LE LAUREE TRIENNALI AVRANNO IL TITOLO PROFESSIONALE "IUNIOR" L'UNIVERSITA' AI RAGGI X DEL SOCIOLOGO UNIVERSITÀ VIRTUALE, ESAMI REALI BRAVISSIME, BOCCIATE DALLA SCIENZA L' UNIVERSITA' CHE PROTESTA UNIVERSITÀ,QUEI PERCORSI DI DOMANI SE IL PROFESSORE È COSTRETTO A DARE I NUMERI UFFICI PUBBLICI, VICINO IL TRAGUARDO DI UN COMPUTER A DIPENDENTE ================================================================== LE ASL PAGANO I DEBITI DOPO QUASI UN ANNO FRANCO MELONI:IL PIANO PER RIORGANIZZARE IL BROTZU SANITÀ, LA SICILIA ASSUME DUECENTO RELIGIOSI. MEDICI, IL CAMICE BIANCO SI TINGE DI "ROSA" L'OMS: UN BAMBINO SU CINQUE SOFFRE DI DISAGI MENTALI UN VELENO CONTRO LA BSE? LA MILZA: STORIA E POESIA FEGATO ELETTRONICO L'UNIVERSITA' AI RAGGI X DEL SOCIOLOGO VERONESI: "L'ELETTROSMOG? NON È UNA CAUSA DEL CANCRO" COMPUTER UNITI CONTRO IL CANCRO POLICLINICO: ENTRO L'ESTATE I LAVORI PER CANCELLARE LE CODE GENOVA: IMPIANTATI DODICI DENTI IN TRE ORE ================================================================== OK AL SISTEMA DI NAVIGAZIONE SATELLITARE UE ULTIMO MIGLIO: ENEL-WIND USERÀ LA RETE ELETTRICA ================================================================== _______________________________________________________ Il Sole240Ore 5 apr. 01 LE LAUREE TRIENNALI AVRANNO IL TITOLO PROFESSIONALE "IUNIOR" L'Esecutivo vara la distinzione sollecitata dagli Ordini ROMA Gli Ordini si riorganizzano per recepire la riforma universitaria: gli Albi saranno infatti articolati in due sezioni, una per i laureati e una per i laureati specialisti. Il Consiglio dei ministri di ieri ha infatti approvato lo schema di regolamento che stabilisce i raccordi tra nuovi titoli universitari e ordinamenti professionali. Per risolvere il rebus della denominazione dei laureati abilitati - gli Ordini hanno insistito fino all'ultimo per qualificarli come "tecnici" - è stata richiesto l'arbitrato dell'Accademia Della Crusca. E i custodi della purezza della lingua sono riusciti a convincere almeno i ministri: i laureati triennali abilitati saranno qualificati come iunior (termine latino che - fa notare l'Accademia - può essere anche usato come sostantivo al plurale, iuniores). Con lo schema di regolamento, che ora deve essere vagliato dal Consiglio di Stato prima dell'approvazione definitiva del Consiglio dei ministri, sono stati individuati i titoli accademici di accesso per tredici professioni il cui esercizio è subordinato all'esame di Stato; sono state ridefinite le prove di abilitazione e sono state ripartite le competenze per gli iscritti alle due sezioni degli Albi. Intanto, oggi i presidenti degli Ordini dei dottori commercialisti avranno, con l'assemblea annuale, l'occasione per il primo confronto ufficiale sulla professione unica disegnata dallo schema di regolamento approvato dal Consiglio dei ministri del 28 marzo. Via libera del Consiglio dei ministri al regolamento sul riassetto degli Albi secondo i titoli universitari Saranno "iunior" i laureati triennali La definizione è stata preferita dopo un lungo dibattito a quella di "tecno- professionisti" - Il provvedimento va ora al Consiglio di StatoMaria Carla De Cesari ROMA Si è fatto appello alla tradizione e sapienza dell'Accademia Della Crusca per risolvere il rebus della demominazione delle nuove figure professionali derivanti dai nuovi titoli universitari, laurea e laurea specialistica. E il Consiglio dei ministri, che ieri ha approvato lo schema di regolamento che ridisegna 13 professioni regolamentate secondo i nuovi percorsi accademici, ha accettato il suggerimento del presidente dell'Accademia, Francesco Sabatini. I futuri laureati abilitati saranno denominati con il titolo professionale e con l'aggettivo iunior (alla latina, benché del termine si sia impossessato la lingua inglese, modificando con la "j" iniziale grafia e pronuncia). L'ingegnere iunior sarà inserito al livello B dell'Albo, mentre gli iscritti alla sezione A (con il titolo accademico di laureato specialista) continueranno a chiamarsi ingegneri (si veda la tabella). Faranno eccezione i laureati che sceglieranno l'esame di Stato e l'iscrizione a un Collegio. Costoro abbineranno la qualifica professionale con il titolo di studio: agrotecnico laureato, geometra laureato e così via. In questo modo, saranno distinti dagli attuali iscritti o dalle leve future che continueranno ad accedere ai collegi con il diploma di scuola superiore più tirocinio. Lo schema di regolamento - che dovrà ora essere vagliato dal Consiglio di Stato, prima del passaggio definitivo al Consiglio dei ministri - si riferisce alle professioni di dottore agronomo e dottore forestale, architetto, assistente sociale, attuario, biologo, chimico, geologo, ingegnere, psicologo, agrotecnico, perito agrario, geometra e perito industriale. Dopo due mesi di serrate consultazioni con le professioni, il Consiglio dei ministri ha dunque licenziato il regolamento predisposto in base alle leggi 4 e 370 del 1999. Nelle ultime settimane per definire il provvedimento si sono impegnati il sottosegretario all'Università, Luciano Guerzoni, il ministro della Giustizia, Piero Fassino, e il titolare delle Politiche comunitarie, Gianni Mattioli, sotto la regia del presidente del Consiglio, Giuliano Amato, mentre il lavoro preparatorio e di coordinamento è stato fatto - dal giugno dello scorso anno - dalla commissione di esperti presieduta dal professor Giampaolo Rossi. L'obiettivo dello schema di regolamento è raccordare i requisiti per l'accesso alle professioni subordinate all'esame di Stato con i nuovi titoli accademici. Un'operazione "dovuta" non solo per garantire a lauree e lauree specialistiche uno sbocco nelle attività regolamentate ma anche per assicurare nuove leve agli Ordini, visto che la riforma universitaria verrà attuata dal prossimo anno accademico, ma probabilmente non bisognerà aspettare tre o cinque anni per "vedere" i primi studenti al traguardo, dato che gli attuali iscritti possono convertire gli esami già superati in crediti per conseguire i nuovi titoli. Lo schema di regolamento ha incontrato molte difficoltà: l'ultimo contrasto tra Università e Ordini si è consumato sulla denominazione da attribuire ai laureati triennali per distinguerli dagli "specialisti". Mentre il ministero proponeva di differenziare i due livelli attraverso il titolo accademico, le professioni hanno fino all'ultimo insistito per qualificare il livello B dell'Albo come quello relativo ai "tecnici" o, in subordine, ai tecno-professionisti. Alla fine ha prevalso la soluzione dell'Accademia Della Crusca. Il termine iunior (l'Accademia ha anche proposto di giocare sulla contrapposizione con senior) indica, infatti, un diverso grado di "capacità e competenza non legato soltanto alla diversa età, ma specificamente anche a livelli diversi di preparazione e di responsabilità". Per il sottosegretario Guerzoni il regolamento per l'accesso agli Ordini "rappresenta un'altra fondamentale tappa della riforma del sistema di istruzione universitaria. Gli atenei hanno ora gli strumenti operativi per definire i nuovi corsi di studio". Nel definire i raccordi tra ordinamenti professionali e università, ci si è scontrati con la volontà degli Ordini di difendere tradizionali prerogative. Per esempio, gli ingegneri contestano la possibilità che i laureati dell'area tecnica possano candidarsi all'esame di Stato per i Collegi e per quello degli Ordini. Alla fine è passata la decisione della doppia chance. Così come il Consiglio dei ministri ha consentito che anche i laureati nelle classi di laurea di scienze e tecnologie informatiche e di laurea specialistica in informatica possano accedere all'esame di Stato per l'Albo degli ingegneri, sezione dell'informazione. "La professione di informatico - spiega Guerzoni - non viene regolamentata ma vogliamo offrire una possibilità in più per gli studenti dell'area informatica, senza attribuire alcuna esclusiva all'Ordine degli ingegneri". Lo stesso vale per gli urbanisti e per i conservatori dei beni culturali che trovano spazio nell'Albo degli architetti. Con lo schema di regolamento, infine, viene stabilita la corrispondenza tra Albi e vecchi diplomi universitari. _______________________________________________________ Il Messaggero 4 apr. 01 L'UNIVERSITA' AI RAGGI X DEL SOCIOLOGO Ferrarotti: "Scuola di massa, strutture d'élite" di RAFFAELLA TROILI Torna dall'America e ti trova una facoltà occupata, un movimento universitario che ha ripreso coscienza, un rettore alle prese con le tasse. E lui, Franco Ferrarotti, il sociologo-istituzione della facoltà di via Salaria, è pronto a commentare, anche inveire, nel suo modo garbato: "L'università si riforma con autonomia e mezzi, altrimenti finisce per essere sempre più dei privilegiati". C'è una strozzatura per Ferrarotti, la capta quando gira per i corridoi, mentre gli studenti lo fermano sulla porta. "La gran massa degli universitari non ha servizi efficienti, solo una minoranza, non di certo composta da fuorisede, ma da figli di famiglie benestanti della città, che magari hanno una biblioteca a casa, va avanti. Ma la maggioranza, quella dei ceti medio-bassi, finisce per andare fuori corso: meno del 50 per cento degli studenti in Italia si laurea in quattro anni. E questo spiega perché l'università italiana se dovesse essere considerata un'azienda, sarebbe già fallita, visto che non produce quel che dovrebbe, e l'insufficienza dei servizi la pagano i più disagiati". Tasse, riforma, decentramento: gli universitari di Roma da 13 giorni guidano una protesta che si è fatta nazionale. E vogliono risposte. Prova a dargliele, il decano dei sociologi italiani. "L'università italiana, come la società, è in una grande fase di trasformazione. Lo vediamo sul piano politico, economico, anche nell'editoria. Tutte le società con le nuove tecnologie, non possono più usare gli stessi metodi d'insegnamento, l'élite di governo non può più formarsi come un tempo. Insomma, l'università del nonno e di papà, quella che formava un numero tot di medici, insegnanti, avvocati e così via, è finita. Era una società statica, ora siamo in una società dinamica e gli atenei devono articolarsi in maniera diversa per rispondere meglio alla domanda di una società sempre più differenziata". Come? L'ha già detto, "serve una grande autonomia alla base e più mezzi, che non possono venire solo dalle famiglie degli studenti. E corsi molto più aperti alla società di oggi, oltre alle vecchie gloriose facoltà". Ma anche Ferrarotti, professore emerito, col fare distratto (ma è solo un'impressione) dei pensatori, ammette che le "rivoluzioni" non avvengono senza i soldi. Chiede denaro il rettore D'Ascenzo al ministero, parla di denaro il sottosegretario Guerzoni, non vogliono sborsare altro denaro gli studenti. "L'autonomia universitaria vuol dire avere mezzi, per questo posso capire l'aumento delle tasse. È inevitabile, nell'Europa del nord e in America sono molto più alte che da noi. Naturalmente credo che le famiglie sarebbero disposte a pagare di più, a patto che l'università desse ai loro figli servizi culturali e sociali più efficienti. E invece vedo gli studenti andare in giro per i corridoi come "pecore matte", non sanno niente della riforma, non hanno servizi. Abbiamo i piedi nel XXI secolo, ma l'organizzazione è ferma all'800". Per questo ben venga la riforma, "ma D'Ascenzo ha ragione: servono investimenti massicci. Perché la situazione di oggi non è più sostenibile: abbiamo un'università di massa, giustamente aperta a tutti, ma che non ha ancora servizi sociali e culturali di massa bensì le strutture della vecchia università d'élite. Neppure il numero di professori è adeguato, siamo stati fermi con i concorsi per dieci anni. Stiamo andando verso un'università gerontocratica. Dobbiamo rinnovare, ringiovanire". La Sapienza ha cominciato a decentrare il più possibile e l'11 aprile inaugurerà la facoltà di Scienze della comunicazione, "di cui faccio parte e che sto aiutando a nascere. Ma decentramento vuol dire anche nuovi spazi, edifici, professori, attrezzature tecniche, laboratori e ottimi dormitori e collegi, come ho visto all'estero". Ben venga allora anche il movimento studentesco: "Può essere utile se aiuta ad uscire da questa grande crisi, non se blocca il processo di riforma". Se fosse per lui, Ferrarotti cambierebbe subito il rapporto studente-docente. "Basta con le vecchie conferenze unilaterali, penso invece a corsi sempre più seminariali in cui il ragazzo interagisca con il docente". Ok alle lauree brevi, purché non diventino "lauree di serie B. Possono essere utili a sfoltire i corridoi delle facoltà, ma vanno organizzate bene, che abbiano almeno la frequenza obbligatoria". _______________________________________________________ L'Unione Sarda 6 apr. 01 UNIVERSITÀ VIRTUALE, ESAMI REALI Dopo le lezioni in video da Bologna arrivano i docenti Due giorni di prove scritte e orali per undici studenti Dal nostro inviato Sant'Anna Arresi Signori studenti, gli esami. L'Università virtuale si materializza di colpo. Dopo le lezioni a distanza proiettate in video-cassetta ecco i professori in carne ed ossa. Sono arrivati a Sant'Anna Arresi, centro- pilota di questa università della porta accanto, per la prima sessione di esami. Undici candidati, due giorni di prove scritte e orali per ottenere l'idoneità - e il voto sul libretto - in Economia aziendale e Istituzioni di diritto privato. Si fa sul serio. Perché l'Università virtuale del Sulcis, quella che lo scorso autunno ha aperto i battenti a Sant'Anna Arresi e Calasetta non è uno scherzo. Lo prova il fatto che ieri il professor Nicoletti, preside della facoltà di Economia dell'Università di Bologna si è collegato in videoconferenza con l'"Ateneo" del Sulcis per dare il suo imprimatur alla conclusione del primo ciclo delle lezioni e all'inizio degli esami: è stato il suggello al decollo definitivo dei corsi di laurea breve a distanza. Per L'Università di Bologna e gli altri atenei che stanno sperimentando il nuovo metodo (sono Torino, Trieste, Trento, Firenze e Perugia) quello sta diventando un business. Soltanto Bologna è arrivata a 500 iscritti "virtuali". Un fenomeno che, come ha spiegato il preside Nicoletti, "sta rivelando come la domanda di istruzione superiore sia molto più vasta di quando non venga stimato". In questa realtà la Sardegna si è ritagliata un ruolo particolare. A Sant'Anna Arresi e Calasetta, per la prima volta in Italia, le lezioni non vengono seguite individualmente dagli studenti ma è stato aperto un piccolo ateneo con aule, attrezzatura scientifica e servizi. Lì gli allievi frequentano le lezioni come se fossero a scuola. Soltanto il docente è virtuale anche se ad affiancare gli allievi durante le lezioni c'è un tutor. Merito del Comune che ha creduto e investito in questa iniziativa. "Abbiamo bisogno di manager e tecnici altamente qualificati in grado di operare nel settore del turismo e di fare decollare il nostro territorio", spiega il sindaco Paolo Dessì. Che non ha esitato a stanziare 150 milioni prelevandoli dal magro bilancio comunale per attrezzare le aule (nel Centro sociale) e retribuire i tutor. "È una scommessa che abbiamo voluto giocare per offrire un'opportunità ai nostri giovani", sottolinea il primo cittadino. Adesso l'amministrazione comunale ha deciso di chiedere un contributo finanziario alla Provincia e alla Regione. Intanto ha già incassato il sostegno degli imprenditori turistici di Sant'Anna Arresi: l'agenzia "Present viaggi" e gli alberghi Baia dei pini e Punta giara si sono offerti di assistere e ospitare la commissione d'esami. Un bel calcio allo scetticismo iniziale. Insomma sta a vedere che questa università paesana, alla fine funziona. "I dati parlano chiaro, c'è una crescita esponenziali delle iscrizioni", rivela il professor Massimiliano Zanini, arrivato a Sant'Anna Arresi per la prima sessione degli esami. Il docente garantisce sulla preparazione degli studenti che partecipano ai corsi in videotape: "L'unica differenza è esclusivamente comportamentale". ll sistema delle lezioni registrate assicura, in aula anche la "funzione moviola". "Se un passaggio non è chiaro si può fermare il professore, riavvolgere il nastro e ripetere", spiega Giuliano Ghisu, uno dei tutor che affiancano gli studenti. Pochi minuti prima delle quattordici la videoconferenza tra l'Università di Bologna, capoluogo dell'industriosa Emila e Sant'Anna Arresi, duemila abitanti nel cuore del Sulcis, finisce. Studenti e professori entrano in aula chiudendosi la porta alle spalle: è il momento degli esami; Due ore dopo il primo studente uscirà con il voto sul libretto: 21. L'università del Sulcis è decollata. Riuscirà a spiccare il volo? La risposta fra tre anni quando dovrebbero essere attribuite le prime lauree brevi targate Università del Sulcis. Sandro Mantega _______________________________________________________ Repubblica 4 apr. 01 BRAVISSIME, BOCCIATE DALLA SCIENZA Dossier Cnr sulle donne e la ricerca: più della metà degli assunti per i progetti eccellenti sono maschi GIOVANNA CASADIO ROMA - Concludono con una provocazione: se le donne non vengono assunte negli enti di ricerca, se sono sempre meno utilizzate e escluse dalla carriera nella scienza, allora non facciamole neppure studiare... Quel che trionfa sempre sono gli old boys network , i meccanismi di cooptazione maschili, di amicizie, conoscenze, rapporti personali. La platea di donne scienziate, con il Nobel Rita Levi Montalcini in prima fila, riunite ieri al Cnr a discutere delle discriminazioni nel mondo della ricerca, si unisce in un applauso. E presenta un dossier in cui con cifre statistiche alla mano si dimostra che le donne sono brave anzi bravissime: "secchione" all'università dove quasi 27 su cento ottengono il massimo dei voti (contro il 17,7% dei maschi); tenaci nel portare a compimento gli studi con solo il 10,3% di abbandoni (la percentuale maschile è del 15,5%); brillanti anche nelle discipline più maschie come ingegneria e agraria dove quasi sempre si laureano al top. Risultato? Tanto meglio tanto peggio. Negli enti pubblici in cui si fa ricerca, nel triennio '95'98 le assunzioni di donne sono praticamente la metà rispetto agli uomini, sta a dire che le porte del mondo della scienza si sono aperte per 37 donne su cento (63% di maschi). Già ben sfoltite al momento dell'accesso, quando poi si tratta di avanzare nelle responsabilità, nei posti di potere ecco che 7 donne su cento emergono, e soltanto il 5,8% raggiunge i vertici o è nominato come esperto in qualche organismo. "L'investimento che lo Stato fa nella formazione delle donne è un investimento che non viene portato a termine, c'è un immenso spreco di risorse", illustra Maura Misiti ricercatrice del Consiglio nazionale delle Ricerche. "Non è una rivendicazione di tipo sindacale ma la fotografia del cattivo funzionamento di un sistema, a cui le donne darebbero un apporto in termini di qualità", incalza Sara Cabibbo, storica. Rossella Palomba, sempre Cnr, indica la discrezionalità della cooptazione spesso incongrua alle ragioni della ricerca e dell'eccellenza scientifica. A condividere metodo e esiti della denuncia delle scienziate è ieri il ministro delle Pari Opportunità, Katia Bellillo. "In Italia più che in altri paesi il tetto di cristallo è terribile: c'è una misoginia, un maschilismo che sono una cappa. Il meccanismo della cooptazione in sé non sarebbe negativo se significasse reclutamento di talenti". E Bellillo ricorda l'archivio delle donne eccellenti messo a punto dal suo ministero affinché nel momento delle nomine negli enti pubblici si potesse adottare la comparazione tra donne e uomini. Peccato che, concertato con l'ufficio della presidenza del Consiglio, la pratica si sia arenata nella burocrazia del Palazzo _______________________________________________________ Il Messaggero 3 apr. 01 UNIVERSITÀ,QUEI PERCORSI DI DOMANI Ma l'università, luogo di sapere e di cultura, è davvero schiacciata dalla esplosione delle nuove tecnologie? Internet e televisione sono davvero dei "competitori informativi"? Attorno a questi interrogativi si muove, in un percorso che attraversa la divulgazione e la scienza, un libro interamente dedicato alla ricerca, alla formazione e all'istruzione. Se oggi accendi la tv, nuova agorà dei tempi moderni, "sacerdote" dei nuovi saperi, essa rovescia sugli ascoltatori, con modelli divulgativi efficaci e accattivanti, verità che finora appartenevano a un mondo chiuso, spesso autoreferente, come quello diffuso intorno agli atenei. Si può essere più o meno d'accordo, con questo mordi e fuggi dell'informazione culturale, ma questa è significativamente la valenza dei tempi odierni, in cui è difficile, per il fruitore, misurarne l'attendibilità. Dalla scuola e dagli atenei emerge una nuova domanda di aggiornamento informatico, spiegano, con dovizia di particolari, Alessandro Alberigi Quaranta, uno dei maestri nei sistemi informativi in Italia, e Andrea Taroni, fisico e preside dell'università di Brescia, i due curatori del volume che ha una introduzione di Giuseppe De Rita. Ma spiegano soprattutto come l'università può compiere quel salto nel futuro per venire incontro al bisogno di ricerca applicata che, con urgenza, sale dal mondo industriale ed economico. _______________________________________________________ Il Corriere della Sera 2 apr. 01 L' UNIVERSITA' CHE PROTESTA Martinotti Guido Dal Sessantotto alla Bicocca L' UNIVERSITA' CHE PROTESTA di GUIDO MARTINOTTI* I manifestanti che protestavano all' inaugurazione dell' anno accademico dell' Università di Milano Bicocca gridavano "sporco comunista" al rettore Fontanesi, che commenta filosoficamente "mi hanno dato dello sporco fascista tutta la vita, almeno è una novità". I manifestanti di una volta gridavano in nome di Karl Marx, quelli di oggi in nome di Dio, ma il risultato non cambia. La protesta degli studenti fa ormai parte della vita universitaria almeno quanto il mitico libretto dei voti, ma chi protesta forse non si accorge di ripetere una cerimonia che da una trentina d' anni almeno ha assunto un contenuto specifico, quello della controriforma universitaria. In questi giorni la protesta si è scatenata sul tema dell' aumento delle tasse, ma è il medesimo motivo che fu alla base della famosa protesta dell' Università Cattolica di Milano nel 1968, che terminò con la carica guidata da Mario Capanna e dette l' avvio al lungo Sessantotto milanese. Quella delle tasse è solo una delle possibili scintille, la vera protesta studentesca si è scatenata ogni volta che veniva presentata una seria riforma. La prima volta è accaduto tra il 1962 e il 1965 con la proposta del ministro Gui, la famosa ventitrequattordici (2314/65). Si trattava di una legge assai innovativa che anticipava molti dei temi delle riforme successive liberalizzazione degli accessi e dei piani di studio, istituzione dei dipartimenti e tre livelli di laurea e dottorato - che venne abbattuta dalla pressione congiunta delle proteste studentesche e dei professori che non volevano cambiare le loro abitudini. Il ' 68 affossò ogni velleità di riforma perché il verbo elaborato a Trento era che "no n si poteva vivere in un ghetto d' oro in una società di...". Le università divennero arena per l' attività politica, ma la parola d' ordine trentina ebbe l' effetto di rendere indifferenti gli studenti ai temi universitari, anche perché con l' auto- affondamento delle organizzazioni studentesche nel ' 68, le nuove rappresentanze rimasero molto deboli. Ma, con l' avvio di una nuova stagione di riforme, sotto il ministero Ruberti, ecco che nasce la Pantera. I temi erano familiari: no alla riforma meritocratica, no alla subordinazione dell' università all' industria, no alla disumanizzazione degli studi. Anche in questo caso, si stabilisce un' alleanza tra una parte della docenza, che si teme emarginata in un' università ammodernata, e gli studenti che temono una perdita di valore formale della laurea. Per avere un' idea di come questo mondo accademico concepisca l' università basta leggere il libro di Simone, "I tre tradimenti". Oggi questi temi vengono ripresi da studenti e docenti, ma la reazione è sempre la stessa, non si elabora una proposta alternativa, basta bloccare la riforma. Non è chiaro se gli studenti se ne rendano conto, ma rifiutando, per esempio, moduli e crediti per il buon vecchio corso tradizionale, come si legge sul volantino distribuito in Bicocca, non fanno che sposare la tradizionale antropologia del professore universitario che dice (cito dall' ottimo testo della Crui del Marzo 2001, "Sullo stato delle Università") "ho sempre fatto lezione il giovedì dalle 10 alle 11" o anche "ho ereditato questo orario dal mio maestro". In una università che in 30 anni è riuscita a espellere circa 5 milioni di studenti, cioè un quarto della popolazione attiva italiana, forse si può anche fare lo sforzo di cambiare orario. *prorettore Università Milano Bicocca _______________________________________________________ Il Corriere della Sera 2 apr. 01 SE IL PROFESSORE È COSTRETTO A DARE I NUMERI Magris Claudio La nuova Università Se il professore è costretto a dare i numeri di CLAUDIO MAGRIS La riproduzione è parziale e non rende giustizia al quadro della realtà offerto dall' immagine intera. Tuttavia, come un piccolo campione di tessuto può rivelare a un esame istologico una condizione generale della salute di una persona, così forse anche il frammento di un foglio o di una lavagna può dare il quadro di una situazione. Quel talloncino zeppo di numeri, lettere, segni matematici, frecce, sigle, cerchietti, parentesi e cancellature è il particolare di un ritratto, come potrebbero esserlo le labbra della Gioconda. In questo caso, è un particolare del ritratto dell' Università italiana oggi. Non si tratta di calcoli fatti bizzarramente a mano da qual che scienziato che stia lavorando sull' equazione di Schrödinger o progettando un nuovo tipo di reattore. Sono le cifre e le operazioni cui, da mesi, si dedicano con furia coatta i docenti di tutte le facoltà dell' Università italiana e che assorbono in gran parte l' attività degli organi accademici, Corsi di Studi e Consigli di Facoltà. Sono cioè i frenetici arzigogoli numerici volti a calcolare, in obbedienza alla riforma universitaria, quanti cosiddetti crediti formativi vanno assegnati a una disciplina e quanti tolti a un' altra, come ripartire i crediti da acquisire nel biennio specialistico e quanti riconoscerne alla prova finale di una o dell' altra materia. Nuova università: se il professore è costretto a dare i numeri Oppure come stabilire - cito un documento a caso fra gli innumerevoli analoghi - "la frazione dell' impegno orario complessivo riservato allo studio o alle altre attività formative di tipo individuale in funzione degli obiettivi specifici della formazione avanzata e dello svolgimento di attività formative ad elevato contenuto sperimentale e pratico". Le riunioni accademiche si trasformano in concitate lotterie. Menadi assatanate di crediti formativi e banditori da fiera si avventano alla lavagna o vergano co n furore fogli e foglietti in cui sommano, detraggono, moltiplicano, dividono, frazionano crediti da togliere e da aggiungere, giubilanti se riescono, in virtù di astute alleanze sul campo, a scalfire il patrimonio creditizio di un odiato collega. Un credito spostato è un' ebbra vittoria, sfascia una colonna di cifre che crolla come una muraglia, lasciando un varco sguarnito all' invasore. Battaglie e conteggi continuano telefonicamente a casa; ore e ore di linee intasate per spostare capitali didattici, aggiustare curricula, moltiplicare le lauree speciali che crescono come funghi. Nell' aula riunioni i numeri risuonano come quelli del gioco della morra all' osteria. Come all' osteria, gli atteggiamenti sono diversi. C' è chi si appassiona , vociando e berciando. C' è chi si eccita quasi sessualmente. C' è chi è ben contento di tutta questa bagarre, perché in tal modo non resta più tempo per le cose che si dovrebbero veramente fare - leggere, studiare, preparare lezioni ed esperimenti - e si annulla dunque ogni differenza fra un autentico studioso e un incompetente. I buoi sarebbero probabilmente felici di blaterare a interminabili congressi di sessuologia, perché finché si blatera non c' è differenza fra il bue e il toro. C' è chi ascolta intimidito, chi non ascolta affatto, chi non capisce niente ed è lieto di non capire niente; chi - pur detestando quella logorrea - si sforza onestamente di capirla e di fare anche dell' assurdità il migliore uso possibile nell' interesse d egli studi e degli studenti; c' è chi ne approfitta per non fare nulla. E c' è chi comincia a comprendere in tutta la sua pienezza il significato dell' espressione "dare i numeri". Claudio Magris _______________________________________________________ Il Messaggero 3 apr. 01 UFFICI PUBBLICI, VICINO IL TRAGUARDO DI UN COMPUTER A DIPENDENTE Il bilancio dell'Aipa dopo otto anni di presidenza Rey. Resta il divario tra sedi centrali e periferiche di PIETRO PIOVANI ROMA - Il cento per cento dei dipendenti pubblici informatizzabili è già informatizzato. In altre parole: tutti i lavoratori dello Stato sono stati dotati di computer, escluse quelle poche categorie che nel loro lavoro non possono sfruttare il computer (uscieri, autisti, operai). Ben 240 mila pc negli uffici centrali della pubblica amministrazione. Solo negli uffici centrali, però, perché nelle sedi periferiche il discorso è ben diverso. Qui il numero di postazioni copre soltanto il 62% del personale. I dati vengono diffusi dall'Aipa, l'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione, in un'occasione solenne: l'addio di Guido Rey che ne è stato presidente sin dal '93, quando l'Autorità fu istituita. Rey ha tracciato un bilancio dei suoi otto anni di presidenza, rivendicando i risultati positivi raggiunti. Ma anche i motivi di delusione. Come la carenza degli investimenti, sia pure non gravissima: "Si registra un 10% in meno tra quanto pianificato e quanto realizzato". Più grave la "scarsa attenzione politica a temi come la formazione, che solo recentemente sta assumendo canoni di priorità e che per molto tempo invece è stata sottovalutata". I risparmi. Nel giorno dell'addio, Rey ha voluto difendere il lavoro dell'Aipa e ha criticato chi mette in discussione il ruolo dell'Autorità per il futuro. Nel '95 il costo di una postazione informatica ammontava a circa 19 milioni, sommando le spese per l'hardware, i programmi, la rete, la manutenzione eccetera. Oggi il costo si aggira sugli 11 milioni, con una diminuzione del 60% in sei anni. Grazie al lavoro dell'Aipa, sostiene Rey, si risparmiano ogni anno 1.280 miliardi di spese gestionali. Ma l'aspetto economico non è quello centrale, ancora più importante è la qualità della spesa. Il lavoro. I dipendenti pubblici che usano di più i computer e che ne hanno tratto i maggiori vantaggi sono stati i magistrati, i giudici di pace, i carabinieri, la Guardia di finanza, gli ispettori del fisco e dell'Inps. Si afferma sempre di più l'utilizzo dell'e-mail al posto delle comunicazioni su carta, soprattutto al ministero degli Esteri, dell'Università, della Pubblica istruzione. L'Inps,l'Inail, l'Aci, l'Ice hanno imparato a usare la posta elettronica per dialogare con i cittadini. Arriva Zuliani. Rey lascia la sua poltrona. Torna all'università, insegnerà Economia a Roma tre, dopo venti anni passati prima alla guida dell'Istat e poi dell'Aipa. Al suo posto si insedia oggi Alberto Zuliani, che già ereditò da Rey l'incarico di presidente dell'Istat. Il Censis e i siti internet. Secondo una ricerca del Censis (in collaborazione con Atenea) i siti internet delle amministrazioni pubbliche sono facilmente accessibili tramite i principali motori di ricerca ma sono da bocciare per quanto riguarda la reale disponibilità di servizi. Meno di uno su tre mette a disposizione i moduli in rete. Tra i siti monitorati, i più all'avanguardia per i servizi ai cittadini sono quelli dell'Inps e delle Finanze. Efficaci anche quelli di Palazzo Chigi (www.governo.it) e del ministero del Lavoro. ================================================================== _______________________________________________________ Il Sole240Ore 7 apr. 01 LE ASL PAGANO I DEBITI DOPO QUASI UN ANNO ROMA Sono ulteriormente peggiorati i tempi di pagamento, già lunghissimi, da parte delle aziende del Sistema sanitario nazionale. Secondo un rapporto di Assobiomedica, associazione delle imprese diagnostiche e biomedicali, Asl e ospedali mediamente pagano 284 giorni dopo aver ricevuto la fornitura: nove mesi e mezzo anziché i tre che sono fissati dalla legge come termine massimo. Maglia nera sono Lazio e Puglia: nel primo caso le aziende devono aspettare addirittura 606 giorni, mentre nel secondo ne sono necessari 501. Ad alto rischio, anche per il loro "peso specifico", Lombardia, Campania ed Emilia-Romagna. Le aziende del Sistema sanitario saldano i fornitori 284 giorni dopo la consegna - Record negativo in Lazio: 20 mesi Asl, pagamenti infiniti Nel 2000 i tempi si sono allungati ancora e Assobiomedica è pessimista sul futuro Roberto Turno ROMA La merce ordinata la ricevono (e la pretendono) per tempo, come da contratto. Ma per onorare le fatture e rimborsare i fornitori, non c'è patto che tenga: Asl e ospedali pagano mediamente in Italia dopo 284 giorni. Nove mesi e mezzo, altroché i tre mesi al massimo fissati per legge. Ma la media, come sempre accade, nasconde verità clamorose: perché nel Lazio il Sistema sanitario nazionale lascia le imprese a bocca asciutta per 606 giorni e in Puglia per 501. Per non dire di un altro folto gruppo di Regioni che, data la fetta di mercato che detengono, sono ad alto rischio: Lombardia, Emilia Romagna e Campania prime tra tutte. "Anno nuovo, tempi vecchi": dedica un titolo amaro l'Assobiomedica, l'associazione di imprese diagnostiche e biomedicali (oltre 4.800 miliardi di fatturato 1999, il 77% col Ssn), al rapporto sui tempi di pagamento ai fornitori accumulati nel 2000 dal Ssn. Un anno, il 2000, che a dispetto dell'incremento dei finanziamenti ha fatto registrare un nuovo record nei tempi di rimborso alle aziende fornitrici. Il rapporto distingue le Regioni in 4 aree di mercato. A destare "minore preoccupazione" stanno 10 Regioni con il 28% del fatturato totale (Basilicata, Friuli, Trentino, Umbria, Valle d'Aosta, Molise, Abruzzo, Toscana, Calabria, Veneto). Sicilia, Piemonte e Liguria (18,5%), sono nella "fascia di sola sorveglianza". "Allarme" destano invece Marche e Sardegna, ma "soprattutto" Lombardia, Emilia-Romagna e Campania che rappresentano il 38,5% del mercato. Ma le maglia nere vanno a Lazio e Puglia (15% del fatturato): "Regioni in cui - è il commento rassegnato - la situazione è da anni tale che solo evocarla per un'impresa privata equivarrebbe a una dichiarazione di fallimento". Quel che è peggio, mette in guardia Assobiomedica, è che "per i prossimi anni le previsioni non sono volte all'ottimismo". Riforma fiscale e federalismo, infatti, sono considerati fattori a rischio per l'andamento complessivo della spesa e dei finanziamenti. Più d'un problema potrebbe creare la decisione di ancorare la spesa sanitaria al Pil, visto che le uscite per la salute sono destinate a crescere più velocemente. Per non dire delle incertezze su alcuni fattori, come i contratti, "il cui impatto è quantificabile solo a posteriori". Effetti tutti da valutare potranno poi derivare dal gettito tributario locale, legato com'è al trend dell'economia: varieranno da un anno all'altro nelle Regioni le disponibilità per la salute? Ma federalismo dovrà significare "solidarietà". E per il Sud c'è il rischio, e qualcosa di più, di non poter tenere il passo del Nord in fatto di assistenza. Tanto più che le Regioni più ricche potrebbero voler conservare per sé "una quota crescente delle risorse da esse prodotte". Ecco così che un'altra scure, secondo Assobiomedica, rischia di abbattersi sulle imprese: anzichè usare il bastone dei consumi sulla benzina o dell'aumento delle aliquote Irpef, le Regioni potrebbero invece ricorrere a "manovre sul piano delle entrate che si concentreranno sul prelievo dalle imprese". Che sarebbero così colpite due volte: con rimborsi-lumaca e con più tasse. _______________________________________________________ L'Unione Sarda 3 apr. 01 FRANCO MELONI:IL PIANO PER RIORGANIZZARE IL BROTZU La scelta dei primari: manager o medici Nuova suddivisione delle strutture: polemiche per chi sarà ai vertici Si scrive riorganizzazione, ma si legge risparmio. Ma anche rivoluzione. E, in qualche caso, resistenza. L'"ampia riorganizzazione della struttura operativa" del più grande e specializzato ospedale cagliaritano, il "Brotzu", probabilmente si tradurrà in una migliore amministrazione della spesa sanitaria e quindi in un risparmio effettivo di danari pubblici. E se entro l'anno l'ospedale si farà in quattro - dicono - è soprattutto per poter offrire un miglior servizio ai pazienti. Ricaduta affatto trascurabile grazie al coinvolgimento ("alla corresponsabilizzazione") dei primari ospedalieri nella gestione diretta delle "risorse umane", ma anche economiche, dei reparti. In pratica significa che la grande, centralistica (e costosa) amministrazione del "Brotzu" - sempre che il piano venga approvato dalla Regione che per il momento non ha ancora esaminato l'intero progetto - sarà di fatto sminuzzata in un una decina di Dipartimenti "strutturali" e "funzionali". Dipartimenti ancora tutti da disegnare, da dirigere ma, in qualche modo, anche far digerire. Soprattutto agli attuali direttori dei reparti ospedalieri figure professionali che secondo il piano di ristrutturazione saranno incompatibili con quella di capo dei futuri Dipartimenti. "Quelli "strutturali" - dice Franco Meloni, il manager della Azienda ospedaliera che ha proposto alla Regione il piano ispirato al principio del decentramento amministrativo oltre che sanitario - dovranno aggregare diverse unità affini e complementari ed agiranno come centri di coordinamento dotati di autonomia finanziaria ed operativa. Ai Dipartimenti "funzionali" invece, anche se per il momento è previsto solo quello sui trapianti, si dovranno aggregare più funzioni operative di diversi reparti. Per esempio, in caso di trapianto di cuore, i reparti coinvolti potranno essere la Cardiochirurgia, la Rianimazione, la Cardiologia, eccetera. In questo modo saremo più vicini al letto del paziente, perché è lì che nascono le vere esigenze...". Personale, organizzazione del lavoro, acquisti, gestione dei reparti "strutturali" saranno affidati a un direttore che sarà a capo di ciascuna delle strutture di coordinamento. Il piano del direttore generale Meloni ne ha previste una decina: Medicina interna, Chirurgia, Servizi speciali di diagnosi e di cura, Emergenza, Diagnostica per immagini ai quali si aggiungeranno la Patologia cardiaca, renale e neurologica. L'amministrazione del "Brotzu", circa 1.800 dipendenti (400 medici e il resto "personale di comparto", cioè amministrativi e infermieri) e 230 miliardi di fatturato, di fatto sarà ("entro l'anno, si spera") ripartita: ogni Dipartimento, tanto per dare almeno un'idea delle cifre in gioco, avrà la responsabilità di gestione di una cassa di una ventina di miliardi. Con i quali si dovranno pagare oltre alle spese del personale, anche gli acquisti minuti (le grosse spese, tipo siringhe e cotone per intenderci, saranno ancora centralizzate), piccoli strumenti e manutenzioni in genere. I reparti ristrutturati dovranno quindi organizzare anche un vero e proprio ufficio economato. Tutto liscio? Gli attuali primari accetteranno di "farsi da parte" lasciando un ruolo dirigenziale, seppur di reparto, ad un manager in camice oppure preferiranno continuare a fare il proprio mestiere di medici? L'incompatibilità tra la figura di capo Dipartimento e direttore di reparto sembra aver creato qualche resistenza tra potenziali dirigenti e amministrazione centrale. "Non è esattamente così - dice Franco Meloni - In effetti l'unica resistenza, se così si può dire, è venuta dal reparto di Medicina. Ma soltanto per motivi professionali. Il direttore, il dottor Giampalo Pilleri, sta semplicemente valutando l'offerta anche se non nega che preferirebbe dedicarsi alla clinica piuttosto che alla gestione complessiva del reparto. Quindi nessuna resistenza né incomprensione". Nessun problema? Dal Brotzu, anche se ufficialmente arrivano soltanto segnali distensivi ("il clima è favorevole", "c'è molta attesa"), non manca il fermento. Tra i direttori di reparto, a quanto pare, non c'è soltanto attesa per l'applicazione dell'atto aziendale, ma anche qualche preoccupazione: pochi primari vorrebbero rinunciare al "profilo clinico" in reperto, anche se molti non sarebbero insensibili alla sirena del nuovo (e più remunerativo?) ruolo manageriale. Insomma, per il momento di tratterebbe soltanto di un leggero mal di pancia: il problema sembra essere quello non di digerire il piano, ma di metabolizzarlo. In attesa che il progetto presentato dal direttore generale del "Brotzu" all'assessore regionale alla Sanità Giorgio Oppi, arrivi sul tavolo della Giunta regionale che "a giorni - ha detto l'assessore Oppi - emanarà le "linee guida", di indirizzo al quale il progetto dovrà adattarsi". Marco Landi _______________________________________________________ L'Unione Sarda 2 apr. 01 MEDICI, IL CAMICE BIANCO SI TINGE DI "ROSA" Le donne, più di un terzo del totale, guadagnano il primato all'università e nella fascia di età tra i 24 e i 29 anni Un esercito composto da 336mila unità, di cui 39mila disoccupati, ma 60mila svolgono solo prestazioni occasionali o "minime"Marzio Bartoloni Paolo Del Bufalo Porterà sempre di più la gonna, viene dal Sud e preferisce esercitare la professione nelle corsie di un ospedale piuttosto che in uno studio privato. Sempreché riesca a trovare lavoro o non finisca per svolgerlo in modo non adeguato agli studi fatti. È questo l'identikit del medico italiano tratteggiato in uno studio statistico - pubblicato integralmente sul n. 13 del settimanale "Il Sole-24 Ore Sanità" - messo a punto da Michelangelo Calcopietro (libero docente in Statistica sanitaria all'Università di Roma "La Sapienza" e dirigente dell'ufficio statistico dell'Asl Roma E), che raccoglie e rielabora i più recenti dati sulla professione in camice bianco. Camici che, a quanto sembra, si tingono sempre più di rosa. Oggi infatti il "gentil sesso" rappresenta un terzo dei medici italiani (le donne-medico sono oltre 100mila su 336mila) mentre più di trent'anni fa le 6mila laureate in medicina erano solo il 10% della categoria. Ma sono i dati sulle nuove iscrizioni ai corsi di laurea e quelli relativi ai giovani sanitari a confermare che la professione di medico attrae più le donne degli uomini. Le studentesse attualmente in corso a medicina rappresentano, infatti, il 59% degli iscritti (ma le future odontoiatre sono il 35%), mentre nella fascia d'età tra i 24 e i 29 anni le donne medico sono 6.837 contro i 5.850 colleghi maschi. La pletora dei medici. Lo studio ribadisce, poi, il numero eccessivo di camici bianchi italiani, quella che in gergo è definita "la pletora": sono ben 336mila, uno ogni 171 abitanti. E tra questi i disoccupati sono 39mila (circa l'11,5% del totale), cui si aggiungono altri 60mila che svolgono attività "minime" o comunque non adeguate alle competenze acquisite nel corso dei lunghi studi. Il fiume in piena dei medici - nel 1964 erano 86mila e oggi sono quasi quadruplicati - sta, però, lentamente rallentando il suo corso. Se tra il 1974 e il 1984 il numero di medici è praticamente raddoppiato rispetto al decennio precedente, tra il 1984 e il 1994 l'incremento si è più che dimezzato (+41%), mentre fino al 1999 l'aumento è stato minimo (+5,4%). Un dato, questo, che dimostra come l'introduzione del numero chiuso all'università (nel 1990) abbia cominciato a produrre i suoi effetti. Al capezzale delle Regioni. Ma il numero di medici sembra dipendere anche da altri fattori. Ad esempio in Liguria, la Regione più "vecchia" d'Italia, c'è il più alto rapporto medico-paziente d'Italia (7,3 ogni mille abitanti) dopo quello del Lazio (7,6 ogni mille abitanti). E nel Lazio a fare da calamita c'è Roma, con tanti ospedali anche privati e un bacino d'utenza poderoso, che forse fa crescere la speranza di trovare un posto di lavoro. Nel Nord il rapporto medici-abitanti è mediamente inferiore a quello del Centro- Sud: rispetto ai 5,4 camici bianchi ogni mille abitanti, nelle Regioni del Centro si raggiunge un rapporto di di 6,5, al Sud invece del 5,8. E mentre nel Nord il medico è soprattutto un professionista dipendente, nel Sud diventa generalista. I medici di famiglia settentrionali, infatti, hanno in media mille pazienti ciascuno, mentre quelli più numerosi del Sud raggiungono appena gli 800, contro i 922 del Centro. La Regione al top per questa categoria è la Calabria, dove un generalista raggiunge mediamente i 623 assistiti, seguita dal Molise con 649 abitanti per medico e dalla Sardegna con 796. E anche nel settore dei medici di base, le donne sono il 25% del totale, ma raggiungono il 37% in Sardegna e si assestano al 30% in Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Molise. Donne pediatra in pole position. In crescita anche gli specializzati, che erano nel 1999 il 60% dei medici, contro il 48% del 1964. In pole position sono i pediatri con 19mila specialisti (l'8,7% del totale), e ancora una volta sono le donne a fare la parte del leone. Al secondo posto ci sono i dentisti (sono 15mila, il 7% dei medici), seguiti da chirurghi e cardiologi con il 5,8% di incidenza, da ginecologi e ostetrici (5,6%) e dagli igienisti (5,1%). Ma ai dentisti vanno aggiunti anche 13mila laureati in odontoiatria, che portano il totale di questi specialisti a quota 28mila, il 12% delle specializzazioni mediche complessive. Un'attività che evidentemente alletta sempre di più, per chi riesce ad accedervi. _______________________________________________________ Il Corriere della Sera 3 apr. 01 SANITÀ, LA SICILIA ASSUME DUECENTO RELIGIOSI. Accordo tra Regione e vescovi sugli assistenti spirituali. Il parroco antimafia: mossa elettorale Cavallaro Felice L' assessore Provenzano: "Diventerà una delle migliori terapie". L' indicazione dei nomi spetterà alla Chiesa Sanità, la Sicilia assume duecento religiosi Accordo tra Regione e vescovi sugli assistenti spirituali. Il parroco antimafia: mossa elettora le DAL NOSTRO INVIATO PALERMO - In Sicilia scarseggiano medici e infermieri, e spesso le attrezzature per curare i malati, ma negli ospedali dell' isola non mancheranno ai ricoverati le preghiere di 200 "assistenti religiosi" che la Regione sta per a ssumere in forza di un "concordato" firmato sabato scorso dall' assessore alla Sanità Giuseppe Provenzano e dal presidente della Conferenza episcopale siciliana, il cardinale di Palermo Salvatore De Giorgi. Un protocollo che codifica "l' unione tra a nima e corpo" come annuncia soddisfatto Provenzano, uomo di punta di Forza Italia, pronto a garantire l' inserimento di "un "assistente" per ogni 300 posti letto" nelle piante organiche delle Asl, le aziende sanitarie locali. Entusiasta al momento de lla firma, Provenzano ha spiegato che "l' assistenza religiosa svolta in modo personalizzato potrà divenire una delle migliori terapie". E nessun esponente politico l' ha criticato. Ma la norma e il commento non convincono la Federazione internaziona le dei diritti dell' uomo, subito passata al contrattacco con il presidente provinciale dell' organizzazione Lino Buscemi: "Salta la parità fra le religioni e si cancella ogni criterio obiettivo nelle assunzioni". Il passo più contestato del "concord ato" siciliano è quello dell' articolo 12 che affida la chiamata diretta dei 200, da scegliere fra sacerdoti, diaconi e laici, al direttore generale di ogni Asl "su designazione dell' Ordinario diocesano". L' indicazione dei nomi spetta quindi al ves covo o al suo vicario, anche se "il trattamento economico è quello previsto dai vigenti contratti di lavoro per il personale del comparto sanità". Non comprende le critiche il cardinale De Giorgi: "La dimensione religiosa non deve mai essere staccata dalle altre nei posti di cura". E si irrita Provenzano: "Nessuna disparità. Il novanta per cento dei malati è cattolico. Nulla ci vieterà di assumere, se necessario, rabbini e musulmani...". Il testo contestato dalla Federazione dei diritti dell' uo mo prevede però solo cappelle attrezzate per la celebrazione della messa affidando la responsabilità di mobili e immobili all' assistente, mentre spetteranno alle Asl le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria, di illuminazione e riscaldament o. Venti gli articoli del documento per assicurare una continua presenza della Chiesa "accanto ai meno fortunati". L' assistenza religiosa, secondo le nuove disposizioni destinate a codificare la materia dei vecchi cappellani ospedalieri, oltre all' espletamento di "pratiche di culto" o di "esigenze spirituali", comprende "attività pastorali e culturali" da praticare in corsia. Il tema di questo atipico "volontariato" pagato dalla Regione crea però malumori anche all' interno del fronte ecclesia le dove un parroco famoso per tante battaglie antimafia come don Giacomo Ribaudo dalla basilica della Magione, il quartiere in cui nacquero Falcone e Borsellino, picchia duro: "Tutto questo finirà per nuocere al prestigio e alla santità stessa della Chiesa". Lui pensa ai tanti precari del pianeta sanità ogni giorno in corteo per le strade di Palermo e ai 200 parasanitari che, rompendo i cordoni di polizia, l' altro giorno sono riusciti a occupare la sede del governo siciliano: "Chi aspett a un' assunzione potrà così pensare ad accordi di vertice fra i dirigenti della Chiesa e della Regione". Un timore che non sfiora Provenzano: "In un ospedale umanizzato la presenza del sacerdote è un fatto di grande civiltà e non può scandalizzare". Ma è difficile convincere don Ribaudo: "Le operazioni di grande civiltà si fanno in epoche lontane dalle elezioni. Non mi pare una mossa giusta. Le istituzioni appaiono così estranee a quello che dovrebbe essere il normale cammino di tutti per trovar e un posto di lavoro...". Gli dà man forte Buscemi che è anche il direttore dell' "Ufficio trasparenza" della Regione: "Non vivendo in uno Stato confessionale, i costi per il conforto religioso non possono ricadere su tutti". Felice Cavallaro L' ACCO RDO Duecento "assistenti religiosi", uno ogni 300 posti letto, saranno assunti dalla Regione Siciliana in forza di un "concordato" firmato sabato scorso dall' assessore alla Sanità Giuseppe Provenzano e dal presidente della Conferenza episcopale sici liana, il cardinale di Palermo Salvatore De Giorgi LA "CHIAMATA" La chiamata diretta dei 200, da scegliere fra sacerdoti, diaconi e laici, è affidata al direttore generale di ogni Asl "su designazione dell' ordinario diocesano". L' indicazione dei no mi spetta quindi al vescovo o al suo vicario, anche se "il trattamento economico è quello previsto dai vigenti contratti di lavoro per il personale del comparto sanità" LA PROTESTA La Federazione internazionale dei diritti dell' uomo ha protestato so stenendo che l' accordo "salta la parità fra le religioni e cancella ogni criterio obiettivo nelle assunzioni" _______________________________________________________ Repubblica 7 apr. 01 L'OMS: UN BAMBINO SU CINQUE SOFFRE DI DISAGI MENTALI L'angoscia sui banchi di scuola sempre più bambini depressi CLAUDIA DI GIORGIO ROMA - Scolaretti con disturbi di panico, ultraminorenni anoressiche, adolescenti depressi fino al suicidio: sono sempre di più i giovanissimi che soffrono di disagi psichici, bambini con i lividi sull'anima, che spesso sfuggono agli occhi distratti degli adulti. Secondo i dati diffusi dall'Oms, il 20% dei giovani soffre di disturbi mentali da leggeri a gravi, una percentuale destinata ad aumentare, tanto che nel 2020, prevedono gli esperti dell'organizzazione di Ginevra, le patologie neuropsichiatriche infantili saranno tra le prime cause di disabilità, malattia e morte dei bambini. Ieri, all'Istituto Superiore di Sanità di Roma, il problema della salute mentale nell'età evolutiva è stato al centro di un convegno organizzato dal Progetto Nazionale Salute Mentale e da Telefono Azzurro, nel corso del quale clinici e ricercatori hanno disegnato un quadro del disagio mentale dei bambini che mal si accorda con il comodo mito dell'infanzia felice e spensierata. Ansie, anoressia, depressione, sindromi ossessivocompulsive, disturbi dell'attenzione e comportamenti aggressivi o autolesionisti si manifestano con precocità lacerante. Si abbassa l'età di insorgenza del disturbo e crescono depressione e suicidi, ma di frequente senza che la famiglia o la scuola sappiano riconoscere i segni di problematiche che invece, se affrontate in tempo e nel modo opportuno, possono essere curate e guarite. Tra le più misconosciute, ad esempio, ci sono la dislessia e il disturbo dell'attenzione, due patologie che emergono soprattutto nell'ambiente scolastico e per le quali esistono strumenti di intervento la cui validità è ampiamente documentata. I disturbi mentali, e quelli dei bambini in particolare, sono ancora circondati da pregiudizi, paure ed ignoranza, che ne impediscono la prevenzione e l'individuazione, minacciando anche l'esistenza futura. I tre quarti dei ventunenni con disturbi mentali, è stato spiegato ieri a Roma, hanno avuto problemi precedenti: l'adulto malato è stato quindi, nella maggior parte dei casi, un bambino malato. Ma oltre alla disattenzione, il mondo degli adulti ha responsabilità ancora più gravi verso la salute mentale dei bambini. I fattori di rischio genetici evidenziati dalla ricerca in questi ultimi anni si intrecciano infatti con i fattori ambientali, vicende dei "grandi" di cui i bambini finiscono per pagare il prezzo più alto. Fino a subire vere e proprie violenze psicologiche, rifiuti, sopraffazioni o strumentalizzazioni che, secondo Telefono Azzurro, sono un fenomeno sommerso di ampie dimensioni. Nel 2000, i casi di abuso psicologico rilevati dall'organizzazione sono stati 548, quasi due al giorno, ed oltre il 50% ha riguardato bambini di età inferiore ai 10 anni. _______________________________________________________ Le Scienze 4 apr. 01 UN VELENO CONTRO LA BSE? L'osservazione potrebbe portare a una cura per il morbo di Creutzfeldt-Jakob, l'equivalente umano della BSE Due laboratori hanno scoperto separatamente che un particolare processo del sistema immunitario aiuta i prioni a causare l'encefalopatia spongiforme bovina (BSE), l'ormai famosissima malattia della mucca pazza. Interrompendo questo processo grazie al veleno del cobra, i ricercatori hanno riferito in un articolo pubblicato su "Nature" di essere riusciti a rallentare e, a volte, a bloccare la malattia nei topi. L'osservazione potrebbe portare a una cura per il morbo di Creutzfeldt-Jakob, l'equivalente umano della BSE. L'infezione dei prioni generalmente inizia quando la vittima ingerisce tessuti provenienti da un animale infetto. Con il tempo, i prioni deformati tipici della malattia si accumulano nel cervello, provocando la morte. Prima di arrivare nel cervello, però, i prioni devono replicarsi, un processo che avviene di solito nelle cellule dendritiche follicolari della milza. Queste cellule hanno normalmente il compito di raccogliere le molecole estranee selezionate ed etichettate per la distruzione dal sistema immunitario. Un'etichetta possibile consiste in una proteina del sangue, il complemento, e se questa proteina è necessaria ai prioni per invadere le cellule della milza, bloccarla potrebbe bloccare anche l'infezione. Adriano Aguzzi e i suoi colleghi dell'Università di Zurigo, insieme ad altri ricercatori dell'Università di Edimburgo, hanno provato a sopprimere il sistema immunitario dei topi in vari modi, prima di iniettarvi i prioni della malattia. Si è visto così che alcuni topi modificati geneticamente per non produrre certi componenti della proteina complemento non hanno sviluppato la malattia, o l'hanno sviluppata in tempi molto più lunghi del normale. Il gruppo di Edimburgo ha provato poi a sopprimere il complemento anche con una tossina prelevata dal veleno del cobra. Cinque giorni di somministrazione del veleno sono stati sufficienti per ritardare l'insorgere della malattia di un mese, che nei topi è un risultato significativo. Si è visto anche che una dose massiccia di prioni riesce però a superare questo sbarramento, dimostrando che probabilmente essi hanno vari canali possibili per raggiungere il cervello. La ricerca (pubblicata su "Nature Medicine", vol. 7, pp. 485 e 488) potrebbe comunque portare a sviluppare farmaci utili almeno per rallentare la prima parte dell'infezione, anche se i ricercatori suggeriscono prudenza, perché è possibile che nell'uomo i canali di invasione siano molto diversi. _______________________________________________________ La Stampa 4 apr. 01 LA MILZA: STORIA E POESIA misteri del corpo/Per i greci, eliminandola, si correva più forte. Per il grande poeta era la sede della malinconia. Ora lo scienziato Sherwin Nuland fa della milza la protagonista di un saggio. Sorprendente E Baudelaire disse: la bile vale una poesia di PIETRO M. TRIVELLI IL CUORE ha ragioni che la ragione non capisce. E vabbè. Ma la milza? Dove la mettiamo la milza? Meno petulante del ghiandolone fegato, se ne sta buona buona, appoggiata allo stomaco che le fa da cuscino. Ha per scudo le costole come fosse anch'essa un delicato organo vitale. E invece nessuno se la fila. Che cosa fa, la milza? I medici se lo chiedono da più di due millenni. Ippocrate afferma che assorbe acqua. Per Platone è depurativa. Aristotele vi scorge l'immagine speculare del corpo umano bilaterale: un secondo fegato (come due occhi, due braccia, due gambe), con analoghe funzioni epatiche. Per eliminare impurità che si chiamarono, con due sole parole, "bile nera". Nel secondo secolo dopo Cristo, Galeno sancì che proprio la milza fosse il principale ricettacolo di "bile nera". E da questa - in greco "mélas cholé" - deriva "melancolia". Oggi si sa che la malinconia è la prima blanda forma di depressione. Finché è leggera si cura anche con erbe come l'iperio, dai fiori gialli maculati di nero. Nerastro, violaceo, il colore della milza che ne prese la denominazione nella teoria di Galeno, valida e rispettata fin dopo il Rinascimento. Si dovette aspettare il Settecento - con le autopsie - per demolire il concetto di "bile nera", madre di malinconica depressione. Studi più recenti, fino ai tempi nostri, hanno dimostrato che certi individui sono predisposti a determinate malattie - comprese forme tumorali - per colpa di tratti caratteriali dovuti all'"umore" (più o meno nero). "Per quanto la medicina debba compiere ancora un lungo cammino nello studio del contesto psicologico in cui ha origine la patologia, il numero delle persone depresse a causa del male sarà sempre più elevato di quello dei malati a causa della depressione". Lo afferma il medico americano Sherwin Nuland, cattedra di chirurgia e storia della medicina all'università di Yale, nel suo ultimo libro: I misteri del corpo, in uscita il 10 aprile (Mondadori, 306 pagine, 34.000 lire). Tutto un capitolo se lo prende la milza. Perché resta un organo misterioso. Galeno lo definiva "plenum mysterii organum". Molti secoli dopo di lui, Jan Baptiste Van Helmont, medico e chimico belga (1577-1644), ne ripropose gli effetti sulle emozioni. Sosteneva, niente meno, che la milza fa lavorare il cervello, inviandogli impulsi che producono l'immaginazione e l'attività psichica. Smentendo la tradizione della triste "bile nera", Van Helmont si divertiva a far credere che la milza producesse allegria, essendo la sede della facoltà - tutta e solo umana - del ridere. Se ne ricorderà il poco allegro Vincenzo Monti: "Mi scoppia il riso fuora della milza". La teoria della "milza sorridente" aveva buone credenziali nell'antichità: comprese le satire di Persio, dove c'è chi se la ride per via di una "milza turbolenta" ("sum petulante splene: cachinno"); con l'avallo scientifico di Plinio il Vecchio che associava il riso agli effetti di una milza troppo grande ("splenomegalia"). Solo se, per rimediare a questo inconveniente, la milza veniva asportata ("splenectomia"), si ricadeva nell'umor nero. Eccola, dunque, la parola: per i greci "splén", per i latini "splene". L'ha mestamente, splendidamente, cantata la poesia. Senza la milza non ci sarebbe lo "spleen" di Baudelaire. Ma la prosa incompiuta dello Spleen di Parigi fu preceduta nel 1621 da un prete anglicano, Robert Burton, che scrisse in distici il sommario di un trattato sull'anatomia della malinconia. Tipo: "Tutte le mie pene sono follia, / Nessuna maledetta quanto la melanconia". Neanche Pope e Swift, Sterne e Byron, resistettero al fascino discreto della milza. Mentre lo "spleen" (con i derivati di ira, scontrosità, ipocondria; oltre a malinconia e riso insieme) diventava sinonimo di "malattia inglese". Per la grande "epidemia" che ce n'era in Inghilterra, nel 1713 l'autorevole Spectator, periodico di politica e letteratura, riportava che la malinconia era come un demone che infestava l'isola, sotto forma di un "vento di levante" (e ci fu chi vide in ciò un segno di flemmatica superiorità albionica sul continente). E' lo "spleen" che fa gonfiare la milza? L'ordinaria definizione di "organo con struttura linfatica e vascolare, di forma ovoidale", per la "distruzione dei globuli rossi obsoleti", si basa ancora in parte sulle ricerche che Marcello Malpighi svolse nella seconda metà del '600. Sezionandola, scoprì che la milza presenta strani noduli, scambiati per ghiandole. Due secoli dopo si accertò che i "corpuscoli splenici di Malpighi" sono globuli bianchi abbarbicati a una miniarteria centrale. Nel 1722, il medico londinese William Stukeley presentò una relazione sulla milza al Royal College of Physicians, rivelando che i cani cui era stata asportata erano più vispi e correvano meglio. E' qui che Sherwin Nuland (tornato a Roma dal Connecticut, per le "Lezioni italiane" della Fondazione Sigma-Tau, sul tema più che splenico di "medico e paziente di fronte alla morte"), si sente direttamente coinvolto nel mistero milza. Per via del nome. Sherwin deriva dall'espressione gallese "shearing the wind" (fendere il vento, correre velocemente). Lui che nemmeno da ragazzo si sentiva un atleta (le scorribande nel Bronx, dov'era cresciuto; il padre lavorante di sartorie a Manhattan), ricorda che i compagni lo prendevano in giro. "Avrei dato qualsiasi cosa per saper correre come una saetta, perfino la mia milza", racconta Sherwin Nuland. Già i Greci credevano che, tolta la milza, si corresse più forte. Anche Plinio raccontava di atleti corridori che se la facevano levare con un ferro rovente. E' una delle saggezze greco-romane che trovano riscontro pure nella Bibbia. Nel Primo Libro dei Re si legge che, mentre David stava morendo, Adonia suo quarto figlio cercò di prendere il trono prima di Salomone, reclutando cinquanta uomini ai quali - nel commento del Talmud - era stata asportata la milza. Ancora i medici del '500 (non escluso il fisiologo e anatomista inglese William Harvey, scopritore della circolazione sanguigna, il più grande progresso medico di ogni tempo), davano retta a resoconti di araldi turchi che si facevano estirpare la milza per essere più veloci. Lentissima, invece (colpa dello spleen?), la ricerca per mettere la milza davvero a nudo. "Fino agli ultimi trent'anni nessuno ha mai compreso tutte le molteplici funzioni della milza": è la malinconica conclusione del dottor Sherwin Nuland. Così, a dispetto di Erasistrato, gran medico greco del terzo secolo avanti Cristo, per il quale (tutto preso dal cuore) non serviva proprio a niente, la milza accampa e si riprende, meritatamente, qualche ragione che la ragione non conosce. E il cuore nemmeno. _______________________________________________________ Le Scienze 6 apr. 01 FEGATO ELETTRONICO Il dispositivo rappresenta l'inizio dell'esplorazione di una nuova generazione di sistemi I ricercatori dell'Università della California, a San Diego, hanno creato un nuovo chip di silicio con minuscole pozze che permettono di mantenere cellule di fegato perfettamente funzionanti, un importante progresso per gli scienziati che sperano di mantenere queste cellule in vita fuori dal corpo. Il risultato, che potrebbe portare a nuovi trattamenti per le malattie del fegato è stato descritto durante il congresso della American Chemical Society. Lo sviluppo di un chip poroso di silicio è stato il risultato della collaborazione interdisciplinare di alcuni chimici con i bioingegneri della Jacobs School of Engineering dell'Università, che hanno sospettato che normali cellule di fegato potessero vivere su una superficie di silicio finemente lavorata con processi elettrochimici. Il dispositivo rappresenta l'inizio dell'esplorazione di una nuova generazione di sistemi in cui le cellule possono essere mantenute in vita controllando l'architettura, le temperature e l'ambiente chimico, e in cui si possono posizionare sensori per verificare lo stato di salute delle cellule. Al giorno d'oggi esistono già fegati artificiali, che riescono a mantenere in vita cellule di fegato, generalmente di maiale, e che servono come ausilio ai pazienti in attesa di trapianto. Mantenere le cellule in vita si è però dimostrato sempre essere una sfida difficile e il successo è stato molto scarso, poiché quelle del fegato in particolare sono molto delicate. Nel nuovo dispositivo gli scienziati stanno cercando di ricreare le condizioni necessarie affinché un gruppo di cellule in coltura possa avere un comportamento collettivo, come quello all'interno di un organo. In particolare, il silicio sembra essere il substrato migliore, poiché è facile controllare le dimensioni dei pori durante la costruzione. Anche se lo scopo della ricerca è quello di ottenere un fegato artificiale affidabile, prima di arrivare a questo punto il dispositivo potrebbe diventare uno strumento eccellente per verificare la tossicità di nuovi farmaci. _______________________________________________________ Repubblica 7 apr. 01 VERONESI: "L'ELETTROSMOG? NON È UNA CAUSA DEL CANCRO" Il ministro della Sanità interviene sul caso delle antenne: "Si diffonde la paura in mancanza di dati certi" GIOVANNI MARIA PACE Milano - L'elettrosmog è davvero fonte di tumore? Di fronte a quella che potrebbe rivelarsi, come la vicenda dei proiettili all'uranio, una caccia all'untore, il ministro della Sanità Umberto Veronesi propone una sua ricetta antipanico. Professor Veronesi, le antenne allungano su di noi l'ombra sinistra del cancro. Quale peso si deve dare alle accuse e ai timori di questi giorni? "C'è un abuso, che a noi oncologi appare particolarmente evidente, della parola e soprattutto del concetto di cancro. Il cancro e la paura che suscita vengono spesso usati strumentalmente, come metafora di un disagio di altra natura, che non ha a che fare con la malattia neoplastica. In questo modo si diffonde spavento senza che ci siano dati certi. Le sostanze e le attività veramente cancerogene, quelle per le quali disponiamo di evidenze, sono note e classificate in varie categorie, a seconda del livello di nocività. In cima alla lista ci sono il fumo di sigaretta, l'amianto, i raggi gamma, gli estrogeni, l'alcol, il lavoro nell'industria del legno, i raggi ultravioletti. Vengono poi sostanze sospette e infine sostanze la cui cancerogenesi non può essere esclusa ma per le quali mancano prove, vedi la maggior parte delle materie plastiche e persino il caffè". L'elenco dei cancerogeni certi o probabili non comprende le onde elettromagnetiche. Eppure c'è un rapporto inglese. "E' il rapporto preparato per l'Autorità britannica di protezione radiologica da un comitato indipendente presieduto dal noto epidemiologo Sir Richard Doll. Il documento è stato presentato da una parte della stampa italiana come un atto d'accusa. In realtà dice che i campi elettromagnetici solitamente presenti nelle abitazioni per via degli elettrodomestici o del passaggio di linee elettriche non sono causa di cancro. Alcuni studi indicherebbero tuttavia un possibile ma piccolo maggior rischio di leucemia nei bambini, associabile alla prolungata esposizione a più alti livelli di radiazione elettromagnetica quali si riscontrano in prossimità dei tralicci dell'alta tensione. Il rapporto conclude comunque con l'invito a non abbassare le attuali soglie di esposizione". Questo "piccolo rischio" in eccesso che cosa comporta? "Provoca in media due casi in più all'anno di leucemia infantile nella popolazione britannica, che come numero è confrontabile con quella italiana. Il dato può dunque avere significato anche per l'Italia. Aggiungo che Doll, in privato, si dice pronto a scommettere che questo eccesso di mortalità è dovuto a un difetto, peraltro inevitabile, degli studi di questo tipo: la statistica non è perfetta. Ma le indagini che hanno per oggetto le leucemie sono a rischio di errore anche per un'altra ragione. Queste malattie si presentano infatti a "cluster", cioè in focolai, in gruppi di persone e in luoghi specifici, tanto da far pensare all'azione di un virus. Se dunque i dati non vengono corretti con questo fattore, si rischia di prendere delle cantonate. Se ad esempio una popolazione con un cluster di leucemici si trova vicino a una antenna, si è portati ad associare la maggiore incidenza della malattia con la presenza delle onde radio. Ma la conclusione più ovvia non è necessariamente quella giusta". Occorre dunque guardarsi dalle interpretazioni istintive? "Sì, e ricordare che un'altra necessaria correzione riguarda il radon, gas radioattivo prodotto dalla pietra e da altri elementi costruttivi, presente a dosi diverse nelle varie abitazioni (i piani bassi hanno in genere più radon di quelli alti). Anche il radon può aumentare l'incidenza di leucemie, e quindi occorre tenerne conto, ma le misurazioni da cui partire sono scarse. Anche la radioattività naturale o di fondo provoca leucemie, diciamo qualche decina di casi all'anno. Infine i ricordati raggi ultravioletti sono responsabili di qualche centinaio di tumore della pelle. Nessuno parla però di "smog da raggi solari" mentre si insiste sull'elettrosmog, termine altrettanto fuorviante". Il rogo dei semi Monsanto a Lodi richiama alla memoria l'incendio doloso delle cascine lombarde che nel dopoguerra adottarono per prime i nuovi ibridi di mais ad alta produttività, oggi entrati nell'uso comune. "L'innovazione è tradizionalmente male accolta quando tocca l'agricoltura e l'alimentazione. Ma le preoccupazioni di chi ha scritto con lo spray, sui muri della Monsanto, che "il cibo transgenico uccide" sono eccessive. Nelle Americhe milioni di persone mangiano da anni cornflake e simili prodotti a base di mais Bt senza conseguenze visibili, mentre il riso ingegnerizzato ha salvato i cinesi dalla avitaminosi, la carenza di vitamine che ne ha cronicamente insidiato la salute". Il Parlamento vota a favore delle medicine alternative, c'è chi chiede di estendere agli animali di allevamento le cure omeopatiche e, apparentemente, la medicina antroposofica. Che cosa ne dice? "Sono anch'io sorpreso da questa estesa regressione, che vede la cultura scientifica costretta all'angolo mentre i successi della scienza portano vantaggi pratici innegabili. Se oggi viviamo più a lungo, se la mortalità per tumori è in diminuzione, se sono scomparse la poliomielite e le malattie infettive, se l'Aids è sotto controllo, il merito è certamente della medicina scientifica. Se oggi possiamo avere insulina più pura e a basso costo, o ormone della crescita in quantità sufficiente, il merito va ascritto al Dna ricombinante. Occorre dire che anche i farmaci biotecnologici sono stati all'inizio osteggiati, mentre ora persino i più estremisti li accettano. Ciò mi fa pensare che lo scollamento tra scienza e società, di cui sono indice il rifiuto degli organismi geneticamente modificati e l'imperante tecnofobia, verrà prima o poi ricomposto. In passato si sono ricuciti strappi ben più gravi: penso a Galileo e a Darwin". _______________________________________________________ Il Messaggero 5 apr. 01 COMPUTER UNITI CONTRO IL CANCRO Appello dell'Università di Oxford: colleghiamo tutti i pc del mondo per sostenere la ricerca Grazie a Internet un padre cura il glaucoma del figlio MADRID - Appello dall'Università di Oxford e da due colossi dell'informatica ai computer di tutto il mondo: "Unitevi nella lotta contro il cancro". L'idea è di poter utilizzare i "cervelloni" al silicio dei nostri Pc quando sono in pausa. In questo modo, si potrebbe ottenere una enorme potenza di calcolo da mettere al servizio della ricerca medica, in particolare per studiare nuove molecole efficaci contro i tumori. Intanto un padre è riuscito a salvare "via Internet" il figlio affetto da glaucoma congenito. Giuseppe Ardizzone si è improvvisato "navigatore" ed è riuscito a trovare il medico disposto a operare Giovanni, che oggi non rischia più di perdere la vista. La celebre Università chiede ai possessori di Pc nel mondo di "prestare" i loro cervelloni Appello da Oxford a tutti i computer "Unitevi nella lotta contro il cancro" dal nostro corrispondente JOSTO MAFFEO MADRID - Personal computer contro il cancro. Sì, i nostri comuni computer domestici, quelli degli uffici, i pc degli artigiani e delle officine meccaniche. Perché tutti i calcolatori hanno tempi morti e proprio in quei momenti, spesso ore, in cui non prestano servizio, possono svolgere benemerite attività che non costano nulla ma rendono un grande servizio. L'appello è di due società del mondo cibernetico: la United Devices e l'Intel, multinazionale che produce le Cpu, i "cervelli" dei nostri pc. Con l'Università di Oxford, i due colossi chiedono alla comunità dei cibernauti, ma non solo, di dare una mano, un manciata di bit, ai ricercatori che lottano contro i tumori. Per capire il senso dell'appello, è sufficiente menzionare l'onnipresente screensaver. E' il salvaschermo che, sotto forma di successioni di stelle o figure geometriche multicolori e sempre in movimento, oppure con le sembianze meno geometriche di Cindy Crawford, evita che il fosforo dei monitor subisca danni dovuti alla permanenza di un'immagine quando non utilizziamo il pc. Le due aziende e l'Università di Oxford ci chiedono semplicemente di sostituire quelle inutili attività del computer con l'elaborazione di calcoli su molecole che i laboratori antitumorali stanno studiando per l'eventuale produzione di nuovi farmaci. L'idea non è nuova e parte dalla constatazione che rimane inutilizzato intorno all'ottanta per cento della capacità di calcolo di un personal computer. Da questo dato è facile passare alle prospettive: se un milione di proprietari di pc decidono di regalare quei "tempi morti", in meno di un anno si otterrebbero i risultati dei calcoli relativi a 250 milioni di molecole. Ciò che un solo supercalcolatore non potrebbe sfornare nell'arco di diversi decenni. Ecco, dunque, il part time informatico. Mentre il pc fa i calcoli minimi che servono a mantenerlo acceso, offre il resto della sua capacità per elaborare dati che saranno forniti ai volontari sotto forma di "pacchetti" contenenti un centinaio di molecole. Naturalmente, sarà un programma informatico a gestire i dati da elaborare. Il tutto a costo zero per entrambe le parti, sponsor dell'iniziativa altruistica e proprietari di pc che, per saperne di più, hanno a disposizione un indirizzo Internet: www.ud.com. Proprio ieri, è emerso che l'oltipraz, un nuovo medicinale testato dalla Johns Opkins University del Maryland, ha avuto efficacia in via sperimentale contro la formazione di alcuni tumori. Nell'aprile del 2000, un affascinante progetto prese il via con lo stesso principio della cooperazione planetaria virtuale. Era il Seti (Search for Extraterrestrial Intelligence, ovvero Ricerca di vita intelligente extraterrestre). Sulla scia di una vecchia intuizione dell'astronomo americano Frank Drake, l'Università di Berkeley coordinava l'analisi mondiale dei dati di osservazione ed ascolto spaziale forniti dal super-radiotelescopio dell'osservatorio di Arecibo, in Portorico. I "pacchetti" informatici dei rilevamenti eseguiti dagli astronomi, una sorta di macro-scanner dell'Universo, erano recapitati via posta elettronica all'esercito di cibernauti che offrivano i tempi morti dei propri pc. Proprio come ora accade con le analisi delle molecole e grazie ad un programma specifico, i computer dei cinque continenti analizzavano - ed analizzano ancora, perché il progetto è in piena attività - i rilevamenti delle osservazioni. L'obiettivo, indubbiamente ambizioso, è sapere se qualcuno, nell'infinito, ci chiama o ci ascolta. josto.maffeo@ilmessaggero.it _______________________________________________________ Repubblica 7 apr. 01 GENOVA: IMPIANTATI DODICI DENTI IN TRE ORE un intervento da record La prima volta in Italia. L'operazione, su un paziente di 40 anni, eseguita dal professor Pera BRUNO PERSANO GENOVA - A Genova c'è un dentista che impianta dodici denti in tre ore. Ieri mattina il primo intervento su un paziente di quarant'anni malato di parodontopatia. Tre ore sul lettino, in jeans e tshirt bianca e dopo mezz'ora Danilo Barbagelata era già in piedi, seduto su una poltrona nel corridoio del reparto. Merito dell'intuizione di un vecchio medico di Göteborg, Brånemark, e dell'abilità di un allievo genovese, Paolo Pera, professore straordinario presso la Facoltà di Medicina, titolare della cattedra di protesi dentaria. Brånemark ha inventato il sistema; Pera lo ha applicato, primo tra le università italiane. Il paziente soffriva di una vecchia parodontopatia che gli aveva fatto cadere tutti i denti, sia quelli superiori che quelli inferiori. È una malattia per cui l'osso si ammala e si restringe; il dente inizia a muoversi finché cade. Finora due erano le cure: la classica dentiera, con tutte le complicazioni che una protesi porta con sé, oppure l'implantologia, viti di titanio inserite nelle ossa della mascella sui quali fissare la protesi. Ci sono due limiti alla solita implantologia: il costo e i tempi. Un'operazione come quella di ieri in uno studio privato sarebbe costata al paziente non meno di venticinque milioni; in ospedale solo la metà dell'onorario è a carico del malato. Inoltre, la nuova tecnica azzera i tempi di "convalescenza". Un tempo, per ogni vite impiantata, il paziente doveva attendere tre, quattro mesi prima di vedere il risultato dell'intervento. Con il Novum Brånemark il tempo è ridotto a un giorno. È un intervento che dura tre ore, si esegue al padiglione 4 del San Martino, reparto di odontostomatologia in day hospital, costa la metà di un intervento effettuato in uno studio privato ma ha dei limiti: non è applicabile per tutti i pazienti affetti da parodontopatia e neppure per l'arcata superiore (l'osso della mascella superiore non è consistente come quello dell'inferiore); non è indicato per i grandi fumatori (il tabacco riduce le difese in bocca), per i malati di diabete, di malattie del cuore e di tutte le malattie dismetaboliche. Non ci sono limiti per l'età del paziente invece, e neppure l'osteoporosi è una sicura controindicazione. La tecnica dell'intervento è riassunta in tre fasi: nella prima, si impiantano tre viti nell'osso della mascella inferiore; poi sulle viti i medici fissano una barra a forma di U, e su questa barra ne fissano una seconda sulla quale sarà avvitata la protesi. Sono cinque anni che presso il Centro di Brånemark, l'équipe dell'anziano dottore svedese applica la nuova tecnica e i risultati sono soddisfacenti. _______________________________________________________ L'Unione Sarda 3 apr. 01 POLICLINICO: ENTRO L'ESTATE I LAVORI PER CANCELLARE LE CODE DELLA 554 Monserrato Inizieranno entro l'estate i lavori per eliminare gli ingorghi tra la Cittadella universitaria e la strada statale 554. Aspettando la realizzazione dello svincolo miliardario (previsto tra 4 anni), la Provincia, l'Anas e i Comuni di Monserrato, Selargius, Quartucciu e Sestu hanno firmato un accordo per realizzare due svincoli di accelerazione in ingresso e in uscita dalla strada per Sestu. Circa 100 milioni per creare due corsie: una d'uscita e una d'entrata per la strada che unisce la Cittadella universitaria e il nuovo Policlinico con il resto dell'hinterland cagliaritano. "Non ci sarà alcun semaforo a regolare questi svincoli di accelerazione che daranno così la possibilità di allargare e destinare alla sola uscita i 300 metri della provinciale Monserrato-Sestu", spiega Mariano Trudu, assessore alla Viabilità. Le corsie che costringono gli studenti e i pazienti del Policlinico universitario ad attendere anche mezz'ora prima di superare il semaforo, si trasformeranno in 4 corsie. I due svincoli che snelliranno le code - uno da Quartu verso Sestu e uno da Sestu in direzione Cagliari - consentiranno di destinare le 2 corsie che oggi regolamentano l'uscita e l'entrata in due carreggiate destinate alla sola uscita dalla cittadella che regoleranno il traffico in direzione di Quartu e di Monserrato grazie a due semafori.(Serena Sequi) ================================================================== _______________________________________________________ Il Sole240Ore 6 apr. 01 OK AL SISTEMA DI NAVIGAZIONE SATELLITARE UE Brivio e Da Rold LUSSEMBURGO L'Europa ha approvato il progetto Galileo, per dotare l'Europa di un sistema di navigazione satellitare migliore dell'attuale standard americano Gps. I ministri europei dei Trasporti sono riusciti a far decollare un consorzio tra soggetti pubblici e privati. La risoluzione darà il via alla seconda fase del programma che coinvolgerà i privati nel mega-progetto, dal costo globale stimato in circa 3,312 miliardi di euro. Il ministro Pier Luigi Bersani ritiene che il progetto offra grandi opportunità a "Telespazio, Alenia e una miriade di aziende italiane collegate a queste tecnologie". Pronta la reazione di Massimo Ponzellini, vice presidente della Bei: "Sul progetto Galilei la Banca europea di investimenti farà la sua parte". ______________________________________________ Volftp 6 apr. 01 ULTIMO MIGLIO: ENEL-WIND USERÀ LA RETE ELETTRICA Powerline che c'e' dietro?! La trasmissione dati attraverso la linea elettrica che alcuni produttori e distributori si apprestano a lanciare nel prossimo futuro in Italia e in Europa. La presentazione ufficiale del sistema e' avvenuta al Cebit di Hannover, una delle manifestazioni dedicate alla tecnologia tra le piu' famose e ricche nel mondo, seconda forse solo al Comdex di Chicago. Il principio di funzionamento, in sostanza, e' quello di utilizzare le linee elettriche che portano a casa vostra l'energia elettrica per veicolare insieme un segnale che opportunamente filtrato da uno speciale modem permette di avere sullo stesso cavo la banda necessaria per collegarsi ad Internet o per i servizi di telefonia e quant'altro il futuro ci riservera'. Chi abita a Milano, Torino, Roma, Cagliari ecc. ecc. avra' notato diversi cantieri aperti in tutta la citta e chi si sara' soffermato a leggere i cartelli descrittivi dei lavori avra' notato che dietro c'e' Wind la divisione di telefonia dell'ENEL che sta stendendo nelle citta' le dorsali in fibra ottica. Molti hanno pensato ad una cablaura all'americana delle citta', ovvero la fibra ottica per ogni condominio e da qui in ogni appartamento, ma non e' cosi', i costi sarebbero stati esorbitanti e pochi condomini avrebbero aderito ad una iniziativa cosi' onerosa per i lavori che sarebbero stati necessari e che avrebbero costituito in tanti casi un duplicato delle linee telefoniche di proprieta' della Telecom. Tutto il business sta qui... Telecom e' proprietaria di quell'ultimo miglio che noleggia e noleggera' ai nuovi gestori della telefonia (dopo la fine del monopolio) per cui solo una duplicazione (inverosimile per i costi e per le difficolta' logistiche) del sistema di accesso alle abitazioni permettera' una vera concorrenza ed una diversificazione dell'offerta di servizi telefonici. Enel ha quindi pensato di veicolare con la fibra ottica i segnali telefonici e dati sino alle centrali di smistamento di quartiere e da queste arrivare in tutte le case "mixando" energia elettrica e segnali dati per poi effettuare la divisione dei due segnali attraverso un nuovo contatore che verra' installato in tutte le case degli utenti Enel nei prossimi mesi, anni. Ogni contatore installato in un appartamento sara' intelligente e connesso alla rete, questo permettera' all'Enel di monitorare i consumi all'istante, di effettuare la lettura del contatore a distanza (fine dei conguagli, delle letture periodiche, delle telefonate o cartoline per comunicare i consumi quando il letturista non trova nessuno in casa) e di poter fatturare (probabilmente) mensilmente i consumi. Oltre a fare questo i contatori saranno dei veri e propri router che smisteranno il segnale dati nell'appartamento per cui ogni presa elettrica della casa si trasformera' in una potenziale presa telefonica o di rete, questo sara' reso possibile da una piccola scatoletta (non piu' grande di un alimentatore esterno per un lettore di cd o di casse acustiche) che si inserira' nella presa domestica ed alla quale sara' possibile connettere un telefono o un cavo di rete. Attenzione non stiamo parlando di fantascienza... ma del prossimo futuro visto che la fase di test e' gia' finita e gia' un paese nel Veneto ha potuto apprezzare l'ottimo funzionamento del sistema. A quello che ci e' dato sapere la velocita' di trasmissione/ricezione dati avverra' a multipli di 64kbit (piu' o meno la velocita' di una ISDN) e si potranno avere sino a 640 kbit (la velocita' massima di una linea ADSL) sia in trasmissione che in ricezione, non sappiamo se questi saranno i limiti massimi, ma con i progressi nel settore dubitiamo che ci si fermera' a queste velocita'. Si aprira' la via ad incredibili applicazioni futuribili: gestione a distanza di accensione e spegnimento di tutti gli elettrodommestici, impianti tv, allarmi. Sara' possibile hackerare il frigorifero di casa e far sparire le tracce di qualche spuntino notturno non autorizzato!! Ma soprattutto se verranno mantenute le promesse ci saranno vere economie di esercizio che si rifletteranno positivamente sulla qualita' e sulle tariffe. Franco Saiu