesti: 250 miliardi in tutto. Distribuirli con efficienza e competenza è quindi ancora più necessario. Si tratta di vagliare, quest'anno, 1700 domande di ottomila gruppi di ricerca. A coordinare l'attribuzione dei fondi ai progetti più promettenti è un Comitato dei Garanti formato da sette esperti che dovrebbero coprire con la loro competenza le varie discipline. La Commissione in carica per il 2001, nominata dal ministro della Ricerca Zecchino con uno dei suoi ultimi atti di governo, ha però suscitato perplessità e proteste. Vi compaiono infatti due giuristi ma non ne fa parte nessun esperto di biologia, agraria, veterinaria, biomedicina, biotecnologie. Il fatto è tanto più sconcertante se si ricorda che il 20 per cento delle proposte di ricerca rientra proprio nelle scienze della vita. Paolo Amati, presidente della Federazione italiana Scienze della Vita, ha chiesto al presidente Giuliano Amato di rimediare all'inspiegabile squilibrio nella Commissione dei garanti. _____________________________________________________________ Repubblica 19 feb. '01 SCIENZIATI MADE IN ITALY UNA VITA DA CENERENTOLA Sos dai laboratori ostaggio della burocrazia Viaggio nei grandi enti di ricerca stretti tra carenza di fondi, MARIA NOVELLA DE LUCA ROMA - Sono usciti dai laboratori, dai centri di ricerca, dai policlinici, dai politecnici, dalle aule dell'università. Hanno spezzato un silenzio di anni per spiegare all'Italia il loro disagio di scienziati. Hanno raccontato quanto è difficile lavorare con fondi scarsi, prigionieri della burocrazia, tra concorsi e carriere bloccate, pur sottolineando la loro passione nel continuare a studiare le nuove frontiere della medicina, della biologia, della fisica, mentre si fa sempre più forte, anzi quotidiana, la richiesta collettiva di salute, sicurezza, ambiente. "Il mestiere di ricercatore nel nostro paese è valutato meno di zero, i giovani fuggono dai laboratori, servono stipendi più alti, mobilità, progetti a lungo termine, trasparenza nell'assegnazione dei fondi". Sono stati i Nobel a parlare per tutti, ad incontrare i politici, a firmare appelli e manifesti, a nome, anche, di quei 92.000 addetti alla ricerca, spesso né noti né famosi, che però in questi ultimi anni hanno reso forte la Scienza made in Italy, settore a cui è riservato poco più dell'1 per cento del prodotto interno lordo. Eppure la storia recente è fatta di successi: dalla lotta ai "grandi killer", l'Aids, il Cancro, alla rivoluzione nella biologia cellulare, le terapie geniche, gli studi sulla fisica delle particelle, le nuovissime sfide della robotica, la corsa alle missioni spaziali. Gol importanti. Invece molti tra i migliori cervelli continuano ad emigrare e gli storici istituti di ricerca mostrano crepe e sofferenza. Stefano Vella ha 48 anni, è un virologo, e dal 1992 dirige il progetto Aids dell'Istituto Superiore di Sanità (Iss), il più grande ente pubblico dedicato alla sperimentazione in campo biomedico, una struttura - monstre con all'interno però alcuni laboratori all'avanguardia. Come ad esempio quello dedicato alla ricerca sull'Hiv. L'équipe di Vella sta iniziando la sperimentazione di una nuova forma di somministrazione dei farmaci agli ammalati con delle "pause" nella terapia che non intacchino la cronicizzazione del virus. "Il nostro - racconta Vella - è stato un successo ottenuto navigando tra quegli ostacoli che sono la fotografia della difficoltà della ricerca in Italia. La grande paura dell'Aids ha fatto sì che per i nostri studi i fondi ci siano sempre stati. Così come per la lotta al cancro. I soldi però devono essere cercati e rincontrattati di anno in anno con l'impossibilità di fare progetti a lungo termine, mentre la garanzia minima di finanziamenti per uno studio serio dovrebbe essere di 5 anni, come avviene negli Stati Uniti". Gli States appunto. Termine di paragone costante. Non solo perché insieme al Giappone detengono il potere economico della ricerca, ma perché, chiarisce il demografo Antonio Golini, "l'America continua ad essere il polo di attrazione per i giovani studiosi che poi, pur volendo, non riescono a tornare perché spesso anni di specializzazione all'estero si traducono nell'essere tagliati fuori dai concorsi". Aggiunge Stefano Vella: "C'è voluto il terrore della mucca pazza perché sul fronte pubblico si investissero soldi nello studio sul prione. Invece già 10 anni fa, dopo i primi casi di Bse, alcuni ricercatori proprio all'Iss avevano presentato progetti che però non sono mai stati finanziati". Ma il vero nodo critico oggi, come spiega anche Edoardo Boncinelli, illustre biologo del San Raffaele di Milano, polo all'avanguardia nel campo degli studi sulla cellula, "non sono tanto i fondi, ma la figura del ricercatore, considerato una figura opaca, destinato al precariato a vita, che non è mobilità ma incertezza di sopravvivenza pura e semplice". Pur nel cosiddetto "sistema a pioggia" infatti, pur nell'assenza, come sottolineano gli esperti, di una "grande agenzia, una sorta di authority che ne renda organica la distribuzione" i soldi si riescono a trovare". "Sì - dice Boncinelli - ma chi si dedica ad una strada tanto dura deve essere pagato, remunerato. Invece la situazione è così scoraggiante che negli ultimi 15 anni il numero dei laureati in biolologia che scelgono la ricerca si è dimezzato". Scherza il professor Boncinelli: "E' come un calo delle vocazioni. Nei laboratori ci sono soltanto vecchi. Io sono felice di poter formare un giovane ma poi cosa gli offro? E' chiaro che chi non emigra entra nell'industria che almeno offre stipendi dignitosi. In Italia poi - denuncia Boncinelli - la biologia cellulare continua a far paura a molti, perché tocca, in modo nevralgico, i grandi problemi dell'essere umano... Ho la sensazione che in Italia la parola Scienza resti una parolaccia". C'è invece una zona franca tra i gli enti pubblici di ricerca: l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Roma, creato nel dopoguerra da Edoardo Amaldi. Ne parla con la passione nella voce Carlo Bernardini, decano della fisica italiana, a lungo ai vertici dell'Infn, di cui fanno parte laboratori come il grande centro sotterraneo del Gran Sasso, dove si fanno studi di fisica cosmica, nella sfida di comprendere, ad esempio, la materia oscura dell'universo. "Ciò che ci rende competitivi - spiega Bernardini - è il rapporto costante con l'università, e questo permette al nostro istituto di non invecchiare. La struttura dell'Infn è formata da pochissimo personale fisso, ma attraverso la formula dell'associazione permette a docenti e ricercatori di lavorare qui utilizzando i fondi dell'Infn, senza perdere però il proprio incarico. L'istituto è poi presente in tutti i poli universitari, agli studenti offriamo decine di borse di studio. Insomma il segreto è una discreta agilità di movimento. Anche se - aggiunge Bernardini - questo non basta ad invogliare i giovani, e infatti anno dopo anno le iscrizioni a Fisica stanno calando". Gianmarco Veruggio è il direttore del settore di robotica del Cnr di Genova, che si occupa di "macchine intelligenti in ambienti estremi, abissi sottomarini, spedizioni in Antartide". "Come possiamo competere con il Giappone quando per avere un libro che con Internet riuscirei a procurarmi in 24 ore, devo aspettare tre mesi perché la contabilità ha bisogno della fattura? Lavoro - dice Veruggio - con un team di alto livello, eppure in Italia chi si occupa di robotica? Nessuno. La verità è che in campo tecnologico siamo ancora una colonia. Così ho deciso di investire nella formazione con corsi di robotica nelle scuole. Investire sul futuro insomma...". Un futuro di cloni tecnologici che penseranno, parleranno, e forse, chissà, avranno dei sentimenti. Un futuro che, a dire il vero, assomiglia tanto alle geografie del pensiero descritte nei racconti da Asimov. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 20 feb. '01 NOI, RICERCATORI IN ESILIO Iavarone Antonio, Lasorella Anna La scienza in Italia e all' estero: una testimonianza NOI, RICERCATORI IN ESILIO di ANTONIO IAVARONE e ANNA LASORELLA* Caro direttore, quando, nel 1994, con enorme entusiasmo, apprendemmo dalla Banca d' Italia che era stato deciso, dopo una competizi one nazionale, di finanziare il nostro progetto di ricerca sui tumori del cervello nei bambini, mai avremmo pensato che, trascorsi sei anni, saremmo stati costretti a emigrare definitivamente negli Stati Uniti per proseguire le nostre ricerche. Le vi cende che ci riguardano sono divenute note grazie alle recenti scoperte del nostro gruppo su uno dei tumori più terribili che colpiscono i bambini: il neuroblastoma. E' nel reparto di Oncologia pediatrica dell' Università cattolica di Roma che nel 19 96 abbiamo costruito l' ipotesi che ci permette oggi di considerare la proteina Id2 uno dei bersagli più promettenti di una possibile terapia mirata del neuroblastoma. Dopo un periodo di alcuni anni passati negli Stati Uniti, volevamo tornare a Roma per promuovere una mentalità operativa certamente atipica per la maggior parte degli Istituti del nostro Paese. Si tratta di un pensiero molto semplice: l' istituto attribuisce allo scienziato tutta la responsabilità organizzativa, intellettuale e fi nanziaria di un laboratorio. Dopo un periodo di tempo predeterminato valuta i risultati. Se questi ci sono, le ricerche possono continuare e ricevono eventualmente ulteriori sostegni. Se i risultati vengono considerati insoddisfacenti, il laboratorio deve prendere nuove strade con scienziati diversi. Dalla libertà di scelta e dalla valorizzazione del merito individuale germoglia l' eccellenza nella ricerca scientifica. Tutto questo negli Stati Uniti è regola. Presto fu chiaro che le condi zioni di lavoro che ci venivano presentate in Italia come naturali e immodificabili erano antitetiche a questi principi. Non solo non avevamo il controllo della nostra attività di ricerca, ma un problema di grave malcostume, il nepotismo, rendeva anc ora più umiliante la nostra condizione (come denunciammo sul Corriere il 5 ottobre 2000). Sin dall' ideazione del laboratorio di ricerche per i tumori dei bambini, realizzato negli anni ' 95-97 a Roma, eravamo convinti che i destinatari finali del no stro lavoro sarebbero stati i malati. Quando abbiamo dovuto scegliere di allontanarci dall' Italia per lavorare in maniera efficace, abbiamo pensato che ai nostri sfortunati utenti il nostro più o meno importante contributo sarebbe arrivato dovunque il lavoro si fosse svolto. La nostra storia è oggi simbolo di tante altre. È quella antica di scienziati che, dopo essere costati tanto all' Italia, quando cominciano a diventare altamente produttivi nella competizione scientifica internazionale sono costretti a espatriare, spesso con rabbia e delusione, qualche volta con la determinazione di tornare, perché qui restano le radici e la famiglia. Nonostante il gran parlare sulla fuga di scienziati, non ci pare di aver colto una reale volontà di ca mbiare questa situazione. Non sembra che ci sia un profondo convincimento che il sistema sia sbagliato radicalmente. Si cerca di rassicurare l' opinione pubblica, si dà enfasi alle poche istituzioni che eccellono in Italia o si propagandano i criteri di giudizio formalmente inappuntabili che vigono nelle selezioni concorsuali. L' impressione per noi che siamo all' estero è che la mentalità feudale e a sfissiante che impera in gran parte del mondo scientifico-accademico i taliano potrà essere cam biata soltanto dall' immissione di una massa critica di nuove energie rappresentate proprio da scienziati (italiani e non) che si siano formati al di fuori dell' Italia. Come questo possa avvenire dipende da uno sforzo di fantasia, e anche di orgogli o, che agli italiani non dovrebbe mancare. Ci sentiamo impegnati nel nostro lavoro negli Stati Uniti più che mai. Tuttavia, continuiamo a sperare che un giorno potremo di nuovo lavorare nel nostro Paese affinché la ricerca scientifica italiana coinci da con gli ideali di libertà che ne fanno il motore per il progresso. Antonio Iavarone e Anna Lasorella *ricercatori e professori Albert Einstein College of Medicine, New York _____________________________________________________________ Corriere della Sera 21 feb. '01 RICERCATORI EMIGRATI ALL' ESTERO "MACCHÉ ESILIO, È UNA SCELTA" Vecchi Gian Guido MILANO - "Eh, li capisco, uno che ha provato l' esperienza della ricerca negli Stati Uniti ha sperimentato per così dire un modello ideale, lo dico senza ironia. Potendo disporre di risorse che saranno cento volte tanto, mi domando cos' avrei fatto a nch' io...". Sergio Zaninelli, 71 anni, economista, è il sesto rettore nella storia dell' Università Cattolica, l' ateneo fondato nel ' 21 da Padre Agostino Gemelli. E non si mostra granché turbato dalle dimissioni di Anna Lasorella e Antonio Iavaron e, i due giovani ricercatori italiani che, con le loro scoperte, hanno fatto luce su uno dei più temibili tumori infantili, il neuroblastoma, e ieri in una lettera al Corriere hanno spiegato perché hanno scelto l' "esilio" a New York: "Mai avremmo pe nsato che saremmo stati costretti a emigrare definitivamente negli Stati Uniti". I due hanno lasciato definitivamente l' Istituto di Clinica Pediatrica della Facoltà di Medicina, il rettore allarga le braccia, "Mah, il termine "esilio" mi sembra ecce ssivo: la ricerca scientifica è oggi per sua natura senza confini...". Professor Zaninelli, non le pare il classico esempio di "fuga di cervelli"? "In un mondo che si va unificando, il fatto che due ricercatori abbiano potuto avviare la ricerca in It alia, la proseguano negli Stati Uniti e magari, per dire, la importino in Germania per poi andare in Francia o in Australia, non è uno scandalo. Intendiamoci, questo a prescindere dal merito della vicenda. La ricerca in Italia è forse il punto più cr itico del sistema universitario, però sdrammatizzerei il caso: ormai nella ricerca gli esuli non esistono, la difesa dei nazionalismi e delle primogeniture è storia, ci si deve adattare". Già, ma loro hanno dovuto pure ricorrere al Tar, cos' è succes so? "I due ricercatori sono andati negli Usa, hanno chiesto una proroga, l' università ha chiesto loro di tornare a svolgere la loro attività nel laboratorio romano. Hanno preferito far ricorso e hanno vinto. Scaduto il periodo loro concesso hanno pr eferito restare negli Usa. Tutto qui. Altri sono piuttosto i problemi della ricerca in Italia...". Da cosa dipendono? "Il modello italiano è debole, anzitutto per la carenza di fondi. Ciò rende comprensibile la preferenza per altri sistemi, ma gari a cominciare da quello americano, dove i ricercatori ottengono più finanziamenti e maggiore autonomia nel loro impiego, ma sono tenuti a sottoporre a verifica i risultati del loro lavoro". Il campo dei due ricercatori non era nelle priorità dell ' Ateneo? "Al contrario, mi pare di poter dire che anche quella specifica ricerca abbia ottenuto consistenti finanziamenti. Mi permetto anzi di ricordare che proprio questo stanziamento ha consentito l' avvio e il consolidamento del progetto. Così pu re mi piace ricordare che l' università ha finanziato nel solo anno ' 99 ben 2.223 progetti di ricerca che coinvolgono un numero corrispondente di ricercatori, i quali qui hanno iniziato e che qui hanno ritenuto possibile proseguire la loro attività. È una questione di scelta". Altri problemi? "Da noi esiste un rapporto stretto fra insegnamento e ricerca. Negli Usa chi fa ricerca fa ricerca e basta, in Italia il percorso per diventare ricercatore coincide con quello che è richiesto per diventare docente. Inevitabilmente tutto ciò può avere degli aspetti anche negativi. Tuttavia il problema è delicato: tenere separati i due ambiti potrebbe compromettere l' efficacia della formazione e, analogamente, non offrire alla ricerca un orienta mento. Piuttosto si potrebbe trovare il modo di agevolare le diverse vocazioni, come di fatto, peraltro, già avviene ..." E le accuse di nepotismo, e i baroni? "Le vere figure di riferimento di una università sono i maestri. Piuttosto il problema è u n altro". Quale? "Se, tanto per cominciare, venisse abolito il valore legale del titolo di studio, si consentirebbe un confronto tra le università che sarebbero poste in grado di attirare e formare gli studenti migliori, con vantaggi indubbi anche su l piano della formazione di generazioni sempre nuove di ricercatori". Perché dovrebbe funzionare? "Perché in questo momento la laurea conseguita in un' università di eccellenza, così come in quella che di eccellenza non è, hanno lo stesso valore, in sede di concorso pubblico. Anche se non posso non registrare con soddisfazione il fatto che le famiglie di tutto il Paese se ne rendono conto e scelgono per i loro figli, pur con sacrificio, il nostro Ateneo". È vero, come scrivono Lasorella e Iavarone, che i gran parte del mondo scientifico accademico "impera una mentalità feudale asfissiante"? "No, è un giudizio drastico e generico che non posso condividere e che non spiega il buon livello medio dei nostri laureati e i risultati anche d i eccellenza conseguiti dai nostri ricercatori in molti campi delle conoscenze". Gian Guido Vecchi _____________________________________________________________ Repubblica 20 feb. '01 SE STUDIARE È UN OPTIONAL di MARIO PIRANI LA "rivoluzione culturale" in Cina durò una diecina d'anni, all'incirca dal 1966 alla morte di Mao. Costò una trentina di milioni di morti e un quinquennio di carestia. I giovani, in divisa di "guardie rosse", vennero innalzati a detentori del Nuovo Pensiero, gli insegnanti furono avviati forzosamente alla coltivazione delle rape, lo studio della storia, e soprattutto di tutto ciò che poteva richiamarsi agli antichi insegnamenti confuciani, rigorosamente proibito. Si ordinò persino la chiusura degli antiquari e la dismissione dei costumi tradizionali nei balletti dell'Opera di Pechino, così da rimuovere ogni idea del Passato. Un Nuovismo feroce imperò per dittatura. Schiere d' intellettuali di sinistra in Occidente salutarono il "libretto rosso" e le nefandezze che lo accompagnarono come la più avanzata primavera umanistica. Gran parte di loro non hanno mai espresso la minima autocritica e seguitano ad autocertificarsi come maestri del pensiero. Dubito che il virus mentale che allora li infettò si sia subdolamente annidato in tutto questo tempo e, venuto in contatto con il sociologismo pedagogico d'oltreatlantico, abbia diffuso e provocato una di quelle patologie mutanti, quanto devastanti, che le terapie della Ragione faticano a contenere. Come per l'Aids, che si sospetta abbia contagiato l'uomo in seguito al bestiale connubio con una scimmia compiacente, quanto maliziosa. Come spiegarsi altrimenti lo sfascio della scuola italiana cui hanno contribuito, con pari impeto e comune compiacimento, uomini di destra, quali il D'Onofrio, ministro della P.I. di Berlusconi, firmatario dell'abolizione del rinvio a settembre, o il De Mauro, che, da ultimo, ha sancito la riduzione della Storia ad ancella degli studi? In perfetta buona fede hanno anch'essi, e i loro colleghi, innalzato bambini e ragazzi sul trono di un effimero potere che consente di studiare o meno, di assentarsi o venire a scuola, di svillaneggiare il professore o di comportarsi civilmente, di chiedere a genitori dissennati protezione, magari giuridica, nei confronti del docente. Non ci sono punizioni ma neppure premi, perché tale non può essere considerato un diploma conseguito gratis. Certo, una minoranza si salva ma questo è l'effetto paradossale del fallimentare presupposto egualitario di abbuonare a tutti l'onere dell'impegno e di un minimo di disciplina. Per contro gli insegnati bistrattati, malpagati (malgrado l'ultimo contratto), sovraccaricati d'inutili adempimenti burocratici, sollecitati ad occuparsi d'infiniti "optional" piuttosto che della didattica sono accampati nelle scuole in preda al disinganno, all'umiliazione, alla perdita di ruolo o, cinicamente, si adeguano e lucrano misere integrazioni adattandosi alle infinite direttive su Pei (Progetto educativo d'istituto), Carta dei Servizi, Normativa sulle assenze, Integrazione Pei, Questionario sindacale, Nuovo esame di Stato, Pof (Piano offerta formativa), Fis (Formazione integrata superiore), Pip (Piano integrato provinciale), Funzioni obiettivo e quant'altro escogiti la perversa fantasia dei gerarchi della didattica (leggi per credere il recentissimo volumetto di Lorenzo Busson, "Studenti serpenti, una scuola a Nord Est", ed. Biblioteca dell'Immagine, Pordenone). Naturalmente anche fra i docenti brillano le esemplari eccezioni, i pochi eroi (ma "povero quel paese che ha bisogno di eroi!") che riescono a sedare con lo sguardo gli incipienti tumulti e far amare Leopardi; o i tanti testardi fantaccini dell'insegnamento che vanno avanti malgrado tutto. Conforta, peraltro, l'attivarsi di movimenti di base che elaborano modifiche sostanziali alla riforma dei cicli, interpretano l'autonomia come libertà di non applicare i nuovi programmi, preparano progetti alternativi nel quadro di una dialettica propositiva, politicamente trasversale. Le sigle sono già tante: dai "500 insegnanti e genitori di Torino" alla "Proposta per una rivalutazione culturale della scuola", filiazione della cattolica Nuova Spes. Nel complesso si può dire che il mondo della scuola pubblica appare deluso della sinistra, che ne ha mortificato le competenze e diffidente, quanto impaurito, da un centro destra che, da un lato, dichiara di voler privilegiare gli istituti privati, mentre, dall'altro è ancor più impregnato di pseudo cultura aziendalistica (Inglese, Internet, Impresa). Per quanto riguarda la sinistra c'è da chiedersi quale pulsione suicida l'abbia investita, ma la risposta non è semplice perché coinvolge l'analisi della crisi politica e ideale, seguita al crollo dei regimi comunisti e alla delegittimazione dei partiti, da Tangentopoli in poi. Picconata l'organizzazione di massa tradizionale che permetteva di monitorare le opinioni diffuse, oscuratasi la dialettica di un impianto culturale che ambiva a coniugare la continuità e il radicamento storico con la fede nel progresso e nella scienza, è come se ogni luce orientativa si fosse spenta. La critica spietata delle ascendenze non è bastata e si è giunti a negare di averne mai avute. Persa la memoria per lobotomia ci si è rivolti ai mercatini di bussole usate illudendosi di trovare qualche possibile orientamento: per la scuola il rappezzato patchwork spazia da don Milani al ciarpame psicopedagogico di stampo anglosassone che ha portato l'Inghilterra, stando alle affermazioni di Blair, ad avere uno dei più disastrati insegnamenti pubblici del mondo (ma nel Regno Unito come, del resto, negli Usa i gruppi dirigenti si formano nei grandi colleges e università private di altissimo livello ed altissimo costo). Come meravigliarsi se una parte non piccola d'insegnanti si sta disamorando di una antica appartenenza alla sinistra, così come gli scienziati che si sentono traditi da chi fino a ieri amava identificarsi col progresso? In questo deserto la politica scolastica delle sinistre - coltivata un tempo nei suoi orientamenti da intellettuali come Visalberghi e Codignola, Concetto Marchesi e Francesco Flora, Natalino Sapegno e Rosario Villari e verificata in dibattiti appassionati e coinvolgenti , è oggi dominio di una casta potente quanto autoreferenziale di pedagogisti, in buona misura anonimi, abbarbicati attorno al ministero della Pubblica Istruzione e negli Istituti regionali per la didattica (Irrsae), che hanno imposto la loro dittatura sull'ordinamento scolastico, grazie alla acquiscenza dei ministri che si sono succeduti. [Loro credo è la docimologia (dal greco "dòkimos", idoneo) che dovrebbe scientificamente determinare la valutazione dell'alunno, con un approccio oggettivo, non influenzato dalla soggettività individuale dell'insegnante. Quindi niente interrogazioni, temi in classe, poesie a memoria, ortografia, regole grammaticali e sintattiche, analisi logica e altri reperti del passato "confuciano": lo studente sceglierà a suo piacere i "moduli" dei "nuovi saperi" che reputerà più confacenti (salvo saltare attraverso predisposte "passarelle" da un "modulo" all'altro). La valutazione, non più soggetta all'arbitrio dell'insegnante, sarà assolutamente oggettiva, attraverso test e quiz, per rispondere ai quali, come è noto, non occorre esser padroni della lingua parlata o della scrittura, bastando un si o un no, o anche una crocetta. Se poi qualche temerario insegnante si azzardasse ancora ad esprimere giudizi negativi, basterà sottoporlo - come sovente accade - a una specie di processo nel consiglio di classe (cui democraticamente partecipano rappresentanze degli scolari e delle loro famiglie) per ricondurlo a più consoni comportamenti (il che, del resto, già tanti fanno, per cui molti voti sono palesemente falsi). Infine, per gli eventuali docenti testardamente renitenti, vige l'opportunità del ricorso al Tar e della promozione per sentenza.] In questo contesto si colloca ora la riforma dei cicli e dei programmi. Le elementari e le medie saranno un tutto unico per sette anni (uno in meno degli attuali), cui seguiranno i cinque anni delle superiori. Mi astengo in questa sede dall'esporre le non poche obiezioni che già ricorrono, del resto, su tutta la stampa limitandomi al punto che, non solo a me, sembra il più grave, quello dell'insegnamento della Storia. In forma generale, cronologica, dalle origini dell'uomo ai giorni nostri, esso dovrebbe svolgersi una volta sola, dalla quinta della scuola di base, fra i 10 e gli 11 anni, fino alla seconda superiore, fra i 14 e i 15 anni. Nei tre anni successivi si svilupperanno temi specifici sulla base di percorsi tematici a scelta (la Shoah, la mondializzazione, l'emancipazione femminile, il colonialismo, ecc.). C'è da chiedersi come una simile aberrazione - tutt'al più spiegabile in una scuola primaria del Nevada - abbia potuto germogliare a due passi dal Foro Romano. Mi basta riportare le parole di una lettera aperta al ministro (in realtà mai aperta) di un insegnante liceale, il prof. Fabrizio Polacco, di Roma (esponente di Prisma - Progetto per la rivalutazione dell'insegnamento e dello studio del mondo antico), il quale propone l'alternativa di due cicli consecutivi di cinque anni ciascuno e si chiede "come sia possibile parlare una volta sola, per di più a soli undici anni, della civiltà greco-romana e medievale, un arco storico che ci ha dato l'alfabeto, la religione, la filosofia, l'arte e la politica". E quando nell'ultimo triennio si passerà allo studio per temi? "Non riesco a capire come si possa immaginare uno studio monografico slegato dalla visione generale del processo storico", ha osservato in proposito uno studioso emerito come Rosario Villari. Ma a queste osservazioni di semplice buonsenso la setta dei nuovi pedagogisti ribatte: "La storia non si studia ma si fa!", alludendo ai cosiddetti "laboratori" dove sedicenni , che vagamente ricordano le guerre puniche e pensano che Carlo Magno ed Alessandro Magno siano fratelli, dovrebbero cimentarsi in ricerche autonome, quasi si trattasse di applicazioni tecniche, tipo il "piccolo falegname". Spero di non beccarmi nuovamente l'epiteto di fascista per tutte queste critiche, assai blande se paragonate a quelle di un illustre grecista, Luciano Canfora, (politicamente di osservanza cossuttiana) il quale ha scritto: "E' un segno di demagogia suicida trattare l'Italia come un paese emergente, bisognoso di dotarsi, quasi fosse una tabula rasa, dei primi elementari strumenti di acculturazione di massa". Non ci resta che sperare nel rinsavimento. Anche in Cina, passata la "rivoluzione culturale", i ragazzi son tornati a scuola e i professori ad insegnare. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 20 feb. '01 NUMERO CHIUSO, STOP ALLA SANATORIA ROMA - La commissione Cultura della Camera ha bocciato in sede referente la possibilità di sanatoria precedentemente prevista per gli studenti universitari esclusi dai corsi a numero chiuso che si sono rivolti al Tar ottenendo la sospensione del divieto di accesso. Si tratta di un migliaio di studenti iscritti al corso '99-2000. A renderlo noto è stato il sottosegretario all'Università Luciano Guerzoni, sottolineando che il provvedimento passerà ora in Aula alla Camera. La Camera aveva approvato il 26 ottobre scorso lo stesso disegno di legge. In prima lettura i deputati avevano però escluso qualsiasi forma di sanatoria ed avevano deciso che gli studenti che non avevano superato le prove per il numero chiuso potevano iscriversi ad una facoltà a libero accesso senza perdere gli esami nel frattempo sostenuti. Le modifiche introdotte dal Senato hanno stabilito, invece, che gli studenti universitari "ricorsisti" alla giustizia amministrativa possono proseguire tranquillamente gli studi se nel primo anno hanno superato almeno un esame. La settima commissione ha oggi bocciato l'ipotesi di sanatoria, seppure nella versione "limitata" prevista dal Senato. "Fin dall'inizio dell'iter di questo provvedimento, che è di iniziativa parlamentare - ha commentato Guerzoni - il governo si è sempre dichiarato contrario ad ogni ipotesi di sanatoria, perché per l'anno accademico '99-2000 esisteva una normativa chiara e nota sia alle università sia agli studenti. Non sussistevano e non sussistono quindi ragioni - ha proseguito - per riproporre sanatorie, che invece incrementano disfunzioni gravi nella programmazione didattica degli atenei". Secondo Guerzoni, infatti, le sanatorie determinano inoltre "ingiustizie palesi rispetto ai 14.000 studenti che hanno invece accettato il responso delle prove selettive d'ingresso e producono solo nuove ingiustizie". Il voto della commissione, ha concluso il sottosegretario, "è un voto di responsabilità e coerenza rispetto a quanto già deliberato dalla Camera al primo esame del disegno di legge". _____________________________________________________________ Repubblica 24 feb. '01 LAUREATI? TROVANO SUBITO LAVORO Il 60 % hanno già un'occupazione Una ricerca condotta nelle università italiane da Almalaurea.it Laureati disoccupati? Assolutamente no, quel "pezzo di carta" serve ancora. La ricerca del lavoro si fa meno ardua se ci si presenta sul mercato con il titolo di dottore e i tempi di attesa sono sempre più rapidi. Sessanta neolaureati su cento trovano occupazione nel giro di un anno; venti, invece, risultano senza lavoro, ma non stanno cercando probabilmente perché impegnati in altre attività di studio e aggiornamento. E' quanto emerge da un'indagine di AlmaLaurea banca dati on line del sistema universitario italiano (www.almalurea.it) curata dall'osservatorio statistico dell'Università di Bologna diretto da Andrea Cammelli. Tremila telefonate, condotte sui laureati della sessione estiva '99 di 18 Atenei italiani (oltre il 55% della totalità), per ricavare un quadro confortante che evidenzia un sensibile miglioramento nel giro di pochi anni. Infatti, i laureati della sessione estiva '98 che hanno trovato lavoro - sempre nei 12 mesi successivi alla discussione della tesi - sono il 55,8%, mentre quelli della sessione estiva '97 sono il 52,5%. Il dato degli occupati, comunque, non è omogeneo su tutto il territorio nazionale: la media è il risultato di percentuali molto diverse. A Bologna i laureati che hanno trovato lavoro dopo un anno sono il 64,8%, a Firenze il 66,2%, al Politecnico di Torino il 74%, mentre a Messina si scende al 33,2%. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 20 feb. '01 IULM, A MARZO IL NUOVO RETTORE Accolte le dimissioni di Alberoni. Aperta la corsa al successore del sociologo Vecchi Gian Guido Il Consiglio di amministrazione ha deciso per ora di non querelare l' ex numero uno dell' Ateneo Iulm, a marzo il nuovo rettore Accolte le dimissioni di Alberoni. Aperta la corsa al successore del sociologo Non sarà solo la Statale ad eleggere in mar zo il nuovo rettore. Dalle nove di ieri sera, accolte le dimissioni di Francesco Alberoni, il consiglio di amministrazione dello Iulm, la "libera università di lingue e comunicazione" fondata nel ' 68 da Carlo Bo e Silvio Baridon, ha avviato ufficial mente la corsa alla successione del sociologo che guidava l' ateneo dal ' 97. Dopo tre ore e mezzo di riunione, il consiglio ha dato mandato al prorettore e nuovo professore decano, Marino Livolsi, di "garantire la continuità gestionale dell' ateneo" , cioè fare le veci del rettore, e indire al contempo le elezioni. Per il momento non sono state decise querele contro l' ex rettore che giovedì scorso aveva spedito urbi et orbi una lettera durissima contro i vertici dell' università: "Mi sono battu to contro ciò che considero pratiche di corruzione incompatibili con i fini e la dignità dell' ateneo", aveva scritto, salvo poi precisare che intendeva parlare di "corruzione spirituale, il decomporsi di un ideale al quale ho dedicato 15 anni della mia vita". Nel documento diffuso dopo la riunione, riguardo le "gravissime dichiarazioni" del sociologo, si scrive che il consiglio, "respingendole fermamente, ha dato mandato al suo presidente, professor Gilberto Gabrielli, di verificare se sussista no i presupposti per una iniziativa legale in ogni sede nei confronti del professor Francesco Alberoni a tutela del buon nome dell' università, dei suoi membri, degli organi direttivi, degli studenti e delle loro famiglie". Al consiglio d' amministra zione, del resto, Alberoni ha spedito ieri una lettera che conferma nella sostanza le accuse della settimana scorsa: si parla di "lotta per il potere", di "diversi gruppi che tendevano a smembrare l' edificio unitario", di "manovre, calunnie, complot ti". Nell' ateneo, d' altra parte, c' era chi lo accusava di essere una sorta di "satrapo". I rapporti, insomma, erano compromessi da tempo. La classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, nel giorno di San Valentino, era stata la nomina del pres ide del corso di laurea in Scienze turistiche. Per 8 voti a 3 , è stato scelto il professor Marco Villamira, docente di Psicologia generale e del turismo. Alberoni aveva candidato il professor Emanuele Invernizzi, direttore dell' istituto di Economia e marketing, e non l' ha presa bene. "Dovevo ormai imporre le mie direttive con una logorante e ripetuta opera di convincimento", ha scritto ieri. E più oltre: "Il modo in cui sono avvenute le elezioni ha definitivamente distrutto anche il credito p uramente spirituale che poteva rendere efficace questo tipo di leadership". Prima del consiglio, il presidente Gabrielli ha ricevuto i rappresentanti degli studenti, i quali hanno chiesto, senza ricevere obiezioni, che Alberoni spiegasse le sue ragio ni in un' assemblea. Il consiglio, per parte sua, ha "rilevato l' incompatibilità del professor Francesco Alberoni, stante le dichiarazioni fin qui rese e confermate nella lettera odierna, con le funzioni di decano del corpo accademico e ha quindi pr eso atto che le medesime debbano essere assunte dal professore più anziano in ruolo dopo il professor Alberoni, ovvero il professor Marino Livolsi". Come ha scritto il sociologo nella sua lettera: "È finita un' epoca". Gian Guido Vecchi _____________________________________________________________ L'Unione Sarda 20 feb. '01 PREGO, LA LAUREA PUÒ ATTENDERE La tesi negata alla studentessa prodigio di Abbasanta Del suo caso ora si occupano televisioni e quotidiani nazionali, tutti concordi nel condannare l'atteggiamento "vecchio" e burocratico dell'Università La Sapienza di Roma, la stessa dove qualche anno fa si consumò l'assurdo delitto della giovane Marta Russo. Lei, Incoronata Boccia, 23enne di Abbasanta, sembra quasi non curarsene: "La mia è una lotta di giustizia - dice "Cora", come affettuosamente la chiamano parenti e amici - non smetterò di combattere fino a quando non avrò giustizia". Una giustizia che ha la forma e la sostanza di un attestato di laurea che la giovane studentessa, con nel cassetto il sogno di diventare giornalista, sente di meritare da almeno un anno, ma che invece i "burosauri" dell'Università le negano con incrollabile pervicacia. Il racconto della storia, ai confini fra il prodigioso e il surreale, è presto fatto: "Ho iniziato a frequentare la facoltà di Scienze della Comunicazione a ottobre del 1997 - dice Cora Boccia - nel periodo che va da giugno 1998 a giugno 2000 ho sostenuto tutti gli esami del piano di studi, più due extracurricolari". Tutto in ventiquattro mesi, roba da guinness dei primati con centodieci e lode assicurato. E invece? "E invece niente - dice sconsolata la studentessa - il senato accademico non ha neanche preso in considerazione la mia richiesta di anticipare la tesi di laurea, nonostante il consiglio di facoltà abbia da tempo rilasciato il suo benestare". Insomma, per l'Università italiana uno studente non può essere più bravo di quanto stabiliscono leggi e regolamenti. "A conti fatti andrò a perdere ben due anni. Proprio per questo ho deciso di intraprendere le vie legali". Un bel tipino questa Incoronata Boccia, decisa fino a sembrare molto più esperta e matura di quanto non dicano i suoi ventitré anni. Nelle precedenti interviste ha detto di non essere la classica "secchiona". Ma non vorrà far credere di essere arrivata a dare tutti quegli esami senza studiare? Proprio no. Sin da piccola mi sono sempre impegnata molto nello studio, ma ripeto: riesco a trovare il tempo anche per le cose di tutti i giorni, tipiche di noi ragazzi. Vado al cinema, a teatro, alle feste, a ballare..... Lei è partita da Abbasanta, provincia di Oristano, per cercare gloria lontano dalla Sardegna. Perché proprio Roma? È stata una scelta obbligata. La facoltà che ho scelto (Scienze della Comunicazione n.d.r.) in Sardegna non c'è. Così, giocoforza, ho dovuto lasciare la mia casa e trasferirmi a Roma. Cosa le manca della Sardegna? Tutto: la famiglia, il mare, l'ambiente, il paese..... Sono partita con le lacrime agli occhi, anche perché sono convinta che la nostra Isola abbia grandi potenzialità proprio nel settore della nuova comunicazione. Non mi dica che è proprio questo il settore nel quale vuole mettere a frutto i suoi studi? Perché no? La Sardegna ha dimostrato con Video on Line, Tiscali e ora con il gruppo Zuncheddu di essere all'avanguardia nella new economy e nel nuovo modo di fare comunicazione. Da queste parti si è dimostrato di aver capito che le barriere geografiche, grazie a internet e alla nuova comunicazione, non contano più. E allora, arrivederci dietro alla scrivania di un grande giornale. Lo spero, sempre che alla Sapienza si decidano a darmi la laurea....... Anthony Muroni _____________________________________________________________ L'Unione Sarda 23 feb. '01 ERSU E BORSE DI STUDIO: ENTRO IL 10 AGOSTO L'ULTIMO ESAME Sarà il dieci agosto il termine entro cui gli universitari dovranno sostenere l'ultimo esame utile per le domande di borse di studio e di alloggi nella casa dello studente. L'annuncio arriva da Luigi Sotgiu, presidente dell'Ersu (Ente regionale per il diritto allo studio universitario) che nei giorni scorsi ha incontrato gli studenti per metterli al corrente dell'importante novità. "Stilare le graduatorie richiede tempi tecnici ben precisi", spiega Sotgiu, "con l'anticipo dell'inizio dell'anno accademico di un mese rispetto alla tradizione per noi diventa indispensabile anticipare anche la scadenza delle domande che ora passa dal trenta settembre al dieci agosto". Una novità non molto gradita dagli studenti, specialmente quelli fuori sede: "In questo modo, rispetto al passato abbiamo un mese e mezzo in meno di tempo per sostenere esami, capite i disagi che potrebbe creare l'adozione di un simile provvedimento", protesta Federico, studente d'ingegneria: "Un vero peccato dato che per molti di noi, l'appello di settembre costituiva un'importante occasione di recupero. Inoltre - continua - le novità introdotte di recente ci hanno spiazzato con conseguenti perdite di tempo. Quest'altra mazzata proprio non ci voleva, speriamo che capiscano le nostre esigenze". Altri studenti gli fanno eco: tutti che chiedono a gran voce il posticipo della nuova scadenza. "Impossibile", risponde però l'Ersu, che spiega: "si tratta di una scadenza imposta anche dal decreto del presidente del Consiglio dei ministri sulle provvidenze da assegnare agli universitari nel prossimo triennio. Un decreto che entrerà in vigore tra poche settimane cui nessuno potrà sottrarsi". Inoltre, precisa Sotgiu, non si tratta neppure di una novità assoluta, dato che quest'obbligo era previsto già in un precedente decreto del '97 cui sinora si era riusciti a derogare. A questo punto, l'unica soluzione che si prospetta agli studenti per sostenere, naturalmente con esito positivo, qualche esame in più (e quindi avere più punteggio in graduatoria) pare sia l'aumento del numero degli appelli, cosa che potrebbe non piacere a molti docenti. "Ad ogni modo questa è la realtà", dice ancora il presidente dell'Ersu: "Docenti e studenti dovranno quindi organizzarsi di conseguenza". "Da parte mia", conclude Sotgiu, "c'è la volontà di appoggiare gli studenti nella richiesta di un maggiore numero di appelli". Comunque, è compito delle facoltà la decisione di aumentare o meno il numero degli appelli che gli studenti possono sostenere durante l'anno accademico. Gli oltre 4.500 interessati al nuovo provvedimento attendono con ansia la decisione, che li metterebbe nella condizione di affrontare con maggiore serenità il corso di studi. Sabrina Zedda _____________________________________________________________ L'Unione Sarda 21 feb. '01 L'ESAME REGALATO: RINVIATO A MAGGIO L'INTERROGATORIO DELLA STUDENTESSA Per l'indisponibilità di un difensore è stato rinviato al prossimo 14 maggio il processo all'ex preside della facoltà di Scienza della formazione e la (ex) studentessa accusati da un docente di Filosofia di falso ideologico. I due avrebbero falsificato lo statino universitario: in altre parole, il preside, Alberto Pala, avrebbe regalato l'esame alla studentessa, Marisa Renis. Così, sostiene il professor Pietro Melis. Ieri mattina il pm Gaetano Porcu avrebbe dovuto interrogare la ragazza ma l'udienza è stata rinviata per l'indisponibilità di un avvocato. ================================================================== _____________________________________________________________ Corriere della Sera 20 feb. '01 LA SANITA' A DUE MARCE Borgonovi Elio Attese fra pubblico e privato LA SANITA' A DUE MARCE di ELIO BORGONOVI Una indagine del Corriere sulla sanità ha confermato che le prestazione chieste in regime di assistenza pubblica comportano tempi di attesa di alcuni mesi, ma le stesse prestazioni richieste "a pagamento" in regime di libera professione vengono garantite ed erogate in pochi giorni se non addirittura immediatamente. I risultati non sorprendono, anzi confermano l' esperienza quotidiana di quasi tutti noi e mettono in evidenza che ci troviamo di fronte a un sistema a doppia velocità. Una doppia velocità che in primis va collegata al fatto che sul servizio pubblico si scarica un più elevato volume di richieste, a volte proprie a volte improprie, a volte urgenti a volte non urgenti, per cui è inevitabile che la risposta sia a tempi più lunghi. La domanda di prestazioni "a pagamento" è di dimensioni minori, è autoselezionata, è mirata a specifici medici (o terapisti, o infermieri, ecc.) ed è quindi naturale che la riposta possa essere più rapida e immediata. Una seconda ragione è legata al fatto che in passato in presenza di una tecnologia e di metodiche assistenziali più semplici si siano consolidati modelli di organizzazione del lavoro "a fasi", con un turno "a pie no ritmo" al mattino e con una attività ridotta nel resto della giornata. Oggi nuove tecnologie e nuove possibilità di organizzare i ritmi biologici consentirebbero di dare assistenza "a ciclo continuo". Questa evoluzione, che consentirebbe di ridurr e i tempi di attesa, richiederebbe però interventi forti per rompere schemi consolidati da anni e sui quali si sono innestati interessi reali (doppio lavoro, stili di vita, ecc.), interventi che possono essere di tipo autoritario (difficilmente attua bili) o di tipo incentivante. La libera professione intramuraria è uno di questi strumenti che è proprio finalizzato a mantenere i medici e gli altri professionisti all' interno della struttura pubblica, a far utilizzare meglio la capacità di offerta e a favorire una "contaminazione positiva". Ossia i medici motivati dalla possibilità di svolgere una attività in proprio potrebbero impegnarsi anche a far meglio (ridurre i tempi di attesa) l' attività svolta per conto del servizio pubblico. Riduce ndo tali tempi si attraggono più pazienti presso la struttura in cui si lavora e si aumenta la probabilità di avere un maggior numero di "pazienti in regime libero professionale". Oggi anche nella sanità chi può è portato a "capitalizzare individualm ente la propria competenza professionale, il proprio prestigio, la propria disponibilità a lavorare molto e bene per ridurre i tempi di attesa. Occorre prendere atto (non so se amaramente o realisticamente) che in una società nella quale è caduto a l ivello molto basso il prestigio del lavoro e della funzione pubblica rispetto al prestigio e al riconoscimento delle prestazioni del risultato del lavoro privato, anche la velocità nella risposta ai bisogni di salute sia più bassa per i servizi chies ti in regime di assistenza pubblica. Prenderne atto o reagire, convincendosi del fatto che per ridurre, se non proprio eliminare, le due velocità sia necessario prima di tutto agire su un cambiamento della cultura della società che ritorni a d are prestigio, dignità e adeguati riconoscimenti (anche, ma non solo, sul piano economico) al lavoro pubblico che svolge una funzione diversa ma non meno importante del lavoro privato. Se la società sarà in grado di realizzare questo cambiamento cult urale, sarà possibile applicare le tante soluzioni tecniche ed organizzative idonee a ridurre anche i tempi di attesa per le prestazioni sanitarie richieste agli ospedali e alle aziende sanitarie pubbliche. Università Bocconi _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 23 feb. '01 SANITÀ, LE REGIONI CHIEDONO FONDI AGGIUNTIVI Conti pubblici I "governatori": il boom della spesa non dipende da noi, a pagare deve essere lo Stato Sanità, pressing delle RegioniChiesti fondi aggiuntivi con la legge di assestamento - Sciopero del personale del Ssn sul rinnovo dei contratti Roberto Turno ROMA Continua il pressing delle Regioni sul Governo per la spesa sanitaria. Farmaceutica, specialistica, contratti e convenzioni, assistenza socio-sanitaria - confermano i "governatori" - rischiano di far esplodere anche nel 2001 i conti del Ssn. E per questo mettono le mani avanti: non pagheremo coi nostri bilanci, è l'aut-aut al Tesoro, uscite in più che non dipendono da scelte locali. E se così risulterà dal monitoraggio sull'andamento della spesa, le Regioni chiedono un impegno preciso al Governo: l'aumento delle dotazioni del Fondo sanitario con la legge di assestamento del bilancio dello Stato. Operazione avvenuta anche nel 2000, con la concessione di 5mila mld in aggiunta ai 119mila stanziati dalla Finanziaria. È con queste richieste che i presidenti regionali hanno consegnato ieri al Governo, in conferenza Stato-Regioni, la loro proposta di integrazione del patto di stabilità del 3 agosto scorso. Ma senza ancora ricevere alcuna risposta. Occasione per formalizzare un'intesa, da tempo in discussione col sottosegretario al Tesoro, Piero Giarda, dovrebbe essere la Stato-Regioni dell'8 marzo. Riunione sulla quale, peraltro, potrebbe pesare anche la trattativa per il rinnovo del secondo biennio economico del contratto del personale non medico del Ssn: oltre 550mila dipendenti che ieri, letta la bozza di direttiva all'Aran, hanno deciso di proclamare uno sciopero generale nazionale per venerdì 30 marzo, preceduto da manifestazioni interregionali (10 e 17 marzo). Una protesta, quella di infermieri e tecnici, che rischia di essere dirompente in piena campagna elettorale. E che, da un punto di vista finanziario, vede mancare all'appello circa 800 mld rispetto alla piattaforma di Cgil, Cisl e Uil. Se i non medici stanno al palo, medici e dirigenti sanitari hanno invece conquistato, sempre ieri, il contratto integrativo sul part-time: sarà concesso a non più del 5% dei dirigenti. L'intesa non è stata sottoscritta da Cimo e Federazione medici. Testa a testa sulla spesa. In attesa di ricevere risposte dal Governo sull'integrazione al patto di stabilità, le Regioni hanno messo le mani avanti sulle responsabilità per eventuali disavanzi futuri. Il paradigma dell'accordo dell'agosto scorso - "chi rompe paga" - affermano, va applicato alla lettera. E per questo è stata avanzata ufficialmente più di una riserva sulle assegnazioni per il 2001. Farmaci, specialistica ambulatoriale, contratti e convenzioni dei medici, mancato calcolo dei costi per l'esclusività dei medici in alcuni istituti (ospedali classificati religiosi, Irccs, Policlinici), sarebbero causa di un sicuro splafonamento anche rispetto al pur congruo Fondo 2001 (131mila mld, più ripiani e risorse per l'edilizia). Ma sulla spesa sanitaria le Regioni non sembrano certo marciare all'unisono. Tanto che ancora ieri c'è stata una vivace discussione tra i presidenti sull'equilibrio tra Nord e Sud. Piano sociale: 3mila mld. Sono stati ripartiti dalla Conferenza unificata i 3.080 mld per il 2001 del primo Piano sociale nazionale per servizi alla persona e alle famiglie, nato sotto l'egida del ministro per la Solidarietà sociale, Livia Turco, in applicazione della legge di riforma dell'assistenza. Il progetto prevede altri 3.084 mld nel 2002 e 2.634 nel 2003. Quanto ai fondi per il 2001, la parte del leone la faranno le Regioni (1.467 mld); 436 mld vanno ai Comuni per l'estensione del reddito minimo di inserimento e per il fondo per l'infanzia e l'adolescenza; 921 mld all'Inps per integrazioni agli assegni familiari e di maternità; 125 mld alle Onlus soprattutto per progetti destinati ai disabili. Manager a 370 milioni l'anno. Concluso poi alla Stato-Regioni l'iter del Dpcm per i nuovo stipendi dei manager di Asl e ospedali. Che avranno aumenti consistenti, ma inferiori alle loro attese: al massimo 300 milioni lordi l'anno, più un ulteriore 20% legato ai risultati e 10 milioni per la formazione; direttori sanitari e amministrativi avranno il 20% in meno. "Contratto" siglato senza retroattività o bonus: tanto che già stanno partire i ricorsi. Medici di base con ecografo? La Sanità ha discusso ieri coi sindacati il progetto di Veronesi di dotare di ecografi gli studi dei medici di base. Progetto che, se applicato integralmente, richiederebbe ingenti somme. Per questo si ipotizza di cominciare sperimentalmente (tra i medici in associazione o nei distretti) e di attingere nei fondi per la ricerca finalizzata. La speranza è, in questo modo, di alleggerire la pressione su ospedali e specialistica. E di risparmiare. _____________________________________________________________ Repubblica 23 feb. '01 TASK FORCE PER GLI ERRORI IN CORSIA Iniziativa del Tribunale del malato MARIO REGGIO ROMA - Undici "task force" a caccia di errori di medici, infermieri e tecnici, in altrettanti grandi ospedali italiani. Ogni taskforce sarà formata da 4 o 5 sanitari scelti delle Asl e dovrà registrare, a partire dal prossimo mese, gli errori nelle diagnosi e nelle terapie, tracciare una mappa degli sbagli più frequenti, individuare cosa non ha funzionato nelle procedure, osservare gli eventi sentinella, vale a dire i nuovi casi che fanno scattare lo stato d'attenzione. L'annuncio è stato dato ieri da Stefano Inglese, responsabile delle politiche nazionali del Tribunale per i Diritti del Malato, durante il convegno del Censis su "Rischi ed errori nella sanità italiana. "La società sta vivendo un processo generale d'invidualizzazione - ha spiegato il direttore del Censis Giuseppe De Rita - ed anche rispetto alla salute il cittadinoutente è diventato più esigente: si aspetta sempre di più dal sistema sanitario, ritiene di essere sempre un caso a parte, e prova una forte disillusione se è colpito da un avvenimento negativo. Più forte è la disillusione e maggiore è il desiderio di trovare il responsabile: il medico, la struttura sanitaria o l'infermiere. Così nasce il problema: chi dovrà pagare i danni causati al malato? Sono in grado le assicurazioni di coprire i rischi? È opportuno assicurare la struttura o il singolo medico?". In Italia, per il momento, le compagnie d'assicurazione preferiscono stare alla finestra. A loro dire, nei pochi casi in cui hanno stipulato contratti con singoli medici o con strutture sanitarie ci hanno rimesso: contro 100 lire di premi versati i costi hanno raggiunto quota 250. La maggiore consapevolezza dei propri diritti, la convinzione che la scienza medica è in grado di risolvere qualsiasi problema, spinge ogni giorno di più il malato a denunciare casi di malasanità veri o presunti. Secondo l'indagine del Censis, che ha analizzato i 340 articoli sulla sanità usciti su 21 quotidiani nazionali e interregionali, nel 48 per cento dei casi la causa del danno è derivata da un errore umano, mentre nel 33 per cento degli articoli la responsabilità viene attribuita alla struttura sanitaria. E più nel dettaglio, nel 20 per cento dei casi a causare danni al paziente è stato il personale sanitario: per il 14 per cento il medico chirurgo, nel 12 il medico specialista. I dati forniti dal Tribunale per i diritti del malato, basati su 30 mila schede classificate, parlano del 18 per cento di sospetti errori diagnostici e terapeutici nell'area ortopedica, del 13 per cento per la chirurgia generale, 11 ostetricia e ginecologia, 10 per cento causati da operatori dell'area oncologica. Ecco perché le undici task force che si metteranno alla caccia degli errori. "L'obiettivo è quello di far capire a chi lavora in una struttura sanitaria che non c'è alcun obiettivo punitivo - spiega Stefano Inglese del Tribunale per i diritti del malato - ma quello di monitorare il fenomeno degli errori, studiare le procedure e metterlo sotto controllo. Proprio per evitare che nel futuro si ripetano, anche se come in ogni attività umana lo sbaglio non è eliminabile in assoluto. Una procedura già ampiamente collaudata negli Stati Uniti dall'Accademia Americana della Scienza e in Gran Bretagna. _____________________________________________________________ Il Messaggero 21 feb. '01 SANITÀ PRIVATA SE C'È URGENZA Cassazione: Le liste d'attesa non possono mettere in pericolo la vita Secondo i giudici le Asl sono tenute a rimborsare tutte le spese sostenute Non serve l'autorizzazione per i pazienti gravi e senza posto ROMA - I cittadini con la salute a rischio possono farsi operare nelle cliniche private e le Unità sanitarie locali dovranno rimborsarli. Sempre che negli ospedali e nelle strutture convenzionate le liste di attesa siano così lunghe da metterli in pericolo di vita. Lo ha disposto la Corte di Cassazione respingendo il ricorso del direttore generale di una Unità sanitaria lombarda che si opponeva alla restituzione di 50 milioni a un cittadino che era stato operato in una clinica privata dopo un infarto. I giudici supremi hanno stabilito che "il diritto primario alla salute è un diritto inviolabile" che necessita di "incondizionata protezione". E intanto, a causa delle liste d'attesa e delle diagnosi fatte in ritardo, ogni anno in Italia muoiono 9 mila persone. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 20 feb. '01 IL NUOVO DOPING? LA MANIPOLAZIONE GENETICA Il fisiologo: "Le prestazioni saranno pilotate" Sarà possibile aumentare i capillari dei muscoli e quindi anche la resistenza allo sforzo. Il professor Marchetti: "Si potranno scegliere i campioni del futuro tra i figli delle atlete medagliate" Bazzi Adriana Il nuovo doping? La manipolazione genetica Le ricerche sul genoma rivoluzionano anche lo sport. Il fisiologo: "Le prestazioni saranno pilotate" MILANO - L' atleta del futuro? Sarà transgenico: niente più estenuanti allenamenti quotidiani, ma la manip olazione del patrimonio genetico per aumentare forza e resistenza muscolari. E persino il doping potrebbe fare a meno di pillole e iniezioni per ricorrere alle alchimie dei genetisti. Almeno così sembrano promettere le nuove ricerche sul genoma umano . Tempo trenta o quarant' anni, e quello che oggi sembra fantascienza, potrebbe bussare alla porta del mondo sportivo. Del resto la rivoluzione genetica è appena cominciata e la pubblicazione ufficiale della mappa del genoma umano, cioè delle istruzi oni che sono contenute nel Dna e servono per costruire e far funzionare l' organismo, è "solo" della settimana scorsa: ora si tratta di capire quali dei 30 mila geni dell' uomo influenzano il rendimento sportivo. Quali, per esempio, hanno a che fare con la rapidità d' azione, quali con la resistenza, quali infine con l' elasticità o la flessibilità. LE SCOPERTE - "Le caratteristiche di un atleta - precisa Marco Marchetti, direttore della Scuola di specializzazione in Medicina sportiva dell' Univ ersità La Sapienza di Roma - sono in gran parte geneticamente determinate. Basti pensare alla statura: se si vuole giocare a pallacanestro è necessario essere alti e l' altezza è dettata dai geni". Non sarà facile però individuare, gene per gene, tut ti quelli che condizionano le capacità atletiche, ma qualcosa è già stato scoperto. Il canadese Claude Bouchard ha identificato alcuni geni che regolano il consumo massimo di ossigeno, cioè la capacità di utilizzare l' ossigeno che è la chiave degli sport di resistenza, come la maratona o lo sci di fondo. "Non solo - precisa Marchetti - ma la capacità di resistenza si erediterebbe dalla madre, perché è la madre che trasmette i famosi mitocondri contenuti nelle cellule, cioè le centrali di produz ione di energia: in attesa di ipotetiche manipolazioni di geni per aumentare le prestazioni atletiche, si può pensare, grazie a questa informazione genetica, di scegliere i campioni del futuro fra i figli delle atlete d' élite". Ma c' è anche chi sta già sperimentando, nella pratica, alcune tecniche di intervento sui geni. Per esempio per aumentare, nei muscoli, la quantità di capillari, i piccoli vasi sanguigni che portano il sangue ai muscoli: più capillari significa più ossigeno e più element i nutritivi per il muscolo, quindi maggiore capacità di resistenza allo sforzo. La manipolazione riguarda il gene che serve per la produzione del Vegf, un fattore di crescita endoteliale che serve appunto per la formazione di nuovi capillari ed è già stato somministrato ai malati di cuore per curare le conseguenze di un infarto. Un' altra possibilità sta invece nell' agire sul gene che stimola la formazione di fibre muscolari rapidissime. Normalmente questo gene funziona soltanto nella laringe e non nel muscolo, ma se si riuscisse ad attivarlo anche qui, si potrebbe migliorare di molto la velocità di contrazione dei muscoli scheletrici. E ottenere enormi vantaggi negli sport di velocità. Una serie di altri esperimenti, in corso nei laborato ri di tutto il mondo, hanno per ora soltanto l' obiettivo di curare le malattie dell' uomo, ma un domani qualcuno potrebbe pensare di sfruttarne i risultati per costruire un atleta su misura. NEGLI USA - Alcuni ricercatori di Filadelfia hanno provato a iniettare nei topi il gene di una sostanza chiamata IGF-1 che si è rivelata in grado di aumentare la massa muscolare del 15 per cento e la forza del 14 per cento. L' idea è quella di studiare una terapia per le malattie del muscolo, ma potr ebbe essere sfruttata anche nella medicina sportiva. A Chicago, invece, hanno usato i topi per un altro esperimento: l' introduzione del gene dell' eritropoietina nel loro patrimonio genetico per stimolare la produzione dell' ormone e curare così le anemie. L' eritropoietina, infatti, è un ormone che serve a produrre i globuli rossi del sangue e per questo viene anche utilizzato come doping in ambito sportivo. La manipolazione genetica fa anche ipotizzare la possibilità di aumentare la produzion e dell' ormone della crescita o del testosterone, altri due ormoni considerati oggi sostanze dopanti. A questo punto il confine fra manipolazione genetica per migliorare il rendimento e il doping genetico si fa davvero labile. "Non sono contrario all a ricerca scientifica - commenta Marchetti -, ma ammesso che sia possibile la manipolazione del patrimonio genetico per costruire il super-atleta del futuro, si tratterebbe comunque di una forma di doping. Soltanto il pensare alla perfettibilità dei geni umani per fini sportivi mi sembra poco serio. L' unica manipolazione atletica che si può e si deve fare è l' allenamento. Tutto il resto è doping. E se non lo è oggi, lo sarà domani". Adriana Bazzi _____________________________________________________________ L'Unione Sarda 23 feb. '01 INTERVENTO RIVOLUZIONARIO ALL'OSPEDALE S.FRANCESCO Un paziente, Francesco Sotgiu, 54 anni, di Siniscola affetto da un tumore al pancreas, un altro al rene sinistro, una tubercolosi polmonare e per concludere da diabete, è sato operato grazie ad una nuova e rivoluzionaria tecnica. Nel settembre scorso gli sono stati asportati i due tumori e oggi, per il responsabile dell'èquipe nuorese, Franco Badessi, è chirurgicamente guarito. Considerate le condizioni del malato l'intervento è stato definito dai medici un caso da primato mondiale. Un miracolo per l'ospedale della provincia sarda, che pratica ormai da quattro anni questa tecnica particolare (chirurgia mininvasiva) e che dopo questo successo avrà una risonanza internazionale. F.Fr. San Francesco. Asportati in laparoscopia due tumori a un paziente affetto da tubercolosi e diabete Primato mondiale in sala operatoria Tumori rimossi dai chirurghi grazie a una tecnica d'avanguardia Considerate le condizioni del malato l'intervento oltre che riuscito al meglio mette a segno praticamente un record mondiale. Insomma, la cartella clinica del paziente Francesco Sotgiu, 54 anni, di Siniscola, non era certo delle più confortanti, ed elencava nell'ordine la presenza di un tumore al pancreas, uno al rene sinistro, una tubercolosi polmonare e, come non bastasse, un diabete. Ricoverato al "San Francesco" nel settembre dello scorso anno, è riuscito a superare tutti i trattamenti e due operazioni che sembrano davvero aver fatto il miracolo. Chirurgia mininvasiva, interventi di asportazione del tumore fatti per via laparoscopica, senza taglio quindi, se non quei due tre buchini che permettono l'introduzione degli strumenti e di una telecamerina che proietta le immagini in video. Al "San Francesco" sono sette anni che la praticano (con risultati importanti, traghettati molto spesso ai convegni medici internazionali) ma un caso come questo del signor Sotgiu. Davvero particolare, tanto che la scorsa settimana è finito pure su Check up, la trasmissione di medicina su Rai Uno. "Il paziente oggi può ritenersi chirurgicamente guarito", smorza Franco Badessi, responsabile dell'équipe nuorese che ha realizzato l'ultimo l'intervento sul malato con l'apporto di Cristiano Uscher, del "San Giovanni di Dio" di Roma, uno dei più grandi esperti mondiali in chirurgia mininvasiva. "Collaboriamo da tempo col professor Uscher che - spiega Badessi - ha voluto seguire con noi anche il caso particolarissimo di questo paziente". Un caso particolare in un paziente affetto da due neoplasìe, una al pancreas, l'altra appunto al rene sinistro. "Come intervenire? Un intervento chirurgico classico, a cielo aperto, per l'asportazione del tumore in questo caso era impensabile. Soprattutto perché il malato - spiega Franco Badessi - era diabetico, il che avrebbe reso quasi impossibile la cicatrizzazione delle ferite". La diagnosi (chiaramente per via laparoscopica) è stata fatta a Nuoro, un consulto quindi la definizione del programma di trattamento. L'urgenza era quella dell'asportazione del tumore al pancreas: è stato eseguito a Roma dallo stesso Cristiano Uscher; quindi il paziente è rientrato a Nuoro per l'intervento sul rene. "Ma prima c'era da affrontare le complicazioni della tubercolosi polmonare", sono stati quindi necessari venti giorni di terapia tubercolare allo "Zonchello". Quindi l'operazione sul rene, nel dicembre scorso. A capo dell'équipe che al "San Francesco", lo scorso anno, ha fatto più di mille interventi in laparoscopìa - Franco Badessi e Cristiano Uscher. "Come si è trovato il professore? Bene. Ha apprezzato la struttura, l'organizzazione, la squadra che comprende chiaramente anche altre professionalità come i ferristi, gli anestesisti. Questo ci dimostra che il nostro ospedale, a parte le pur tante pecche, ha da offrire molto di buono e in campi davvero all'avanguardia". La chirurgia mininvasiva viene praticata a Nuoro ("Oramai in tutte le specialità: dalla cardiologia, all'ortopedia, alla ginecologia") dal '97. "Non solo al San Francesco ma anche negli altri nostri ospedali. Ma le diagnosi per via laparoscopica a Nuoro le facciamo dal 1982", rinforza il direttore sanitario dell'azienda Antonio Soru. Prenotazioni alle stelle, liste d'attesa sostanziose anche se chiaramente ("per i pazienti che presentano neoplasìe") ci sono le corsie preferenziali. "Ecco - conclude Soru - abbiamo grandi professionalità, punte di eccellenza che vengono tanto apprezzate fuori e allora c'è da chiedersi perché questo riconoscimento non venga dagli utenti del San Francesco". Piera Serusi _____________________________________________________________ L'Unione Sarda 21 feb. '01 DEL ZOMPO:ORA VI SPIEGO COME NASCE LA FAME D'ARIA Il numero di Febbraio di Archives of General Psychiatry, una delle più prestigiose riviste di psichiatria, riporta uno studio sul Panico condotto da un gruppo di ricercatori diretto dal prof. Enrico Smeraldi e che riconosce in Marco Battaglia il principale ideatore della ricerca. Un dato già conosciuto è che un aumento di concentrazione di anidride carbonica nel sangue scatena sempre un riflesso di iperventilazione (il soggetto fa respiri più brevi ma molto frequenti) chiamato anche "fame d'aria" ed un certo stato di agitazione. Questo riflesso è controllato da un gruppo di cellule, contenute nel cosiddetto midollo allungato, situato proprio alla fine del midollo spinale e che fa da ingresso nel cervello vero e proprio, che contengono un neurotrasmettitore (cioè una sostanza che fa parlare le cellule nervose tra loro) chiamato acetilcolina. L'aceticolina contenuta in queste cellule stimola i propri recettori (proteine che quando stimolate provocano una funzione), chiamati recettori muscarinici, e in questo modo controlla il respiro sia come profondità che come frequenza. Infatti, negli animali è stato dimostrato come lo stimolo provocato dalla anidride carbonica nel midollo allungato determina la comparsa proprio di una iperventilazione: se a questo punto diamo all'animale una sostanza che blocca i recettori su cui agisce l'acetilcolina fermiamo l'iperventilazione. Questi esperimenti hanno dimostrato che l'acetilcolina svolge un ruolo nel controllo della profondità e della frequenza del respiro. I recettori all'acetilcolina presenti nel midollo allungato non rivestono un ruolo importante nel soggetto normale, ma possono avere un ruolo determinante nei soggetti ipersensibili. Cosa avviene nel panico? Il soggetto affetto da Disturbo di attacchi di panico, secondo i risultati presentati dal gruppo del dott. Marco Battaglia avrebbero i recettori all'acetilcolina presenti nel midollo allungato ipersensibili, cioè entrano in funzione con uno stimolo molto basso che nei soggetti normali non provoca alcuna risposta. Questa ipersensibilità diventa appunto una iperventilazione con fame d'aria che innescherebbe la reazione di panico nei soggetti predisposti. Tutto questo viene bloccato da un farmaco, chiamato biperidene, che spegne l'attività di questi recettori. Come si cura oggi il panico? I risultati dello studio non sono al momento applicabili in clinica ma non per questo non abbiamo mezzi atti a curare il Disturbo da Attacchi di Panico. Infatti oggi usiamo farmaci molto efficaci che aumentano la funzione del sistema serotoninergico e appartenenti alla classe degli SSRI (alcuni esempi come il citalopram, la paroxetina ed altri) che da soli o in combinazione, spesso determinante , con una psicoterapia comportamentale sono in grado di controllare perfettamente la malattia. Maria Del Zompo Farmacologo Dipartimento di Neuroscienze Università di Cagliari _____________________________________________________________ Le Scienze 21 feb. '01 GLI XENOTRAPIANTI Lo xenotrapianto potrebbe rivelarsi utile per trapianti di emergenza, in attesa che si renda disponibile un organo umano Nonostante le tecniche di trapianto oggi siano ragionevolmente a punto e permettano ottime probabilità di sopravvivenza e buone aspettative di qualità della vita, esiste ancora il problema non risolto dell'approvvigionamento degli organi. Proprio per questo la scienza si è rivolta da tempo al tentativo di trapiantare organi provenienti da specie diverse, lo xenotrapianto. Il primo tentativo fu fatto nel 1964, quando a un uomo fu trapiantato il rene di uno scimpanzé, ma la sopravvivenza del paziente fu molto breve, come quella di tutti i tentativi seguenti. Da allora gli esperimenti sugli esseri umani sono stati sospesi, ma arriva ora una buona notizia dall'Università di Padova, dove una scimmia a cui sono stati trapiantati due reni di maiale è sopravvissuta per ben 87 giorni, stabilendo un nuovo record. Gli scienziati hanno preso in considerazione il maiale come possibile donatore, invece dei primati più simili all'uomo, principalmente per motivi etici e per ridurre il rischio della trasmissione di malattie virali. Il maiale è infatti l'animale che, dopo i primati, ha gli organi anatomicamente e fisiologicamente più simili a quelli umani. Negli esperimenti vengono utilizzati animali geneticamente modificati, per ridurre al minimo i problemi di rigetto. Prima di poter riprendere gli esperimenti clinici sugli esseri umani, è sicuramente necessario migliorare ulteriormente i maiali transgenici per ridurre i problemi di rigetto. Anche una sopravvivenza di 87 giorni, pur trattandosi di un record, non rappresenta certo un risultato apprezzabile per un essere umano. Oltre a questo, resta ancora da studiare il possibile rischio di trasmissione di malattie virali. Lo xenotrapianto potrebbe rivelarsi utile per trapianti di emergenza, in attesa che si renda disponibile un organo umano per un trapianto definitivo. Oltre a questo, gli scienziati stanno anche valutando l'efficacia del trapianto di singole cellule, invece che di organi interi, per curare malattie come il diabete o il morbo di Parkinson. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 21 feb. '01 TUMORI, SCOPERTO ENZIMA DELLA LORO IMMORTALITÀ ROMA Tumori, scoperto enzima della loro immortalità Ricercatori dell' Istituto di neurochirurgia dell' Università Cattolica di Roma, in collaborazione con il Cnr, hanno scoperto l' enzima, chiamato telomerasi - presente nelle cellule maligne, ma asse nte in quelle sane - che permette alle cellule del glioblastoma (un tumore cerebrale) di trasmettere la loro immortalità alle altre, aiutando la diffusione del tumore. La ricerca è in corso di pubblicazione sul Journal of Neurosurgery. _____________________________________________________________ La Stampa 21 feb. '01 E ORA CHE IL GENOMA È SVELATO? VERSO UNA NUOVA MEDICINA Conoscere il nostro destino biologico crea problemi sociali Marta Paterlini DAVANTI alla sequenza genomica umana ho sentito un brivido lungo la schiena", ha detto David Baltimore, uno dei pionieri della biologia molecolare. Il genoma umano è ora sotto i nostri occhi, pronto per essere interpretato. Celera Genomics e Progetto Genoma Umano, privato e pubblico, hanno reso note le loro bozze dell'intera sequenza genomica umana (per l'esattezza il 95%). Da una parte 282 scienziati sotto la supervisione di Craig Venter, presidente di Celera; dall'altra il consorzio costituito da altrettanti scienziati provenienti da più di 20 laboratori nel mondo e sotto la guida di Francis Collins del National Institutes of Health. Le due forze scientifiche hanno diffuso il nuovo sapere rispettivamente su "Science" e "Nature". La sequenza Progetto Genoma Umano è accessibile a chiunque (http://genome.cse.ucsc.edu/). La sequenza Celera è disponibile per la ricerca di base no-profit (www.celera.com), mentre nel caso delle aziende private l'informazione dovrà essere pagata. Le due sequenze, che presentano alcune differenze, sono sostanzialmente complementari e da entrambe è emersa la stessa sorpresa: il numero relativamente esiguo di geni, circa 30.000 (facendo una media dei risultati emersi dalle due sequenze) contro i 140.000 predetti da molti scienziati in questi anni. Con alcune eccezioni: negli Anni 30 il genetista J.B.S. Haldane aveva ragionato sul fatto quando il numero dei geni in un organismo diventa troppo grande, aumentano anche le mutazioni letali che potrebbero portarlo all'estinzione. Seguendo il susseguirsi delle quattro basi nucleotidiche (adenina, guanina, citosina, timina, che concorrono a formare il DNA) scopriamo di avere solo poco più del doppio dei geni del moscerino della frutta (13.000 geni). Ma allora quale è l'origine dell'unicità del genere umano? La nostra complessità rispetto agli altri organismi (il lievito ha 6000 geni, il lombrico ne ha 18.000 e la Arabidopsis, piantina da poco sequenziata, ne ha 26.000) non va, quindi, cercata nella quantità di geni posseduti. "La vera sfida - dice Svante Paabo, antropologo e genetista presso l'Istituto Max Planck di Leipzig - si presenterà quando il genoma di scimpanzè sarà completato. Così simile al nostro, sarà dura per gli uomini porre una distanza tra se stessi e gli animali come spesso hanno fatto finora". Un secondo punto, altrettanto cruciale, è la sorprendente storia genetica comune che abbraccia tutti i gruppi etnici senza distinzione: gli esseri umani condividono il 99,9% dei geni. Dall'analisi della sequenza umana, il concetto di razza, culturalmente importante, si esaurisce in pochi tratti comuni determinati da una piccola frazione dei nostri geni: capita allora che due persone provenienti dalla stessa parte del mondo siano meno vicine rispetto a due persone di origine etnica diversa. Continuando il viaggio nel database delle sequenze, si incontrano regioni apparentemente "desertiche", il che sottolinea la tendenza dei geni a disporsi a gruppi lungo i cromosomi. Inoltre, più di un terzo del genoma contiene sequenze ripetitive, il cosiddetto "jank" DNA (DNA spazzatura). "Preferisco chiamarle regioni di DNA non codificanti (cioè che non portano alla formazione di una proteina), - dice Mark Adams, vice presidente di Celera - non ne sappiamo ancora abbastanza per definirle spazzatura. Questo DNA potrebbe partecipare in qualche modo all'espressione genica (quanto e dove ogni gene venga espresso) e merita una mssiccia analisi. E' un dato di fatto, comunque, che il 75% del genoma resta un mistero. Inoltre - continua Adams - il fatto che ci siano meno geni del previsto, non ci permette di assegnare a ciascun gene una funzione. Bisogna lasciarsi alle spalle il dogma che ha fatto da sfondo a molte ricerche, un gene- una malattia. Piuttosto, si deve pensare in termini di combinazioni geniche, che determinano la diversità funzionale che ci rende i complessi organismi che siamo". La predizione di una malattia geneticamente determinata ha già portato e porterà enormi benefici, ma anche problemi. L'individuazione dei 2,1 milioni dei cosiddetti SNPs (si pronunciano snips e sono i singoli cambiamenti nucleotidici da cui, si crede, dipenda la diversità tra individui) offrirà preziose informazioni sulla reazione personale di un individuo ai farmaci. In questo caso le case farmaceutiche lavoreranno con nuovi bersagli e nuovi mezzi per affinare la specificità dei farmaci. Non solo. L'analisi degli SNPs potrà un giorno svelare le basi genetiche delle nostre capacità individuali, come l'abilità in matematica, la memoria, la coordinazione fisica e forse anche la creatività. La determinazione del rischio individuale nei confronti della malattia potrebbe però avere un caro prezzo: l'ipocondria genetica, la terribile attesa di una malattia a cui si è predisposti ma che non è detto insorga. Inoltre, la previsione delle malattie è una sfida sociale in termini di assicurazione medica; specialmente in quei paesi dove il sistema di assicurazione sulla salute non suddivide i rischi in misura equa tra tutta la popolazione. Alla luce di questa tappa fondamentale della storia della scienza e dell'uomo, emergono prospettive di natura diversa. "Il nostro obiettivo - conclude Adams - è quello di continuare a migliorare la lettura del genoma, soprattutto attraverso l'ispezione manuale di ciascun gene per descriverne meglio struttura e funzione. La nostra attenzione si sposterà gradualmente sull'analisi delle proteine, cercando di capire come il genoma venga interpretato dalle nostre cellule per creare molecole funzionali, le proteine". "Penso che l'effetto di questi risultati - aggiunge Paabo - riguarderà ciò che noi pensiamo di noi stessi. Adesso si può realisticamente pensare di poter cambiare i nostri geni a piacere. E questa è veramente una grandiosa prospettiva che solleva sia possibilità positive sia paure.". Università di Cambridge _____________________________________________________________ La Stampa 21 feb. '01 IL MORBO DI CROHN PIÙ GRAVE NEI PAZIENTI FUMATORI Colpiti ugualmente uomini e donne. La stima attuale è di circa 170 mila malati in Italia Renzo Pellati BURRILL Crohn è il gastroenterologo che, nel 1932, ha studiato a New York le malattie infiammatorie intestinali e ha rilevato che alcune persone presentano delle lesioni alla mucosa e alla sottomucosa del colon e del retto (coliti ulcerose), altri soggetti invece hanno delle lesioni infiammatorie che si estendono a tutti gli altri strati della parete intestinale (fino alla sierosa) con una distribuzione discontinua, dalla bocca al retto. La malattia che colpisce questi ultimi soggetti viene definita "morbo di Crohn" e ancora oggi è sconosciuta la causa responsabile di queste patologie. L'interesse dei ricercatori per questa malattia è vivissimo: 400 lavori pubblicati nel 1999 su riviste specializzate, perché la frequenza di complicanze è elevata, colpisce sempre maggiormente la popolazione giovanile (seconda-quarta decade di vita), rappresenta un peggioramento della qualità della vita (dolore addominale, calo ponderale, astenia, diarrea, perdita di sangue). Secondo le ipotesi più accreditate per le malattie infiammatorie intestinali ci sono fattori predisponenti (la familiarità incide per il 20 per cento dei casi), microbiologici (situazione della flora intestinale), ambientali: la colite ulcerosa è più frequente tra i non fumatori, mentre il morbo di Crohn assume caratteristiche di maggior gravità nei fumatori. Entrambe le malattie devono essere tenute sotto controllo per limitare il rischio di complicanze. L'incidenza delle malattie infiammatorie intestinali in Italia è di circa 10 nuovi casi per 100.000 abitanti, con una stima attuale di 170 mila malati. Uomini e donne ne sono ugualmente colpiti. In molti ospedali sono nati centri dedicati a questi pazienti per evitare accertamenti diagnostici inutili e ridurre i tempi di degenza. Un aiuto importante può venire dall'Associazione per le Malattie Infiammatorie Croniche intestinali (AMICI), che fornisce utili indicazioni sulle strutture sanitarie di riferimento e sull'assistenza integrativa (aderisce a una federazione europea e conta già 20.000 iscritti). L'accresciuto interesse scientifico verso queste malattie ha comportato nuove acquisizioni diagnostiche e terapeutiche. Per la diagnosi, ha contribuito la scoperta di due anticorpi denominati pANCA e ASCA, il primo di frequente riscontro nella colite ulcerosa, il secondo nel morbo di Crohn. Per la terapia si sono ottenute l'ottimizzazione delle cure tradizionali (corticosteroidi, azatioprina, antibiotici) e nuove formulazioni di mesalazina che consentono di portare alte concentrazioni del farmaco nelle zone di intestino maggiormente colpite. La rivista "Lancet" ha segnalato la recente scoperta di un rimedio innovativo (un anticorpo monoclonale capostipite di una nuova classe di farmaci otenuti con l'ingegneria genetica) che inibisce il Tumor Necrosis Factor alfa, una citochina che innesca l'nfiammazione dell'intestino ed è coinvolta nella risposta immunitaria e in altre flogosi (artrite reumatoide). Grandi speranze (riportate recentemente sulla rivista "Gastroenterology") sono rivolte anche all'impiego di probiotici ad alte concentrazioni che riescono a modificare la flora utile e potenziare le difese. _____________________________________________________________ Repubblica 21 feb. '01 ARRIVA L'ETÀ DELLA MENOPAUSA LE DONNE NON SI "ARRENDONO" Convegno dei ginecologi a Roma: chi fuma anticipa di un anno ELENA DUSI ROMA - Le donne si arrendono sempre meno alla menopausa. Di fronte a vampate, insonnia, crisi di ansia e depressione sono sempre più le cinquantenni che si rivolgono al medico. Obbiettivo: ritrovare la qualità della vita e il piacere dell'attività sessuale. Il pianeta menopausa (legato all'allungamento della vita e sconosciuto nel mondo degli animali) è finito sotto la lente dell'Associazione ostetrici e ginecologi ospedalieri italiani (Aogoi). Un'indagine è in corso da 5 anni su un campione di 80 mila donne di tutta Italia. Le meno intenzionate a lasciarsi andare sarebbero le cinquantenni del sud della penisola. Spesso il loro comportamento alimentare non è dei più corretti: fumano e mangiano in eccesso. Ma nonostante questo si vogliono ancora bene e sono consapevoli della necessità di tenere sotto controllo i sintomi della menopausa. Questa condizione è vissuta con sofferenza da una donna su tre. Ai disturbi biologici, causati dalla cessata produzione di estrogeni e dalla ridotta circolazione di androgeni, si affiancano i disturbi psicologici. "Cambia la percezione del proprio corpo spiega Alessandra Graziottin, ginecologa e sessuologa del San Raffaele di Milano e ci si sente meno appetibili dal punto di vista sessuale in un'età in cui l'uomo è ancora molto attivo. Per la donna questa tappa della vita rappresenta un vero e proprio terremoto". L'età media di chiusura del ciclo fertile è 50,8 mesi, invariata negli ultimi cinquant'anni. Ma chi fuma ha una menopausa anticipata. Un anno di ritardo invece per chi assume regolarmente la pillola o ha avuto da uno a quattro figli. "Per curare i sintomi della menopausa e prevenire i rischi dell'osteoporosi sostiene Piergiorgio Crosignani, ordinario di ginecologia all'università di Milano è utile la terapia ormonale sostitutiva personalizzata, da oggi disponibile anche in gel per rendere l'applicazione più comoda".