Questa rassegna in http://pacs.unica.it/rassegna Indicizzata in http://pacs.unica.it/htdig/search.html Mailing list: medicina@pacs.unica.it POLICLINICO:«IL RETTORE MISTRETTA NON MERITA PIÙ FIDUCIA» POLICLINICO: OPPI: BASTA COL CHIASSO IBBA: POLO UNIVERSITARIO IN ARRIVO 1.171 NUOVE LAUREE UNIVERSITÀ, GLI ESAMI SI FARANNO ANCHE IN AZIENDA. LA FANTASIA ENTRA ALL'UNIVERSITÀ LAUREE BREVI, CORSI MOLTIPLICATI ALBERTO RIPARTE CON LA LAUREA VERONESI:SI COMINCIA IN FACOLTÀ E SI STUDIA PER SEMPRE I PRESIDI E LA FACOLTÀ PERFETTA SCUOLA, SINDACATI DIVISI SUL BLOCCO MORATTI TORNA ALLA CARICA SUL «MERITO» LA "MATURITÀ REGIONALE" NEL PROGETTO DEVOLUTION ========================================================= SCOVIAMO I MENGELE CHE FANNO I SOLDI CON LA SOFFERENZA DEI LORO PAZIENTI MEDICI, NON PIÙ SCELTE IRREVERSIBILI SIRCHIA:"NIENTE TAGLI ALLA SPESA SANITARIA IL SERVIZIO PUBBLICO NON SI TOCCA" SIRCHIA: SANITÀ, BASTA SPRECHI: INVESTIRÒ SUGLI ANZIANI L'ARENA DEI CAMICI BIANCHI CAGLIARI INAUGURA LA PRIMA LUDOTECA IN OSPEDALE AIDS, VACCINO ITALIANO FRA 6 MESI TEST SULL'UOMO LE PROMESSE DELL'ANGIOGENESI GINEVRA: ARRIVA IL PRIMO TEST CHE STANA IL PRIONE ASMA INFANTILE E RELAZIONI FAMILIARI ========================================================= «PA», IL PROGETTO DEL TELELAVORO COMPIE UN ALTRO PASSO IN AVANTI N.T. IL MEDICO DIGITA WWW E SI AGGIORNA ========================================================= _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 5 lug. ’01 «IL RETTORE MISTRETTA NON MERITA PIÙ FIDUCIA» Seduta burrascosa per il Consiglio della facoltà di Medicina: contestato Pasquale Mistretta Nanni Brotzu chiederà i danni per i ritardi al Policlinico «Il rettore non ha più la mia fiducia». Nanni Brotzu, titolare della cattedra di Chirurgia vascolare all’Università, ha sparato a zero su Pasquale Mistretta per i ritardi che bloccano l’avvio del Policlinico di Monserrato. E lo ha fatto davanti a duecento colleghi, in Clinica medica, durante il Consiglio di facoltà di Medicina presieduto da Angelo Balestrieri. Il professor Brotzu ha anche annunciato di voler procedere per vie legali contro il rettore. «Chiederò un risarcimento danni per demansionamento». Il termine indica la lesione della dignità umana e della personalità morale del lavoratore, tutelate dalla Costituzione. Nanni Brotzu non opera in una sala chirurgica pubblica da quasi due anni. «Era stato affermato che i reparti di chirurgia avrebbero iniziato a funzionare dall’aprile 2000. Sappiamo bene che sei sale gioiello sono ferme e che 300 milioni di ferri operatori si stanno arrugginendo. Il rettore ha annullato le convenzioni con l’Oncologico e con il Brotzu senza provvedere a dare alternative». Il 5 giugno Mistretta ha scritto all’assessore regionale alla Sanità. Giorgio Oppi ha risposto dieci giorni dopo, assicurando l’impegno per arrivare alla stipula del protocollo d’intesa Regione-Università, strumento che dovrebbe consentire il decollo del Policlinico, che oggi opera a regime ridottissimo con attività di day hospital e di laboratorio. «Il protocollo», contesta Nanni Brotzu, «viene visto come la causa del ritardo, ma dal 18 maggio c’è un decreto governativo che indica la strada. L’impegno dell’assessore non basta. Nella lettera di Oppi al rettore, dove mancano e non a caso persino i “distinti saluti”, si critica la mancanza di una direzione nominata secondo legge». Nanni Brotzu chiama in causa anche il direttore generale del Policlinico, Rosa Cristina Coppola. «Mi dispiace per Rossella, che è amica mia, ma non ha i titoli. La sua è una nomina pro tempore, non si può andare avanti così». La professoressa Coppola non replica. Conferma i buoni rapporti con il collega («Anche questa mattina abbiamo lavorato insieme»), ma «il professor Brotzu è libero di pensare quello che vuole. Io non entro nel merito». Il vero bersaglio del vulcanico chirurgo è Mistretta. «Io non entro in polemica con l’assessore Oppi. Posso criticarlo da libero cittadino. Ma, da docente, me la prendo con il rettore. Lui dovrebbe darsi da fare per mettere a frutto tutti i soldi investiti in questa struttura. E invece se ne riparlerà a settembre, forse per slittare a dicembre e poi dopo Natale e così via». Brotzu ha scritto anche al presidente dell’Ordine dei Medici, Raimondo Ibba. E Ibba, che è anche consigliere regionale, ha presentato un’interpellanza all’assessore Oppi, elencando ritardi, disfunzioni, perplessità. Nanni Brotzu ne denuncia un’altra: «Sul “Polo didattico” l’Università non deve aspettare la Regione, può agire in autonomia. C’è una cifra da spendere, tra i 5 e i 10 miliardi. Ferma. Non ci si sorprenda, allora, se la qualità della didattica, nel nostro ateneo, zoppica un po’ troppo». Non è finita: Brotzu mostra una delibera della Giunta regionale del 29 dicembre ’98: si legge che anche le cliniche universitarie a gestione diretta hanno diritto al rimborso per ogni singola prestazione. «E invece», contesta Brotzu, «veniamo rimborsati in modo forfetario». Pare che il debito della Regione verso l’Università sia di una trentina di miliardi. «E chi deve sollecitare, se non il rettore? Basta, basta. La mia fiducia verso Mistretta, conclude Nanni Brotzu, «è davvero finita». Emanuele Dessì _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 6 lug. ’01 POLICLINICO: OPPI: BASTA COL CHIASSO IBBA: POLO UNIVERSITARIO «Con il chiasso non si ottiene nulla». Giorgio Oppi, assessore regionale alla Sanità, interviene nella querelle sul Policlinico di Monserrato. «Struttura eccellente, ma i funzionari attestano che alcune cose non sono legittime». Oppi prende le distanze della “sparata” di Nanni Brotzu, il docente-chirurgo che, qualche giorno, ha “sfiduciato” il rettore. «Ci siamo battuti perché ci sia una società mista di tipo B, Regione-Università. Stiamo lavorando», dice Oppi, «perché il Policlinico possa operare in piena legittimità. E non siamo certo distratti. Lo dimostra il finanziamento di 9 miliardi per un nuovo blocco del Policlinico e un altro di 5 per la Clinica Aresu». L’assessore ci tiene a sottolineare i buoni e proficui rapporti con il rettore. «Sbaglia chi si appiglia all’assenza dei “distinti saluti” in una lettera. Le lettere le predispongo gli uffici. Conosco Mistretta da quarant’anni, i nostri rapporti sono di grande cordialità. E di stima. Insieme faremo in modo che presto il Policlinico possa lavorare. All’insegna della legalità». I tempi, però, si stanno allungando troppo. Lo rileva anche il presidente dell’ordine dei medici Raimondo Ibba, che è anche consigliere regionale. In un’interpellanza, evidenzia che il Consiglio della facoltà di Medicina ha approvato all’unanimità la proposta - all’assessore Oppi - di costituire un’azienda ospedaliera integrata con l’Università, con la trasformazione dei presidi in cui insiste la prevalenza del corso di laurea in Medicina (vedi San Giovanni di Dio). Una proposta avanzata formalmente dal rettore e che consentirebbe di concentrare l’attività in un unico polo sanitario- universitario. Cosa che, scrive Ibba, eviterebbe agli studenti «perenigrazioni tra gli ospedali cittadini». _____________________________________________________________ La Repubblica 2 lug. ’01 UNIVERSITÀ, GLI ESAMI SI FARANNO ANCHE IN AZIENDA. Il mondo accademico è alla svolta decisiva. Uno dei cardini del nuovo ordinamento sarà un più stretto collegamento con la realtà produttiva, che darà il suo contributo formativo CARLO ALBERTO PRATESI Università di Roma Tre "Non sappiamo se cambiando miglioreremo, ma sappiamo che per migliorare dobbiamo cambiare" questo aforisma, spesso citato da Winston Churchill, esprime bene il tipo di atteggiamento con il quale molte università italiane si stanno apprestando - non senza qualche perplessità - a mettere in atto la riforma universitaria. Dopo le recenti polemiche (sui quotidiani si sono letti appelli a ritardare l'entrata in vigore della riforma o, addirittura, a bloccarla del tutto) è ormai certo che nei prossimi mesi oltre 300.000 ragazzi - è questo grossomodo il numero dei diplomati che si appresteranno a proseguire gli studi - si avvieranno a entrare nel nuovo corso dell'università italiana, diventandone di fatto le prime cavie. Dovranno prima di tutto familiarizzare con una terminologia che è quasi del tutto nuova, anche per gli stessi addetti ai lavori (docenti e personale amministrativo); comprendere il significato di parole come "classi", laurea triennale (o di primo livello), laurea specialistica (o di secondo livello), crediti (o debiti) formativi, master di primo e di secondo livello, per evitare di fare scelte sbagliate: considerato che attualmente il 30% degli studenti dichiara che se potesse tornare indietro nel tempo non rifarebbe la stessa scelta universitaria. E se fino ad oggi si trattava di decidere soprattutto la Facoltà, dal prossimo anno accademico i corsi di laurea - tutti triennali tranne Architettura, Medicina e Farmacia - verranno attivati all'interno delle cosiddette "classi di studio", ossia dei raggruppamenti di corsi che fanno riferimento a un certo obiettivo formativo e assicurano uno specifico sbocco professionale. Di classi ne sono state istituite ben 42 e non riconducono, se non indirettamente, alle tradizionali Facoltà. Per esempio, quelle attinenti alle materie economiche sono la n.17 "scienze dell'economia e della gestione aziendale", adatta soprattutto per chi è interessato a entrare in azienda, e la n.28 "scienze economiche", più orientata a chi vuole inserirsi in uffici studi, enti di ricerca e organismi internazionali. Una volta scelto il corso di laurea più vicino ai propri interessi (l'offerta sarà molto più ampia rispetto agli anni passati) lo studente sarà anche chiamato a decidere quali esami fare; infatti una parte dei crediti didattici (ogni credito equivale a 25 ore tra lezioni e studio individuale, e ne servono 180 per ottenere la laurea) non è vincolata da piani di studio e potrà essere acquisita anche con stage e tirocini in azienda (ogni ateneo riserva alcuni crediti, in genere da tre a cinque, a queste esperienze esterne). Prima di decidere il corso di laurea sarà anche bene farsi un'idea di quale sarà il proprio percorso formativo: proseguire o meno gli studi dopo il triennio? Se si è disposti a studiare altri due anni si può ottenere una laurea specialistica, da scegliere tra quelle che le università proporranno (per adesso esistono sole le 100 classi definite dalla riforma); e non è detto che si debba necessariamente proseguire per la stessa strada: chi è disposto a sanare i debiti formativi con cui la Facoltà avrà deciso di penalizzarlo, potrà passare, per esempio, da una laurea triennale in Lettere ad una specialistica in Giurisprudenza. In alternativa, ci si potrà orientare verso un master universitario di "primo livello", che dovrebbe consentire un inserimento più diretto nel mondo del lavoro (piena autonomia degli atenei nel decidere programmi, durata e tariffe). Infine, dopo la laurea specialistica, chi vorrà potrà continuare a studiare ancora, scegliendo tra dottorato di ricerca (due anni) o master di secondo livello. "Al di là delle inevitabili complessità di attuazione, alcuni aspetti estremamente positivi della riforma meritano di essere sottolineati - spiega Rosella Ferraris Franceschi che rappresenta al CUN, Consiglio Universitario Nazionale, i professori ordinari delle materie economiche e statistiche - da un lato la grande attenzione verso la domanda e gli studenti, i quali non solo avranno diritto ad assistenza e tutoraggio, ma saranno anche chiamati a intervenire attivamente nel processo di programmazione e valutazione della didattica (grazie all'istituto della "commissione paritetica" dove il loro parere pesa per il 50%). Dall'altro lato, va sottolineato che nella legge c'è un esplicito richiamo a verificare costantemente la nonobsolescenza dei programmi, che un tempo potevano rimanere immutati per decenni: l'invecchiamento è un rischio che le facoltà non possono più correre, soprattutto nelle discipline, come quelle economiche o ingegneristiche, in cui l'innovazione è continua". Nonostante tutti gli sforzi fatti per programmare con attenzione l'entrata in vigore della riforma, non c'è dubbio che il primo anno di attuazione sarà piuttosto problematico e ricco di imprevisti. Lo hanno già scoperto quelle università (per esempio la facoltà di ingegneria di Roma Tor Vergata) che hanno deciso di anticipare l'avvio delle nuove lauree già dall'anno accademico 20002001. La principale difficoltà che devono affrontare gli atenei è insita nella gestione parallela del nuovo e del vecchio ordinamento, necessaria per garantire a chi si è iscritto negli anni passati la possibilità di proseguire gli studi fino alla laurea quadriennale. E si prevede che solo una parte dei "vecchi" iscritti (neanche troppo grande) opterà per il passaggio alla riforma, visto che sono in molti a pensare che il titolo offerto dalla vecchia laurea tenderà ad essere equiparato - di fatto -a quello della laurea specialistica quinquennale. Gli atenei suggeriscono il passaggio a tutti quegli studenti "bloccati" con gli esami o fuori corso, che si avviano a rimpinguare la folta schiera di coloro che abbandonano gli studi prima del titolo. Considerato che secondo i dati della Crui (Conferenza dei Rettori), meno del 15% dei laureati consegue il titolo rispettando i tempi previsti dagli ordinamenti didattici e, attualmente, gli studenti fuori corso sono circa 630.000 cioè il 37% del totale degli iscritti(senza particolari differenze tra università). _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 2 lug. ’01 IN ARRIVO 1.171 NUOVE LAUREE L’università cambia - Da quest’anno la riforma del «3+2» e l’autonomia moltiplicano i corsi MILANO - Le matricole universitarie quest’anno sono alle prese con 1.171 corsi di laurea nuovi e 158 vecchi (ma in procinto di trasformarsi). È il risultato più macrosopico della riforma universitaria del "3+2", che introduce le lauree triennali e specialistiche. I corsi nuovi sono quasi tutti triennali, con l’eccezione di quelle poche facoltà per le quali è obbligatorio il percorso "lungo", come medicina. Così, chi punta all’area umanistica può scegliere, per esempio, tra 386 corsi nuovi e 22 vecchi; mentre 385 sono le possibilità per giuristi ed economisti. Tra questi l’ardua scelta degli studenti, mai come quest’anno in crisi da disorientamento. Prima difficoltà: comprendere l’abc delle riforma, che oltre ai nuovi titoli, introduce il sistema dei crediti e debiti formativi. Secondo: valutare le proposte delle università, con gli occhi al lavoro futuro. In aiuto arriva, da oggi per quattro lunedì, la guida del Sole-24 Ore, con l’indicazione di tutti corsi attivati città per città. E da lunedì prossimo, 9 luglio, i lettori troveranno anche il primo di tre inserti sui test d’ingresso. Test che sono di due tipi: quelli per valutare le carenze formative e quelli delle facoltà a numero chiuso. _____________________________________________________________ La Repubblica 2 lug. ’01 LA FANTASIA ENTRA ALL'UNIVERSITÀ LAUREE BREVI, CORSI MOLTIPLICATI CARLO ALBERTO PRATESI Finiti gli esami di maturità c'è un altro esame importante per chi si accinge a proseguire gli studi: la scelta del corso di laurea. Le alternative offerte ai neo diplomati del 2001 non mancano davvero: si va da "Archeologia subacquea" di Viterbo a "Scienze del fiore e del verde" di Pavia, da "Scienze e tecnologie orafe" di Milano (Bicocca) a "Ingegneria dell'automobile" di Torino, da "Cooperazione allo sviluppo rurale dei paesi emergenti" di Viterbo a "Letteratura, Musica e Spettacolo" di Roma (La Sapienza). Non c'è dubbio che la deregulation insita nella nuova formula della laurea triennale abbia scatenato la fantasia degli atenei comportando, come era facile da prevedere, il fiorire di numerosissimi corsi di laurea nuovi, non necessariamente attinenti al profilo che caratterizzava tradizionalmente la Facoltà. D'altra parte, gli unici vincoli che hanno dovuto rispettare le università nella programmazione didattica sono i requisiti minimi previsti dalle nuove classi di laurea, e le risorse professionali ed economiche necessarie per attivare i corsi. Pertanto negli ultimi mesi ogni ateneo ha cercato di studiare i prodotti formativi più adatti per inserirsi nel mercato locale e per differenziarsi dalla concorrenza. Tra le aree disciplinari più appetibili c'è quella economica, sul cui bacino di utenza (circa 170.000 iscritti) si stanno orientando in molti. Ecco quindi che dal prossimo anno accademico ci si potrà iscrivere ad un corso di laurea in "Economia europea" in seno alla facoltà di Scienze Politiche (come propone la Statale di Milano), o ad un corso in "Economia aziendale e bancaria" attivato da Lettere e Filosofia (è il caso della Lumsa di Roma). Stesso interesse si rileva da parte delle facoltà di Ingegneria, Sociologia e Giurisprudenza. "La riforma ha stimolato la creatività di docenti universitari, che per troppo tempo erano rimasti imbrigliati da regole troppo rigide e da una burocrazia che non consentiva di allontanarsi troppo dal tracciato" afferma Rosella Ferraris Franceschi, membro del CUN, l'organismo al quale viene affidato il controllo di legittimità e di merito delle singole proposte degli atenei. Rispetto alla laurea di primo livello, che nelle intenzioni della legge dovrebbe essere la più professionalizzante, le proposte giunte al ministero sono davvero numerosissime, e manifestano il diverso atteggiamento dei singoli atenei. Per quanto riguarda la facoltà di economia, c'è chi si è limitato a due soli corsi di laurea, uno di tipo aziendale e uno di tipo economico "generale" (per esempio l'Università della Calabria o quella di Roma Tre), altri ne propongono sette tra cui "economia dell'ambiente e del territorio" e il classico "economia e commercio" (Università di Pisa); qualcuno arriva addirittura a dodici, come l'università Ca' Foscari di Venezia che, tra l'altro, offre una laurea triennale in "Economia e gestione dei sistemi complessi". Dopo anni di immobilismo - basti pensare che solo negli anni novanta è entrata ufficialmente la parola Œmarketing' tra le materie universitarie (prima, si poteva parlare solo di "tecniche e politiche di vendita" o "ricerche di mercato") - oggi fioriscono corsi di laurea in "marketing ed ebusiness" (è il caso di Pavia). La riforma prevede anche la possibilità per le università di far frequentare (a pagamento) singole materie per chi è già inserito nel mondo del lavoro (l'ottica è quella della formazione continua) e, soprattutto, di attivare corsi master di primo o secondo livello. Sebbene l'offerta dei vari atenei sia ancora tutta da definire, un master universitario di un anno dovrebbe offrire 60 crediti e potrebbe costare allo studente tra i 10 e i 20 milioni. "La nostra facoltà di economia prevede già due soluzioni: master Œin parallelò, aperti anche a studenti provenienti da altre facoltà (come quello in ŒMarketing management', che abbiamo realizzato in collaborazione con Il Sole 24 Ore) e master Œin seriè, che seguono la laurea triennale e, a richiesta, possono essere tramutati in crediti per conseguire la laurea specialistica " spiega Gianpiero Lugli dell'università di Parma. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 4 lug. ’01 ALBERTO RIPARTE CON LA LAUREA Cerimonia all’Università prima del banchetto del Comune Accompagnato dal suono struggente delle launeddas e sulle note dell’Ave Maria in sardo-logudorese, il principe Alberto di Monaco ha concluso ieri, dopo un banchetto offerto dal Comune, la visita ufficiale forse più impegnativa della sua vita di erede al trono: è tornato a Montecarlo con una laurea in “Biologia marina”, una berritta d’orbace e un dolce (dono segreto dell’Arcivescovo) che si è impegnato a scartare in compagnia del padre e gli altri membri della famiglia reale. Nessuna traccia di mondanità (anche se la presenza di alcune vecchie amiche del jet-set non mancherà di offrire materiale ai rotocalchi e al gossip estivo), nessun incidente diplomatico, molti impegni per rafforzare un gemellaggio culturale che può diventare anche un business per il turismo e la ricerca scientifica. Tutto fin troppo perfetto: anche la partenza avvenuta in una cornice senza troppi fronzoli e passerella. La seconda giornata cagliaritana di Alberto di Monaco ha registrato il momento più esaltante all’Università dove (in un Rettorato troppo piccolo per accogliere docenti, autorità e curiosi d’ogni genere) il Magnifico Pasquale Mistretta gli ha conferito la laurea honoris causa in Biologia Marina. «Il Principato di Monaco - ha sostenuto Mistretta - ha legami antichi con la Sardegna. E noi guardiamo a Monaco per tutto ciò che rappresenta nel Mediterraneo, il mare e la ricerca scientifica. Si possono studiare modelli di sviluppo formativo - ha aggiunto - che saranno sicuramente importanti per la nostra politica universitaria. Cagliari e Monaco sono piccole realtà geografiche ma ricche di storia». È stato il professor Angelo Cao, direttore del dipartimento di Biologia Marina, a illustrare la motivazione che ha portato all’assegnazione della laurea al principe Alberto. Il docente e ricercatore cagliaritano, tra l’altro, ha ricordato le tappe del lungo cammino che ha portato alla nascita di importanti centri per lo stadio degli animali con particolare riferimento al mare. E tutti i lavori effettuati nel grande spirito di collaborazione proprio con Monaco e il principato all’avanguardia non solo in Europa. Alla fine del suo intervento, il professor Angelo Cao - a proposito degli accordi siglati a Roma per il “Santuario internazionale per la protezione dei cetacei” - non è riuscito a trattenere una nota di rammarico: «Siamo stati tagliati fuori da un accordo che in realtà doveva essere ratificato a La Maddalena. La nostra università sul punto ha acquisito competenze primarie non oggi, e francamente sarebbe stato meglio sottolineare questo nostro impegno quotidiano». Senza polemica aggiunge: «Collaboriamo con Monaco da tempo e forse ci sarebbe piaciuto riacquistare il nostro ruolo specifico». Ed ecco, in lingua francese con qualche battuta in italiano, la risposta del neo dottore che, non avendo competenza particolare nelle scienze biologiche marine, ha allargato il discorso sul ruolo che il Principato svolge nell’esplorazione scientifica del Mediterraneo. «La Rocca e il porto di Monaco - ha detto - si trovano su un litorale caratterizzato da un rilievo montuoso. Non avendo un territorio capace di fornire risorse alimentari sufficienti per la popolazione, vivendo nella stretta piattaforma costiera il Principato ha dovuto rivolgersi verso il mare per trovare mezzi di sostentamento e di sviluppo. Perciò la storia di Monaco, a causa della sua geografia, è strettamente legata al mare e le preoccupazioni dei suoi Principi sono state sempre orientate verso l’orizzonte marino: dal Medioevo ad Alberto I che all’inizio del ’900 ha aperto l’epoca della conoscenza del mondo marino, sottolineando il ruolo fondamentale degli oceani sino alla tutela del mare». Dal museo oceanografico al santuario dei cetacei del Mediterraneo il passo è stato lungo, ricco di interventi e partecipazione da tutto il mondo: oggi collaborano 500 istituti specializzati e sono coinvolte organizzazioni come l’Unesco, la Fao e altre sigle internazionali. La Sardegna - ha sottolineato il Principe - è interessata dal 1993 ad un progetto di tutela del mare assieme alla Corsica ed a Monaco: si tratta del piano Ramogepol in cui vengono sperimentate forme di intervento contro l’inquinamento: «La protezione dei cetacei è l’ultima iniziativa ma spero che il mare Mediterraneo sia anche un legame d’amicizia e di scambi tra Monaco e la Sardegna». La cerimonia di consegna del prezioso diploma di laurea in Biologia si è conclusa con l’applauso dei presenti e le felicitazioni di Pasquale Mistretta e Angelo Cao. Alberto di Monaco è apparso commosso e felice del riconoscimento ma non ha avuto molto tempo per farsi ammirare col tocco e la toga. Giusto un brindisi nell’ufficio del Rettore e nuova corsa verso piazza Palazzo dove il cerimoniale prevedeva l’incontro con le associazioni sportive e del volontariato. Un’altra ora di colloqui con scambi di doni e impegni per il futuro, sino alle 13,30 quando il capo del cerimoniale ha avvertito che era arrivata l’ora del pranzo. Dalla prefettura sino al cosiddetto “quartiere europeo” dove il sindaco Emilio Floris, assessori, consiglieri e funzionari del Comune aspettavano per l’ultimo brindisi e il commiato da una città che ha accolto il principe monegasco da vero imperatore. Intanto la musica: launeddas all’ingresso, poi l’Ave Maria in sardo di Maria Paola Aresu e il violino di Anna Tifu, l’allieva del maestro Accardo, nota in tutto il mondo nonostante i suoi quindici anni. Un bell’intermezzo organizzato dalla Scuola civica di musica del maestro Luigi Puddu, per intrattenere e salutare l’illustre ospite con le cose genuine e belle che i sardi sanno offrire. Curioso anche l’allestimento della sala (ogni tavolo era intitolato a un’erba aromatica) mentre il cuoco del ristorante si è sbizzarrito con gamberoni al vermentino, birdureddas, lasagnette con ostriche e zucchine, ravioli di patate, porceddu furria furria e per concludere: arrescottu cun mebi marigosu e mendula. E due pardulette dulcis. Vini bianchi e rossi assortiti, grappa di Turriga. Totale 25 milioni, lira più lira meno. Buon viaggio, principe di Monaco. Speriamo di rivederci presto. Giovanni Puggioni _____________________________________________________________ Repubblica 7 lug. ’01 VERONESI:SI COMINCIA IN FACOLTÀ E SI STUDIA PER SEMPRE la lettera umberto veronesi Sono passati esattamente cinquant'anni da quando mi sono laureato in medicina all'Università di Milano. Quella di mezzo secolo fa era un'università molto diversa dagli atenei di oggi. In un'Italia che veniva appena fuori dalla guerra, le conoscenze scientifiche per curare molte malattie erano ancora scarne. Oggi siamo in grado di combattere con elevate probabilità di successo anche quelle malattie che quando io ero studente, erano definite incurabili. Negli ultimi anni poi, il progresso delle conoscenze e delle scoperte di nuove cure ha avuto un'accelerazione ulteriore. Una vera rivoluzione, sia sul fronte dei trapianti, sia della diagnostica per immagini, sia della bioetica. In nessun settore come in medicina è tangibile il progresso continuo delle conoscenze. Ogni sette anni, la metà delle informazioni acquisite in medicina sono obsolete, superate. Per questo motivo è importante che i piani di studio delle università vengano continuamente aggiornati e portati al passo con le più recenti scoperte. Malgrado le difficoltà e talvolta l'affollamento di alcuni atenei, i medici italiani sono dei buoni medici: preparati, scrupolosi, che nulla hanno da invidiare ai medici formatisi in altri Paesi industrializzati. Tant'è che i nostri giovani migliori trovano facilmente collocazione nelle strutture ospedaliere e nei centri di ricerca biomedica americani o europei. Ai giovani che in questi giorni stanno sostenendo gli esami per il diploma superiore e che desiderano iscriversi a una Facoltà di Medicina dico: seguite le vostre inclinazioni, le vostre ambizioni, ma fatelo solo se siete davvero motivati. La facoltà di medicina è un po' speciale: si incomincia a studiare all'università e si continua a studiare per tutta la vita. E' passato il tempo in cui, dopo i sei anni di corso di laurea e dopo i tre, quattro anni per la specializzazione, un medico abbandonava lo studio per dedicarsi solo alla propria professione e curare chi soffre. Da ministro della Sanità, nell'anno appena trascorso, ho fatto in modo che anche in Italia fosse introdotto il sistema dell'educazione continua in medicina; da medico sono sempre stato convinto che solo lo studio sistematico e l'aggiornamento con le più recenti tecniche possono fare di un medico un buon medico in grado di curare ed aiutare la gente. Anche la difficoltà nel trovare un lavoro dopo la laurea lo considero nei fatti un falso problema. Esistono branche anche importanti e avvincenti della medicina come la radiologia o l'anestesiologia dove mancano i professionisti. Decidere di fare il medico è una scelta profonda dietro la quale non può che esservi una motivazione forte, radicata e nobile. ex ministro della sanità; onclogo; laureato a Milano con 110 e lode _____________________________________________________________ Repubblica 7 lug. ’01 I PRESIDI E LA FACOLTÀ PERFETTA MARIO REGGIO ROMA - Mancano poco più di due mesi, salvo improvvisi quanto poco auspicabili mutamenti di rotta, alla partenza della riforma dell'università. A settembre, infatti, molti dei giovani che hanno superato la maturità s'iscriveranno ai nuovi corsi di laurea: tre anni di studi per quella triennale (che non sarà un titolo di serie B), poi gli eventuali master e, per chi vorrà proseguire, la laurea specialistica biennale. Gli obiettivi della riforma sono ormai noti: far crescere in maniera consistente il numero degli studenti che terminano gli studi, anticipare l'ingresso nel mondo del lavoro, favorire la ricerca, avvicinare l'Italia al modello europeo. A guidare questa complessa trasformazione sono i 450 presidi di facoltà che guidano oltre millecinquecento corsi di laurea. Sono loro quelli che nei mesi scorsi hanno sopportato il maggior carico della preparazione dei nuovi corsi di studio, che si sono scontrati con la suscettibilità e a volte la presunzione di quei colleghi che si sentivano sminuiti se la loro materia rischiava di non passare tra quelle specialistiche. Sono loro ad essere per primi coscienti che le regole del gioco stanno cambiando, che il successo dipenderà dalle capacità che l'università metterà in campo per cambiare se stessa. E nel sondaggio effettuato dal Censis tra i presidi, per la grande inchiesta sull'università, questa consapevolezza è ben segnalata. Perché ormai il cambiamento si è messo in moto e non sarà più possibile fermarlo. Il processo della valutazione delle facoltà, termine impronunciabile fino a pochi anni fa, ha iniziato la sua marcia. Diretta e imprescindibile conseguenza della valutazione è la competizione tra le facoltà e gli atenei. Finanziamenti pubblici e privati per la ricerca, soldi statali per il funzionamento ordinario dell'attività accademica, reclutamento dei docenti, dipenderanno sempre di più dai risultati che le università saranno in grado di raggiungere. Le migliori, quelle capaci di limitare la piaga tutta italiana dei fuoricorso, che disporranno di un corpo docente di alta qualità e motivato, che organizzeranno progetti di ricerca seri e di rendimento, saranno premiate finanziariamente. Anche nel mondo accademico sono sempre più le persone che si dicono convinte che la stessa laurea non è uguale per tutti: dipende da chi è stato rilasciato il diploma. E' questo un altro processo inarrestabile che orienterà sempre più giovani a scegliere la facoltà più seria, che offre più servizi e di migliore qualità, che assicura un rapporto umano e costante con gli insegnanti. I presidi lo sanno e nel sondaggio del Censis al primo posto, tra i fattori trainanti per accrescere la competitività delle facoltà, è indicato il miglioramento della qualità dei servizi e delle strutture. Segue il prestigio dei docenti. Con alcune differenze. Tra le facoltà scientifiche è più marcata la tendenza di reclutare giovani docenti di qualità (anche per evitare la cosiddetta fuga dei cervelli), mentre i presidi delle facoltà umanistiche preferiscono puntare su docenti di consolidata e riconosciuta autorevolezza. «La riforma cammina sulle gambe degli studenti», ha dichiarato tempo fa uno degli ideatori delle nuove lauree. Gli studenti dunque hanno e avranno sempre di più la possibilità di partecipare con pari dignità con le altre figure del mondo accademico alle decisioni che riguardano i programmi di studio, i crediti, gli orari, i servizi. Ecco perché il Censis ha realizzato un'indagine su un campione di 269 presidi che fino al 10 giugno del 2001 hanno risposto alle domande dei ricercatori. Un campione che rappresenta il 60 per cento dell'universo di riferimento. E che non intendono perdere la sfida della riforma. _____________________________________________________________ Il Messaggero 6 lug. ’01 SCUOLA, SINDACATI DIVISI SUL BLOCCO Dopo il ritiro del decreto. La Cgil: «Fermata anche l’università». La Cisl: pausa proficua Moratti: «Riforma da migliorare» ROMA - Non sarà solo la riforma dei cicli a subire uno stop. Oltre al ritiro del decreto che avrebbe dovuto rivoluzionare la scuola di base, il ministro della pubblica istruzione Letizia Moratti ha fermato altri tre decreti già inviati alla Corte dei Conti. Saltera quindi anche la nuova struttura dei corsi universitari per arrivare all’abilitazione: laurea triennale e due anni di specializzazione universitaria. Il risultato, raggiunto dopo un lungo e acceso dibattito, viene praticamente spazzato via e l’inversione di rotta metterà in difficoltà gli atenei che già stavano elaborando i nuovi percorsi didattici per gli insegnanti del futuro. Bloccati anche i decreti relativi all’espansione della scuola dell’infanzia e quello che riguarda l’introduzione di 32 ore settimanali di lezione per gli istituti che ne hanno 40. Insomma, una “tabula rasa", che divide il mondo politico e sindacale. Ed è subito partita l'offensiva dell'Ulivo contro la decisione del nuovo governo. Luigi Berlinguer, ex ministro dell'Istruzione del centro-sinistra e “padre" della riforma, annuncia una prima iniziativa comune e interviene duramente contro il ministro Moratti: «L'Ulivo intende chiamare il ministro Letizia Moratti a rispondere in Parlamento, nello spazio del question time, per spiegare perché si è permessa di ritirare un provvedimento come quello della riforma dei cicli, che era già perfezionato». «Tra l'altro - prosegue - hanno detto una bugia: il provvedimento era già perfezionato e non è vero che era stato bocciato dalla Corte dei Conti». Berlinguer prosegue: «invito ancora una volta i presidi a proseguire come se la riforma non fosse stata bloccata. La legge e il regolamento lo consentono. Ci sono delle autonomie e nell'attuazione di queste i capi di istituto possono modificare i programmi. È necessario che il testo della riforma, bloccato in via legislativa, sopravviva culturalmente. Guai a fermare ciò che è già in movimento. Le scuole si erano già adeguate, c'era fermento e da settembre gli studenti avrebbero cominciato, davvero, a studiare inglese e informatica dalla prima elementare. Così invece si blocca tutto». Ma per il ministro Moratti non si tratta di uno stop improduttivo: «La riforma era stata preparata frettolosamente. Noi non vogliamo bloccare il provvedimento ma rivederlo e approfondirlo coinvolgendo gli esperti, le famiglie e i docenti». Duro il giudizio del segretario generale della Cgil-scuola Enrico Panini secondo il quale si sta assistendo ad un «accanimento controriformatore» e non usa mezzi termini neppure il segretario generale della Formazione e Ricerca della Cgil Andrea Ranieri: «Il ministro Moratti si presenta al Paese con un programma “a togliere". È un pessimo inizio, la Cgil sosterrà con forza tutte quelle scuole ed autonomie locali che hanno investito nei progetti di sperimentazione e che vorranno proseguire nell'impegno di qualificare la scuola pubblica». Di diverso parere la leader della Cisl-scuola Daniela Colturani: «La pausa dopo il ritiro del decreto dovrà servire per una seria e proficua riflessione sulle reali esigenze del nostro sistema scolastico, con la partecipazione di tutti i soggetti interessati: personale della scuola, studenti e famiglie». E «non è una tragedia» neppure per il leader della Uil-scuola Massimo Di Menna: «Una ulteriore riflessione può fare solo bene». _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 4 lug. ’01 MORATTI TORNA ALLA CARICA SUL «MERITO» Scuola - Il ministro dell’Istruzione vuole introdurre nel Dpef il principio della valutazione degli insegnanti Marco Ludovico (NOSTRO SERVIZIO) ROMA - Torna la valutazione del merito dei docenti. Il Ministro dell’Istruzione, Letizia Moratti, vuole introdurre criteri di valorizzazione della professionalità degli insegnanti. Non ci sarà molto da attendere: il Ministro, infatti, intende inserire questi princìpi nel prossimo Dpef, il documento di programmazione economica e finanziaria del Governo. I tecnici di Viale Trastevere stanno già lavorando al contributo da fornire per il documento che l’Esecutivo presenterà nei prossimi giorni. E uno dei punti centrali del paragrafo "Istruzione" del Dpef, dunque, dovrebbe riguardare proprio la nuova professionalità dei docenti italiani. I dettagli della questione non sono ancora noti, anche perché si stanno definendo proprio in queste ore e, al Ministero, è un susseguirsi di riunioni e discussioni. Un fatto, comunque, è certo: le linee-guida della proposta del ministro dell’Istruzione riguardano un intervento di riforma della professionalità, della carriera e dell’orario di lavoro degli insegnanti pubblici. Sulla questione, del resto, le idee dell’attuale Ministro sono note da tempo e uno dei primi punti dell’agenda-Moratti riguarda senza dubbio la valutazione del sistema dell’istruzione pubblica, docenti compresi. Il responsabile di Viale Trastevere ha già ribadito a chiare lettere le sue priorità: centralità dello studente, qualità dell’insegnamento e valutazione, appunto, del sistema dell’istruzione. La materia è comunque delicatissima. Appena un anno fa, quando era alla Pubblica istruzione, Luigi Berlinguer aveva spinto molto per introdurre una misurazione del merito dei docenti e su questo aveva perfino convinto i sindacati a sottoscrivere un contratto. Ma con la rivolta contro il "quizzone" — il sistema che doveva selezionare gli insegnanti più bravi — Berlinguer si è giocato il posto e il suo successore, Tullio De Mauro, non ha più ripreso la questione. I sindacati si sono defilati e soltanto la Cgil, nella trattativa sull’ultimo contratto 2000-2001, ha fatto pressione per stabilire meccanismi di valutazione degli insegnanti. Nell’intesa finale, però, è stato concordato solo qualche piccolo incentivo, erogato dai singoli istituti e destinato a chi si impegna di più nella didattica. Adesso, il passaggio sulla scuola del Dpef per il 2002 diventa decisivo. A fine anno scade il contratto dei docenti. C’è da stabilire, dunque, la nuova disciplina per il quadriennio 2002-2005. Le risorse saranno decise dalla prossima Legge finanziaria, ma la questione del merito dei docenti, a questo punto, torna a essere centrale e il Dpef la rimetterà subito in gioco. Rischiando di creare perfino una situazione imbarazzante in Cgil. Il più grande sindacato confederale, infatti, è stato finora il più battagliero contro il nuovo Governo. E ora proprio dal ministro Moratti arriva una proposta su un tema a lungo caldeggiato dal segretario generale, Sergio Cofferati. Il sindacato di Corso d’Italia teoricamente dovrebbe acconsentire, oppure capovolgere la sua posizione. La trattativa sui servizi minimi nelle scuole in caso di sciopero. È in corso in questi giorni all’Aran, l’agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, un confronto con i sindacati sull’applicazione delle norme che regolano l’astensione dal lavoro (l. n. 146/90 e l. n. 83/2000). Ci sono da fare due intese: una con i rappresentanti dei docenti, l’altra con i sindacati dei dirigenti scolastici. Ci sono ancora alcune frizioni, soprattutto sulla prima trattativa. Alessandro Ameli, numero uno della Gilda, dice che «il testo predisposto dall’Aran è totalmente negativo. Stabilisce, infatti, che quando si proclama uno sciopero di due giorni, durante il primo l’astensione dal lavoro può essere soltanto di un’ora. Considerato che abbiamo in totale 12 possibili giornate di sciopero in un anno nelle superiori e 8 alle elementari, in questo modo si comprime illegittimamente questo diritto». Ameli contesta anche «un altro principio che si vuole introdurre, in base al quale non si può indire in una volta sola più giornate di protesta, ma occorre un’indizione per ogni giornata. Considerati i tempi che devono intercorrere per legge tra i vari momenti, si vanifica totalmente questo strumento di pressione». _____________________________________________________________ Repubblica 4 lug. ’01 LA "MATURITÀ REGIONALE" NEL PROGETTO DEVOLUTION Bossi dovrà accettare il referendum confermativo GUIDO PASSALACQUA MILANO - Dall'anno prossimo, se il disegno di legge che domani Umberto Bossi porterà all'attenzione del Consiglio dei ministri, verrà poi trasformato in legge, gli studenti italiani potranno fare tanti esami di maturità quante sono le regioni. Questa potrebbe essere la prima e più vistosa applicazione della devolution secondo l'interpretazione che ne dà la Lega. Ogni regione avrà il suo ordinamento scolastico e ogni Regione stabilirà il suo esame. Francesco Speroni, europarlamentare e capo di gabinetto del ministero della Devolution non ha dubbi: «Già oggi un diploma da ragioniere belga, vale nei Paesi bassi come in Svezia, non si capisce lo scandalo, il meccanismo è identico, le Regioni potranno scegliere come si svolgerà l'esame di maturità». Speroni parla in via ipotetica, ma per capire quanto la devolution possa incidere sia nella dialettica politica, sia nella vita di ogni giorno, basta registrare le proteste vibrate di un altro partito componente della maggioranza, Alleanza Nazionale, che per bocca del responsabile scuola Giuseppe Valditara ridimensiona il tutto: «Per quel che riguarda l'esame di maturità si può pensare al più a una attività integrativa delle Regioni, non certo esclusiva. Non possono essere le Regioni a definire e verificare gli standard su materie come italiano o storia». La devolution in tema di maturità è un aspetto che potrà sconvolgere lo storico ritmo della vita scolastica degli italiani ma non è il solo: il progetto prevede anche devoluzioni in tema di sanità e di sicurezza, tema difficile e spinoso su cui nei mesi scorsi i rappresentanti del centro destra riuniti nell'Officina, il pensatoio della Cdl, non avevano trovato una posizione univoca, e su cui c'è da aspettarsi una sollevazione da parte di An. Bossi sabato sera, parlando ai leghisti veneti, ha riproposto pari pari le sue idee verificate una settimana fa in un conclave con quattro costituzionalisti. Il senatur vuole a tutti i costi far passare la devolution prima della chiusura del Parlamento, per dimostrare che tiene fede alle promesse fatte agli elettori. Ma nella partita devolution c'è anche un altro elemento di forte impatto politico: il referendum confermativo previsto dalla Costituzione e chiesto dal Centro sinistra. Per un mese, Bossi ha cercato in tutti i modi di evitarlo, e questo era il suo primo intento. Ma un incontro, negli scorsi giorni, col Capo dello Stato e considerazioni di ordine giuridico lo stanno portando su una strada meno conflittuale. A stare a quello che riferisce e dichiara il suo capo di gabinetto Speroni, il referendum «si farà». Quando, lo deciderà il Consiglio dei ministri entro il 13 di luglio, ma pare di capire che Bossi e la maggioranza non abbiano nessuna intenzione di cercare scorciatoie e soluzioni estemporanee. In pratica per Bossi il Consiglio dei ministri di giovedì si risolverà in una mezza vittoria e in una mezza sconfitta. Mezza vittoria perché riuscirà a portare in prima fila il disegno di legge sulla devolution, mezza sconfitta perché sarà costretto ad accettare l'idea che il referendum «ulivista», si farà. Posizione difficile quella del senatur, tanto che una settimana fa, al Consiglio dei ministri dedicato all'economia, Bossi si aspettava almeno un accenno alla devolution: invece nessuno, ne accennò, segno della difficoltà della maggioranza rispetto al tema. Lunedì sera Bossi ha parlato del problema con Silvio Berlusconi ed evidentemente le ragioni della maggioranza e del buon rapporto con Ciampi hanno prevalso sulle esigenze propagandistiche della Lega. Così ieri Franco Frattini lasciando via del Plebiscito dove aveva partecipato a una colazione di lavoro con Silvio Berlusconi nel confermare che Bossi stava lavorando al testo sulla devolution, non si è sbilanciato sui tempi del varo del provvedimento: «Vediamo quando sarà convocato il Consiglio dei ministri questa settimana. L'ordine del giorno è ancora da definire». ========================================================= _____________________________________________________________ Il Corriere della Sera 7 lug. ’01 SCOVIAMO I MENGELE IN DOPPIOPETTO: FANNO I SOLDI CON LA SOFFERENZA DEI LORO PAZIENTI Il fondatore di Emergency parla del traffico d’organi dopo il fondo di Galli della Loggia sul Corriere. «In tanti fanno i soldi con la sofferenza dei loro pazienti» MILANO - «Non sto parlando di ciò che basta a far vivere dignitosamente me e la mia famiglia, e magari invitare gli amici a ristorante. Ma se un medico accetta di arricchirsi sulla pelle di chi sta soffrendo, di chi ha il cancro, la leucemia, l'Aids o semplicemente è vecchio - tradotto: medicina privata -, beh, allora qualcuno deve dirmi come spiego a mia figlia che non deve rapinare una banca». La voce di Gino Strada, chirurgo di guerra e fondatore di Emergency, ronza dal satellitare che s'è portato dietro a Kabul. In Pappagalli verdi ha raccontato d'un bimbo in coma lasciato morire in un ospedale peruviano, «i suoi genitori, credo, stavano ancora correndo per le farmacie di Ayachuco a comprare antibiotici e fleboclisi e i farmaci per l'anestesia e le bende elastiche e la lama del bisturi che non avrebbe fatto a tempo a operare il loro bambino». Ed è a quel piccolo, dice, che pensa dopo aver letto il «fondo» che Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere , ha dedicato ai traffici d'organi, i corpi usati come oggetti, la «perdita di standard etici condivisi» cui sta andando incontro la professione medica, i tanti dottor Mengele che sono fra noi. Che ne dice, dottore? «Della Loggia ha ragione, sottoscrivo in pieno, qui si gioca tutta l'etica della nostra professione. Però, attenzione: il rischio da evitare è chiedersi quanti Mengele ci sono fra noi, perché qui non è un problema di Mengele. Se il presupposto del nostro mondo è che esiste un solo valore, cioè il denaro, allora apriamo le porte a tutti i Mengele possibili, dentro e fuori la medicina. Mostri che hanno la faccia da mostri, anzi: si presentano bene, pure eleganti. Come i signori che accompagnano i figli all'asilo e poi, in ufficio, progettano mine antiuomo che taglieranno a metà altri bambini». Scusi, ma che c'entra con il traffico di organi? «C'entra, c'entra. Storie come quella del medico cinese che prelevava organi dai condannati a morte fanno accapponare la pelle, ma quando ne avremo contati cento o duecento, di Mengele, saremo soddisfatti? Eh no, il problema è più a monte e ha a che fare con la globalizzazione». In che senso? «Nel senso che bisogna avere il coraggio di cercare i Mengele in doppiopetto che fanno i soldi sulla sofferenza. La logica è la stessa. Tutti gli ospedali di Emergency in giro per il mondo vivono questa situazione grottesca: noi, privati, siamo gli unici a fare sanità pubblica. Gli altri, i pubblici, fanno sanità privata. Qui in Afghanistan si paga tutto, come in Africa e in tutti i Paesi poveri. Tra l'altro: io sono di Milano, e devo dire che il famoso modello lombardo è uno degli esempi più incredibilmente simili al Terzo Mondo». Prego? «Ma sì, vogliamo arrivare a quel punto, noi che invece possiamo permetterci di pagare le cure a tutti? La sanità pubblica, in Italia, è una buona sanità. La "malasanità" è fra i privati. Ci fosse vera concorrenza, scomparirebbero: sono loro, i protetti. Basterebbe interrompere le convenzioni, cifre da paura, per dare stipendi decenti al personale, migliorare strutture e ricerca. E poi che ci costa, a noi, trentamila lire al mese? Ma ben venga, sono quattro pacchetti di Marlboro, che diavolo... ». Non è un po' troppo duro verso la sanità privata? «Questa obiezione riflette la logica della pretesa globalizzazione. È il punto di vista dell'Italia ricca. Anche l'Italia povera, che è tanta, troppa per un Paese civile, è privilegiata rispetto al resto del mondo. La media del mondo, scusi, vive nella merda più nera. Non sa "se" mangerà domani, non "che cosa"». E allora che cosa dovrebbe fare la sua categoria? «Se un medico ha una coscienza etica, deve esser semplicemente uno che cerca di salvare la vita delle persone, o magari farle morire in modo più dignitoso. Che è un lavoro, come fare il panettiere. In fin dei conti il medico è un lavoratore del settore pubblico, incaricato di seguire la cosa più importante di tutte: la nostra pelle. Non dico che debba andare in giro con i jeans e le toppe, ma una misura ci vuole. Se il mio paziente diventa mio cliente, è brutta». Però gli Stati Uniti non sono un Paese del Terzo Mondo... «No, sono il risultato finale di quello che qualcuno vorrebbe fare in Italia. Un disastro. Se a New York cadi e sbatti la testa per terra, prima devi dimostrare se sei assicurato e puoi permetterti le cure, e solo dopo, se hai passato l'esame, s'occuperanno della tua testa. A me sembra poco civile, poco umano, e anche un po' da pirla». E la questione della ricerca scientifica, dei limiti delle due applicazioni? «Ci sono problemi etici legati alla ricerca, ma non sono disposto a discuterne con le multinazionali che vogliono brevettare il genoma. Sono faccende che vanno affrontate democraticamente, non solo da medici ma da tutte le persone di buona volontà». Cosa dice a chi obietta che i discorsi antiglobalizzazione sono ideologici? «Mica tanto, direi. In Afghanistan la guerra dura da più di vent'anni. Sullo sfondo c'è una ben nota competizione fra una multinazionale americana, la Unocall, e una argentina, la Bridas, per chi si aggiudicherà il passaggio degli oleodotti e gasdotti che devono attraversare il Paese. Altro che ideologia. La logica estrema della globalizzazione è la guerra: il mondo è una giungla, ciascuno prenda quel che può». E per la sanità, qual è il pericolo? «Sto rileggendo la prefazione che Giulio Alfredo Maccacaro scrisse trent'anni fa a "La medicina del capitale" di Polack: fino a un certo punto della storia, la gente non moriva in base al reddito, la morte era davvero "a livella", ora invece le cose sono cambiate. Se vogliamo parlare di diritti umani parliamone, ma non mi interessa se devono valere solo per una parte e non per tutti». Esempio? «Si parla del medico cinese che ha testimoniato in America, ma il problema è aperto da dieci anni: che alcuni dei maggiori centri chirurgici americani avessero disponibilità di organi così, puf!, appena serviva, ha fatto nascere dei dubbi... Oppure: Milosevic è un cattivone, d'accordo, ma c'è forse qualcuno che parla dei diritti umani in Cina? Certo che no. Perché, nella loro logica, chi è quel pirla che si taglia i ponti con un mercato di un miliardo e duecentomila persone? Mi viene in mente un'immagine degli indiani d'America». Che immagine? «Quando passano sui territori dove sono sepolti i loro morti, scendono da cavallo e ci girano intorno: sono aree sacre, di cui avere rispetto. Per la sanità, per i diritti umani, dovrebbe essere lo stesso. Che almeno si abbia la decenza di fare profitto su altre cose». Gian Guido Vecchi _____________________________________________________________ Il Tempo 7 lug. ’01 MEDICI, NON PIÙ SCELTE IRREVERSIBILI Potrà cambiare chi ha deciso di lavorare solo in ospedale. Pronto il disegno di legge ROMA - Il Governo Berlusconi e la maggioranza di centrodestra sferrano l'attacco, più volte annunciato, alla riforma dell’ex ministro della Sanità Rosy Bindi. E cancellano uno dei capisaldi della legge 229, l'irreversibilità del rapporto esclusivo con il Servizio sanitario nazionale. I medici che hanno dovuto scegliere, una volta per sempre, di lavorare solo all'interno dell'ospedale, potranno cambiare idea. Infatti è stato presentato in Senato, dalla responsabile Sanità di Forza Italia Elisabetta Alberti Casellati, un disegno di legge che, con un solo articolo, sopprime l'irreversibilità della scelta del medico sull'esclusività del rapporto di lavoro con il Servizio sanitario nazionale, introdotta dalla riforma ter. Obiettivo del disegno di legge, sottolinea la Casellati, è «ripristinare la legalità»: la riforma Bindi, stabilendo il carattere irreversibile della scelta del medico che ha optato per la libera professione intramuraria, «mortifica la dignità personale e professionale di quanti, dopo anni di studio e specializzazione, devono decidere il proprio destino lavorativo una volta sola e per la vita». Una norma, quella che stabilisce l'irreversibilità della scelta, «incostituzionale», secondo Antonio Tomassini (Fi), presidente della Commissione Igiene e sanità del Senato e uno dei firmatari del disegno di legge. «Il provvedimento - ha spiegato il parlamentare - punta a cancellare uno dei più gravi atti di arroganza del vecchio Governo e di quel ministro della Sanità in particolare. Non viene soppressa - ha aggiunto - l'esclusività di rapporto con il servizio sanitario pubblico: chi esercita in ospedale, non potrà farlo anche in cliniche e studi privati. Non è possibile, però, che l'esercizio di una professione sia soggetto a un vincolo di indissolubilità per tutta la vita. In Italia è "solubile" tutto, compreso il vincolo matrimoniale, ma non quello professionale». Il disegno di legge dovrebbe approdare in tempi brevi all'esame della Commissione Sanità del Senato. _____________________________________________________________ Repubblica 2 lug. ’01 SIRCHIA:"NIENTE TAGLI ALLA SPESA SANITARIA IL SERVIZIO PUBBLICO NON SI TOCCA" forse reintrodurremo i ticket, ma saranno leggeri Intervista al nuovo ministro della Sanità: "Nessuna rivoluzione thatcheriana, sogno un sistema universale e solidale" MASSIMO GIANNINI ROMA - "Niente tagli alla sanità". "Nessuna manovra che riduca i servizi per chi sta male". "Salvaguardia del principio dell'universalità delle prestazioni, perché il servizio sanitario è ormai un patrimonio acquisito della nostra civiltà". "Cambiamento di rotta sulla disciplina della professione medica, cha va valorizzata e non punita". E poi: "Piena attuazione della legge 194, non per ridurre i diritti delle donne, ma per sostenere le famiglie e aiutarle ad affrontare più serenamente la gravidanza". "No all'eutanasia, no alla liberalizzazione delle droghe leggere" e infine "no alla pioggia di divieti sul fumo nei luoghi pubblici". Girolamo Sirchia, uno dei più grandi ematologi italiani appena approdato al dicastero della Sanità, spiega per la prima volta i suoi progetti di ministro del nuovo governo Berlusconi. Ministro Sirchia, cominciamo dal fronte più caldo, quello della spesa. La sanità continua ad essere uno dei capitoli fuori controllo. Tra Dpef e Legge Finanziaria, siamo alla vigilia di una dura stagione di tagli? "No, lo escludo. Noi dobbiamo partire da un presupposto fondamentale. La nostra sanità mostra un livello di spesa inferiore al 6% del Pil, contro una media superiore all'8% negli altri Paesi europei. A fronte di questa sanità sottofinanziata, continuano ad essere intollerabilmente alti gli sprechi. Quindi, in vista del Dpef e della Finanziaria l'indirizzo politico che io intendo seguire è questo: la spesa sanitaria non si può tagliare". Ma il suo collega Tremonti le chiederà di tagliare, visto che c'è da finanziare il costoso pacchetto dei 100 giorni. "Di qui al 10 luglio discuterò con Tremonti il da farsi. C'è una tensione sulla spesa, che anche nel 2001 cresce molto rispetto al 2000. Sulla farmaceutica, l'aumento è stato di 5 mila miliardi. Anche il costo del personale è lievitato del 10% in termini di spesa reale, cioè di stipendi. Capisco tutto questo. Ma dobbiamo assolutamente evitare interventi sulle prestazioni, che riducano i servizi a danno della gente che soffre. Dobbiamo evitare di imporre altri sacrifici a chi ha appena un discreto servizio, o peggio a chi non ha niente, come i malati cronici. Se tagli alla spesa pubblica si devono fare, non è la sanità il fronte sul quale intervenire". Restano gli sprechi, come ha appena detto. "Infatti. Alla nostra sanità non servano grandi ribaltoni. Sarebbe una follia inventarsi oggi un 'nuovo modello', che avrebbe come unico risultato quello di bloccare tutto. Dobbiamo invece intervenire con il bisturi, in modo selettivo, per razionalizzare la spesa, eliminare gli sprechi, recuperare la cultura della qualità e dell'efficienza". Il vero punto debole restano le regioni. Chi le controlla? Chi si preoccupa degli standard di qualità? "Con le regioni ho appena avviato un dialogo proficuo. Dobbiamo andare avanti. La mia raccomandazione è quella di arrivare a un punto zero, con il quale si elimini il debito progresso. Come arrivarci dovremo deciderlo. A quel punto, potremo introdurre criteri di monitoraggio delle spese e di assicurazione delle qualità di tutte le prestazioni. Lo Stato non vuol fare centralismo, ma dovremo anche stare attenti a non cedere alle troppe pressioni locali. E' un impegno enorme, un impegno di legislatura". La Corte dei conti ha puntato il dito contro il governo di centrosinistra, che ha soppresso i ticket. Che ne pensa? "E' stata effettivamente una scelta improvvida. Anche perché ha innescato un meccanismo perverso. Da un certo momento in poi, gli utenti si sono convinti che prima o poi i ticket sarebbero stati reintrodotti. E così hanno cominciato a fare le loro scorte. Il risultato è che negli ultimi 5 mesi il numero delle ricette è cresciuto di 50 milioni. Una cifra impressionante". Che, unita alla spesa che cresce, vi costringerà a reintrodurre i ticket. E' così? "Vedremo. Forse una qualche forma di contribuzione alla spesa da parte dei cittadini, anche se non è una decisione simpatica, saremo costretti a prevederla. Ma sarà leggera, e non penalizzerà chi ha più bisogno". Intanto ha ha congelato per 6 mesi il prezzo dei farmaci. Le imprese sono deluse, da una misura così "dirigista". "Hanno protestato un po'. Ma ci siamo parlati e alla fine hanno capito: anche se non vedranno crescere ulteriormente i loro margini di profitto, pazienza. Quello che conta è che l'industria farmaceutica non sia demonizzata, come invece talvolta è accaduto. Il nostro benessere dipende dal farmaco, questo dobbiamo ricordarcelo sempre". In campagna elettorale sono circolati progetti di riforma del Polo, che guardavano al modello sanitario Usa: meno pubblico, più assicurazioni private e assistenza indiretta. C'è davvero questa svolta, nel suo programma? "Assolutamente no. L'assistenza indiretta non è vantaggiosa. Qualche intervento di stampo più liberale mi trova d'accordo, ma niente di più. Il privato nella sanità è importante, ma purchè ci sia un pubblico forte. Ed è questa la priorità: rafforzare e migliorare il sistema pubblico, strozzato dalle inefficienze e dalle burocrazie. Basta vedere come sono ridotti certi policlinici nelle grandi città. Raggiunto questo obiettivo, poi potremmo anche sviluppare le mutue integrative". Quindi lei resta favorevole al principio dell'universalità delle prestazioni del Welfare? "Il sistema sanitario nazionale, universale e solidale, è un nostro grande bene, un patrimonio nazionale acquisito. Nessuno accetterebbe mai di rimetterlo in discussione. Chiarito questo, c'è un pensiero liberale che non prevede un sistema pubblico predominante su un sistema privato, asfittico com'è oggi. Un riequilibrio tra pubblico e privato è possibile. Ma è un progetto di lungo periodo". I medici restano molto critici, sulle novità di questi ultimi anni. La scelta obbligata e definitiva tra la professione dentro o fuori dagli ospedali è uno dei punti più controversi delle ultime riforme. "Lì noi dovremo reintervenire al più presto. Ci vuole davvero, in quel caso, un po' di sano liberalismo. Io proporrò la reintroduzione della reversibilità del rapporto unico della professione medica. Alla fine il grosso dei medici, posto di fronte all'alternativa secca, ha scelto la professione 'intra moenia' solo perché gli conveniva un po' sul piano economico, ma l'ha fatto senza convinzione e senza entusiasmo. Nel frattempo i primari più prestigiosi e preparati, che dovevano essere i grandi maestri per le nuove generazioni, se ne sono andati dagli ospedali. E le liste d'attesa non si sono sfoltite, i servizi sono rimasti scadenti. Insomma, questa disciplina della professione, punitiva e un po' illiberale, ha finito col penalizzare sia i medici che i pazienti. Dobbiamo cambiare. Mancano 30 decreti attuativi al completamento di quella riforma, e noi a questo punto non li vareremo. Puntiamo invece a reintrodurre per i medici un meccanismo premiale". Su questo quindi lei boccia il centrosinistra? "Io cerco solo di dire con umiltà cose di buonsenso. E da operatore della sanità, dico basta agli scontri ideologici. Non è questo che ci chiedono i cittadini e i malati". Parliamo di bioetica. La sua prima uscita da ministro ha fatto discutere: rivediamo la legge sull'aborto. Perché? "Su questi temi così importanti per la coscienza e la collettività c'è un Parlamento, che discute e decide. Io posso esprimere un'opinione personale. A mio parere la legge 194 va rivista in questo senso: c'è una parte della legge, quella che si ispira all'articolo 5 della Costituzione, che dev'essere ancora attuata e che dovrebbe fornire ampio sostegno alla famiglia e alla donna in gravidanza. Secondo me bisogna attuare questa parte della legge, perché per molte donne l'aborto nasce dal disagio di non poter sostenere la nascita e il mantenimento di un figlio. Anche qui, dunque, non propongo rivoluzioni. Ma solo quello che ho già fatto in comune due anni fa, con una delibera nella quale prevedemmo l'erogazione di assegni integrativi per le donne in gravidanza". E dell'eutanasia cosa pensa? E' ora di sancire un diritto a "staccare la spina", come aveva chiesto Veronesi? "Anche qui, le dò una mia opinione del tutto personale. Non condivido l'idea di un medico che infligge la morte a un essere umano, anche se allo stadio terminale. La difesa della vita è un paletto fondamentale, che noi dobbiamo salvaguardare. Se si comincia a staccare la spina a chi non ha più speranza, io temo che si scivoli su un piano inclinato pericolosissimo. Poi toccherà al malato di Alzheimer, poi all'oligofrenico, e poi chissà ancora a chi altro. E' un rischio che non possiamo correre". Un'altra campagna del suo predecessore era stata l'anti-proibizionismo per le droghe leggere. Lei che posizione ha? "Io personalmente ritengo che la liberalizzazione delle droghe leggere non sia vantaggiosa. Le esperienze dei Paesi che l'hanno introdotta non sono positive, e ci dimostrano che là dove cresce l'offerta aumenta subito anche la domanda. Non solo. Dal punto di vista del cittadino, io credo che quando si vede lo Stato che vende marjuana o hashish si ingenera il convincimento, pericolosissimo, che in fondo queste droghe non facciano poi così male". Ma la stessa cosa non avviene con le sigarette? Su questa base lei dovrebbe essere d'accordo con il ddl di Veronesi sul divieto assoluto di fumare nei luoghi pubblici, no? "Non mi piace molto neanche l'immagine dello Stato che vende le sigarette. Ma per il fumo non credo nella politica dei divieti. Dovremmo evitare di inseguire gli Stati Uniti, che stanno raggiungendo livelli inaccettabili, vietando le sigarette persino negli spazi aperti. Questi divieti irritano solo la gente". Ma lei fuma? "No,per fortuna non ho questa dipendenza". E allora? "Meglio dei divieti, sono le grandi campagne di sensibilizzazione. Ne ho già discusso con la Moratti: presto attiveremo queste grandi campagne di comunicazione istituzionale, sui rischi del fumo e dei superalcolici". Sul fronte sanitario un'altra battaglia tra destra e sinistra si è combattuta sulla terapia anticancro del professor Di Bella. Lei che idea si è fatto? "Credo che il professor Di Bella sia in buona fede. Penso anche che a livello di singolo paziente, con un mix originale di farmaci e vitamine qualche risultato possa averlo ottenuto. Ma dal punto di vista scientifico la terapia Di Bella ha dimostrato di non avere alcun valore". Anche in questo giudizio lei si conferma un tecnico estraneo a certe logiche di schieramento. Non teme di finire schiacciato dalla politica? "Non sono qui per difendere un'ideologia. Sogno una sanità solidale ed efficiente, che riscopra la qualità del servizio e l'attenzione per chi soffre. Tutto il resto non mi interessa". _____________________________________________________________ Il Messaggero 7 lug. ’01 SIRCHIA: SANITÀ, BASTA SPRECHI: INVESTIRÒ SUGLI ANZIANI «Va rivista la cultura della salute: non ci sono solo emergenze, bisogna occuparsi della Terza età» di CARLA MASSI ROMA - E’ un milanese doc Girolamo Sirchia neo ministro della Sanità. Ma, di quella città, non ha la frenesia del manager, la supponenza del nordico efficiente e neppure la diffidenza per Roma. Anzi, vivere qui quattro o cinque giorni a settimana, gli sembra uno dei lati più piacevoli del suo nuovo incarico. Dice: «Basta girare e guardare i Fori per capire il senso della Storia». E’ pacato il professore, parla lentamente e fa capire che il progetto della nuova Sanità lo ha già tutto in testa. E’ nato, tassello dopo tassello, lungo i 40 anni che ha trascorso in ospedale. Si rende conto che da lui, medici e pazienti, aspettano tanto. I suoi colleghi lo vedono come il "vendicatore" che rivoluzionerà la riforma di Rosy Bindi, i malati confidano nella realizzazione di tante promesse. Ministro, lei ha assicurato che tagli alla spesa sanitaria non ci saranno. Ha, però, parlato di azzeramento degli sprechi. Quali? «Uno per tutti: ci sono ospedali in cui, per operare una cataratta, tengono il paziente ricoverato due giorni. Quando, in una giornata, si può fare tutto. Quel denaro speso per la degenza può essere destinato ad altri servizi». Si è riferito agli sprechi anche quando le hanno presentato il rapporto sull’obesità e si è scoperto che lo Stato spende 21 mila miliardi l’anno per fronteggiare le malattie dovute all’eccesso di peso. A che cosa si riferiva? «Una cifra esattamente doppia a quella sborsata dallo Stato la spendono i cittadini di tasca propria. Questo perché sempre più gente mangia male, fuma tanto e poi, quando si trova in difficoltà, vuole le pillole. Ecco le aree di spreco. Dobbiamo intervenire con campagne di informazione e prevenzione se si vuole davvero risparmiare» Ha nominato la parola "sprechi" anche riferendosi ad un settore che conosce bene, quello dei trapianti. Ha critiche da fare? «Mi sembra che in alcune città, Milano come Roma, ci siano delle inutili "repliche". Mi rendo conto che un servizio per i trapianti dà prestigio agli ospedali ma non si può tenere aperto un reparto se non lavora a pieno regime. I costi sono troppo alti. E poi, sono convinto di un’altra cosa: la qualità di un centro è proporzionale al volume di lavoro che lì viene svolto». Quindi pensa a ridimensionamenti in corsia? «Io penso che tutta la filosofia della sanità vada rivista. Credo debba nascere un’altra cultura. Fino ad oggi si è pensato solo al malato acuto, all’emergenza. Come se tutti gli ospedali italiani fossero degli immensi pronto soccorso. Il mondo di domani, invece, è quello degli anziani. Dei malati cronici che hanno bisogno di essere seguiti anche a casa». Vuol dire intervenire sui reparti per portare le risorse fuori dell’ospedale? «Dobbiamo rivedere i servizi per la terza età. Queste persone non hanno bisogno solo del medico ma di chi fa la spesa, chi pulisce casa, chi va a pagare le bollette» Lei a Milano, come assessore ai servizi sociali, ha sperimentato la figura del "custode sociale" per i nonni. Fa pensare ad un angelo... «Quasi. I custodi, nelle periferie milanesi, costituiscono un punto di riferimento per gli anziani. Molti sono soli e non autonomi. I custodi dovrebbero pensare a loro. L’idea è esportabile in tutta Italia» Ma, come a Milano, con l’intervento del privato visto che lo Stato purtroppo non se lo può permettere «Questa è una delle esperienze in cui il privato, magari anche un’azienda di bibite, sponsorizza l’iniziativa e ne ha un ritorno d’immagine» Quindi lei sostiene l’impegno del privato nella sanità pubblica. Prima ha parlato di campagne di prevenzione, anche quelle potrebbero essere sponsorizzate? «Può tornare utile anche all’azienda accoppiare il suo nome ad una campagna che insegni alla gente, magari nelle scuole, come si deve mangiare. Oppure che metta in guardia dai pericoli della droga e del fumo». Lei ha citato il fumo. Il suo predecessore, Veronesi, ha lasciato l’incarico con l’amarezza che la legge sul fumo non era riuscita neppure ad arrivare in aula alla Camera. Lei, invece, si mostra meno intransigente con i fumatori. Perché? «La repressione non ha mai portato buoni frutti. Sono rispettoso della libertà individuale, credo sia inutile violentare quelli che hanno già un pensiero costituito. Vanno convinti a smettere» Magari con la "pubblicità" negli ospedali? «Io non credo tanto alla pubblicità in ospedale. Piuttosto penso che le aziende che vogliono investire in corsia potrebbero aiutare per migliorare la vivibilità in quei posti. Ci vedo un cinema, un supermercato, l’asilo nido. Ci diano una mano per questo. So che è possibile». Sta parlando il Girolamo Sirchia professore, vero? «Parla il medico in prestito alla politica. Non difendo ideologie. Non posso dimenticare il mio lavoro» Ora sta sempre a Roma? «Sono in aspettativa ma, il lunedì, vado sempre in ospedale dai miei colleghi» Crede abbiano bisogno di lei? «In verità, sono io che ho bisogno di tenere un legame con loro...» E le vacanze? «Quasi nulla, mi basta una settimana alle Eolie. A Ferragosto resto sicuramente a Milano, divento nonno per la prima volta. Mica posso lasciare sola mia figlia...» _____________________________________________________________ Repubblica 7 lug. ’01 L'ARENA DEI CAMICI BIANCHI GIOVANNI MARIA PACE Verona - L'irresistibile ascesa della Facoltà di medicina, che secondo il Censis, merita ora il primo posto in Italia quanto a qualità (lo scorso anno era settima in classifica), ha una spiegazione: sono i suoi trent'anni di vita, veramente pochi per una università, specialmente in un paese di atenei pluricentenari. Tre decenni di attività festeggiati l'anno scorso, come dire una Facoltà giovane, che la mancanza di un bagaglio culturale precedente e di una attività storica consolidata ha lasciato rapidamente aderire alle necessità attuali della medicina. Non solo. Questa stessa mancanza di passato e l'aderenza al presente sono forse alla base di un modo di porsi piuttosto insolito nel mondo accademico, uno stile che si vede bene, ad esempio, nei documenti che periodicamente danno conto dell'attività didattica e scientifica: cifre, grafici, tabelle come fossero "annual report" di una azienda. Una prosa asciutta, tutta dati e valutazioni, che riflette una mentalità, un criterio di gestione che richiama l'impresa. Senza peraltro dimenticare che l'oggetto dell'attività "imprenditoriale" non è un qualsiasi prodotto ma la salute dell'uomo. Un successo, quello della scuola veronese, annunciato dal trend in atto da alcuni anni, e non una esplosione improvvisa. Nel 1992 la Facoltà era al quindicesimo posto come volume di editoriale (ma già al terzo per qualità di prodotto) e nel 1997 veniva classificata al terzo posto come numero di pubblicazioni e "impact factor". Un lavoro collettivo imponente, soprattutto se guardato in prospettiva. La facoltà medica veronese vede il suo avvio nel 1969 quale secondo triennio sdoppiato della Facoltà di medicina di Padova e negli anni successivi attiva gradualmente il primo triennio. In questa fase il supporto ospedaliero veronese risulta di vitale importanza e consente lo sviluppo del secondo triennio, direttamente connesso all'attività assistenziale in base a convenzioni che garantiscono l'apporto di strutture, strumentazione, personale medico e paramedico senza il quale l'attività accademica sarebbe impossibile. L'università madre, cioè Padova, invia alcuni docenti e assistenti, mentre il reperimento delle risorse è lasciato nella quasi totalità all'iniziativa cittadina. A partire dal 1972 i finanziamenti statali per l'edilizia consentono la costruzione del primo edificio del polo biotecnologico di facoltà dove comincia a insediarsi il primo triennio. Nel 1982 l'ateneo veronese diviene autonomo. La facoltà è attenta alla programmazione numerica. Iscrive 125 studenti per anno e ha calibrato le proprie capacità didattiche - insegnanti, attrezzature - al numero dei discenti, quindi senza eccedere ma neppure rimanere al di sotto di quella massa critica che assicura una vivace dinamica interna. Un altro punto da sottolineare è l'attenzione alla qualità scientifica. La mancanza di storia, o meglio di situazioni pregresse, ha permesso di scegliere i docenti, sia all'interno che all'esterno della Facoltà, tra gli scienziati più promettenti. Nell'assumere un docente viene posta tuttora molta attenzione al ricordato «impact factor», cioè al peso della produzione scientifica dell'interessato sul piano internazionale. Passando dai singoli allo staff nel suo insieme, da dieci anni a questa parte l'università di Verona fa valutare a uno statistico dell'università di Leida, cioè a una struttura esterna, la produzione scientifica di tutti coloro che lavorano nella Facoltà, confrontandola con quella di analoghe strutture di paesi avanzati, dalla Germania all'Inghilterra alla Francia. Dal confronto emerge un sostanziale allineamento con le migliori università straniere. Tra le iniziative in corso d'opera c'è la creazione di una struttura per malattie infettive e di un nuovo complesso in oncologia, anche in vista della formazione di un Istituto regionale dei tumori, che la facoltà ha le carte in regola per dirigere. Viene poi, nell'elenco degli obiettivi, lo sviluppo dei trapianti e - cura, questa, personale del preside - il potenziamento di un centro di risonanza magnetica sperimentale che è uno dei più attrezzati in Italia. Si diceva della plasticità del nuovo ateneo nel seguire l'evoluzione dei tempi. A Verona sanno bene che occorre tenere presente lo sviluppo della medicina in aree che divengono a mano a mano indispensabili sia per la formazione dei futuri medici sia per la domanda di salute da parte della popolazione, domanda che è profondamente cambiata negli ultimi decenni. La vita media si è allungata in modo sorprendente, cambiando la fisionomia degli interventi assistenziali richiesti. Emerge anche una maggiore cronicità delle patologie, una più alta incidenza di malattie dell'età avanzata nonché di patologie combinate e complesse nello stesso individuo: tutte sfide che una moderna scuola di medicina deve oggi affrontare. Tra i settori innovativi che i veronesi hanno in programma di accrescere vi sono, oltre alla virologia, la chirurgia endoscopica, l'internistica dell'età avanzata, le malattie tropicali, le tecnologie biomediche e strumentali per la diagnostica e la ricerca biomedica e infine i biomateriali. _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 7 lug. ’01 CAGLIARI INAUGURA LA PRIMA LUDOTECA IN OSPEDALE In corsia arriva il dottor-clown Katia Montresor CAGLIARI. Ieri mattina fra le corsie della Clinica pediatrica si aggirava un pagliaccio con un gran naso rosso. Dopo il primo attimo di stupore i bambini hanno capito che era il "primario" del nuovo reparto dedicato ai piccoli ospiti: una sala giochi che fa dimenticare l'aria triste dell'ospedale. Battezzata ieri, alla presenza dell'arcivescovo Ottorino Pietro Alberti, con una festa e tra mille colori di palloncini, la ludoteca è stata subito "occupata". La curiosità ha lasciato posto allo stupore e all'allegria perché quei sessanta metri quadri sono per i piccoli ricoverati un mondo incantato che entra in contatto con l'esterno grazie a due postazioni multimediali. Le prime a funzionare in Italia fra le 28 strutture aderenti al progetto "Ospedale amico", l'iniziativa promossa dalla multinazionale Dash in collaborazione con la Onlus Abio (associazione bambini in ospedale). Il programma è stato portato avanti secondo le direttive del ministero della Sanità e dell'Unicef. Le pareti tinte a mille colori, le anatre appese al soffitto, e i pannelli a forma di albero hanno lo scopo di cancellare l'assetticità dell'ospedale e far vivere meno cupamente esperienze che spesso sono molto tristi. «Per i bambini a volte è un trauma il ricovero in strutture sanitarie», spiega Carlo Pintor, direttore della clinica pediatrica che conta millecinquecento presenze annue e quindicimila visite ambulatoriali specialistiche. «Questo è dovuto alla paura di dover affrontare i trattamenti terapeutici, ma anche all'impatto con un ambiente sconosciuto e al distacco dalla famiglia». La crisi può scatenare depressioni che riducono la capacità di reagire di fronte alla malattia. Al contrario è dimostrato che «la terapia del sorriso rinvigorisce lo spirito e potenzia le difese immunitarie», spiega ancora il direttore. A seguire i piccoli nei giochi durante la degenza sarà personale specializzato che verrà formato dall'Abio durante un corso che avrà inizio i primi di settembre. Tutto nel nuovo «reparto» è a misura e grandezza di pulcino e le mini sedie assomigliano a minuscoli troni colorati. Per dar sfogo alla fantasia, con tempere e pennelli, c'è un mega tavolo e una ricchissima tavolozza. E per chi vorrà ripassare le tabelline, c'è anche una lavagna magnetica con i numeri. Francesco, otto anni, è impazzito appena ha visto un faro costruito tutto in legno che sta proprio accanto alla finestra che da sul mare e che si illumina. Nella seconda stanza c'è una cucina pronta all'uso. O meglio, pronta al gioco. Dotata di tutto punto, naturalmente anche i pietti, formato mini. Nell'ultima camera la sorpesa più grande: una torretta-castello con lo scivolo. E non si rischia a scommettere che sarà la più frequentata. _____________________________________________________________ Repubblica 4 lug. ’01 AIDS, VACCINO ITALIANO FRA 6 MESI TEST SULL'UOMO Il farmaco sarà inoculato su 100 volontari ROMA - Fra sei mesi i primi test sull'uomo del vaccino anti Aids italiano: lo ha annunciato Barbara Ensoli, direttrice del laboratorio di virologia dell'Iss, dove è stata individuata la proteina Tat, sul quale sono concentrate le speranze per fermare la malattia. All'inizio del prossimo anno il farmaco sarà inoculato nei primi 100 volontari. Gli studi, ha spiegato la ricercatrice durante la presentazione del piano strategico dell'istituto superiore di Sanità, continuano a dare concrete speranze: gli esperimenti sul siero di alcuni malati africani hanno infatti permesso di verificare che la proteina viene riconosciuta anche dagli anticorpi dei principali quattro ceppi del virus (sono 9 in tutto) differenti da quelli sui quali si sta studiando il vaccino. Ciò potrebbe significare, ha spiegato Ensoli, che il vaccino potrebbe essere utilizzato non solo in Europa ma anche nelle regioni del mondo, come l'Africa appunto, dove la malattia cresce più rapidamente. Tre le sedi della sperimentazione: la Sapienza e lo Spallanzani a Roma, il San Raffaele a Milano. _____________________________________________________________ Le Scienze 5 lug. ’01 LE PROMESSE DELL'ANGIOGENESI Tra le possibili complicazioni la crescita di tessuti e vasi e l'insorgere di fenomeni infiammatori La terapia genica per stimolare la crescita di nuovi vasi sanguigni e migliorare il flusso sanguigno si è dimostrata una via promettente per la cura delle arterie ostruite. Lo afferma un articolo apparso sull’ultimo numero della rivista “Circulation: Journal of the American Heart Association” in base a una ricerca finanziata dai National Institutes of Health statunitensi. "Siamo ottimisti - si legge nell’articolo - che la terapia di angiogenesi possa dimostrarsi definitivamente sicura e affidabile. Tuttavia, occorre essere consapevoli degli effetti biologici di ciascun agente angiogenico proposto per l’utilizzo negli studi clinici e accettare la possibilità che sopravvengano complicazioni.” L’angiogenesi era praticamente sconosciuta solo un decennio fa, ma attualmente sta raccogliendo un numero sempre maggiori di consensi sull’impatto che potrebbe avere sul trattamento dell’ostruzione dei vasi sanguigni. Ma per tutte le promettenti sperimentazioni compiute finora, gli effetti collaterali potenzialmente pericolosi non sono ancora stati discussi approfonditamente dalla comunità dei medici. Tra le potenziali complicazioni vi sono la crescita anormale di tessuti, di vasi sanguigni e delle stesse placche che ostruiscono i vasi. Non è da trascurare, inoltre, la risposta infiammatoria che potrebbero produrre i tessuti interessati. _____________________________________________________________ La Stampa 4 lug. ’01 GINEVRA: ARRIVA IL PRIMO TEST CHE STANA IL PRIONE BIOLOGIA PROMETTENTI ESPERIMENTI A GINEVRA SCOPERTA UNA TECNICA PER IDENTIFICARE LA PROTEINA DELLA «MUCCA PAZZA» ANCHE NELL’ANIMALE VIVO E NELLE FASI INIZIALI, SENZA SINTOMI DELLA MALATTIA Ezio Giacobini TRA poco sarà possibile scoprire la presenza di prioni in un animale vivo prima che si verifichino i sintomi della malattia. I prioni sono gli agenti infettivi responsabili di quelle forme di encefalopatie trasmissibili all'uomo dagli animali chiamate spongiformi. La componente principale del prione è una proteina detta PrPsc che rappresenta una modificazione di forma di un'altra proteina detta PrPc presente normalmente sulla superfice delle nostre cellule. Questa particolare forma di malattia da prioni è stata la causa di circa 200 casi di encefalite mortale nell'uomo in Europa a partire dal 1987. Nei bovini i prioni sono la causa di una encefalopatia del tutto simile alla forma umana. Fino ad ora la rivelazione dell'agente infettivo è stata tardiva, cioè dopo la morte dell'animale. Per questo si è ritenuto estremamente urgente lo sviluppo di un test rapido e sicuro per la diagnosi della malattia sia nell'uomo sia nell'animale infetto a stadi precoci. Tale test permetterebe di individuare la presenza di prioni in animali particolarmente esposti, di età superiore ai 30 mesi, apparentemente sani e senza di sintomi neurologici. Oggi la diagnosi certa dell'encefalite spongiforme nell'uomo può essere fatta solo post-mortem o mediante l'analisi di certi tessuti (tonsille) nel paziente vivo. L'ostacolo maggiore allo sviluppo di un test sensibile è stata la quantità molto bassa di prioni circolanti nel sangue o presenti nei tessuti del soggetto infetto. Ma ora un gruppo di ricercatori dell'industria farmaceutica Serono di Ginevra capeggiato da Claudio Soto ha comunicato su «Nature» la scoperta di un metodo dotato di una sensibilità tale da poter essere applicato immediatamente alla rivelazione di prioni in liquidi biologici o in tessuti di animali compreso l'uomo. Come si è giunti a ottenere una tale sensibilità? Osservando il comportamento dei prioni nel cervello si è visto come questi tendano ad aggregarsi tra di loro formando con il tempo delle fibre sempre più lunghe, più spesse e insolubili. Incubando una quantità minima di prioni anomali (PrPsc) derivati da animali infetti con una grande quantità di prioni normali ( PrPc) si è potuto rapidamente riprodurre in provetta il processo di moltiplicazione e aggregazione dei prioni che dentro il cervello nel corso di anni. I ricercatori ginevrini hanno pensato di frantumare le catene dei prioni anomali aggregati usando gli ultrasuoni. Come risultato si è ottenuta una multitudine di frammenti originati delle catene prioniche. Il trattamento con ultrasuoni può essere ripetuto più volte fino a ottenere quantità di frammenti sufficenti per essere riconosciute e misurate con i correnti metodi immunologici. In altre parole, in qualche ora di trattamento ultrasonico si ottiene un numero tale di prioni da uguagliare quello che si accumula nell'animale o nell'uomo in molti anni di infezione (il periodo asintomatico di incubazione della malattia può essere di decine di anni nell'uomo). La ricerca del gruppo svizzero si è svolta utilizzando un modello animale classico, il cervello di criceti contaminati da prioni derivati da montoni infetti. Non esistono motivi per dubitare che il metodo non possa funzionare in altri animali infetti quali i bovini. Secondo alcuni risultati preliminari il test sarebbe già risultato capace di rivelare i prioni nel sangue umano. I veterinari avranno quindi a disposizione un test semplice, non invasivo e assai sensibile che permetterà loro di conoscere meglio l'estensione della contaminazione nella popolazione bovina prima dell'insorgenza dei caratteristici sintomi di «mucca pazza». E' probabile che il metodo di amplificazione di prioni scoperto a Ginevra non venga commercializzato immediatamente. Dovrà essere prima validato scientificamente ed estesamente controllato in un gran numero di casi per accertare che non produca risultati falsamente positivi o falsamente negativi. Il metodo dovrà essere infine abbinato ai metodi immunologici di rivelazione già in uso. Una volta divenuto metodo di routine, l'applicazione del test a migliaia di bovini permetterà un accertamento molto più accurato e una prevenzione sempre più efficace della diffusione della malattia negli animali e di conseguenza anche nell' uomo. _____________________________________________________________ Le Scienze 4 lug. ’01 ASMA INFANTILE E RELAZIONI FAMILIARI Valutata per la prima volta la percezione dei disturbi da parte dei piccoli pazienti Esiste una forte correlazione tra la qualità della vita dei bambini con asma e il livello di stress dell’ambiente familiare di appartenenza. A questa conclusione sono giunti i ricercatori dell’Università di Adelaide, in Australia, e del Women's & Children's Hospital della stessa città, in base a un’estesa indagine epidemiologica. “L’asma - ha spiegato Michael Sawyer, docente del Dipartimento di psichiatria dell’Università di Adelaide - è un disturbo cronico molto comune nel periodo infantile, ed esiste perciò una nutrita casistica che porta a concludere che la famiglia influenza la percezione dell’esperienza della malattia da parte dei piccoli pazienti. Un bambino con l’asma che vive in una famiglia in cui sono spesso presenti tensioni e conflitti può essere disturbato dai sintomi in misura maggiore rispetto a un coetaneo che vive in una famiglia più armoniosa”. Lo studio ha utilizzato questionari standard per valutare le esperienze di 84 pazienti di età compresa tra 7 e 12 anni, curati presso il Women's and Children's Hospital, il più grande centro pediatrico dell’Australia del sud. Si tratta probabilmente del primo lavoro in cui vengono raccolti i giudizi dei bambini per valutare la percezione che hanno della qualità della propria vita in relazione ai rapporti familiari. In passato le informazioni derivavano da genitori o da medici, e spesso erano falsate dalla diversa prospettiva. Secondo il risultato della ricerca, i bambini vengono meno disturbati in famiglie in cui i ruoli sono più chiaramente definiti, in cui sono stabilite regole di comportamento, in cui vi è un maggior interesse per il benessere di ciascuno e un maggior supporto emotivo. Al contrario, bambini che vivono in famiglie meno solide e strutturate appaiono più disturbati da sintomi quali tosse, oppressione al petto, irritabilità e paura. ========================================================= _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 4 lug. ’01 «PA», IL PROGETTO DEL TELELAVORO COMPIE UN ALTRO PASSO IN AVANTI N.T. ROMA - Il telelavoro nella pubblica amministrazione fa un altro passo in avanti. Sulla «Gazzetta Ufficiale» n. 151 del 2 luglio 2001 è stata, infatti, pubblicata la deliberazione 31 maggio 2001 con cui l’Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione (Aipa) ha fissato le «Regole tecniche per il telelavoro ai sensi dell’articolo 6 del decreto del presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 70» (deliberazione n. 16/2000). Le linee guida, che saranno soggette ad adeguamenti almeno biennali, svariano dalla postazione del telelavoro alle modalità di connessione, dalle tecniche di identificazione e autenticazione degli addetti alle verifiche di sicurezza, dalla formazione agli scambi di informazione tra amministrazioni, dall’analisi di costi e benefici all’eventuale uso della firma digitale. Con un occhio di riguardo al personale disabile. E così — prescrive la deliberazione Aipa — il progetto di telelavoro nella pubblica amministrazione dovrà prevedere che gli addetti possano utilizzare chiavi di accesso o codici di identificazione in relazione a quanto previsto dal piano di sicurezza generale dell’amministrazione e agli aspetti di sicurezza specifici del progetto, per l’accesso sia ai documenti informatici sia alle risorse di rete dell’ente pubblico. Nel progetto dovranno, inoltre, essere specificati modalità e periodicità delle verifiche di sicurezza, gli eventuali processi di automazione indotti dal progetto stesso sulle procedure in atto, gli interventi di formazione del personale (con riferimento agli aspetti tecnici), le modalità di acquisizione, utilizzo e manutenzione delle tecnologie, la tipologia e le modalità di formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici. Il progetto di telelavoro, inoltre, dovrà prevedere le modalità per lo scambio di informazioni con l’amministrazione di riferimento o con le altre amministrazioni, nonché l’eventuale utilizzo della firma digitale e le modalità delle verifiche tecniche delle prestazioni. E poi le modalità per il ripristino delle apparecchiature guaste o che presentano anomalie e gli aspetti relativi all’accessibilità per i disabili. A questo proposito, l’articolo 6 della deliberazione dell’Aipa prevede che «le postazioni di telelavoro, i programmi, la documentazione degli strumenti e dei servizi, le procedure di identificazione e di connessione alla rete per le quali sia ritenuto possibile e sia previsto l’accesso alle persone con disabilità motoria e sensoriale devono essere compatibili con le soluzioni tecniche e con gli ausili disponibili per metterle in condizione di operare». Infine, i divieti: la deliberazione vieta l’uso indiscriminato di Internet per il download di file non consentiti, l’accesso in rete in orari diversi rispetto a quelli consentiti nell’ambito del piano di sicurezza, nonché la modifica della configurazione hardware e software delle risorse di telelavoro. _____________________________________________________________ Il Sole 24Ore 7 lug. ’01 IL MEDICO DIGITA WWW E SI AGGIORNA Si calcola che circa il 30% dei siti riguardino la medicina e il settore sanità. Un universo che rende indispensabile disporre di agili e aggiornati strumenti per andare a colpo sicuro su ciò che si cerca. La guida ai siti di Eugenio Santoro, responsabile del Laboratorio di informatica medica dell’Istituito Mario Negri, risponde a queste caratteristiche. Si tratta di un testo rigorosamente selettivo che procede per patologie: quelle che hanno maggior frequenza nei ricoveri in ospedale e quelle gestibili a domicilio. Diviso in tre sezioni (venti capitoli) con siti italiani e internazionali, agli indirizzi vengono accompagnate brevi descrizioni. In allegato un floppy disc. Eugenio Santoro, «La medicina in Rete», Il pensiero scientifico editore, Roma, 2001, pagg. 270, L. 50.000.