UNIVERSITÀ: PANEBIANCO AVVIA LA CONTRORIFORMA UNIVERSITÀ:L'APOCALITICA E PATETICA CONTRORIFORMA DI PANEBIANCO RIFORMARE LA RIFORMA, L'UNIVERSITÀ SI MOBILITA UNIVERSITÀ: "LE LAUREE BREVI FORMANO CATTIVI PROF" L' UNIVERSITÀ ADDORMENTATA UNIVERSITÀ, LA SANATORIA SUL NUMERO CHIUSO È LEGGE RIFORMA: IL TIROCINIO DIVENTA PARTE CURRICULUM DEGLI STUDENTI ORDINI E UNIVERSITÀ, FASSINO PRENDE TEMPO CAGLIARI: SALONE DELL'INFORMAZIONE NELLA FACOLTÀ DI LETTERE E LINGUE SASSARI: SPICCIOLI E VELENI PER LA RICERCA SCIENTIFICA SARDEGNA: LA LETTERA DI UN PADRE SULLA FUGA DI CERVELLI L'ANNO ACCADEMICO COMINCERÀ PRIMA:IN PERICOLO BORSE DI STUDIO E ALLOGGI ================================================================== UNA DONNA AL VERTICE DEL POLICLINICO UNIVERSITARIO POLICLINICO UNIVERSITARIO AVRÀ PER MANAGER UNA DONNA SANITÀ, IL BUSINESS IN CORSIA CAGLIARI: RIANIMATORI E DISASTRO ASL FARMACI, LE REGIONI VOGLIONO NUOVI TAGLI IGLESIAS:L'OSPEDALE DELLA VERGOGNA DROGA: GLI STIMOLI AMBIENTALI FANNO RIPETERE VECCHI ERRORI IL MISTERO DELL'ASPIRINA DI IPPOCRATE CURARSI MALE CON LE ERBE PRIONI PROMISCUI LE MALATTIE GLOBALI DALLA GENETICA UNA SPERANZA PER LE NEUROPATIE RACCOLTA DI CELLULE STAMINALI CONTRO LA CECITÀ ================================================================== RUBBIA, GRILLO E L'ELETTRICITÀ FAIDATE ================================================================== ______________________________________________________ Il Corriere della Sera 7 mar. '01 UNIVERSITÀ: PANEBIANCO AVVIA LA CONTRORIFORMA- RIFORMIAMO LA RIFORMA Un appello ai docenti universitari perchè chiedano immediate, sostanziali modifiche alla riforma degli atenei appena varata di LUCIANO CANFORA e ANGELO PANEBIANCO Dal prossimo anno accademico l'Università italiana dovrà obbligatoriamente organizzarsi, come la legge recentemente approvata prescrive, secondo nuove modalità: laurea triennale di primo livello, laurea biennale di specializzazione, generalizzata adozione del sistema dei crediti. La riforma che cio' impone è nata, nelle intenzioni dei suoi ideatori, per dare al sistema universitario italiano maggiore flessibilità rispetto al precedente assetto, per adeguare gli studi universitari alle mutate esigenze, e per consentire all'autonomia delle singole sedi, Facoltà e Corsi di laurea, come venne inizialmente detto, di dispiegarsi senza più i ceppi e i vincoli che l'hanno fin qui mortificata. Il risultato finale è stato pero' tutt'altro: errori di valutazione e di scelta e le pressioni incrociate degli interessi corporativi, insieme, hanno prodotto alla fine una gabbia d'acciaio, una cappa rigidissima che mortifica almeno quanto il precedente assetto l'autonomia universitaria, non tiene conto delle obiettive diversità (disciplinari, metodologiche, ecc.) fra i diversi corsi di studio universitari e, tutto appiattendo, rischia di accelerare, non di frenare, il processo in atto di deterioramento del sistema universitario. Gli estensori di questo appello chiedono di sanare i guasti maggiori. A tal fine riteniamo auspicabili i seguenti interventi: 1) che le Facoltà siano libere di organizzare le lauree di primo livello su tre anni oppure su quattro anni. In questo modo si aderirebbe al "vero" spirito della dichiarazione congiuntamente sottoscritta a Bologna nel 1999 dai Rettori delle principali Università europee, e da cui è nata la spinta che ha portato alla riforma universitaria italiana. La dichiarazione di Bologna prevedeva infatti una laurea di primo livello di "almeno tre anni". Lasciare le Facoltà libere di scegliere fra durata triennale e durata quadriennale è essenziale perchè i diversi corsi di studi, per le loro interne caratteristiche, hanno esigenze diverse. Ci sono settori di studi, per esempio tecnico-scientifici, che, per il loro carattere immediatamente professionalizzante, si prestano bene a un'organizzazione della laurea di primo livello su tre anni. Ci sono altri settori di studi, ad esempio molti degli umanistici (ove gli insegnamenti di base non possono avere un orientamento professionalizzante) cui si adatta assai meglio la durata quadriennale. Si lasci che siano le Facoltà a scegliere. Si tenga per giunta conto del fatto che la durata quadriennale della laurea di primo livello resta la più diffusa sia in Europa sia negli Stati Uniti. 2) che la ripartizione dei crediti direttamente stabilita dalla legge, sia nel caso delle lauree di primo livello sia nel caso delle lauree specialistiche, non debba in nessun caso superare il trenta/quaranta per cento del totale dei crediti a disposizione dei corsi di laurea. Oggi il sessantasei per cento (formalmente ma di fatto la percentuale è ancora più alta) dei crediti è assegnato alle diverse attività e discipline direttamente dalle norme. In questo modo, la libertà di scelta e l'autonomia delle Università, Facoltà e Corsi di laurea, sono state praticamente vanificate. Si tratta di garantire alle Università libertà nella costruzione dei percorsi di insegnamento, pur nel rispetto di alcune condizioni minime di omogeneità. 3) che sia lasciata alle Università, alle Facoltà e ai Corsi di laurea la libertà di distribuire i "crediti" in funzione di autonome valutazioni sul peso dei carichi didattici. Occorre, in altri termini, eliminare la norma che, legando artificiosamente crediti e ore di lavoro (secondo la legge vigente a ogni credito dovrebbero corrispondere venticinque ore di lavoro dello studente), contribuisce a un irrigidimento ulteriore dell'intero sistema e contiene i germi della dequalificazione dell'insegnamento universitario. Un provvedimento che "riformi la riforma" nei tre punti indicati, per la sua semplicità, puo' essere varato molto rapidamente. Esso contribuirebbe a salvaguardare la dignità dell'insegnamento universitario oggi seriamente minacciata. Gli estensori di questo appello si augurano che già in questa fase finale della legislatura si possa approvare tale provvedimento. Se cio' non risultasse possibile, auspichiamo almeno che, dopo le elezioni, il ministro competente, chiunque egli sia, scelga di farne il suo primo, qualificante, atto. ______________________________________________________ Repubblica 9 mar. '01 UNIVERSITÀ:L'APOCALITICA E PATETICA CONTRORIFORMA DI PANEBIANCO Dove nasce la malattia degli Atenei dequalificati di Aldo Schiavone Sul "Corriere della Sera" di martedì Luciano Canfora e Angelo Panebianco - una coppia sorprendente, per chi ha conservato il dono di stupirsi - prospettano con molta fermezza alcune proposte di modifica alla riforma dell'Università che dal prossimo ottobre cambierà il volto dei nostri studi superiori. Vedo innanzitutto con soddisfazione che Canfora ha completamente abbandonato i toni apocalittici cui si era affidato, sullo stesso tema e sempre sul "Corriere", appena qualche giorno prima, descrivendo la riforma come la peggiore catastrofe mai abbattutasi sull'Università italiana, una specie di Male assoluto, dovuto al delirio di due ministri, da cui fuggire con orrore e senza speranze. Adesso invece Canfora e Panebianco accettano di misurarsi dall'interno e senza furori con il nuovo impianto, mostrando addirittura - sia pure indirettamente - di accoglierne elementi non marginali. È un passo avanti - almeno per uno degli autori: e lo dico senza ironia. Ma veniamo al merito dei suggerimenti proposti. Il primo riguarda la durata dei percorsi di laurea. Tre anni sembrano pochi ai nostri critici, che tuttavia non se la sentono di scegliere un secco ritorno al passato (meno male). E così chiedono l'introduzione di una sorta di regime misto, o di geometria variabile: siano le Facoltà a decidere come meglio credono; e a optare ciascuna secondo il suo giudizio: tre o quattro anni. Devo dire, con tutto il rispetto, che mi sembra una soluzione bizzarra. La medesima laurea, abilitante alle stesse funzioni, sarebbe ottenibile da questa o da quell'Ateneo in tempi diversi, attraverso percorsi formativi (si deve pensare) non solo differenti qualitativamente, ma distanti nella quantità stessa dell'offerta didattica: il che non favorirebbe la competizione tra le Università, ma accrescerebbe semplicemente il caos, con risultati che potrebbero facilmente trasformarsi in nuove discriminazioni. E che ne sarebbe poi delle lauree specialistiche? Il biennio si ridurrebbe forse a un solo anno per i possessori di lauree quadriennali? E come? O si allungherebbe soltanto - con effetti perversi - l'intero curriculum fino a sei anni complessivi? La verità è che l'uniformità temporale dei percorsi è un principio irrinunciabile ed elementare, a parità di valore abilitante del titolo conseguito. Canfora e Panebianco propongono poi (ed è la loro seconda correzione) che l'assegnazione dei crediti fissata per decreto non superi il 3040 per cento del totale disponibile, invece dell'attuale 66, al fine di allargare la soglia di autonomia delle singole Facoltà nel definire i profili dei loro corsi di laurea. Questo è di sicuro un punto di cui si puo' discutere, tenendo tuttavia sempre presente che l'attribuzione dei crediti fissata nel regolamento ministeriale riguarda gli "ambiti" e non le singole discipline; serve in altri termini solo a stabilire una flessibile cornice d'insieme, al cui interno le possibilità di combinazione fra le materie - per intero lasciata alle decisioni delle Facoltà - è quasi illimitata. Nè va dimenticato che tutta l'architettura delle classi di laurea è stata voluta come sperimentale e transitoria, e che l'obiettivo finale - di recente ribadito in un Convegno cui ha partecipato lo stesso Panebianco - non puo' che essere la completa autonomia degli Atenei nella configurazione dei loro percorsi formativi. In effetti, il tetto del 66 per cento consente già ora un margine di libertà assai ampio, e sarebbe oggi assai più realistico difendere questo spazio da interpretazioni restrittive dei testi ministeriali, che già cominciano a circolare, piuttosto che proporne ampliamenti di assai incerta utilità. Infine, e siamo all'ultimo punto, Canfora e Panebianco propongono di cancellare la norma che lega (secondo loro "artificiosamente") crediti e quantificazione dell'apprendimento dello studente. Qui confesso di non capir bene. L'essenza del meccanismo dei crediti - contro cui i nostri autori non sembrano aver nulla da far valere - consiste proprio nell'individuazione di una misura oggettiva del tempo di lavoro dei discenti, importante ai fini di una razionale programmazione didattica. Cio' porta inevitabilmente a una quantificazione, che non puo' essere calcolata se non attraverso un criterio generale e convenzionale. Altrimenti, salta tutto. Canfora e Panebianco credono di scorgere in un simile parametro "i germi della dequalificazione". Mi piacerebbe discutere le radici culturali di questo pregiudizio, che separa radicalmente qualità e misurabilità. Mi limito più brevemente a rispondere che, storicamente, come i miei interlocutori sanno benissimo, è stata proprio la sistematica diffusione della dismisura a dequalificare l'Università italiana, e non la pratica del suo contrario. ______________________________________________________ Corriere della Sera 8 mar. '01 RIFORMARE LA RIFORMA, L'UNIVERSITÀ SI MOBILITA APPELLI Dopo la proposta di Canfora e Panebianco, centinaia di messaggi d'appoggio. La replica di Berlinguer Una scossa, e l'impalcatura della riforma universitaria trema. L'appello di Luciano Canfora e Angelo Panebianco, che l'altro ieri invitavano il mondo della scuola a premere sulle forze politiche per impedire un nuovo declassamento dell'istruzione, ha provocato un risultato superiore alle previsioni. Centinaia di messaggi, in larga maggioranza di consenso, sono affluiti all'indirizzo di posta elettronica e al fax indicati in calce all'appello: segno che, indipendentemente dai tempi della riforma e dalla maggioranza politica che uscirà dalle prossime elezioni, i professori universitari non vogliono restare spettatori indifferenti. E non solo loro, per la verità, dal momento che il Coordinamento delle liste per il diritto allo studio, una delle organizzazioni studentesche più rappresentative, ha denunciato ieri sull'onda della polemica un possibile "declassamento dell'università". Il fatto è che l'appello di Canfora e Panebianco, contravvenendo al gusto tutto italiano per la discussione ideologica e astratta, sintetizza in pochi punti precisi le richieste di miglioramento. Libertà di organizzare le lauree su tre o quattro anni, a seconda delle caratteristiche della materia; maggiore autonomia degli atenei nella definizione dei percorsi di insegnamento; più potere nella distribuzione dei cosiddetti "crediti di studio": ecco i capisaldi della proposta Canfora-Panebianco. Ad essa replica immediatamente, in un lungo articolo su Repubblica , Alberto Asor Rosa. La riforma è giusta, sostiene, perchè salva l'università italiana dalla catastrofe: e lo fa puntando sul miglioramento complessivo delle masse studentesche, anzichè perseguendo la formazione di gruppi intellettuali altamente qualificati. Meglio accontentarsi di ottenere "buoni cittadini", insomma, piuttosto che èlite di ultra-specializzati. Asor Rosa aggiunge, con una punta di veleno, che Luigi Berlinguer e Rosy Bindi, finchè sono rimasti a capo dei rispettivi ministeri, hanno impresso a scuola e sanità un impulso riformatore. Se non che Giuliano Amato, chiamando Tullio De Mauro e Umberto Veronesi a sostituirli, avrebbe trovato il modo di "stemperare le asprezze e allungare i tempi". Un'altra conferma alle voci che si sono infittite negli ultimi tempi, per cui all'interno del centro-sinistra sarebbe in atto uno scontro fra berlingueriani e sostenitori di De Mauro? Certo è che Luigi Berlinguer ha affidato a un libro in uscita da Laterza, La scuola nuova , le sue verità sulla riforma dell'insegnamento. Quanto all'appello di Canfora e Panebianco, lo giudica "una proposta non fondata tecnicamente". "Io ho puntato sull'autonomia didattica degli istituti - spiega l'ex ministro - ma nel rispetto di una cornice comune: i due livelli di laurea biennale e triennale, già alla base della Dichiarazione europea di Sorbona". Berlinguer difende anche il sistema dei "crediti" ("non abbiamo voluto imporne il numero, come una gabbia, ma soltanto stabilire su quale unità di misura debbano essere calcolati"). In ogni caso, "resistere a tutto questo significa tornare indietro, ripristinare una situazione già in decomposizione". Va da sè che i due firmatari dell'appello respingono al mittente le critiche di Berlinguer. Luciano Canfora ricorre a un motto leopardiano delle Operette morali ("Dove tutti sanno poco, si sa poco") per criticare le tesi "anti-elitarie" di Berlinguer, ed è sicuro che la riforma porti a un livellamento verso il basso. Angelo Panebianco preferisce attenersi ai contenuti: "Bisogna piantarla di fare ideologia. Si era detto che la riforma avrebbe lasciato grande libertà nella scelta delle materie, invece il 66 per cento dei crediti è bloccato, e anche il resto è condizionato. Si vuole irrigidire tutto il sistema in una gabbia d'acciaio, mentre si dovrebbe fare esattamente il contrario: lasciare alle università il 70 per cento delle scelte sulle materie". ______________________________________________________ Repubblica 9 mar. '01 UNIVERSITÀ: "LE LAUREE BREVI FORMANO CATTIVI PROF" Appello degli umanisti a Ciampi BOLOGNA - "Non si preparano bravi insegnanti con una laurea di tre anni". È l'appello di 1430 umanisti al presidente della Repubblica e al premier Amato contro il progetto che prevede l'accesso alle scuole di specializzazione per l'insegnamento subito dopo la laurea triennale, senza l'obbligo del biennio specialistico. Una protesta che parte dall'ateneo di Bologna, per voce del prorettore alla didattica e preside della Facoltà di Lettere Walter Tega, del latinista Ivano Dionigi e del grecista Vittorio Citti. Con l'adesione, raccolta in pochi giorni via Internet, di nomi illustri come quelli di Luciano Canfora, Antonio La Penna, Nicola Tranfaglia, Gianni Vattimo, Ugo Volli, Cesare Segre, Guido Davico Bonino, Marziano Guglielminetti, Chiara Frugoni, Gioacchino Lanza Tomasi, Carlo Augusto Viano e l'editore Federico Enriques. Un nuovo fronte si apre sul terreno caldo della riforma degli ordinamenti universitari. Ma con gli opportuni distinguo. "La nostra critica è rivolta non alla riforma, che è uno strumento buono, ma a chi della riforma approfitta per ridimensionare culturalmente la figura dell'insegnante" dice Tega, storico della filosofia. "Non rifiutiamo lo spirito riformatore, al contrario, chiediamo di portarlo avanti nel segno della qualità". I firmatari dell'appello propongono la formazione dei futuri docenti in sei anni: il corso di base triennale, la laurea biennale specialistica e un anno di specializzazione per il tirocinio. Bocciano invece il progetto sostenuto dal sottosegretario all'Università Luciano Guerzoni. "Si arriverebbe al paradosso - dicono - di prevedere professori di liceo con laurea triennale e direttori di albergo con laurea di cinque anni. C'è un punto concettuale che ci divide: per noi la scuola è il luogo dell'apprendimento e non della socializzazione". La critica è anche alle scuole di specializzazione per i futuri docenti, definite "inadeguate". E la richiesta è che non si arrivi alla firma di un decreto. "L'appello desta in me sorpresa e profonda amarezza" replica Guerzoni. "Per i futuri insegnanti è prevista solo una formazione di qualità. La riflessione è aperta, la previsione è anzi quella di una formazione iniziale differenziata per l'insegnamento nella scuola di base e per la secondaria. Irrinunciabili, pero', rimangono le scuole di specializzazione biennali". ______________________________________________________ Il Corriere Della Sera 8 mar. '01 L' UNIVERSITÀ ADDORMENTATA Passerini Walter Formazione e net economy L' UNIVERSITÀ ADDORMENTATA di WALTER PASSERINI La net economy chiama, ma l' Università non se ne accorge, tanto da rischiare la parte della Bella addormentata nel bosco. Le imprese sia della old che della cosiddetta nuova economia, passata l' euforia, continuano a richiedere personale altamente formato, ma non lo trovano. Il fenomeno si chiama skills shortage, che in pratica significa che nell' Ict (Information communication technology) mancano oggi all' appello risorse per 110 mila unità. Nella sola net economy in senso stretto (Internet e dintorni) mancano oltre 30 mila specialisti. Milano ha visto crescere addetti e imprese nella new economy: rispettivamente essi sono, secondo i dati della Camera di commercio, più di 60 mila addetti (+11% nel triennio) e circa 8 mila imprese (+15% nel triennio). Dei 30 mila dipendenti mancanti della net economy almeno 6 mila riguardano imprese milanesi, pari al 20% del totale. Sono dati, per quanto imperfetti e provvisori, piuttosto allarmanti. Eppure... La parola-chiave della nuova economia, lo riconoscono tutti nei convegni, è la formazione delle persone, soprattutto la formazione di eccellenza e una buona formazione intermedia. Per cogliere le nuove opportunità ci vogliono persone preparate, che oggi non ci sono. I 30 mila posti vacanti nei servizi e in Internet, o addirittura i 110 mila nell' Ict, vanno sconsolatamente a confrontarsi con i 20 mila laureati l' anno in Italia in materie affini alle tecnologie dell' informazione. Ma anche, ed è cio' che appare ancor più stridente, con i meno di 2 mila laureati l' anno nelle stesse discipline che vengono formati dalle Università milanesi: 812 a elettronica, informatica e telecomunicazioni al Politecnico di Mil ano, 350 laureati a scienze dell' informazione alla Statale. Numeri davvero esigui. Quel che sembra mancare, soprattutto a Milano e in Lombardia, definite forse un po' retoricamente capitali del digitale e dell' innovazione, è un serio "piano urgente per la formazione, alta e intermedia, al servizio della net economy". Nello stesso piano regionale della Lombardia, in 50 pagine di documento appare più un elenco di buone intenzioni descrittivo che un asse di priorità centrato sull' alta formazione . Mentre a Milano riscuote più interesse sicuramente il piano da 1.700-2.000 miliardi dei prossimi lavori pubblici nelle grandi opere che una grande opera di sostegno alla strategia, l' unica, che qualificherebbe e renderebbe legittima la definizione un po' autocompiaciuta di capitale dell' innovazione, cioè la formazione. Che fare? Un patto, un progetto comune, prima tra le sei Università milanesi (Cattolica, Bocconi, Politecnico, Statale, Bicocca, Iulm), perchè si muovano in sintonia, come soggetto unico per fornire al sistema delle imprese e alla società civile le competenze che sono richieste. Poi, un patto tra le Università e il sistema delle imprese, per sviluppare ricerca oltre che didattica. Un patto culturale e formativo attento ai fabbisogni di professionalità mancanti potrebbe pero' far storcere il naso: a certi accademici, che pensano che la cultura non c' entri nulla con lo sviluppo; a certi imprenditori, che pensano che tanto ci penserà il mercato e la formazione è roba da intellettuali; a certi amministratori, che pensano che la net economy sia solo un ulteriore terreno di consenso e di elargizione di risorse. Arretrati ______________________________________________________ Il Sole24Ore 7 mar. '01 UNIVERSITÀ, LA SANATORIA SUL NUMERO CHIUSO È LEGGE Maria Carla De Cesari ROMA Fatta la legge c'è sempre un'eccezione giuridica per aggirare "l'ostacolo". Tranne ricorrere a una nuova legge per sanare conseguenze indesiderate. In questa girandola perversa puo' essere "racchiusa" la vicenda del numero programmato per le iscrizioni all'università. Ieri il Senato (più precisamente la commissione Cultura in deliberante) ha concesso l'ennesima sanatoria agli studenti che, nel 1999/2000, sono stati immatricolati con riserva in base a ordinanze dei Tar dopo la bocciatura ai test di selezione e che, in seguito, sono stati destinatari di provvedimenti di diniego delle sospensive da parte del Consiglio di Stato. Nonostante il parere negativo del Governo (più volte ribadito dal sottosegretario all'Università, Luciano Guerzoni) gli studenti che in un primo tempo sono stati ammessi con riserva ai corsi ad accesso limitato - Medicina, Odontoiatria, Veterinaria e Architettura - possono essere iscritti al secondo anno se hanno sostenuto con esito positivo almeno un esame entro il 28 febbraio 2001. In linea teorica la platea degli interessati a questa norma è di circa 2.500 ricorsisti. Con la sanatoria per quanti hanno sostenuto almeno un esame diventa quasi superfluo il comma 1 della legge, che prevede - per i ricorsisti incappati nel "veto" del Consiglio di Stato - l'iscrizione al secondo anno di un corso di laurea non a numero programmato, scelto in accordo tra università e studenti. Gli atenei devono riconoscere eventuali crediti formativi maturati. Si prevede infine l'iscrizione al secondo anno dei corsi a numero programmato per gli studenti che quest'anno hanno ripetuto il test di ammissione, superando la prova. La legge, infine, stabilisce che gli studenti beneficiari di provvidenze per il diritto allo studio continuano a fruire delle agevolazioni "ove abbiano maturato i requisiti richiesti nel corso universitario frequentato". La legge 264/99 - che pure era intervenuta a disciplinare la materia dell'accesso all'università contemperando la libertà di scelta degli studenti e il diritto (sempre degli studenti) di trovare strutture formative adeguate nei corsi dove la didattica richiede la presenza di laboratori e tirocini - non ha dunque messo fine alla catena delle sanatorie. La "colpa" formale è quella di essere entrata in vigore il 21 agosto 1999, quando una parte delle università aveva già bandito secondo le regole precedenti i test di selezione. La legge approvata definitivamente dal Senato oltre alla sanatoria, rivede anche le modalità di svolgimento dei test per medicina e chirurgia. Con regolamento del ministero dell'Università si dovrà prevedere lo svolgimento di una prova unica nazionale, con "correzione informatizzata e centralizzata degli elaborati", in modo da evitare la tentazione di favoritismi. ____________________________________________________ Il Sole 6 mar. '01 RIFORMA: IL TIROCINIO DIVENTA PARTE CURRICULUM DEGLI STUDENTI Università a caccia di stage In primo piano i Politecnici - Incognite e problemi organizzativi per gli atenei e le aziende Un esercito di studenti - stagisti sta per entrare nelle aziende italiane. È uno degli effetti della riforma universitaria, con la formula "3+2". Per il mondo accademico con le sue strutture di orientamento e per il sistema delle imprese è una sfida incrociata. Ce la faranno a gestire la moltiplicazione delle richieste di tirocinio - solo il Politecnico di Milano calcola un giro di tremila stagisti all'anno, cioè il triplo di quelli che ne usufruiscono oggi - e a garantire un'esperienza davvero formativa? L'allerta è stato lanciato a Milano in un convegno di Assolombarda e Associazione Impresa-Politecnico dedicato alla riforma e alla carenza di personale qualificato. La percezione del problema stage è emersa subito nei Politecnici e, in generale, nei corsi di laurea in ingegneria che in Italia hanno già cominciato a sperimentare la nuova formula. Ma la corsa al tirocinio riguarderà a cascata anche le altre discipline, a partire dalle tecniche fino a toccare l'area umanistica. Nel sistema dei crediti formativi su cui si basa il "3+2", e che quantifica l'impegno dello studente calcolando non più solo l'esame, ma tutti i momenti di formazione - studio individuale, esercitazioni, ore di laboratorio - anche il tirocinio in azienda fa parte del conteggio. Per accumulare un credito bisogna "applicarsi" per 25 ore. Sparita la tesi di laurea tradizionale, inoltre, la relazione sull'esperienza in azienda diventa uno degli elementi del giudizio finale. Una realtà in cui si riflette già sul cambiamento è quella del Politecnico di Milano. Grazie a un rapporto consolidato con il sistema delle aziende, il "Poli" organizza mille tirocini l'anno e vanta un corso di laurea, quello di Design industriale che prevede lo stage nel suo curriculum. Pero' il problema è sentito lo stesso e, per Secondo Lucchini, delegato del rettore per l'orientamento e responsabile del servizio stage dell'ufficio laureati, non è solo una questione di numeri e di rapporti da gestire. "Finora - nota Lucchini - le imprese ci chiedevano di ospitare un giovane per almeno tre mesi, se non sei. Un periodo adeguato perchè il tirocinante vedesse applicata le conoscenze acquisite e perchè le aziende potessero inserire il giovane, seguirlo e valutarne le capacità. D'ora in poi il numero di ore di tirocinio sarà al massimo di un mese e mezzo. Quale utilità avranno le aziende?". Ci sono grandi imprese, spiega Lucchini, che hanno avviato un meccanismo di continuità per cui ogni sei mesi entrano addirittura venti stagisti, e quelli che vengono assunti fanno da tutor ai nuovi. Ma adesso? Dentro l'università invece, molti corsi di laurea sono partiti con entusiasmo con i nuovi programmi "ignorando - continua Lucchini - che, accanto alla normativa universitaria, c'è n'è anche un'altra all'esterno che regola lo strumento dello stage e di cui si deve tener conto. Al Politecnico abbiamo una convenzione che applichiamo e che propone aggiustamenti che esaltano l'aspetto della formazione nel rispetto della normativa generale. Diversi atenei ce l'hanno chiesta per studiarla". Una proposta arriva da Padova: "Lo stage dello studente sarà più breve e finalizzato - spiega Luigi Fabbris, responsabile delle attività di orientamento dell'ateneo, 1.280 stage organizzati per gli studenti, quasi 400 per i laureati - Gli stage di due o tre mesi saranno i più frequenti e l'università avrà bisogno del doppio di posti nello stesso lasso di tempo, ma gestiti in modo diverso: la soluzione è un progetto comune che preveda di ospitare due persone invece di una, secondo il modello tedesco". Anche a Parma (circa duemila laureati all'anno, 300 stage post-laurea e 660 tirocini obbligatori nel Duemila) la facoltà di Ingegneria è già partita inserendo gli stage per tutti nei diplomi universitari, con due mesi in azienda finalizzati alla preparazione della tesi e organizzati in crediti formativi. L'ufficio di orientamento Labor up (gestito in outsourcing da Enaip Santander di Milano) che organizza stage "volontari" per gli iscritti di tutte le facoltà dispone di una griglia di valutazione dell'esperienza dello stage secondo le competenze acquisite (tecniche e relazionali). "Perfezionata ed "esplosa" - spiega Maria Grazia Silvestri di Labor-up - questa griglia potrà essere utilizzata per quantificare i crediti sostitutivi della tesi. Quanto alle aziende, alcune grandi del territorio sono molto attrezzate, il problema sono le piccole, che sono più diffidenti". Secondo il rettore Gino Ferretti la riforma valorizzerà questa esperienza. "Come organizzazione in parte ci siamo - dice il rettore - avendo in corso da tempo rapporti organici di collaborazione con le Unioni industriali e convenzioni con associazioni di filiera. Ora ci rivolgeremo ad altri mondi, i servizi e i beni culturali. Siamo abituati a lavorare in questa direzione, ci sarà da formare del personale, ma non tantissimo". In realtà dinamiche come quella parmense, dice Ferretti, il problema sta nei contenuti. "Ci vogliono aperture a permeabilità costante da parte dell'azienda e dell'Università. È necessaria una continuità di rapporti e di progetto: altrimenti lo stagista diventa solo un costo per l'impresa, che poi si scoraggia. Il ruolo dell'Università resta centrale per rendere l'inserimento appetibile per l'azienda, il cui mestiere non è fare formazione". ______________________________________________________ Il Sole24Ore 8 mar. '01 ORDINI E UNIVERSITÀ, FASSINO PRENDE TEMPO ROMA Martedì 13 sarà il giorno decisivo per capire se andrà in porto la riforma degli Ordini che punta a far posto ai professionisti con i nuovi titoli accademici di laurea e laurea specialistica. Martedì mattina sarà infatti convocata al ministero della Giustizia una riunione con i vertici di Ordini e Collegi "in vista del concerto sullo schema di regolamento", che dovrebbe stabilire i raccordi tra università e ordinamenti professionali. L'aver messo in agenda la consultazione è l'unico risultato reso pubblico ieri sera dopo una riunione tra il ministro della Giustizia, Piero Fassino, e il sottosegretario all'Università, Luciano Guerzoni. Ancora ieri sono state insistenti le voci di un dissidio tra i due ministeri tanto da mettere a rischio il "concerto" del ministero della Giustizia sul provvedimento. ______________________________________________________ La Nuova Sardegna 10 mar. '01 CAGLIARI: SALONE DELL'INFORMAZIONE NELLA FACOLTÀ DI LETTERE E LINGUE Dal 26 al 31 marzo nella facoltà di Lettere e Lingue CAGLIARI. Quale università scegliere? La risposta arriverà con il Salone di informazione e orientamento che dal 26 al 31 marzo, in piazza d'Armi, sarà a disposizione degli studenti delle superiori. L'iniziativa è organizzata dall'ateneo con il contributo del Fondo sociale europeo e del ministero Università e ricerca scientifica. L'obiettivo è far sì che gli studenti s'iscrivano alla facoltà giusta. Nelle facoltà di Lettere, Lingue e Scienze della formazione, si parlerà della Riforma e dei nuovi corsi universitari. Le scolaresche potranno prenotare visite nelle altre facoltà, come ingegneria, giurisprudenza, economia, alla Cittadella dei musei e all'Orto Botanico. Aule informatiche, laboratori linguistici, biblioteche saranno aperte alle curiosità dei futuri studenti universitari. Ma non solo. Oltre a visite e conferenze, nelle giornate del Salone verranno illustrati i corsi di laurea delle dieci facoltà dell'ateneo. Tutti i dubbi del "cosa faro' da grande" verranno dunque sciolti, anche grazie a una recente indagine che mette in evidenza quali sono i laureati più richiesti dal mondo del lavoro. Inoltre, durante la settimana, sono previsti momenti ricreativi e sportivo: visite agli impianti del Cus (dove verranno organizzati tornei di calcio e tennistavolo) e proiezioni di film, spettacoli musicali e teatrali al cineteatro Nanni Loy. Il Salone rimarrà aperto tutti i gioprni dalle 9 alle 17. Per informazioni: Area riforma e orientamento, telefono 0706752210, web site: http://www.csia.unica.it. ______________________________________________________ L'Unione Sarda 5 mar. '01 SASSARI: SPICCIOLI E VELENI PER LA RICERCA SCIENTIFICA La città fa la parte della cenerentola nella spartizione dei miliardi destinati allo studio delle malattie Polemiche sui fondi regionali: snobbata la prevenzione dei tumori L'accusa viene da lontano: la ricerca scientifica in Italia è una vera cenerentola. In Sardegna, se è per questo, le cose vanno anche peggio. A Sassari, poi, le disponibilità finanziarie offerte dall'assessorato regionale per la ricerca sanitaria rasentano il ridicolo: un miliardo e 200 milioni. In questo campo, sono spiccioletti. A livello regionale i miliardi richiesti per progetti di ricerca già iniziati e in alcuni casi prossimi alla loro conclusione, erano 34. L'assessore Giorgio Oppi assicura invece una disponibilità finanziaria di 5 miliardi e mezzo. Con relativa giustificazione, naturalmente: "Gli interventi richiesti per ciascun progetto di ricerca - ha detto - sono notevolmente superiori ai finanziamenti disponibili. In considerazione di questo fatto, e in attesa dei prossimi fondi per il 2001, si provvede ad assegnare una somma congrua che assicuri la continuità dei progetti". Dei "congrui" 5 miliardi e mezzo, alla sanità sassarese e ai vari istituti universitari della città, vanno un miliardo e 200 milioni. O poco più. E qui si scopre un'altra perla della distribuzione dei fondi, già di per sè scarsi. Qualche "ingenuo" potrebbe pensare che sia stata fatta a pioggia, come di solito accade con i denari della Regione. E invece no: si è proceduto ad assegnazioni mirate. E la mira, stavolta, non sembra al riparo dalle discussioni. Come spiegare, altrimenti, che la ricerca sul cancro alla mammella abbia ricevuto la metà di quanto incassato dalla ricerca sulla depressione? Perchè proprio questo è successo: a un progetto per una ricerca relativa al cancro sono stati assegnati 50 milioni. Esattamente la metà di quanto, per converso, ha ricevuto il "Progetto obiettivo sulla depressione in Sardegna". Non v'è dubbio che, per chi ne soffre, la depressione sia sicuramente un problema di grande spessore. Certo, pero', rapportato ai tumori alla mammella (valutati 50 milioni), appare di gran lunga meno pressante. Non è l'unica perplessità. Proseguendo nella lettura dell'elenco predisposto dall'assessorato regionale, si trova un altro finanziamento da 100 milioni: va a beneficio di uno studio di educazione sanitaria e promozione alla salute sulla "Sclerosi multipla: conoscere per prevenire". Anche in questo caso si tratta di patologia molto seria e con una diffusione allarmante. Ma poi si scopre che per uno studio sul carcinoma mammario si ritengono sufficienti 75 milioni. Gli studi "premiati" con 100 milioni sono solo i due ricordati. Scendendo a cifre leggermente inferiori, ma sempre tra le più alte, si trova che un progetto su "Educazione sanitaria per la sicurezza alimentare e la promozione della salute" è risultato degno di ricevere ben 75 milioni. Destinatario, in questo caso, il magnifico rettore dell'ateneo sassarese. Insieme alle paure che, in questi giorni di mucche pazze e di lingue blu, opprimono l'opinione pubblica in materia di cibi animali, l'autorevolezza del richiedente puo' aver giocato il suo ruolo. Una cifra solo di poco inferiore, 70 milioni, è stata assegnata invece al sindaco di Sassari, quale direttore di un progetto di microchirurgia su un paziente oncologico. A questo punto nascono alcuni interrogativi destinati probabilmente a restare senza risposta. In particolare quali siano stati i criteri che hanno guidato le scelte dell'assessore. E soprattutto se risorse ripartite in questo modo possano servire realmente a condurre una seria ricerca scientifica in un settore così importante come quello della prevenzione contro i tumori. Oppure che si sia voluto semplicemente accontentare tutti, ottenendo come risultato quello di non accontentare nessuno. Giuseppe Florenzano ______________________________________________________ L'Unione Sarda 10 mar. '01 SARDEGNA: LA LETTERA DI UN PADRE SULLA FUGA DI CERVELLI Sono il padre di una giovane neolaureata sarda. Mia figlia ha terminato gli studi universitari a 24 anni, ed è riuscita a vincere una delle 60 borse di studio che la Regione Sardegna offre per frequentare master oppure dottorati di ricerca, in Italia o all'Estero; lei ha scelto di fare il dottorato in Svezia. È partita a dicembre, con l'inizio del semestre, sapendo di tirare un po' la cinghia perchè gli uffici della Regione hanno detto che "le borse verranno erogate fra qualche tempo". Le ho dato una mano, per quello che posso: io sono solo un impiegato, vedovo, ho un altro figlio adolescente a carico, e mettere su casa all'estero non è facile. Abbiamo chiesto alla Regione date più precise circa l'erogazione della borsa, sono sempre stati vaghi... e da poco abbiamo anche saputo che essa verrà ridotta del 20 per cento, e quindi mia figlia non avrà a disposizione Lit. 1.600.000 come spiega il bando, ma molto meno. La Regione continua a nicchiare, non si sa ancora quando daranno i soldi, ci sono sempre problemi. Purtroppo si prospetta il fantasma di un rientro in Italia di mia figlia, posso mantenerla lì solo per un altro mese. Sarebbe un' occasione sprecata, una giovane brillante con le ali spezzate. A quel punto viene da chiedersi perchè la Regione illuda i neolaureati, che potrebbero proseguire gli studi per i quali sono portati, arricchire la loro formazione... E allora non stupiamoci se avviene la "fuga di cervelli"! Ci sono reali e giustificati motivi perchè cio' avvenga! Io mi auguro che mia figlia possa trovare presto un finanziamento locale svedese, sicuro e dignitoso, che possa permetterle di rinunciare alla borsa regionale. Ma lo farebbe con una certa amarezza nel cuore: proprio il governo della sua terra la ostacola, lo stesso che le ha permesso di laurearsi e di avere una buona formazione accademica, per la quale è stata accettata calorosamente in Svezia. Vorrei sapere cosa ne pensano i genitori degli altri ragazzi nell'identica situazione. Un lettore ______________________________________________________ La Nuova Sardegna 8 mar. '01 L'ANNO ACCADEMICO COMINCERÀ PRIMA:IN PERICOLO BORSE DI STUDIO E ALLOGGI Cagliari. L'anno accademico comincerà un mese prima, quindi gli studenti dovranno sostenere prima gli esami - entro il 10 agosto - necessari per mantenere i benefici della borsa di studio e dell'alloggio. Le graduatorie infatti dovranno essere pubblicate nei tempi stabiliti dal nuovo decreto. A comunicarlo in un incontro con le associazioni degli studenti e i reppresentanti delle case dello student è stato il presidente dell'Ersu, Francesco Luigi Sotgiu. La notizia ha sollevato la preoccupazione degli studenti, perchè in alcuni corsi di laurea non si fanno appelli a maggio, giugno e luglio. Ora organizzeranno incontri e assemblee nei corsi di laurea interessati per sensibilizzare il corpo docente sul fatto che la mancanza di frequenti appelli porta inevitabilmente alla perdita dei benefici. Un danno enorme, soprattutto per gli universitari in condizioni economiche disagiate. Il presidente dell'Ersu ha illustrato queste problematiche al rettore Pasquale Mistretta, che si è impegnato a emanare, in tempi brevi, una specifica direttiva vincolante per tutti i corsi di laurea dove ancora non sono previsti appelli di esame per i mesi di giugno e luglio. Questo dovrebbe risolvere il problema. Gli incontri tra l'Ersu e i rappresentanti degli studenti continueranno per approfondire le importanti novità contenute nel decreto ministeriale che verrà emanato nelle prossime settimane e che conterrà le nuove direttive per il diritto allo studi universitario, anche alla luce della riforma universitaria in atto. ================================================================== ______________________________________________________ L'Unione Sarda 7 mar. '01 UNA DONNA AL VERTICE DEL POLICLINICO UNIVERSITARIO È Rosa Cristina Coppola, insegna Igiene all'Università Non vorrebbe parlare del suo nuovo incarico perchè - dice - sono "solo" un tecnico, un medico chiamato a svolgere un compito temporaneo, seppure delicato. "Forse", scherza, "sono stata scelta perchè è la vigilia della festa delle donne e il rettore ha voluto lanciare un segnale". Al di là della modestia e della discrezione, che difende con passione anche per evitare facili strumentalizzazioni, Rosa Cristina Coppola, genovese, da dieci anni docente di igiene alla facoltà di medicina, è il nuovo direttore generale del Policlinico universitario. L'ha nominata Pasquale Mistretta, che aveva assunto l'incarico pro tempore dopo che Franco Meloni era tornato ai vertici del Brotzu. Rosa Cristina Coppola gestirà l'importante struttura per un periodo limitato, probabilmente sino alla definizione del nuovo assetto aziendale che prevede la creazione di un'azienda mista tra università e strutture ospedaliere. Un connubio, imposto dalla legge, tra formazione, ricerca e assistenza. Il fatto che il suo incarico sarà breve non significa che svolgerà compiti di ordinaria amministrazione. C'è da gestire una difficile transizione (tra universitari e ospedalieri, è noto, non è mai corso buon sangue) e da condurre il Policlinico verso l'eccellenza. "Oggi", afferma, "la bellissima struttura di Monserrato non puo' esprimere tutte le sue enormi potenzialità. Sino ad oggi è andata avanti bene grazie alla disponibilità e alla totale abnegazione del personale e soprattutto dei colleghi medici, veri e propri pionieri. Abbiamo il dovere di dare a tutti strumenti e forza per raggiungere il cento per cento e organizzare gli spazi per tutti i cervelli che valgono, organizzando al meglio le attività di ricerca". Condizione fondamentale per iniziare ad operare è l'approvazione del protocollo di intesa tra università e regione, sul quale il rettore e l'assessore alla sanità lavorano da tempo . L'accordo potrà essere messo a punto non appena da Roma arriveranno le linee guida da seguire. "Sbloccare il protocollo di intesa", precisa Coppola, "significa chiarire tutti gli aspetti organizzativi e sbloccare le procedure". Uno dei primi obiettivi concreti sarà l'attivazione della chirurgia a Monserrato. La collaborazione e l'integrazione tra universitari e ospedalieri è già in fase avanzata al San Giovanni di Dio, al Binaghi e al Marino. "Noi", conclude Rosa Cristina Coppola, "faremo il contrario: chiameremo i medici ospedalieri a lavorare in una struttura universitaria". Il nuovo direttore generale sarà affiancato da Andrea Corrias, nominato direttore sanitario e Ennio Filigheddu, nuovo direttore amministrativo. DIRETTORE GENERALE AL POLICLINICO Arriva l'otto marzo e il manager è una signora L'ordinario di Igiene per pochi mesi a capo dell'azienda dell'ateneo Cagliari. Si chiama Maria Rosa Coppola, non ha cinquant'anni, da due giorni è il direttore generale del policlinico universitario che il rettore Pasquale Mistretta non poteva più gestire dopo l'addio di Franco Meloni, causa le incompatibilità fra cariche e candidature (a sindaco, per il centrosinistra). Troppo facile il richiamo all'8 marzo che cade giusto domani e a un'eventuale operazione immagine del candidato rettore. Se fosse, arriverebbe in ritardo essendo le signore già variamente presenti nelle dirigenze sanitarie cagliaritane. La Asl 8, esempio, ha il direttore dell'ufficio del manager e il direttore sanitario. Ma il richiamo all'8 marzo è inevitabile perchè il nome di Maria Rosa Cristina Coppola si faceva con insistenza da una quindicina di giorni ed è saltato fuori alla vigilia di una festa, contestata quanto si vuole, pero' sempre in piedi e capace di monopolizzare i mezzi di informazione per un giorno intero. Dunque la signora Coppola (di Genova) è ordinario di Igiene all'università di Cagliari, facoltà di Medicina, dal 1991. Nasce direttore sanitario a novembre nella gestione Mistretta, la nomina a direttore sanitario è discesa dalla specialità insegnata e, al policlinico di Monserrato, la docente era responsabile della diagnostica di laboratorio. Dichiara imbarazzo davanti ai riflettori che si accendono su i suoi connotati professionali e spiega subito la differenza tra la sua nomina e quella di un manager come politica vuole. "Io ho assunto le funzioni di direttore generale per un meccanismo statutario del policlinico, non si tratta di una scelta su base politica o manageriale". In altre parole? - "Insegno Igiene che è materia attinente alla funzione di direttore sanitario, sono stata nominata direttore sanitario, il rettore si è candidato e, nelle more del periodo di campagna elettorale, il rettore poteva assegnare le funzioni di direttore generale al direttore sanitario o al direttore amministrativo. Altre strade avrebbero richiesto tempi più lunghi". C'era fretta? - "C'è una struttura che si trova in un momento delicato, di espansione e di apertura. Il rettore ha ritenuto opportuno seguire la strada della continuità per andare avanti spediti verso il risultato inseguito in questi mesi". Che è? - "Arrivare al protocollo d'intesa Università/Regione per avviare completamente il policlinico. E siamo nella fase in cui occorre seguire da vicino l'inizio e l'avanzamento del protocollo d'intesa per far sì che ci si arrivi. Bisogna tracciare i percorsi che porteranno alla formazione di un'azienda mista Università/Regione, dove mondo accademico e struttura assistenziale dovranno radicare la loro attività nel territorio". E dopo il protocollo, lei? - "Dopo il protocollo sarà attivata la procedura per la nomina del direttore generale, sulla base di una terna di nomi e tutto cio' che è stato previsto dalla legge. Io sono la soluzione per far fronte a una vacanza improvvisa". Che il rettore resti o vada a fare il sindaco, la sua posizione è, quindi, questione di mesi. - "Esatto. Due, tre al massimo". I percorsi cui accennava a che punto sono? - "Stiamo aspettando l'emanazione delle linee guida nazionali per i policlinici di tutta Italia. L'assessore si è impegnato a fare, ma aspettiamo tutti perchè con le linee guida il compito sarà più semplice: ci saranno le regole sul rapporto tra gli universitari e gli ospedalieri". Tasto dolente: si chiariranno le gerarchie tra gli uni e gli altri? - "Gerarchie non è un termine corretto: si stabiliranno le regole di una collaborazione tra gli uni e gli altri". Intanto a Monserrato è tutto fermo? - "Intanto 104 posti letto sono funzionanti, così come il day hospital e gli ambulatori. Sono i letti di Medicina: allergologia, ematologia, oncologia, patologia. Con le linee guida si potranno attivare le chirurgie". Alla fine, questi due, tre mesi, le staranno stretti. - "No, anzi, sono stata piuttosto restìa ad assumere questo incarico, credo proprio che tornero' volentieri alla docenza". a. s. ______________________________________________________ La Nuova Sardegna 7 mar. '01 POLICLINICO UNIVERSITARIO AVRÀ PER MANAGER UNA DONNA CAGLIARI. Domani è l'8 marzo e l'immaginifico rettore Pasquale Mistretta, candidato sindaco per il centrosinistra, nomina una signora direttore generale del policlinico universitario. Naturalmente, è la malizia del cronista a vedere la curiosa coincidenza. La signora in questione, Maria Rosa Coppola, ha il suo bravo curriculum al di sopra di ogni sospetto ed è lei, anzi, a chiarire il contorno della vicenda: come nasce e come finirà perchè, si scopre, si tratta di una nomina dai mesi contati. La signora, infatti, è ordinario di Igiene alla facoltà di Medicina, per questo fu nominata direttore sanitario del Policlinico nel novembre scorso, quando il rettore gestiva la struttura essendo andato via (al Brotzu) il manager Franco Meloni. Coppola è stata nominata manager per un meccanismo statutario del Policlinico dopo la canditatura (incompatibile) di Mistretta e resterà tale fino alla creazione dell'azienda mista Regione/Università. O fino alle elezioni. b. ______________________________________________________ Il Corriere Della Sera 6 mar. '01 SANITÀ, IL BUSINESS IN CORSIA I medici: i pazienti ormai appartengono all' ospedale che ne condiziona il tempo di degenza Cremonese Antonella Clinici e primari condividono l' analisi di Dioguardi sul Corriere. "Si pensa troppo ai bilanci" Sanità, il business in corsia I medici: i pazienti ormai appartengono all' ospedale che ne condiziona il tempo di degenza Ospedali a catena di montaggio? Medici costretti a fare i manager, e a "tagliare" tempi di colloquio e durata della degenza per restare nel bilancio deciso dagli amministratori? "Il medico e il business" era il titolo dell' editoriale del noto clinico professor Nicola Dioguardi, p ubblicato il 27 febbraio. Ne è scaturito un vero dibattito. Per telefono, per lettera o via Internet. Dalla parte dei pazienti, si va dalla sanità disumana alla denuncia di veri e propri casi di malasanità. Dalla parte degli amministratori, si fa not are che la sanità di "ieri", cui Dioguardi faceva qualche riferimento, era in buona sostanza una sanità che curava solo una parte della popolazione. Mentre adesso il Servizio sanitario, tenuto ad assicurare le cure a tutti, deve fare i conti con i gr andi numeri, e con costi che continuano a lievitare. E i big della Medicina, che cosa dicono? Abbiamo raccolto il parere di sei autorevoli esponenti della medicina, noti a livello internazionale. Che condividono la denuncia di Dioguardi: il paziente sembra ormai appartenere più all' ospedale che al medico che lo cura. Perchè è la struttura che ne condiziona il tempo di degenza e detta le regole gestionali. Cio' ha portato a un colossale cambiamento del rapporto tra medico e paziente, e alla frust rante sensazione, da parte del medico, di aver perso la libertà professionale. Ma pare diventata un' ammissione necessaria che la medicina moderna, ad altissima tecnologia, abbia un costo. L' importante è l' equilibrio tra le diverse esigenze: la qua lità delle cure da una parte, il pareggio di bilancio dall' altra. Antonella Cremonese STEFANO DI DONATO "La ricerca deve prevalere sulla filosofia aziendale" Professor Stefano Di Donato, direttore scientifico Istituto Nazionale Neurologico "Carlo Be sta" "C' è una fortissima pressione di tipo aziendalista. Anche su quegli ospedali, come il nostro, che sono Irccs, cioè Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. Dovremmo fare ricerca al fine di produrre migliori effetti terapeutici, ma p er far questo la degenza dev' essere sufficientemente lunga per arrivare a delle conclusioni. Così, non solo svanisce il rapporto medico-paziente, ma il medico perde la sua autonomia intellettuale, non riesce più a svolgere dignitosamente il suo ruol o di ricercatore. E c' è una terza conseguenza: la commercializzazione della Medicina, legata alle pressioni delle case farmaceutiche. Per scegliere i farmaci più efficaci, dovremmo fare ricerca autonoma. Se la filosofia "aziendale" prevale sulla ric erca, vince il mercato. L' industria continua a produrre farmaci appena un poco migliori, che costano molto di più. Noi Irccs dovremmo fare come quell' Agenzia pubblica americana che quando l' industria Celera Genoma ha cominciato a buttare fuori le sequenze del genoma umano, puntando a brevettarle, si è messa a riprodurre i dati e così le ha sbarrato il cammino". ALBERTO PERACCHIA "Strutture intermedie per la convalescenza" Professor Alberto Peracchia, direttore del dipartimento di scienze chir urgiche dell' università degli Studi di Milano, ospedale Maggiore Policlinico "Il rapporto tra medico e paziente ha avuto un cambiamento colossale, al quale il malato non è preparato. Una volta, gli ospedali non davano solo assistenza fisica, ma anch e protezione e assistenza sul piano umano. Ora questo aspetto viene un po' tralasciato, e il medico è impossibilitato ad andare incontro all' umanità del malato. Molte volte cerchiamo di "limare" la degenza di un paziente, che secondo noi è guarito e puo' andare a casa. Pero' lui non capisce, non è preparato a capire. Magari ci chiede: "Posso rimanere fino a sabato, così mi viene a prendere mio figlio?". E non accetta un "no", dovuto a ragioni economiche. In questo momento abbiamo da quattro mesi un' anziana che è sola al mondo, e abita in un paese lontano. Come facciamo a dimetterla? Ovviamente, questi casi concorrono al deficit e spingono gli amministratori a starci addosso. Come uscirne? Inventando altre soluzioni. Vicino al New York Hospi tal c' è un grattacielo di 43 piani dove la retta è di 100 dollari al giorno invece degli 800 dell' ospedale. È una struttura "intermedia" tra l' ospedale e la dimissione. Ne abbiamo bisogno anche noi". VITTORIO CARNELLI "Gestione ed economia, ci vu ole un mix" Professor Vittorio Carnelli, direttore del dipartimento di Pediatria degli Istituti Clinici di Perfezionamento (Icp) "Chiaramente l' intenzione primaria del medico deve essere la cura dela "persona ammalata". Come pediatra, sottolineo l' importanza di questa espressione, che porta in sè una precisa filosofia, quella di essere colui che cura la persona e non colui che cura la patologia. Vuol dire (tanto più con un bambino!) che bisogna guardare tutti gli aspetti, a 360 gradi. Pero' occ orre prendere in considerazione anche gli aspetti gestionali e il discorso economico, cercando di trovare un equilibrio. Perchè per curare si devono avere strutture adeguate e tecnologie avanzate. Una spesa oculata crea i fondi necessari ad investire in tecnologie, sicurezza, efficienza. Sono aspetti che ormai devono entrare nella cultura medica. Detto questo, sono del parere che le figure mediche vadano differenziate. All' università, dopo un triennio comune, si dovrebbero delineare due percors i di studio: per diventare medici che fanno una carriera gestionale, e medici della persona". GABRIELE BIANCHI PORRO "L' aziendalizzazione è veramente inaccettabile" Professor Gabriele Bianchi Porro, docente di Gastroenterologia dell' università degl i Studi di Milano, ospedale Sacco "Credo di essere uno dei medici più esasperati. Questa "aziendalizzazione" della sanità è una trasformazione inaccettabile. Mi ha tolto il piacere di sedermi sul letto del malato e chiacchierare con lui. Mi ha tolto anche la chance di fare una diagnosi migliore, perchè anche il colloquio serve ad orientare il giudizio. E mi ha tolto la possibilità d' insegnare come si deve. Prima dicevo al giovane collega: "palpa un po' questa pancia". Adesso sono costretto a di re: "da quanti giorni è degente?". Mi ritrovo ad arrabbiarmi non più per motivi professionali, come per esempio una radiografia malfatta, ma per i bollettini economici che continuano ad arrivarmi. Vogliamo parlare delle degenze? Il concetto di "degen za media" è un' astrazione. Posso prendere un malato e mandarlo a casa prima del tempo per rientrare nelle medie imposte dalla burocrazia? Il controllo è giusto, ma non deve interferire con la cura. E il sistema dei Drg, che prevedono una tariffa per ogni patologia, puo' portare a una selezione dei malati. Come per esempio il suggerimento che gli interventi per polipi intestinali sono più remunerativi che il ricovero di un malato col morbo di Crohn". ALBERTO MALLIANI "Troppe nozioni e poca umanit à" Professor Alberto Malliani, clinico medico dell' università degli Studi di Milano. Presidente della Società Italiana di Medicina Interna "La Medicina non è solo tecnica: è molto di più e anche molto di meno. Le cosiddette certezze mediche riguarda no le grandi popolazioni e sono di tipo statistico. L' incontro tra il singolo medico e il singolo paziente non solo non ha certezze ma ha attributi umani che le statistiche non hanno. L' idea corrente di una medicina meccanica, per lo più vincente, suddivisibile in precisi settori di competenza, valutabile sin nei minimi particolari in termini di domanda-offerta e quindi di mercato, è un' idea imprecisa ed avvilente, anche se ben riflette lo spirito del tempo. Un paziente è innanzi tutto un uomo che cerca l' aiuto di un altro uomo. Egli sente minacciata la sua vita, o l' idea che se ne fa, o la sua piena salute, poco importa: in ogni caso l' incontro tra medico e paziente è innanzi tutto un avvenimento umano, che necessita di una cultura umana. La conclusione è che troppo spesso sembra giustificato il timore che i nuovi medici, sempre più soffocati o esaltati da fiumi di nozioni, dimentichino la loro umanità per ricordare il resto. E sarebbe assai meglio l' opposto". NAT ALE CASCINELLI "I costi non dipendono dalle dimissioni" Professor Natale Cascinelli, direttore scientifico Istituto Nazionale per lo studio e la cura dei Tumori, Milano "Poco tempo per i malati? A mio giudizio non è una novità. Al di là delle questio ni di business, a delimitare il tempo a disposizione per ciascun malato è la quantità di richieste che arrivano. È per questo che più o meno le visite durano un quarto d' ora, salvo necessità specifiche. Noi per esempio abbiamo 800-900 persone in li sta di attesa. Si devono giocoforza vedere i malati in un tempo ragionevole, altrimenti le liste si allungherebbero a dismisura. E non legherei la rapidità delle dimissioni a una questione economica. Un ospedale ha dei costi fissi (personale, spese g enerali) indipendentemente dal fatto che i letti siano pieni o vuoti. In quanto al rapporto tra medico e paziente, è vero che alla diagnosi e alla cura concorrono molti specialisti (è la Medicina moderna), ma c' è sempre un medico leader che tiene i rapporti col malato. E rimane il vero conduttore della cura. Personalmente, non mi sento sul collo il fiato degli amministratori". Arretrati ______________________________________________________ L'Unione Sarda 7 mar. '01 CAGLIARI: RIANIMATORI E DISASTRO ASL Doveva essere una riunione di categoria, ma il convegno organizzato nei giorni scorso a Cagliari dal sindacato AAROI (Anestesisti e rianimatori ospedalieri) si è trasformato in una seduta di autocoscienza durante la quale sono venuti alla luce vizi (molti) e virtù (poche) della sanità pubblica. Volevano sapere, gli anestesisti, perchè mai la maggior parte della Asl della Sardegna non paghi (caso unico in Italia) ai medici "l'indennità di esclusività di rapporto", cioè quella prevista per chi si impegna a lavorare solo in ospedale. Hanno scoperto che se una qualsiasi azienda privata avesse bilanci come quelli delle Asl sarde dovrebbe dichiarare bancarotta. Queste sconsolanti conclusioni sono riportate in una nota diffusa alla fine dei lavori. Con apprezzabile obiettività, gli anestesisti citano anche tre eccezioni nel disastrato panorama sanitario isolano: le Asl di Sanluri, Carbonia e il Brotzu "le quali hanno parzialmente corrisposto gli arretrati dovuti dal gennaio 2000". (Il particolare interessa anestesisti e rianimatori perchè appartengono a una categoria di medici che ha ben poche possibilità di lavorare fuori dall'ospedale). La "generosità" del Brotzu, rispetto ad altre aziende, è stata spiegata dallo stesso direttore generale Franco Meloni col fatto che il bilancio non è compromesso come quello di altre Asl. Tant'è che possono pagare le medicine a 90 e 180 giorni, mentre altre aziende soddisfano i fornitori a 360 giorni. Meloni ha anche annunciato (con orgoglio) che il Brotzu ha presentato il proprio Atto amministrativo alla Regione (altro caso unico nell'isola) ma tanto zelo "rischia di essere vanificato - dice la nota - dalla mancanza di leggi regionali di organizzazione e degli atti di programmazione necessari per l'approvazione dell'Atto stesso". Durante i lavori, gli anestesisti hanno appreso, con sorpresa, che Asl come quella di Nuoro raggiungono deficit mensili di 3 miliardi ed altre di 4 o 5 miliardi. Inevitabile una domanda che ha già implicita qualche risposta: ma questo disastro dipende da un'errata valutazione delle prestazioni sanitarie, dal mancato trasferimento di risorse nazionali, o più semplicemente, "esiste un grave problema di carenze e ritardi nell'attivare meccanismi di risparmio sulla spesa sanitaria, l'ottimizzazione e l'efficienza dei reparti e degli ospedali, l'eliminazione degli sprechi nella gestione e organizzazione della medicina ospedaliera del territorio, la tanto temuta ma non più rinviabile riorganizzazione della rete ospedaliera isolana?". ______________________________________________________ Il Sole24Ore 9 mar. '01 FARMACI, LE REGIONI VOGLIONO NUOVI TAGLI Roberto Turno ROMA Un buco nel Duemila di 2.530 miliardi e una crescita dei consumi in gennaio (su gennaio 2000) del 32,5 per cento. Sono i dati, freschissimi, diffusi ieri da Federfarma sull'andamento della spesa farmaceutica pubblica. Aumenti, soprattutto quelli del primo mese del 2001, su cui i farmacisti frenano: per avere stime valide sull'intero 2001, occorre conoscere almeno i dati di marzo. Ma le Regioni non ci stanno a gettare acqua sul fuoco. E anzi ieri hanno messo a punto all'unanimità una serie di emendamenti da proporre alle Camere nell'esame del decreto legge sul ripiano dei disavanzi Asl. Modifiche che rivoluzionerebbero nuovamente il settore: reintroduzione del tetto di spesa, prezzo rimborsabile su tutti i farmaci con implicita rinascita di un ticket mascherato, possibilità di distribuzione extra farmacie. E una stretta sull'assistenza specialistica. Le misure, dicono le Regioni, per avere efficacia vanno applicate da metà anno. Sorvegliata speciale della Ue, la spesa sanitaria si conferma sempre più uno dei principali grattacapi per la finanza pubblica. Ieri, in Conferenza Stato-Regioni (che tra l'altro ha destinato 151,9 miliardi agli Irccs e ha varato le linee guida per l'oncologia), l'argomento non è stato ufficialmente affrontato. Ma i presidenti regionali hanno reiterato la richiesta di integrare (in loro favore) il patto di stabilità del 3 agosto 2000 e anche di avviare subito - e non dopo le verifiche sulla spesa avviate dal Tesoro col Veneto, dopo il quale seguirà la Calabria - i due tavoli di confronto su criteri di monitoraggio e livelli di assistenza. Evidente la preoccupazione che i 131mila miliardi e rotti messi in campo per quest'anno - il Fsn 2001 è stato ratificato proprio ieri dal Cipe - non siano un'altra volta sufficienti. Farmaci, nuova svolta? Sono tre le proposte di modifica sui farmaci avanzati dalle Regioni. Che in primo luogo chiedono di poter dare indirizzi alla Cuf al momento dell'inserimento in Prontuario dei medicinali. Ma la polpa delle proposte è tutta nel controllo della spesa e nei prezzi. Ecco così la richiesta di introdurre il "prezzo rimborsabile, a carico del Ssn, per principio attivo o per classi terapeutiche a parità di efficacia": come dire, fissato un prezzo soglia, il resto sarà a carico degli assistiti. Ecco poi la seconda avance: quella di introdurre un "approccio budgetario", con volumi di assistenza da erogare e "tetti di spesa", superati i quali le Usl dovrebbero ricorrere alla "distribuzione diretta", bypassando le farmacie. Distribuzione diretta che, tuttavia, dovrebbe essere sempre consentita in day hospital, nell'assistenza domiciliare e nelle "dimissioni protette". Altra svolta chiedono poi le Regioni per la spesa specialistica, con la definizione di linee guida e di protocolli ad hoc. Il rosso del 2000. La spesa a consuntivo del 2000 è stata di 16.952 miliardi, +15,4% sul 1999. La spesa pro-capite è stata di 294mila lire, con 350,8 milioni di ricette (+7,1%, 6,09 a testa) e con un massimo picco di incremento nel Lazio (+18,3%) e uno minimo in Umbria (+10,8). Questi i dati a consuntivo diffusi ieri da Federfarma. Che sull'aumento del 32,5% della spesa in gennaio, tende pero' a frenare. Le ragioni della crescita sarebbero più d'una, non solo il taglio dei ticket: lo slittamento dei consumi da fine dicembre a gennaio, l'abolizione della classe B, le maggiori richieste di rimborso per i farmaci a basso costo (sono infatti aumentate esponenzialmente le ricette). Ma riduzione del 5% dei prezzi per i farmaci off patent, prezzo di rimborso da luglio, accordi regionali in corso tra Asl, medici di base e farmacisti per favorire il consumo dei generici, dovrebbero contribuire a frenare l'impennata della spesa. Per capire quanto, lo sapremo con i dati di marzo. ______________________________________________________ L'Unione Sarda 9 mar. '01 IGLESIAS:L'OSPEDALE DELLA VERGOGNA Nel reparto di Medicina disastrose condizioni igieniche Pazienti esasperati al "Santa Barbara" Escrementi sul pavimento del bagno, sporcizia, lenzuola sporche, polvere e tanto, tantissimo degrado. Accade nell'ospedale Santa Barbara di Iglesias, dove ieri mattina la Ferderconsumatori ha organizzato una "ispezione" nel reparto di medicina, al quinto piano, dopo la segnalazione di alcuni pazienti esasperati. Per tre giorni non sono stati ritirati i rifiuti e qualcuno ha chiamato anche i carabinieri del Nas. Mancano soltanto le carcasse dei topi morti. Per il resto all'ospedale "Santa Barbara" l'incuria regna sovrana, signora e padrona del quinto e del sesto piano con cumuli di immondezza, lenzuola sporche, posacenere aggrediti da montagne di cicche puzzolenti e cacca sul pavimento. Sì, c'è anche quella. Fa brutta mostra in un bagno al quinto piano. Nell'ala che raggruppa uomini e donne, nella maggior parte dei casi sopra i sessant'anni, i disagi e malumori tra i pazienti e parenti sono all'ordine del giorno. Ieri mattina, pero', qualcuno ha perso la pazienza segnalando il disastroso stato dell'ospedale ai responsabili cittadini Federconsumatori. Che si sono presi la briga di fare un giro in corsia, nei bagni e nelle camere del "Santa Barbara": un vero e proprio viaggio nel cuore del disagio che inizia alle 10,30. Entrare nell'ospedale è facile facile. La porta dell'ingresso è aperta. Infermieri e medici sono oberati di lavoro e spesso non badano a chi entra passando dal piano terra. Sul pavimento si notano subito tracce bianche di polvere, probabilmente sono dovute ai lavori di ristrutturazione dell'ospedale. Una volta arrivati davanti al reparto inizia la "visita". All'ingresso stanza ci sono i cestini della spazzatura, otto per la precisione, carichi di immondizia. "Non passano a fare la pulizia da almeno tre giorni Ñ dice un uomo sulla cinquantina, seduto sulla panca all'interno della corsia Ñ oggi devo andare via perchè ho problemi di salute e non posso continuare a rimanere qui". Per il momento assicura di voler mantenere l'anonimato. A fargli eco una donna di 50 anni vestita con un pigiama verde e ciabatte rosse ai piedi. "Sono ricoverata da due settimane - dice, chiedendo, almeno per oggi di mantenere l'anonimato - qui dentro non si puo' più stare, questa mattina ho chiamato anche i Nas dei carabinieri". In corsia si muove anche Carlo Scano, responsabile della Federconsumatori. "Da quello che possiamo vedere questo reparto è praticamente inagibile - commenta - non c'è bisogno ulteriori commenti, basta fare un giro in corsia e nei bagni". Nei tavoli delle camere ci sono ancora le tazze con il pane che i pazienti avrebbero dovuto consumare per la colazione. Non solo. In qualche altra camera ci sono i pannoloni sporchi usati da un paziente anziano. "Non abbiamo nulla contro il personale che fa anche troppo Ñ spiegano i due pazienti Ñ ma in queste condizioni non si puo' continuare a stare. Questo dovrebbe essere un ospedale, ma è in uno stato pietoso". La visita dei cronisti continua sino alle 11.20, in quello che sembra il reparto fantasma. Nel frattempo i rappresentanti della Federconsumatori cercano di contattare il direttore generale dell'Azienda sanitaria locale. "Questo non è un ospedale - dice Carlo Scano - non si possono lasciare gli ammalati in queste condizioni". La prima "ispezione" all'interno del reparto che un tempo ospitava solo gli uomini, si conclude alle 11.30. Ma il viaggio nella mala sanità non è certo finito. Un'ora dopo il tour riprende. Nel frattempo qualcuno ha provveduto a rimuovere i cestini pieni di rifiuti. Ma non basta. Lo sporco resta. In uno dei bagni del quinto piano i sanitari sono imbrattati di escrementi e c'è chi ha fatto i bisogni sul pavimento. La puzza è insopportabile. I pazienti aspettano la visita dei Nas: davanti al "Santa Barbara" arriva soltanto una Fiat Tipo blu dei carabinieri. Ma sono all'ospedale per fare altro. Intanto al sesto piano accanto alla macchinetta del caffè il cestino si riempie di tazzine di plastica. Ce ne sono tante, tantissime. C'è anche un tanfo devastante emanato dai posacenere che aspettano di essere svuotati da qualche giorno. Cose che capitano al "Santa Barbara", l'ospedale "malato". Pintore e Madeddu ______________________________________________________ Le Scienze 8 mar. '01 DROGA: GLI STIMOLI AMBIENTALI FANNO RIPETERE VECCHI ERRORI Per gli ex tossicodipendenti, ripercorrere i luoghi della droga puo' significare anche ripetere vecchi errori Numerosi aneddoti parlano di ex tossicodipendenti che chiedono con insistenza droga quando tornano nei luoghi dove erano soliti farne uso; ora un gruppo di scienziati ha deciso di verificare la veridicità delle storie. Un gruppo del Brookhaven National Laboratory ha così dimostrato che, almeno negli animali, gli stimoli ambientali provocano un consistente aumento del livello di dopammina, una sostanza chimica presente nel cervello e correlata con la dipendenza da farmaci o droghe. Inoltre gli scienziati hanno anche verificato che un farmaco già allo studio per debellare la dipendenza da sostanze blocca completamente l'aumento del livello di dopammina dovuto agli stimoli ambientali. Questo farmaco, chiamato GVG (da gamma-vinil GABA), agisce su tre elementi importanti della tossicodipendenza: gli effetti neurochimici e comportamentali delle droghe stesse e, appunto, le reazioni all'ambiente. Nel loro articolo, pubblicato su "European Journal of Pharmacology", gli scienziati spiegano che tutte le droghe fanno crescere i livelli di dopammina in parti del cervello associate alla soddisfazione e al rinforzo; molto probabilmente, l'aumento di queste sensazioni è alla base della dipendenza stessa. L'effetto del GVG sarebbe quindi quello di eliminare il motivo stesso per cui molti tossicodipendenti ricorrono alla droga. La scoperta è stata fatta studiando i livelli di dopammina nel cervello di alcuni topi abituati a ricevere cocaina in un determinato ambiente. Si è visto così che il semplice ingresso in quell'ambiente induce un aumento del 25 per cento del livello di dopammina, anche senza somministrazione di cocaina. ______________________________________________________ Le Scienze 7 mar. '01 IL MISTERO DELL'ASPIRINA DI IPPOCRATE Svelati almeno alcuni dei misteri di questo comunissimo farmaco Anche se le proprietà antidolorifiche dell'aspirina sono note fin dai tempi di Ippocrate, nel V secolo a.C., come funzioni realmente questo farmaco rimane ancora un mistero. Un gruppo di ricercatori della Johns Hopkins University ha pero' scoperto ora che l'aspirina inibisce l'interleuchina 4, una proteina coinvolta nelle reazioni allergiche e nelle infiammazioni. Questa osservazione spiega alcune delle proprietà meno ovvie del farmaco, come la sua efficacia nella prevenzione delle malattie cardiache e delle artriti reumatiche. Fin dal 1970 è noto almeno un meccanismo dell'azione dell'aspirina: l'inibizione della prostaglandina, ormone che, tra l'altro, provoca la contrazione dei muscoli e l'infiammazione. La soppressione della prostaglandina non spiega pero' completamente l'azione dell'aspirina, che nell'organismo viene convertita ad acido salicilico in 15 minuti e diventa completamente inefficace contro questo ormone. Nel 1994 si è confermato che l'aspirina inibisce proteine promotrici dell'infiammazione; ma questo ancora non spiegava completamente la sua azione. Vincenzo Casolaro descrive in un articolo pubblicato sulla rivista "Blood" i suoi esperimenti, in cui linfociti T sono stati coltivati in presenza di aspirina. La risultante riduzione dei livelli di interleuchina 4 ha permesso di stabilire che l'aspirina blocca una regione di DNA che codifica per un promotore di questa proteina. Poichè l'interleuchina 4 favorisce il "reclutamento" di cellule infiammatorie dal flusso sanguigno, un processo implicato nelle artriti reumatiche e in molte malattie cardiache, gli scienziati ritengono che la sua soppressione sia una spiegazione plausibile dell'azione dell'aspirina. ______________________________________________________ Le Stampa 7 mar. '01 CURARSI MALE CON LE ERBE RECENTI RICERCHE IN USA SULL'USO DI ESTRATTI DI GINGKO BILOBA HANNO DATO RISULTATI NEGATIVI Ezio Giacobini LA crescente popolarità dei prodotti a base di erbe si fonda largamente sul mito dell'innocuità dei preparati di origine "naturale". L'efficacia clinica della maggior parte di questi prodotti non è dimostrata; la complessità del prodotto, la mancanza di standardizzazione delle concentrazioni di eventuali principi attivi e l'assenza di controlli di qualità rendono spesso aleatoria l'utilizzazione. E rimane il fatto che la sicurezza di questi prodotti non è garantita. Un buon esempio è l'estratto di una pianta chiamata Gingko Biloba da tempo in libero commercio in Europa e Stati Uniti. Questo estratto è usato nel trattamento di disturbi che vanno dai vascolari periferici, a difetti della memoria fino alle depressioni e alle sindromi ansiose. In Italia la pubblicità sostiene che "contribuisce a prevenire e rallentare l'invecchiamento cerebrale". In Germania Ginkgo è uno dei prodotti fitoterapici più venduti: partito con un mercato già di 150 milioni di Euro nel 1989, ha sorpassato i 300 milioni dieci anni dopo; è in testa alla lista delle terapie prescritte in Germania (anche dai medici) per il trattamento della Malattia di Alzheimer ed è di gran lunga superiore come vendita a prodotti la cui efficacia clinica è stata ampiamente dimostrata in numerosi studi controllati, come gli inibitori della colinesterasi. Un recente studio clinico pubblicato nella rivista della Società americana di geriatria (J.Am.Geriatr. Soc. vol. 48. 2000) eseguito su 214 soggetti anziani con disturbi della memoria, divisi in tre gruppi e trattati o con due dosi diverse di un estratto di Ginkgo Biloba o con una sostanza inattiva dal medesimo sapore e odore (placebo) non ha dimostrato alcun effetto sulla funzione cognitiva (memoria) dopo 6 mesi di trattamento. Uno studio precedente pubblicato nel 1992 in "Lancet" (vol.340) aveva dimostrato un effetto basso ma statisticamente significante. Un secondo studio clinico eseguito su 309 pazienti affetti dalla malattia di Alzheimer (in doppio cieco e paragonato a una sostanza inattiva) pubblicato nel 1997 (J.Am.Med. Ass. Vol.278) confermava che si trattasse di un effetto cognitivo molto debole e in ogni caso molto inferiore a quello degli inibitori della colinesterasi già in uso per il trattamento della malattia. Si attende la pubblicazione di un quarto studio promosso negli Stati Uniti dal National Institute of Health su un numero maggiore di pazienti Alzheimer mai dati preliminari sarebbero anch'essi negativi. Sono stati nel frattempo segnalate e pubblicate su "Lancet" (vol.18. 2000) interazioni potenzialmente pericolose tra il Gingko e medicamenti assai comuni come aspirina, caffeina, warfarina, paracetamolo, ergotamina e diuretici di tipo tiazidico. Alcune sostanze contenute nell'estratto di Gingko Biloba (gingkolidi) inibiscono i fattori di attivazione delle piastrine necessari per la coagulazione del sangue, per cui potrebbero aumentare il rischio di emorragie cerebrali. Effetti indesiderabili di questa interazione del Gingko con farmaci sono sospettati in casi di anemie, ematomi sottodurali bilaterali, emorragie intracerebrali particolarmente di tipo subaracnoidale (Lancet, vol.352, 1998) e ipertensione. Poichè l'uso di preparati a base di erbe è assai diffuso anche negli Stati Uniti e spesso non viene menzionato dai pazienti, la Società Americana di Anestesiologia (Asa) ha proposto che l'indagine sull'uso di questi prodotti "faccia formalmente parte della storia clinica (anamnesi) del paziente e venga tenuta in dovuta considerazione nell'uso di farmaci per l'anestesia". Una inchiesta eseguita su 979 pazienti prima di un intervento chirurgico rivelava che il prodotto naturale piu usato era appunto il Gingko (33% dei casi) seguito dal ginseng (23%). Un opuscolo informativo attualmente distribuito dall'Asa ai pazienti americani consiglia di astenersi da ogni trattamento a base di erbe a partire da almeno due settimane prima dell'intervento. ______________________________________________________ Le Scienze 8 mar. '01 PRIONI PROMISCUI Prioni multiformi riescono ad attaccare diverse specie viventi Unendo insieme parti di prioni che attaccano le proteine di due diverse specie di lieviti, un gruppo di scienziati dell'Università della California ha prodotto un prione ibrido in grado di modificare la propria forma per infettare le proteine di entrambe le specie. Questa ricerca potrebbe aiutare a capire come i prioni dell'encefalopatia spongiforme bovina possano attaccare anche gli esseri umani. Il fatto che un singolo prione possa cambiare conformazione significa che proprio la sua struttura, e non solo la specie da cui deriva, è un parametro importante per capire quali animali esso possa infettare. Gli scienziati sospettano anche che i prioni possano evolversi e cambiare forma quando passano da una specie all'altra; in questo caso, l'utilizzo di mangimi animali potrebbe aver selezionato solo i prioni più adattabili e, quindi, pericolosi. I ricercatori, che hanno pubblicato i loro risultati sulla rivista "Nature", hanno concentrato gli studi sui prioni dei lieviti, che sono simili a quelli dei mammiferi. I prioni sono proteine che hanno la capacità di attaccare altre proteine a loro simili e alterarle; le nuove proteine anomale sono insolubili e formano aggregati che, nei mammiferi, uccidono le cellule cerebrali. Nei lieviti, invece, i prioni si limitano di norma a modificare il metabolismo delle cellule. Un risultato interessante dell'esperimento è che, sebbene il prione ibrido sia in grado di attaccare entrambi gli ospiti di origine, una volta entrato in contatto con il lievito di una specie non sembra più in grado di modificarsi ulteriormente: una volta entrato nel suo nuovo ospite, esso assume infatti una forma ancora diversa e più specializzata. ______________________________________________________ Il Corriere Della Sera 7 mar. '01 LE MALATTIE GLOBALI Cosmacini Giorgio La globalizzazione rende planetario il contatto, vale a dire il contagio. Possiamo, in tal senso, parlare di "malattie della globalizzazione". Il termine non è nuovo, nella sostanza. Lo ha anticipato nel 1973 Emmanuel Le Roy Ladurie elaborando un con cetto: l' unificazione microbica del mondo. Il riferimento dello storico francese era, da storico, retrospettivo: l' avventura passata di tale unificazione era transitata per mari od oceani solcati da navi trasportatrici di merci, popolate da individ ui biologici a loro volta trasportatori di malattie. Nel 1347 dodici navi sfuggite all' assedio che i mongoli avevano posto a Caffa, base in Crimea dei traffici genovesi nel Mar Nero, navigarono il Mediterraneo con il loro carico di grano, ma anche d i topi e di appestati. Approdate a Messina, poco dopo tutta l' Europa fu invasa dalla più micidiale epidemia che la storia ricordi. Era iniziata la stagione delle moderne pestilenze. La rinascita delle città, dopo i secoli dell' economia chiusa, curt ense, dell' autoconsumo, apriva i battenti a una popolazione non più isolata, ma agglomerata e affaccendata in un' economia aperta, di scambio. Era una popolazione disposta ad arrischiare nell' e conomia di mercato e disponibile a sperimentare i risc hi delle malattie contagiose. Il 4 marzo 1493 la caravella Niña getto' l' ancora nel porto di Lisbona. Recava a bordo, con i reduci dalla scoperta del "nuovo mondo", un "nuovo morbo", il mal de Hispaniola, contratto da quei primi conquistadores per "c omunicazione" sessuale con le indigene amerindie, una malattia etichettata più tardi come "sifilide" e ancor più tardi imputata al "treponema pallido". Tre anni dopo l' "unificazione treponemica" d' Europa era un fatto compiuto. Le malattie infettive , epidemico-contagiose, si pensava fino a vent' anni fa che appartenessero a un lontano passato. Anche se tuttora presenti nella realtà da Medioevo dei Paesi del cosiddetto Terzo Mondo, dai quali ci separano non i chilometri della geografia ma i seco li della storia, esse erano state (quasi) cancellate dalla nera lavagna della patologia umana, nei Paesi nord-occidentali del globo. Sull' onda vincente dell' eradicazione mondiale del vaiolo (1979), nel 1981 l' Organizzazione Mondiale della Sanità v arava l' ambizioso progetto: "Salute per tutti nell' anno Duemila". Nello stesso anno l' esplosione dell' Aids e la sua successiva incontenibile "globalizzazione" arrivavano a mettere in crisi tutto un mondo di ottimismo, di certezza, di sicur ezza, di sicumera. Quello che si credeva fosse il "punto di non ritorno" delle malattie del passato è diventato il "giro di boa" di malattie "vecchie sempre più nuove": vecchie, in quanto ancora e sempre trasmissibili attraverso i canali della comuni cazione tra individui biologici (da uomo a uomo, dall' animale all' uomo, dal vegetale all' animale) e nuove, in quanto totalmente diverse da prima, per legge biologica di mutazione e per legge storica di evoluzione. Nell' accezione qui loro data, le "malattie della globalizzazione" non esauriscono l' "unificazione microbica del mondo" iniziata con la peste dei topi e degli uomini di metà Trecento. In tutt' altra accezione potremmo pensarle sia come schizofrenia tra il mondo reale e il mondo vir tuale della globalizzazione informatica, sia come psicosi depressiva di qualche vittima della globalizzazione finanziaria. A prescindere da cio', pensiamo che la globalizzazione epidemiologica richieda, oggi come e più che in passato, un' altra unific azione: quella degli sforzi sanitari e scientifici a salvaguardia dell' umanità. Gli antichi Stati italiani, non importa se ducati o repubbliche, seppero creare Uffici di sanità esemplari, poi imitati dovunque in Europa. Gli odierni Stati europei dev ono, al di sopra di ogni nazionalismo, ritrovare una vocazione sanitaria in comune, anch' essa di antica data. Giorgio Cosmacini ______________________________________________________ Le Stampa 7 mar. '01 DALLA GENETICA UNA SPERANZA PER LE NEUROPATIE POSSIBILI FUTURE TERAPIE GENICHE DOPO L'ESPERIMENTO SUI TOPI MA È UNA SCEMENZA PARLARE DI "RATTI CON INTELLIGENZA UMANA" Pier Carlo Marchisio (*) LE malattie neurodegenerative non hanno per ora nessuna speranza di guarigione. Se per molti tipi di cancro esistono cure con buone probabilità di successo, per l'Alzheimer, la malattia di Huntington e altre neuropatie che colpiscono il cervello e il midollo spinale non si conoscono terapie accettabili. Riguardo a queste neuropatie, sappiamo molto della genetica, delle cause e del modo con il quale insorgono e progrediscono ma, fatta la diagnosi, il potere della medicina ora si ferma. Forse, tuttavia, sta aprendosi uno spiraglio che, lungi dal promettere una cura immediatamente disponibile, fa intravedere una speranza per un futuro non lontanissimo. Lo promette una ricerca fatta sui topi e pubblicata pochi giorni fa su "Cell" da un gruppo di neuroscienziati americani. In breve, malattie cerebrali diversissime sono dovute all'accumulo di proteine abnormi in gruppi di cellule nervose che portano queste prima a soffrire e poi morire. Perso un gran numero di cellule nervose in zone critiche, il cervello smette di funzionare e in molti casi comincia a manifestarsi una progressiva demenza che puo' durare a lungo ed è fonte di sofferenza. La ricerca di "Cell" suggerisce che forse non sarà sempre così. Almeno nei topi, resi artificialmente modelli genetici di queste malattie, si è dimostrato che nelle fasi precoci di accumulo delle proteine abnormi nelle cellule nervose è possibile invertire il decorso fatale della malattia spegnendone il gene responsabile. Si dirà: è ancora poco e lo si fa nei topi. Ma una cosa dimostra questa ricerca e cioè che, fatta la diagnosi, non si parla più di irreversibilità del male ma della speranza remota di curarne la causa. Per ora tutto si limita a una speranza e la terapia è ancora lontana, tuttavia lo sviluppo delle conoscenze dei geni umani e della loro regolazione, unito al progredire della terapia genica, apre una finestra che si pensava fosse fino a ieri buia e sprangata. Soprattutto dimostra che il danno nervoso, fatta la diagnosi, non è, come si credeva, ineluttabilmente progressivo ma aperto a future terapie. Infine la sperimentazione non ha nulla a che vedere con il "trasformare i topi in creature con una intelligenza umana" in spregio della bioetica, come qualche incompetente in campo medico ha dichiarato ai giornalisti e come hanno fatto intendere certi servizi dei telegiornali. (*)Università Vita-Salute San Raffaele, Milano ______________________________________________________ Le Scienze 6 mar. '01 RACCOLTA DI CELLULE STAMINALI CONTRO LA CECITÀ Le cellule possono essere raccolte in grande quantità, aumentando le probabilità di successo dell'intervento Un'operazione chirurgica ora molto difficile, che permette di restituire la vista in casi di cecità causata, potrebbe diventare più semplice grazie a un dispositivo che permette di raccogliere le cellule staminali dell'occhio. Queste cellule vengono spesso trapiantate nell'occhio di pazienti che hanno perso la vista in seguito al danneggiamento della cornea da parte di sostanze chimiche o di malattie dell'occhio come la sindrome di Stevens-Johnson. Il trapianto di cellule staminali della cornea ha infatti restituito la vista a molti pazienti, ma viene considerata ancora una risorsa estrema, a causa dell'altissimo tasso di insuccessi. Il nuovo dispositivo, sviluppato da Roy Chuck, del College of Medicine dell'Università della California a Irvine, è descritto sulla rivista "Journal of Ophtalmology". Le cellule staminali vengono raccolte dalla cornea di donatori morti, in particolare da una regione nota come limbo, che si trova all'intersezione tra la cornea e la sclera, che ricopre il bulbo oculare. Nei pazienti sani, queste cellule rimpiazzano quelle danneggiate della cornea, ma diventano insufficienti in caso di danni molto estesi. Mediante lo strumento, le cellule possono essere raccolte in grande quantità, aumentando notevolmente le probabilità di successo dell'intervento chirurgico. ================================================================== ______________________________________________________ Repubblica 8 mar. '01 RUBBIA, GRILLO E L'ELETTRICITÀ FAIDATE lo show va in scena al ministero Il comico testimonial con Rubbia della campagna ambientale per produrre energia solare ANTONIO CIANCIULLO ROMA - "Mentre dormi guadagni i soldi! Tu dormi e incassi! Quando l'ho detto a Napoli si sono entusiasmati. Prendi un kit già pronto, lo attacchi e via. E così oltretutto si tolgono di mezzo milioni di colpi di tosse, tonnellate di catarro, chili di metastasi. Questa è la vera politica sanitaria. La politica energetica è la politica sanitaria". Beppe Grillo va al massimo dei giri: polemizza con i parvenu dell'idrogeno ("Gli scienziati si svegliano adesso, io uso un furgone all'idrogeno dal '94"), dà stoccate ai giornalisti ("Se la comicità deve essere garante della scienza è il fallimento dell'informazione"), lancia appelli ("Non mi lasciate solo a dire queste cose"). È lui il testimonialcavia del solare, la bandiera esibita dal ministro dell'Ambiente Willer Bordon per presentare il via libera definitivo al lancio dei programmi di sviluppo del solare. A fare da contraltare, in collegamento telefonico da Ginevra, è il presidente dell'Enea Carlo Rubbia che fornisce i numeri sul potenziale delle energie alternative. In Sicilia o in Calabria su un metro quadrato di terreno piovono 20 centimetri di petrolio: un barile di greggio che ogni anno cade come una manna dal cielo. Finora questo patrimonio energetico è stato sperperato, ma si correrà ai ripari. Dopo un lungo letargo, l'Italia sembra intenzionata a scrollarsi di dosso il record negativo nel campo delle rinnovabili. Da qui a sei anni sarà il sole a far funzionare 50 mila case, scuole, ospedali e perfino prigioni. Su questa scommessa il governo ha puntato 1.900 miliardi in modo da incentivare anche le singole famiglie a dotarsi di un impianto: la corsa al fai da te inizierà nei prossimi giorni (per informazioni si puo' chiamare il numero verde 800466366). I finanziamenti arriveranno a coprire il 75 per cento del costo dei tetti fotovoltaici (se ne dovranno costruire 2 mila entro dicembre e altri 48 mila entro sei anni) e in questo modo l'installazione diventerà conveniente. In pratica sarà fornito un doppio contatore per registrare i due flussi energetici: quello in entrata, l'elettricità che si compra dalla rete, e quello in uscita, l'energia solare in eccesso che puo' essere venduta. Grillo è stato scelto come testimonial dell'operazione non solo per la sua irresistibile verve, ma anche perchè è stato un precursore. Nella casa genovese del comico c'è un impianto fotovoltaico da 25 metri quadri che produce 2 chilowatt. Ha speso 6 milioni (senza finanziamenti) e li recupererà in sei anni: dal settimo anno in poi l'elettricità sarà gratis. Ma, ha aggiunto l'agguerritissimo Grillo dimostrando di conoscere a fondo la materia, dal punto di vista energetico il pareggio si raggiungerà in dieci anni (l'energia risparmiata nei primi dieci anni di uso serve a compensare quella utilizzata per costruire l'impianto). Dopo una lunga serie di annunci e di false partenze anche l'Italia dunque entrerà in pista cercando di ridurre le distanze da paesi come la Germania che vantano ormai una solida produzione annua di pannelli fotovoltaici. Per raggiungere l'obiettivo indicato dal governo (raddoppio delle fonti rinnovabili entro il 2010), oltre ai 50 mila tetti fotovoltaici si punterà anche sul solare termico sponsorizzato da Rubbia. E una o due isole minori verranno trasformate in un modello energetico dolce completamente autosufficiente.