UNIVERSITA': RIFORMA DA MIGLIORARE, NON DA ABOLIRE ATENEI 150: MILIARDI PER I CONTRATTI CON RICERCATORI STRANIERI RICERCA: STOP AI FINANZIAMENTI A PIOGGIA AGLI "SPECIALIZZANDI" BORSE DI STUDIO PIÙ PESANTI D'ALEMA: CON I BONUS "SCUOLA BALCANIZZATA" BLAIR: SOSTEGNO ALLA RICERCA GENETICA, NON ALLA CLONAZIONE UMANA ================================================================== COMPROMESSO SULLE MEDICINE ANTI-AIDS MEDICI A PUNTI INCENTIVI E SANZIONI INFERMIERI, IL GOVERNO OFFRE ALTRI 600 MILIARDI IL LINGUAGGIO IN CORSIA: ANCHE IL PRIMARIO CAMBIA NOME MEDICI SENZA RICETTARI PER PRESCRIVERE LA MORFINA LA RIFORMA DEL MINISTRO BINDI APPLICATA IN 10 OSPEDALI SU 100 CONGRESSI FARMACEUTICI A DEDUCIBILITÀ ALLARGATA CROMOSOMI DOPPI NEI MALATI DI ALZHEIMER LA PRIMA FOTOGRAFIA AL MOTORE DELLE CELLULE SASSARI: TUMORI DEL PANCREAS, C'È UNA SPERANZA PROBLEMI DELL'AUTISMO EMICRANIA: FARMACO MIRACOLOSO O CATTIVA INFORMAZIONE? ================================================================== COMPUTER: GLI STRAFALCIONI DELLA TRADUZIONE AUTOMATICA ================================================================== _________________________________________________ Il Sole24ORE 17 apr. '01 UNIVERSITA': RIFORMA DA MIGLIORARE, NON DA ABOLIRE di Roberto Ruozi La gestazione della legge di riforma dell'università è durata almeno un biennio e non è stata caratterizzata da particolari critiche da parte degli interessati. Ora che la legge è stata varata e che le università si apprestano ad applicarla è scoppiato un furibondo dibattito, nel quale si sono inseriti intellettuali, uomini politici, professori universitari e ordini professionali, i quali evidentemente hanno a lungo dormito e si sono svegliati a cose fatte. Ciò è sorprendente e inutile, per non dire dannoso, e comunque si ha la sensazione che il dibattito non tenga in nessuna considerazione la realtà dei fatti. Piaccia o non piaccia la legge c'è e tutte le università si stanno dando da fare, in mezzo a mille problemi e con terribili dubbi e contrasti, per applicarla. È più che evidente che non tutte riusciranno ugualmente bene (o ugualmente male) ad applicarla, ed è anche chiaro che gli sforzi organizzativi che esse stanno facendo sono assolutamente sproporzionati sia rispetto alle possibilità delle università stesse sia rispetto ai risultati attesi dalla riforma. Tutte le università stanno comunque cercando di fare del loro meglio e stanno ponendo in essere una macchina organizzativa complessa, che mira a valorizzare gli indubbi punti forti della riforma e a ridimensionare l'impatto di quelli deboli. La sua applicazione sarà tuttavia diversa nei singoli atenei e anche nei singoli corsi di laurea degli atenei. Ciascuno cercherà di interpretarla secondo le proprie possibilità e le proprie esigenze, in un'ottica certamente temporanea, essendo chiaro che ci saranno da fare nei prossimi anni degli aggiustamenti volti a preparare la sua messa a regime definitiva. L'ipotesi di rimettere in discussione tutto, o anche solo i punti cruciali, è tragica e, se realizzata, porterebbe sicuramente allo sfascio un sistema universitario che nel suo complesso non brilla né per efficacia né per efficienza. In termini pratici, bisogna peraltro considerare che qualsiasi modificazione dell'attuale legge richiederebbe almeno un anno di tempo (a essere ottimisti). Le modificazioni potrebbero quindi essere applicate soltanto quando la riforma sarà in piena attuazione e sarà quasi concluso almeno il primo biennio di sperimentazione. Non si dimentichi infatti che nell'anno accademico 2001-2002 molti atenei partiranno con la riforma completa per l'intero ciclo di lauree triennali e di lauree specialistiche biennali, mentre gli atenei più prudenti partiranno con il primo biennio delle lauree triennali. Che cosa accadrebbe se il nuovo regime, che funzionerà per qualche anno ancora in parallelo con l'attuale, fosse affiancato da un terzo regime, che peraltro dovrebbe sostituire i primi due quando (ma non si sa quando) questi fossero andati a esaurimento? Prendendo atto che l'attuazione integrale della riforma richiederà tempo e che, tutto sommato, la riforma stessa prevede spazi per interpretazioni e soluzioni elastiche, la cosa auspicabile sarebbe che il ministero dell'Università e più in generale il Governo fossero tolleranti nei riguardi di tale elasticità e, gradualmente e alla luce dell'esperienza, adottassero i correttivi che si renderanno via via necessari: i quali, ripeto, non possono però riguardare i princìpi base ai quali è ispirata la riforma. In particolare, sarebbe auspicabile che le autorità competenti definissero in modo più adeguato le regole per l'entrata nel mondo universitario, dato che è indiscutibile che su di esse si impernia il successo o l'insuccesso di qualsiasi riforma; e dato che la Costituzione, all'articolo 34, afferma che solo "i capaci e meritevoli" hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. Sarebbe inoltre auspicabile che le autorità monitorassero seriamente le esperienze dei singoli atenei e dei corsi di laurea, valutandole in modo puntuale e intervenendo con durezza laddove queste si traducessero solo in mutamenti formali, accelerando dall'alto quel processo di selezione che dal basso la riforma provocherà a ogni livello del sistema universitario. Vi è infine il problema delle risorse, che non è solo espressione della diffusa pratica degli italiani di piangersi addosso, ma è un problema reale; e riguarda non esclusivamente le risorse finanziarie, ma anche quelle immobiliari, tecnologiche e, last but not least, umane, cioè il personale docente e amministrativo. Senza un potenziamento serio e un'adeguata riqualificazione di tali risorse nessuna riforma - uguale o diversa da quella che stiamo attuando - potrà avere successo. _________________________________________________ Il Sole24ORE 19 apr. '01 ATENEI 150: MILIARDI PER I CONTRATTI CON RICERCATORI STRANIERI Maria Carla De Cesari Per i contratti con ricercatori stranieri disponibili 150 miliardi ROMA Dopo anni di emorragia, l'università può tentare di riconquistare, con contratti a tempo determinato, i ricercatori emigrati e rimasti all'estero per mancanza di opportunità in Italia. E, nello stesso tempo, gli atenei hanno nuove risorse per immettere in ruolo docenti stranieri. A disposizione ci sono 120 miliardi in tre anni: 60 per la stipula di contratti a tempo determinato (da sei mesi a tre anni) con docenti e ricercatori che si impegnino nell'insegnamento e in progetti di ricerca, per i quali ci sono altri 60 miliardi. Altri 10 miliardi, a partire dal 2001, andranno a rimpinguare le casse degli atenei per la chiamata diretta nel ruolo dei professori ordinari di docenti, italiani o stranieri, di chiara fama. Il decreto del ministro dell'Università che stanzia i fondi è del 25 gennaio 2001; ieri si è insediato il comitato di esperti chiamato a giudicare "la valenza scientifica dei progetti di ricerca" presentati dalle università per ottenere i contributi. Del comitato fanno parte i professori Luigi Labruna, presidente del Cun (Consiglio universitario nazionale); Luciano Modica, presidente della Conferenza dei rettori (Crui); Luciano Maiani, direttore dell'Organisation Européenne pour la recherche nucléaire; Vincenzo Cappelletti, direttore scientifico dell'Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani; Alessandro Schiesaro, Head of Department of Classics del King's College di Londra. Per il sottosegretario all'Università, Luciano Guerzoni, il provvedimento contribuirà a "innescare, in tempi brevi, un'inversione di tendenza rispetto al fenomeno della cosiddetta fuga dei cervelli", così da acquisire, per progetti di ricerca innovativi, studiosi e ricercatori di livello internazionale. Ciò consentirà agli atenei di "rafforzare la cooperazione scientifica in ambito internazionale, aumentando la competitività della nostra ricerca". "Il ministero - spiega il presidente della Crui, Modica - finanzierà per intero il costo del contratto, mentre cofinanzierà le spese per la ricerca. Invece, l'intervento per le chiamate dirette in ruolo di profesori di chiara fama è strutturale". Agli atenei, per ciascuna chiamata, saranno riconosciuti 150 milioni annui. "Stiamo studiando - afferma Modica - come pubblicizzare gli interventi: pensiamo di pubblicare "avvisi" su riviste internazionali, in modo da favorire l'incontro tra le esigenze delle università e le disponibilità dei ricercatori". In ogni caso, al di là dell'opera di comunicazione che farà il comitato, tocca agli atenei formulare i progetti di ricerca e individuare "i candidati" che lavorano all'estero. Il termine per presentare i documenti è il 30 luglio 2001. La domanda dovrà essere corredata dalle delibere degli organi accademici e dal curriculum del candidato, così da consentire la valutazione circa la qualificazione scientifica e accademica. Il comitato avrà la responsabilità di giudicare la rilevanza del progetto: su questa base il ministero dell'Università deciderà l'importo da assegnare all'ateneo. ______________________________________________________ Il Sole24ore 20 apr. '01 RICERCA: STOP AI FINANZIAMENTI A PIOGGIA Nella ricerca l'Italia cambia rotta Nel Piano nazionale stop ai finanziamenti a pioggia: le risorse andranno ai progetti Nicoletta Picchio Innovazione A fine mese i bandi per assegnare circa 2mila miliardi - Favorite le aggregazioni di enti e imprese ROMA Una corsa contro il tempo, per arrivare prima della scadenza elettorale. Alla fine di aprile saranno pronti i bandi per rendere operativo il Piano nazionale per la ricerca. "Abbiamo dovuto aspettare i fondi dell'Umts, rispettare le procedure burocratiche, rendere operativi i fondi ai quali attingere per le risorse. Ma tra qualche giorno saremo pronti", dice Antonio Cuffaro, sottosegretario alla Ricerca. Testi alla mano (saranno pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale nella prima metà di maggio), Università, enti, imprese potranno presentare al ministero il proprio progetto. Con una particolarità, come sottolinea Cuffaro: nel punteggio che sarà assegnato nel corso della valutazione, saranno favorite le aggregazioni. "L'obiettivo è far crescere il sistema, favorire il dialogo tra i vari protagonisti, un ingrediante che manca alla ricerca italiana", dice il sottosegretario. La stessa logica che è stata realizzata, aggiunge, con la legge 297 per le piccole e medie imprese. A disposizione per il Piano nazionale, continua Cuffaro, ci sono 1.400 miliardi, più altri 540 di sgravi fiscali (967 sono arrivati grazie all'asta per le licenze dell'Umts). Un primo passo per aumentare gli stanziamenti che il Governo aveva già messo a disposizione. Certo, Cuffaro non nega che di soldi ce ne vorrebbero di più. Ma sottolinea come l'approvazione del Piano nazionale sia un importante cambiamento di strategia del Paese. "I finanziamenti non vengono dati ai singoli enti, ma per progetto, è un cambiemnto radicale. In futuro si potrà, anzi si dovrà, ampliare il numero dei progetti, aumentare i fondi a disposizione. Ma ormai il meccanismo operativo esiste", dice. I bandi rispecchiano l'impostazione voluta dal Governo: ogni soggetto che si presenta, anticipa Cuffaro, può partecipare al bando per una parte di "grande progetto obiettivo". Anche questo un modo per favorire il dialogo e l'integrazione. La quota minima di intervento, aggiunge, deve essere il 10% dell'investimento pubblico e la quota massima il 60 per cento. "In questo modo si eviterà che sia un solo soggetto a fare tutto", continua. La parte pubblica attiva un cofinanziamento del 70%, contro il 30% dei privati. Non solo: ogni progetto stretegico, continua il sottosegretario, dovrà avere al suo interno un certo numero di ricercatori assunti con contratto triennale, pagati dal ministero della Ricerca. E ogni progetto non potrà superare i tre anni di durata. Altri elementi di proprità nell'assegnazione del punteggio saranno anche il livello scientifico del coordinatore e le capacità manageriali. Tornando alle scadenze, dopo la pubblicazione dei bandi ci saranno 90 giorni di tempo per presentare i progetti. Circa un altro mese e mezzo sarà necessario alla valutazione. Insomma, si arriverà ad autunno inoltrato, se non ci saranno ritardi. Tempi lunghi, secondo la logica delle imprese. Tempi inevitabili, rispondono al ministero. Sottolineando le difficoltà dello sturt-up. "Una volta partiti, tutto diventerà per il futuro più celere", insiste Cuffaro, che sottolinea l'importanza di aver già reso operativi sia il fondo per la ricerca di base, sia quello per gli interventi strategici. "L'importante è far capire che non siamo fermi", insiste Cuffaro, che proprio poco tempo fa è andato a Bruxelles per spiegare ai tecnici della Ue i contenuti dei sette decreti legislativi che hanno riorganizzato tutto il sistema italiano della ricerca. Quanto alla 297, che ha riordinato il fondo per le agevolazioni alla ricerca per le piccole e medie imprese, le domande arrivate sono tali che già stanno assorbendo la disponibilità dei fondi. "Anche nei progetti strategici abbiamo avuto attenzione alle piccole e medie imprese, destinando all'innovazione 110 miliardi", dice Cuffaro. Che sottolinea l'importanza di tutto l'insieme del pacchetto: "Pensando per esempio al programma per il post- genoma, saranno assai consistenti le ricadute di questa ricerca per l'industria farmaceutica e per altri settori del mondo imprenditoriale". _________________________________________________ Il Sole24ORE 19 apr. '01 AGLI "SPECIALIZZANDI" BORSE DI STUDIO PIÙ PESANTI P.D.Bu. ROMA Venti miliardi in più per aumentare il numero di borse di studio a disposizione degli specializzandi medici nell'anno accademico 2000/2001. Che grazie ai nuovi fondi saranno altre 890 rispetto a quelle già stabilite. Il decreto legge che dà una boccata d'ossigeno al taglio delle mille "borse" calato sulla testa dei camici in formazione con il nuovo anno accademico è stato convertito definitivamente in legge ieri dal Parlamento a tempo di record: soli 15 giorni, in un periodo interrotto anche dalle festività pasquali. Il problema del numero di specializzandi da ammettere all'Università era nato al momento del taglio legato alla maxi-attivazione dello scorso anno di quasi 5.700 borse di studio, effettuato nella convinzione che il previsto avvio dei corsi di formazione-lavoro avrebbe dato una svolta all'intera vicenda. Corsi che poi non sono mai stati attivati per mancanza di risorse. E sulla riduzione di posti si erano scatenate le ire dei medici in formazione. Alla fine di marzo, gli specializzandi erano scesi in piazza a Roma per protestare contro il taglio complessivo di 1.100 borse (ne erano rimaste 4.469 in tutto) con un dimezzamento dei posti disponibili. E di cui avevano fatto le spese soprattutto specializzazioni come l'anestesia e l'oftalmologia, per le quali c'è continua carenza di operatori. La legge approvata porta ora a 335 miliardi i fondi disponibili per le borse di studio. Complessivamente, lo Stato ne finanzierà 5.359 e altre 400 toccheranno alle Regioni, che avevano sollecitato un intervento del Governo in materia. Ogni specializzando, in sostanza, potrà contare su 22 milioni 467mila e 500 lire l'anno. I 20 miliardi previsti dalla norma arriveranno dalla riduzione del fondo speciale triennale del ministero del Tesoro, utilizzando parzialmente l'accantonamento per il ministero della Sanità. E secondo la legge, un terzo delle nuove borse dovrà essere destinato soprattutto all'integrazione dei posti nelle discipline che nell'anno accademico 2000/2001 avevano subito i tagli maggiori rispetto all'anno accademico 1999/2000. _________________________________________________ Il Sole24ORE 19 apr. '01 D'ALEMA: CON I BONUS "SCUOLA BALCANIZZATA" ROMA "Di questo passo la presenza dei cattolici diventerà la minoranza più grande del Paese". È un argomento insolito e un po' "conservatore", quello che l'ex premier Massimo D'Alema usa in un'intervista a "Famiglia cristiana" per bocciare i buoni-scuola proposti dal Centro-destra. "Il principio del bonus è pericolosissimo, anche dal punto di vista del mondo cattolico - argomenta il presidente dei Ds -. Pericoloso perché oggi nella scuola la presenza cattolica è significativa, importante, prevista dagli accordi per l'insegnamento della religione. Il giorno in cui in questo Paese subentra il principio che ognuno può farsi la su scuola, perché ogni famiglia decide con il bonus dove collocare il credito formativo, cosa impedisce di fare la scuola buddista o musulmana o laica? In questo modo l'influenza dei cattolici diminuisce e noi siamo meno comunità". E ancora: "La Chiesa italiana davvero vuole la balcanizzazione della scuola? Trovo inquietante tutto questo, soprattutto se penso al patrimonio di valori del mondo cattolico, che è e resta un fattore coesivo dell'unità nazionale". Per il Polo risponde Alfredo Mantovano, il deputato di An che sfiderà D'Alema nel collegio di Gallipoli: dalle parole del leader Ds - dice - emerge "la visione totalitaria della vita e del rapporto con i principi morali propri di una certa sinistra". Quanto alla paventata "balcanizzazione", l'esponente di An sottolinea che nel resto d'Europa si chiama "parità scolastica". _________________________________________________ Il Messaggero 20 apr. '01 BLAIR: SOSTEGNO ALLA RICERCA GENETICA, NON ALLA CLONAZIONE UMANA LONDRA - La Gran Bretagna varerà presto una legge per vietare la clonazione umana a scopo riproduttivo: la decisione tiene fede a una promessa fatta dal Governo Blair l'anno scorso, quando autorizzò la clonazione di embrioni umani a fini terapeutici. Il premier Tony Blair, quindi, continua a schierarsi a favore della scienza, ma, allo stesso tempo, vuole rassicurare il popolo britannico contro un potenziale utilizzo non ortodosso della tecnologia genetica. Il dibattito su questo tema, infatti, è ancora acceso. Westminster votò a favore della riproduzione artificiale di cellule umane a scopo di ricerca lo scorso 19 dicembre. Da allora, la pressione su Downing Street è aumentata: la Chiesa, la comunità scientifica e la popolazione vogliono essere sicuri che non sia mai possibile nel Paese riprodurre un essere umano in provetta. Attualmente, infatti, in Gran Bretagna esiste in questo campo solo un divieto imposto dalla Human Fertilisation and Embryology Authority, la commissione etica britannica in materia di embriologia e fertilizzazione umana. Un divieto, però, che qualsiasi Governo futuro potrebbe facilmente abolire. Il compito di preannunciare la nuova legislazione è stato affidato al ministro della Sanità, Alan Milburn. Intervenuto a un convegno nella cittadina di Newcastle upon Tyne, Milburn ha sottolineato che la Gran Bretagna dovrebbe puntare alla leadership mondiale nella genetica applicata alla sanità. Tuttavia, ha affermato, servono confini precisi per garantire al pubblico un utilizzo etico della clonazione. Il Governo Blair investirà inoltre altri 30 milioni di sterline (oltre 90 miliardi) per offrire ai pazienti del servizio sanitario nazionale test genetici per lo screening di malattie come il cancro. ================================================================== _________________________________________________ Il Sole24ORE 19 apr. '01 COMPROMESSO SULLE MEDICINE ANTI-AIDS di Alberto Negri Figure spettrali, così esili da apparire delle ombre trapassate dalla luce del giorno, occhi perduti nel vuoto, il respiro affannoso, gli angoli della pelle segnati dalle pustole e dalla tubercolosi: sono i pazienti colpiti dal virus Hiv dei padiglioni 13 e 16 dell'ospedale di Johannesburgh. A Pretoria, a 50 chilometri di distanza da questa sorta di lebbrosario contemporaneo, uno dei migliori ospedali dell'Africa considerando la media del Continente, si combatte una battaglia legale fondamentale per il destino di queste persone e di altri milioni che, senza più difese immunitarie per aver contratto l'Aids, moriranno di diarrea, meningite, tubercolosi. Malattie curabili in Occidente ma qui diventate mortali perchè i farmaci di cui hanno bisogno non sono alla loro portata. Nella Grande Madre Nera il virus divora le famiglie, comunità intere, una generazione di africani. Su 34 milioni di malati di Aids nel mondo il 70% sono africani. Questa, si dice, è la peggiore tragedia dell'Africa dai tempi della schiavitù che comunque, è bene ricordarlo, distrusse la vita di almeno 40 milioni di persone e soltanto in Congo ne uccise 8 milioni in 12 anni nelle piantagioni di caucciù di Lepoldo del Belgio: le tragedie africane sono incomparabili persino tra di loro. L'anno scorso in Africa ci sono stati 2,4 milioni di morti per l'Aids o per malattie correlate al virus mentre la speranza di vita nel Continente è scesa, in media, di 7 anni. Gli infetti sono 24 milioni: in testa a questa tragica classifica stilata da Unaids c'è il Sudafrica, seguito da Etiopia, Nigeria, Kenya, Mozambico, Congo. Ma questi dati, tranne che per il Sudafrica, non sono affidabili: guerre, carestie, mancanza di ogni di assistenza, hanno impedito di dare una dimensione precisa del fenomeno sotto la linea del Sahara. Così come la media del reddito pro capite, meno di un dollaro al giorno, e il livello di educazione molto basso rendono difficili i rapporti sessuali protetti dal condom. Carestie, siccità, disoccupazione, conflitti, muovono continuamente milioni di persone in un Continente dove è impossibile fermare i popoli in cammino, i clandestini, gli emigranti, che si trascinano, dalle campagne alle città, da uno stato all'altro, la traccia mortale del virus. E' così che l'Aids viaggia e si diffonde, insieme alla fame, alla disperazione, ai profughi. In Zimbabwe un adulto su cinque è infetto, in Sudafrica, dove la lotta all'Aids viene condotta anche nelle fabbriche e nelle miniere, uno su 9 è ammalato, dal 15 al 25% della forza lavoro. Sono dati come questi, insieme alla corruzione e alla mancanza di leggi certe, a scoraggiare gli investimenti stranieri in Africa, che rappresenta meno dell'1% del commercio mondiale e si è vista tagliare pure gli aiuti internazionali, oggi non più di 12 miliardi di dollari l'anno. Secondo il Governo di Pretoria presentano i sintomi dell'Hiv 4,7 milioni di persone, con un aumento del 12% sui dati del '99, l'anno scorso quasi un quarto delle donne sottoposte al test è risultato positivo, 16mila di queste erano in stato d'attesa: l'Africa sta diventando il Continente degli orfani. Di questo ritmo nei prossimi 5 anni oltre un milione di piccoli africani non avrà la madre: gli orfani di uno o di entrambi i genitori sono già 13 milioni. In Costa d'Avorio l'Aids uccide un insegnante al giorno, in alcune zone le industrie non riescono a sostenere il ritmo di un macabro turn-over. L'Aids è balzata al primo posto tra le cause della mortalità davanti alla malaria e ai conflitti. L'Aids inghiotte l'economia di intere regioni, aumenta i costi degli investimenti, cancella generazioni di lavoratori già formati professionalmente e nella loro età più produttiva - la fascia più colpita va da 15 a 49 anni di età - distrugge le infrastrutture sociali, spopola campagne, scuole, uffici pubblici, falcia le classi medie e con loro la speranza di innalzare il livello di vita. Senza combattere l'Aids l'Africa non avrà nessuna chance di uscire dalla catena che la inchioda alla spirale povertà-sottosviluppo. Nei prossimi anni le ricadute dell'Aids sull'economia smentiranno anche l'ultimo tragico paradosso africano. Finora l'impatto di questa strage sul Prodotto interno lordo, cioè sul totale del valore dei beni e dei servizi prodotti dai vari Paesi, è stato limitato: il calo della popolazione ha compensato la diminuzione della crescita dovuta all'epidemia. La situazione è stata guidata dalla fredda logica della domanda e dell'offerta. Il surplus di forza lavoro che caratterizza delle economie africane ha consentito di rimpiazzare i lavoratori colpiti dall'Aids senza una perdita di produttività significativa. Ma, come segnala il rapporto della Banca Mondiale "Confronting Aids", le cose cambieranno in peggio: "Un Paese con un tasso di crescita del 2% l'anno senza l'Aids sarà capace di aumentare in vent'anni il suo Pil pro capite dell'81%. Se l'Aids lo riduce anche soltanto all'1,5%, nello stesso arco di tempo il Pil pro capite crescerà meno del 60 per cento". Cosa fare, allora? Un'idea, elaborata da 100 accademici di Harvard, è quella di creare un fondo internazionale per prevenire la diffusione del virus e acquistare le medicine per le terapie, che comunque resteranno sempre fuori dalla portata della maggior parte degli africani anche se il Governo di Pretoria vincerà la causa contro le case farmaceutiche. Un'altra proposta viene dall'Uganda dove ci sono 1,6 milioni di orfani di uno o entrambi i genitori. Guerre ed epidemie di Aids hanno decimato la tradizionale famiglia allargata ugandese dove prima, in genere, venivano accolti bambini e ragazzi soli. Chi si prende cura di loro adesso sono, paradossalmente, i nuclei più poveri in cui spesso il capofamiglia è una donna, in gran parte dei casi una nonna sopravvissuta alle stragi del virus. Il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad), insieme da altre agenzie Onu, ha lanciato un programma, in collaborazione con Ngo e missionari, per aiutare le donne che si occupano degli orfani. Oltre all'assistenza in campo sanitario e alimentare, è prevista l'erogazione di crediti destinati ad avviare piccoli business familiari e per il mantenimento dei bambini a scuola. Sono stati così assistiti 10mila orfani e il programma adesso verrà esteso ad altri 30mila. Nonne e mini-prestiti stanno salvando in Uganda le future generazioni: una piccola storia di speranza per la Grande Madre Nera, il più dimenticato dei continenti. ______________________________________________________ Repubblica 19 apr. '01 MEDICI A PUNTI INCENTIVI E SANZIONI La rivoluzione nel 2002 ROMA - Il Ministero della Sanità è pronto a mettere in campo dal 2002 la rivoluzione dei "medici a punti", ma sono almeno due le questioni delicate che dovranno essere affrontate per fare decollare il sistema di formazione permanente: la qualità dei corsi e le sanzioni per "obbligare" anche i medici più riottosi a frequentare corsi e seminari. "Il Ministero - ha detto in proposito il Ministro Umberto Veronesi, che ieri ha illustrato il progetto ai rappresentanti delle Regioni - ha proposto al Governo di autorizzare incentivi fiscali per i liberi professionisti, mentre sono in fase di elaborazione le procedure riguardanti i dipendenti del Sistema Sanitario Nazionale. Si prevede che il sistema degli incentivi andrà a regime con il rinnovo del contratto di lavoro che scade il 31 dicembre 2001". Ma agli incentivi dovrà fare da contraltare la previsione anche di forme sanzionatorie per chi non aderirà al progetto di educazione continua se è vero, come ha ribadito lo stesso Ministro, che "il principio al quale ci siamo attenuti è quello di rendere praticamente obbligatorio l'aggiornamento". Sanzioni che al momento Veronesi non sa ipotizzare, ma che dovrebbero prevedere l'interruzione del rapporto di accreditamento. L'altro nodo da sciogliere riguarda la qualità degli eventi formativi che sono stati effettuati in questi primi mesi. Secondo i dati del Ministero, la qualità riconosciuta ad essi è stata bassa nel 43,3% dei casi, media nel 30,7%, alta nel 23,3% e molto alta solo nel 2,7%. A questo si aggiunge anche il problema della quantità dell'offerta suddivisa per specializzazioni; i dati del Ministero riportano infatti che l'offerta è più che adeguata per quanto riguarda ad esempio i cardiologi, mentre non è sufficiente per gli ortopedici che, stando ai dati relativi al primo trimestre 2001, non sarebbero in grado di accumulare nemmeno i 50 crediti formativi annui necessari. Tutto questo per quanto riguarda la sperimentazione finora attuata; dal 1 luglio prossimo, questa però si allargherà a veterinari, farmacisti, infermieri e tutte le altre professioni sanitarie. Nel sottolineare che "oggi bisogna partire dal presupposto che il 50% delle conoscenze mediche devono essere rinnovate ogni 7 anni per essere adeguate allo sviluppo della ricerca", Veronesi ha sottolineato che il sistema di gestione dell'Ecm ipotizzato dall'Italia "ci fa recuperare una certa arretratezza in questo campo, ponendoci addirittura al primo posto in Europa". _________________________________________________ Il Sole24ORE 19 apr. '01 INFERMIERI, IL GOVERNO OFFRE ALTRI 600 MILIARDI R.Tu. Regioni invitate a fare la loro parte per chiudere il contratto - I sindacati confermano lo sciopero ROMA Potrebbe sbloccarsi già nelle prossime ore la trattativa da 2.400 miliardi per il rinnovo del contratto di lavoro dei 560mila dipendenti non dirigenti del Servizio sanitario nazionale. E presto nella dirigenza del Ssn potrebbero irrompere i primi infermieri oggi ai più alti gradini contrattuali con tanto di idoneità in tasca. È stato ieri il Consiglio dei ministri a gettare le basi per far procedere un negoziato fin qui rivelatosi durissimo, con uno sciopero generale già attuato e altri due giorni di black out alle porte proprio prima delle elezioni. Perché l'apertura del Governo sia davvero tale, è necessario però a questo punto che anche le Regioni facciano la loro parte. E ora si attende una risposta dei governi locali. Ieri il Governo ha espresso parere positivo all'atto di indirizzo per il rinnovo del secondo biennio economico 2000-2001 del contratto dei "livelli". In poche parole ha dato la sua disponibilità a farsi carico della metà degli oneri che ancora mancano all'appello in aggiunta ai 1.205 già stanziati con la Finanziaria. Sulle spalle del bilancio statale, insomma, si scaricherebbero altri 600 miliardi (di cui 200 di oneri sociali). E a questo punto tocca alle Regioni fare la loro parte, addossandosi gli altri 600 miliardi. Ma dovranno farlo, chiede loro il Governo, senza impiegare i fondi che già le Regioni devono utilizzare in sede locale per gli accordi decentrati. Come dire: mettano sul piatto 600 miliardi "freschi", senza toccare il gruzzolo da impiegare in altra sede. In un agitato incontro protrattosi nella serata di ieri, gli assessori hanno dovuto valutare il nuovo "stato dell'arte" della trattativa. Pressati, tra l'altro, da dichiarazioni non certo lusinghiere dei sindacati confederali, che hanno confermato lo sciopero: "La controparte dovrà pur spiegare ai cittadini anche nel corso della campagna elettorale perché mentre si annuncia in tutta tranquillità un aumento della spesa sanitaria per il prossimo anno per i beni e servizi del 10%, si considera insostenibile una spesa per il contratto che con il 3,9% rimane largamente al di sotto dell'inflazione". Una dichiarazione di guerra in piena regola. Che non fa cenno a un'altra "apertura" che pure è stata concessa ieri dal Governo col via libera dato a un altro atto di indirizzo all'Aran: la possibilità di inquadrare per tre anni (rinnovabili) nei ruoli della dirigenza gli infermieri che sono a capo dei servizi infermieristici. Contratti da rinnovare a parte, i conti del Ssn sono stati oggetto sempre ieri dell'avvio del tavolo Governo-Regioni per il monitoraggio della spesa 2001. Una riunione ancora interlocutoria, che ha visto all'ordine del giorno i criteri, i metodi e i tempi per il check sui bilanci di Asl e ospedali. Argomento centrale della discussione è stato l'incremento della spesa farmaceutica _________________________________________________ Il Sole24ORE 17 apr. '01 CONGRESSI FARMACEUTICI A DEDUCIBILITÀ ALLARGATA Alberto Santi Beneficio del 40% anche per le aziende di vendita dei medicinali La direzione delle Entrate della Lombardia fa luce sul trattamento fiscale da riservare alle spese sostenute per convegni e congressi farmaceutici. Il chiarimento (risoluzione 21967 del 2001) riguarda il coordinamento fra le previsioni dell'articolo 74, comma 2, del Tuir - nella parte in cui stabilisce che si considerano spese di rappresentanza (come tali, quindi, deducibili per un terzo in cinque anni) "i contributi erogati per l'organizzazione di convegni e simili" - e quelle dell'articolo 19, comma 14, della legge 67/88, nel testo oggi in vigore, secondo il quale invece le spese sostenute da aziende produttrici di medicinali "per promuovere e organizzare congressi, convegni e viaggi a essi collegati sono deducibili nella misura del 40%, ai fini della determinazione del reddito d'impresa, quando hanno finalità di rilevante interesse scientifico con esclusione di scopi pubblicitari in conformità ai criteri stabiliti dal ministero della Sanità con proprio decreto". Il primo punto sul quale la Dre si esprime è proprio quello della qualificazione giuridica del rapporto intercorrente fra le due norme citate. La Dre Lombardia riafferma la "specialità" dell'articolo 19. Di conseguenza, per la Dre la deducibilità al 40% delle spese per congressi è subordinata al ricorrere delle condizioni ivi previste e che - in loro difetto - l'impresa farmaceutica non potrà dedurre alcunché, invocando in subordine l'applicabilità della norma generale costituita dall'articolo 74 del Tuir. La seconda questione riguarda l'individuazione dell'ambito oggettivo di applicazione dell'articolo 19 e, in particolare, se lo stesso è invocabile anche con riferimento alle manifestazioni congressuali organizzate da soggetti diversi dalle aziende farmaceutiche medesime. La risposta fornita è affermativa, in ragione del fatto che le disposizioni di attuazione delle norme valevoli in tema di pubblicità di medicinali affrontano in varie occasioni la tematica del coinvolgimento finanziario delle imprese farmaceutiche, facendo riferimento sia al finanziamento diretto che a quello indiretto del convegno. Infine, di grande rilievo risulta la conferma dell'ambito soggettivo di applicazione dell'articolo 19. La disposizione, infatti, non si estende testualmente al settore farmaceutico nel suo insieme, ma risulta circoscritto alle sole "aziende produttrici di farmaci". In merito al significato da attribuire a tale locuzione, il dipartimento delle entrate aveva recentemente già risposto a un interpello proposto da un contribuente, con il quale veniva avallata un'interpretazione "estensiva", tale cioè da farvi rientrare anche quelle realtà imprenditoriali che non producono, in senso stretto, proprie specialità farmaceutiche. Adesso viene confermata questa chiave di lettura, che pone in stretta relazione la norma fiscale con le previsioni del Dlgs 541/92. In altri termini, si legge nella risoluzione, poiché il ministero della Sanità, ai fini del rilascio dell'autorizzazione per l'organizzazione di convegni e congressi, equipara le aziende concessionarie di vendita delle specialità medicinali alle aziende farmaceutiche titolari di autorizzazione per l'immissione in commercio di farmaci, analoga assimilazione deve dirsi senz'altro valevole circa il trattamento fiscale delle relative spese. _________________________________________________ Il Messaggero 19 apr. '01 IL LINGUAGGIO IN CORSIA: ANCHE IL PRIMARIO CAMBIA NOME ROMA - Cambia il linguaggio in corsia. Oltre al paziente che chiede di diventare utente c'è anche il medico che non è più né primario, né aiuto, né assistente. Non basta. Anche la definizione di reparto appartiene ormai al passato. Tutto è stato deciso dalla legge di riforma dell'ex ministro della Sanità Rosy Bindi ma solo oggi le parole nuove cominciano ad entrare nei colloqui in corsia. Il vocabolario, dunque, va rivisto e corretto. Per non trovarsi, magari, ad essere fraintesi quando si chiede un'informazione ad un medico o ad un impiegato della Asl. E va rivisto anche l'organigramma per essere sicuri di individuare i responsabile delle "unità operative" (addio, appunto, ai reparti) nelle quali si è ricoverati. Cominciamo dall'organizzazione del lavoro. Una volta negli ospedali c'erano le divisioni (con i letti per i degenti) e i servizi (quelli senza letti, come il gabinetto radiologico). In queste strutture lavoravano, come medici, i primari (erano a capo), gli aiuti e gli assistenti. Alle soglie del nuovo Millennio tutto è stato azzerato e, tutto, è stato battezzato con un altro nome. Sono nate le "unità operative" e i dipartimenti che aggregano, appunto, le unità. E, per i medici, è cambiata la gerarchia. Con definizioni molto aziendali. Il primario (con oneri diversi perché oggi è anche responsabile delle spese e degli obiettivi che la struttura deve raggiungere) ora è il "direttore dell'unità operativa" o "il direttore del dipartimento". Il vecchio aiuto è il "dirigente di struttura semplice" e l'assistente è il "dirigente professionale". Nome nuovo ma anche ruolo nuovo. Prima il medico rispondeva al sistema sanitario nazionale quasi esclusivamente del suo lavoro clinico, negli anni Duemila, invece, è diventato un manager finanaziario. "Che deve essere capace - spiegano i medici ospedalieri - di razionalizzare le risorse, gestire il personale e gli spazi. E, se non rispettiamo i programmi dell'azienda siamo anche penalizzati e retrocessi". C.Ma. _________________________________________________ Corriere Della Sera 19 apr. '01 MEDICI SENZA RICETTARI PER PRESCRIVERE LA MORFINA Cremonese Antonella La denuncia dell' Ordine: tra poco più di un mese le scorte saranno esaurite Medici senza ricettari per prescrivere la morfina Stanno per finire i ricettari su cui i medici possono prescrivere la morfina, necessaria per evitare il dolore ai malati terminali. Nella cassaforte dell' Ordine dei medici di Milano e provincia ne sono rimasti appena un centinaio, sufficienti, tutt' al più, per far fronte al fabbisogno di un mese e mezzo circa. Se non arriveranno le nuove forniture, potrebbe succedere l ' incredibile: non riuscire ad alleviare il dolore dei malati terminali. La denuncia viene da Roberto Anzalone, presidente dell' Ordine dei medici di Milano e provincia, cui fanno capo 7.500 medici di famiglia che potrebbero trovarsi da un momento al l' altro senza la possibilità di aiutare i pazienti: "Come tutti ricorderanno, alla fine di gennaio - dopo una battaglia durata per anni - è stata definitivamente approvata una legge pronta dal giugno 2000, per rendere più facile e meno burocratica l a prescrizione e la somministrazione di morfina e altri antidolorifici "maggiori". Una legge fortemente voluta dal ministro della Sanità Umberto Veronesi, e salutata con sollievo dai malati e dai medici. Però...". Il "però" è una delle tipiche storie romane, storie di ordinaria burocrazia. Dice Anzalone: "I nuovi ricettari non sono ancora stati approntati, e quelli vecchi sono finiti. Al chirurgo professor Pietro Pietri, che giorni fa incontrava il ministro Veronesi, ho chiesto di segnalare al ministro il problema". Vanno così a farsi benedire le buone intenzioni della nuova legge, che tra l' altro consente al medico di fare una "autoricettazione" per poter detenere, senza essere accusato di spaccio, le quantità di morfina e di oppiacei necessarie a curare a domicilio i malati terminali. La procedura di sicurezza resta però immutata: per poter avere il ricettario con cui prescrivere la morfina e gli altri oppiacei, il medico deve ritirarlo personalmente presso la sede dell' Ordine, e firmare un registro. A scanso di brutte avventure, perché questi farmaci sono stupefacenti. Il loro costo di produzione è bassissimo, ma sul mercato della droga valgono moltissimo. Racconta Bruna Rocher, l' impiegata dell' Ordine dei medici addetta al rifornimento e alla distribuzione di questi ricettari: "La legge prevede anche l' utilizzo dei vecchi ricettari in attesa della stampa dei nuovi, ma da Roma dicono di aver esaurito le riserve. Abbiamo sollecitato innumerevoli volte il ministero della Sanità. Inutilmente. Abbiamo anche tentato di farci fare un "prestito" da parte di qualche altro Ordine dei medici, ma sembra che questo sia impossibile". Su che cosa stia davvero succedendo a Roma, è nebbia fitta. Sembra che il problema sia di "or dine tecnico", e dipenda dal Poligrafico dello Stato, che stampa questi ricettari. Un macchinario rotto, è una delle spiegazioni che girano. Comunque sia, sui malati terminali di cancro o di malattie degenerative si sta addensando l' ombra della possibile ed improvvisa sospensione delle terapie antidolore. Conclude Anzalone, indignato: "Non voglio nemmeno pensare che l' inefficienza della burocrazia privi il medico dell' unica cosa che può fare per l' uomo che muore: aiutarlo a non soffrire". Antonella Cremonese _________________________________________________ Il Messaggero 19 apr. '01 LA RIFORMA DEL MINISTRO BINDI APPLICATA IN 10 OSPEDALI SU 100 ROMA - La riforma firmata dall'ex ministro della Sanità Rosy Bindi ha più di un anno e mezzo. Ma solo in parte, minima parte, è stata applicata nel modo totale. E' passata la grande rivoluzione del medico che lavora solo nel pubblico (intramoenia), è stato firmato il contratto che prevede incentivi e carriera per chi non presta la propria attività nel privato ma, in molti ospedali, manca ancora la riorganizzazione generale dei servizi e dei reparti. Quella riorganizzazione, appunto, che dovrebbe modificare l'identità (e anche il rapporto con i pazienti) delle corsie e degli ambulatori. A fare le pulci alla riforma non applicata dalle regioni ci hanno pensato i diretti interessati, i medici ospedalieri dell'Anaao Assomed. Un lungo questionario inviato a tutte le aziende saniatrie italiane (332) e al quakle hanno risposto in 170. Il quadro di insieme è abbastanza sconsolante: poco più del 10% di questi hanno seguito tutti i passaggi previsti dalle nuove regole. Le indicazioni sono strettamente gestionali ma, nell'insieme, arrivano a toccare anche il rapporto con il cittadino. Un esempio per tutti è la creazione e la gestione del dipartimento. Negli ospedali si dovrebbe arrivare ad un accorpamento dei reparti (spesso per tipo di patologia) e il loro nome è, appunto, dipartimento. Ecco qual è la situazione: nel 63,4% sono stati istituiti, nel 29% non sono stati istituiti e, nel 6,9% dei casi solo parzialmente. "Leggendo questi dati - spiegano i ricercatori - potrebbe sembrare che tutto va bene. Ma se andiamo avanti con le domande e entriamo nel dettaglio del funzionamento scopriamo che i numeri sono ben diversi. Quando chiediamo se i dipartimenti sono stati attuati nel rispetto delle leggi vigenti ci rendiamo conto che la risposta è affermativa solo nel 42% delle situazioni. Discorso analogo per il "collegio di direzione" previsto dalla legge. E' stato creato nel 36% dei casi e solo nel 34% nel rispetto delle norme". I colpevoli? I medici puntano il dito contro le Regioni (5 su 20 possono avere il merito di essere davvero in regola), poi contro le aziende sanitarie e, infine, contro se stessi. "Non sufficientemente convinti della necessità - dicono quelli dell'Anaao - il loro ruolo all'interno di questa trasformazione". Una trasformazione che, da Nord a Sud, nella sanità pubblica, comincia a dare i suoi frutti. L'ultimo esempio è targato Roma. Domani all'ospedale S.Giovanni Addolorata verranno presentati due progetti informatici (i nomi sono accattivanti: "Beatrice" e "Luisa") che porteranno il cittadino a prenotare le visite ambulatoriali o le analisi dal farmacista e dallo studio del medico di famiglia. Sempre in farmacia, adoperando un servizio via Internet, sarà possibile versare il ticket. C.Ma. ______________________________________________________ Le Scienze 19 apr. '01 CROMOSOMI DOPPI NEI MALATI DI ALZHEIMER Si ipotizza che le placche di proteina amiloide potrebbero stimolare la produzione di altre proteine in grado di stimolare la divisione cellulare Un gruppo di neuroscienziati statunitensi ha scoperto una prova a favore del fatto che a causare la morte delle cellule nervose che porta alla malattia di Alzheimer sarebbe un tentativo fallito di divisione cellulare. Gli scienziati hanno infatti trovato nei cervelli dei soggetti deceduti in seguito alla malattia un gran numero di cellule con copie supplementari dei cromosomi, che denoterebbero un tentativo, fallito, di divisione in cellule che invece non dovrebbero dividersi. Potrebbe proprio essere questo tentativo di dividersi la causa della degenerazione cellulare che porta alla malattia. Principale autore della ricerca, pubblicata sul numero del 15 aprile del "Journal of Neuroscience" è Karl Herrup, della School of Medicine della Case Western Reserve University. Gli scienziati sono stati in grado di mostrare che nei neuroni dei soggetti era effettivamente avvenuta la duplicazione del DNA, e non solo di singoli, piccoli frammenti. Fino a oggi, la perdita di memoria del pazienti è stata sempre associata con accumuli di proteine nel cervello noti come placche amiloidi. Anche se la maggior parte dei ricercatori concorda a proposito del fatto che queste placche sono tipiche della malattia, esse non sembrano però la causa diretta della perdita della memoria. I sintomi clinici sono infatti più simili a quelli della morte delle cellule nervose, ma il legame tra le placche e questa morte non era chiaro. Ora questa ricerca permette di esplorare nuove idee. Per esempio, le placche di proteina amiloide causano sicuramente una risposta infiammatoria del cervello, e questa risposta potrebbe comprendere la produzione di altre proteine in grado di stimolare la divisione delle cellule. ______________________________________________________ Repubblica 19 apr. '01 LA PRIMA FOTOGRAFIA AL MOTORE DELLE CELLULE Su Nature i risultati del lavoro di un gruppo di scienziati giapponesi la ricerca ROMA - Il motore delle cellule ha la bizzarra forma di un elicottero, ma ricorda anche un bicilindrico da motocicletta. A scendere per la prima volta tanto in profondità nel meccanismo della vita è stata un'equipe di scienziati giapponesi dell'università di Tokyo. Sulla rivista scientifica Nature pubblicano oggi la "fotografia" dell'enzima Atpsintasi, realizzata al microscopio elettronico. Questa molecola, che ha il compito di fabbricare l'Atp (la benzina del nostro corpo) partendo dal cibo, ha la struttura simile a una coppia di motori cilindrici, collegati tra loro da una cinghia rotante. Il loro compito è fondamentale per ogni essere vivente. L'Atp infatti (adenosintrifosfato) è quella molecola che fornisce energia agli esseri viventi, permettendoci tanto di correre quanto di risolvere un'operazione matematica. La trasformazione del cibo in Atp rappresenta uno degli argomenti più complessi e irti di ostacoli della biochimica. L'ultimo scalino, in particolare, che consiste nella trasformazione di Adp (adenosindifosfato) in Atp, lasciava nelle menti degli scienziati un grande punto interrogativo. Ma che forma ha - ci si è cominciati a chiedere da dieci anni a questa parte - l'enzima che rende possibile questo passaggio? La scoperta della forma dell'Atpsintasi non ha deluso le aspettative. Si tratta infatti di un meccanismo molto complesso, in cui i due cilindri ruotano insieme uniti da una cinghia e l'angolazione fra i due varia a seconda della carenza di benzina nel nostro corpo e quindi della necessità di produrre Atp più o meno rapidamente. L'asso nella manica dei ricercatori, guidati da Kazuhiko Kinosita, è stato il ricorso a un microscopio ultra veloce che ha permesso di fotografare in una frazione di millisecondo il movimento del doppio cilindro molecolare. Si è potuto così osservare nei dettagli il percorso che seguono le molecole di Adp, catturate dall' "elicottero", trasformate e rilasciate nell'organismo come Atp, l'ultimo anello di una catena che ha origine nel processo di demolizione dei carboidrati e dei grassi che assumiamo con il cibo. Si calcola che ogni giorno un individuo produca una quantità di adenosintrifosfato pari alla metà del suo peso corporeo. L'Atp, la benzina della vita, è stato scoperto nel 1929. Ma solo nel 1941 è stato compreso il suo ruolo di deposito di energia per le cellule. Il biologo autore delle principali scoperte su questa molecola, John Walker, è stato premiato nel 1991 con il premio Nobel. Conoscere nei dettagli il percorso di formazione dell'Atp avrà ricadute importanti nella produzione di nuovi farmaci. Il moto rotatorio dell'enzima Atpsintasi è infatti simile a quella di molte altre molecole del nostro organismo. ______________________________________________________ Le Scienze 20 apr. '01 PROBLEMI DELL'AUTISMO Attualmente l'autismo viene diagnosticato nei bambini attorno al secondo anno di vita, ma questo metodo potrebbe permettere di scoprirlo prima A differenza dei bambini normali e di quelli ritardati, gli autistici di 3 o 4 anni non reagiscono a una fotografia della loro madre, ma reagiscono a quella di un gioco familiare, come ha scoperto uno psicologo dell'Università di Washington. La scoperta verrà descritta in maggiore dettaglio al congresso annuale della Society for Research in Child Development. La scoperta suggerisce che l'incapacità di riconoscere i volti potrebbe essere uno dei primissimi indicatori di uno sviluppo anormale del cervello nell'autismo. Alcuni studi, per la verità controversi, suggeriscono che il cervello umano sia stato progettato per essere interessato alle facce e che ci sono dei sistemi specializzati per il loro riconoscimento. Se questo fosse vero, allora la scoperta potrebbe anche significare che l'autismo deriva da un vero e proprio malfunzionamento dei circuiti del cervello. Probabilmente, i bambini autistici non trovano soddisfazione nel prestare attenzione ai volti, e in questo modo i circuiti del cervello dedicati a questo compito non si sviluppano a dovere. Per capire come opera il cervello, la Dawson ha utilizzato un dispositivo chiamato rete geodesica, che copre interamente la testa e registra gli impulsi elettrici provenienti da 64 zone diverse del cranio. La professoressa ha studiato 34 bambini autistici, 21 normali e 17 affetti da ritardi mentali, ma non da autismo. Ai bambini sono state mostrate due serie di immagini, ciascuna circa 50 volte. All'inizio sono state mostrate ai bambini le facce delle loro madri e quelle di persone estranee e, in seguito, quelle dei loro giocattoli preferiti e di altri sconosciuti. La ricerca ha mostrato che nei bambini normali e in quelli ritardati l'attività cerebrale è evidentemente diversa, a seconda che venga mostrata la fotografia della madre o quella di un estraneo. Nel caso dei bambini autistici, invece, la Dawson non è stata in grado di rilevare nessuna differenza, segno che probabilmente essi non riconoscono la madre. Tutti e tre i gruppi hanno però mostrato reazioni simili di fronte alle immagini dei loro giocattoli preferiti. Attualmente l'autismo viene diagnosticato nei bambini attorno al secondo anno di vita, ma questo metodo potrebbe permettere di scoprirlo prima e, magari, correre in qualche modo ai ripari. ______________________________________________________ L'Unione Sarda 20 apr. '01 SASSARI: TUMORI DEL PANCREAS, C'È UNA SPERANZA Aumenta il numero dei casi ma la diagnosi precoce è possibile L'esperienza clinica dell'istituto di Patologia chirurgica dimostra le potenzialità della terapia chirurgica Tumori del pancreas, c'è una speranza Aumenta il numero dei casi ma la diagnosi precoce è possibile SASSARI. "Tra i tumori dell'apparato digerente che, ogni anno colpiscono in Sardegna migliaia di persone, quelli del pancreas sono sicuramente i più temibili". Lo afferma il professor Mario Trignano, direttore dell'Istituto di Patologia Chirurgica. "Questa neoplasia rappresenta una grandissima problematica sia dal punto di vista della loro diagnosi precoce che da quello del trattamento chirurgico. Ma proprio dai chirurghi di Sassari arrivano delle buone notizie. "Possiamo affermare- dice il professor Trignano- che il carcinoma avanzato del pancreas può essere suscettibile di terapia radicale. Quando non è possibile realizzare un intervento curativo, la chirurgia rappresenta comunque il miglior palliativo. E ovviamente, la terapia deve essere scelta di volta in volta a seconda dei pazienti". "Bisogna ricordare- sottolinea il professor Trignano- che i tumori del pancreas siano essi della componente esocrina o di quella endocrina (producente insulina), venivano, fino a qualche anno addietro, diagnosticati prevalentemente in fase avanzata e come tali non più suscettibili di trattamenti chirurgici radicali e curativi. Questo è dovuto alla particolare situazione anatomica del pancreas ed ai limiti tecnici delle vecchi motodiche di indagine che oggi sono supportate da sofisticate metodiche quali la risonanza magnetica nucleare e la tomografia computerizzata spirale". Tali esami garantiscono un elevato standard risolutivo anche per lesioni molto piccole e si mostrano particolarmente importanti soprattutto in qui casi nei quali altre indagini (quali, ad esempio, l'ecografia addominale) possono, pur nella loro validità diagnostica, mostrano qualche limite. "Anche i tumori di piccole dimensioni- puntualizza il professor Trignano- possono essere diagnosticati precocemente ed essere affidati al chirurgo con la prospettiva di un trattamento radicale curativo. La chirurgia del pancreas, così come la diagnostica ha fatto piccoli ma significativi passi avanti grazie all'avvento di strumentari chirurgici sempre più sofisticati ed in grado di consentire complessi passaggi chirurgici in condizioni di grande serenità laddove il chirurgo si misura con uno dei più insidiosi interventi di chirurgia digestiva; cioè l'asportazione del pancreas". Infine un'altra fondamentale problematica del paziente sottoposto ad asportazione del pancreas è rappresentata dal diabete post-chirurgico. In questo modo il paziente viene incanalato dopo l'intervento, in un circuito terapeutico che risabilisce i complessi equilibri metabolico-nutrizionali legati alla nuova situazione che l'organismo privato delle funzioni pancreatiche si trova ad affrontare. "Possiamo dire- conclude Trignano-, che oggi un malato affetto da tumore del pancreas ha sicuramente maggiori prospettive proprio grazie alla convergenza con cui i diversi specialisti coinvolti in questa problematica hanno cercato di superare di continuo quelli che sembravano i limiti apparentemente invalicabili nel trattamento dei tumori del pancreas". ______________________________________________________ Le Scienze 20 apr. '01 EMICRANIA: FARMACO MIRACOLOSO O CATTIVA INFORMAZIONE? Il mal di testa interessa in italia 6 milioni di persone: in esse si e' inopportunamente generata una speranza che e' poi stata bruscamente delusa farmaco miracoloso o cattiva informazione? i risultati di una sperimentazione sono stati fatti passare per una scoperta accertata Lorenzo Pinessi (*) I medici che lavorano nei Centri Cefalee sono stati recentemente bombardati da una quantità incredibile di telefonate sulla comparsa di un nuovo farmaco contro l'emicrania dagli effetti "miracolosi". Alcuni telegiornali e diverse testate giornalistiche hanno riportato la notizia che la sperimentazione nei pazienti cefalalgici del donepezil, un farmaco già in uso per il trattamento della malattia di Alzheimer, aveva dimostrato una grande efficacia nel ridurre le crisi emicraniche. Diversi pazienti, nonostante fossero a conoscenza del fatto che tale farmaco è molto costoso e non è dispensato dal Servizio Sanitario Nazionale, si sono dichiarati disposti ad affrontare tale spesa pur di ridurre la frequenza delle crisi emicraniche. Che cosa è successo? Un gruppo di ricerca di Firenze, guidato da Sicuteri, ha inviato al comitato organizzatore del prossimo congresso dell'International Headache Society un "abstract" in cui si comunica l'intenzione di presentare i risultati di una nuova sperimentazione. Questa procedura è di norma utilizzata da tutti i ricercatori che vogliono presentare i risultati preliminari di nuovi studi in modo tale di discuterli con gli esperti del settore. La notizia di questo studio, non si sa come, è finita nelle redazioni giornalistiche ed è stata presentata come una scoperta straordinaria ingenerando nei pazienti emicranici notevoli aspettative. Ricordiamo che l'emicrania è una malattia molto diffusa che colpisce in Italia circa 6 milioni di soggetti. In una discreta percentuale di casi l'emicrania si manifesta in modo grave con una frequenza elevata di attacchi ed altera in modo significativo la qualità di vita e la capacità lavorativa del paziente. Anche se è una malattia cronica, non è una malattia incurabile. Abbiamo a disposizione diverse terapie farmacologiche e non farmacologiche che possono permettere di tenerla sotto controllo. Sono innanzitutto utili alcune norme comportamentali quali una attività sportiva regolare, cicli del sonno regolari, l'evitamento di cibi con un ruolo scatenante e la rimozione delle possibili cause di stress. Abbiamo numerose molecole per l'attacco emicranico: diversi farmaci antinfiammatori non steroidei (da soli od in combinazione) ed i nuovi triptani possono bloccare in tempi relativamente rapidi la sintomatologia dell'attacco emicranico e permettere una ripresa delle normali attività. Qualora il numero di attacchi sia elevato, possiamo fare ricorso ad una terapia di profilassi (farmacologica e non, quale il biofeedback) per ridurre la frequenza delle crisi. Compito del medico e del neurologo è quello di utilizzare questi diversi strumenti per "ritagliare" la cura più idonea al paziente. Abbiamo bisogno di nuovi farmaci? Ovviamente sì: nessun farmaco è efficace in tutti i pazienti e qualsiasi farmaco può presentare effetti collaterali tali da renderlo inutilizzabile. Un trattamento farmacologico, prima che venga ritenuto efficace dalla comunità scientifica e quindi somministrato deve essere sottoposto a numerose e scrupolose indagini. I primi studi sono effettuati sugli animali da laboratorio e su volontari sani per testare la tollerabilità del farmaco e l'assenza di effetti collaterali gravi. Successivamente vengono condotti studi clinici, dapprima in aperto e poi in doppio-cieco (confronto della molecola verso un placebo), per valutare l'efficacia del prodotto nella patologia in oggetto. Infine, vengono effettuati studi multicentrici, coinvolgendo numerosi Centri in diversi Paesi, e studi comparativi per valutare la reale superiorità del farmaco in studio rispetto a prodotti presenti sul mercato e con analoga indicazione terapeutica. Tale iter può richiedere sino a 4-5 anni prima dell'eventuale registrazione del farmaco. In conclusione, da quel poco che abbiamo potuto sapere dalle notizie di stampa, il donezepil avrebbe "provocato la scomparsa delle crisi in circa un terzo dei pazienti trattati e la riduzione delle stesse nei rimanenti". Queste percentuali, pur se interessanti, non si discostano da quelle ottenute nella sperimentazione di altri farmaci di profilassi. Non conosciamo il numero di pazienti emicranici trattati, la durata del trattamento, ma soprattutto non sappiamo se lo studio sia stato effettuato in doppio-cieco. Diversi studi hanno dimostrato che se noi somministriamo durante un attacco emicranico sostanze prive di alcun effetto farmacologico in pazienti cefalalgici otteniamo una scomparsa della crisi in circa il 35% dei casi. E' quindi assolutamente necessario per validare un principio farmacologicamente attivo la dimostrazione che l'efficacia dello stesso sia significativamente superiore a quella del placebo. Infine tutti gli studi sulla patogenesi dell'emicrania vedono coinvolti molteplici neurotrasmettitori, serotonina in primis. Non vi sono ad oggi ricerche suggestive di un ruolo dell'acetilcolina, neurotrasmettitore su cui agisce il donepezil. Ovviamente siamo interessati ai risultati dello studio dei colleghi di Firenze, ma questa fase della ricerca clinica dovrebbe essere condotta in modo discreto, senza coinvolgere i media e senza generare premature aspettative nei pazienti. In medicina esistono molti farmaci utili ed alcuni indispensabili, non esiste il farmaco "miracoloso". (*)Direttore Centro Cefalee Università di Torino ==================================================== ______________________________________________________ Le Scienze 20 apr. '01 COMPUTER: GLI STRAFALCIONI DELLA TRADUZIONE AUTOMATICA TECNOLOGIA I LIMITI DELL'INFORMATICA IL PRIMO CALCOLATORE COMMERCIALE DELLA STORIA FU L'UNIVAC NEL 1951: PESAVA OLTRE 5 TONNELLATE. POI VENNERO I TRANSISTOR MA I PROGETTI DI TRADUZIONE AUTOMATICA NON SI SONO ANCORA REALIZZATI PERCHE' LE MACCHINE NON POSSONO CAPIRE IL SENSO LOGICO DELLE FRASI NONOSTANTE LE GRANDI ASPETTATIVE, IL PROBLEMA NON E' STATO RISOLTO I CALCOLATORI SI DIMOSTRANO MENO INTELLIGENTI DI UN BAMBINO DI 8 ANNI Filiberto Boratto NEL 1951 veniva costruito negli Stati Uniti quello che è considerato il primo computer commerciale della storia, l'UNIVAC I. Era stato realizzato con 5.400 valvole termoioniche (le antenate del transistor), pesava oltre 5 tonnellate, lavorava ad una frequenza di 2,25 MHz e poteva effettuare 2.000 addizioni o 500 moltiplicazioni al secondo. Fu venduto all'Ufficio Centrale di Censimento e Statistica (Census Bureau) degli Stati Uniti, uno dei pochi Enti che si riteneva necessitasse di una potenza di calcolo così mostruosa. Anche negli anni successivi le vendite procedettero a rilento; solo gradatamente si scopriva che i calcolatori avrebbero potuto essere utilizzati, oltre che per scopi militari e scientifici, anche per applicazioni commerciali e finanziarie. Nasceva così l'elettronica logica o elettronica digitale, con il suo necessario complemento immateriale: l'informatica, che aveva il compito di redigere i programmi secondo cui i calcolatori dovevano funzionare. Elettronica e informatica hanno accompagnato e segnato il progresso tecnologico degli uomini negli ultimi 50 anni. Ci sono stati molti successi, ma anche qualche grossa aspettativa è stata tradita. L'elettronica digitale è talmente presente e pervasiva nella nostra vita (personal computer, internet, telefonia, fotografia, riproduzione musicale, impianti per regolare il clima e la sicurezza degli edifici, per governare il volo aereo e per migliorare le prestazioni delle apparecchiature elettromedicali), che il modo migliore per riflettere su questa ricorrenza è ricordare alcuni grossi insuccessi verificatisi in questi anni di sviluppo tecnologico tumultuoso. Una ventina di anni fa, nei primi anni '80, venne perfezionata la "sintesi vocale", ossia l'emissione di parole da parte del calcolatore, ad imitazione della voce umana. Si prevedeva che questa tecnologia, di forte impatto psicologico, facesse fare un salto di qualità al processo di interazione uomo-macchina. Si ipotizzava che molti tipi di macchine, dagli elettrodomestici all'automobile, venissero dotati di dispositivi vocali per avvertire di possibili malfunzionamenti, di rischi per la sicurezza e della necessità di interventi manutentivi. Mentre il livello qualitativo raggiunto dalla tecnica fu indubbiamente elevato, la risposta del pubblico fu totalmente negativa, per cui la sintesi vocale venne lasciata in uso solo per i risponditori telefonici automatici. Il riconoscimento automatico del parlato, che prelude alla possibilità di dare comandi tramite la voce, ha conosciuto periodi di illusione, ma ha conseguito risultati pratici molto limitati. Ciò che riesce facile ad un bambino di 7-8 anni, che inconsciamente procede ad un'analisi sintattica e semantica di una frase, pare di una difficoltà insormontabile per i processi matematici del calcolatore, che si limita a riconoscere il suono di fonemi e parole, ma non il loro significato logico. La traduzione automatica è una di quelle attività su cui si è creduto di più, si sono spesi più soldi ed energie: le delusioni in questo campo sono state veramente cocenti. Già negli anni '60 si pensava che entro breve tempo interi libri avrebbero potuto essere tradotti in modo automatico, con qualche piccolo intervento umano di rifinitura. Invece tutti i tentativi di dare un corpus organico ai metodi di traduzione automatica, portati avanti da linguisti e programmatori, si sono scontrati con la realtà che il calcolatore non comprende il significato della frase originale e non riesce ad interpretarla nel contesto logico e linguistico in cui è inserita. Due frasi, una italiana ed una inglese, sono ben conosciute ai linguisti come esempi rappresentativi di ambiguità semantica e della conseguente difficoltà di traduzione. La prima è: "il selvaggio scagliò una lancia contro una fiera". Mentre ad ogni lettore il senso della frase appare logico e inequivocabile, è difficilissimo far comprendere ad un calcolatore che l'espressione non deve essere tradotta come: "il selvaggio scagliò una barca contro una sagra paesana". In effetti il senso di quest'ultima frase non è a rigore sbagliato, ma altamente improbabile alla luce della normale conoscenza. Far comprendere ad un calcolatore che cosa è inverosimile rispetto all'umana esperienza è un compito immane, di cui non si intravvede la soluzione. L'altra frase portata ad esempio è un'istruzione in lingua inglese che compare frequentemente in contesti informatici: "type install and press enter"; il significato "scrivi installa e premi il tasto enter" è legato alla conoscenza e all'uso della tastiera (ma di cui il computer non ha coscienza e percezione). La frase viene interpretata dai programmi di traduzione automatica come una sgrammaticatura e talora tradotta come "il tipo installa e la pressa entra". In sostanza tutti i testi tradotti in modo automatico devono essere profondamente rivisti e adattati. E infine, internet: gli insuccessi subiti sono troppo recenti e brucianti per avere la necessità di citarli. Ma qui, più che la tecnologia, sono state bocciate aspettative finanziarie fuori dalla realtà.