NEL FUTURO DEGLI ATENEI IN ARRIVO LE FONDAZIONI UNIVERSITÀ, 900 MILIARDI PER IL RIEQUILIBRIO UNIVERSITA':CONSULENTI SENZA "SPECIALISTI" IL TAR: VIETATO LAUREARSI IN 2 ANNI CAGLIARI: LA RIFORMA DELL'ATENEO SASSARI: CONTRATTO ALL'UNIVERSITÀ: INTERROTTE LE TRATTATIVE RODOTÀ: PRIVACY DISATTESA NELLA PA" AI MEDICI PIÙ BORSE PER SPECIALIZZARSI PROGRAMMA ELETTORALE SU UNIVERSITÀ E RICERCA ULIVO PROGRAMMI ELETTORALI SU UNIVERSITÀ E RICERCA CASA DELLE LIBERTA' ======================================================= È TABULA RASA LA RIFORMA BINDI DELL'SSN MENO ATTESE IN OSPEDALE: CIAMPI RINGRAZIA IL MINISTRO "FARMACI, PIÙ AIUTI ALLA RICERCA" BIMBO IPERATTIVO? CALMALO CON IL RITALIN USA: ARMI CONTRO LA LEUCEMIA PAPÀ DI DOLLY: "UNA CURA GENETICA CONTRO IL RISCHIO INFARTO" FIBROSI CISTICA: NEL CENTRO DELL'OSPEDALE BROTZU IN CURA 54 PAZIENTI. BATTERI ALIENI NELLE METEORITI È GIÀ POLEMICA CERVELLO, IL SEGRETO DELL'IDENTITÀ L'IO È UNA SFERA DI NEURONI NASCOSTA DIETRO L'OCCHIO DESTRO EVOLUZIONE E CERVELLO "MA NON È LA CACCIA ALL'ANIMA" I TUMORI E LE INFEZIONI ======================================================= ======================================================= __________________________________________________________ Il Sole24Ore 10 mag. '01 NEL FUTURO DEGLI ATENEI IN ARRIVO LE FONDAZIONI Maria Carla De Cesari ROMA Più strumenti a disposizione delle università per acquistare beni e servizi alle migliori condizioni di mercato e per garantire un "supporto organizzativo e finanziario" per la didattica e la ricerca. Entro questi limiti, l'autonomia delle università "conquista" anche la possibilità di costituire forndazioni. Infatti, il regolamento attuativo della Finanziaria 2001 (articolo 59, comma 3 della legge 388/2000) è stato approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri di ieri, dopo il parere favorevole del Consiglio di Stato. Alle fondazioni - mette in chiaro lo schema di regolamento - non potranno essere delegate le attività istituzionali degli atenei, la ricerca e la didattica. Le università statali potranno costituire, singolarmente o in forma associata, fondazioni di diritto privato (senza fini di lucro): lo statuto sarà deliberato dal soggetto promotore "previa acquisizione del parere del ministero dell'Università". Le fondazioni saranno costituite, oltre che dagli atenei, dagli enti, dalle amministrazioni pubbliche e dai privati "che accettano di contribuire ... al fondo di dotazione iniziale e al fondo di gestione mediante contributi in denaro, in attività o in beni materiali e immateriali". Accanto ai soci fondatori sono previsti i partecipanti istituzionali (coloro che condividendo gli scopi della fondazione contribuiscono con denaro o con attività) e i partecipanti (l'apporto dei quali non è continuativo). Toccherà all'università, dare le linee direttrici per l'operato della fondazione. Per quanto riguarda le attività di supporto per la didattica e la ricerca, le fondazioni potranno lavorare per trovare finanziamenti, per svolgere attività integrative e sussidiarie, per realizzare servizi per migliori condizioni di studio, per promuovere iniziative di trasferimento dei risultati della ricerca. Per raggiungere questi obiettivi le fondazioni potranno, tra l'altro, promuovere la costituzione o partecipare a consorzi, associazioni e fondazioni per la ricerca e l'alta formazione. In ogni caso, la partecipazione a società di capitali deve limitarsi al tetto del 50 per cento. Intanto, ieri il sottosegretario al ministero dell'Università, Luciano Guerzoni, ha firmato gli accordi di programma con le università di Roma Tre, Roma Tor Vergata (che vanno ad aggiungersi all'accordo sottoscritto nei giorni scorsi per il decongestionamento di Roma La Sapienza), Genova, Brescia, Verona, Chieti e Catanzaro Magna Graecia. Complessivamente, su base pluriennale fino a 15 anni, il ministero metterà a disposizione 968 miliardi per realizzare - in cofinanziamento al 50% - sedi, aule, laboratori, strutture didattiche e servizi per gli studenti. "Gli accordi - spiega Guerzoni - aiutano a riqualificare pezzi importanti di territorio urbano che saranno a disposizione di studenti, docenti e ricercatori e più in generale di tutti i cittadini, nello spirito della riforma universitaria che partirà con il prossimo anno accademico". Giovedì 10 Maggio 2001 __________________________________________________________ Il Sole24Ore 7 mag. '01 UNIVERSITÀ, 900 MILIARDI PER IL RIEQUILIBRIO È questa la cifra che il Murst può distribuire tra le diverse sedi per rendere i trasferimenti complessivi omogenei rispetto allo standard Firmato il decreto con i parametri 2001 - In arrivo anche i fondi per sostenere le nuove laureePagina a cura di Maria Carla De Cesari Arriveranno questa settimana le comunicazioni agli atenei circa i conti del riequilibrio - per i quali sono disponibili oltre 900 miliardi - rispetto alle assegnazioni "storiche" del fondo per il finanziamento ordinario. Il ministero dell'Università, inoltre, renderà note anche le ripartizioni per avviare le nuove lauree, per premiare l'innovazione nella didattica e per "aiutare" gli atenei che si trovano nelle aree dell'obiettivo 1. Si tratta di un intervento stratificato, i cui parametri sono stati messi nero su bianco con un decreto firmato il 23 aprile dal sottosegretario al ministero dell'Università, Luciano Guerzoni. Il provvediemtno è alla Corte dei conti. Il riequilibrio. Per il riparto dei fondi viene utilizzata la formula messa a punto nel 1998 dal Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario (si veda la scheda a fianco). Con alcuni correttivi. Quest'anno i fondi destinati al riequilibrio sono pari all'8,5% del fondo per il finanziamento ordinario (pari a 11.200 miliardi nel 2000, ma quest'anno le risorse assommano a circa 11.800 miliardi), con un aumento dello 0,5% rispetto allo scorso anno. Tuttavia, prima dello scorporo, il fondo per il finanziamento ordinario è stato "decurtato" di 115 miliardi, una dote destinata ad accelerare il riequilibrio per quegli atenei in cui la differenza tra l'assegnazione teorica e quella effettiva sul fondo per il finanziamento ordinario evidenzia un valore maggiore del 10 per cento. L'operazione di riequilibrio sarà comunque "neutra" per quegli atenei in cui la differenza è contenuta entro il 7 per cento. "Ai fini del calcolo degli studenti iscritti, che rappresentano uno degli elementi basilari della formula per arrivare a determinare costi omogenei e parametri di efficacia, non sono stati considerati - precisa il sottosegretario Guerzoni - gli immatricolati dei corsi attivati autonomamente e senza oneri aggiuntivi per lo Stato". L'obiettivo dell'operazione di riequilibrio è di porre gradualmente le università in pari condizioni di partenza, recuperando gli squilibri storici nella dotazione finanziaria degli atenei. "In due anni - afferma Guerzoni - miriamo a riportare tutte le università a uno scostamento contenuto al 10 per cento rispetto al valore cui dovrebbe corrispondere l'assegnazione teorica del fondo di finanziamento ordinario. Per accelerare il riequilibrio mettiamo in campo 280 miliardi, di cui 115 quest'anno". Inoltre, per gli atenei situati nelle aree ricomprese nell'obiettivo 1 ci sono 30 miliardi, ripartiti sempre in base al modello del riequilibrio. Lo scorso anno la dote era di 60 miliardi. I premi per l'innovazione nella didattica. In base alla legge 370/99 verranno assegnati 60 miliardi (non consolidabili), di cui 40 miliardi in base all'interesse e agli investimenti attuati dagli atenei nella ricerca. Per assegnare questi fondi si è ricostruita la storia dei progetti di ricerca di interesse nazionale (cofinanziati dal ministero); il primo indicatore è dato dal rapporto tra il numero dei partecipanti effettivi e il numero di quelli potenziali; l'altro parametro è costruito in base al rapporto tra le risorse ottenute dal ministero e quelle investite direttamente dall'università. Il raffronto è sempre condotto all'interno di ambiti scientifico-disciplinari omogenei. L'intervento per Roma La Sapienza. L'ateneo retto da Giuseppe D'Ascenzo non sconterà i ritardi nell'operazione di decongestionamento, ritardi che hanno impedito l'utilizzo dei fondi a disposizione nel programma triennale 1998-2000. Per questo La Sapienza non sarà interessata al riequilibrio 2000 (per il 50%) e 2001: in questo modo non perderà circa 19 miliardi. I fondi per le nuove università. Venti miliardi sono destinati alle nuove sedi universitarie (Piemonte orientale, Insubria, Sannio, Milano Bicocca, Foggia). __________________________________________________________ Il Sole24Ore 12 mag. '01 UNIVERSITA':CONSULENTI SENZA "SPECIALISTI" Accesso agli Albi Il progetto di riforma non prevede la sezione per i laureati quinquennali Consulenti senza "specialisti" Per il ministero dell'Università l'attività è slegata dal titolo di studio - Le proteste della categoria Maria Carla De Cesari ROMA L'attività di consulente del lavoro, oggi consentita senza differenze di sorta agli abilitati che hanno come titolo di studio una laurea oppure un diploma di scuola secondaria superiore, "non è correlata in modo univoco alla formazione posseduta". Quindi, il ministero dell'Università - nello schema di regolamento che nei giorni scorsi è stato inviato al Cun (Consiglio nazionale universitario) per il parere - "si limita a individuare - come spiega la scheda illustrativa del provvedimento - quali sono le classi di laurea e di laurea specialistica che consentono l'accesso all'Albo". Lo schema di regolamento, dunque, non distingue "ambiti professionali di competenza rispettivamente dei laureati e dei laureati specialisti" e non istituisce distinte sezioni nell'Albo. Contro questa scelta, tuttavia, si schiera il Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro che protesta "per l'appiattimento che si intende operare ai danni della professione, non considerando la specificità delle attività svolte, da un lato, e non distinguendo tra i titoli di studio previsti per l'accesso. Infatti - afferma il presidente, Gabriella Perini - sono posti sullo stesso piano i diplomi di istruzione secondaria, le lauree triennali e le lauree specialistiche". Lo schema di regolamento contenente le norme sulle professioni di consulente del lavoro, statistico e tecnologo alimentare (si veda anche l'altro articolo) "chiude la partita - secondo il sottosegretario all'Università, Luciano Guerzoni - delle norme di raccordo tra ordinamenti professionali e titoli universitari". Dopo il parere del Cun, lo schema di regolamento sarà approvato dal Consiglio dei ministri, quindi sarà inviato al Consiglio di Stato per poi essere varato in modo definitivo. Tuttavia i tempi sono strettissimi: infatti bisognerà vedere se la consultazione del Consiglio universitario si esaurirà prima delle dimissioni del Governo presieduto da Giuliano Amato. In caso contrario, il lavoro svolto servirà da "memoria" per il nuovo Esecutivo. Per il ministero dell'Università le classi che contengono un percorso idoneo a consentire l'accesso all'esame di Stato di abilitazione all'esercizio della professione di consulente del lavoro sono quelle giuridiche, economiche e di scienze politiche (classi 2, 31, 15, 17 e 36 per le lauree; 64S, 84S e 22S per le lauree specialistiche). D'altra parte i consulenti del lavoro mirano a una distinzione dell'Albo su due livelli per poter porre le basi per la conquista di nuove competenze, tra cui il patrocinio in Cassazione per le materie del lavoro. A questo proposito i consulenti del lavoro sono pronti al compromesso. "Chi è in possesso di diploma di maturità - secondo Perini - non va iscritto automaticamente nella sezione degli specialisti: dovranno fare eccezione gli attuali iscritti all'Albo da un certo periodo di tempo, anche se privi di laurea specialistica". Per gli altri dovrà essere previsto un periodo transitorio in cui il passaggio alla sezione specialistica sia consentito attraverso "una valutazione affidata a una commissione nominata dai ministeri competenti. L'esame dovrà essere basato - afferma Perini - sull'attività professionale già svolta dal candidato e sull'attitudine dello stesso a svolgere le attività specialistiche". __________________________________________________________ La Nuova Sardegna 7 mag. '01 CAGLIARI: LA RIFORMA DELL'ATENEO Università, 19 nuovi corsi per le matricole Cagliari. Cresce il rapporto sinergico tra Università e mondo del lavoro. Con la riforma in attuazione nell'ateneo cagliaritano aumentano i corsi di laurea e le professionalità specifiche immediatamente spendibili in ambito occupazionale. Sono infatti 19 i corsi di nuova istituzione e oltre 30 quelli preesistenti ma riformulati in linea con la trasformazione didattica che ha coinvolto l'intero processo formativo. E si adeguano ai criteri riformisti anche le nuove denominazioni ed i contenuti dei corsi triennali. Le future matricole isolane potranno dunque inserire nei curricula il possesso di laurea in "Informatore del farmaco e dei prodotti della salute", in "Ingegneria e Tecnologia per la conservazione ed il restauro dei beni culturali", in "Lingua, letteratura e cultura della Sardegna" od ancora, vantare un'adeguata preparazione nell'ambito delle "Scienze e tecniche psicologiche applicate". __________________________________________________________ L'Unione Sarda 9 mag. '01 SASSARI: CONTRATTO ALL'UNIVERSITÀ: INTERROTTE LE TRATTATIVE Il rapporto fra università e organizzazioni sindacali si è interrotto improvvisamente sui problemi relativi alla contrattazione integrativa per il biennio 1998-2000. Le accuse sono dirette soprattutto alla direzione amministrativa dell'ateneo, cui si imputa la particolare forma di intolleranza nell'affrontare i temi sull'organizzazione del lavoro che, secondo la rappresentanza sindacale unitaria (Cgil, Cisl, Uil,Csa), dovrebbero essere concertati con il sindacato. "L'università - è stato spiegato ieri mattina nel corso di una conferenza stampa - vuole fare tutta da sola, mentre le scelte devono essere concertate con i rappresentanti dei lavoratori, secondo quanto disposto dallo stesso contratto". L'ultimo episodio, quello che si è verificato proprio nel giorno in cui si doveva arrivare alla firma dell'integrativo, il tentativo della direzione amministrativa di discutere temi relativi all'inquadramento del personale. Una decisione ritenuta assolutamente inaccettabile. Da ciò la rottura di ogni trattativa e la minaccia di impugnare qualunque ed eventuale delibera fosse assunta sull'argomento. Ma le minacce non si limitano ad iniziative giuridiche: nei programmi della rappresentanza sindacale unitaria vi è anche il proposito di giungere al blocco dell'attività del policlinico. Gran parte del personale interessato all'approvazione del contratto integrativo, che riguarda oltre 640 dipendenti, appartiene all'area tecnica ed amministrativa. Lo scontro, che ha portato ai ferri corti la direzione amministrativa e la rappresentanza sindacale, durava, in pratica, da nove mesi: da tanto infatti aveva avuto inizio la discussione sul contratto integrativo da mettere in atto a seguito del nuovo accordo nazionale, che stravolge l'organizzazione del lavoro degli atenei in particolare per quanto riguarda la didattica ed i rapporti con l'esterno. Secondo la nuova "filosofia", il nuovo contratto nazionale avrebbe dovuto dare maggiori opportunità anche per quanto riguarda la riqualificazione del personale: "Ebbene - sostengono le organizzazioni sindacali sassaresi - nel resto d'Italia le università hanno già risolto questo problema. Ma non solo: hanno già approvato la parte economica anche del secondo biennio, mentre da noi si discute ancora del primo". In pratica tutto risulta bloccato, con un danno anche per le buste paga dei dipendenti. Si pensi che i dipendenti di medicina attendono le nuove competenze da 15 mesi, mentre, in nome del buon esito delle trattative, il resto del personale ha rinunciato alle indennità. A questo punto, la ripresa della trattativa può essere riavviata soltanto ad un patto: il coinvolgimento al tavolo della discussione del rettore Alessandro Maida, in funzione di moderatore. Altrimenti sarà guerra senza quartiere, dichiarano i rappresentanti sindacali. Giuseppe Florenzano __________________________________________________________ Corriere Della Sera 8 mag. '01 IL TAR: VIETATO LAUREARSI IN 2 ANNI "Bocciata" studentessa prodigio Incoronata Boccia, 22 anni, studentessa prodigio della Sapienza con 30 esami in due anni, non si laureerà in anticipo. Lo ha stabilito ieri il Tar del Lazio che ha respinto il suo ricorso contro l'ateneo, dopo che non era stata ammessa all'esame di laurea. Per tagliare il traguardo, la ragazza dovrà attendere il febbraio 2002, secondo quanto comunicatole in una lettera dall'università. La sentenza di ieri è stata resa nota alla stampa da un altro studente modello, Giacinto Canzona, che vinse invece la sua battaglia (si laureò in 3 anni) e in tale circostanza è stato anche il rappresentante legale della studentessa. "Contro questo provvedimento - afferma Canzona - che rischia di paralizzare ingiustamente per circa due anni la vita culturale e lavorativa di una persona, sarà attentamente considerata la possibilità di proporre immediatamente appello al Consiglio di Stato". Incoronata Boccia, nata in Sardegna, iscritta al corso di Scienze della comunicazione della facoltà di Sociologia, ha superato a Roma il ciclo di esami prendendo tutti 30 e 30 e lode e solo un 27. La sua tesi è su "Tiscali e il Web miracolo". "Studio dalle 4 alle 9 ore al giorno - dice di sé - il resto del tempo esco con gli amici, vado al cinema, frequento i locali notturni. Non sono una secchiona". __________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 mag. '01 RODOTÀ: PRIVACY DISATTESA NELLA PA" I ministeri omettono di richiedere il parere obbligatorio dell'Authority rendendo annullabili i loro provvedimenti"Antonello Cherchi ROMA La pubblica amministrazione continua a dimostrarsi sorda agli obblighi della privacy. Alcuni ministeri perseverano nel dimostrare indifferenza al Garante e sfornano provvedimenti senza che vengano sottoposti al preventivo vaglio dell'Autorità. Di questo passo, verrà il momento in cui un cittadino si rivolgerà agli avvocati, impugnerà quegli atti e i giudici gli daranno ragione. Perché tutti i decreti che hanno omesso la valutazione dell'Authority non sono validi. Il provocatorio scenario è stato dipinto da Stefano Rodotà, presidente del Garante della privacy. Insieme agli altri tre componenti (Giuseppe Santaniello, Mauro Paissan e Gaetano Rasi), ieri al Forum della pubblica amministrazione Rodotà ha tracciato un bilancio dei primi quattro anni della legge 675/96 sulla tutela della riservatezza dei dati personali. Oltre ai provvedimenti sprovvisti del "lasciapassare" dell'Autorità, ci sono poi quelli che il parere del Garante l'hanno incamerato, ma non ne hanno tenuto conto. È il caso del decreto che ha istituito la tessera elettorale, strumento che utilizzeremo per la prima volta nelle elezioni di domenica prossima e che sarà valido per altre 17 consultazioni. "Un pasticcio - ha affermato Paissan - provocato dal ministero dell'Interno. A iniziare dal fatto che la tessera riporta il timbro del seggio. E così chi, per esempio, domenica vota in ospedale o in carcere, renderà nota questa situazione agli scrutatori che leggeranno la tessera nelle elezioni a venire". E Rodotà ha rincarato la dose: "C'era tutto il tempo per evitare questo pessimo risultato, che mette a rischio la libertà e la segretezza del voto. Il nostro parere è, infatti, del novembre '99. Niente, però, è stato fatto. Anche da poco abbiamo scritto al ministro dell'Interno Bianco, ma non abbiamo ricevuto risposta. Gli abbiamo fatto notare che la questione va senz'altro riesaminata". Ma intanto domenica si andrà alle urne con la tessera "senza" privacy. Anche perché rischi di invalidare le elezioni non ce ne sono. Il decreto che ha istituito la tessera elettorale è, infatti, valido, perché la procedura è stata rispettata: il parere al Garante è stato chiesto, seppure poi sia stato disatteso. Resta il fatto che "ingnorare il parere dell'Autorità o, addirittura, neanche chiederlo per dare una prova di forza, è - ha affermato Rodotà - una grande stupidaggine. Finisce per provocare dei costi, perché se un cittadino si rivolge al giudice ottiene ragione. I decreti contenenti norme sulla riservatezza dei dati personali che sono stati emanati senza essere prima stati sottoposti alla nostra valutazione non sono, infatti, validi". Anche questi sono ostacoli a una piena affermazione della legge sulla privacy, che Rodotà ha definito "una rivoluzione culturale". "Ha fatto riscoprire ai cittadini - ha proseguito il presidente del Garante - norme di tutela che anche prima esistevano, ma non erano applicate". E ciò a causa dell'inerzia della pubblica amministrazione, che continua a dimostrarsi, in larghi strati, impermeabile alla nuova cultura della riservatezza, nonostante la stessa legge sulla privacy accordi agli uffici pubblici ampi privilegi. E i ritardi si accumulano. Come quelli sull'utilizzo dei dati sensibili: gli uffici pubblici continuano a gestire le informazioni personali più riservate senza far nulla per allestire il quadro di garanzie richiesto dal decreto legislativo 135 del 1999. "Sono inadempienze gravi - ha spiegato Rodotà - e a questo problema sarà rivolta nei prossimi mesi gran parte della nostra attenzione. Abbiamo previsto ispezioni anche presso gli uffici pubblici. Sono sicuro che troveremo sacche enormi di disapplicazione della legge". __________________________________________________________ Il Sole24Ore 8 mag. '01 AI MEDICI PIÙ BORSE PER SPECIALIZZARSI I contratti di formazione applicati dal 2001/2002 ROMA Con le risorse aggiuntive messe in campo dal decreto legge 90/2001 e con i fondi promessi dalle Regioni, anche per questo anno accademico le borse di studio per i medici specializzandi dovrebbero raggiungere quota seimila, conservando i livelli raggiunti nel 1999/2000. Per la parte "governativa" nei giorni scorsi il sottosegretario all'Università, Vincenzo Sica, ha firmato il decreto per ripartire i 20 miliardi tra le specializzazioni. In questo modo sono state "assegnate" altre 890 borse di studio. Il criterio - si legge nelle premesse del decreto - è di "assicurare la continuità formativa delle scuole tenendo conto delle capacità ricettive, nonché del volume assistenziale delle strutture inserite nella rete formativa della scuola stessa". Il decreto stabilisce anche che "il personale medico di ruolo, privo di specializzazione, in servizio in unità operative del Servizio sanitario nazionale, in via prioritaria di anestesia, di anestesia e rianimazione, radiologia, radioterapia, radiodiagnostica e medicina nucleare di strutture sanitarie diverse da quelle inserite nella rete formativa delle scuole di specializzazione, può essere ammesso a domanda in soprannumero alla rispettiva scuola, nel limite del 10% del numero complessivo previsto per ogni disciplina e della capacità recettiva della scuola stessa". Anche il personale medico di ruolo, privo di specializzazione, in servizio nelle strutture sanitarie inserite nella rete formativa delle scuole di specializzazione "(...) è ammesso alle scuole di specializzazione, in soprannumero rispetto ai numeri programmati, nei limiti e con le modalità stabiliti, per ogni disciplina, di intesa tra le Università e le Regioni salvaguardando, comunque, la funzionalità dei servizi, senza oneri aggiuntivi per l'ente di appartenenza e tenuto conto della capacità recettiva della rete che concorre alla formazione". Le borse di studio hanno un importo di circa 22 milioni annui. Sulla stessa cifra si attesteranno, il prossimo anno accademico, i contratti di formazione e lavoro, che sostituiranno gli assegni così come prevede il decreto legislativo 368/1999, di attuazione della direttiva 93/16/Cee. Tra l'altro il ritardato adeguamento della disciplina è costata la condanna dell'Italia da parte della Ue. "Per la fine di maggio - promette il sottosegretario Sica - dovrebbe essere pronto il decreto per l'attuazione della direttive Ue per le scuole di specializzazione. Quindi dall'anno prossimo non ci dovrebbero essere problemi per la stipula di contratti di formazione lavoro. In questo modo gli specializzandi avranno una copertura previdenziale". A quel punto, però, dopo il contenzioso con l'Europa potrebbe aprirsi il fronte dei "vecchi" specializzandi che hanno fruito delle borse di studio senza alcuna copertura contributiva. _______________________________________________________ PROGRAMMI ELETTORALI SU UNIVERSITÀ E RICERCA ULIVO L'università e il territorio La riforma dell'autonomia universitaria ha messo gli atenei in grado di rispondere in modo più flessibile alle richieste degli studenti, e alle esigenze della società. Ma ora il sistema universitario deve riuscire a coinvolgere in modo nuovo tutti i protagonisti della vita accademica, ottenendo una reale integrazione tra università, territorio e mondo del lavoro, pubblico e privato. Per avvicinare la spesa italiana per studente e per laureato a quella europea è necessario un considerevole aumento delle risorse. Insieme ai mezzi occorre dare agli atenei maggiore autonomia non soltanto in campo finanziario, ma anche nell' istituzione dei master di primo e di secondo livello, oltreché nella gestione di nuove forme di flessibilità nello studio, come la formazione a distanza. Importanti sono anche il riconoscimento della formazione postsecondaria e il ricambio generazionale dell'attuale classe di docenti e ricercatori, la valutazione periodica delle attività, il ritorno dei "cervelli" che hanno lasciato il paese, e la piena integrazione delle facoltà italiane nelle reti internazionali di formazione e di ricerca. Dobbiamo progettare università sempre più integrate nel loro territorio, con incentivi per la localizzazione delle imprese nei pressi delle università. Esistono casi pilota molto incoraggianti, a cui rifarsi. La mobilità di studio Gli studenti hanno due esigenze primarie: scegliere l'università in cui studiare e accostarsi progressivamente al*96 mondo del lavoro, maturando la scelta del loro progetto di vita in modo consapevole. Negli anni universitari, le esigenze di socialità, confronto, didattica sono spesso frustrate da spese di trasferimento e di mantenimento onerose, da facoltà troppo grandi o semplicemente non in grado di offrire i servizi indispensabili. Favorire la mobilità di studio è una prima risposta. Solo dando effettiva capacità di scelta agli studenti l'autonomia universitaria darà i suoi frutti. Per questo prevediamo un raddoppio delle borse di studio attualmente previste, affiancato dal sostegno a un più diffuso sistema di credito agevolato individuale e da investimenti aggiuntivi nei servizi reali: residenze universitarie, mense, biblioteche, orientamento e rapporto col mercato del lavoro, stage presso imprese e amministrazioni. La ricerca italiana La competitività attuale e potenziale di un paese si misura sulla qualità della sua ricerca scientifica. La necessità di portare la ricerca italiana, nel più breve tempo possibile, a livelli di eccellenza è dunque indiscussa. Restano da individuare le strategie migliori per soddisfarla. La prima è senz'altro dotarsi di istituti moderni e in rete, pienamente inseriti nel progetto dello Spazio europeo di ricerca, e di fondi adeguati. Serve un sistema pubblico capace di premiare le idee e i progetti migliori e di promuovere un dialogo costante tra ricerca e impresa. Un sistema nel quale le scelte progettuali si iscrivano in un disegno strategico complessivo, con una chiara definizione degli obiettivi e criteri trasparenti di valutazione dei risultati. Il sistema italiano va, in altre parole, trasformato: sprovincializzato nelle sue aree di maggiore ritardo, promosso nei suoi centri di eccellenza. Occorre molto lavoro sulle infrastrutture, le comunicazioni, i metodi di selezione dei progetti,*97 con l'obiettivo finale di attrarre il bene più prezioso: il capitale umano. I nostri ricercatori non devono più essere costretti a emigrare, e i nostri centri devono attrarre i migliori ricercatori stranieri. Questi, oggi, non sono traguardi irrealistici. Esistono, al contrario, i presupposti per raggiungerli, dai meccanismi di circolazione dei ricercatori che favoriscano lo scambio tra impresa e ricerca, a nuovi e più coordinati strumenti di finanziamento. Esiste, finalmente, un quadro generale articolato su due livelli: il Programma nazionale di ricerca, che è il nostro piano di lavoro per i prossimi anni, e lo Spazio europeo di ricerca, un progetto teso a rendere l'Unione competitiva sul mercato globale. Certo vanno corrette subito alcune anomalie italiane, come il numero insufficiente di ricercatori e l'irregolare distribuzione territoriale dei centri. E la ricerca, specie se applicata, deve essere finanziata da capitali misti, attraendo la quota privata con regimi fiscali favorevoli e un'adeguata protezione alla proprietà intellettuale esigenza, questa, specialmente sentita dalle piccole e medie imprese, cui forniremo specifico aiuto per accedere a tecnologie capaci di migliorarne produttività e qualità. La nostra priorità per i prossimi anni è dunque l'attuazione del Programma nazionale di ricerca, al quale intendiamo destinare i 5.000 miliardi corrispondenti al 10% dei ricavi dell'asta Umts, attribuendo alla ricerca una quota di bilancio analoga a quella dei paesi avanzati, con l'obiettivo del 2/2,5% del Pil alla fine del quinquennio. Per garantire trasparenza pensiamo a un assetto amministrativo che assicuri che la scelta dei progetti finanziati, il controllo della loro attuazione e la valutazione degli effetti siano condotti in base a criteri e parametri europei. Infine, vanno completate la riforma dell'Enea, del Cnr e degli altri enti di ricerca e incentivate forme di cooperazione tra istituti nazionali ed esteri. _______________________________________________________ PROGRAMMI ELETTORALI SU UNIVERSITÀ E RICERCA CASA DELLE LIBERTA' Università Una Università di livello pari a quello delle nazioni più avanzate è indispensabile per il progresso morale e culturale del Paese ed è indispensabile per il suo sviluppo economico. Non si può pensare di avere un'economia competitiva, nel mondo della globalizzazione, senza una Università che, oltre a trasmettere il sapere, produca ricerca e ricercatori ad altissimo livello, e che sia pienamente raccordata con il mondo delle imprese. È necessaria una riforma organica dell'Università e della ricerca scientifica, basata sulle seguenti linee fondamentali: 1) Abolizione della riforma Zecchino sullo stato giuridico dei docenti, che distrugge il principio dell'autonomia universitaria, mortifica le professionalità ed i meriti, disincentiva la ricerca, appiattisce le retribuzioni, taglia i legami tra le Università e le imprese. 2) Sponsorizzazione delle Università da parte delle Fondazioni bancarie e altre istituzioni. Occorre promuovere un tavolo di concertazione fra Università e Fondazioni di origine bancaria affinché una parte delle loro risorse finanziarie sia finalizzata al finanziamento di programmi di ricerca scientifica. 3) Attuazione di un nuovo stato giuridico delle Università con il riconoscimento di una precisa autonomia. Allo Stato deve restare la funzione di stabilire alcuni principi normativi di base, che garantiscano sia un sufficiente grado di uniformità su tutto il territorio nazionale, sia il rispetto delle legittime prerogative normative ed economiche delle quali tradizionalmente godono i docenti, e che sono il fondamento della libertà accademica. 4) Riconoscimento di un ruolo molto più ampio di quanto non sia oggi alle singole Università nelle decisioni sul riordino della struttura delle lauree, riducendo il compito del MURST allo stabilimento delle linee generali. Ricerca Le invenzioni sono degli inventori. I professori ed i ricercatori che, da soli o in équipe, all'interno di Università o di laboratori pubblici, realizzano invenzioni brevettabili o registrabili devono restarne proprietari a pieno titolo. Su questa base possono ottenere i capitali finanziari necessari per svilupparle. Finora il nostro Paese ha perso enormi possibilità di sviluppo: moltissime invenzioni sono rimaste nel cassetto. Ciò a causa della indeterminatezza sulla questione fondamentale relativa alla loro proprietà. Chiarita la questione della proprietà sulla base del principio che le invenzioni sono in primo luogo degli inventori, le idee possono trovare i capitali e i capitali possono trovare le idee. La combinazione dell'iniziativa privata e del "venture capital" può lanciare anche nel nostro Paese, anzi soprattutto nel nostro Paese, un vertiginoso processo di innovazione e di modernizzazione, al servizio di tutti. Le nostre proposte: 1) Liberalizzazione delle iniziative imprenditoriali dei docenti e ricercatori. Il dipendente di Università ed Enti pubblici di ricerca ha la possibilità di creare imprese a fini di lucro per sviluppare e commercializzare scoperte, invenzioni ed ogni altro prodotto di ingegno da lui ideato. La partecipazione azionaria all'impresa è compatibile con il ruolo di dipendente dell'Università e degli Enti di ricerca. 2) Incentivazioni di tipo economico per le Università i cui centri di ricerca dimostrino valori di eccellenza scientifica a livello internazionale, secondo valutazioni e parametri obiettivi. 3) Incentivazioni economiche alle Università che dimostrino capacità di trasferimento tecnologico verso il mondo dell'impresa, misurata attraverso indicatori come numero di brevetti, numero e ammontare di contratti con le imprese, numero di imprese create da accademici e ricercatori, numero ed ammontare di licenze brevettuali a terzi, quantità di ricercatori universitari inseriti in laboratori industriali e di ricercatori industriali inseriti in laboratori universitari. 4) Gli istituti del CNR, dello IFN e dell'ENEA saranno collegati organicamente ai centri universitari di eccellenza nella ricerca di frontiera e nel trasferimento tecnologico. 5) Avvio di un piano di progressiva deduzione e/o detrazione fiscale dei trasferimenti e/o investimenti in ricerca scientifica, nelle imprese industriali, nelle Università, negli Enti di ricerca, nelle Fondazioni o associazioni. ======================================================= __________________________________________________________ Il Sole24Ore 7 mag. '01 È TABULA RASA LA RIFORMA BINDI DELL'SSN A due anni dal varo della legge "ter" i provvedimenti applicativi mancanti superano di gran lunga quelli arrivati al traguardo Al palo l'elenco delle prestazioni minime garantite (livelli di assistenza). Conclusi, invece, contratti e convenzioni dei camici bianchiRoberto Turno A luglio compirà due anni. Ma i dentini ancora non li ha messi. Approvata (non senza distinguo tra gli alleati) come uno dei fiori all'occhiello del centro- sinistra, presto finita nel "tritacarne" della politica, poi lasciata a macerare dalla maggioranza che prima l'aveva votata ma che intanto aveva deciso di cambiar ministro senza voler dire che insieme si voltava pagina, la riforma ter del Ssn - il Dlgs 229/99, cosiddetta "legge Bindi" - è tuttora un'incompiuta. Con buona pace di chi l'ha sostenuta e certamente con più grande soddisfazione di quanti da subito l'hanno contrastata. E proprio dall'incompiutezza di una riforma che non c'è, tra qualche settimana si ricomincerà daccapo: vinca il centro-destra o si confermi al Governo il centro-sinistra. La lista del non fatto, di quelle decine e decine di adempimenti applicativi della riforma ter di matrice vuoi nazionale vuoi regionale, a due anni di distanza supera infatti, e di gran lunga, il carnet dei provvedimenti arrivati al traguardo. A guardarsi alle spalle, il bottino racimolato si riassume in una manciata di misure. Intanto, sebbene ancora non bastano almeno a una parte della categoria, sono giunti in porto contratti e convenzioni dei medici, con quell'esclusività che tanto ha fatto tremare l'universo dei camici bianchi targati Ssn: peccato però che il taglio delle liste d'attesa resti un sogno. Sono poi giunte al traguardo (ma attendono la pubblicazione, e chissà se con sorprese) i nuovi stipendi dei manager. Muove anche i primi passi la formazione continua e permanente del personale sanitario, ma sarà necessario vigilare attentamente affinché tutto non si risolva in un grande business, considerato che secondo calcoli all'impronta potenzialmente potrebbero muoversi qualcosa come 6-8mila miliardi l'anno: chi pagherà (i medici? le aziende? i privati?) e chi incasserà (e sotto quali spoglie?) i "premi" per la formazione, non sono interrogativi di secondo momento. Detto questo, la riforma ter del Ssn è sostanzialmente tabula rasa. Terreno fertile per il dibattito che necessariamente si aprirà, comunque vada a finire il voto del 13 maggio, e per le soluzioni che più o meno a stretto giro di posta saranno prese da Governo e Parlamento. Intanto perché ci sarà da affrontare, conti alla mano, la questione-spesa con i dati sul monitoraggio appena avviato e che dovranno essere ufficializzati entro giugno. Ma certamente perché la questione-federalismo, e del modello che potrà prevalere, influirà pesantemente su qualsiasi decisione prossima ventura. Basta dare un rapida occhiata (si veda la tabella) ai principali provvedimenti rimasti al palo. Che sono in qualche modo la polpa vera della riforma che non c'è stata e, insieme, di quella che invece potrà essere. L'elenco delle misure rimaste (quando ci sono arrivate) nei cassetti della Stato-Regioni, è eloquente. A cominciare dalla definizione dei livelli minimi di assistenza: detta crudamente, quanto e cosa il Ssn continuerà a "passare" gratis agli assistiti. Provvedimento assai impopolare da assumere: e non a caso non se ne è vista traccia ufficiale, col risultato di delegare la pratica a un momento politicamente più propizio. Conseguentemente (in assenza dei livelli di assistenza) un oscuro oggetto del desiderio è rimasta la nuova disciplina dei Fondi sanitari integrativi: altra pagina in bianco interamente da riempire, forse anche in tempi relativamente rapidi considerato che grazie ai Fondi (benché a pagamento, sia chiaro) gli assistiti potranno avere accesso a quelle prestazioni che lo il Ssn non garantirebbe più. Ma le occasioni mancate sono altre ancora. Alcune, come i nuovi rapporti tra Ssn e Università, hanno mancato per due volte l'intesa in Stato-Regioni. Altre, le nuove tariffe o l'individuazione e la conferma delle aziende ospedaliere, sono rimaste semplicemente lettera morta. Nel limbo, infine, va considerato il nuovo Piano sanitario nazionale 2001-2003: il Governo lo ha presentato da tempo in pompa magna, ma ancora deve superare alcuni passaggi essenziali. Risultato: se ne occuperà il nuovo Governo. E chissà che, a quel punto, non debba essere riscritto. Lunedì 7 Maggio 2001 __________________________________________________________ Repubblica 10 mag. '01 MENO ATTESE IN OSPEDALE: CIAMPI RINGRAZIA IL MINISTRO Veronesi al Quirinale illustra le soluzioni operative SANITA' ROMA - Sulle liste d'attesa, plauso del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi al ministro della Sanità Umberto Veronesi ricevuto ieri al Quirinale. Accompagnato da alcuni esperti del suo dicastero, il ministro ha illustrato al capo dello Stato i risultati dei lavori della Commissione di studio istituita per mettere a punto un piano per la riduzione delle liste d'attesa dei ricoveri ospedalieri. Ciampi ha manifestato grande apprezzamento per il lavoro svolto da Veronesi e dalla equipe ministeriale. In particolare, ha elogiato le proposte individuate dalla Commissione ministeriale: prima fra tutte, il raddoppio dei turni di esercizio per le apparecchiature di diagnostica per immagine. Le strategie indicate dalla Commissione - ha spiegato Veronesi - si muovono su alcuni cardini come la differenziazione delle liste d'attesa fra casi d'emergenza medica e chirurgica, e chi invece deve sottoporsi a screening periodici o indagini programmate. La Commissione ha indicato anche il termine di 48 ore per la consegna dei referti delle indagini e delle analisi. Il pool nominato da Veronesi ha indicato come priorità l'eliminazione delle attese per prestazioni come prelievi di sangue, elettrocardiogrammi e radiografie del torace. Inoltre, gli esami preintervento chirurgico dovranno essere effettuati in regime ambulatoriale, evitando di anticipare il ricovero ospedaliero. Un apposito gruppo di lavoro istituito dal Ministro ha definito inoltre i criteri per migliorare la produttività delle apparecchiature di diagnostica per immagini. Nel nostro paese oltre il 40 per cento delle strumentazioni ha oltre dieci anni ed è ormai superata. __________________________________________________________ Il Sole24Ore 11 mag. '01 "FARMACI, PIÙ AIUTI ALLA RICERCA" Sanità Arriva a Palazzo Chigi il rapporto finale del tavolo di concertazione sulle politiche per rilanciare il settore Governo, industria e sindacati d'accordo: incentivi fiscali per R&S e un nuovo corso su prezzi e prodotti da bancoRoberto Turno ROMA La premessa è perentoria: salvaguardare l'universalità e l'omogeneità delle prestazioni e il "mercato unico e omogeneo" dei farmaci. Il che, tradotto in soldoni, vuol dire: lasciare allo Stato le decisioni su prezzi, Prontuario e ticket. Ma oltre che sulla premessa "politica" unitaria, per una volta Governo, industrie e sindacati sono d'accordo anche sulla ricetta: per dare fiato allo sviluppo industriale farmaceutico made in Italy la strategia vincente è l'incentivazione della ricerca. Con incentivi fiscali automatici, erogazioni a fondo perduto, aiuti alle imprese nate come spin-off industriali. È approdato a Palazzo Chigi il rapporto finale del "Tavolo di concertazione sulle politiche industriali nel settore farmaceutico". Nato nel luglio 2000 al ministero dell'Industria con un parterre allargatissimo - imprese, sindacati, Industria, Tesoro, Sanità, Lavoro, Ricerca scientifica, Commercio estero - il "Tavolo" ha consegnato la sua eredità: di cose fatte, molte inglobate dalla Finanziaria 2001, ma anche di numerose misure da prendere. Qualunque sia il Governo che verrà dopo il 13 maggio. Spesa, farmaci etici, farmaci da banco, politica industriale: questi i capitoli del Rapporto inviato da Enrico Letta, ministro dell'Industria. Conclusioni condivise in pieno dalle industrie, che hanno visto riconosciute gran parte delle loro richieste. "È il frutto di politiche integrate che tengono conto di problemi industriali, sociali e sanitari - afferma il direttore generale di Farmindustria, Ivan Cavicchi -. Ci auguriamo ora che non si adottino misure senza tenere conto dei contraccolpi che deriverebbero alla ricerca, allo sviluppo industriale, alle opportunità terapeutiche. Le Regioni, poi, sappiano che non esistono solo gli assessorati alla Sanità, ma anche quelli all'Industria". Anche Anifa (industrie per l'automedicazione) sottoscrive in pieno la concertazione: "Il giudizio favorevole di Anifa - spiega il presidente Angelo Zanibelli - nasce dalla constatazione che, per la prima volta, sono stati affrontati e discussi temi di politica farmaceutica in modo congiunto da tutti i soggetti interessati. È un primo passo del percorso che riconosce il ruolo strategico delle imprese dei prodotti da banco. Perciò auspichiamo che il nuovo Governo mantenga, anzi sviluppi, queste forme concrete di concertazione". Farmaci etici. I brillanti risultati 2000 sono il primo frutto delle politiche appena avviate. Ma ancora non basta. E per il futuro occorrerà tenere ferma la barra verso l'obiettivo di coniugare il contenimento della spesa con la necessità dello sviluppo industriale. Sono tre i "problemi aperti" da affrontare di petto. Eccoli: aumentare la competitività, incrementando "massicciamente" gli investimenti in R&S e "ripensando l'assetto regolatorio"; ricondurre a unitarietà il sistema dei prezzi, con un occhio di riguardo per i farmaci innovativi (passaggio dal regime amministrato a quello sorvegliato, prezzi liberi entro un tetto non superiore alla media Ue); attrarre investimenti dall'estero per fare dell'Italia un terreno appetibile dalle major in vista della localizzazione di strutture produttive e di ricerca. Farmaci da banco. Le proposte per lo sviluppo dell'industria dell'automedicazione vanno in tre direzioni. Anzitutto va favorito l'"utilizzo estensivo" dei marchi, per agevolare le imprese e insieme garantire i cosumatori. Secondo passo: snellire le procedure di autorizzazione per ampliare la gamma dei prodotti. Infine garantire la "piena concorrenzialità" dei farmaci senza obbligo di ricetta, consentendo l'esposizione in farmacia di questi prodotti e il libero accesso dei consumatori. R&S da rilanciare. "L'agenda del nuovo Governo - è la premessa - deve avere la ricerca tra le priorità strategiche". E accanto agli strumenti già attivati, sono elencati gli "ulteriori passi da compiere". Che sono in primo luogo la "ripresa su larga scala dei meccanismi di incentivo fiscale automatico", anche spazzando via le lungaggini per accedere ai finanziamenti che finiscono per rallentare i programmi. Ma altri passi da fare riguardano specificamente le "nuove imprese", come quelle biotech: dalla partecipazione parziale e "a tempo" dello Stato al capitale iniziale alle "erogazioni a fondo perduto" ai progetti a rischio elevato, dal rafforzamento degli incentivi per l'occupazione al sostegno alle imprese sorte "come spin-off" industriali. __________________________________________________________ L'Unione Sarda 12 mag. '01 BIMBO IPERATTIVO? CALMALO CON IL RITALIN Sanità. Il medicinale, molto diffuso negli Usa, cura gravi deficit di attenzione, sindrome molto raraProvoca polemiche l'arrivo dello psicofarmaco anche in Italia ROMA Potrà essere prescritto solo dai medici dei centri specialistici ed in casi particolari. Ma questi paletti per un uso corretto, non bastano a placare le polemiche per la prossima immissione in commercio anche in Italia dello psicofarmaco Ritalin in grado di curare il deficit di attenzione e i disturbi dei bambini iperattivi (ADHD). Un prodotto medicinale che a molti fa paura, facendo temere una corsa al baby-psicofarmaco ingiustificata e con gravi danni per la salute dei bambini stessi. Soprattutto perché, sostiene il folto fronte del no, il rischio è di estenderne l'uso anche ai quei bambini non realmente affetti da questa rara patologia ma semplicemente un po' più irrequieti degli altri. D'accordo con l'introduzione del Ritalin, invece, alcune associazioni di pediatri e neuropsichiatri che sottolineano la mancanza di un farmaco specifico per la cura della patologia. - Fonte del sì.La commissione unica del farmaco ha approvato il dossier di registrazione del medicinale, inserendolo nella fascia A, tra quelli a carico del servizio sanitario nazionale. Ora, secondo le tappe registrative, prima che il farmaco possa essere disponibile sul mercato passerà però del tempo. Lo psicofarmaco appartiene alla prima tabella delle sostanze psicotrope, come l'anfetamina. Negli Stati Uniti è stato prescritto in modo eccessivo a milioni di bambini. Fronte del no.Psicofarmaci all'età di 6 anni? In tanti mettono in guardia dai pericoli di una simile prospettiva. Dai medici a Telefono Azzurro. Non deve accadere ciò che è avvenuto negli Stati Uniti, "dove c'è stato un eccesso di prescrizione. Insomma, non è un ricostituente per bambini", avverte il professor Silvio Garattini, direttore dell'istituto Mario Negri di Milano. Il presidente di Telefono Azzurro Ernesto Caffo raccomanda invece che lo psicofarmaco a base di metilfenidato non diventi una "facile scorciatoia. E poi, soprattutto - è il suo appello - attenzione a non creare l'etichetta del bimbo ipervivace, dopo aver mandato in pensione quella ormai demodè dell' ipertimido". Sindrome rarissima: in Italia stimabili meno di 300 casi. Il Ritalin è efficace solo per le forme reali e diagnosticate di ADHD. Ma quanti potrebbero essere i casi veri attribuibili a tale patologia? "In Italia - afferma il presidente della Società italiana di pediatria Franco Tancredi - è stimabile, anche se non ci sono indagini epidemiologiche a proposito, che non superino la soglia dei 200-250. Si tratta infatti di una patologia molto rara". Il no dei genitori. No allo psicofarmaco, sì all'azione educativa dei genitori e della scuola. E poi un invito: "Non medicalizziamo i nostri figli e il disagio di vivere. È un facile modo per scaricarsi la coscienza e dimenticare la nostra incapacità come educatori". È il commento del presidente dell'Agesc Stefano Versari. Fuori dal coro il neuropsichiatra: sì al Ritalin ma ... È d'accordo con l'immissione in commercio dello psicofarmaco Ritalin il presidente della Società italiana di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza Carlo Cianchetti poiché, dice, "vi sono vari casi in cui il suo impiego è efficace". __________________________________________________________ L'Unione Sarda 12 mag. '01 USA: ARMI CONTRO LA LEUCEMIA Per il "Greevec" positivi risultati nel 90 per cento dei casi Usa, speranze per un nuovo farmaco NEW YORK Il governo americano ha dato il disco verde a un nuovo farmaco che, bloccando certi segnali chimici delle cellule cancerose, si è dimostrato efficace nel combattere la leucemia mieloide e che potrebbe forse curare anche altre forme tumorali. A dare annuncio dell'approvazione del farmaco "Gleevec" è stato il segretario alla sanità Tommy Thompson, il quale si è soffermato sulla natura del medicinale che prende di mira una molecola specifica, interagendo con essa e uccidendo le cellule leucemiche senza interferire con le cellule sane. La leucemia mieloide è una forma relativamente rara di cancro dell'apparato sanguigno legato a una mutazione a livello del Dna, che causa la produzione di una proteina abnorme nei globuli bianchi. Questi si riproducono a dismisura fino a ostacolare il regolare funzionamento di altri tessuti e organi. Nei primi esperimenti clinici condotti su 760 volontari in diversi paesi, Gleevec prodotto dalla Novartis, finora noto col nome in codice "STI-571", si è rivelato di giovamento nel 90% dei casi, dopo sei mesi di terapia, mentre nel 63% dei pazienti il tumore è stato eliminato. Prove ulteriori su 3.000 pazienti hanno dato gli stessi risultati. Il farmaco opera bloccando il segnale chimico inviato dalla proteina abnorme che causa la proliferazione delle cellule cancerose e potrebbe forse combattere anche una forma di tumore allo stomaco e altri tipi di cancro.Il farmaco che tante speranze ha sollevato negli Usa è in sperimentazione anche in alcuni centri specializzati per la cura delle leucemie italiani. Lo ha detto l'oncologo Umberto Tirelli del centro di riferimento oncologico di Aviano. "Prima che il medicinale arrivi in Italia - ha spiegato - occorre che sia approvato dall'ente europeo per i farmaci di Londra, l'Emea". __________________________________________________________ L'Unione Sarda 11 mag. '01 UNO DEI PAPÀ DI DOLLY: "UNA CURA GENETICA CONTRO IL RISCHIO INFARTO" In un futuro non lontano l'umanità potrà contare sulla riparazione genetica dei tessuti malati: si potrebbero, per esempio, produrre cellule cardiache sane da sostituire a quelle necrotizzate in seguito a un infarto. L'ha annunciato il professor Robert Moor, del Babraham Institute di Cambridge, nella prima giornata del workshop internazionale su biotecnologie agrarie e veterinarie, apertosi ieri nell'aula magna dell' Università di Sassari. Il professor Moor, fra i protagonisti della clonazione della pecora Dolly, ha tenuto una lunga relazione sulle biotecnologie riproduttive, illustrando ai numerosi esperti presenti al seminario le tecniche più recenti: per ora sono impiegate sugli animali, ma presto potrebbero essere applicate anche sull'uomo. Tra gli altri interventi, nel pomeriggio, quello della professoressa Polly Roy, che ha messo a punto un vaccino contro la Blue tongue. __________________________________________________________ L'Unione Sarda 9 mag. '01 FIBROSI CISTICA: NEL CENTRO DELL'OSPEDALE BROTZU IN CURA 54 PAZIENTI. Come affrontano la malattia Fibrosi cistica, una vita normale C'è chi fa body building e chi ha appena partorito Natalia ha diciotto anni, pratica body-building, vuole fare l'estetista. Luigi ha trent'anni, alleva pecore. Sono affetti da fibrosi cistica, malattia genetica che colpisce le ghiandole di secrezione e dà problemi respiratori. Fino a una ventina di anni fa non sarebbe stato credibile che persone con questa malattia potessero condurre una vita quasi normale. Oggi, questi esempi dimostrano che le cose sono cambiate. La fibrosi si trasmette da genitori entrambi portatori sani. In questo caso, c'è il venticinque per cento delle probabilità che il nascituro sia malato. Se solo un genitore è portatore, non ci sono pericoli, al massimo (nel cinquanta per cento dei casi) il bambino sarà anche lui portatore sano. "Chi è affetto da fibrosi" spiega Maurizio Zanda, responsabile del Centro regionale di fibrosi della divisione di Pediatria del Brotzu, "ha difficoltà a eliminare le secrezioni dell'organismo, che sono particolarmente dense. Questo ha un grosso peso sui polmoni, ma coinvolge in generale tutte le ghiandole, esclusi occhi e orecchie". I casi possono essere più o meno gravi, "ma oggi una maggiore esperienza, l'uso di nuovi farmaci (antibiotici e enzimi pancreatici), le terapie di aerosol e specifici esercizi respiratori" afferma Zanda, "permettono di affrontare meglio la malattia e far vivere al malato, anche grave, una vita più che dignitosa. Abbiamo avuto una paziente che ha avuto un bambino. Un risultato incredibile". Nel centro del Brotzu sono in cura 54 pazienti che hanno da uno a 39 anni. "Fondamentale per il raggiungimento di obiettivi sempre più importanti è la diagnosi precoce: il coinvolgimento dei medici di base che pensano di più alla possibilità che certi sintomi siano imputabili alla fibrosi è importantissimo. Questa è la strada da percorrere". __________________________________________________________ Repubblica 10 mag. '01 BATTERI ALIENI NELLE METEORITI È GIÀ POLEMICA Ricerca dell'ateneo di Napoli ROMA - Batteri alieni nelle meteoriti, gli scienziati avanzano dubbi. La scoperta è di un gruppo di ricercatori dell'università di Napoli "Federico II" e dell'Istituto GeomareSud del Cnr. Così sarebbe convalidata la teoria per cui la vita non avrebbe avuto origine sulla Terra, ma vi sarebbe stata trasportata all'interno di frammenti di corpi celesti. I batteri identificati da Bruno D'Argenio e Giuseppe Geraci erano dentro meteoriti conservate nel museo mineralogico di Napoli, rocce risalenti a circa 4.5 miliardi di anni fa, la stessa epoca in cui si è formato il sistema solare. I microscopici organismi sembrano molto simili agli "archeobatteri", le prime forme di vita terrestri, con cui condividono la capacità di sopravvivere e proliferare in condizioni ambientali estreme. E i microrganismi avrebbero riacquistato la capacità di muoversi e di riprodursi. Insomma, sarebbero resuscitati dopo miliardi di anni di vita quiescente, roba da far morire d'invidia la Nasa e i suoi fossili di "batteri marziani", ritrovati dentro una roccia proveniente dal Pianeta Rosso. Ma la maggioranza degli scienziati ritiene che si tratti di una contaminazione avvenuta sulla Terra. Ed è l'obiezione con cui gli esobiologi hanno accolto l'annuncio di ieri: come si fa ad essere sicuri che i batteri scoperti da D'Argenio e Geraci non siano microrganismi terrestri penetrati nelle meteoriti dopo il loro arrivo sul nostro pianeta? (c.di gi.) __________________________________________________________ Repubblica 9 mag. '01 CERVELLO, IL SEGRETO DELL'IDENTITÀ Dubbi sull'annuncio di scienziati Usa sulle origini anatomiche della personalità di UMBERTO GALIMBERTI SEMBRA che la scienza riscuota i suoi maggiori successi di pubblico quando fa incursioni in terra filosofica, dicendo magari, come riferivano qualche mese fa i giornali, di aver trovato la localizzazione dell'anima, o come dicono oggi un gruppo di ricercatori dell'Università di San Francisco, di aver individuato nei lobi fronto-temporali l'area del cervello che controlla la nostra identità, il nostro profilo personale, lo stile della nostra vita. "Noi pensiamo alla nostra identità - dicono i neurologi americani - come a qualcosa determinato da noi, mentre è un processo anatomico simile agli altri". Se le cose stanno così, allora dobbiamo dire che questo processo anatomico funziona malissimo, perché l'identità che dovrebbe controllare non è una cosa che esiste, ma una costruzione a cui ogni giorno ci dedichiamo, nel tentativo di rintracciare in noi una continuità che ci renda riconoscibili a noi stessi oltre che agli altri. La psichiatria del primo Novecento con Blueler, Jung e i loro studi sulla schizofrenia, aveva ipotizzato che questa sindrome, che manifesta una dissociazione della personalità, non fosse, come fino allora si credeva, una "degenerazione" del nostro Io o, se si preferisce, della nostra identità, ma fosse la condizione in cui ciascuno di noi nasce e che si conserva latente anche dopo la costruzione del nostro Io. In altri termini noi nasciamo come una moltitudine di personalità di cui una diventa egemone, e quella noi chiamiamo nostra identità o più semplicemente Io. La nascita dell'Io non sopprime le altre personalità latenti. Queste continuano ad avere una loro vita sotterranea e una di loro può sempre prendere il sopravvento sull'Io e governare a tratti il nostro modo di essere al mondo. Per farne esperienza non è necessario cadere in una crisi schizofrenica, è sufficiente drogarsi, o bere un bicchiere di troppo, per sentirci dire all'indomani da chi ci conosce: "Ieri sera non eri più tu", che tradotto significa: la tua identità è stata sommersa e al suo posto ne è subentrata un'altra che ti ha fatto dire cose che non sono da te e fare azioni che normalmente non fai. Dunque l'identità è qualcosa di precario, di fragile, che necessita di un continuo soccorso, perché se dovessimo essere davvero "noi stessi", ci abbandoneremmo all'aggressività, alla sessualità, alla dolcezza, alla disperazione, non appena le circostanze ci invitano. Che cos'è allora l'identità? Una struttura di controllo che cerca ogni giorno di tenere a freno tutte le altre nostre latenti identità, in modo da consentire a noi di riconoscerci abbastanza identici a noi stessi, e agli altri di riscontrare la nostra identità, in modo da rendere possibile quei rapporti fiduciari su cui si fondano le relazioni sociali. Che cosa significa allora scoprire l'area del nostro cervello che controlla la nostra identità, il nostro Io, o, come lo definiscono gli americani il nostro "Self"? Significa scoprire l'area che ospita i freni inibitori. Niente di più e niente di meno di quello che la psichiatria del primo Novecento aveva ipotizzato e la psicoanalisi di Freud ampiamente descritto. Capisco che gli scienziati non sono molto raffinati nell'uso delle parole filosofiche, ma dire che il nostro Io non è qualcosa determinato da noi bensì un processo anatomico del cervello significa negare quell'evidenza che è l'uso quotidiano della nostra libertà. L'identità la perdo e la recupero ogni giorno sollecitato dalle circostanze della vita, e in questa capacità di perdere e di recuperare c'è tutto il gioco della mia libertà, che è poi un gioco di maschere che rende l'uomo adattabile alle mille situazioni diverse della vita. Qui cade la differenza tra l'uomo e l'animale che non è libero. Spero che gli scienziati, nel loro furore deterministico, non ci tolgano la differenza che ancora sembra distinguere l'uomo dall'animale, una differenza che non è da ricercare tanto nelle regioni dello spirito, quanto nell'imprecisione della materia, nella scarsa codificazione istintuale dell'uomo che, invece di essere fissato in un'identità rigida. Non per disperazione, infatti, ma per celebrare la libertà umana Nietzsche poteva dire: "Dammi ti prego una maschera, e un'altra maschera ancora". In questo modo Nietzsche definiva la nostra identità come disponibilità, più o meno sciolta, a indossare maschere, per essere più armonici con le situazioni più diversificate della vita. __________________________________________________________ Le Scienze 10 mag. '01 EVOLUZIONE E CERVELLO Gli scienziati hanno trovato che gli animali con i cerebrotipi più simili erano anche quelli più vicini dal punto di vista evolutivo Un gruppo di scienziati dei Bell Laboratories ha messo a punto un metodo semplice ma potente per analizzare l'anatomia del cervello, fornendo le prime misure affidabili di come il cervello umano sia in relazione con quelli degli altri mammiferi per mezzo dell'evoluzione. In un articolo pubblicato su "Nature" del 10 maggio, i ricercatori mostrano come confrontando le dimensioni relative di 11 parti del cervello si riveli una struttura unica per ogni specie. Essi hanno calcolato la percentuale di volume cerebrale totale contribuita da ciascuna parte e coniato il termine cerebrotipo per descrivere la caratterizzazione a 11 numeri risultante. L'analisi mostra che i mammiferi cadono in un ampio spettro di cerebrotipi, con gli umani da una parte e gli animali insettivori dall'altra. I risultati offrono sostegno alla teoria dell'intelligenza sociale nell'evoluzione dei primati, teoria che sostiene che gli antenati preumani erano avvantaggiati per la sopravvivenza se avevano complesse dinamiche sociali che permettessero, per esempio, di cacciare in gruppo e prevedere il comportamento degli altri. I ricercatori hanno basato il loro lavoro su un database assemblato da studiosi tedeschi, che hanno catalogato informazioni sui cervelli di 300 animali. Le aree del cervello che mostrano la maggiore crescita nel corso dell'evoluzione svolgono probabilmente funzioni che hanno conferito un vantaggio. La ricerca ha confermato, per esempio, studi precedenti che mostravano che una regione del cervello, la neurocorteccia, è cresciuta rapidamente nel corso dell'evoluzione, espandendosi del 16 per cento nel cervello dei mammiferi insettivori e dell'80 per cento in quello umano. Questa regione è responsabile proprio delle interazioni sociali e di altri compiti complessi. In generale gli scienziati hanno trovato che gli animali con i cerebrotipi più simili erano anche quelli più vicini dal punto di vista evolutivo. All'interno di gruppi di specie in relazione, le dimensioni del cervello possono variare anche di molto, ma le dimensioni relative delle undici parti prese in considerazione rimangono invece abbastanza costanti. __________________________________________________________ Repubblica 9 mag. '01 L'IO È UNA SFERA DI NEURONI NASCOSTA DIETRO L'OCCHIO DESTRO Scienziati Usa scoprono il luogo dell'identità nel cervello CLAUDIA DI GIORGIO ROMA - Un gruppo di ricercatori californiani avrebbe identificato l'area del cervello che controlla il nostro senso del sé, una zona fisicamente ben delineata, dove sono racchiuse le impalpabili componenti che costituiscono l'identità di ciascuno di noi. Secondo Bruce L. Miller, neurologo dell'università di San Francisco, la "sede del sé" è il lobo frontale destro, un'area della corteccia cerebrale grande grosso modo quanto una palla da biliardo, collocata appena sopra l'occhio destro. Vari studi avevano già indicato il ruolo critico dei lobi frontali, che negli esseri umani sono molto più sviluppati rispetto a tutti gli altri mammiferi, ma solo di recente gli scienziati hanno iniziato a dimostrarne sperimentalmente le funzioni. Pochi mesi fa, due diverse ricerche americane avevano localizzato nella stessa area l'abilità di comprendere i processi mentali degli altri, di simpatizzare con loro e di capire quando stanno facendo dell'umorismo oppure quando ci stanno addirittura mentendo. Ma il gruppo di Miller ritiene che nei lobi frontali ci sia ancora di più. Lo scienziato ha deciso di esplorare quella che definisce "anatomia del sé" dopo aver notato che alcuni tra i suoi pazienti colpiti da una rara patologia di origine genetica, la demenza frontotemporale, manifestavano cambiamenti radicali del loro modo di essere, vere e proprie rivoluzioni dell'identità. Tra i casi citati dal neurologo americano c'è, ad esempio, una donna che si distingueva per i gusti raffinati e l'eleganza nel vestire. Colpita dal male, la donna è passata di colpo dall'amore per i ristoranti francesi alla passione per i fast food e dalle boutique più esclusive ai negozietti dozzinali e sgargianti. In un altro caso, un rigido uomo d'affari, di mentalità puritana e facile agli scatti d'ira, è diventato tollerante, permissivo e disinibito, facendosi licenziare più volte a causa della sua totale inaffidabilità. Analizzando i malati con le più avanzate tecniche di "imaging" cerebrale, Miller ha scoperto che gli unici pazienti ad avere cambiato personalità erano quelli dove le degenerazioni più gravi avevano colpito il lobo frontale destro. "Noi pensiamo al nostro "sé" come a qualcosa di determinato da noi, non come a un processo anatomico", ha spiegato Miller, presentando i suoi risultati alla riunione annuale dell'American Academy of Neurology. "Ma questa ricerca dimostra che c'è un'area del cervello che controlla gran parte del nostro senso di identità, e che una lesione in quella zona può cambiarci drasticamente. Con effetti profondi che non riguardano solo il comportamento, ma infrangono modelli consolidati di consapevolezza e di pensiero". __________________________________________________________ Repubblica 9 mag. '01 "MA NON È LA CACCIA ALL'ANIMA" Alberto Oliverio, psicobiologo: il problema è capire cosa ci dirige ROMA - Gli scienziati sono a caccia dell'anima? Le ultime scoperte delle neuroscienze fanno pensare che la scienza sia quasi sul punto di trovarla all'interno del nostro cervello. Ma è davvero così? Abbiamo girato la domanda ad Alberto Oliverio, docente di psicobiologia all'Università "La Sapienza". "Certo no, se parliamo di anima come entità metafisica. Combinare la fisica con la metafisica secondo me è un grande errore. Chi crede in un'entità metafisica non ha bisogno di insediarla in un cervello, altrimenti va incontro a grosse delusioni: prima la trova nella pineale, poi nell'emisfero sinistro, come è accaduto in passato. Tuttavia, le conoscenze su vari aspetti di funzioni non soltanto cognitive, ma anche di ciò che si verifica quando si prende una decisione o quando si sta per compiere un'azione, ci portano sempre più vicini alla domanda: "che cos'è che mi dà unitarietà, che cos'è che mi dirige?"". Se il filosofo può parlare di anima, il neuroscienziato di cosa può parlare? "Può parlare dell'Io, dell'individualità. Di un Io composito che deriva dalla somma e dall'integrazione di più parti. Se si cerca di smontare l'Io si trovano i due emisferi, si trovano aree sempre più delineate e coinvolte in funzioni come il linguaggio, la musica o le capacità matematiche". Ma è un Io biologico, non quello di Freud. "Diciamo che tra analisti e neuroscienziati oggi alcune cose, se non altro a livello metaforico, si toccano. Quando gli analisti dicono che l'Io è frammentato e gli scienziati che l'Io biologico è fatto di varie parti, in qualche modo indicano la stessa cosa. Il problema è capire cos'è che fa sì che ci sia qualcosa che unifica la mia percezione del mondo, le memorie che mi riguardano, le mie decisioni e così via". Eppure ricerche come quella di oggi parlando di lesioni che alterano l'intera personalità. "Certamente si resta colpiti da questi risultati, anche se il passaggio dalla patologia alla psicologia non sempre è lecito, i casi clinici vanno presi con le molle. Siamo fatti da una collezione di buoni funzionamenti, che viene svelata dal deficit? Personalmente, non sono certo che rimontando le parti rotte si ricostruisca la macchina funzionante." Al di là delle ricadute pratiche, secondo lei dove porteranno questi studi? "Io penso che l'aspetto fondamentale sia conoscere come siamo fatti. Se la biologia riesce a dare una parte delle possibili risposte già ci aiuta a comprenderci. E in certa misura anche a comprendere gli errori che facciamo, i nostri limiti, il fatto che non sempre ciò che ci sembra veritiero lo è. Ma vorrei soprattutto dire che non esiste una sola chiave di lettura né del cervello né della mente". (c.d.g.) __________________________________________________________ Le Scienze 9 mag. '01 I TUMORI E LE INFEZIONI Il rallentamento della crescita dei tumori è strettamente collegato alla riduzione dell'angiogenesi Le infezioni più serie possono ritardare e anche bloccare la crescita dei tumori nei mammiferi, bloccando la formazione dei vasi sanguigni che nutrono i tumori, come hanno scoperto alcuni ricercatori alla Scuola di Veterinaria dell'Università della Pennsylvania. I risultati di questa ricerca verranno pubblicati il 15 maggio sul "Journal of Immunology" e promettono di fornire nuove armi contro il cancro. La prima osservazione del fatto che le infezioni interferiscono con lo sviluppo dei tumori risale a 100 anni fa. I ricercatori sono però sempre stati convinti che, quando il sistema immunitario è attivo contro un'infezione, anche i tumori cadono vittima della fortificazione delle difese. Nessuno però ha mai trovato una prova diretta di questo meccanismo. Oggi invece si dimostra mostrato che durante le infezioni i tumori non crescono neppure in animali con il sistema immunitario molto debilitato. Ciò indica quindi che a rallentare il tumore non è l'azione degli antigeni che combattono anche le cellule tumorali, ma qualche altro meccanismo. La ricerca ha permesso di dimostrare che il rallentamento della crescita dei tumori è collegato a quello dell'angiogenesi, il processo mediante il quale il corpo costruisce nuovi vasi sanguigni, da cui i tumori attingono le sostanze nutrienti necessarie alla loro crescita. Per ora, però, gli scienziati non sono stati ancora in grado di identificare la molecola che influisce sull'angiogenesi. Una volta individuata la sostanza, gli animali infetti potrebbero essere una sorgente di nuovi potenti inibitori dell'angiogenesi tumorale.