PERCHÉ NON VA AZZERATA LA RIFORMA UNIVERSITARIA ATENEI: UNA RIFORMA TUTTA DA RIPENSARE ATENEI, DAL 3+2 NON SI TORNA INDIETRO. IL PARADOSSO DELLE UNIVERSITÀ RIFONDAZIONE UNIVERSITARIA: UNA SFIDA PER GLI ATENEI LE "CORPORATE UNIVERSITY" ADOTTANO TECNOLOGIE TELEMATICHE PISA: CON QUESTIONARI WEB GLI STUDENTI GIUDICANO LA DIDATTICA GLI INSEGNANTI PROMUOVONO LA NUOVA SCUOLA VIA LIBERA DEFINITIVO AL RIORDINO DEGLI ALBI LAUREA BREVE, NASCONO I "DOTTORI IUNIOR" A SERGIO DEL GIACCO LA COMMISSIONE EUROPEA PER L'ALLERGOLOGIA A BARI LA FACOLTÀ DI BIOTECNOLOGIE ================================================================== MAXIAUMENTI PER LA SANITÀ. UNA MANOVRINA PER LA SANITÀ:AD APRILE AUMENTI DEL 40% "L'EFFETTO PLACEBO NON ESISTE I MALATI GUARISCONO DA SOLI..." INDIVIDUATA LA PORZIONE CEREBRALE CHE RICONOSCE I COLORI DEL MONDO NICOTINA CONTRO LA TUBERCOLOSI IL JET LAG RIMPICCIOLISCE IL CERVELLO POLIMERO KILLER DI GERMI LE ORIGINE GENETICHE DELLA MALATTIA DI CROHN ================================================================== _________________________________________________ Il mattino 22 Mag.01 PERCHÉ NON VA AZZERATA LA RIFORMA UNIVERSITARIA Vincenzo Milanesi Chi vince le elezioni ha il diritto di governare, anzi ha il dovere di governare. È così che funziona la democrazia. E non c'è dubbio che la coalizione di centro-destra le elezioni le abbia vinte. È giusto quindi che si dia da fare, non appena sarà formato il nuovo governo, per realizzare i suoi programmi. Questo vale naturalmente anche per la politica in ambito educativo, nel quale il centrosinistra ha varato, nel periodo in cui ha governato, leggi destinate a modificare radicalmente l'assetto sia della scuola che dell'università italiana. Su quelle leggi lo schieramento politico riuscito vincitore nella campagna elettorale ha manifestato chiaramente il suo dissenso, sia nelle discussioni che hanno poi portato all'approvazione di quelle leggi che in campagna elettorale, dichiarando esplicitamente la sua intenzione di intervenire per cambiarle, qualora fosse andata al governo. Tutto ciò rientra nella normale dialettica politica delle democrazie, e non c'è proprio nulla di male in questo, anzi. Ma le cose si complicano, e non di poco, se si entra nello specifico. Perché la scuola e l'università italiana sono oggi, letteralmente, in mezzo al guado, in una fase in cui il "vecchio" non c'è più, ed il "nuovo" non c'è ancora. La prima cosa da fare, a questo punto, che è quella che il buon senso consiglia, è di andare a verificare come è la situazione nella realtà, senza lasciarsi andare a furori "ideologici", prima di mettere mano a provvedimenti legislativi che possono avere conseguenze assai gravi. Perché, diciamocelo chiaramente, potrebbero gettare nel caos comparti delicatissimi della società, quali indubbiamente sono quelli della formazione. A che punto è, in concreto, la realizzazione del nuovo assetto dei cicli scolastici così come li ha ristrutturati la legge voluta dal centrosinistra? E di quello varato nelle università? A seconda di quali risposte si possono dare a queste domande conviene regolarsi per intervenire. Se lo stato di avanzamento delle attività di programmazione del prossimo anno scolastico non ha superato una certa soglia, considerando globalmente il sistema scolastico del Paese, può essere tecnicamente possibile intervenire per sospendere l'attuazione della riforma dei cicli scolastici, per proporre poi una nuova impostazione che sia coerente, politicamente e culturalmente, con il programma di governo sulla base del quale il centrodestra ha vinto le elezioni. Ma è indispensabile una seria verifica tecnica, prima di fare qualsiasi cosa su questo piano, perché non si possono ignorare le condizioni effettive in cui ci si trova, quasi si potesse agire con un tocco di bacchetta magica. Si farebbe inesorabilmente la fine dell'"apprendista stregone"... L'alternativa è quella tra l'azzerare la situazione e l'intervenire per correggere il tiro. E non pare saggio scegliere tra le due possibilità senza andare a guardare come stanno le cose. Se una certa soglia è già stata superata, optare per la prima ipotesi può essere insensato. E questo va detto del tutto indipendentemente dal giudizio che si possa poi dare sulle linee di intervento in materia a livello politico e culturale. Nel caso della riforma dell'università, che prevede una ristrutturazione radicale degli assetti didattici dei corsi di laurea, il cosiddetto "3+2", cioè l'articolazione sui due livelli della laurea triennale e della laurea specialistica biennale, sarebbe del tutto irresponsabile voler azzerare la situazione. Ormai gli Atenei hanno raggiunto un "punto di non ritorno" nella programmazione delle loro attività sulla base della nuova impostazione, seppure in mezzo a mille problemi e difficoltà, e sarebbe disastroso lanciare un "fermi tutti, contrordine, professori!". Chi scrive queste righe è stato tra i primi e più severi critici del modo in cui si è voluto impostare la nuova università, ma ormai non ha più senso dire, come la buon'anima di Bartali, "è tutto sbagliato, è tutto da rifare" (tentazione cui in molti non riescono a sottrarsi anche negli Atenei, magari anche qualche rettore singolarmente afasico prima dell'approvazione della riforma, quando ancora si poteva mettervi mano più agevolmente per migliorarla). Ma l'unica cosa sensata da fare oggi non è certo quella di proporre una "controriforma": è adoperarsi per aggiustare il tiro, per "riformare la riforma", senza catastrofismi inutili e dannosi, come hanno proposto due autorevoli docenti attenti alle problematiche della riforma quali, Luciano Canfora ed Angelo Panebianco. Che sono schierati, sul piano della politica "militante", su sponde opposte! Segno che c'è spazio per un ragionamento serio e sereno davvero "bipartizan" anche su temi così complessi. Basta un pò di onestà intellettuale in più, ed un pò di faziosità "ideologica" in meno. È chiedere troppo? Speriamo di no. Sinceramente. _________________________________________________ L'Avvenire 22 Mag.01 ATENEI: UNA RIFORMA TUTTA DA RIPENSARE Vittorio Possenti Se un Paese non ha a cuore la scuola e in specie l'Università, rischia grosso. È bene ricordare questo elemento in giorni in cui tra il disinteresse dei più dovrebbe, portandosi dietro un carico di confusione e fatica, attivare in porto la riforma universitaria che istituisce la laurea breve (tre anni) e quella specialistica (altri due anni). L'obiettivo è di avviare il nuovo sistema con il prossimo anno accademico, a partire dal mese di ottobre. Ogni persona di senno auspica un rinnovamento dell'università, capace di qualificarne meglio il compito, di adeguarla ai tempi, senza però stravolgerne il compito costitutivo di trasmettere ai giovani un sapere critico e di consentire ai docenti di farlo, attraverso un costante lavoro di ricerca e di ripensamento dei saperi. E senza accennare al bisogno che i giovani hanno non solo di acquisire conoscenze, ma di incontrare maestri capaci di andare oltre la fornitura di abilità cognitive e settoriali. Scottante suona perciò l'interrogativo: la riforma che entra in vigore è adeguata? Migliorerà o peggiorerà la situazione dell'università e il suo livello? Cerco di motivare succintamente perché una risposta negativa risulti allo stato la più probabile. Dal lato dei contenuti e dei metodi viene introdotto in Italia un metodo che misura le discipline in moduli e correlativi crediti (questo linguaggio di origine mercantile non è felicissimo).Ciò significa che al posto del tradizionale corso di 60 ­ 70 ore compariranno moduli didattici di 30 ore e in alcuni casi di 15: si va dritti verso una parcellizzazione delle discipline, a cui fa da cattivo pendant una loro abnorme moltiplicazione dove temi spesso insignificanti o secondari vengono affiancati quasi paritariamente ad altri importanti e consolidati. ià ora l'università configurata dalla riforma rischia di assomigliare a un supermercato dove studenti disorientati dovranno scegliere. Con la modularizzazione delle discipline, che Maurizio Ferraris su L'Avvenire di giovedì scorso ha icasticamente chiamato ³Università modello Ikea², è fatale abbassare la qualità dei corsi nei primi anni, cioè della laurea breve e difficilmente sarà qualcosa di più di un ³diploma bis², un diploma cioè di livello superiore a quello rilasciato dalle scuole secondarie. Un maggiore impegno didattico sarà richiesto ai docenti, i quali dovranno insegnare nelle classi di laurea e tenere più corsi, la ricerca sarà penalizzata e conseguentemente la didattica più scadente. La smodata quantità di riunioni , che da un anno travolge la vita universitaria, è il segnale di un pericoloso cambiamento, cioè che al docente universitario si chiederà di gestire una macchina un pò folle con il compito prioritario rispetto alla ricerca e all'insegnamento. Se il docente diventa un burocrate, come potrà essere un maestro? Il risultato finale sarà una dequalificazione dell'università per la moltiplicazione delle discipline e nonostante le scuole di specializzazione. Queste ultime meritano un cenno: se la laurea breve è pensata per chi vuole entrare presto nel modo del lavoro e quella specialistica per chi desidera conseguire una migliore preparazione, per accedere all'insegnamento nelle scuole superiori sono necessari, oltre due lauree, due anni di scuola di specializzazione (di cui uno sovrapponibile alla laurea). Col risultato veramente insigne che, mentre adesso bastano quattro anni per accedere con validi esiti all'insegnamento di lettere o matematica, in futuro ce ne vorranno come minimo sei! La dequalificazione si accompagna al parcheggio prolungato, dove le lauree di eccellenza saranno rare. Forse il lettore comincia a persuadersi che la riforma va urgentemente ripensata, coinvolgendo maggiormente tanto i docenti, quanto le forze politiche, facendo pervenire al centro pareri meditati e valutazioni competenti. Perché dunque non fare slittare di un anno l'attuazione della riforma, allo scopo di valutarla meglio e di correggerne gli aspetti che risultassero meno persuasivi? _________________________________________________ Il Sole 24ORe 20 Mag.01 ATENEI, DAL 3+2 NON SI TORNA INDIETRO. Per l'istruzione primaria e superiore il prossimo Governo non vuole cancellare ma correggere le novità introdotte dal Centro-sinistra. Ma poteri accademici e corporazioni sindacali faranno ostruzionismo Alessandro Figà Talamanca Sarà sospesa la riforma Berlinguer dei cicli scolastici, ma il futuro presidente del Consiglio non ha parlato di sospendere la riforma degli ordinamenti didattici universitari. Non si tratta certo di una dimenticanza. Il nuovo Governo non potrà e non vorrà interferire con il nuovo assetto dei corsi di studio universitari che in molte Facoltà è pronto a partire. Non potrebbe essere altrimenti per una riforma attesa e incoraggiata dal mondo produttivo, che è interessato a reclutare laureati giovani, ancora disposti ad apprendere dall'esperienza. Anche il problema del numero chiuso, che due anni fa, su sollecitazione di Angelo Panebianco, spinse i leader del Centro destra a pronunciarsi sull'Università, non è più attuale. I grandi Politecnici del Nord, che, in fin dei conti, costituiscono un modello cui farà riferimento tutta la formazione scientifica e tecnica del Paese, si sono già attrezzati per applicare, fin dal prossimo anno accademico, la soluzione trovata, proprio nell'estate del 1999, dall'allora Ministro Ortensio Zecchino, e recepita in un decreto del successivo dicembre: in applicazione di questo decreto tutti gli immatricolati saranno sottoposti a una verifica della preparazione, senza perciò respingere nessuno. Chi non ha la preparazione sufficiente, entrerà con debiti formativi, che potranno essere colmati nel corso del primo anno. I ritardi nell'applicazione di questa norma saranno, a lungo andare, ininfluenti sul destino della riforma. In sostanza, con buona pace di chi sperava altrimenti, una riforma imposta a un mondo politico e accademico riluttante dai mutamenti sociali ed economici del Paese, e appoggiata dagli imprenditori, difficilmente può essere fermata da un cambio di Governo o di maggioranza parlamentare. Farà però una bella differenza se la riforma sarà guidata dall'autorità politica o lasciata alla libera contrattazione tra corporazioni accademiche, sindacati e ordini professionali, ed accompagnata dai vagiti-ruggiti di qualche pantera studentesca. Dobbiamo chiederci perciò se la maggioranza ed il Governo da essa appoggiato riusciranno a esprimere una politica universitaria e a guidare i cambiamenti necessari per adeguare il nostro sistema di istruzione superiore alla realtà economica e sociale. Non saranno le posizioni ideologiche o di principio a fare la differenza, ma piuttosto la capacità del Governo di osservare e analizzare la realtà senza paraocchi ideologici. Una realtà politica e sociale che possiamo riassumere in pochi punti. 1 La domanda di istruzione superiore interessa, come negli altri Paesi europei, almeno il 30% della popolazione giovanile. 2 Manca un sistema di istruzione superiore alternativo all'Università ed è ormai rovinoso lo stato dell'istruzione secondaria, in particolare degli Istituti tecnici, i quali fino a qualche anno fa avevano supplito alle carenze dell'istruzione universitaria ma più dei licei hanno sofferto per l'assurdo sistema di reclutamento degli insegnanti e dei bassi livelle degli stipendi. 3 Cresce la domanda, da parte del sistema produttivo, di laureati giovani, disposti ancora ad imparare. 4 Corporazioni accademiche, sindacati del pubblico impiego e ordini professionali spingono per allungare i tempi della formazione universitaria necessaria per accedere agli impieghi e alle professioni. 5 Diminuisce, in termini assoluti e percentuali, il numero dei giovani interessati agli studi scientifici e tecnici: un problema comune a tutti i Paesi occidentali, risolto altrove con l'immigrazione intellettuale, ma che in Italia rischia di bloccare la capacità di innovazione tecnologica e di rendere impossibile l'insegnamento delle scienze nelle scuole. La nuova maggioranza ha il vantaggio di essere meno condizionata dai "conservatori di sinistra", i quali, dopo aver accettato le chiacchiere sull'autonomia universitaria e l'armonizzazione europea quando sembravano solo chiacchiere, hanno duramente combattuto la riforma quando questa ha toccato i loro interessi accademici. Ma questo vantaggio durerà poco, perché i poteri forti, anche in ambito accademico, hanno un'incredibile capacità di trasformismo. I corridoi del nuovo potere saranno quindi presto affollati di dignitari accademici e di sedicenti portatori di "eccellenza" scientifica o culturale alla ricerca di una nuova investitura politica. D'altra parte c'è da chiedersi se la cultura dell'infelice slogan delle "tre i" (Internet, inglese, impresa) - una cultura che confonde l'innovazione tecnologica con l'ammaestramento del consumatore all'uso di strumenti tecnologici di cui non capisce il funzionamento - sia in grado di esprimere la leadership politica di cui ha bisogno il sistema universitario. È vero che i piccoli imprenditori privi di istruzione superiore costituiscono non solo la base portante della nuova maggioranza, ma anche la maggior fonte della ricchezza italiana. Ma la classe politica che essi hanno espresso proprio per rispondere alle loro esigenze dovrà pur creare un sistema universitario efficiente. La prova del budino si fa mangiandolo, e cinque anni passeranno molto in fretta. _________________________________________________ Il Sole 24ore 22 Mag.01 IL PARADOSSO DELLE UNIVERSITÀ L'università italiana si trova di fronte ad una delle riforme più importanti realizzate negli ultimi decenni. All'ombra del tre più due, cioè dell'organizzazione della nuova struttura dei corsi e dei percorsi, tutti gli atenei, infatti, stanno cercando di introdurre quei meccanismi di efficienza ed efficacia che possono aiutare un rapporto più diretto tra il mondo giovanile e il sistema della ricerca e della produzione. Al di là dei problemi specifici tuttavia l'attuazione di questa riforma avrà un importante momento di verifica tutt'altro che formale. Fino ad ora infatti l'università italiana è sopravvissuta e ha svolto il proprio compito solo grazie a un paradosso, cioè grazie alla propria inefficienza. Se infatti se tutti gli studenti che si iscrivono pretendessero di frequentare i corsi o di fare attività di ricerca nei laboratori e nelle biblioteche sarebbe peggio che in discoteca. Stando alle medie, ogni studente ha a disposizione 0,3 posti a sedere per complessivi 53 centimetri quadrati di spazio. Nelle biblioteche i posti di riducono a 0,04 per studente e i centimetri diventano 22. C'è poi un posto letto ogni 11 studenti fuori sede e nelle mense ogni iscritto ha a disposizione 0,06 posti. Bisogna ricordare poi che il periodo medio di permanenza all'università è di sette anni mentre i corsi di laurea non durano, tranne medicina, più di cinque ed anzi quelli che raccolgono la maggior parte degli iscritti, quattro anni. Questo vuol dire che in media gli studenti raggiungono la laurea in un periodo quasi doppio di quello previsto dai piani di studio. Ma oltre a questo c'è un altro dato che fa riflettere: solo un terzo degli studenti che si iscrivono al primo anno raggiungono l'agognato pezzo di carta. Il rapporto tra il numero dei laureati e quello degli immatricolati oscilla da anni attorno al 33,3%. Uno studente su tre lascia gli studi tra il primo e il secondo anno e questi probabilmente si erano iscritti solo in modo strumentale per far contenta la mamma o soprattutto per rinviare il servizio militare. Ma un secondo studente (su tre) lascia nel corso degli anni successivi, dopo avere dato alcuni esami e probabilmente frequentato anche qualche lezione. Sempre a livello di produttività bisogna sottolineare come il 90% dei laureati è costituito da fuori-corso, da studenti quindi che hanno superato di oltre un anno il periodo normale di frequenza, mentre meno del 2% degli immatricolati totali giunge alla laurea nel tempo previsto dal piano di studio. Se alla Fiat entrassero sedili, motori, portiere e fanali per costruire cento macchine e dagli stabilimenti uscisse solo una vettura nei tempi stabiliti, per altre trenta bisognasse aspettare il doppio del tempo previsto, e per 69 si perdessero le tracce, ci sarebbe sicuramente qualche direttore di stabilimento e qualche ingegnere che verrebbe bruscamente invitato a dare le dimissione. Il paragone tra gli studenti e le bielle e i pistoni non è certo il più raffinato: perché gli studenti, le persone sono molto più importanti delle lamiere di una carrozzeria ed è profondamente più grave perderli per strada e non riuscire a realizzare il compito che la società affida all'università. Certo. Le materie prime non sono le migliori e solo in piccola parte possono essere selezionate, le scuole superiori non preparano a sufficienza e non abituano a studi approfonditi, e le stesse università fanno fatica a selezionare dato che i provvedimenti sul "numero chiuso" sono stati in parte resi inefficaci da vincoli e provvedimenti amministrativi. Comunque un laureato costa in media al bilancio dello Stato qualcosa come 100 milioni di lire, meno che nel più recente passato, grazie alle misure di contenimento della spesa pubblica, ma ancora molto di più di quanto ogni singolo ateneo riesce a incassare attraverso le quote di iscrizione, quote che in media non superano il milione annuo per studente. E' così che la scarsa efficienza delle università, la loro incapacità di sviluppare tutte le potenzialità del mondo giovanile è un grosso handicap per l'intero Paese. Sarebbe forse il caso di introdurre una penalità a carico degli atenei per ogni studente che si perde per strada, ma sarebbe ancora più opportuno dare alle università la possibilità di selezionare meglio prima, e di seguire meglio dopo, ogni singolo studente. La concreta validità della riforma lo si dovrà comunque vedere anche da quanto potrà migliorare la capacità del sistema universitario di "produrre" i laureati di cui la società italiana ha bisogno. Senza perderne troppi per strada. Gianfranco Fabi Vice Direttore de Il Sole 24 Ore ______________________________________________________________________ Corriere della Sera 22 mag. 01 RIFONDAZIONE UNIVERSITARIA: UNA SFIDA PER GLI ATENEI di WALTER PASSERINI Il futuro delle università passa dalle fondazioni, tanto che già qualcuno, un pò provocatoriamente, la chiama "rifondazione universitaria". È una sfida per il nostro sistema di alta istruzione e di ricerca. Dopo il parere positivo del Consiglio di Stato, il Consiglio dei ministri ha appena approvato il Regolamento attuativo di un articolo della Finanziaria, che permette la trasformazione delle nostre università in fondazioni, avvicinando così il mondo della formazione superiore al mondo delle imprese e dei diversi soggetti sociali presenti sul territorio. Alle università resta la prerogativa della didattica e della ricerca, ma cambiano, e in misura radicale e più favorevole, l'"abito giuridico" e la possibilità di aprirsi al mercato. Riusciranno i nostri atenei, e in primis quelli milanesi e lombardi, a raccogliere la sfida e ad assomigliare un pò di più alle mitiche fondazioni americane, così decisive non solo nell'alta formazione ma anche per la spinta propulsiva data alla ricerca e allo sviluppo dell'innovazione? Ce lo auguriamo. Lo schema approvato prevede che le università, statali ma anche private, "per acquisire beni e servizi alle migliori condizioni di mercato, nonché per lo svolgimento delle attività strumentali e di supporto alla didattica e alla ricerca, possono costituire, singolarmente o in forma associata, fondazioni di diritto privato". Tali fondazioni hanno personalità giuridica e sono senza fini di lucro. All'articolo due si dice esplicitamente che le fondazioni devono promuovere "iniziative a sostegno del trasferimento dei risultati della ricerca e della creazione di nuove imprenditorialità e della valorizzazione economica" e inoltre "promuovere la raccolta di fondi privati e pubblici, stipulare contratti e convenzioni" e così via; promuovere o partecipare a consorzi e a strutture di ricerca, alta formazione e trasferimento tecnologico in Italia e all'estero, comprese le società di capitali. Insomma, per chi segue questi temi, una rivoluzione. Ora auspichiamo che, da parte delle università milanesi e lombarde, questa sfida venga rapidamente raccolta. Sappiamo per esempio che il Politecnico di Milano è stato un soggetto attivo e stimolatore della stessa stesura del Regolamento. Ma lo stesso Politecnico e le altre università a che punto sono? Che cosa stanno facendo? Come si stanno muovendo nella direzione delle fondazioni? L'impressione, ma vorremmo essere smentiti, è che l'università continui a recitare la parte della "bella addormentata", in attesa del principe che arrivi a svegliarla. E che il richiamo a operare come "sistema" rischi di restare lettera morta. L'articolo uno dice esplicitamente che le università possono diventare fondazioni "singolarmente o in forma associata", ma confessiamo che l'avverbio mette un pò tristezza e un pò paura. In altri termini, riusciranno le università milanesi, e quelle lombarde, a operare come sistema? Oppure ciascuna penserà al proprio orizzonte particolare e si muoverà in ordine sparso? Noi aspettiamo gli atenei milanesi e tifiamo per la loro "rifondazione universitaria". ______________________________________________ Il Sole24ore 23 mag. 01 LE "CORPORATE UNIVERSITY" ADOTTANO TECNOLOGIE TELEMATICHE Sempre più spesso le "corporate university" adottano tecnologie telematiche. L'e-learning all'università. Una formula di successo quella dei corsi creati all'interno delle grandi imprese Mauro Calamandrei Negli Stati Uniti sono più di 1.600 le imprese che hanno una propria "università": non c'è altro istituto di studi superiori che cresca e si moltiplichi con più rapidità delle cosiddette corporate university (Cu). E buona parte dell'aggiornamento professionale erogato in questi centri si svolge attraverso modalità di e-learning (apprendimento a distanza). Il corso su computer, quindi, integra le lezioni in aula. L'espansione. La più antica università d'impresa è quella della General Electric, creata a Grottonville nel 1955. Più in generale, quelle con più di 10 anni di attività alle spalle sono solo l'11% del totale. Il 41% ha un'unica sede e il 26% ne ha addirittura più di quattro. In media sono 82 le persone addette esclusivamente all'addestramento. Sono in continuo aumento le imprese di piccole e medie dimensioni che preferiscono avere la propria scuola invece di dipendere dalle università tradizionali. Il modello Motorola. L'università d'impresa che da due decenni fa da modello alle altre è la Motorola university, della società hi-tech americana. Si tratta di un istituto estremamente complesso, forte di un budgetannuo che spesso ha superato i 200 milioni di dollari, un centinaio di sedi in 21 Paesi, 400 professionisti fissi e una "forza lavoro flessibile" di altri 700 fra produttori di programmi, scrittori, traduttori e istruttori. Tutti i dipendenti dell'azienda devono seguire corsi per almeno 40 ore all'anno e i programmi educativi sono estesi anche ai fornitori e ai clienti. Eppure una quindicina di anni fa solo il 40% dell'attività educativa interna era gestita da questa università. Quando all'inizio il manager Bill Wiggerhornb aveva deciso di mettere tutte le funzioni di addestramento e sviluppo sotto un unico marchio, il consolidamento era stato tutt'altro che facile,con 3.700 fra prodotti e servizi diversi. Questa trasformazione, che ha portato fra l'altro alla creazione di tre collegi specializzati dedicati ai mercati emergenti, alla tecnologia e alla leadership, è tutt'altro che conclusa. "È nostra intenzione che alla fine di questo decennio Motorola university abbia acquistato un vantaggio competitivo unico - dichiara il portavoce Vincent Serriella -. Aiuteremo la società a penetrare in alcuni mercati che, se dovesse dipendere solo dalla penetrazione di marketing, rimarrebbero chiusi. Inoltre noi crediamo che questa struttura ci dia l'abilità di ascoltare e di vedere meglio quel che sta avvenendo nel mondo e diffondere tempestivamente queste informazioni nell'organizzazione". "La fioritura delle corporate university è una straordinaria innovazione tanto per il mondo imprenditoriale quanto per quello accademico - spiega Jeanne C. Meister, che dirige la società Corporate university Xchange -. Per la prima volta aziende come Motorola, Sun microsystems e Bank of Montreal stanno trasferendo all'educazione i modelli di servizio, accessibilità e tecnologia che hanno avuto successo nel mondo degli affari". Forti investimenti. Le imprese americane spendono 60 miliardi di dollari all'anno per l'istruzione e l'addestramento dei lavoratori. Ora l'ultima frontiera è proprio quella dell'e-learning anche all'interno delle corporate university, che stanno acquistando un ruolo di primo piano nel sistema educativo americano. Sono tanti i motivi del loro successo. In molte compagnie trasformate dalla fusione di due o più imprese sono diventate lo strumento preferito per creare una nuova cultura. Ma anche il ciclo di vita sempre più breve dei prodotti e dei servizi è una delle ragioni più importanti per potenziare i programmi educativi online e in aula. In questo senso, è esemplare il caso dei programmi di addestramento sviluppati per il personale della Dell. Inoltre, in questi anni di crescente scarsità di manodopera qualificata le corporate university sono diventate strumenti indispensabili non solo per addestrare nuovo personale, ma anche per mantenere quello preesistente. Ormai tanti giovani non sono attratti soltanto dagli alti compensi, ma anche dall'opportunità di avere accesso a orizzonti nuovi. Un solido programma di aggiornamento professionale continuo, anche attraverso l'utilizzo della Intranet aziendale, può far pendere l'ago della bilancia tra cambiare lavoro o meno. Questi strumenti ridisegnano completamente il rapporto tra impiegati e imprese. "Le funzioni delle corporate university non devono essere confuse con i programmi di addestramento degli Anni 50 e 60 - dichiara Marc J. Rosenberg della DiamondCluster International -. La differenza cruciale sta nel contrasto fra una struttura gerarchica e autoritaria dell'impresa del passato e la sua attuale organizzazione orizzontale, piatta e flessibile". Lo spirito della nuova cultura è espresso chiaramente dal caso Xerox in cui nel 1993 il management passò da una struttura gerarchica di 18 livelli a una flessibile di soli 3. In quella riorganizzazione erano stati eliminati 9.000 posti di lavoro, eppure il numero dei dipendenti con responsabilità decisionali subì una flessione mimima per la semplice ragione che un grande numero di dipendenti erano entrati nel management. I successi. E i vantaggi dell'aggiornamento professionale continuo, anche attraverso le tecnologie telematiche, sono sempre più riconosciuti. Questo apprezzamento è diventato ben visibile a Las Vegas l'8 maggio quando sono stati conferiti i premi di eccellenza del "Financial Times". Learning Edge, per esempio, che è nota anche in Italia, è stata premiata perché con l'impiego delle simulazioni elettroniche e di altre tecniche della information technology ha ridotto del 40% i costi dei programmi interattivi di formazione dei 13mila partner della Deloitte Consulting. Mentre la corporate university del National cash register è stata premiata per l'agilità mostrata nell'impiegare tecnologie vecchie e nuove nel marketing. Ancora più significativi sono stati i riconoscimenti tanto della nuova Vanguard university di Filadelfia quanto della Emc, per i successi avuti nel collegare in modo organico i programmi educativi aziendali. Nel nuovo rapporto "Survey of corporate university future directions" pubblicato dal Corporate university Xchange (www.corpu.com) è documentato come tante corporate university siano diventate il fiore all'occhiello degli amministratori delegati delle società creatrici, anche grazie all'impiego delle più moderne soluzioni di e-learning. ______________________________________________________________________ Il Tirreno 23 mag. 01 PISA: CON QUESTIONARI WEB GLI STUDENTI GIUDICANO LA DIDATTICA Università sotto esame. Pisa: gli studenti giudicano la didattica. Solo questionari Web e si valutano anche orari e calendari di Candida Virgone É la prima volta che tutto l'ateneo pisano valuta se stesso. É la prima volta che tutti gli studenti dell'ateneo di Pisa, sono 50mila, possono dare contemporaneamente la loro valutazione sulla didattica di cui sono utenti. E valuteranno insieme ai loro prof. I precedenti ci sono già stati: negli anni scorsi alcuni corsi di laurea specifici hanno sperimentato la valutazione degli studenti con questionari Web, mentre altri corsi hanno adoperato questionari cartacei. Ora votano tutti. E si valuta dal web. Sì, solo on-line: non era infatti pensabile raccogliere parecchie centinaia di migliaia di moduli cartacei. Organizzazione didattica della propria facoltà, orari, calendari d'esami, disponibilità di aule studio, posti in biblioteca, qualità del tutorato, puntualità negli orari di ricevimento da parte dei prof. Il questionario on-line consente anche di facilitare le fasi della raccolta dei dati finali, accelerando anche i tempi: si prevede che saranno disponibili entro 20 giorni dalla scadenza dei termini. Per poter accedere alla compilazione dei questionari deve essere indicata matricola e password dello studente (recapitata nei giorni scorsi a domicilio degli studenti con una lettera) oppure codice docente e password. Il controllo della corrispondenza tra codice e password viene effettuato in linea, sia per i docenti, che per gli studenti. Gli studenti sprovvisti di password o che l'avessero smarrita possono comunque rivolgersi alle Segreterie Studenti o spedire una e-mail all'Ufficio di Supporto al Nucleo di Valutazione di Ateneo all'indirizzo valutazione.studentiadm.unipi.it (050/22.12.300 - 22.12.586) allegando una scansione del proprio documento di identità; oppure inviare un fax allo 050/22.12.355, allegando una fotocopia del documento d'identità. In ogni caso dovranno indicare: cognome, nome, corso di studio d'iscrizione, modalità di ricevimento della comunicazione (telefono, fax, e-mail). I questionari non completi verranno cestinati. Tutti i questionari affluiranno direttamente in un computer dell'ufficio statistico d'ateneo e nessun docente avrà la possibilità d'accedere in alcun modo alle valutazioni, i cui risultati finali, sotto forma di dati aggregati, saranno diffusi agli organi centrali di governo dell'ateneo e alle commissioni didattiche paritetiche (in cui ci sono anche gli studenti), ai responsabili di corsi di studio e della facoltà. Fino a metà giugno é aperta la seconda tornata di valutazione (la prima c'é stata nel dicembre-gennaio per gli studenti delle facoltà con corsi semestrali) e rimarranno in linea i questionari. I risultati dell'operazione saranno pronti a fine giugno. ______________________________________________________________________ Repubblica 23 mag. 01 GLI INSEGNANTI PROMUOVONO LA NUOVA SCUOLA Indagine Iard su 7400 professori la ricerca MARIO REGGIO ROMA - Gli insegnanti promuovo gran parte delle riforme varate da Luigi Berlinguer e portate a termine da Tullio De Mauro. Grande apprezzamento, in media 6 docenti su dieci con punte che arrivano all'80 per cento, rispetto al piano d'investimenti a favore della multimedialità nelle scuole, il mantenimento del valore legale del titolo di studio, l'obbligo scolastico fino a 15 anni, la certificazione annuale delle competenze acquisite nella scuola superiore, la carta dei diritti e dei doveri degli studenti e delle studentesse. Ampio consenso, sette insegnanti su dieci, nei confronti del nuovo esame di maturità. La categoria è spaccata sulla riforma dei cicli scolastici, accetta il principio della valutazione, ma sul come emergono idee molto diverse tra loro. Sono alcuni dei risultati dell'indagine nazionale eseguita dall'istituto di ricerca Iard di Milano, su un campione di 7 mila e 400 insegnanti: dalle materne alle superiori nella scuola pubblica, ma solo materne e superiori delle scuole non statali. Risultati che verranno presentati oggi all'Università Cattolica di Milano. Dalla ricerca, dal titolo Gli insegnanti nella scuola che cambia, emergono anche dati contrastanti. Sul prestigio della professione, oltre la metà dei docenti delle materne afferma che è aumentato rispetto a dieci anni fa, quando fu presentata la prima inchiesta dello Iard, per l'85 dei prof delle superiori, invece, è diminuito e calerà ancora. Tutti o quasi d'accordo sugli stipendi troppo bassi: il 75 per cento li giudica inadeguati alle funzioni svolte dai docenti. Dall'indagine emerge nettamente la superiorità della scuola pubblica rispetto a quella non statale: tre quarti del campione giudica migliore la prima per la serietà delle verifiche, la preparazione degli insegnanti, il servizio d'orientamento e la varietà degli insegnamenti. A favore delle private solo alcuni aspetti logistici: la protezione degli alunni e la pulizia delle aule. Sul contestatissimo principio della valutazione non mancano sorprese e contraddizioni: la stragrande maggioranza si dichiara favorevole, ma l'85 per cento di chi è d'accordo a livello individuale afferma che sono pochi gli altri colleghi che desiderano essere valutati. Oltre il 60 per cento la considera un mezzo per diversificare carriere e stipendi. ______________________________________________ Il Sole24Ore 25 mag. 01 VIA LIBERA DEFINITIVO AL RIORDINO DEGLI ALBI Ai laureati triennali va il titolo di "iunior" ROMA Albi divisi in due sezioni, per recepire i nuovi titoli universitari in sequenza, la laurea e la laurea specialistica. E per i laureati abilitati la qualifica professionale sarà completata dall'aggettivo "iunior": nasceranno così l'ingegnere o l'architetto iunior. Nello stesso tempo, dottori commercialisti e ragionieri preparano l'Albo unico, che però dovrà essere sancito per legge. Il Consiglio dei ministri di ieri ha approvato, in modo definitivo, due schemi di regolamento per raccordare gli ordinamenti professionali con i nuovi titoli universitari. In totale sono 15 le categorie professionali ridisegnate su proposta del ministero dell'Università. Dottori commercialisti e ragionieri, in attesa della professione unica, riorganizzeranno in modo speculare i rispettivi Albi: nella sezione A saranno ospitati gli attuali professionisti e i laureati specialisti, nell'elenco B saranno iscritti i futuri laureati o i diplomati universitari abilitati; gli attuali vertici delle due categorie saranno in carica fino al 31 dicembre 2004. _________________________________________________ Corriere Della Sera 25 Mag.01 LAUREA BREVE, NASCONO I "DOTTORI IUNIOR" Il sottosegretario all'Università: scelte chiare per gli studenti. Ma An: la riforma universitaria è tutta da cambiare Via libera del governo Approvati i regolamenti per l'accesso agli ordini professionali Roma. Dopo il "via libera" del Consiglio di Stato, il Consiglio dei ministri ha approvato ieri i due Regolamenti per l'accesso agli Ordini professionali con i nuovi titoli universitari istituiti con la riforma: laurea triennale e laurea specialistica biennale. Resta da risolvere il nodo della "fusione" fra commercialisti, ragionieri e periti commerciali. Ipotesi di fatto bocciata dal Consiglio di Stato con un parere nel quale - pur riconoscendo "l'inutilità di tenere distinti ordini professionali che, alla fine, verrebbero a svolgere attività analoghe, se non addirittura simili" - si ricordava che "non sembra esistere una specifica fonte normativa che autorizzi la fusione dei due ordini". IL GOVERNO OBBEDISCE - Per ora il Consiglio dei ministri ha deciso di istituire due sezioni provvisorie negli attuali albi, a cui si può accedere con una laurea "normale" e con una specialistica. Toccherà al nuovo governo e al nuovo Parlamento fondere, con una legge ancora da scrivere, in un unico Ordine (che dovrebbe chiamarsi Ordine dei dottori commercialisti e revisori dei conti) le due categorie. "DOTTORI IUNIOR" - Non è stato accolto invece dal Consiglio dei ministri il suggerimento del Consiglio di Stato di definire i nuovi laureati "dottori in": il governo ha preferito la dizione "iunior", suggerita dall'Accademia della Crusca a cui era stato chiesto un parere. E su indicazione della stessa Accademia si è deciso di scrivere "iunior" con la "i" latina anziché con la "j" all'americana. Per il sottosegretario all'Università Luciano Guerzoni si tratta di "una svolta nel mondo delle professioni, chiamato a esercitare un ruolo di primo piano nel processo di modernizzazione del Paese". Gli studenti che si iscriveranno all'università l'anno prossimo, spiega Guerzoni, "avranno la possibilità di scelte sicure del loro percorso di studi, avendo chiari fin dall'inizio gli sbocchi professionali dei nuovi titoli universitari". IL PRIMO REGOLAMENTO - Il primo dei due Regolamenti approvati comprende le professioni di dottore agronomo e forestale, architetto, assistente sociale, attuario, biologo, chimico, geologo, ingegnere, psicologo, più quelle di agrotecnico, geometra, perito agrario e perito industriale. Per tutte vengono istituite sezioni diverse all'interno degli albi professionali: una per i laureati, l'altra per gli specialisti. IL SECONDO, PROVVISORIO - Il secondo regolamento istituisce la distinzione provvisoria fra commercialisti, ragionieri e periti commerciali. Provvisoria perché, dice il ministero dell'Università, la differenza fra i due rami di attività "non pare giustificata, considerando che le competenze sono identiche". Una legge di riunificazione è indispensabile, secondo il ministero. Ma la prima replica non è rassicurante: il nuovo regolamento "è una presa in giro", dice la responsabile scuola di An, Angela Napoli. " Giuliano Gallo ___________________________________________________________________________ L'Unione Sarda 23 mag. 01 A SERGIO DEL GIACCO LA COMMISSIONE EUROPEA PER L'ALLERGOLOGIA Il professor Sergio Del Giacco, direttore del Dipartimento di ricerche mediche internistiche dell'Università di Cagliari, è stato eletto presidente della Commissione di Allergologia e Immunologia clinica della Comunità europea. Il prestigioso riconoscimento, gli è stato attribuito la settimana scorsa, in occasione del congresso dell'Accademia europea di Allergologia e immunologia clinica tenutosi a Berlino. E rappresenta anche un attestato particolarmente significativo per l'Università di Cagliari. La commissione presieduta da Del Giacco ha il compito di organizzare e uniformare, in collaborazione con l'Accademia, il curriculum didattico e assistenziale degli specialisti europei di Allergologia e Immunologia clinica e di tutelare la loro attività in ambito comunitario attraverso rapporti diretti con il Parlamento e il Consiglio della Comunità europea. Della Commissione fanno parte due rappresentanti per ogni nazione della Comunità, più due esponenti, senza diritto di voto, dei paesi destinati ad entrarvi nei prossimi anni (Est europeo ecc.). Affiancheranno il presidente Del Giacco i vicepresidenti G. Pauli (Francia), H. J. Malling (Danimarca), i segretari generali B.Hornung (Germania) e J.Rosado- Pinto (Portogallo), i tesorieri H. Merk (Germania), e R. De Beure (Belgio). Past president A. Palma-Carlos (Portogallo). ______________________________________________________________________ Repubblica 24 mag. 01 A BARI LA FACOLTÀ DI BIOTECNOLOGIE Università di Bari: via libera per Biotecnologie subito tre corsi specialistici. Il rettore Girone annuncia l'istituzione di una nuova facoltà: quattro sedi coinvolte ELENA LATERZA Sarà istituita a Bari la facoltà di Biotecnologie, ora è ufficiale. Lo ha annunciato il Rettore, Giovanni Girone, dopo l'approvazione a larga maggioranza del Consiglio di amministrazione. Quattro facoltà, Scienze, Medicina, Agraria e Veterinaria, sono coinvolte in questo progetto. I futuri laureati di questa classe, infatti, potranno svolgere attività professionali in diversi ambiti biotecnologici, industriale, agrario, ambientale, farmaceutico, sanitario, nonché in quello della comunicazione scientifica. "È una novità che rispecchia la spinta culturale dei nostri tempi - commenta Francesco Dammacco, prorettore dell'Università di Bari - le biotecnologie, infatti, possono essere applicate in molti settori. Al momento questo tipo di facoltà sta partendo in altre sedi, come Oxford, Monaco di Baviera e Lisbona. In questo senso il voto del Consiglio di amministrazione, che ha visto tutti favorevoli con una sola astensione, è un risultato importante". Per vedere fiorire questa facoltà bisognerà attendere almeno un paio d'anni. Molto dipenderà dalle risorse che le saranno destinate. Chi è interessato a questo tipo di studi può sperare nell'attivazione, prevista per il prossimo anno, di tre corsi di lauree specialistiche, gli stessi che un giorno andranno a costituire la facoltà ad hoc. Si tratta dei corsi in Biotecnologie mediche, veterinarie e farmaceutiche, in Biotecnologie industriali ed in Biotecnologie agrarie, approvati nelle rispettive facoltà. Si prevede per ciascun corso una laurea di base per i primi due anni ed una laurea specialistica nel triennio. Anche la futura sede al momento è un'incognita. Il costo di una struttura edilizia che possa ospitare la facoltà si aggira intorno ai 40 miliardi, una cifra insostenibile per il nostro Ateneo. Per questo si pensa ad una forma di sede dislocata nelle varie facoltà coinvolte. Del resto anche i docenti rimarranno in parte quelli attuali. "Bisogna vedere quale interesse questo tipo di studi susciterà nella nostra regione aggiunge Francesco Dammaccoper questo esiste un'apposita commissione sull'orientamento e sul tutorato, col compito di illustrare agli studenti dell'ultimo anno della scuola superiore le offerte formative della nostra Università". Positivo anche il parere di Giorgio Nuzzaci, preside della facoltà di Agraria, sulla neoistituzione: "Quella in Biotecnologie è una facoltà che potrebbe avere prospettive importanti nella ricerca e soprattutto che potrebbe offrire concrete opportunità nel mondo del lavoro, vista l'attualità dell'applicazione delle diverse discipline". ================================================================== ______________________________________________ Il Sole 24ore 23 mag. 01 MAXIAUMENTI PER LA SANITÀ. Raggiunta l'intesa: l'aumento medio è di 181mila lire. Per gli infermieri incremento di 400mila lire mensili. Il rinnovo costerà 2.400 miliardi di Paolo Del Bufalo e Roberto Turno I 565mila dipendenti non dirigenti del Servizio sanitario nazionale hanno conquistato il rinnovo del contratto. La trattativa, andata in porto all'Aran nella serata di ieri, vale 2.400 miliardi, quanto meno di costi stimati. E produrrà aumenti medi generalizzati di circa 181.500 lire medie mensili lorde pro-capite, indennità varie incluse. Ma per i 280mila operatori (in gran parte infermieri) che incasseranno la promozione alla fascia superiore (da C a D) l'incremento in busta paga sarà ben più sostanzioso: altre 220mila lire medie mensili, per un totale di 400mila lire lorde in più. E chi, ancora, riceverà le funzioni di "coordinamento" otterrà altri 3 milioni lordi l'anno, cui se ne potranno aggiungere altrettanti in caso di incarichi "particolarmente delicati" (come il personale che opera nelle urgenze e nelle terapie intensive). Chi già oggi ha l'"indennità di posizione", infine, beneficerà di un aumento che potrà arrivare fino a 18 milioni lordi l'anno. La decorrenza degli aumenti e dei passaggi di fascia, è prevista a partire dal prossimo 1° settembre. Una soluzione espressamente voluta da Governo e Regioni per poter spalmare nel tempo le risorse finanziarie. Con la sigla dell'intesa per il rinnovo del secondo biennio economico (2000-2001), i sindacati confederali hanno naturalmente annunciato la disdetta degli scioperi già proclamati come una mannaia per l'11 e il 12 maggio, proprio prima delle elezioni. Trattativa difficile e spigolosa, quella che s'è chiusa ieri. Che a fine marzo ha prodotto uno sciopero generale con tanto di manifestazione in piazza a Roma: una prova di forza che per la prima volta dopo anni ha visto riuniti sul palco i leader "massimi" di Cgil, Cisl e Uil. E davanti alla quale Governo e Regioni hanno dovuto cedere, se non l'onore delle armi, quanto meno sul piano finanziario: ai 1.200 miliardi stanziati dalla Finanziaria per il 2001, infatti, ne sono stati aggiunti altrettanti (con 400 miliardi per oneri sociali), indispensabili soprattutto per garantire quelle "promozioni" rivendicate nelle piattaforme sindacali in applicazione delle leggi varate tra il 1999 e il 2000 (concessione di laurea e dirigenza, abolizione di mansionari, riqualificazione di tutte le aree del comparto). Per evitare che la trasmigrazione dalla fascia C alla D possa creare situazioni di "scavalcamento" economico da parte dei nuovi arrivati rispetto a chi in D già era classificato, si utilizzerà il fondo realizzato grazie alla retribuzione individuale di anzianità (Ria). Fondo che, tuttavia, non potrà finanziare il balzo in avanti dei cosiddetti "livelli". Il passaggio da C a D sarà automatico, senza selezioni e, di fatto, per il ruolo sanitario la fascia C scomparirà dalla classificazione del personale. Tutto si è svolto secondo il copione scritto nella piattaforma di Cgil, Cisl e Uil. "Il contratto - ha dichiarato il segretario confederale della Fp-Cgil, Carlo Podda - permetterà un rafforzamento della riforma ter del Ssn, contribuendo alla difesa del servizio pubblico contro i tentativi di un suo smantellamento". Soddisfazione anche da parte di Rino Tarelli, segretario generale della Cisl Funzione pubblica, secondo cui col nuovo accordo "si adegua la posizione delle professioni, come già avvenuto per la dirigenza medica". "Abbiamo chiuso un contratto che rispecchia tutti i contenuti della piattaforma", ha aggiunto Carlo Fiordaliso, segretario confederale Uil. Buone notizie, infine, anche sul versante del contratto di lavoro dei ricercatori. Il sottosegretario al Murst, Antonino Cuffaro, ha annunciato ieri che anche per questa categoria sono in arrivo fondi freschi, grazie ai quali "sarà possibile sbloccare la progressione di carriera dei ricercatori, ferma da più di dieci anni". ______________________________________________ Il Sole24Ore 24 mag. 01 UNA MANOVRINA PER LA SANITÀ"AD APRILE AUMENTI DEL 40% - A fine mese il menù dei tagli possibili Roberto Turno ROMA A far tremare i polsi sono quei dati che cominciano ad affluire da più Asl: la spesa per i farmaci a carico dello Stato ha toccato in aprile aumenti fino (e anche oltre) al 40%. E le Regioni a questo punto non hanno dubbi: per frenare l'impennata della farmaceutica occorre mettere in cantiere fin da luglio una manovra di contenimento. Una richiesta precisa che "girano" al prossimo Governo, al quale sono intanto pronte a chiedere anche un'integrazione fino a 2mila miliardi per compensare incrementi dovuti a decisioni nazionali, dall'abolizione dei ticket all'allentamento delle note per limitare le prescrizioni. Che la "questione farmaci" sia in cima alle preoccupazioni più immediate dei governi locali, è emerso chiaramente nel corso dell'incontro, a tratti anche acceso, che un nutrito gruppo di assessori regionali ha avuto ieri con Farmindustria. Un incontro del tutto interlocutorio: per "misurarsi" reciprocamente ma soprattutto per cercare di affrontare insieme tutti i problemi sul tappeto. Problemi che le Regioni - ed è tempo che lo ripetono, fino ad affermare il rischio di un incremento della spesa per farmaci di 5mila miliardi sul 2000 - considerano irrisolvibili senza misure pressoché immediate capaci di raffreddare il trend in crescita dei conti. Mentre le imprese insistono su due tasti: la necessità di mettere in campo misure condivise e l'esigenza di non interrompere il trend di sviluppo. Farmindustria peraltro presenterà a breve le sue controproposte: strutturali (su Fondi integrativi, buon uso del farmaco, risparmi fino al 5% possibili con un sistema di acquisti completamente informatizzato) e congiunturali (controlli, linee guida sulle prescrizioni, confezioni ottimali: come dire, tutto ciò che non è stato applicato della Finanziaria 2001). Conti alla mano, le Regioni sembrano però decise ad andare avanti nella richiesta comune di spingere il prossimo Governo a prendere interventi per tirare il freno da subito alla spesa farmaceutica. Con una lista di interventi - che politicamente non sarà facile adottare e che in più casi potrebbero essere messi in cantiere con la Finanziaria 2002 - attesa per fine mese dalla "Commissione per la spesa farmaceutica" cui partecipano Governo, Regioni, industrie, farmacisti e grossisti. Il menù di misure (cumulative o alternative) attorno alle quali la "Commissione" sta lavorando, è tutto da completare: prezzo di riferimento per categorie terapeutiche omogenee, "liste" anche regionali di farmaci non essenziali con ticket calmieratori benché modesti, tetti per le Regioni che spendono di più, stop alle pluriprescrizioni, acquisti centralizzati, vincoli ai medici, controlli, riclassificazioni in C. Questi alcuni ingredienti del menù in discussione. Che sarà ultimato la prossima settimana e subito consegnato a Governo e Regioni. "Attendiamo le proposte della Commissione, dopo di che avvieremo un confronto politico e con le parti sociali per vedere come contenere la spesa almeno per la seconda metà dell'anno - afferma Fabio Gava (Veneto), "capofila" degli assessori alla Sanità -. Ma andranno analizzate a fondo le ragioni degli aumenti e attribuite le responsabilità. Certo è che qualche assessore avverte con disagio un aumento della spesa che va oltre ogni aspettativa". "Disagio" che Enrico Rossi (Toscana) non esita a manifestare: "Le imprese ci chiedono di controllare i medici: ma come fare se in Toscana scatenano ogni giorno 1.600 informatori scientifici negli studi dei medici? La spesa va ricondotta entro valori ragionevoli e chiediamo l'impegno del Governo a sostenere gli aumenti. Ma servono decisioni in tempi rapidi, altrimenti ci saltano i bilanci". ______________________________________________________________________ Repubblica 26 mag. 01 "L'EFFETTO PLACEBO NON ESISTE I MALATI GUARISCONO DA SOLI..." Uno studio danese: i casi accertati sarebbero frutto di una regressione spontanea GINA KOLATA NEW YORK - L'effetto placebo non esiste. La suggestione non ha un potere di guarigione. Alcuni ricercatori danesi smentiscono un'antica convinzione: sostengono, in uno studio pubblicato su The New England Journal of Medicine accolto con stupore e scetticismo che l'effetto placebo sarebbe solo un mito. Analizzando 114 studi pubblicati, per un totale di 7.500 pazienti affetti da 40 diverse patologie, gli autori non hanno individuato alcun elemento a sostegno della teoria comunemente accettata secondo la quale circa un terzo dei soggetti di studio migliora dopo la somministrazione di una sostanza innocua spacciata per un farmaco. Secondo gli studiosi danesi, invece, l'apparente miglioramento dei pazienti cui viene somministrato un placebo sarebbe da collegare al decorso irregolare, con alternanza di fasi acute, della maggior parte delle patologie. Autori della pubblicazione sono il dr. Asbjorn Hrobjarteson e il Dr. Peter C. Gotzsche, lavorano entrambi presso l'Università di Copenhagen e il Nordic Cochran Center, un'organizzazione internazionale di medici ricercatori dedita all'analisi degli studi clinici randomizzati. "La reazione degli altri ricercatori è stata di sorpresa ma, in una certa misura, anche di soddisfazione, lo spunto per una riflessione", ha detto Hrobjarteson. Donald Berry, ad esempio, esperto di statistica presso il centro oncologico M.D. Anderson di Houston, si è detto da tempo personalmente convinto che l'effetto placebo non sia altro che una regressione spontanea della malattia. Johnatan Moreno, direttore del Centro di etica biomedica presso l'università della Virginia, si dice ugualmente convinto che l'effetto placebo possa essere solo una "leggenda metropolitana" in campo medico. Una limitata evidenza dell'effetto placebo è stata riscontrata dai ricercatori nei giudizi soggettivi dei pazienti, ad esempio nel quantificare il dolore, ma secondo Hrobjartsson più che di un effetto reale si dovrebbe parlare di pregiudizio. I pazienti infatti tendono a voler compiacere il ricercatore e dichiarano quindi di sentirsi meglio. Hrobjartsson e Gotzsche sostengono di aver iniziato a studiare il fenomeno per pura curiosità. Le riviste e i testi scientifici continuavano a sostenere che la somministrazione di un placebo provocava in media un miglioramento nel 35% dei pazienti e i due ricercatori iniziarono a chiedersi che basi avesse questa affermazione. Hrobjartsson fece una riflessione diversa. E se dietro l'effetto placebo si celasse una normale variazione del decorso della malattia? Hrobjartsson iniziò insieme a Gotzsche a individuare studi in cui i pazienti fossero correttamente divisi in tre gruppi, un gruppo cui era stato somministrato il farmaco, uno cui era stato somministrato un placebo, e un terzo non trattato. I due ricercatori temevano all'inizio di non riuscire a mettere insieme più di 20 studi di questo tipo, ma, con grande sorpresa, ne trovarono ben 114, pubblicati tra il 1946 e il 1998. Analizzando i dati gli studiosi danesi non riuscirono a trovare effetti misurabili dei placebo. Il Dr. John C. Bailar III, docente all'università di Chicago, che ha scritto una presentazione allo studio sul placebo, sostiene che i risultati della ricerca mettono in discussione alcune accreditate teorie sul rapporto mentecorpo. "Credo che si dovrebbe ridurre drasticamente la somministrazione di placebo, ma questo studio non basterà a far cambiare le cose, ci vorranno almeno altre due ricerche ad impatto elevato". copyright New York Times/la Repubblica (traduzione di E. Benghi) ______________________________________________________________________ Repubblica 21 mag. 01 INDIVIDUATA LA PORZIONE CEREBRALE CHE RICONOSCE I COLORI DEL MONDO la scoperta Roma - A rivelarci il colore degli oggetti è una regione del cervello localizzata nei lobi occipitale e temporale sinistri. Lo rivela il professor Gabriele Miceli, neurologo dell'università cattolica di Roma, su uno studio pubblicato oggi da Nature Neuroscience. Il ricercatore e la sua equipe hanno studiato pazienti colpiti da ictus che avevano subito un danno in quei lobi del cervello. Queste persone riuscivano a distinguere il colore di un oggetto nel momento in cui lo osservavano, ma se gli si domandava qual è il colore tipico di un arancio rispondevano "Blu". Una rana era viola, un canarino verde. "Percepire i colori - spiega Miceli - e ricordare il colore tipico degli oggetti sono due capacità diverse. Hanno origine in punti vicini, ma distinti del cervello". Un'altra regione ancora ci aiuta a riconoscere la forma degli oggetti. "Ecco perché - conclude il neurologo - riusciamo a vedere anche film in bianco e nero". ______________________________________________________________________ Le Scienze 24 mag. 01 NICOTINA CONTRO LA TUBERCOLOSI Se confermato, il risultato potrebbe aprire la strada a nuovi farmaci per curare la malattia Il batterio della tubercolosi può essere neutralizzato con minime quantità di nicotina, inferiori a quelle contenute in una sigaretta. Lo hanno scoperto i ricercatori dell'Università della Florida secondo quanto annunciato al congresso dell'American Society for Microbiology, tenutosi a Orlando. In futuro, quindi, potrebbe essere possibile utilizzare la sostanza per risolvere il problema sempre più grave delle forme della malattia resistenti agli antibiotici. Ovviamente, tengono a sottolineare gli scienziati, non si tratta di un invito al tabagismo, che costituisce un consistente fattore di rischio per il tumore polmonare. Secondo Saleh Naser, che ha guidato il gruppo di ricerca, il fumo non sarebbe comunque una buona terapia, poiché produce livelli di nicotina non costanti e con dosaggio scorretto. A riprova di ciò, le statistiche indicano che l'incidenza della tubercolosi non è inferiore nei soggetti fumatori. Piuttosto, la speranza è di sviluppare una terapia per somministrazione orale, se le ricerche future confermeranno i risultati. Molte sostanze, infatti, sembrano efficaci in provetta, ma spesso non lo sono altrettanto nella sperimentazione umana. La scoperta, che resta comunque interessante, è stata fatta per puro caso, quando un ricercatore ha inserito un gene in una pianta di tabacco per far produrre una proteina che si sperava fosse efficace contro i batteri della tubercolosi. I test hanno però mostrato che le piante modificate erano altrettanto efficaci di quelle normali e studi successivi hanno identificato la nicotina come agente antibatterico responsabile dell'effetto. In coltura, una quantità di nicotina pari a 0,27 microgrammi per millilitro era sufficiente a fare piazza pulita del Mycobacterium tuberculosis e di combattere altri batteri simili. ______________________________________________________________________ Repubblica 21 mag. 01 IL JET LAG RIMPICCIOLISCE IL CERVELLO hostess e piloti perdono la memoria ROMA - Viaggiare troppo spesso da un continente all'altro può causare l'assottigliamento del lobo temporale, una sezione del cervello coinvolta nella memoria. Lo ha dimostrato un professore dell'università di Bristol, Kwangwook Cho, che ha sottoposto all'esame della risonanza magnetica un gruppo di piloti, hostess e steward costretti a convivere con l'effetto jet lag per parecchi anni di seguito. Lo studio, apparso oggi su Nature Neuroscience, riferisce di un assottigliamento della regione temporale del cervello con peggioramento della memoria. La riduzione del volume è dovuta all'elevata produzione di cortisolo, un ormone necessario a fronteggiare le situazioni di stanchezza e di stress tipiche di un lungo volo. Altri piloti che effettuavano rotte intercontinentali, ma con intervalli più lunghi, erano immuni dal fenomeno perché avevano più tempo per adattarsi al cambiamento di fuso. ______________________________________________________________________ Le Scienze 24 mag. 01 POLIMERO KILLER DI GERMI Un semplice rivestimento del materiale potrebbe rendere gli oggetti permanentemente sterili In un articolo pubblicato sui "Proceedings of the National Academy of Sciences", Joerg C. Tiller del MIT ha descritto un nuovo polimero, messo a punto insieme ad alcuni colleghi, che è un vero e proprio killer di germi, in grado di sterilizzare permanentemente maniglie delle porte, strumenti chirurgici e qualsiasi altro oggetto. Trattando in questo modo molti oggetti di uso comune, sarebbe possibile combattere la diffusione dei batteri che avviene normalmente attraverso starnuti e mani sporche, che sono due tra le più comuni sorgenti di infezioni. Nell'articolo, gli scienziati riferiscono che uno strato del nuovo materiale, chiamato exil-PVP, è in grado di uccidere fino al 99 per cento degli stafilococchi, delle pseudomonas e di altri agenti patogeni per l'uomo. Nelle verifiche di laboratorio, lastre di vetro ricoperte dal polimero sono state spruzzate con sospensioni contenenti ceppi di batteri normalmente presenti nelle case e negli ospedali. I risultati sono stati poi confrontati con quelli ottenuti esponendo normali lastre di vetro non trattate alle stesse soluzioni. Secondo i ricercatori, l'exil-PVP uccide i batteri distruggendo la loro membrana più esterna. Si tratta di una reazione chimica che probabilmente non permetterà ad alcuni ceppi di sviluppare una resistenza, come avviene per gli antibiotici. Il rivestimento antibatterico potrebbe essere inserito facilmente ed economicamente nel processo costruttivo di molti oggetti di uso comune, che risulterebbero così permanentemente sterili. Ovviamente, la superficie richiederebbe lavaggi periodici per eliminare i batteri morti che vi si accumulano. ______________________________________________________________________ Le Scienze 23 mag. 01 LE ORIGINE GENETICHE DELLA MALATTIA DI CROHN Le infiammazioni dovute a questa patologia sono dovute al fatto che il gene difettoso provoca un attacco dell'intestino contro la sua normale flora batterica Un gene che conferisce una particolare predisposizione a sviluppare la malattia di Crohn, una malattia dell'apparato digerente, è stato indicato indipendentemente da due gruppi di ricerca, in Europa e negli Stati Uniti. La malattia compare quanto il sistema immunitario stimola infiammazioni e ulcere nell'intestino. Secondo gli scienziati, questo avviene perché il gene difettoso fa si che l'intestino attacchi la sua normale flora batterica. Secondo gli scienziati, responsabile della malattia, che colpisce circa una persona su mille, sarebbe un gene noto come Nod2, che è alterato in almeno il 15 per cento dei pazienti. La proteina codificata da questo gene serve in effetti a individuare i batteri indigeni dell'intestino e a coordinare le risposte immunitarie. In pratica, i pazienti affetti dalla malattia producono una proteina modificata che non ha controllo sul sistema immunitario. Senza questo controllo, il corpo attacca anche i batteri innocui che vivono nell'intestino. I genetisti avevano già identificato un grande segmento del cromosoma 16, che sembrava implicato nella malattia, ma trovare il gene responsabile fra i circa 30 milioni di lettere del DNA non è stato un compito semplice. Entrambi i gruppi sono però riusciti a ridurre man mano la parte interessata, fino a indicare con precisione lo stesso gene. Al momento, la malattia viene trattata con antinfiammatori e, nei casi più gravi, chirurgicamente. Una migliore comprensione della genetica potrebbe però migliorare sia le diagnosi che i trattamenti. In particolare, il ripristino delle normali funzioni del gene Nod2 potrebbe prevenire completamente la malattia.