ARRIVA L’ATENEO PER IL NON PROFIT SILIQUINI: IL CORSO TRIENNALE NON FORMA ABBASTANZA SARÀ RINVIATA LA RIFORMA DELLA SCUOLA» IL NUOVO GOVERNO PUÒ DAVVERO INVESTIRE NELLA RICERCA SCIENTIFICA CALL CENTRE, L'ATENEO DI PADOVA È AL TELEFONO. BOCCONI «IL SINDACATO DEVE FARE IL SINDACATO» L'INUTILE ESAME DI STATO ==================================================== POLICLINICO ROMA: "ASSUNTI IMPEGNI PER RILANCIARE L'OSPEDALE" USA: BRACCIO DI FERRO SULLA SANITÀ- BATTUTO BUSH LA SOCIETÀ MODERNA NON HA TEMPO DA DEDICARE AGLI ANZIANI ASL 5 PIOVONO 45 MILIARDI SU OSPEDALE E AMBULATORI GLI ASPIRANTI DOTTORI ASSUNTI COME CAMERIERI NEL WEEKEND SE LA SALUTE È UNA MERCE SANGUE INFETTO, SANITÀ CONDANNATA L' AUTISMO HA BASI GENETICHE I GENITORI NON HANNO COLPE PROSPETTIVE PER I TUMORI DEL CERVELLO CARDIOCHIRURGIA, LA RICETTA VIGANÒ UNO SCALPELLO LASER PER LA CHIRURGIA DELL’OCCHIO CHEMIOTERAPIA, ARRIVA UN’ANALISI PER SCOPRIRE QUANDO È EFFICACE SCOPERTA L’ORIGINE DELLA RESISTENZA GENETICA ALLA MALARIA DIABETE, CELLULE DI MAIALE NELL’UOMO DIABETE: CELLULE PANCREATICHE, PRESTO IL TRAPIANTO A PALERMO ==================================================== ________________________________________________________________ Il Sole24Ore 18 giu. 01 ARRIVA L’ATENEO PER IL NON PROFIT Francesco Maggio È stata posta la prima pietra della futura Università del Mezzogiorno per il Terzo settore, che avrà come obiettivo la creazione di corsi di studio e di formazione sul non profit per soddisfare la crescente domanda di professionalità espressa dagli enti senza fine di lucro del Sud. Il percorso a tappe al termine del quale vedrà la luce un vero e proprio ateneo, ubicato in una città del Sud, è iniziato qualche giorno fa nell’ambito della Conferenza di Napoli su «Il Terzo settore e l’importanza della formazione», con la presentazione dell’Ist-Istituto superiore per lo sviluppo del Terzo settore. Si tratta di un soggetto integrato di interesse pubblico (ai sensi della direttiva comunitaria 92/50), a carattere multiregionale, composto da Università, istituti di ricerca pubblici e privati e soggetti privati con know-how specifico (si veda la tabella). Compito dell’Istituto sarà innanzitutto quello di costituire un osservatorio sulle nuove professioni e sui processi formativi del Terzo settore con attività di monitoraggio, informazione, animazione e consulenza. Nel contempo, esso attiverà tutta una serie di iniziative volte alla realizzazione dell’ateneo, inteso come network di istituzioni capaci di elaborare percorsi formativi tali da soddisfare le esigenze espresse dalle realtà del Terzo settore operanti sul territorio meridionale. Una volta a regime il tandem osservatorio-università, l’Ist si impegnerà a individuare le più opportune strategie di crescita del settore non profit che ne consentano il radicamento territoriale, l’innovazione e l’internazionalizzazione. «Centrati i primi due obiettivi — sottolinea Antonio Venece, coordinatore delle attività dell’Ist — l’istituto potrà dedicarsi a tempo pieno al consolidamento dell’economia civile meridionale». Ma per quali ragioni far nascere addirittura un’Università del non profit (e non, per esempio, un "semplice" corso di laurea)? E perché proprio al Sud? «Per rispondere alla prima domanda — afferma Stefano Zamagni, membro del comitato scientifico dell’Ist e suo presidente in pectore — bisogna partire dalla considerazione che oggi il settore non profit si trova a dover affrontare problemi di conoscenza e di "emancipazione" culturale non più rinviabili». «Finora esso — continua Zamagni — è stato prevalentemente legato a fenomeni spontaneistici e volontaristici. Fatto lodevolissimo, naturalmente. Se però vuole fare un vero salto di qualità, se ha intenzione di assumersi fino in fondo la responsabilità di dar seguito concreto a leggi come quella recentemente approvata sulla riforma dell’assistenza o quella sulle fondazioni di origine bancaria, ebbene il Terzo settore dovrà necessariamente accrescere il livello di preparazione complessivo dei suoi addetti e passare dallo stadio della giovinezza a quello della maturità». Ma perché istituire l’Università nel Mezzogiorno? «Perché il divario Nord-Sud — aggiunge l’economista bolognese — non è solo una questione che riguarda l’economia e la finanza ma anche, se non soprattutto, la società civile. E un ritardo di questo tipo è preoccupante perché per far nascere organizzazioni non profit non ci voglionocapitali enormi, quanto piuttosto reti di relazione, i cosiddetti beni relazionali, che si producono laddove vi sono forti legami di fiducia tra i cittadini». Di qui la scelta di agire sul fronte della ricerca e della formazione con una struttura che mette insieme università, enti di ricerca e altre istituzioni di varie aree del Paese, in modo da porre le basi per creare quella cultura della reciprocità, dei legami relazionali che costituiscono uno dei presupposti indispensabili affinché vi sia sviluppo economico e civico di un territorio. «Si vuole dimostrare, in altri termini conclude Zamagni — che stare insieme fa bene. Si vuole offrire una testimonianza concreta di cosa significhino collaborazione e fiducia e quindi mettere in condizione i ragazzi del Sud di trasformare a loro volta questo esempio in iniziative concrete». ________________________________________________________________ Italia Oggi 22 giu. 01 SILIQUINI: IL CORSO TRIENNALE NON FORMA ABBASTANZA Il sottosegretario all'istruzione illustra i programmi per scuola e università. Lauree, servono correttivi. di Luigi Berliri Stop per un anno alla riforma dei cicli scolastici. Ma si dovrà intervenire anche sull'università: ³Le lauree brevi sono destinate a fallire perché non formano sufficientemente gli studenti ai futuri impegni professionali². È Maria Grazia Siliquini (An), sottosegretario al ministero dell'istruzione ad annunciarlo: ³La riforma dei cicli scolastici sarà sospesa per un anno mentre quella dell'università, pur potendo partire, dovrà essere sottoposta a un'attenta valutazione per trovare idonei aggiustamenti che consentano di modificare quegli aspetti che non soddisfano. Anche in questo campo avverte la Siliquini i problemi non mancano. Le lauree brevi non formano sufficientemente gli studenti ai futuri impegni professionali. Le università tecniche hanno già messo a regime la normativa, nonostante le osservazioni negative di gran parte del mondo accademico². Questo governo nasce con uno slogan: abroghiamo la riforma Berlinguer. Dall'opposizione e dai sindacati si sono levate grida di protesta. Come intendete gestire questa fase delicata, visto che tra poco più di tre mesi riaprono le scuole? Necessità che questa riforma entri in vigore in tempi brevi proprio non ne vedo. Se una riforma è sottoposta critiche da una così ampia parte del paese e da un ampio ventaglio di categorie e ordini professionali, richiede una pausa di riflessione. È meglio quindi rinviare e studiare modifiche piuttosto che far entrare in vigore norme che scardinano l'educazione dal punto di vista della qualità. Perché si avrà un'educazione di minor qualità? Si è voluto arrivare a una veloce educazione su vari livelli ma assolutamente non qualificata. Non si tratta però solo di contrazione di tempi. Abbiamo un vero e proprio decadimento della qualità dell'insegnamento che non possiamo certo dare ai nostri ragazzi. Per quanto riguarda invece l'università? Il discorso, in questo caso, è diverso e molto complesso. Alcuni atenei hanno già varato i regolamenti attuativi. Non rinvieremo quindi la partenza della riforma, anche se questo non vuol dire che non ci siano problemi. Avremo infatti dei laureati in giurisprudenza in tre anni che non saranno in grado di svolgere seriamente un'attività professionale. Per essere dei professionisti preparati si dovrà conseguire la laurea lunga. Insomma, la selezione la farà poi la vita. Qual è il messaggio che deve essere dato ai sindacati che si preparano al confronto a difesa della riforma Berlinguer? Fare la guerra ad un governo che mostra di voler valutare con attenzione quali siano le conseguenze di riforme volute solamente da una parte politica è una presa di posizione ideologica. E non si traduce in un'attenzione si problemi reali della scuola. Ci sono tanti professori assolutamente contrari alla riforma dei cicli. E anche loro debbono avere una voce in capitolo. Non serve scendere in piazza, ma il sindacato deve imparare ad accettare il dialogo che viene offerto. E il messaggio che il governo invia agli insegnanti? Anche a loro diciamo: trattiamo senza pregiudizi. Si debbono risolvere i problemi di stipendi insufficienti e di situazioni frustranti visto che non sono valorizzati per il loro lavoro. E una soluzione si può trovare solo con un serio confronto e con la concertazione. ________________________________________________________________ Il Corriere della Sera 22 giu. 01 SARÀ RINVIATA LA RIFORMA DELLA SCUOLA» Berlusconi: i cicli di elementari e medie bloccati per decreto. L' ex ministro Berlinguer: anticostituzionale Confermato invece l' avvio delle lauree brevi. «Ma forse saranno necessari aggiustamenti» Benedetti Giulio «Sarà rinviata la riforma della scuola» Berlusconi: i cicli di elementari e medie bloccati per decreto. L' ex ministro Berlinguer: anticostituzionale ROMA - Luce rossa per i cicli scolastici. Luce verde per le lauree brevi. La riforma scolastica più importante varata dal governo di centrosinistra non partirà. Sarebbe dovuta entrare in vigore a settembre, coinvolgendo i bambini di prima e seconda elementare. Ma dal Senato è arrivato lo stop definitivo del presidente del Consiglio. E con l' opposi zione si riaccende lo scontro, alimentato anche dalle dichiarazioni del premier in materia di sussidiarietà e ruolo dei privati nel servizio scolastico. Il centrosinistra parla di «incostituzionalità» e di «smantellamento delle riforme». BERLUSCONI - Nell' intervento che ha aperto il dibattito sulla fiducia Silvio Berlusconi ha confermato il proposito più volte annunciato in campagna elettorale. «Rifiutiamo la strutturazione in cicli, così come disposta, della scuola elementare e media - ha dett o il presidente del Consiglio -. Il governo ritiene necessaria una compiuta e complessiva valutazione del problema degli ordinamenti scolastici in tutti i suoi aspetti, familiari, pedagogici, sociali. A questo fine l' attuazione della riforma va rinv iata». Per l' università non si annunciano invece contraccolpi. Nel prossimo anno accademico le lauree brevi partiranno regolarmente. «Sarebbe dannoso interrompere la corsa», ha spiegato il premier, che però non ha escluso «gli aggiustamenti e i corr ettivi necessari». IL DECRETO LEGGE - La riforma dei cicli sarà sospesa con un decreto legge che verrà approvato in una delle prossime riunioni del governo. Una decisione, ha sottolineato il presidente del Consiglio, in qualche modo anticipata dalla bocciatura della riforma da parte della magistratura contabile: «La Corte dei conti, formulando un rilievo sul regolamento che prevedeva l' avvio della riforma delle prime due classi dell' attuale scuola elementare a partire dal prossimo primo settem bre, ha comunque già di fatto reso impossibile l' avvio della riforma per tale data». LE CONSEGUENZE - Per i sostenitori della riforma, la sospensione dei cicli significa bloccare il lavoro avviato in numerose scuole. E' significativo lo slogan scelt o dalla Cgil per contrastare i propositi del governo: «La riforma che c' è». Per il sottosegretario all' Istruzione, Valentina Aprea, invece non ci sarà nessuna conseguenza: «La sospensione non determinerà alcuno sconvolgimento nelle scuole. Infatti, nelle prime e seconde classi, quelle interessate alla partenza della riforma, in realtà i programmi e le innovazioni non erano stati comunicati per tempo o illustrati pienamente e operativamente né alle famiglie né tanto meno agli insegnanti». Sareb be stato, secondo Aprea, «un inizio solo di facciata, non di sostanza». IL CENTROSINISTRA - «Gravemente incostituzionale»: è il giudizio dell' ex ministro dell' Istruzione, Luigi Berlinguer, padre delle riforme del centrosinistra sulla parte del disc orso programmatico riguardante l' istruzione. «Secondo la Costituzione lo Stato ha il dovere di istituire scuole dovunque e nega il principio di sussidiarietà - ha osservato il senatore diessino -. Nel discorso di Berlusconi c' è una netta preferenza per le scuole private. Questo significa la sua proposta di sospendere i cicli scolastici. Vuol dire solo sospenderli per dar corso a un altro disegno. E qui c' è una linea eversiva, è bene che gli italiani lo sappiano». «Berlusconi ha ripresentato i l programma elettorale, peraltro in termini generici, salvo scuola e sanità - ha detto l' ex ministro della Funzione pubblica, Franco Bassanini - dove il centrodestra ha presentato un disegno di smantellamento». Giulio Benedetti L' appello: stop anch e per l' Università ROMA - Ancora un appello per la sospensione della riforma universitaria. La lettera con un centinaio di firme, tra cui Luciano Canfora, Franco Cardini, Ernesto Galli Della Loggia, sarà inviata oggi al ministro della Pubblica istru zione, Letizia Moratti, a rettori e presidi delle Università. «Ci ricolleghiamo - si legge nel testo - ai numerosi appelli di protesta ... che hanno sollevato questioni cruciali non solo per il mondo accademico e la ricerca scientifica, ma anche per la società: tali ad esempio la libertà di insegnamento, il rapporto fra didattica e ricerca, la dequalificazione dell' insegnamento e delle lauree, lo svilimento della funzione di formazione critica dell' università, la mercantilizzazione della cultu ra». Secondo il gruppo di docenti, «l' attuazione della riforma universitaria richiederebbe un impegno finanziario di migliaia di miliardi». La riforma «è stata concepita in collegamento con quella per la scuola già in fase di sospensione», si sostie ne nell' appello. Inoltre «il quadro europeo non è affatto omogeneo al riguardo, come hanno dimostrato i ripensamenti su riforme simili in Spagna, Germania, Austria». Per questo «chiediamo un urgente provvedimento ministeriale di moratoria che consen ta a governo e comunità universitaria una appropriata pausa di riflessione». ________________________________________________________________ Il messaggero 23 giu. 01 IL NUOVO GOVERNO PUÒ DAVVERO INVESTIRE NELLA RICERCA SCIENTIFICA IN 5 ANNI È POSSIBILE FARE MOLTO DI PIÙ di ALBERTO OLIVERIO L’ITALIA investe in ricerca scientifica meno della metà di quanto investono, in proporzione, gli altri partner dell’Unione Europea, ha il poco invidiabile primato del più basso rapporto tra numero di abitanti e ricercatori attivi, esporta i ricercatori più giovani, e spesso migliori, all’estero. Questi mali del paese sono noti da tempo ma le statistiche più recenti indicano che nel campo della ricerca scientifica la situazione non migliora: l’Italia spende la metà rispetto alla media europea (circa 22.000 miliardi contro 42.000), è al quinto posto per investimenti in ricerca e scende all’ultimo posto sia per gli investimenti nella ricerca di base, sia per le esportazioni hightech, vale a dire per l’alta tecnologia. La percentuale del prodotto nazionale lordo investita nella ricerca di base è veramente minima rispetto ad altri paesi industrializzati e rappresenta un quarto o un terzo rispetto a quanto vi dedicano gli Usa, la Francia, l’Inghilterra, il Giappone... Queste cifre sono state ieri al centro di un convegno promosso dall’Adi, l’associazione che raggruppa i dottorandi e i dottorati di ricerca italiani, che ha presentato anche un libro sulla fuga dei cervelli dal nostro paese, doppiamente grave in quanto i nostri atenei formano spesso degli ottimi ricercatori per poi cederli ad altri paesi. Eppure il ruolo della ricerca, di base e applicata, è uno dei principali indicatori della capacità competitiva di un paese nel produrre innovazione ed esportarla: l’attenzione rivolta alla ricerca scientifica è anche indicativa di un atteggiamento razionale nell’affrontare i problemi, nel gestire la complessità, nell’accettare le sfide legate alla rapida evoluzione della nostra società. Purtroppo, salvo sparuti ed episodici segnali, i precedenti governi hanno manifestato scarsa sensibilità, se non indifferenza, nei riguardi della ricerca cosicché ci trasciniamo da anni e anni una serie di problemi irrisolti, non ultimo quello della formazione di nuovi ricercatori e di un loro inserimento in un sistema-ricerca zoppicante e caratterizzato da un’età media elevata. Quali sono le cause dello scarso interesse di un’intera classe politica nei confronti della ricerca? Molti hanno sottolineato i condizionamenti di una cultura fortemente umanistica, poco attenta ai valori e al ruolo della scienza: io credo che il punto centrale sia invece legato agli scarsi e tardivi ritorni degli investimenti nel campo della ricerca per governi destinati, almeno in passato, a durare tempi brevissimi. Detto in termini ancora più chiari, gli investimenti nella scienza non comportano immediate ricadute d’immagine per politici miopi: sono necessari anni perché massicci investimenti, sottratti ad altri settori più “appariscenti", comportino ricadute concrete, sia a livello della ricerca pura che di quella applicata. Gli investimenti, inoltre, non possono essere disgiunti da una ristrutturazione degli studi universitari che, almeno in campo scientifico, richiedono che gli studenti frequentino gli atenei, siano seguiti da giovani assistenti, facciano esperienze empiriche e non cartacee o virtuali. Mettere mano al settore della ricerca significa quindi scardinare un sistema incancrenito, università che spesso vengono frequentate per corrispondenza, laboratori vecchi di decenni e decenni, carriere spesso improntate a riti concorsuali indegni di un paese moderno. E’ stupefacente che, malgrado i mali che affliggono le nostre università, minacciate da un’onda di lauree brevi che rischiano di ampliarne le crepe, il nostro sistema-ricerca sia ancora caratterizzato da punte di eccellenza: ma raggiungere queste punte in Italia significa spesso lavorare il doppio, affannarsi a risolvere problemi quotidiani, sobbarcarsi un forte carico di frustrazioni che molti giovani finiscono per scuotersi di dosso, ingrossando le file dell’emigrazione scientifica. Il governo Berlusconi, che ha un ministro per l’innovazione tecnologica e una manager al ministero dell’istruzione e ricerca scientifica, ha indicato tra le sue priorità la modernizzazione del paese: questa passa soprattutto per la ricerca scientifico-tecnologica, per massicci investimenti in questo settore. Il governo attuale, a differenza di quelli precedenti, può restare in carica a lungo e sottrarsi, se vuole, alle dinamiche dei “ritorni a breve": può investire in ricerca e attendere alcuni anni per apprezzarne i frutti. Se anche l’opposizione sostenesse un simile programma con un atteggiamento bipartisan, il sistema-paese potrebbe trarne enormi benefici. ________________________________________________________________ Il Mattino di Padova 20 giu. 01 CALL CENTRE, L'ATENEO DI PADOVA È AL TELEFONO. Informazioni-orientamento da oggi aperto lo "sportello". Chiamando un numero unico, in tempo reale e dalla viva voce di operatori, ogni notizia su nuove lauree "3+2" le strutture e i servizi di Paolo Vigato È stato battezzato Call Centre, con una sottolineatura linguistica che intende evidenziarne la differenza, il "di più" rispetto alla miriade di iniziative d'informazione che prolificano in quest'era di comunicazione globale (i call- center sono ormai diffusi dal livello delle grandi organizzazioni fino a quello delle piccolissime aziende commerciali). "Abbiamo fatto Centre" è lo slogan di lancio del nuovo servizio dell'Università di Padova, rivolto ai suoi iscritti ma in particolare alle prossime matricole, cioè agli studenti che ora stanno concludendo le scuole medie superiori. Parte oggi con piena operatività, pur se per il momento è sperimentale e verrà presto potenziato. È stato presentato ieri a Palazzo Storione, dove ha sede. Si tratta in pratica di uno sportello informativo telefonico (al quale si accede con il numero unico 049.8273131, dal lunedì al venerdì in orario continuato 9- 18) a disposizione dell'utenza studentesca del nostro Ateneo e soprattutto, per il momento, proprio dei giovani che stanno affacciandosi al mondo universitario. Attraverso questo servizio sarà possibile avere, dalla viva voce di operatori in carne e ossa e non tramite forme di interattività computerizzata, ogni notizia concernente la "macchina" del Bo, e particolarmente tutti gli elementi utili all'orientamento per chi si appresta a scegliere il corso di laurea a cui iscriversi. Il Call Centre, attrezzato in una sala al piano interrato dello Storione, consta di sette postazioni telefono-computer contemporaneamente occupate da altrettanti operatori (in tutto sono 16, diversi dei quali studenti loro stessi, compresi tre group-leader e un supervisore). La struttura, il cui avvio e le cui spese per il primo anno impegnano circa mezzo miliardo d'investimento per le casse dell'amministrazione del Bo, è affidata in gestione alla cooperativa sociale Giotto (presieduta da Nicola Boscoletto, e "del giro" della Compagnia delle Opere ciellina), il cui progetto ha vinto il relativo concorso di appalto bandito dall'Ateneo. La selezione e la formazione del personale sono invece còmpito della società Pragma (diretta dal professor Giampietro Turchi e alla quale aderiscono soprattutto docenti universitari). L'input iniziale è venuto anche dall'esperienza dell'Apple Multicenter di Milano. Ieri mattina l'iniziativa è stata presentata dal prorettore Lorenzo Bernardi, dal direttore amministrativo Giuseppino Molinari, da Alessandro Biolchi coordinatore dell'area comunicazione & immagine del Bo e da Fiorenza Campelli responsabile delle pubbliche relazioni. Lo stesso rettore Giovanni Marchesini - rappresentato e "citato" in questa occasione da Bernardi - di recente ha più volte rilevato come la grande riforma degli ordinamenti universitari, che sarà istituzionalmente introdotta nel prossimo anno accademico, costringa gli atenei a una serrata competizione: che si gioca sui piani sia dell'offerta didattica, sia della qualità dei servizi. Il Call Centre è stato dunque pensato e organizzato come accesso all'informazione - diretta, semplice e completa - per chiunque studi o sia interessato a iscriversi al Bo; ma anche come "biglietto da visita", come auto-presentazione e "prima voce" da parte dell'Ateneo, che attraverso questa ambiziosa struttura vuol dare anche all'esterno un'immagine del proprio "stile" e un messaggio di efficienza ed efficacia. Non una mera macchina tecnicamente informativa, però. Gli operatori, collegati via-pc al sistema universitario web, sono in grado di fornire immediatamente all'utenza telefonica degli studenti (e anche dei loro familiari) ogni notizia richiesta, ma anche spunti per l'orientamento. Il tutto in un vivo rapporto colloquiale fra persone. In dettaglio il Call Centre può fornire in tempo reale le informazioni generali su strutture e luoghi, sul funzionamento del Bo (segreterie, uffici e sportelli automatici, aule, biblioteche, laboratori, servizi vari), e ogni elemento orientativo all'offerta didattica dell'ateneo (con i contenuti della riforma "3+2", tutti i nuovi corsi di laurea, le attività appunto di orientamento e consulenza programmate dall'apposito ufficio per agevolare la scelta della Facoltà), le scadenze con le date e le modalità delle prove di ammissione e delle pre-iscrizioni e immatricolazioni, le prestazioni offerte nell'àmbito del diritto allo studio. In futuro il servizio verrà esteso per gli studenti frequentanti. ________________________________________________________________ Il Sole24Ore 22 giu. 01 BOCCONI «IL SINDACATO DEVE FARE IL SINDACATO» Indagine della Bocconi sulle aspettative degli iscritti: no all’azione come soggetto politico MASSIMO MASCINI ROMA - Il sindacato sta male, soffre di crisi di abbandono dei suoi iscritti, vive un declino evidente. Oppure no, il sindacato sta bene, tanto è vero che i lavoratori sono sempre più contenti, ma occorre capire quale è il modello di organizzazione migliore e attrezzarsi di conseguenza. Due tesi che ieri si sono confrontate nel compito di decidere se al sindacato serve più trasparenza e responsabilizzazione. A sostenere la prima tesi era un dotto volume, frutto della collaborazione di una serie di studiosi, tutti tesi a dimostrare che al sindacato serve accountability, appunto maggiore responsabilità e trasparenza. Il volume è stato realizzato dall’Iea (Istituto di economia aziendale) dell’Università Bocconi di Milano e dalla Arthur Andersen che da anni studia appunto la necessità di un bilancio sociale delle imprese e in generale dei soggetti della società. Sergio Romano, che presiedeva la tavola rotonda che ha discusso i risultati del volume, è partito proprio da questo assunto del declino per chiedere ai rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil come pensavano di dover trasformare le loro organizzazioni. Gli altri sono partiti invece dalla considerazione opposta, che il sindacato non è in crisi. «Ci dicono sempre che non siamo rappresentativi — ha detto Carlo Borio, segretario della Cisl della Lombardia — poi a ogni elezione viene fuori che tutti o quasi votano per noi. E adesso anche i lavoratori attivi stanno tornando a iscriversi». Ma è stato soprattutto il volume a negare l’assunto del declino del sindacato, perché un’indagine statistica svolta tra lavoratori metalmeccanici milanesi ha dimostrato un sostanziale attaccamento dei lavoratori verso la scelta sindacale. Certo, le percentuali variano, ma alle domande di fondo, sull’attaccamento al sindacato, la valutazione delle sue prestazioni, il giudizio sulle azioni da questo svolte, le risposte sono state sempre positive per il sindacato. La prima richiesta degli iscritti riguarda la salute e la sicurezza sul posto di lavoro (89,9%), seguita dalla difesa dei livelli occupazionali e delle condizioni salariali. Scarsa rilevanza viene attribuita all’azione del sindacato come soggetto politico. Gli iscritti chiedono al sindacato di "fare il sindacato". Il declino, pare di capire, non c’è. Certo, ci sono tanti pensionati, ma questa, è stato sottolineato tante volte, è una ricchezza in più, tanto è vero che altri Paesi stanno copiando la formula italiana di iscrivere tutti assieme i pensionati e non a seconda del settore di appartenenza. Questo non vuol dire che il sindacato non debba cambiare. Ma dove? Seguendo quale direzione? Il problema vero è questo. E non c’è una risposta data, perché i modelli di sindacato sono diversi, l’offerta è ampia. Antonio Panzeri, il segretario generale della Cgil milanese, ha ricordato i problemi più «politici» del sindacato. Stretto nella tenaglia tra la difesa degli interessi diretti dei lavoratori e quella degli interessi generali, ha detto, il sindacato soffre, perché deve operare una scelta. C’è — ha rilevato — chi gli chiede di fare un «mezzo passo indietro», attenersi a un compito più tecnico, fare i contratti e basta. Ma è giusto, soprattutto se si pensa ai meriti che il sindacato si è preso quando si è trattato di realizzare la politica dei redditi? In più, c’è il bipolarismo, che impone un cambiamento, essendo a sua volte fattore di trasformazione. La soluzione, a giudizio di Panzeri, non può essere né quella del sindacato di mestiere, magari corporativo, né quella del sindacato braccio armato di un partito. La soluzione è quella di un sindacato che sia soggetto autonomo. Ma per esserlo occorre una legge sulla rappresentanza che chiarisca i ruoli e richieda trasparenza e responsabilizzi il sindacato. Una tesi, non l’unica possibile. Walter Galbusera, segretario della Uil Lombardia, non si scandalizza per l’istituzionalizzazione del sindacato, che Romano aveva presentato come un peccato mortale del sindacato. È una sfida, ha detto Galbusera, il sindacato non può non accettarla. E per questo è giusto che al sindacato siano attribuite funzioni e compiti sempre più precisi, anche surrogando lo Stato, nelle cose piccole e in quelle meno piccole. Il sindacato deve però avere dei ritorni, una legge sulla rappresentanza, per sapere quando un accordo è valido, quando no, e regole di democrazia economica, per entrare nella governance delle imprese. Una tesi non lontana da quella di Carlo Borio, che ha ricordato come la Cisl sia sempre stata associazione di iscritti. Ma, ha aggiunto polemicamente, serve continuità anche nei confronti del sindacato. La sua tesi, quella di tutta la Cisl, è che i Governi hanno utilizzato il sindacato quando serviva, per poi dimenticarsene. La concertazione, ha detto, non si può fare solo con l’acqua alla gola. ________________________________________________________________ Repubblica 19 giu. 01 L'INUTILE ESAME DI STATO Giuliano Parodi Vicenza Fra qualche giorno inizieranno gli esami di Stato. Chi abbia un minimo di esperienza dell'esame e del lavoro delle commissioni sa di essere chiamato a prendere parte a una sorta di recita di fine corso, e a un lavoro sostanzialmente inutile. Gli esami sono controlli (esame del sangue, esame di guida, ecc.) ma nel nuovo esame di Stato il controllo è virtuale, poiché alcune prove scritte vengono corrette dai membri interni della commissione e il colloquio non consente alcun accertamento, ma solo un'impressione generica. Non è di fatto possibile in una sola seduta, che non può ragionevolmente protrarsi più di tanto, sentire l'esposizione del lavoro prodotto dal candidato, verificare la sua capacità di sostenere un discorso in base alle sue conoscenze disciplinari e discutere le prove scritte. Opportunamente i membri esterni si affidano al giudizio dei colleghi interni, finendo col ratificare virgola più, virgola meno i risultati dello scrutinio. Da tempo tramontata la "maturità" come rito di passaggio, l'esame com'è oggi risulta una perdita di tempo e di danaro e se ne potrebbe tranquillamente fare a meno, qualora si trovassero delle forme adeguate di controllo delle scuole private o si abolisse il valore legale del titolo di studio. Con la riforma universitaria, le lauree triennali ereditano di fatto il valore dei vecchi diplomi, per cui l'esame di Stato è destinato a essere sempre meno la conclusione di un percorso educativo; abolendolo, ne verrebbe un ultimo anno di corso meno disturbato didatticamente e burocraticamente e gli studenti sarebbero giudicati allo stesso modo degli anni precedenti. Per intanto il vuoto pneumatico rappresentato da questo esame è malamente occultato dalla montagna di carta che commissioni e segreterie si apprestano a produrre, in omaggio alla santa regola della burocrazia ministeriale che soffoca ormai la scuola secondo la quale l'elefantiasi della forma deve celare la pochezza della sostanza. ==================================================== ________________________________________________________________ Il Messaggero 20 giu. 01 POLICLINICO ROMA: "ASSUNTI IMPEGNI PER RILANCIARE L'OSPEDALE" l'accordo c'è, niente sciopero. Il prefetto convoca direttore e sindacati: Scongiurata la paralisi: nessuno oggi incrocierà le braccia al Policlinico Umberto I. I rappresentanti sindacali dei dipendenti dell'ospedale universitario, da lunedì in stato di agitazione per denunciare il loro forte malcontento per la mancata applicazione del nuovo contratto e per i ritardi sul rilancio della struttura, hanno deciso di sospendere lo sciopero dopo un incontro con il prefetto Giuseppe Romano, che aveva subito offerto la sua opera di mediazione, e il direttore generale del Policlinico, Tommaso Longhi. "Sono soddisfatto - commenta il prefetto Romano - perché negli impegni assunti dal direttore generale e dai sindacalisti c'è l'idea di rilanciare l'attività del Policlinico, e anche il mantenimento del rapporto di lavoro del personale precario". Doppia soddisfazione per Longhi, per lo sciopero scongiurato ma anche per il via libera della Regione alle sue richieste in materia di disponibilità finanziaria: "Siamo stati autorizzati dalla Regione - sottolinea il direttore generale - a spendere, dal nostro bilancio, i 3 miliardi e 700 milioni indispensabili per soddisfare le richieste dei sindacati". Il risultato dell'incontro, durato tre ore, è stato un documento che impegna l'amministrazione dell'Umberto I a corrispondere gli arretrati ai dipendenti che hanno acquisito nuovi diritti contrattuali negli ultimi due anni, al mantenimento del rapporto di lavoro per tutto il personale precario, in attesa di definirne "l'eventuale stabilizzazione". Il documento fissa anche per il 2 luglio un nuovo incontro tra le parti per avviare "le trattative sulla piattaforma del contratto collettivo integrativo aziendale". Tappa successiva il 5 luglio, giorno in cui sindacati e vertici dell'ospedale si riuniranno per discutere di dipartimentalizzazione aziendale e organizzazione dei servizi di emergenza: in una parola, del rilancio del Policlinico. Un passo avanti, dunque. Che comunque non ferma la mobilitazione. E neanche le spaccature all'interno del Policlinico. I Cobas, per esempio, continuano a mantenere le distanze dalle azioni intraprese da Cgil, Cisl e Uil Sanità e da Cgil e Cisl Università. In ogni caso questa mattina, alle 9, nel salone centrale del Policlinico i sindacati illustreranno l'accordo raggiunto ai dipendenti ospedalieri e universitari. ________________________________________________________________ Il Sole24Ore 23 giu. 01 USA: BRACCIO DI FERRO SULLA SANITÀ- BATTUTO BUSH il «nuovo» Senato batte Bush Mario Platero Usa - Passa la legge sui diritti dei pazienti voluta dai democratici (e la Casa Bianca porrà il veto) (DAL NOSTRO CORRISPONDENTE) NEW YORK - È stato sulla sanità il primo scontro tra il nuovo Senato democratico e Casa Bianca repubblicana. E la battaglia si è chiusa con una vittoria tecnica dei democratici che spianerà la strada per il progetto di legge sui diritti dei pazienti. George W. Bush, da sempre contrario al progetto ha minacciato di ricorrere al diritto di veto se la legge sarà approvata, ma anche il presidente della Camera, il repubblicano Dennis Hastert ha dichiarato che alla fine si dovranno dare ai democratici più concessioni di quanto intendessero il partito o la Casa Bianca. La legge fra le altre cose consentirà ai pazienti di portare in tribunale le organizzazioni sanitarie private (Hmo, Health maintenance organization) se rifiuteranno l’erogazione di polizze assicurative. È questo il primo scontro formale fra Casa Bianca e Senato dopo la defezione del senatore Jim Jeffords, che rivoluzionò gli equilibri di maggioranza nella Camera alta. E le implicazioni sono di vasta portata. Il senatore repubblicano John McCain per esempio ha votato con i democratici, appoggia il piano e quando ha saputo dell’ipotesi di un veto presidenziale ha risposto: «Non ho avuto alcun avvertimento dalla Casa Bianca su un possibile veto anzi ho negoziato con la Casa Bianca proprio per favorire un compromesso». McCain, ex concorrente di Bush alle primarie, è un altro dei senatori repubblicani a rischio, ha da sempre avuto un dialogo molto costruttivo con i democratici, ha avuto incontri con la leadership democratica anche se ha smentito di voler cambiare bandiera. L’emendamento proposto dei repubblicani per imbrigliare il progetto di legge democratico introduceva maggiori deduzioni fiscali sulle polizze assicurative per il lavoratori autonomi. E proponeva anche cambiamenti di questioni procedurali con risvolti costituzionali. Ma i democratici hanno vinto con una maggioranza di 52 a 45. Secondo Bush il progetto di legge democratico finirà per aumentare i costi di sottoscrizione di polizze assicurative e potrebbe far perdere la copertura sanitaria a un numero di americani «stimato fra i 4 e i 6 milioni», un cifra preoccupante se si pensa che ci sono già 43 milioni di americani senza assicurazione sanitaria. Il senatore Ted Kennedy, uno dei co-sponsor del progetto di legge ha ribattuto che il presidente sta facendo terrorismo sanitario fra gli americani e che la legge consentirà ai cittadini, che non sono coperti da una assicurazione nazionale, di potersi difendere davanti allo strapotere delle Hmos. Queste organizzazioni sanitarie private reclutano dottori, ospedali e specialisti, stabilendo delle tariffe fisse per le prestazioni mediche. E impongono allo stesso tempo una serie di restrizioni sulle possibilità di scelta di un medico da parte del cliente. Questa battaglia sui diritti dei pazienti dimostra sul piano politico che il Senato democratico è in grado di ottenere consensi più ampi rispetto alla risicata maggioranza di cui gode. E su altre questioni, prima fra tutte quella relativa alla costruzione di uno scudo antimissile balistico, il Senato democratico potrà rendere la vita difficile a Bush. «Il Senato non abbandonerà mai un trattato come l’Abm, ratificato a livello internazionale. Il presidente dovrà convincere Putin a fare le modifiche necessarie, perché noi certo non lo seguiremo sulla strada unilaterale», ha detto un’autorevole fonte vicina ai democratici al Senato. Le altre questioni aperte oltre a sanità a missili, riguardano l’ambiente e politica energetica. Su questa tematica Bush sta perdendo colpi anche alla Camera: giovedì c’è stato un voto che ha impedito al dipartimento degli interni di offrire in concessione per esplorazioni certe zone delle acque del Golfo del Messico, la vittoria democratica, 264 a 164, ha contato ben 70 defezioni repubblicane. Ambiente e energia del resto sono tematiche molto delicate vis a vis l’opinione pubblica. E il nuovo vento politico che spira nella capitale, l’imminenza di elezioni politiche l’anno prossimo e sondaggi chiari sulle preferenze del grande pubblico dovrebbero contribuire a una virata centrista anche per l’amministrazione. ________________________________________________________________ L’Unione Sarda 20 giu. 01 LA SOCIETÀ MODERNA NON HA TEMPO DA DEDICARE AGLI ANZIANI Se il medico non cura il malessere della vita In margine a un dibattito sulle cure palliative organizzato dal Tribunale per i diritti del malato Quanto vale la vita di un uomo? Questo valore si misura solo con i soldi e quindi si modifica col tempo ? Si può pensare che abbia maggiore valore nell’età evolutiva per poi calare nella fase discendente della vita ? Non molto tempo fa nei nostri paesi e nelle nostre città la vita aveva un unico valore. I più grandi si occupavano della crescita e dell’educazione dei più piccoli e questi, diventati adulti, si occupavano dei loro familiari, a loro volta diventati vecchi, avendo per loro rispetto ed attingendo alla loro esperienza. La società post-industriale non ha più tempo da dedicare ai vecchi ed ai malati e spesso neanche ai bambini. I valori forti di questa società sono la capacità di produrre ricchezza, di consumare risorse, di vivere la vita al singolare, come un eterno presente, in costante competizione con gli altri. L’amicizia, la solidarietà hanno sempre meno spazio nelle nostre società. Le famiglie si stanno disgregando e gli anziani che vivono da soli sono in continuo aumento. Talora neanche i medici hanno il tempo necessario da dedicare alle persone per le quali la medicina ufficiale non ha cure da proporre per guarire le loro malattie o alleviare la loro vecchiaia. Questo conferma la difficoltà dei medici a comunicare con i pazienti. La malattia, lo sappiamo, non si verifica solo nel corpo, ma anche nella vita. Come conseguenza modifica la vita stessa, la stima per se stessi, l’amicizia, gli affetti. I medici invece hanno imparato a curare il corpo biologico ed a curare quindi il dolore dell’organo malato, ma non sanno curare la malattia della vita. Per questo motivo gli anziani, i malati senza speranze, in generale non ricevono molta attenzione medica. E soprattutto non ci sono stati finora nella nostra regione piani e strategie per dar loro i supporti necessari ad affrontare le fasi finali della loro vita. Le strategie però sono ben note da anni e si basano sull’esperienza maturata in nazioni che si sono sapute organizzare. Il concetto di base è che l’assistenza a questi malati deve essere data, da un gruppo di persone preparate, nel domicilio stesso del paziente. La famiglia poi deve essere fortemente aiutata anche economicamente. L’ambiente familiare infatti, la propria casa, è un luogo che per i ricordi vissuti da sicurezza al malato e lo fa sentire ancora una persona.. In casi particolari è necessario il ricovero in strutture appositamente create e con personale fortemente qualificato. Sono state fatte delle stime e si pensa che in Sardegna siano circa 3000 le persone che ogni anno necessitano di questa assistenza. E’ tempo perciò di portare a compimento questo progetto perché abbiamo le risorse dedicate ed il personale preparato, coinvolgendo in prima persona i medici di famiglia. Mancano purtroppo le motivazioni, le spinte emotive per dare il giusto valore a queste persone ammalate che da sole non hanno la forza di smuovere il carro della sanità sarda. E’ per questo che il Tribunale per i Diritti del Malato ha promosso, nei giorni scorsi, un incontro e discusso su questi temi per spingere la società civile ad impegnarsi tutta nella realizzazione di questo obbiettivo. Tonio Barracca Tribunale del malato ________________________________________________________________ L’Unione Sarda 22 giu. 01 ASL 5 PIOVONO 45 MILIARDI SU OSPEDALE E AMBULATORI Previsti parcheggi multipiano e nuovi reparti La sanità pubblica in città e nel territorio provinciale è destinata a cambiare aspetto. La Asl numero 5, infatti, ha predisposto un programma di opere che saranno realizzate con un finanziamento di 45 miliardi concesso dalla Regione, e nel contempo ha deciso l’istituzione di nuovi reparti ospedalieri attesi da decenni: oculistica, otorino e neurologia. Un bel po’ di miliardi (non se n’erano mai avuti tanti, tutti insieme) relativi al triennio dal 2001 al 2003. Il finanziamento del primo anno, pari a 12 miliardi e 50 milioni, interesserà la città e il territorio. Nell’ospedale “San Martino” verrà infatti risolto l’annoso problema dei parcheggi con la realizzazione di un sistema di parcheggio multipiano per 3 miliardi e nella stessa area ospedaliera verrà realizzato il centro per i malati terminali e le cure palliative per un miliardo e mezzo, mentre a breve distanza sorgerà un edificio che ospiterà l’archivio di deposito aziendale. Con altri 3 miliardi si provvederà alla manutenzione ed alla ristrutturazione degli ambulatori comunali e 2 miliardi andranno all’ospedale “Delogu” di Ghilarza per l’adeguamento alla legge 626/94. I 15 miliardi di finanziamento del 2002 sono destinati quasi interamente all’ospedale San Martino: per l’adeguamento delle opere e degli impianti alla 626/94 e per i requisiti minimi previsti dal Dpr 14 gennaio 97, mentre con un miliardo e 450 milioni sarà resa funzionante a Busachi il locale che il Comune ha ceduto in comodato alla Asl per destinarlo a casa protetta. Col finanziamento dell’anno 2003 viene ancora ampliato l’ospedale San Martino con la realizzazione del nuovo reparto fisiatrico, per la psichiatria e per il dipartimento di salute mentale: spesa 4 miliardi. Con altri 6 miliardi, altra nuova costruzione attigua ospiterà i nuovi reparti di oculistica, otorino e neurologia. Nel vecchio ospedale “San Martino” il centro di medicina riabilitativa sarà ristrutturato con 3 miliardi. A Ghilarza con un miliardo sarà completato il caseggiato per il servizio di igiene pubblica e il poliambulatorio. Infine con un miliardo e mezzo si provvederà alla manutenzione straordinaria degli impianti e delle strutture del poliambulatorio di Ales. Il direttore generale dell’Asl Eugenio Strianese non nasconde la soddisfazione per le possibilità offerte dai finanziamenti concessi dalla Regione sui fondi della legge 67/88 e fa notare che, al fine di accelerare i tempi di attuazione delle opere previste, ha istituito l’ufficio tecnico con professionalità capaci di ridurre il ricorso alle progettazioni esterne. ________________________________________________________________ Il Corriere della Sera 17 giu. 01 GLI ASPIRANTI DOTTORI ASSUNTI COME CAMERIERI NEL WEEKEND All' iniziativa hanno già aderito sedici studenti, in servizio da metà luglio Del Frate Claudio Accordo tra Confesercenti e Università dell' Insubria per risolvere la mancanza di personale Gli aspiranti dottori assunti come camerieri nel weekend VARESE - Di giorno i testi di economia politica o di anatomia; di sera la giacca bianca, il papillon e la lista dei vini. Varese potrebbe presto avere la categoria di camerieri più colta d' Italia in seguito a un singolare accordo - il primo del suo genere in Italia - tra Confesercenti e studenti universitari. I ristoranti e i locali della zona son o alla disperata ricerca di personale e a coprire quei vuoti d' organico saranno gli allievi delle facoltà cittadine dopo un breve corso di addestramento. Da un lato i ragazzi potranno guadagnare qualche soldo, dall' altro i locali potranno contare s u personale con un minimo di preparazione e tutelata da un contratto. Sono già 16 gli studenti che hanno aderito all' iniziativa, prenderanno servizio entro la metà di luglio. Il progetto è stato presentato ieri mattina nella sede dell' università de ll' Insubria e parte da un fatto all' apparenza sorprendente: «I ristoranti della zona di Varese - spiega Gianni Lucchina, direttore di Confesercenti - non riescono a trovare il personale di cui hanno bisogno: camerieri, aiuti-cuoco, barman. Più prec isamente: durante i fine settimana la necessità di manodopera triplica, ma è impensabile che le aziende assumano in pianta stabile persone che per il resto della settimana non servono. Così si fa ricorso al lavoro nero, a persone che non hanno la min ima preparazione. Ma questa non è la nostra politica, anzi abbiamo dichiarato guerra all' illegalità». L' accordo prevede che gli studenti seguano subito e gratis un corso di 40 ore (la metà di teoria) in un centro di formazione professionale. Succes sivamente i loro nomi saranno affidati a un' agenzia di lavoro interinale alla quale si rivolgeranno i ristoratori a caccia di camerieri, verrà offerto un regolare contratto, con versamento di contributi e gli studenti verranno pagati a giornata. Sec ondo la Confesercenti servirebbero da subito 150 persone. Ma perché puntare sugli universitari? «Avevamo innanzi tutto bisogno che la nostra offerta non si disperdesse in mille rivoli - spiega Lucchina - e abbiamo individuato una fascia di gio vani ai quali può tornare utile avere un piccolo reddito. Non è escluso che in futuro la proposta venga estesa ad altre categorie». Davide Galimberti, rappresentante degli studenti dell' Insubria, racconta da parte sua quale può essere il significato dell' iniziativa: «È un modo per integrare la vita dell' ateneo a quella della città, di avvicinare due mondi; ma anche sotto il profilo pratico è un' opportunità per gli studenti fuori sede di Varese che attualmente non possono contare su nessuna s istemazione. Proprio di recente è infatti fallita la trattativa tra università e curia per trasformare un ex collegio in un pensionato universitario» Claudio Del Frate ________________________________________________________________ Repubblica 20 giu. 01 SE LA SALUTE È UNA MERCE LE IDEE di STEFANO RODOTÀ CHE cosa significa, oggi, parlare di rispetto della vita, di eguaglianza? Siamo afflitti da mille, generiche variazioni sul tema, mentre quasi ogni giorno la realtà ci offre vicende eloquenti e difficili, che davvero possono aiutarci ad uscire dalla retorica e a misurare in concreto il significato e la portata di quelle parole. Che cosa ci suggerisce, ad esempio, il caso della bambina siciliana che ha rischiato di non potersi sviluppare normalmente perché non veniva più prodotto un farmaco indispensabile per combattere la rarissima malattia che l'ha colpita? E qual è il contesto corretto in cui discutere intorno alla cosiddetta eutanasia passiva, dopo le polemiche sollevate dal rapporto della commissione istituita dal ministro Veronesi? Il primo caso sembra aver avuto un lieto fine, visto che il ministero della Sanità ha negoziato con la società farmaceutica americana ed ha ottenuto i diritti di brevetto necessari perché la produzione del farmaco possa continuare in Italia. Ma non ci si può limitare a questa lieta constatazione, ignorando la questione generale delle malattie «orfane» o rare che dà straordinaria evidenza al conflitto tra ricerca del profitto e tutela del diritto fondamentale alla salute. La rinuncia a produrre il farmaco necessario alla bambina siciliana, infatti, ha una sola ragione. I malati colpiti dalla sindrome di Laron sono troppo pochi per rendere remunerativa la produzione del farmaco necessario. Non metto in discussione il calcolo economico che sta sempre a fondamento dell'attività d'ogni impresa. Sottolineo che un caso come questo dimostra come la pura logica di mercato, lungi dall'essere sempre portatrice di benessere per tutti, possa determinare, invece, situazioni che mettono in pericolo la sopravvivenza stessa delle persone, affidando alla ricerca del profitto una sorta di diritto di vita o di morte. Come si è arrivati al lieto fine? Grazie al deprecato intervento pubblico, all'intervento dello Stato, senza il quale il diritto alla salute sarebbe stato drammaticamente sacrificato. E' una vicenda analoga a quella che ha portato la Repubblica sudafricana a contrapporsi alle grandi società farmaceutiche, forzando la logica proprietaria del brevetto per consentire a milioni di africani l'accesso alle cure necessarie per combattere l'Aids. E tutte queste vicende confermano l'inadeguatezza delle vecchie impostazioni puramente proprietarie nella materia dei farmaci e, più in generale, della tutela della salute. Non è bastato, infatti, che la legislazione europea attribuisse ai produttori di farmaci per la cura delle malattie rare l'esclusiva della commercializzazione per dieci anni. L'obbligo di garantire i diritti dei malati, quindi, non può essere eluso da nessuno Stato, che deve predisporre tutte le risorse e gli interventi necessari. Questo vuol dire che la salute non può mai essere degradata a merce, da affidare ad un mercato privato dove, ovviamente, vigono solo le regole del profitto. Ma significa soprattutto che dev'essere assicurata l'eguaglianza tra i cittadini che non possono essere trattati in modo diverso a causa delle loro condizioni di salute. Lo impone il civilissimo articolo 3 della nostra Costituzione, che si è troppo spesso inclini a dimenticare. I temi del rispetto della vita e del principio d'eguaglianza ritornano anche a proposito dell'eutanasia, intrecciandosi con la grande questione della dignità della persona, sempre più sentita a livello costituzionale e che, non a caso, apre la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. La commissione istituita da Umberto Veronesi ha affrontato il problema degli «individui in stato vegetativo permanente», quelli comunemente definiti in coma irreversibile, considerando due interrogativi: se l'alimentazione, che li mantiene in vita, sia un atto medico; e se, di conseguenza, possa essere considerata una forma di accanimento terapeutico. Dando una risposta positiva ad entrambi i quesiti, gli studiosi componenti la commissione hanno concluso che già allo stato della legislazione attuale è possibile interrompere l'alimentazione artificiale dei pazienti in coma irreversibile. Siamo di fronte al «diritto di morire con dignità», le cui difficili implicazioni da decenni impegnano le più diverse culture e che indusse Pio XII, agli inizi degli anni ‘50, a pronunciarsi contro l'accanimento terapeutico. Ed è corretto dire che la legislazione italiana già attribuisce a ciascuno di noi un potere significativo di prendere decisioni sulla fine della vita: un potere confermato da recentissime evoluzioni del nostro sistema giuridico. Da anni, infatti, il diritto alla salute viene inteso come diritto di ciascuno all'autodeterminazione. Non esiste, quindi, un dovere di curarsi. Si riconosce, al contrario, il diritto di rifiutare le cure, anche se questo può portare ad un danno o addirittura alla morte della persona. Basta leggere il codice di deontologia medica del 1999. Qui, all'articolo 32, si afferma che «in ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace di intendere e di volere, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona». Questo principio impone al medico, quando il paziente non sia in grado di esprimere la propria volontà, di tener conto di quanto abbia manifestato in passato (art. 34) e, fermo restando il divieto dell'eutanasia attiva, di proseguire la terapia di sostegno dei malati inguaribili solo «finché ritenuta ragionevolmente utile» (art. 37). Questo orientamento ha ora trovato esplicita conferma nella recentissima legge 24 marzo 2001, n. 245, con la quale l'Italia ha ratificato la Convenzione europea di biomedicina. Si afferma in modo netto che «qualsiasi intervento medico in campo sanitario non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato il proprio consenso libero e informato» e che tal consenso può essere revocato «in qualsiasi momento» (art. 5). Si ribadisce, poi, che «saranno prese in considerazione le volontà precedentemente espresse nei confronti dell'intervento medico da parte del paziente che, al momento dell'intervento, non è in grado di esprimere la propria volontà» (art. 9). Ricevono così solido fondamento normativo le «direttive anticipate» o «testamenti di vita» o «testamenti biologici», cioè quegli atti con i quali una persona considera l'eventualità di essere soggetto in futuro a trattamenti di pura sopravvivenza e chiede che vengano interrotti, così come chiede la somministrazione di terapie antidolore anche se abbiano come effetto l'accorciarsi della vita. In questa delicatissima materia, dunque, il legislatore italiano ha parlato, anche se molti non se ne sono accorti. Ho voluto insistere su questi nudi dati normativi perché sono essi, e non altro, a fissare il contesto che ci consente di stabilire se sia lecito interrompere il trattamento degli «individui in stato vegetativo permanente», e a quali condizioni. Siamo di fronte ai tragici «diritti ultimi», dei quali la persona non può essere espropriata. Rispetto della vita, in questi casi, significa rispetto del diritto di ciascuno di noi di determinare liberamente le modalità del proprio vivere. Un diritto che ha le sue radici nelle norme costituzionali sulla libertà personale e sul diritto alla salute. Questo vuol dire che il potere individuale di scelta può essere esercitato, come mostrano le molte norme citate, anche in situazioni diverse da quella dello stato vegetativo permanente. Posso rifiutare una trasfusione di sangue per motivi religiosi, posso rifiutare un trattamento che giudico lesivo della mia dignità, anche se ciò può provocare la morte. E questo esercizio di autonomia individuale contribuisce a renderci eguali di fronte alla decisione estrema, esercitando quella «libertà finale» di autodeterminazione morale che, a giudizio di alcuni, potrebbe caratterizzare il secolo appena cominciato, dopo l'Ottocento, secolo della libertà economica, e il Novecento, secolo della libertà politica. ________________________________________________________________ Il Corriere della Sera 19 giu. 01 SANGUE INFETTO, SANITÀ CONDANNATA "Il ministero doveva controllare" Saranno pagati i danni morali e biologici a 351 malati ELSA VINCI ROMA - Il ministero della Sanità è stato condannato a risarcire le vittime da trasfusioni ed emoderivati. Lo Stato dovrà pagare i danni morali e biologici, da vita materiale e di relazione, provocati dai farmaci "salvavita" che hanno ucciso centinaia di persone. La responsabilità è stata riconosciuta dal tribunale civile di Roma, per le patologie contratte da 351 emofilici durante le terapie: il sangue era infetto, i pazienti si sono ammalati di Aids, di epatite B e C. Moltissimi sono morti. La Sanità, scrive nella sentenza il giudice Antonio Lamorgese, «sin dagli anni Settanta aveva le conoscenze scientifiche per prevedere il rischio di infezioni virali e aveva l'obbligo di vigilare sulla sicurezza del sangue e dei suoi derivati distribuiti dal Servizio nazionale». Negli anni Ottanta, denuncia l'Unione forense che tutela gli interessi delle vittime, «anche in ospedale si è usato plasma proveniente dagli Stati Uniti, dall'Africa, dal Centro o dal Sud America, dove l'Aids era ampiamente diffuso». Le aziende farmaceutiche italiane che hanno distribuito prodotti infetti sono sotto processo a Trento. È ancora in fase istruttoria, l'inchiesta sulle case farmaceutiche estere. La condanna del ministero della Sanità ha un precedente che risale al novembre del ‘98. Fu sempre il tribunale civile di Roma a riconoscere a circa 400 emofilici il diritto di essere risarciti. Ma in Appello le responsabilità dello Stato furono limitate nel tempo: soltanto a partire dal ‘78 per l'epatite B, dall'85 per l'Hiv e dall'88 per l'epatite C, poiché i test immunologici furono introdotti in epoche differenti. Per le lungaggini del processo, l'Italia fu bocciata a Strasburgo. «Adesso un giudice ha stabilito la colpa del ministero anche per le infezioni contratte prima che si approntassero i test diagnostici e ha riconosciuto il risarcimento integrale, cioè per ogni tipo di danno», spiegano gli avvocati Mario e Anton Giulio Lana, Umberto e Andrea Randi, Isabella De Angelis e Salvatore Orestano che, per l'Unione forense per i diritti dell'uomo, da vent'anni seguono i processi per sangue infetto. «Ogni paziente dovrà fare causa al ministero per sapere quanto gli spetta. I tempi si prospettano lunghi - dicono i legali - a meno che il governo non avanzi una proposta di transazione». Circa 10 anni fa, in Francia ciascun emofilico ottenne circa 500 milioni di lire. Un miliardo di lire a paziente è stato invece riconosciuto negli Stati Uniti e in Giappone. Il risarcimento è cumulabile con l'indennizzo (previsto per le condotte non colpose), già definito dalla legge: un milione al mese per gli emofilici che hanno preso l'Aids e 150 milioni per gli eredi delle persone infettate e decedute. Ma i parametri che auspica l'Unione forense sono quelli di cui si discusse ai tempi della commissione istituita dall'ex ministro Rosy Bindi e assimilabili agli indici riconosciuti per la tragedia del Cermis, «oltre 3 miliardi e mezzo per un giovane di 22 anni con più di una patologia». Tra gli Anni Ottanta e Novanta si stima che circa 900 emofilici abbiano contratto l'Hiv, e molti di più l'epatite B o C. Il Tribunale del malato calcola 3mila italiani in attesa di indennizzo già riconosciuto, 8mila le nuove richieste. Contro la sentenza, la Sanità annuncia ricorso. ________________________________________________________________ Il Corriere della Sera 17 giu. 01 L' AUTISMO HA BASI GENETICHE I GENITORI NON HANNO COLPE Oliverio Alberto Nuove ricerche in Usa smentiscono un luogo comune L' autismo ha basi genetiche I genitori non hanno colpe Anni or sono Bruno Bettelheim, autorevole studioso della psiche, sostenne che l' autismo infantile era un disturbo del comportamento che affonda va le sue radici nelle dinamiche precoci tra madre e figlio: in risposta a un comportamento «freddo» della madre, il bambino avrebbe elaborato meccanismi di difesa, isolandosi dal mondo in una «fortezza» che avrebbe precluso ogni scambio emotivo. La tesi di Bettel heim e di altri psicoanalisti riscosse un grande successo negli anni Settanta e Ottanta e fece dell' autismo un disturbo legato all' esperienza precoce, ai primi rapporti tra la madre e il figlio. Si trattava di una spiegazione semplif icante, che imboccava la strada del cosiddetto «victim blaming», nel caso specifico la colpevolizzazione della madre punita con la malattia del figlio a causa del suo comportamento «sbagliato» e freddo. Le teorie psicodinamiche dell' autismo non hann o retto alla prova dei fatti: l' autismo infantile è una sindrome, vale a dire un insieme di condizioni dovute a cause diverse ma che presentano sintomi simili tra cui, appunto, il blocco emotivo e la tendenza a rifugiarsi in sé stessi, malgrado i ta nti sforzi dei genitori di questi bambini. Oggi il modo in cui si guarda all' autismo è molto diverso, grazie a una serie di studi, tra cui uno i risultati del quale sono stati pubblicati sull' American Journal of Medical Genetics. La ricerca in prop osito indica che in una significativa percentuale dei casi di autismo esiste una base genetica: un gene localizzato sul cromosoma 7 comporta alterazioni dello sviluppo della corteccia cerebrale. In 24 su 135 bambini sofferenti di autismo sono state i ndividuate variazioni a carico del gene Wnt2, il che può spiegare una parte dei comportamenti autistici. L' individuazione di questo gene è particolarmente significativa in quanto rafforza le conoscenze sulle basi genetiche dell' autismo: in gran par te dei casi sono infatti evidenti alterazioni del cromosoma 7, lo stesso su cui è localizzato Wnt2, che si traducono in modificazioni della corteccia cerebrale. L' ipotesi dei ricercatori è che in gran parte dei casi di autismo si verifichi, nel corso dello sviluppo del sistema nervoso, un' alterazione della migrazione dei neuroni che costituiscono i diversi strati cellulari di cui è formata la corteccia. Oggi esistono diversi gruppi di ricercatori che lavorano sulle basi genetiche dell' autismo , da quello dell' Università dell' Iowa, responsabile dei dati sul gene Wnt2, a quello del Wellcome Center dell' Università di Oxford: tutti questi gruppi concordano nel correlare l' autismo ad alterazioni dello sviluppo corticale indotte da diverse mutazioni. Nei casi finora studiati, le modifiche nello sviluppo corticale sono molto variabili, il che potrebbe spiegare l' estrema diversificazione dell' autismo infantile in cui il blocco dell' emotività può essere associato a deficit dell' intelligenza più o meno gravi e ad altre modifiche comportamentali, ben più serie dell' autismo descritto nel film Rainman, con Dustin Hoffman, in cui si dava un' immagine molto edulcorata di questa malattia. La spiegazione genetica non lascia sperare, per il momento, che sia possibile incidere significativamente sulle forme gravi di autismo già in atto. Tuttavia si spera di arrivare presto a individuare i portatori sani di questi geni e a fare diagnosi prenatali. Nel frattempo è importante sollevare i genitori, già provati da una grave malattia dei loro figli, da un senso di colpa legato a un' errata teoria, purtroppo ancora in circolazione. Alberto Oliverio ________________________________________________________________ Le Scienze 21 giu. 01 PROSPETTIVE PER I TUMORI DEL CERVELLO Lo stesso virus è normalmente presente nell’apparato respiratorio e gastrointestinale dell’uomo Sorprendentemente, un virus che contagia naturalmente i soggetti in esame possono distruggere le cellule cancerose cresciute in coltura o in cavie di laboratorio. Si tratta del reovirus (Respiratory Enteric Orphan Virus), che si trova comunemente nell’apparato respiratorio e nel tratto gastrointestinale dell’uomo. Peter Forsyth, dell’Alberta Cancer Board e dell’Università dell’Alberta, ha pubblicato un resoconto di questa scoperta sul numero di oggi del “Journal of the National Cancer Institute”. “Pe rme è estremamente importante che si possa intravedere qualche speranza per le persone affette da tumori al cervello – ha brevemente commentato Forsyth. – Il tasso medio di sopravvivenza per questi pazienti è di appena un anno. Solo il due per cento di essi sopravvive per più di tre anni. E questa scoperta è un primo passo verso l’uso del reovirus per il trattamento della malattia.” Il glioma maligno, la forma più diffusa di tumore del cervello, è aggressivo, invasivo e resistente alle terapie. Il reovirus infetta e distrugge le cellule cancerose, senza intervenire su quelle sane. Secondo i risultati prodotti da Forsyth, il reovirus è in grado di distruggere, in coltura, 20 delle 24 linee cellulari coinvolte nello sviluppo dei tumori cerebrali nonché tutte e nove le linee cellulari primarie dei gliomi prelevati dai pazienti umani. Il reovirus, inoltre, distrugge i tumori cerebrali umani impiantati artificialmente in cavie di laboratorio. Dopo una sola iniezione di reovirus vivo, nove topi trattati su undici sono sopravvissuti per più di 90 giorni, mentre nessuno dei topi di controllo a cui era stato iniettato il virus morto ha mostrato una sopravvivenza così duratura. Inoltre i topi trattati con virus vivo erano decisamente più in salute degli altri. “Le nostre scoperte di laboratorio – ha aggiunto Forsyth – dimostrano che il reovirus è un potente strumento contro alcuni specifici tumori del cervello. Ma è meglio precisare fin d’ora che occorreranno diversi altri anni di sperimentazione prima che si possa arrivare a mettere a punto un trattamento.” La Oncolytics Brain, Inc., sta mettendo a punto un piano per la sperimentazione clinica del reovirus nel trattamento di pazienti affetti da tumori del cervello, sperimentazione che è stata anticipata rispetto alle previsioni e dovrebbe partire entro i prossimi sei mesi. ________________________________________________________________ Il Corriere della Sera 19 giu. 01 CARDIOCHIRURGIA, LA RICETTA VIGANÒ Per il primario di Pavia gli ospedali devono trasformarsi in fondazioni Porciani Franca Dopo l' inchiesta sull' alto numero di centri in Lombardia, una proposta per ridurre l' offerta Cardiochirurgia, la ricetta Viganò Per il primario di Pavia gli ospedali devono trasformarsi in fondazioni PAVIA - Troppi bisturi sul cuore in Lombardia: lo hanno sostenuto tre cardiochirurghi noti commentando le cifre, pubblicate ieri, degli interventi realizzati nel 2000. «Avevamo lanciato l' allarme tempo fa - afferma il vicepresidente del Consiglio regionale della Lombardia, Fiorenza Bassoli, dei Ds - venti centri per un bacino d' utenza di nove milioni di cittadini sono decisamente troppi. I lombardi sono curati, anche troppo, ma evidentemente, poco o nulla si fa per evitare che si ammalino. Sono scarsissimi gli interventi nel campo della pr evenzione. Così, mentre si aggravano patologie tipiche di una regione ad economia sviluppata come la nostra, quali le malattie respiratorie o i tumori, si investe privilegiando i settori più renumerativi. Occorre un' inversione di rotta». Concorde su ll' urgenza di porre correttivi alla sovrabbondanza delle cardiochirurgie in Lombardia Mario Viganò, Direttore del Centro di Cardiochirurgia dell' Università di Pavia presso il Policlinico S. Matteo: «Questa situazione è la derivazione patologica di una politica sanitaria che si è posta inizialmente e giustamente come obiettivo l' abbattimento delle liste di attesa, ma che poi ha prodotto uno sbilanciamento a vantaggio del privato, di cui oggi paghiamo le conseguenze». In che senso parla di sbil anciamento, professor Viganò? «La concorrenza fra il pubblico e il privato non può essere ad armi pari; nel giro di poco tempo diventa sleale perché il sistema privato è più flessibile, meno condizionato da vincoli burocratici, più snello a livello o rganizzativo. Non solo: il privato, col miraggio di un miglior trattamento economico, sottrae infermieri al pubblico, che si è, peraltro, fatto carico della formazione di questo personale. E non dimentichiamo che anche chirurghi stanchi di non riusci re a trovare spazio negli ospedali, finiscono per rivolgersi al privato. Tutto questo porta ad una continua erosione, ad uno "sgretolamento" delle strutture pubbliche, processo che sembra inarrestabile». Il professor Paolo Biglioli della fonda zione Monzino di Milano, individua come correttivo la revoca da parte della Regione dell' accreditamento ad operare ad alcune strutture. Le pare proponibile? «Non mi convince. Credo, piuttosto, in altre soluzioni. Anzitutto, il primo correttivo che p uò produrre effetti tangibili nel giro di poco tempo è abbassare per le strutture private la quota che lo Stato rimborsa per gli interventi, i cosiddetti Drg, fino a dimezzarla rispetto a quelle pubbliche. Un provvedimento che certo non piacerà a tut ti, ma che permette di ridurre la concorrenza sleale fra due sistemi, dove uno è decisamente favorito dai fattori che ho accennato. Il secondo è quello di privatizzare i grandi ospedali pubblici trasformandoli in Fondazioni. Soltanto così si potrà ar rivare ad una gestione che li liberi da una burocrazia soffocante. Guadagnando in efficienza, evidentemente». Professore, quest' ultima è la linea individuata anche dal nuovo Ministro della Sanità Gerolamo Sirchia «Senz' altro, la condivido. Se non s i mette in atto questo cambiamento si rischia di far scomparire in Lombardia la Sanità pubblica». Franca Porciani ________________________________________________________________ Le Scienze 22 giu. 01 UNO SCALPELLO LASER PER LA CHIRURGIA DELL’OCCHIO Grazie alla scoperta gli interventi alla cornea potranno essere eseguiti con strumenti più precisi Un laser a impulsi ultraveloci per la chirurgia della cornea. Il nuovo procedimento dovrebbe ridurre le complicazioni legate al tradizionale metodo LASIK usato negli interventi oculistici, e dovrebbe presto ottenere l’approvazione della Sanità americana. Ne ha dato l’annuncio, in un articolo pubblicato sul numero di giugno di “Ophtalmology Clinics”, il gruppo di ricerca del Alberta Cancer Board (CUOS) dell’Università del Michigan e del Kellogg Eye Center che ha sviluppato il sistema. “La collaborazione è stata davvero importante, in questo progetto, perché ci ha permesso di applicare la precisione della fisica dei materiali a un problema medico di rilevante importanza” ha commentato il direttore del CUOS, Gerard Mourou. La tradizionale tecnica di intervento con il laser, LASIK, ha rivoluzionato la correzione chirurgia dei difetti della vista. Con questa tecnica, una lama meccanica viene usata per tagliare una parte della cornea, mentre un laser a eccimeri rimuove una parte della cornea o ne modifica la curvatura, dopo di che la parte interessata viene rimessa in posto. Ora i chirurghi potranno usare un precisissimo laser a femtosecondi per la parte iniziale del lavoro, in sostituzione della lama meccanica. Il laser emette radiazione sotto forma di impulsi estremamente rapidi, ciascuno dei quali è un miliardo di volte più veloce di un flash da macchina fotografica. L’uso del laser per tagliare il tessuto corneale consentirà una precisione maggiore che in precedenza, riducendo la possibilità che si verifichino tagli erronei o danni ai tessuti, migliorando perciò la sicurezza clinica dell’intervento. “Il cammino dal centro di ricerca al mercato è in questo caso un eccellente esempio di come la ricerca di base finanziata dallo Stato possa portare a nuove tecnologie di grande utilità sociale” ha commentato Robert Eisenstein, della National Science Foundation. I ricercatori stanno ora esplorando la possibilità di estendere la tecnica ad altre procedure oftalmologiche, come il trapianto della cornea o il trattamento del glaucoma. Un’altra potenziale applicazione permetterebbe di creare nuovi sistemi di drenaggio nell’occhio che manifesti problemi di questo genere. ________________________________________________________________ Il messaggero 21 giu. 01 CHEMIOTERAPIA, ARRIVA UN’ANALISI PER SCOPRIRE QUANDO È EFFICACE ROMA - Sarà presto possibile «personalizzare» i trattamenti chemioterapici contro i tumori grazie a un test semplice e non invasivo che verificherà la presenza, nell'organismo della persona malata, di una proteina che rende inefficaci alcuni farmaci antitumorali. A dare l'annuncio è stato ieri Marco Salvatore, presidente dell'Associazione italiana di medicina nucleare e docente all'Università di Napoli, al Consiglio nazionale delle ricerche di Roma durante il congresso dell'Associazione europea di medicina nucleare. Il test, come ha spiegato Salvatore non è una novità assoluta, essendo già impiegato per il cancro alla mammella. Il test messo a punto del prof. Salvatore permette di individuare con una scintigrafia la presenza di questa proteina, responsabile della «resistenza» in circa il 70-75% dei casi, iniettando in vena una dose di radiofarmaci bassissima, inferiore a quella assorbita con una radiografia del torace. Se l'esito sarà negativo, il paziente potrà essere avviato al trattamento standard di chemioterapia ________________________________________________________________ Le Scienze 21 giu. 01 SCOPERTA L’ORIGINE DELLA RESISTENZA GENETICA ALLA MALARIA Una mutazione genetica permette all’organismo umano di resistere spontaneamente alla malattia Uno studio realizzato all’Università del Maryland ha dimostrato che la mutazione genetica che conferisce all’uomo una resistenza naturale alla malaria è uno spettacolare esempio di come le malattie infettive siano in grado di far riorganizzare il genoma umano. La scoperta, peraltro, potrebbe contribuire allo sviluppo di trattamenti efficaci o di vaccini per proteggere la popolazione esposta al pericolo di contagio. In un articolo che sarà pubblicato sul numero di “Science” del 20 luglio, Sarah Tishkoff e i suoi collaboratori descrivono la storia delle mutazioni del gene G6PD, che conferisce resistenza naturale alla malattia che è la prima causa di morte al mondo, dimostrando che la sua evoluzione è legata all’evoluzione della malattia stessa. “Studiando come la natura affronti una malattia grave come la malaria – ha commentato la ricercatrice – possiamo progettare trattamenti più efficaci contro le malattie stesse. E metodi di analisi dello stesso genere potrebbero essere applicate allo studio di altre malattie infettive, come per esempio la tubercolosi o l’HIV. La storia dello sviluppo della malaria e della resistenza genetica al suo attacco non coincidono, ha proseguito la Tishkoff, ma piuttosto mostrano il risultato di un adattamento genetico a uninvasore che potenzialmente rappresenta una minaccia per la specie umana. “In regioni dove la malaria ha una forte prevalenza, questi meccanismi genetici si sono evoluti per resistere all’infezione. In tutte le regioni dove abbiamo condotto i nostri studi, le mutazioni del gene G6PD che danno resistenza alla malattia sembrano essersi sviluppate proprio nel momento in cui la malaria diveniva prevalente.” Il gruppo ha studiato la storia genetica di popolazioni che presentano il gene G6PD mutato in regioni dell’Africa, del Medio Oriente e del Mediterraneo. Nelle diverse aree si osservano diverse mutazioni, evolutesi in modo indipendente rispetto alle altre regioni, in risposta all’infezione. “Studiando l’impronta genetica della selezione nel gene G6PD, risultante dalla risposta all’infezione malarica, potremmo essere in grado di indentificare altri geni che sono obiettivi della selezione e che potrebbero avere un ruolo decisivo in diverse patologie” ha affermato la Tishkoff. Osservando il numero di varianti che il gene G6PD ha evoluto nel tempo, la Tishkoff e il suo collaboratore Andrew Clark, professore di biologia alla Pennsylvania State University, hanno potuto determinare l’età approssimtiva delle mutazioni. Una mutazione scoperta in Africa potrebbe essere avvenuta tra circa 4000 e 12.000 anni fa. E questa stima potrebbe essere consistente con la documentazione storica e archeologica che mostra come la malaria abbia avuto un impatto significativo sull’uomo solo a partire da circa 10.000 anni fa, ovvero con l’inizio dell’agricoltura. Proprio intorno a quell’epoca (tra 7000 e 12.000 anni fa), un drastico mutamento climatico fece aumentare la temperatura e l’umidità in Africa, e si formarono laghi e paludi. E nello stesso tempo l’avvento dell’agricoltura provocò una deforestazione che lasciò spazio per altre pozze d’acqua. Due eventi che favorirono il formarsi delle condizioni idonee alla proliferazione della zanzara anofele, il vettore attraverso il quale si trasmette la malaria. Un’altra variante del gene, trovata nell’area mediterranea, in Medio Oriente e in India, ha un’origine più recente, in un periodo valutabile tra 1600 e 6600 anni fa, un’epoca in cui sono segnalate grandi epidemie della malattia in Grecia e in Egitto. Secondo la Tishkoff, questa mutazione, diffusasi assai rapidamente nella regione, potrebbe essere stata diffusa dalle migrazioni greche nell’area, magari – ma è solo un’ipotesi – dall’esercito di Alessandro Magno durante la sua irresistibile conquista. Un eccellente esempio di come storia, genetica e archeologia possano collaborare per ricostruire l’evoluzione umana recente. ________________________________________________________________ Il messaggero 20 giu. 01 DIABETE, CELLULE DI MAIALE NELL’UOMO chiesto il via libera all’Istituto superiore di Sanità ROMA - Se l'Istituto superiore di sanità darà il via libera per i primi test sull'uomo, si potrà sperimentare presto per la prima volta in Italia, l'inserimento di microcapsule con cellule di maiale, che hanno lo scopo di liberare i diabetici dalla quotidiana iniezione di insulina. Lo ha annunciato Riccardo Calafiore, diabetologo all'università di Perugia, che ha messo a punto nel 1985 la tecnica annunciata da Emmanuel Opara della Duke University, che si è dimostrata efficace nei babbuini. Gli esperimenti sugli animali, presentati al congresso internazionale di Innsburck il 15 giugno scorso, hanno dimostrato che l'inserimento di microsfere contenenti cellule del pancreas del maiale, riescono a produrre per mesi l'insulina di cui l'animale ha bisogno, evitando così somministrare farmaci. «La settimana scorsa abbiamo presentato all'Iss la richiesta di test sull'uomo - ha detto Calafiore - e se verrà dato un parere positivo si potrà partire con una sperimentazione di fase I, cioè di dimostrazione della sicurezza, su 18 persone diabetiche». Il metodo, ha spiegato il ricercatore italiano, consiste nell'iniettare nell'addome migliaia di microsferule di alginato che racchiudono cellule di pancreas di maiale le quali producono l'insulina mancante nei malati. La superficie delle microsfere ha la peculiarità di essere porosa cioè di far uscire l'ormone ma non di fare entrare in contatto gli anticorpi del ricevente con le cellule estranee. «I test sugli animali sono incoraggianti, ha spiegato Calafiore, ma occorre procedere con tutte le cautele possibili». ________________________________________________________________ Il messaggero 24 giu. 01 DIABETE: CELLULE PANCREATICHE, PRESTO IL TRAPIANTO A PALERMO PALERMO - L'Istituto mediterraneo per i trapianti di Palermo potrebbe essere il primo centro italiano ad avviare un programma di trapianti di cellule pancreatiche. A darne notizia è il direttore dell'Ismett, Ignazio Marino, che ieri ha partecipato a Palermo ad un incontro con il professor Camillo Ricordi, direttore della divisione di trapianti cellulari dell'università di Miami. In Italia non esiste nessun centro che esegue il trapianto di cellule pancreatiche utilizzando il metodo Ricordi, il programma, oltre che a Palermo, sarà presto avviato anche a Pisa, Milano, Modena e Torino. L'idea alla base è di trapiantare esclusivamente le cellule del pancreas che producono l'insulina, distrutte dal diabete, e non l'intero organo. Per questo, Ricordi ha messo a punto uno speciale metodo che consiste nell'utilizzare il pancreas di un donatore e uno speciale macchinario capace di separare dall'organo le cellule che producono l'insulina. Una volta isolate, le cellule vengono purificate e successivamente infuse nel ricevente, attraverso una semplice iniezione nella vena porta. In questo modo si evita un intervento chirurgico maggiore, come quello del trapianto dell'organo, con un rischio minimo ed evidenti vantaggi per il paziente che può effettuare l'operazione anche in day hospital.