[ 23 notizie ]

I RETTORI: GLI ATENEI? CITTÀ DELLA TOLLERANZA

DUECENTO MILIARDI AGLI ATENEI
SOS PER L'UNIVERSITÀ, SOTTO ACCUSA I DUE ATENEI SARDI
AZIENDA MISTA: "GLI OSPEDALI FAGOCITATI DALL'UNIVERSITÀ".
L'UNIVERSITÀ NON HA UN FUTURO ROSA.
MORATTI: ADDIO ALLA LAUREA TRIENNALE (PER LE DISCIPLINE UMANISTICHE)
MORATTI: "ECCO LA MIA UNIVERSITÀ"
LETTERA APERTA DI DOMENICO JERVOLINO AI COLLEGHI DELL'UNIVERSITÀ
INFORMATICA:STUDENTE PROTESTA: "VOGLIONO PILOTARE LE AMMISSIONI"
CARBONIA: LAUREA BREVE IN SCIENZE AMBIENTALI E UN MASTER IN ARCHITETTURA
OMNITEL:"LA GARA CONSIP È IRREGOLARE"
PORTO DI CAGLIARI: SEI MILIARDI IN CONSULENZE A DOCENTI UNIVERSITARI

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MEDICI, STRETTA SULL'INTRAMOENIA
"LA 180 È DA RIFORMARE"TORNANO I MINIMANICOMI
BINDI: COSÌ S'IGNORA LA SOFFERENZA E SI AIUTA LA SANITÀ PRIVATA"
GIÀ BOCCIATA DAI MEDICI L'INTRAMOENIA "RIVISTA" DA SIRCHIA
"È IL DISINTERESSE IL GUAIO DELLA SANITÀ"
"BASTA CON GLI INTERVENTI ISPIRATI A LOGICHE DI PURO POTERE"
INTERVENTO ALLA CATARATTA IN SEI MINUTI E SENZA ANESTESIA
SCLEROSI, IN ITALIA 1800 CASI L'ANNO
TAGLI AI POSTI LETTO, È RIVOLTA
POLICLINICO DI BARI, 184 MILIARDI DI BUCO.
GLI ANTENATI DEI BATTERI SONO CRESCIUTI INSIEME ALL' UOMO
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Il Messaggero 23 set. '01

I RETTORI: GLI ATENEI? CITTÀ DELLA TOLLERANZA

Convegni/Rettori di tutto il mondo uniti a Bologna
dal nostro inviato
MARIO AJELLO
CONTRO tra civiltà? Guerra tra culture? Scorri gli articoli della Magna
Charta delle Università firmata nel 1988 da 430 atenei del mondo, tra cui
alcuni islamici, e pensi che sia davvero impossibile - a dispetto di quanto
vanno dicendo politici e politologi frettolosi - una militarizzazione delle
identità culturali allo scopo di annientarsi a vicenda.
Occidente contro Oriente. Tradizione giudaico-cristiana contro mondo
musulmano. Spiega infatti Fabio Roversi Monaco, che di questa iniziativa è
stato uno dei principali promotori e lo è anche dell'Osservatorio dei
diritti e dei valori dell'Università che festeggia la propria nascita a
Bologna con due giorni di convegno (ieri e oggi): "Tutti i nostri sforzi
sono in favore dell'integrazione fra culture. E specie in una fase come
questa, si tratta di un impegno necessario anzitutto dal punto di vista
morale". Proprio Roversi Monaco, ex rettore dell'Università di Bologna, è
presidente del Centro di studi sull'Islam. Ossia di un organismo di
conoscenza della cultura "altra", senza però voler abdicare alla cultura
"nostra". Intanto professori e rettori delle piu’ famose Università
internazionali si affollano a Bologna: c'è per esempio Claude Allegre,
ottimo ex ministro dell'Educazione in Francia. Ed è come se campeggiasse
sulla sala (alla Fondazione Carisbo) un grande cartello: qui si parla di
tolleranza. Di piu’, come spiega Roversi Monaco: "Se le Università sono
autonome e indipendenti da qualsiasi potere, diventano i piu’ formidabili
trasmettitori di cultura e quindi veri e propri agenti di dialogo". Guerra
Santa e Crociate possono essere sgonfiate anche così.
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Repubblica 19 set. '01

DUECENTO MILIARDI AGLI ATENEI

Li assegna la Conferenza dei rettori
MARIO REGGIO
ROMA - Si chiama Campus One. È un progetto finanziato dalla presidenza del
Consiglio alla fine del 2000: 200 miliardi che verranno divisi tra le
proposte presentate da 69 atenei pubblici. I progetti verranno valutati da
una commissione formata da sette rettori, assieme ai rappresentanti di
Confindustria, delle Regioni, Cnel, Unioncamere, del ministero
dell'università e delle organizzazioni sindacali. Il gruppo di valutazione
è coordinato da Piero Tosi, rettore dell'università di Siena. I risultati
verranno resi pubblici tra pochi giorni. Due gli obiettivi: aiutare le
università ad applicare la riforma didattica prevista dalle nuove lauree
triennali. Organizzare corsi di studio innovativi nelle metodologie e nei
contenuti per anticipare le figure professionali del futuro. "Campus One
promuoverà tutte le azioni innovative degli atenei: la formazione
interdisciplinare, la flessibilità delle applicazioni delle tecnologie
dell'informazione e della comunicazione - spiega il coordinatore Piero
Tosi - in modo da rendere chiaro che la laurea triennale non è una laurea
di serie B o un corso professionale. Uno degli obiettivi principali è
quello di potenziare la cultura della valutazione all'interno degli Atenei.
Sono previste due fasi. La prima prevede l'analisi della situazione
dell'Ateneo e dei suoi corsi di laurea, i servizi in rete, l'apprendimento
delle lingue e dell'informatica, l'orientamento, gli stage e il tutoraggio.
La seconda è la valutazione esterna dei progetti di fattibilità -
conclude - del loro svolgimento e il monitoraggio dei risultati, cioè come
le università avranno utilizzato i finanziamenti per migliorare i sevizi".
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L'Unione Sarda 18 set. '01

SOS PER L'UNIVERSITÀ, SOTTO ACCUSA I DUE ATENEI SARDI

Al capezzale dell'università in affanno ci sono tutti, parlamentari e
consiglieri regionali, esponenti del centrodestra e colleghi del
centrosinistra. Nell'aula consiliare del Comune ieri mattina riecheggiano le
esternazioni piu’ preoccupate sulle sorti dell'università nuorese, a corto
di soldi e di prospettive. Il grido d'allarme ha le voci del sindaco Mario
Zidda e del presidente della Provincia Francesco Licheri. "A Nuoro
l'università è a rischio", ripetono. I finanziamenti strozzano le
possibilità di crescita. Ma a incagliare l'università nuorese nelle secche
preagoniche sono pure le colpe degli atenei di Cagliari e di Sassari e la
corsa a nuove sedi qui e là. "C'è un tentativo di voler operare una sorta
di monopolio", dice Licheri. Il sindaco invoca una politica di indirizzo da
parte della Regione visto che provvede alle necessità finanziarie. Idee
condivise dall'uditorio. A difesa dell'università incompiuta intervengono
il presidente della commissione Cultura del consiglio regionale Roberto
Capelli, i consiglieri del centrosinistra Ivana Dettori, Giuseppe Pirisi,
Peppino Balia, Nino Demuro, Bachisio Falconi e il leader provinciale di An
Gianfranco Cualbu.
"Metterei in campo un'iniziativa con altre università, anche con quelle
della Penisola. Serve un nuovo accordo di programma", dice il deputato del
Ppi Antonello Soro che da ex presidente del Consorzio per l'università
bacchetta l'ateneo di Sassari, inadempiente sulle 13 cattedre assegnate per
Nuoro dal ministero. Ma non tace le colpe nuoresi. "La Regione ha dato da
tempo 40 miliardi per la sede universitaria: non ha senso che l'ufficio
tecnico del Comune gestisca questi soldi come il filo di lana". Tirati in
ballo, sindaco e vice fanno le loro precisazioni. "Entro il mese il progetto
per il campus nell'area dell'Artiglieria, entro l'anno l'appalto Ñ annuncia
Giuseppe Tupponi Ñ . Per l'adeguamento del convento delle Carmelitane non
abbiamo la certezza di settecento milioni, necessari per raggiungere i
quattro miliardi richiesti".
Problemi logistici e maltrattamenti esterni si intrecciano. La scuola di
pubblica amministrazione, fiore all'occhiello di Nuoro, ha raccolto
quest'anno un centinaio di iscrizioni. Ma la struttura basta ad accoglierne
una trentina. Ora, per giunta, Cagliari e Sassari hanno copiato la scuola
nuorese che in tema di pubblica amministrazione perde così la sua preziosa
esclusività. Il vice presidente del Consorzio Bachisio Porru denuncia
l'episodio, così come sottolinea il ridimensionamento di scienze ambientali
da parte di Sassari: a Nuoro dovrebbe restare l'indirizzo terrestre. Restano
pure i conti in affanno per questa struttura che coinvolge un migliaio di
studenti e garantisce cinquanta buste paga della cooperativa di servizi.
L'assessore regionale alla Programmazione Pietro Pittalis annuncia che
nell'aggiustamento di bilancio, all'esame oggi della giunta, c'è un
miliardo e mezzo per l'università nuorese. Invita a "creare una sinergia
con Oristano", dice sì alla revisione dell'accordo di programma, a un
chiarimento con Sassari e Cagliari. "La Regione Ñ sottolinea Ñ deve
recuperare un ruolo di indirizzo nel sistema universitario".
M. O.
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La Nuova Sardegna 23 set. '01

AZIENDA MISTA: "GLI OSPEDALI FAGOCITATI DALL'UNIVERSITÀ".

Il consigliere regionale Nicola Rassu critico sull'"azienda mista"
"Un'azienda mista ospedale-università? In questi due anni la giunta
regionale ha fatto molto per il settore della sanità, ma su questa
decisione non mi trovo d'accordo". L'onorevole Nicola Rassu, coordinatore
provinciale di Forza Italia, prende posizione in merito al provvedimento
22/42 del 26 giugno 2001, con il quale la giunta regionale ha deliberato la
nuova razionalizzazione della rete ospedaliera in Sardegna. Il punto in
discussione è quello che prevede nuovi rapporti tra strutture ospedaliere e
università, che verrebbero accorpate con la conseguente nascita di
un'azienda mista.
A far dubitare Nicola Rassu sull'utilità del provvedimento, sono le diverse
finalità che si prefiggono università e ospedale: "la didattica e la
ricerca nel primo caso, l'assistenza nel secondo". "Il provvedimento -
spiega Nicola Rassu - prevede che negli atti di programmazione sia
determinata l'attività assistenziale necessaria per lo svolgimento dei
compiti istituzionali delle università. In particolare - prosegue il
consigliere regionale - qualora nell'azienda di riferimento non siano
disponibili specifiche strutture essenziali per l'attività didattica,
l'università concorda con la regione l'utilizzazione di altre strutture
pubbliche. Non è quindi imposto nè previsto che sia l'università a
gestire direttamente la struttura necessaria per l'attività didattica". Il
provvedimento della giunta regionale porterebbe così a una concentrazione
delle strutture sanitarie in cui vi è l'apporto delle università, in un
unico polo. Dunque un'azienda mista.
Secondo Nicola Rassu, l'attuazione del provvedimento avrebbe come immediata
conseguenza "la scomparsa dell'istituzione ospedaliera in Sardegna e in
special modo a Sassari". "Le linee guida contenute nel protocollo d'intesa
tra servizio sanitario nazionale e università - spiega Rassu - approvato
dal consiglio dei ministri il 17 maggio del 2001, prevedono tre posti letto
da assegnare all'università per ogni studente iscritto al primo anno del
corso di laurea in Medicina e chirurgia. In questo modo, in base al numero
dei neo iscritti, spetterebbero 510 posti letto all'università di Cagliari
e 300 all'università di Sassari. Ma così non succederà - prosegue Rassu -
se si darà attuazione al provvedimento della giunta regionale".
I posti letto sarebbero infatti nettamente superiori: piu’ del doppio a
Cagliari e il triplo al policlinico universitario di Sassari. "È evidente
che in questo modo - afferma Nicola Rassu - l'istituzione ospedaliera delle
due maggiori città della Sardegna verrebbe completamente fagocitata
dall'università".
Questo è il primo aspetto della questione che non convince il coordinatore
di Forza Italia, al quale si aggiunge anche un discorso di natura economica,
sulla scarsa convenienza del provvedimento.
"Dai dati relativi al triennio '96-98 si evince chiaramente che le strutture
a conduzione universitaria risultano, dal punto di vista della
produttività, nettamente inferiori a quelle ospedaliere - spiega Nicola
Rassu - con tassi di occupazione posti letto piu’ bassi e costi
conseguentemente superiori".
Inoltre, a preoccupare Nicola Rassu, è l'aspetto sociale del provvedimento.
"Che fine farebbe - conclude - il personale ospedaliero una volta che sarà
realizzata l'azienda mista? Quale sarà il loro ruolo e quali i rapporti con
i colleghi universitari?"
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Avvenire 22 set. '01

L'UNIVERSITÀ NON HA UN FUTURO ROSA.

Poche le docenti ordinarie e soltanto due i rettori. I dati sulla presenza
raccolti dalla commissione pari opportunità. Sempre piu’ studentesse. Ma
per le donne la carriera interna resta un'impresa. Lo staff del ministro
lavorerà insieme al Cnsu
Orari impossibili, discriminazione nei concorsi, prospettiva di una carriera
precaria, difficile e poco pagata. Davvero poche le speranze per le 900mila
studentesse che oggi si iscrivono all'università di arrivare ai vertici
della carriera accademica. Anzi pochissime, visto che negli atenei solo
l'11% dei docenti è al femminile, prima dei cinquant'anni è impossibile
aspirare alla cattedra e ci sono attualmente solo due rettori donne: una
all'Università per stranieri di Perugia e l'altra allo Iusm, Istituto
universitario di scienze motorie a Roma. Così emerge dalle testimonianze di
varie università italiane, durante l'incontro "Università: modelli e
regole nel processo di cambiamento" organizzato ieri dalla Commissione
nazionale delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio e dall'Ais,
associazione italiana sociologi. Qualche dato, secondo un'indagine del
Censis. Negli ultimi cinquant'anni, la popolazione universitaria femminile
è aumentata da 60 a 900mila, oggi si iscrive il 34,3% delle ragazze, piu’
numerose dei ragazzi. E il 16,6% delle venticinquenni raggiunge la laurea,
contro il 13,5 dei colleghi uomini, con voti finali tra 106 e 110 per il
55,4 % delle laureande, contro il 39,2 % dei ragazzi.

Ma i successi, purtroppo, finiscono qui. I docenti universitari in Italia
sono 50.467, con una presenza "rosa" del 27%. Le donne costituiscono però
solo l'11,9 % dei professori ordinari, per salire, mentre scendono i gradini
della carriera, al 30% di associate e al 58,7% di ricercatrici. Anche i
tempi sono molto lunghi: una docente accede alla carriera a 36,4 anni,
diventa associata (quando ci riesce) non prima dei 42 e può aspirare alla
cattedra alla soglia dei quarantanove anni. Con grandi sacrifici nella vita
privata e nessuna garanzia economica per decenni.

Un vero peccato, secondo Bianca Maria Tedeschini Lalli, la prima donna in
assoluto a ricoprire in Italia il ruolo di rettore, docente prima
all'Università di Roma e oggi, come già detto, allo Iusm. Che invece
assicura: "Le caratteristiche che si richiedono a un rettore e cioè la
capacità di lavorare su diversi piani, con un certo distacco, ma anche con
il rapporto interpersonale, sono tipiche della natura femminile, e quindi
rappresentano un grande vantaggio di natura professionale ". Nella realtà
quotidiana, però, tutto questo è un'utopia, come garantisce dai primi
gradini della carriera Miriam Trevisan. "Il problema maggiore è il fatto di
essere quasi obbligate a scegliere tra famiglia e carriera - conferma la
contrattista alla Sapienza di Roma, che insieme ad altre colleghe fa parte
della rete "30 something", che tiene in contatto ricercatrici e giovani
studiose - Se non si raggiunge il grado di ricercatrice, già
difficilissimo, non c'è stipendio fisso e diventando mamme si perde un anno
di lavoro e si esce dal giro". Anche il mobbing gioca la sua parte. Un
esempio, raccontato dalla sociologa ed ex ministro Laura Balbo: "A una
studentessa che le chiedeva di modificare l'orario dell'esame per poter
allattare un bimbo troppo piccolo per essere trasportato, una docente
donna - cosa ancora piu’ grave - ha risposto che doveva scegliere se fare la
mamma o la studiosa. E in generale, anche nella gestione delle carriera,
c'è una netta discriminazione tra maschile e femminile". Pre questo,
aggiunge Marina Piazza, presidente della Commissione, "le università devono
modificare l'attuale organizzazione del lavoro tenendo conto delle esigenze
della vita femminile, come per esempio la maternità, per gli orari
lavorativi. Ed è necessaria e urgente una maggiore trasparenza per i
concorsi e le procedure". Che fare, intanto, nell'attesa di riforme
"dall'alto"? Magari cambiare "dal basso". "Per quanto mi riguarda - conclude
infatti Chiara Saraceno, docente di sociologia all'Università di Torino -
ho organizzato le lezioni in base all'orario di allattamento di alcune
dottorande".
Michela Gambillara
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Il tempo 21 set. '01

MORATTI: ADDIO ALLA LAUREA TRIENNALE(PER LE DISCIPLINE UMANISTICHE)

Università, la riforma è sotto esame. Cambiamenti, ma a costo zero.
Verranno garantiti solo i fondi per i docenti
Dopo lo stop alla discussa, contestata riforma dei cicli, il "nuovo corso"
 o, secondo il punto di vista avverso, la restaurazione), investirà anche
gli studi superiori e toccherà la legge Zecchino? Quel che è certo è che
la riforma dell'Università va avanti ma è sotto esame. La divisione tra
laurea triennale e laurea specialistica nelle facoltà umanistiche non va
bene e rischia seriamente di essere modificata.
Lo ha detto ieri il ministro della Università e della Ricerca Letizia
Moratti ai rappresentanti degli studenti eletti al Consiglio Nazionale
Studentesco. Giudicata molto disponibile e attenta ai loro problemi, il
Ministro dell'Università ha rinnovato la fiducia del governo Berlusconi
alla riforma varata dal precedente governo confermando che sarà applicata a
costo zero mentre gli unici soggetti ad essere beneficiati da incentivi
saranno i docenti. Quindi ancora una volta il Ministro Moratti ha ribadito
che per la riforma non ci sono soldi da spendere. La cosa naturalmente
preoccupa gli studenti che temono un aumento delle tasse: "Nelle lauree
specialistiche ci saranno aumenti del 40%" dice Giuseppe Forte della
Sinistra Giovanile. Gli incentivi dati solo ai docenti è il punto che ha
fatto storcere maggiormente il naso ai rappresentanti della sinistra (sono
solo 6 contro i 22 del centrodestra) da sempre favorevoli alla revisione
allo status giuridico degli studenti e ad una riduzione del potere dei
"baroni".

Che il peso della destra in CNSU si sia fatto sentire lo dimostra il
ripensamento del Ministro sul 3+2 nelle facoltà umanistiche. La rigidità
della riforma è da sempre bersaglio dei cattolici del raggruppamento CLDS
(coordinamento liste diritto allo studio) e di Azione Universitaria, i primi
vicini a Comunione e Liberazione, i secondi ad Alleanza Nazionale e Forza
Italia. Nata per ridurre la "mortalità" studentesca e per avvicinare i
laureati al mondo del lavoro, la riforma del 3"2 potrebbe non essere utile a
corsi di laurea come Lettere e Filosofia che con il mondo del lavoro hanno
un rapporto diverso rispetto a facoltà come Ingegneria o Economia e si
fondano su una concezione meno pratica del sapere.

La Moratti tuttavia ha respinto una pressante richiesta degli studenti di
centrodestra, quella dell'eliminazione del valore legale del titolo di
studio, sottolineando che in tutta Europa la laurea continua a mantenere
valore legale. Un altro aspetto critico della riforma che preoccupa la
Moratti, è la proliferazione dei corsi di laurea e il Ministro si riserva
di valutarne l'effettiva necessità. La riforma infatti ha dato il via ad un
aumento esponenziale dell'offerta degli atenei spinti dalle indicazioni
dell'ex Ministro Zecchino verso una sempre maggiore aderenza ai desideri e
alle aspettative degli studenti, con risultati spesso discutibili e che
hanno sollevato perplessità e freddezze proprio presso gli iscritti.

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Il Nuovo 19 set. '01

MORATTI: "ECCO LA MIA UNIVERSITÀ"

Il ministro dell'Istruzione Letizia Moratti incontra i rappresentanti degli
studenti e annuncia l'addio alla nuova formula dei 3 anni piu’ due di
specializzazione. Il tutto senza nuovi investimenti
di Alberico Giostra
La riforma dell'Università va avanti ma è sotto esame. La divisione tra
laurea triennale e laurea specialistica nelle facoltà umanistiche non va
bene e rischia seriamente di essere modificata. Questi i due aspetti
essenziali sottolineati dal Ministro Moratti ai rappresentanti degli
studenti eletti al Consiglio Nazionale Studentesco in un incontro tenuto
oggi al Ministero dell'Università.
Giudicata molto disponibile e attenta ai loro problemi, il Ministro
dell'Università ha rinnovato la fiducia del governo Berlusconi alla riforma
varata dal precedente governo confermando che sarà applicata a costo zero
mentre gli unici soggetti ad essere beneficiati da incentivi saranno i
docenti.
Quindi ancora una volta il Ministro Moratti ha ribadito che per la riforma
non ci sono soldi da spendere. La cosa naturalmente preoccupa gli studenti
che temono un aumento delle tasse: "Nelle lauree specialistiche ci saranno
aumenti del 40%" dice Giuseppe Forte della Sinistra Giovanile. Gli incentivi
dati solo ai docenti è il punto che ha fatto storcere maggiormente il naso
ai rappresentanti della sinistra (sono solo 6 contro i 22 del centrodestra)
da sempre favorevoli alla revisione allo status giuridico degli studenti e
ad una riduzione del potere dei "baroni".
Che il peso della destra in CNSU si sia fatto sentire lo dimostra il
ripensamento del Ministro sul 3+2 nelle facoltà umanistiche. La rigidità
della riforma è da sempre bersaglio dei cattolici del raggruppamento CLDS
(coordinamento liste diritto allo studio) e di Azione Universitaria, i primi
vicini a Comunione e Liberazione, i secondi ad Alleanza Nazionale e Forza
Italia. Nata per ridurre la "mortalità" studentesca e per avvicinare i
laureati al mondo del lavoro, la riforma del 3+2 potrebbe non essere utile a
corsi di laurea come Lettere e Filosofia che con il mondo del lavoro hanno
un rapporto diverso rispetto a facoltà come Ingegneria o Economia e si
fondano su una concezione meno pratica del sapere.

La Moratti tuttavia ha respinto una pressante richiesta degli studenti di
centrodestra, quella dell'eliminazione del valore legale del titolo di
studio, sottolineando che in tutta Europa la laurea continua a mantenere
valore legale. Un altro aspetto critico della riforma che preoccupa la
Moratti, è la proliferazione dei corsi di laurea e il Ministro si riserva
di valutarne l'effettiva necessità. La riforma infatti ha dato il via ad un
aumento esponenziale dell'offerta degli atenei spinti dalle indicazioni
dell'ex Ministro Zecchino verso una sempre maggiore aderenza ai desideri e
alle aspettative degli studenti, con risultati spesso discutibili e che
hanno sollevato perplessità e freddezze proprio presso gli iscritti.
Ma in definitiva il Ministro Moratti che impressione ha fatto agli studenti?
"Ci è sembrata molto disponibile e disposta ad impegnarsi, soprattutto per
favorire le cooperative studentesche" ha dichiarato il Presidente del CNSU
Tomaso Agasisti vicino a Comunione e Liberazione. "È stata molto vaga ed
elusiva" ha invece commentato Alberto Probo della Sinistra Giovanile. "Di
fatto non sappiamo ancora come affronterà l'enorme mole di problemi della
riforma e mostra anche una eccessiva sicurezza in sè stessa al punto da non
concedere nessuna delega ai sottosegretari".
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Liberazione 17 set. '01

LETTERA APERTA DI DOMENICO JERVOLINO AI COLLEGHI DELL'UNIVERSITÀ

La crescita di un movimento contro la globalizzazione dei mercati e dei
mercanti e per la globalizzazione della solidarietà e dei diritti è uno
degli avvenimenti piu’ significativi di questi ultimi mesi.

A un prezzo altissimo questo movimento è già riuscito a incidere nella
politica italiana: dopo di Genova, nulla sarà come prima. E quanto è
accaduto l'11 settembre ci conferma tragicamente che ormai l'orizzonte
dell'agire politico è mondiale, al punto che nessuno può piu’ pensare di
tirarsene fuori.

Se gli avvenimenti di questi giorni ci parlano di una nuova barbarie,
occorre interrogarsi sulle sue radici e sui rimedi che non possono
certamente consistere in comportamenti che generino nuove sofferenze e altre
vittime innocenti.

In questa situazione c'è sicuramente una responsabilità particolare per
chi opera nel campo delle istituzioni culturali ed educative. All'inizio di
un nuovo anno accademico, mentre l'università è coinvolta da processi di
trasformazione che vanno in tutt'altra direzione, è lecito chiedersi se il
cambiamento che s'intravede della fase politica riuscirà a incidere in
profondità in un'istituzione che in passato si è rivelata coriacea e
impermeabile ai cambiamenti veri.

Non mi riferisco evidentemente agli studenti e ai giovani, dei quali conosco
la generosità e la disponibilità: molti di coloro che hanno partecipato
alle mobilitazioni degli ultimi mesi sono appunto studenti.

Ma riuscirà l'università in quanto tale a mettersi in discussione come
luogo di produzione e di riproduzione di saperi, di cultura, di gerarchie
sociali e culturali, il cui funzionamento non è certo privo di rapporti coi
problemi della globalizzazione? O si limiterà solo ad offrire, nella
migliore delle ipotesi, una sede per dei dibattiti che non la toccano nella
sua vita quotidiana, che non discutono ciò che si studia, si ricerca,
s'insegna, come lo si fa, o quello che non si fa e si dovrebbe invece fare
per aprirsi a una domanda sociale di cultura e di formazione che è
anch'essa virtualmente "globale"?
Riusciremo soprattutto come docenti ad uscire da forme consolidate di apatia
e di afasia? Alle "riforme" piu’ o meno ispirate dal "pensiero unico"
l'unica risposta sarà il consolidato gattopardismo italico?
Vorrei sottoporre questi interrogativi come un messaggio chiuso in una
bottiglia da affidare al mare (informatico o cartaceo) della comunicazione e
sollecitare delle risposte.
È immaginabile fondare qualcosa come un forum sociale dell'università
(aperto a studenti, docenti, lavoratori dell'università e della ricerca)?
Non per seguire una moda, ma per aprire una nuova frontiera d'impegno.
Propongo per ora di discutere, per giungere poi forse ad un appuntamento,
magari in ottobre, quando saranno ripresi i corsi.
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L'Unione Sarda 21 set. '01

INFORMATICA:STUDENTE PROTESTA: "VOGLIONO PILOTARE LE AMMISSIONI"

"Se vogliono favorire qualcuno, lo dicano". Non ha mezzi termini Marcello
Pani, uno studente lavoratore cagliaritano di 37 anni, e spara a zero sui
criteri della prova di selezione per il corso d'informatica, a numero
chiuso, che si è tenuta ieri alle 16 nelle aule della Cittadella
universitaria di Monserrato. In gioco ci sono 160 posti banditi dalla
facoltà cittadina di Scienze matematiche, fisiche e naturali.
L'accusa dello studente, accompagnata da mille polemiche, ha costretto la
commissione d'esame, presieduta da Marco Gaviano (docente alla facoltà di
Matematica), a sospendere la prova. Nonostante la contestazione sia stata
manifestata in modo civile, neanche l'intervento dei carabinieri di
Monserrato, chiamati dai membri della commissione, è riuscito a riportare
la serenità tra i docenti e gli oltre cinquecento studenti arrivati da ogni
angolo della Sardegna.
Marcello Pani punta l'indice accusatorio contro i criteri di valutazione e
sui modi di svolgimento della prova. Secondo lo studente nel bando di
concorso per l'ammissione, che doveva essere presentato tra il primo e il 30
agosto, non sono stati certificati i punteggi relativi ai titoli di studio.
"Il 10 agosto ho presentato la domanda di ammissione ma ho depennato,
dall'autocertificazione da includere alla domanda prestampata,
l'affermazione di essere a conoscenza dei criteri di valutazione dei titoli
e della prova stabiliti dal Consiglio del corso di laurea. Li ho richiesti
ma nessuno me li ha forniti".
L'aspirante informatico non si dà per vinto: dopo un giorno mette nero su
bianco la sua richiesta e la consegna all'Ufficio protocollo
dell'università. "Sino a oggi nessuno ha dato, anche se la legge lo impone,
una risposta ai miei quesiti", conferma lo studente. "Mi chiedo anche
perchè in altre facoltà cittadine i criteri di ammissione ai corsi di
laurea a numero chiuso sono stati pubblicati sui bandi di concorso".
Secca la replica di Marco Gaviano, che rimanda al mittente tutte le accuse.
"Denunceremo alla magistratura, per interruzione di pubblico servizio, lo
studente che ieri ci ha costretto a sospendere il test", afferma il docente
universitario. "Sia ben chiaro - aggiunge - la prova di ammissione non è un
concorso pubblico, è simile a un esame universitario. Per questo continua
il presidente della commissione - i criteri di valutazione dei titoli erano
all'interno della busta che abbiamo consegnato ai candidati al momento della
prova. Avremmo potuto anche interrogare gli studenti ma per problemi
logistici usiamo da anni la formula dei test". Insomma una querelle che
molto probabilmente si concluderà in Tribunale e che lancia ombre oscure
sull'università cittadina. Solo oggi, dopo un incontro con il rettore, si
conoscerà la data del nuovo test.
Andrea Artizzu

COMMENTI
19/09/2001
Marco Luciano, Cagliari / Italia
Sono uno studente di 20 anni, e anch'io, come centinaia di altri miei
colleghi, ero presente alla prova di ieri. Innanzitutto devo contestare le
affermazioni dello studente che, a discapito di centinaia di poveri
candidati, ha costretto ad annullare la prova: a mio avviso tutto si è
svolto nella massima regolarità, e, posso testimoniare, non c'erano nè
favoritismi nè raccomandazioni, tantomeno discriminazioni di comportamento.
Anzi, trovo veramente VERGOGNOSO che tutto ciò, per l'orgoglio di un
frustrato 37enne, ha provocato l'annullamento di centinaia e centinaia di
volenterosi candidati, e, sottolineo, molti provenivano da zone distanti
(sassari, nuoro, ecc.). Si sono visti costretti a tornare a mani vuote a
casa dopo un lungo viaggio, magari dopo mesi e mesi di preparazione. Credo
che la persona che ha provocato tutto questo debba farsi un bell'esame di
coscienza e rifletta: non crede che tutto sia stato provocato dalla propria
consapevolezza di non essere in grado di ultimare il test per mancata
preparazione e tutto ciò sia avvenuto esclusivamente per puro divertimento
personale (il vedere annullate centinaia di prove)? Se magari il tempo che
ha perso protestando l'avesse impiegato stando ZITTO e concentrato sulla
prova forse magari adesso verrebbe anche ammesso! O magari è venuto al test
solo per "rompere le scatole" a centinaia di poveri malcapitati?
riflettete...riflettete! e lei, caro studente....SI VERGOGNI!!!


19/09/2001
Sara, Cagliari
Io ho chiesto un permesso a lavoro in un momento critico, nel quale sarebbe
stato preferibile non assentarsi, e la prova l'ho sostenuta per intero
perchè nella nostra aula non siamo stati interrotti... E ora dovrei fare
un'altra assenza a lavoro e sostenere un altro Test?!? Per me è questa
l'ingiustizia... tanto piu’ che avevo fatto proprio una buona prova!
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L'Unione Sarda 20 set. '01

CARBONIA: LAUREA BREVE IN SCIENZE AMBIENTALI E UN MASTER IN ARCHITETTURA

Fra un anno il dottorato
Il Comune vuole anticipare l'avvio dei primi corsi
Un master e un dottorato di ricerca a concretizzare finalmente il sogno di
un'Università vicina a casa. Non si tratta di un idea campata per aria ma
di un progetto concreto che, già dal prossimo anno, potrebbe portare in
città studenti e professionisti di altissimo livello. Un disegno ambizioso
che in termini pratici significa la rapida ricerca di edifici e locali
adatti a ospitare aule e laboratori direttamente collegati con il sito
minerario di Sirai. "Abbiamo tutta l'intenzione di rispondere con la massima
celerità alle proposte giunte dalla facoltà di Ingegneria dell'Università
di Cagliari, dal dipartimento di Architettura e dal Centro
interdipartimentale di Ingegneria e scienze ambientali - spiega il sindaco
Tore Cherchi - per questo sarà presto avviato il recupero degli edifici del
vecchio sito minerario mentre, contemporaneamente, ci occuperemo di studiare
tutte le soluzioni alternative che impediscano di sprecare anche un solo
giorno di attività culturale nella nostra città".
I progetti proposti dall'Università sono di tutto rispetto. Il primo è
finalizzato a portare in città un Master internazionale sul recupero
dell'architettura con particolare riferimento all'architettura moderna
razionalista di cui la città di Carbonia è direttamente espressione:
"Studi di grande importanza che contemporaneamente permetterebbero il
recupero e la qualificazione urbana del nostro centro - spiega il primo
cittadino - per realizzare questo progetto l'Università ha già proposto la
stesura di un protocollo d'intesa con la nostra amministrazione". Non meno
importante la seconda proposta che vorrebbe localizzare in città
l'istituendo dottorato internazionale in Ingegneria e Scienze ambientali:
"Vedrebbe unite le Università di Cagliari, di Algarve (Portogallo) e La
Verne (Grecia) con il conseguente arrivo a Carbonia di insigni studiosi del
settore". Questo permetterebbe di proiettare il Sulcis in un circuito
culturale internazionale di alto livello con tutte le conseguenze che
potrebbero derivarne. La prima è proprio quella del tanto atteso "sbarco"
dell'Università nella città mineraria. Per questo occorre accelerare al
massimo in tempi, trovando al piu’ presto soluzioni logistiche come, ad
esempio, quella di impiegare edifici scolastici già esistenti ma
inutilizzati come future sedi universitarie. Magari la nuova scuola di via
Dante, ancora priva di una destinazione d'uso ufficiale: "Potrebbe essere
un'idea - afferma Tore Cherchi - in attesa di recuperare il sito di Sirai
vaglieremo tutte le possibilità alternative".
Una grande notizia per i giovani di Carbonia che da sempre carezzano il
sogno di frequentare l'Università senza dovere lasciare la città. Per
adesso, infatti, l'alternativa a una quotidiana vita da pendolare è quella
di sobbarcarsi la spesa in un trasferimento nel capoluogo per tutta la
durata dei corsi e degli esami. E non si tratta certo di poche lire. Oggi
vivere a Cagliari costa circa trecentomila a posto letto a cui vanno poi
aggiunte tutte le spese quotidiane, le bollette, la benzina, i biglietti del
treno da sommare alla normale ingente spesa dei testi di studio e delle
tasse di frequenza. Proprio in questi giorni è facile incontrare decine di
giovani ancora alle prese con i giornali di annunci economici alla ricerca
di una sistemazione a prezzi modici, speranza puntualmente delusa dalle
esose richieste di affitto. Un tram tram che si ripete puntualmente ogni
anno visto che i posti letto offerti dall'Università non riescono a far
fronte alla grande richiesta. Se dovesse nascere l'Università a Carbonia
questi mille problemi potrebbero finalmente diventare un ricordo.
Stefania Piredda
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Il Sole24Ore 20 set. '01

OMNITEL:"LA GARA CONSIP È IRREGOLARE"

Omnitel prepara un ricorso all'Antitrust sul bando pubblico da 2mila
miliardi nella telefonia integrata"La gara Consip è irregolare"Colao: è
una corsa riservata soltanto a Telecom e Wind - Nuovi ostacoli per la
vendita di Blu Federico Rendina
ROMA - Venti di guerra sulla nuova gara per aprire le telecomunicazioni
delle pubblica amministrazione alla concorrenza tra gestori. Omnitel dice no
al bando varato dalla Consip per dotare alcune migliaia di funzionari e
dirigenti pubblici di un primo vero servizio "integrato"
fisso-mobile-Internet, e minaccia di ricorrere all'Antitrust. Valore stimato
dell'affare: tra i 1.500 e i 2mila miliardi di lire in 30 mesi. Data di
presentazione delle offerte: 29 ottobre. Requisiti per partecipare alla
corsa: un'impresa o un consorzio di imprese che possano dimostrare una buona
consistenza industriale, una sufficiente esperienza in tutto ciò che viene
richiesto e una piena "copertura" del territorio nazionale nei tre servizi
richiesti. Criterio per l'aggiudicazione: il miglior prezzo. Vittorio Colao,
numero uno di Omnitel, ha approfittato della nutrita platea del convengo
organizzato ieri da Punto.it (tra i politici c'erano il ministro della
Comunicazioni, Maurizio Gasparri, e il presidente della Camera, Pier
Ferdinando Casini, tra gli industriali del settore tutti i nomi che contano)
per sparare a zero sui criteri adottati per la gara, a partire da quello
fondamentale: la richiesta di un servizio strettamente integrato. "Sarà,
nei fatti, una partecipazione a due: Tim-Telecom e Wind. Ovvero dell'ex
monopolista e della società controllata dall'Enel, a sua volta controllato
dal Tesoro, che promuove l'asta attraverso la Consip" ha detto Colao. Un
gioco pilotato in famiglia? Colao non lo dice, ma osserva che "i documenti
di gara rendono nei fatti impossibile la partecipazione di altre imprese".
"Chiederemo una correzione delle norme, altrimenti faremo ricorso
all'Antitrust e alla Commissione europea" incalza l'amministratore delegato
del secondo operatore cellulare italiano. Che cita, a sostegno delle sue
tesi, altre due "evidenti incongruenze del bando di gara Consip rispetto ai
criteri di una vera apertura del mercato". Nel bando, all'articolo 16, la
Consip si riserva il diritto - fa osservare Colao - di procede
all'aggiudicazione anche in presenza di una sola offerta valida. Come dire
che esiste sin dall'inizio la consapevolezza che la partita si giocherà tra
pochi intimi. Ulteriore incongruenza: i requisiti di copertura di un'unica
rete integrata obbligherebbero gli altri candidati "ad associare una tale
pluralità di operatori da rendere l'operazione decisamente impervia". Si
poteva fare altrimenti? Sì, risponde Colao. Per aprire davvero il mercato e
promuovere di conseguenza le offerte piu’ competitive si poteva procedere a
gare diverse per i tre settori: fisso, mobile e servizi multimediali.
Prevedendo un'integrazione operativa che la tecnologia consente
automaticamente. Così come si poteva procedere, in alternativa, a gare
regionali, "visto che i rappresentanti del nostro Stato hanno piu’ volte
detto di voler promuovere i servizi locali di telecomunicazioni". Ma
tant'è. "Abbiamo chiesto un'incontro con i responsabili del Tesoro.
Confidiamo in una correzione di rotta. Altrimenti agiremo" avvertiva ieri
sera Colao, reduce da un confronto tra operatori e politici che non ha
risparmiato altri motivi di attrito. Si litiga ancora, ad esempio, sulla
"portabilità" del numero cellulare. La sperimentazione deve partire subito,
ripete Alessandro Luciano, commissario dell'Authority per le comunicazioni.
La portabilità ci sarà, ma servono tempi tecnici piu’ lunghi, replica
Colao. Segnali di intralcio anche sulle delicate trattative per la vendita
di Blu, il quarto operatore Gsm di cui Benetton aveva già deciso di cedere
il controllo ancora prima di assaltare Telecom. Il candidato principale
rimane l'operatore Umts "puro" Ipse: ma se davvero ingloberà Blu dovrà
rinunciare ai 5 megaherz in piu’ nell'Umts (quelli che la gara aveva
riservato ai soli nuovi entranti) senza riavere indietro la bella cifra di
1.600 miliardi pagati in piu’ per quei preziosi canali aggiuntivi. Così,
almeno, sostiene il commissario Luciano.
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L'unione Sarda 18 set. '01

PORTO DI CAGLIARI: SEI MILIARDI IN CONSULENZE A DOCENTI UNIVERSITARI

Ecco il dossier dell'ispettore inviato da Monorchio: nuove contestazioni per
la gestione dell'Ente
"Invece di potenziare l'organico si ricorre agli esterni"
L'Autorità portuale ha speso sei miliardi in consulenze. Studi,
progettazioni, incarichi speciali, pubblicità, contributi vari. Ed è una
cifra indicativa, che non riguarda tutte le parcelle: non possono essere
quantificate "prima della presentazione degli atti di progettazione e
consulenze". Lo scrive Mario Carta, il dirigente dei servizi ispettivi di
finanza pubblica nel "dossier" che ha chiuso la verifica
amministrativo-contabile all'Authority di via Roma, disposta dal Ragioniere
generale dello Stato, Andrea Monorchio.
Nelle 98 pagine della sua relazione, l'ispettore del ministero delle Entrate
punta l'indice soprattutto contro la spesa di un miliardo e 241 milioni
("Senza l'esperimento di gare, nè l'acquisizione di piu’ preventivi"), per
ampliare ed estendere il sistema informatico. Che peraltro, scrive
l'ispettore, "non è mai stato realizzato, nonostante sia già stato
corrisposto quasi totalmente il prezzo pattuito". Restano da pagare, alla
"Sistemi e Telematica" di Genova, solo 54 milioni. L'ispettore scrive che
l'incarico alla Set senza trattativa privata plurima è motivato con il
fatto che la società genovese aveva realizzato il sistema informativo
gestionale per movimentare le merci nel porto canale. Ma, evidenzia nel
dossier l'inviato di Monorchio, "tale sistema è stato ritenuto obsoleto,
tanto è vero che la Cict (concessionaria del porto canale, ndr) ha
commissionato un nuovo sistema informatico. Conseguentemente, non poteva
essere ampliato un sistema obsoleto".
L'ispettore cita l'esempio di altre Autorità portuali che, per un servizio
con le stesse caratteristiche di quello cagliaritano, hanno speso molto
meno. In definitiva, Mario Carta rileva "il pagamento di 936 milioni senza
l'effettuazione della prescritta pubblica gara". Non è finita: l'Autorithy,
nel novembre '98, decide di acquistare, sempre dalla Set, un software per
gli uffici amministrativi: 108 milioni, Iva compresa. L'ispettore cita una
nota di due dirigenti dell'Ente porto cagliaritano in cui si evidenzia che
"la società "Coelda" ha fornito identico software alle Autorità portuali
di Palermo, Civitavecchia, Marina di Carrara e Gioia Tauro a un prezzo di
soli 18 milioni". Ancora: la Set ha avuto 143 milioni per le forniture
informatiche e di comunicazione a supporto del "Progetto Cargo Comunità
Sistem Porto di Cagliari" e altri 54 milioni (ancora da pagare) per uno
studio sugli incidenti in mare.
Dall'esame del dossier ministeriale emergono pagamenti per complessivi 939
milioni per alcuni ingegneri e docenti universitari di Cagliari, le cui
prestazioni vengono giustificate con la carenza di personale tecnico nella
pianta organica. L'organico di diritto è di 28 unità (10 nell'area tecnica
e 18 in quella amministrativa) ma, di fatto, si ferma a 20. "Il presidente",
scrive l'ispettore Mario Carta, "non ha finora proceduto all'assunzione del
personale mancante. I compiti d'istituto sono svolti da consulenti esterni.
Non solo: ci sono 7 dipendenti assunti "con procedure non regolari" e
inquadrati come terzo livello. Si tratta dei soci di una "snc" cui nel marzo
'96 il presidente Ferrari aveva affidato in via provvisoria, per carenze
d'organico, adempimenti amministrativi e contabili. I 7 erano diventati
dipendenti nel '98 con una mediazione tra la "snc" e l'Autorità portuale
davanti alla direzione provinciale del lavoro. Ma, scrive l'ispettore,
"tuttora gli adempimenti contabili sono svolti da consulenti esterni... che
comporta oneri piu’ rilevanti rispetto alla spese riguardanti i
dipendenti... Sussiste la necessità che venga completata la pianta
organica". Mario Carta contesta anche la revoca dall'incarico (avvenuta il
16 febbraio scorso) del segretario generale Mario Fadda, proposta da Ferrari
e ratificata dal comitato (con 10 voti a favore su 16 presenti). Una revoca
"illegittima, non motivata da giusta causa, che ha comportato per l'ente un
danno di oltre 550 milioni, l'indennità di risarcimento piu’ la maggiore
retribuzione corrisposta per circa un mese. Per l'accertamento di eventuali
responsabilità occorre considerare anche la messa in mora del presidente e
dei componenti del comitato portuale".
Il dirigente dei servizi ispettivi dedicata dieci pagine della sua relazione
all'affidamento (senza gara) alle società Marconsul e Progetrasporti di
Genova del nuovo piano regolatore portuale. La spesa complessiva indicata è
di un miliardo e 121 milioni. Nel dossier si cita una nota dell'ex
segretario generale, ripresa da Carta: il nuovo piano non presenta novità
rispetto a quello messo a disposizione dell'Ente porto, gratuitamente, dal
Genio civile opere marittime. Ma soprattutto, scrive l'ispettore, "lo schema
del nuovo piano regolatore, nonostante il lungo tempo trascorso a partire
dal 3 novembre '95, non è stato ancora adottato dal comitato portuale".
Emanuele Dessì


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Il Sole24Ore 19 set. '01

MEDICI, STRETTA SULL'INTRAMOENIA

ROMA - Ospedali invitati ad "acquistare" le prestazioni di medici esterni al
Ssn, libera professione intramuraria dei camici bianchi al contagocce ma
aperta anche agli infermieri, parziale riduzione del potere monocratico dei
direttori generali, rinascita di graduatorie vincolanti per selezionare i
medici responsabili delle "strutture complesse" (gli ex primari), creazione
di "sportelli unici" per favorire lo sviluppo di nuovi insediamenti
produttivi industriali. E porte aperte alle Fondazioni nei grandi ospedali,
a cominciare in via sperimentale dagli Irccs, con una riconversione di
quelli "minori" in "Centri distrettuali di salute". È un programma in dieci
punti ("punti politici prioritari"), una sorta di canovaccio ancora allo
studio del ministro della Salute, Girolamo Sirchia. Un elenco di priorità
che potrebbero presto far parte della rivisitazione della riforma ter del
Ssn. E che non mancherà di far discutere, di sicuro tra le categorie, ma
anche tra i partiti di entrambi gli schieramenti politici. Anche perchè
presto, tra le misure collegate alla Finanziaria 2002, il Governo dovrà
mettere nero su bianco le modifiche che intende apportare per via
legislativa alla "riforma Bindi". Medici. Rapporto di lavoro esclusivo "duro
e puro", salvo eccezioni "a discrezione dell'azienda e per particolari
personalità". La libera professione intramoenia sarà svolta solo se
l'ospedale ha strutture (e se non ci sono?) e amministrazione "separate".
Con l'intento di ridurre le piante organiche (e "a discrezione
dell'azienda") i medici (anche quelli dipendenti, se si dimettono)
potrebbero stipulare con gli ospedali rapporti di lavoro libero
professionali, continuando a svolgere l'attività al di fuori della stessa
struttura. Una possibilità, questa, che varrebbe anche per i medici di
famiglia. Confermata, poi, la volontà piu’ volte dichiarata di concedere la
reversibilità della scelta. Per ridurre le liste d'attesa, si punta a
concedere alle equipe una percentuale di quanto fatturato dal proprio
reparto. Fondazioni e ospedali. L'idea è di sperimentare, per alcuni Irccs,
il trasferimento della proprietà a Fondazioni ad hoc, con un Cda cui
partecipino "rappresentanti dello Stato, della Regione, del Comune
dell'Università e di privati, in particolare Fondazioni bancarie". La
neonata Fondazione affiderebbe a privati la gestione dell'ospedale
(salvaguardandone "la missione pubblica"), con la partecipazione delle
maggiori spese a carico della Fondazione bancaria. La sperimentazione
durerebbe tre anni e, se positiva, darebbe la stura al trasferimento del
"modello" agli altri Irccs e ai Policlinici. E ancora, per gli ospedali, si
pensa alla riconversione di quelli "minori" in "Centri distrettuali di
salute" (con pronto soccorso, astanteria e diagnostica di base collegata al
distretto), riconvertendo i reparti per acuti in presidi per i malati
cronici (per post degenza ospedaliera e per gli anziani). Il tutto,
potenziando le strutture di ricovero con un rapporto di squadra coi medici
di base. Nella riprogrammazione dei finanziamenti per l'edilizia
ospedaliera, infine, si dovrà puntare alla creazione in ogni Regione di
"Centri di eccellenza" piuttosto che a "strutture minori". Direttori
generali e graduatorie dei medici. Vanno sottratti i medici "all'azione
unilaterale dei direttori generali", prevedendo che le decisioni prese dal
manager contro le proposte del Consiglio di direzione siano "congruamente
motivate". Si cambia anche per la scelta dei primari, abolendo la
discrezionalità attuale dei direttori generali: la Commissione che oggi
valuta i titoli per selezionare i medici responsabili di struttura
complessa, dovrà nuovamente fare una graduatoria che diventerà
"vincolante" per il direttore generale. Infermieri con master. Si affaccia
il ricorso all'attività libero professionale per Asl e Rsa, ma anche
l'apertura alla libera professione per gli infermieri dipendenti. Allo
studio, poi, un "master di specialità post laurea" di un anno. Come dire
che questo personale sarebbe classificato in tre fasce: l'infermiere
professionale, quello specializzato (con master) e quello dirigente. Lo
sportello delle imprese. Sportelli unici, con tanto di semplificazioni
procedurali e burocratiche, per favorire nuovi insediamenti produttivi e
"attrarre investimenti": riguarderebbero farmaci, materie prime, presidi
medico-chirurgici. R.Tu.
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La repubblica 21 set. '01

"LA 180 È DA RIFORMARE"TORNANO I MINIMANICOMI

Polemica sulle proposte di Forza Italia e Lega in commissione Affari sociali
MARIO REGGIO
ROMA - Strutture residenziali di assistenza per accogliere i malati mentali
piu’ gravi "pericolosi per sè e per gli altri", con un massimo di 50 posti
letto; trattamento sanitario obbligatorio su richiesta di "chiunque ne abbia
interesse" ma convalidato da uno psichiatra, per 72 ore (nelle situazioni di
emergenza) e fino a due mesi.
Sono i cardini della riforma della legge "180" - quella che 22 anni fa mise
in Italia la parola fine ai manicomi - proposta da Forza Italia e dalla lega
Nord e di cui ieri è cominciato l'iter parlamentare con la discussione in
commissione Affari sociali di Montecitorio.
Il centrodestra vuole cambiare strada: "La legge "180" ha rivelato enormi
lacune", è l'atto di accusa di Maria Burani Procaccini (FI) e di Alessandro
Cè (Lega), firmatari dei due nuovi progetti di legge. Durissima la reazione
dell'opposizione di centrosinistra che parla di "restaurazione rozza e
ideologica", di "riapertura dei manicomi" e di "gravissimo colpo di spugna".
La "rivoluzione" teorizzata dallo psichiatra triestino Franco Basaglia e
tradotta nella legge "180" ha avuto un percorso accidentato che tuttavia,
tra polemiche e sforzi, ha portato alla chiusura della quasi totalità dei
vecchi manicomi e alla creazione di molti centri di sostegno e di assistenza
sul territorio ai pazienti psichiatrici e alle famiglie. "Non parliamo di
ritorno ai manicomi, per carità, ma di reparti protetti di cura. E
comunque, non ci devono essere guerre di religione, nè leggitabu’", afferma
ieri mattina Burani Procaccini. Mentre in commissione l'Ulivo annuncia il
braccio di ferro negli interventi dell'ex ministro della Sanità, la
Popolare Rosy Bindi; del diessino Giuseppe Lumia ("Significa creare aree
manicomiali. Si torna all'istituzionalizzazione del malato di mente"); di
Luana Zanella dei Verdi ("Ecco qui, la vecchia logica manicomiale").
Nel merito, le nuove norme prevedono il trattamento sanitario obbligatorio
"d'urgenza e ordinario", su richiesta di "chiunque ne abbia interesse", vale
a dire familiari, operatori sociali, psichiatri o medici di famiglia. E una
commissione dovrebbe decidere sulla convalida del Tso. Inoltre, strutture
residenziali con assistenza continuata (Sra) potranno accogliere non piu’ di
50 malati e ne saranno previste almeno tre per Regione. I familiari non
possono essere obbligati alla convivenza con i malati di mente maggiorenni,
anche se saranno stabiliti incentivi per le famiglie disposte a mantenere il
malato. La prevenzione e la cura sono affidate ai Dipartimenti di salute
mentale (Dsm) o di psichiatria e la gestione dell'assistenza è affidata a
un'integrazione pubblicoprivato. Per gli ex ospedali psichiatrici è
prevista la chiusura, la riconversione o la vendita destinando il ricavato
alla realizzazione o all'adeguamento di strutture a favore dei malati
psichiatrici. Da "Psichiatria democratica" arriva immediata la bocciatura
della proposta di riforma: "È lesiva e fortemente pericolosa per i
cittadini. Riesce a essere nello stesso tempo oscurantista, semplicistica e
inadeguata ai bisogni e ai diritti dei cittadini". La comunista Maura
Cossutta rincara: "L'obiettivo del centrodestra è la cancellazione di tutte
le conquiste della legislazione degli Anni '70: servizio sanitario, statuto
dei lavoratori, aborto e ora legge "180"".

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La repubblica 21 set. '01

BINDI: COSÌ S'IGNORA LA SOFFERENZA E SI AIUTA LA SANITÀ PRIVATA"

L'ex ministro Rosy Bindi: pensano già a 30 mila posti letto
ROMA - "Vogliono creare 30 mila posti letto e tanti piccoli manicomi con 50
malati. La maggioranza ha un'idea fissa: la privatizzazione e intende la
sanità come mercato".
Rosy Bindi non usa mezzi termini e promette battaglia.
Cosa contesta alla maggioranza?
"L'impostazione culturale di fondo cancella trent'anni di fatica e
realizzazioni che sul piano professionale, medico, scientifico e sanitario
sono state raggiunte nel nostro paese, superando anche la contrapposizione
ideologica che per un certo periodo ha immobilizzato i piani di sviluppo dei
servizi per la salute mentale. È un'impostazione culturale che reintroduce
l'istituzionalizzazione del malato e di fatto lo abbandona. Contestiamo lo
stravolgimento della legge 180 consapevoli e coscienti che la rete dei
servizi non copre tutto il territorio nazionale. Sappiamo dei drammi e le
sofferenze di molte famiglie, ma la strada da seguire è dare attuazione
alla legge e non quella di riportarci ad affrontare la cura in termini di
controllo e repressione, ignorando la sofferenza e chi soffre".
Quali sono i punti dolenti dei disegni di legge?
"Due sono gli aspetti gravissimi: di fatto si reintroducono i manicomi. Se
passassero verrebbero creati 30 mila posti letto con 50 persone per ogni
struttura, vale a dire tanti minimanicomi. Di conseguenza si spazzano via i
servizi territoriali, il volontariato e le cooperative che tanto hanno dato
in questi anni. Il secondo è l'uso incostituzionale del Trattamento
sanitario obbligatorio che va contro la libertà della persona. Su questi
punti faremo una battaglia durissima".
Chi ha da guadagnare da questo dietrofront?
"Riprende fiato quel settore d'interessi privati e professionali che noi
abbiamo cercato di contrastare e che per anni hanno fatto di tutto per
bloccare o ritardare l'applicazione della legge 180. Ma non permetteremo che
venga vanificato il lavoro che abbiamo fatto nella scorsa legislatura: la
prima conferenza nazionale sulla malattia mentale, il Secondo progetto
obiettivo, la chiusura definitiva dei manicomi".
Molte famiglie sembrano però in disaccordo.
"Durante la conferenza nazionale solo un'associazione chiese la modifica
della 180, tutte le altre erano d'accordo sull'attuazione della riforma. Si
sostengano le famiglie, si formino gli operatori, si completino le
strutture, ma non si torni al passato".
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Il Sole24Ore 20 set. '01

GIÀ BOCCIATA DAI MEDICI L'INTRAMOENIA "RIVISTA" DA SIRCHIA

I due maggiori sindacati di categoria criticano le ipotesi di Sirchia
ROMA - Altolà dei medici al programma allo studio del ministro della
Salute, Girolamo Sirchia, di riforma quater del Ssn. Dicono "no" in maniera
articolata e naturalmente non sempre coincidente le due major sindacali dei
camici bianchi, Anaao e Cimo, ma con una richiesta comune: le modifiche si
discutono con i medici. Un messaggio subito raccolto ieri da Sirchia: le
anticipazioni (si veda "Il Sole-24 Ore" di ieri) sui "punti politici
prioritari" sono ancora delle "ipotesi". E "una volta definiti, gli
interventi saranno discussi con tutte le componenti interessate, comprese le
categorie professionali sanitarie". La precisazione di Sirchia - che ieri ha
ribadito l'avvio dal 1° gennaio 2002 del progetto di "educazione medica
continua" con la validità effettiva dei "crediti" per la partecipazione
agli eventi formativi - è tesa evidentemente a stemperare animi altrimenti
accesissimi. Tanto piu’ mentre stringono i tempi per la presentazione delle
correzioni alla "riforma Bindi". Non hanno usato del resto il fioretto,
Anaao e Cimo. "Un progetto preoccupante", lo ha definito Serafino Zucchelli
(segretario nazionale Anaao), perchè "mira a stravolgere uno dei pilastri
su cui si basa la risposta di salute, l'ospedale, trasformando radicalmente
sia la proprietà e la gestione sia le condizioni di lavoro dei medici che
vi operano". Mentre Stefano Biasioli (presidente Cimo), nel contestare "la
trasformazione di Asl e ospedali in centri commerciali", ha suggerito al
ministro "di evitare le esternazioni, improduttive e pericolose, sulla
sanità prima che queste siano patrimonio del Governo". Contestazioni
politiche a parte, non mancano naturalmente i rilievi di merito. Come sul
rapporto di lavoro dei medici. "Il rapporto di lavoro non si esaurisce negli
aspetti legati all'esclusività e alla libera professione", ha detto
Biasioli non senza notare che "il passaggio dalla dipendenza a un rapporto
totalmente libero professionale, implicherebbe una trasformazione epocale
del rapporto di lavoro" e avrebbe costi salatissimi: alcune migliaia di
miliardi. "Ne vale la pena?" si domanda così la Cimo, secondo cui sarebbe
assai piu’ semplice invece "modificare il quadro normativo attuale
prevedendo, entro novembre 2001, il ritorno al tempo definito e al tempo
pieno e introducendo finalmente il part-time per i medici". Un capitolo,
quello sui medici del programma allo studio, che a sua volta l'Anaao giudica
"inaccettabile". Perchè "non discende il diretto allo svolgimento
dell'intramoenia, che dipenderebbe da una scelta aziendale senza sancire
l'obbligo per il direttore generale di attrezzare gli spazi" e perchè nulla
si dice "nel caso in cui le strutture non siano dotate di spazi idonei".
Sembra di capire che "i colleghi che vogliono svolgere attività extramoenia
devono dimettersi e instaurare col Ssn rapporti libero-professionali",
aggiunge Zucchelli nel contestare una ipotesi che "mal si concilia con lo
spirito di liberalizzazione piu’ volte ribadito dal ministro". "Ambigua e
confusa" è poi per l'Anaao la parte che riguarda gli ospedali e la proposta
di riconversione delle strutture minori, mentre viene rigettata tout court
l'idea di affidare la gestione degli Irccs a società private. "La nuova
organizzazione della rete ospedaliera e la separazione tra la gestione (i
manager) e le scelte politiche sanitarie (i Cda) deve coinvolgere tutti gli
ospedali per acuti, non solo Irccs e Policlinici", sostiene invece
Zucchelli. La partita, insomma, è apertissima. R.Tu.

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L'Unione Sarda 21 set. '01

"BASTA CON GLI INTERVENTI ISPIRATI A LOGICHE DI PURO POTERE"

L'ex direttore di Radioterapia del "Businco" J'accuse dai camici bianchi:
Leggo su L'Unione Sarda del 14 settembre l'intervento del dottor Maurizio
Amichetti, direttore della divisione di Radioterapia del Businco. Condivido
le ragioni che mi sembrano guidare l'intervento: richiamare l'attenzione
dell'opinione pubblica e delle autorità sulla grave carenza in Sardegna di
strutture di radioterapia oncologica, con conseguenti oneri finanziari e
viaggi della speranza per i pazienti. La delicatezza del problema impone
però qualche precisazione.
Il dottor Amichetti scrive nel suo intervento: "La situazione si è andata
degradando per la mancanza di aggiornamento tecnologico e strutturale". E
ancora: "L'incapacità programmatoria ed il disinteresse dimostrato in
questo campo si sono rilevati disastrosi". A chi e a cosa intende
esattamente riferirsi il dottor Amichetti? A chi ha responsabilità
istituzionali o al personale medico? Vero che poi egli sembra precisare il
suo pensiero quando dà atto all'assessorato ed alla Asl 8 di "aver
finanziato quest'anno un forte programma di aggiornamento tecnologico".
Questo farebbe pensare a carenze riferibili alle apparecchiature
tecnologiche e a chi ha il governo istituzionale e amministrativo della
sanità. Se questa è la corretta interpretazione, totalmente d'accordo. Ma
se si celasse un'accusa verso chi, prima di lui, ha avuto responsabilità
mediche nel settore, mi sembrerebbe profondamente inesatto e quindi
ingiusto.
Chi scrive queste righe ha avuto la responsabilità della divisione dal 1993
al 30 ottobre 2000. Se si consultano gli archivi dell'Azienda non sarà
difficile reperire le innumerevoli note con le quali il sottoscritto
sollecitava sia il potenziamento degli organici e degli impianti, sia
l'adozione di nuove tecniche di trattamento. Anche perchè è vero, come
scrive il dottor Amichetti, che "la situazione è andata degradando nel
tempo". Il processo di degrado è avvenuto in una struttura che vanta
"un'anzianità operativa" risalente agli anni 80. L'apertura del reparto di
Radioterapia risale infatti al 1972, anno d'inaugurazione del Businco. Ciò
avrebbe dovuto suggerire, a chi ha avuto responsabilità istituzionali ed
amministrative, motivi di giusto orgoglio per salvaguardare strutture
sanitarie che hanno assolto ad un ruolo di presidio primario nella lotta ai
tumori. Al contrario si è chiusa una struttura (la brachiterapia) che aveva
funzionato con ottimi risultati dal 1972 al 1990. Inutilmente il
sottoscritto, quando nel '93 ha avuto interinalmente la direzione della
Divisione di Radioterapia, aveva richiesto la riapertura della
brachiterapia. Ma gli è sempre stato opposto un sostanziale rifiuto,
nonostante la riattivazione comportasse uno scarso stanziamento finanziario
(erano già disponibili gli impianti e vi erano apparecchiature acquistate
nell'88 ed ancora oggi inutilizzate).
Quello che forse andrebbe aggiunto all'intervento è che se veramente si
vuole porre termine alle gravi carenze richiamate, è necessario sottrarre
gli interventi auspicati a logiche di puro potere per ricondurle
all'esclusivo interesse del malato. Bisognerebbe anche evitare di sguarnire
le prime linee nella lotta ai tumori, come accade mandando in "esilio" anche
chi fa parte di quella "specie rara dei medici radioterapisti", come li
chiama il dottor Amichetti.
Giovanni Maxia
medico
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L'Unione Sarda 14 set. '01

È IL DISINTERESSE IL GUAIO DELLA SANITÀ

Prendo spunto dal vostro recente articolo del 26/8 sullo stato del servizio
di radioterapia dell'Ospedale di Sassari, per fornire un contributo alla
discussione. Pur non conoscendo appieno la situazione locale, ma solo di
riflesso per la mia esperienza di consigliere nazionale dell'Associazione
Italiana di Radioterapia Oncologica e quale direttore dell'unica altra
radioterapia esistente in Sardegna, quella di Cagliari; non esiterei a
definirla, senza alcuna enfasi, drammatica visto l'argomento di cui si
tratta cioè di pazienti malati di tumore. Lungi da me voler entrare nel
profondo delle cause di questa situazione, vorrei solo trarne spunto per
parlare dello stato complessivo della radioterapia nell'isola e dei
provvedimenti per rimediare. L'apertura della radioterapia negli anni '80
all'Ospedale Oncologico a Cagliari e nell'Istituto di Radiologia
dell'università di Sassari aveva dotato la Regione di due centri
qualificati e di buon livello; per ragioni che non conosco la situazione si
è andata degradando nel tempo per la mancanza di aggiornamento tecnologico
e strutturale che in una specialità in continua evoluzione nell'ultimo
decennio destina impietosamente chi non si aggiorna alla retroguardia. È
vero che le nuove tecnologie costano (un acceleratore lineare circa due
miliardi) ma sono strutture che si ripagano nel medio periodo; del resto
rimborsare terapie, viaggi e soggiorni in Italia e all'estero ha comportato
per la Sardegna un onere economico e sociale ben superiore a quello
dell'acquisto di nuove attrezzature. L'incapacità programmatoria ed il
disinteresse dimostrato in questo campo si sono rivelati disastrosi per le
casse della sanità regionale e, se non per la salute, sicuramente per la
qualità di vita e per la fiducia nella sanità pubblica da parte dei
pazienti e, a mio parere, immorali dal punto di vista etico.
Per fortuna leggo che a Sassari si sta correndo ai ripari fornendo uomini e
mezzi per rimediare alle deficienze. Per quanto concerne Cagliari, va dato
atto ad assessorato alla sanità e direzione dell'Asl 8 di aver finanziato
quest'anno un forte programma di aggiornamento tecnologico. Questo sforzo
attuato dai nostri amministratori, doveroso e lodevole, va però continuato
nel tempo e non deve essere sporadico se si vuole fornire ai cittadini sardi
una risposta ai loro bisogni di salute, interrompendo la vergogna dei
cosiddetti "viaggi della speranza" in continente. Ci aspetta comunque un
periodo difficile se è vero come è vero che in base ai dati epidemiologici
e alle indicazioni dell'Istituto superiore di sanità, in Sardegna per
1.600.000 abitanti si calcola che circa 4000 pazienti oncologici all'anno
abbisognino di radioterapia. Attualmente 250 sono trattati annualmente a
Sassari e 1000 a Cagliari cioè meno della metà del necessario. E centinaia
di pazienti devono varcare il mare per farsi curare ed altrettanti non fanno
la terapia per loro indicata.
Quali linee strategiche si possono allora adottare? Credo in proposito di
poter proporre tre indicazioni principali:
1. Cagliari dovrebbe raddoppiare la sua dotazione come parco macchine (da 2
a 4 acceleratori lineari) e dotarsi delle tecniche speciali (radioterapia
intraoperatoria, radiochirurgia sterotassica, brachiterapia, irradiazione
corporea totale) che attualmente in Sardegna, unica regione in Italia, non
esistono e diventare centro di riferimento regionale di 2° livello. Il
rafforzamento è anche dovuto al fatto che la radioterapia universitaria
dell'Ospedale S. Giovanni è chiusa ormai da alcuni anni.
2. Sarebbe opportuno nella prossima programmazione sanitaria valutare pro e
contro della possibilità di far nascere dei poli periferici di radioterapia
oltre che a Cagliari e Sassari anche a Nuoro ed Oristano che anche se
probabilmente come bacino d'utenza non si giustificano forse ne hanno
diritto considerando la situazione geografica regionale.
3. In ultimo, ma non meno importante, bisognerà investire anche negli
uomini che come sempre fanno la differenza con un massiccio intervento di
aggiornamento e formazione e di "ripopolamento" delle specie rare dei medici
radioterapisti, dei tecnici di radioterapia e dei fisici sanitari.
In questo modo anche la radioterapia potrà affiancarsi degnamente alle
altre due specialità per la cura dei pazienti oncologici, chirurgia e
oncologia medica, ben rappresentate in questa regione. Dobbiamo quindi
approfittare del momento favorevole legato alla presa di coscienza della
situazione da parte di politici ed amministratori per rafforzare il
programma di intervento e portare la Sardegna al livello tecnologico e
culturale delle altre regioni, sapendo che dal servizio che si offre ai
propri cittadini in campo sanitario si valuta il livello di benessere
sociale di una popolazione.
Maurizio Amichetti
(Direttore divisione di radioterapia oncologica
Ospedale oncologico "A. Businco" Cagliari)

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L'Unione Sarda 21 set. '01

INTERVENTO ALLA CATARATTA IN SEI MINUTI E SENZA ANESTESIA

L'ultima frontiera della sanità è l'intervento alla cataratta in sei
minuti e senza anestesia
Cinquemila operazioni alla cataratta negli ultimi tre anni in day hospital,
senza esami preparatori e con una durata media d'intervento di sei minuti.
È la nuova frontiera raggiunta a Padova dall'unico centro in Italia che
esegue tutte le operazioni in anestesia con solo collirio. L'equipe medica
diretta dal dottor Alessandro Galan, direttore dell'Unità operativa
oculistica dell'ospedale Sant'Antonio dell'Usl euganea, ha presentato i dati
di tre anni di interventi. L'operazione si esegue al micriscopio e prevede
l'asportazione del cristallino catarattoso attraverso un facoemolsificatore,
una sonda a ultrasuoni che "spacca" il cristallino malato con una tecnica di
nucleofrattura. Una tecnica modificata che consente il risparmio massimale
della emissione ultrasonora e quindi di usare appunto al minimo gli
ultrasuoni.
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La repubblica 19 set. '01

SCLEROSI, IN ITALIA 1800 CASI L'ANNO

roma - Sono circa 50 mila le persone in Italia colpite da sclerosi multipla,
con 1800 nuovi casi diagnosticati ogni anno e un costo sociale annuo pari a
2500 miliardi di lire. È quanto è stato reso noto ieri a Roma
all'inaugurazione della seconda Settimana nazionale della sclerosi celebrata
in Campidoglio, a Roma, presenti il ministro della Salute Girolamo Sirchia e
il vice presidente del Consiglio Gianfranco Fini. Secondo il ministro
Sirchia, occorre potenziare i servizi a sostegno delle famiglie di malati
cronici spostando "parte dei finanziamenti ricavati recuperando gli sprechi
in sanità".
In occasione della Settimana nazionale - organizzata dall'Aism,
l'Associazione italiana sclerosi multipla - domani e dopodomani sulle reti
Mediaset andrà in onda "Trenta ore per la vita", per la raccolta di fondi
destinati al finanziamento di progetti di assistenza alle persone affette
dalla malattia.
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La repubblica 15 set. '01

TAGLI AI POSTI LETTO, È RIVOLTA

ROMA - Rivolta dei medici ospedalieri contro il taglio dei posti letto.
Anaao e Coas, sindacati dei medici, criticano il decreto del governo che
prevede un taglio di 30 mila posti letto in tutta Italia per contenere la
spesa. "Non è possibile che per colpa di alcune dissennate gestioni
ospedaliere debbano rimetterci i malati", dice Domizio Antonelli, segretario
del Coas. "Non si può ragionare in termini di posti letto, non credo che
questa riduzione sia vantaggiosa", aggiunge Serafino Zucchelli, Anaao.

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La repubblica 22 set. '01

POLICLINICO DI BARI, 184 MILIARDI DI BUCO.

Traversi chiede l'intervento della Regione, bilancio nel caos.
L'indebitamento record è stato provocato anche da alcuni crediti non
riscossi. Si muove il direttore
PIERO RICCI
Quello di dopodomani, per i sindacati aziendali del Policlinico di Bari,
sarà un lunedì nero. Il direttore generale del piu’ grande ospedale della
Puglia, Pompeo Traversi, che li aveva convocati per un confronto sullo stato
di salute dell'azienda ospedaliera, comunicherà il risultato del
monitoraggio sui conti aziendali. Traversi lo ha già scritto nero su bianco
e la relazione sarebbe già bella e pronta per essere addirittura affissa
all'albo della direzione generale.

Alla Regione Puglia dicono di non saperne niente. Nulla sarebbe arrivato dai
canali ufficiali. Ma s'aspettano "sorprese". Non dovrebbero essere ormai
piu’ una sorpresa per Traversi i 184 miliardi di deficit "scoperti" nel
bilancio e riferiti agli ultimi tre esercizi, 2000 compreso. La natura della
"relazione" del supermanager spedito dalla giunta regionale piu’ di un mese
fa dopo le "dimissioni" forzate di Michele Pontrelli, è ancora incerta.
"Sì, sappiamo che è pronto un atto - spiega Antonio Mazzarella, segretario
aziendale della Cgil - ma non sappiamo se si tratta di una variazione di
bilancio". Lunedì dovrebbe essere tutto chiaro. Anche l'ammontare dei
"crediti" vantati dal Policlinico nei confronti della Regione Puglia che
potrebbero attenuare la "voragine" del deficit. Cinquanta miliardi, sostiene
Traversi. "Da verificare", ribattono alla Regione Puglia. È certo,
comunque, che il tetto di spesa riconosciuto nel O99 per il 2000 consentirà
un "travaso" miliardario dalle casse della Regione in quelle del
Policlinico. Ma non potrà mai coprire il deficit. Bene che vada potrà
ridurlo. A 150, a 140, a 130 miliardi. Ma il "peso" del debito rimane
intatto, pronto ad essere iscritto nella colonna dei disavanzi del prossimo
consuntivo di via Capruzzi che alla Ragioneria regionale stanno
predisponendo.

Dalla Regione dicono di essere "curiosi" di conoscere la natura del deficit:
sarà strutturale oppure dovuto a interventi specifici? Traversi, per conto
suo, qualche indicazione l'ha dato negli ultimi giorni incontrando le
rappresentanze sindacali del "comparto" che comprende gli infermieri. Tra le
cause certamente c'è il peso degli straordinari. Ma i sindacati si augurano
che la radiografia del manager non si fermi alle bustepaga dei dipendenti,
che hanno certo "beneficiato" degli straordinari ma hanno dovuto
fronteggiare una situazione di organico molto particolare con 300 unità in
meno. Eppure, con l'organico ridotto all'osso e con quel deficit, nuove
assunzioni al Policlinico sono praticamente impossibili. Razionalizzare
l'esistente: dovrebbe essere questo il verbo di Traversi. Tagliare posti di
lavoro è impossibile come assumere nuovo personale. Il giro di vite,
allora, potrebbe trasferirsi sulle convenzioni, sulle consulenze,
sull'affidamento dei servizi esterni non sanitari. Del resto la legge
regionale, la 28 del 2000 quella conosciuta come la legge "bloccaassunzioni"
non solo lo prevede ma addirittura lo sollecita. E questo dovrebbe essere il
"solco" della nuova gestione di piazza Giulio Cesare. Traversi su questo si
mostra estremamente prudente. Non commenta, nè ha tanta voglia di parlare:
"È tutto scritto, basta leggere", risponde a chi gli chiede spiegazioni. La
"missione" è delicata, quasi impopolare ma necessaria. "Razionalizzare si
deve - spiega Mazzarella - ma a 360 gradi, eliminando i doppioni come per
alcune specialità, non si può parlare solo di straordinari, che siamo
pronti a verificare". Non sarà facile. Anche perchè per attuare interventi
"strutturali", Traversi deve tener conto di un elemento che non aveva quando
era direttore generale del "Di VenereGiovanni XXIII": l'Università. Il
Policlinico è un'azienda consortile tra Regione e Università. Il "ruolo"
di Traversi è anche quello di mediare tra l'una e l'altra, mantenere la
"pax" tra l'una e l'altra che Pontrelli era riuscito a costruire nei suoi
cinque anni al timone della piu’ grande azienda ospedaliera della Puglia.
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Corriere Della Sera 16 set. '01

GLI ANTENATI DEI BATTERI SONO CRESCIUTI INSIEME ALL' UOMO

Non sono stati i traffici, le esplorazioni e l' urbanesimo la causa prima
della diffusione delle infezioni
Satolli Roberto
La ricostruzione degli alberi genealogici dei microrganismi attraverso l'
analisi del loro Dna rivela un' origine che precede addirittura quella della
nostra specie Gli antenati dei batteri sono cresciuti insieme all' uomo Non
sono stati i traffici, le esplorazioni e l' urbanesimo la causa prima della
diffusione delle infezioni C' era una volta, diciamo cento milioni di anni
fa, nell' emisfero australe un unico supercontinente chiamato Gondwana. Poi
l' Africa cominciò a distaccarsi per prima, da quelli che oggi sono Sud
America e Australia. Il mondo era dominato dai dinosauri ma non c' erano
allora neppure i nostri piu’ lontani antenati; ma un minuscolo parassita,
che ancora oggi affligge l' umanità, cominciava a evolversi da un antenato
com une (con già alle spalle una storia di due miliardi di anni) in diversi
ceppi, via via che la deriva delle placche tettoniche separava i continenti.
Una traccia di quegli eventi remoti resta nel Dna di due agenti di malattia
attuali. Uno è Trypanosom a brucei, che stermina con la malattia del sonno
300 mila disgraziati l' anno in Africa; l' altro, Tripanosoma cruzi,
infligge ogni anno a venti milioni di sudamericani la malattia di Chagas,
che non uccide sul colpo, ma lentamente indebolisce il cuo re, i nervi e i
muscoli. Wendy Gibson è una microbiologa dell' università di Bristol,
paziente e meticolosa. Con gli strumenti piu’ avanzati della genetica
molecolare ha ricostruito gli alberi evolutivi dei due parassiti, insieme
con quelli di una ses santina di altre specie appartenenti alla stessa
tribu’ dei tripanosomi, e ha dimostrato (e pubblicato su Advances in
Parasitology) che fanno tutti capo a un antenato comune, che allignava nel
supercontinente Gondwana prima della frammentazione di que l mondo
scomparso. Da allora, per milioni di anni i tripanosomi africani, con la
complicità di insetti che li trasmettono come la mosca tsetsè, si sono
evoluti nelle savane insieme ai diversi antenati della nostra specie, tanto
che oggi i babbuini, a ltri primati e gli stessi umani portano nel sangue,
come frutto e marchio di una lunga lotta, un prezioso fattore che li
protegge dalla infestazione di molte specie di quei parassiti (ma non dalla
malattia del sonno). Nelle stesse savane, un milione di anni fa, alcuni
ominidi hanno abbandonato la pura dieta erbivora per dedicarsi anche alla
caccia. E dalle antilopi, divorate crude, hanno contratto l' infestazione di
un verme, da cui derivano le moderne tenie, e il cui ospite abituale erano
allor a leoni e iene. La storia del verme solitario è sorprendente perchè,
prima che Eric Hoberg, del Dipartimento dell' agricoltura americano,
pubblicasse i suoi dati, si riteneva che le tenie fossero state acquisite
dall' uomo solo molto tempo dopo, all' epoca neolitica, dai maiali e dai
buoi che si cominciavano ad allevare. Ma le cose sono andate al contrario:
siamo stati noi a infestare allora i nostri animali domestici con un
parassita di consumata conoscenza. Come si vede, l' analisi molecolare dell'
evoluzione nel tempo dei germi responsabili di malattie - divenuta possibile
solo negli ultimi anni, grazie alla disponibilità di lunghe sequenze di Dna
di varie specie patogene e alla potenza dei calcolatori - può illuminare da
un punto di vis ta nuovo molti aspetti della storia passata, da prima della
comparsa della specie umana ad oggi. E talvolta può anche capovolgere,
anzichè confermare, le teorie correnti. Un caso emblematico è appunto
quello delle cosiddette malattie da civiltà, che sarebbero cioè originate
dopo la rivoluzione agricola di 10 mila anni fa. Con l' avvento della
coltivazione e della pastorizia, gli uomini cominciarono a vivere
maggiormente a contatto tra loro, rendendo piu’ facile la trasmissione dei
germi e anche l ' acquisizione di nuovi parassiti dagli animali che
allevavano. Per questo gli studiosi ritenevano sinora che la maggior parte
delle infezioni oggi note risalissero al piu’ tardi a quel periodo o ad
altri cambiamenti piu’ recenti nelle attività umane, come i traffici
commerciali o l' urbanesimo spinto. Ma la verifica delle vicende evolutive
smentisce spesso questa convinzione: il caso delle tenie non è isolato, ma
riguarda anche gli agenti della dissenteria, della tubercolosi e del
carbonchio, per citare solo alcuni dei flagelli che si stanno rivelando
antichissimi. Un altro esempio di come l' analisi genetica dei germi può
aiutare a riscrivere la storia della nostra specie riguarda Helicobacter
pilori, quel curioso microrganismo che provoca l' ulcera. È stato scoperto
da meno di vent' anni e da allora lo si è trovato diffusamente negli
stomaci di tutte le popolazioni del mondo: segno indubbio che la sua
consuetudine con la nostra specie è di vecchia data. Secondo Mark Achtman,
infettiv ologo dell' istituto Max Planck di Berlino, i genitori lo
trasmettono ai figli sin da quando è iniziata la lunga migrazione dell'
Homo erectus dall' Africa verso l' Asia e l' Europa; lo dimostrano, ancora
una volta, le variazioni genetiche tra i dive rsi ceppi di batteri
contemporanei: l' albero genealogico si divide in due tronchi netti, uno
europeo e l' altro asiatico, riflettendo la separazione in due direzioni del
flusso migratorio. Per i ricercatori tedeschi, lo studio delle diversità
tra el icobatteri potrebbe dimostrarsi insuperabile per ricostruire nel
dettaglio le migrazioni umane, ancora meglio di quanto abbia fatto
egregiamente Luca Cavalli Sforza con la genetica delle popolazioni.
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Le Scienze 21 set. '01

IL PRIMO INTERVENTO CHIRURGICO REMOTO

Il collegamento ad alta velocità ha permesso di inviare immagini in tempo
reale
Un gruppo di medici americani ha per la prima volta operato un paziente che
si trovava in un altro continente, per la precisione in Francia, operando un
braccio chirurgico robot.
Secondo i medici dello European Institute of Telesurgery di Strasburgo
l'operazione è stata coronata dal successo e non ci sono state
complicazioni. Il paziente, una donna di 68 anni a cui è stato rimosso un
piccolo tumore alla vescica, è stato dimesso due giorni dopo l'operazione.
Durante l'intervento, i due gruppi di medici, uno sul posto e l'altro a 14
000 chilometri di distanza, erano in costante collegamento mediante una
linea ad alta velocità dedicata, che ha permesso di spedire in tempo reale
le immagini di una telecamera. Il ritardo tra i movimenti del chirurgo e
quelli del braccio robot, dovuti alla distanza, sono stati di 200
millisecondi, molto meno dei 300 ritenuti il limite di sicurezza.


Ing. Andrea Casanova
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