IL BUON ATENEO RICHIEDE MENO UNIFORMITÀ.

UNIVERSITÀ - CRESCE L'ESERCITO DELLE ETERNE MATRICOLE
"PIÙ RISCHI SENZA RICERCA"
ALGHERO: INAUGURATO IL POLO BIOTECNOLOGICO
PIÙ SELEZIONE ALL'UNIVERSITÀ
NOMINE AL CONSORZIO 21 IL PASTICCIO DEI PRESIDENTI (MANCATI)
UNIVERSITÀ DI SASSARI, PARTE L'ANNO ACCADEMICO DELLA RIFORMA
L'UOMO RAGGIUNSE LA SARDEGNA ALMENO 250-300 MILA ANNI FA
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SIRCHIA AI MEDICI: CAMBIO L'ESCLUSIVITÀ
PER LA SANITÀ LA DEVOLUTION NON BASTA
PIÙ SOLDI PER LA SANITÀ SARDA
LOMBARDIA:MANCANO OTTOMILA INFERMIERI
MEDICI, QUALI ESAMI DI STATO?
"PIANO PER IL POLICLINICO GEMELLI? UN BLUFF"
CAGLIARI: GIORNATE CARDIOLOGICHE A VILLASIMIUS
NASCE IL "PARLAMENTINO" DEI MEDICI
NASCERÀ A CAGLIARI L'EREDE DEL VIAGRA?
GENETICA, PRIME TERAPIE PER CURARE CON IL SANGUE
IL GENOMA DELLA PESTE BUBBONICA
RADIOFREQUENZE CONTRO I TUMORI
BIOLOGIA MOLECOLARE: PROTEOMA, UN PROGETTO IMPOSSIBILE?
FRATTURE, CON GLI ULTRASUONI ADDIO VECCHIO GESSO
DIAGNOSTICA, LA VIA DEL TEST SI FA VIRTUALE
DIETE, L'ELETTRICITÀ SVELA QUELLA GIUSTA
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Il Sole24Ore 30 sett. '01

IL BUON ATENEO RICHIEDE MENO UNIFORMITÀ.

Agli studenti dovrebbe essere impartita l'istruzione per cui sono più
adatti, differenziata in formazione di base, media e superiore. L'attuazione
della riforma deve proseguire  Ma il Governo deve intervenire sul valore
legale del titolo e sugli sbocchi professionali
di Alessandro Figà-Talamanca
Sembra proprio che il cammino iniziato dalle università nell'applicazione
della formula del 3+2 non sarà, per ora, interrotto. E' caduta, infatti,
con le dichiarazioni del Ministro alla Conferenza dei Rettori, l'ipotesi di
un ripensamento del Governo. Sarebbe tuttavia un grave errore lasciare ora
inascoltate le critiche e gli argomenti degli oppositori della riforma, che
hanno espresso con forza il timore di una dequalificazione degli studi
universitari.
Ricordiamo, ad esempio, che al di là delle affermazioni retoriche sulla
armonizzazione europea, l'Italia ha scelto di organizzare gli studi
universitari in modo molto diverso dai suoi partner europei. Siamo infatti
gli unici a pretendere di diversificare l'offerta di istruzione
post-secondaria, senza differenziare le istituzioni che la offrono. Le
stesse sedi universitarie dovranno impartire un'istruzione di massa di
livello non molto superiore a quella impartita negli anni sessanta dai licei
e dagli istituti tecnici, ma anche un'istruzione elitaria diretta a una
minoranza degli studenti. Si tratta di una scelta cui siamo ormai costretti
dopo aver ignorato per trenta anni il problema della crescita della domanda
di istruzione, ma non per questo e' lecito ignorarne i pericoli.
Il primo pericolo, ben presente a molti critici della riforma, e' che la
pressione, diretta o indiretta, a "produrre" un maggior numero di laureati,
anziche' dar luogo, come dovrebbe, ad una diversificazione dell'offerta
didattica corrispondente alla diversa preparazione iniziale, e alle diverse
aspettative degli studenti, porti invece soltanto all'abbassamento degli
standard per il superamento delle prove, lasciando invece intatto, sulla
carta, il livello elevato del "programmi di insegnamento". Il diploma di
laurea o l'attestato di superamento degli esami certificherebbe allora una
preparazione che nessuno raggiunge. Quanto concreto sia questo pericolo e'
dimostrato dal fatto che solo pochissime sedi universitarie hanno previsto
prove di verifica della preparazione iniziale degli studenti e insegnamenti
"a credito zero" per supplire alla mancanza di preparazione iniziale, come
prevede esplicitamente una delle norme più importanti della riforma. Si
suppone ancora, evidentemente, che tutti gli studenti immatricolati siano in
grado di seguire corsi di livello universitario. O forse si teme di scoprire
che per rendere efficace un insegnamento universitario di livello
ragionevole, le facoltà dovranno offrire nel primo semestre corsi che
insegnino a leggere e a scrivere (come avviene del resto da tempo nelle
università americane che offrono alle matricole corsi dal titolo Reading
comprehension e English composition).
Ma solo se si parte da una verifica della preparazione iniziale di tutti gli
studenti e se si supera il pregiudizio che vuole che il corpo studentesco
abbia una preparazione iniziale uniforme, si potrà affrontare seriamente
anche la necessità di impartire una istruzione più approfondita a quella
minoranza di studenti che e' in grado di trarne vantaggio.
Insomma, bisognerebbe avere il coraggio di dividere gli studenti in almeno
tre gruppi. Un primo gruppo cui sarà necessario impartire un'istruzione
suppletiva prima che inizino i veri studi universitari, un secondo gruppo
che seguirà gli studi previsti per la maggioranza degli studenti ed un
terzo gruppo, minoritario, cui dovrà essere impartita, il più presto
possibile, una istruzione più approfondita, anche (ma non solo) in vista di
un proseguimento degli studi. In molti casi questa istruzione complementare
potrebbe essere impartita individualmente, superando i limiti della lezione
tradizionale. Che a questi tre gruppi di studenti sia conferito alla fine
degli studi lo stesso diploma di laurea non dovrebbe sorprendere più di
tanto. La riforma non potrà funzionare senza un'effettiva attenuazione del
valore legale dei titoli accademici che potranno certificare soltanto una
preparazione e formazione professionale minimale. Il valore di una
preparazione più approfondita o di un titolo successivo alla laurea
triennale, dovrebbe invece, in linea di principio, essere affidato alla
valutazione di chi usufruisce delle capacità professionali individualmente
conseguite, o, se vogliamo, alla valutazione del "mercato".
Sulla questione del valore legale dei titoli e' tuttavia indispensabile che
intervenga ancora il governo, ed eventualmente il parlamento, per rivedere
il rapporto tra laurea di primo livello e laurea specialistica per l'accesso
alle professioni e agli impieghi. Su questo tema il precedente governo e'
uscito sconfitto nel confronto con le corporazioni accademiche e
professionali, interessate a difendere i loro monopoli. Basterebbe invece
partire da un principio molto semplice: il laureato italiano deve avere gli
stessi diritti di accesso agli impieghi e alle professioni in Italia che le
direttive europee assicurano a chi abbia compiuto studi universitari
analoghi e della stessa durata in un altro paese dell'Unione Europea. La
laurea triennale darebbe allora accesso alla generalità degli impieghi e
delle professioni, e sarebbe l'unico titolo cui aspirerebbe la stragrande
maggioranza degli studenti, liberando i corsi di studio superiore
dall'esigenza di rispondere a una domanda di istruzione di massa, motivata
solo dal desiderio di conseguire un titolo riconosciuto.
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Panorama 4 ott. '01

UNIVERSITÀ - CRESCE L'ESERCITO DELLE ETERNE MATRICOLE

Professione fuoricorso
di Antonio Galdo
Mangiano in mensa, viaggiano con gli abbonamenti per studenti, si divertono
con i soldi che passano i genitori. Gli esami? Li danno, ma con molto
comodo. Radiografia di una generazione in perenne attesa di laurearsi, ma
che intanto si prepara al futuro. Da disoccupati.
Oggi, ai tavoli di via Mezzocannone servono riso con piselli e cotolette
alla milanese. Il menu preferito di Giovanni R., 28 anni, da quattro anni
studente fuori corso, cliente fisso della più affollata mensa universitaria
di Napoli. Giovanni si presenta così: "Mi sono iscritto a giurisprudenza
per accontentare mio padre, e adesso lui e' sicuro che io sia prossimo alla
laurea. "Allora, quando facciamo la festa?" mi chiede. Invece, ho fatto solo
pochi esami, e vado avanti perche' non ho alcuna intenzione di tornare a
vivere con i miei genitori, in provincia. Qui sto bene.
Ho gli amici, la fidanzata, la mia vita. Mi considero una specie di
lavoratore socialmente utile, in attesa di una soluzione che verrà....".
Giovanni non alza gli occhi dal piatto, la gioia di addentare la sua
cotoletta nasconde il pudore di un racconto inverosimile. Come la vita di un
fuori corso. Sveglia alle nove, un salto in facoltà, la lezione quando in
aula c'e' posto, e all'una la mensa. Quattromila lire al giorno. Il
pomeriggio, se capita, si apre qualche libro, oppure si va in giro con
l'abbonamento per autobus e metropolitana a prezzi scontati. Da studente. E
la sera, si chiude con una birra in un bar del centro storico. Il conto di
una vita da fuori corso lo paga il padre di Giovanni, un pensionato convinto
che il figlio, prima o poi, diventerà un bravo avvocato.
La storia di Giovanni e' quella di una generazione di giovani, iscritti in
tutte le università italiane, dove oltre 750mila studenti risultano fuori
corso. Parcheggiati. Si trascinano per anni, con esami che non finiscono
mai, e quando arrivano alla laurea hanno, in media, circa sette anni in più
dei colleghi inglesi e francesi. Troppi per trovare un'occupazione. E da
un'attesa infinita ci si trasferisce in un altro parcheggio: da fuori corso
a senza lavoro. Il Comitato nazionale per la valutazione del sistema
universitario ha appena calcolato il costo, per le casse dello Stato, di
questa generazione di "eterni studenti". Quindicimila miliardi l'anno,
l'equivalente di una manovra finanziaria. "I pesanti ritardi della fine
degli studi, rispetto ai tempi fissati dalle facoltà, rappresentano così
una doppia perdita. Individuale, per ciascun fuori corso, e collettiva, per
il Paese" dice Giuseppe De Rita, presidente del Comitato che fa capo al
ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca.
Ma come e perche' le storie dei fuori corso in Italia sono diventate un
fenomeno di massa? Innanzitutto non funziona il rapporto tra il liceo e
l'università. Non esiste alcuna forma di orientamento, di indirizzo. "Nel
Sud, per esempio, ci si continua a iscrivere all'università con l'obiettivo
di fare un salto sociale, senza un'idea sull'attività che si vuole svolgere
dopo la laurea" spiega Francesco Borrelli, componente del Consiglio
nazionale universitario. Secondo una ricerca della Fondazione Agnelli, gli
atenei nazionali si presentano, ai giovani che vi accedono, come
"giganteschi labirinti". Nei quali il 60 per cento degli studenti si
perdono, vagando tra le diverse facoltà, e un iscritto su quattro, se
potesse tornare indietro, sceglierebbe un altro indirizzo di studi
Per non parlare dei cosiddetti "abbandoni sotto l'albero di Natale", cioe'
gli studenti che lasciano l'università dopo solo il primo trimestre di
frequenza: sono quasi il 10 per cento dei nuovi immatricolati. La mancanza
di un serio orientamento trascina la generazione dei fuori corso in un
baratro di paradossi e depressioni. Sono esplose, negli ultimi anni, le
iscrizioni ad Agraria e a Scienze Ambientali, motivate da un nuovo interesse
per i temi ambientali.
Peccato che molti di questi studenti non abbiano ancora fatto un esame di
matematica, chimica e fisica di base: materie che non immaginavano di
incrociare in un percorso di studi per ambientalisti. Al Politecnico di
Torino, invece, e' stata costituita una unità di crisi per sgonfiare la
bolla dei fuori corso. Gli studenti che da tre sessioni non fanno esami sono
convocati in facoltà, "per capire", e assistiti perfino da sette
psicologhi.
In secondo luogo, si diventa fuori corso infilandosi nel vicolo cieco dei
piani di studio, sommersi da quella che l'ex ministro dell'Università,
Ortensio Zecchino, ha definito "un'insostenibile abbondanza di esami". Un
esempio per tutti: la facoltà con il maggior numero di fuori corso e'
Architettura, dove soltanto il 9 per cento degli iscritti riescono a
concludere il corso di laurea entro la durata legale. Quattro anni, per
quaranta esami. Dall'inizio del prossimo anno accademico entra poi in vigore
la riforma del "3+2", approvata dal governo dell'Ulivo, che introduce la
laurea breve e quella specialistica. E qui c'e' già una clamorosa sorpresa:
alla teorica diminuzione degli esami, conseguenza del "3+2", in realtà
corrisponde una spaventosa moltiplicazione dei corsi di laurea, introdotti
dalle singole università, nelle discipline più fantasiose. Siamo vicini a
quota tremila, una babele alimentata dalle forsennate ambizioni di molti
professori che vogliono il "loro" corso di laurea.
Il terzo fattore che spiega l'epidemia dei fuori corso, etichettati anche
con l'espressione ospedaliera "lungo degenti", e' l'idea di trasformare
l'università in tassello strategico dello Stato sociale.Come nel caso di
tanti quarantenni e perfino cinquantenni, fiduciosi di arrivare a una laurea
che significa avanzamenti di carriera e qualche scatto nella posizione
previdenziale. Per non parlare dei giovani. Il libretto universitario serve
anche per l'accesso alla mensa, il rinvio del servizio militare, gli sconti
sulla rete dei trasporti. E' uno status più che un passaggio verso il mondo
del lavoro.
"Riceviamo continuamente lettere di ragazzi che arrivano all'università con
l'ambizione di conquistare una loro libertà. Quella dei precari che, con i
soldi dei genitori e i benefits riservati agli studenti, si arrangiano,
tirano a campare" spiega Paolo Iannotti, direttore del quindicinale
Atenapoli, dedicato alla vita dell'università napoletana. Dove, record
nazionale, i fuori corso sono la metà dei 96mila iscritti. Parcheggiati, in
attesa di una laurea che verrà. E non importa se, quel giorno, non servirà
a nulla.
WWW TI ISCRIVI TU
Le facoltà si contendono le matricole. A colpi di e-mail e sms
Altro che "ciao amore mi manchi da morire". Il messaggio arrivato sul
cellulare di Margherita, giovane neodiplomata siciliana, era di tutt'altro
tenore: "L'ateneo che costruisce il tuo futuro. Oggi sono aperte le
iscrizioni". Firmato: Università degli studi di Firenze. Proprio così.
Quest'anno, più che mai, tra i 71 atenei della penisola c'e' stata
un'autentica caccia alla matricola. Le armi? Campagne pubblicitarie su
giornali e televisioni, mailing list e anche sms sui cellulari.
In Italia, d'altronde, il fenomeno del calo delle immatricolazioni non e'
più trascurabile. Nel '99 solo il 61,1 per cento dei diplomati si e'
iscritto all'università (3,4 per cento in meno rispetto all'anno prima). A
Bari, addirittura, lo scorso anno le matricole sono calate del 30 per cento.
A Firenze le iscrizioni si chiudono il 26 ottobre. Gli sms inviati ai
giovani di tutte le regioni sono stati 145 mila, l'investimento disposto dal
rettore, Augusto Marinelli, e' stato di 100 milioni. E i primi dati danno 10
delle 11 facoltà in crescita rispetto allo scorso anno, quando alla fine si
contarono un totale di 10.261 nuove matricole. Come Margherita, che alla
fine un sms l'ha mandato al suo ragazzo: "Ciao amore ho deciso di iscrivermi
all'università".
Solo il 9 per cento finisce prima dei 25 anni
Da architettura a giurisprudenza: tutti i numeri di un'università che non
funziona
Età media nella quale ci si laurea in Italia: 27,5 anni.
Laureati prima dei 25 anni: 9 per cento degli iscritti.
Fuori corso: 85 per cento degli studenti che arrivano alla laurea.
Divisi per sesso: 53 per cento donne, 47 per cento uomini.
Costo per lo Stato dei fuori corso: 15 mila miliardi l'anno.
Le matricole: il 25,5 per cento non sostiene neanche un esame il primo anno.
Facoltà con il maggior numero di fuori corso: architettura, economia e
commercio, statistica, giurisprudenza.
Fonte: ministero Pubblica istruzione, università e ricerca.
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Il Sole24Ore 2 ott. '01

"PIÙ RISCHI SENZA RICERCA"

Al salone Rich-Mac di Fiera Milano l'industria rilancia il patto con
l'Università M.Mor.
MILANO - Solo attraverso una maxiallenza tra pubblico e privato (Università
e imprese) si potrà imprimere un forte sviluppo all'attività di ricerca
nell'industria chimica. La posta in gioco e' elevata: supportare la
competitività del settore, oggi seriamente minacciata dai pochi
investimenti in ricerca e dalla crisi delle vocazioni che affligge il corso
di laurea in chimica. Sono queste la ragioni che hanno spinto
"l'Osservatorio per il settore chimico" istituito dal ministero delle
Attività produttive, Federchimica, Cnr, Unionchimica e Fulc (in sindacato
unitario di categoria) a organizzare le "Giornate dell'innovazione e della
ricerca chimica" in programma da oggi fino al 6 ottobre alla Fiera di
Milano. La manifestazione ricade nell'ambito del Rich-Mac 2001, la biennale
internazionale della chimica che vede la presenza di oltre 1.700 espositori
provenienti da tutto il mondo. Le "Giornate dell'innovazione", dense di
incontri, convegni e dibattiti, rappresentano il primo, concreto tentativo
in Italia di mettere "attorno a un tavolo" ricercatori pubblici e
rappresentanti d'azienda per stringere un proficuo rapporto di
collaborazione tra le parti. "La nostra iniziativa - spiega Giorgio Squinzi,
presidente di Federchimica - punta a sensibilizzare tutto il mondo che ruota
attorno all'industria chimica e a favorire l'incontro tra ricerca pubblica e
domanda privata. Non ci stancheremo mai di ripetere che l'industria chimica
e' legata a filo doppio alla ricerca e che i ritardi storici accumulati dal
nostro Paese sul fronte dell'innovazione mettono a serio rischio la
competitività internazionale delle nostre imprese. Inoltre - aggiunge
Squinzi - siamo perfettamente consapevoli che solo un grande sforzo di
collaborazione con il sistema delle Università e dei centri di ricerca
pubblici può potenziare l'innovazione nel Paese e affrontare la crisi di
vocazioni chimiche che colpisce gli studenti italiani. Una crisi
preoccupante: se non riusciremo a invertire la tendenza, tra qualche anno la
nostre imprese saranno costrette a importare laureati. Per tornare alla
ricerca - annota Squinzi - devo dire che in ambito universitario vi sono
molte risorse non adeguatamente valorizzate. Abbiamo centri di eccellenza
che ancora stentano a dialogare con il mondo industriale. Ciò che noi
vogliamo fare, attraverso le Giornate dell'innovazione organizzate in Fiera
Milano, e' "gettare un ponte" tra industria e mondo accademico, accendere i
riflettori sui nostri problemi, coinvolgere le istituzioni, gettare le basi
affinche' la ricerca chimica torni a essere protagonista". Con l'obiettivo
di far incontrare "fisicamente" gli esponenti della ricerca pubblica con il
mondo delle imprese, Federchimica e Osservatorio hanno creato uno stand dove
troveranno posto oltre 40 tra Università (con i dipartimenti interessati),
centri di ricerca e stazioni sperimentali. E' la prima volta che si assite a
un'iniziativa del genere: "Ci auguriamo - spiegano gli organizzatori - che
in questo stand ricercatori pubblici e imprenditori privati si vedano, si
conoscano, si parlino e, se possibile, inizino rapporti di collaborazione".
Il progetto e' rivolto a tutte le imprese: piccole, medie e grandi. Nel 2000
il settore chimico (insieme alla farmaceutica) ha investito in ricerca il
2,4% del proprio fatturato (1,24 miliardi di euro, pari a 2.400 miliardi di
lire circa). Il Regno Unito investe il 7,4% del fatturato. L'obiettivo e'
quello di avvicinarsi il più possibile a queste cifre anche in Italia.
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La Nuova Sardegna 2 ott. '01

ALGHERO: INAUGURATO IL POLO BIOTECNOLOGICO

Polaris dà una mano alle imprese
La struttura di ricerca punta a fornire sostegni nell'agroalimentare Il
ministro Pisanu: "Attingeremo ai fondi Ue"

ALGHERO. Il Parco scientifico e tecnologico della Sardegna si arricchisce di
un nuovo polo. Sede la Porto Conte Ricerche che ieri ha inaugurato il polo
biotecnologico agroalimentare e ambientale. Presenze di alto livello
istituzionale, a sottolineare l'attenzione e il sostegno verso la ricerca
applicata: il ministro Beppe Pisanu, gli assessori regionali Pietro Pittalis
e Sergio Milia, il vice presidente del Consiglio Regionale, Giacomo Spissu,
il Presidente della Provincia Franco Masala.
E ancora il rettore dell'Università di Sassari, Alessandro Maida, il
sindaco di Alghero, Tonino Baldino, una folta rappresentanza di politici
regionali e parlamentari sardi, oltre ai rappresentanti del mondo
imprenditoriale, primo fra tutti il presidente dell'associazione industriali
della Provincia di Sassari, Stefano Poddighe. Insieme ieri hanno discusso
per tutta la mattina di ricerca e tecnologia come strumenti indispensabili
per il rilancio delle piccole e medie imprese in Sardegna.
E' stato anche l'esordio del neo presidente del Consorzio 21, Antonello
Fonnesu, fresco di nomina ma già con alcuni punti fermi nel suo programma,
quali i rapporti fra Università e Regione, in sinergia con i centri di
ricerca e con il sostegno del governo nazionale.
"Sono qui per ascoltare - ha detto Beppe Pisanu - ma posso assicurare che il
governo assegna un'importanza primaria alle piccole e medie imprese per la
ripresa dell'economia". Il ministro Pisanu ha anche aggiunto che il polo
tecnologico sardo può attingere dai quattromila miliardi stanziati dai
fondi comnitari per l'Obiettivo 1, all'interno del quale rientra la
Sardegna.
Ricerca scientifica applicata alle economie e potenzialità della Sardegna.
Questo il concetto che ha accompagnato l'inaugurazione del nuovo polo
tecnologico a Tramariglio, definito "un irrinunciabile elemento di sviluppo"
da Antonio Farris, presidente della Porto Conte Ricerche, che ha aggiunto
"perche' ricerca applicata e servizi alle imprese devono produrre economia,
rafforzando le aziende esistenti e creandone nuove, la ricerca non deve
essere beneficio per pochi, ne' fine a se stessa, ma strumento di crescita
per il territorio".
Il polo tecnologico deve essere, quindi, un punto di incontro fra la ricerca
e l'impresa, che tante volte hanno camminato, invece, su strade parallele.
Una sfida importante, ormai irrinunciabile, dove la Sardegna deve dimostrare
di poter contare sul mercato con prodotti di qualità, competitivi perche'
unici, ma soprattutto sostenuti e garantiti dalle moderne tecnologie. "E
può farlo", ha sostenuto Paolo De Castro, consulente per le politiche
agricole della Commissione Europea. Requisiti imprescindibili per
conquistare segmenti di mercato nazionale e internazionale, non quantità ma
qualità, una scelta che permetterebbe anche l'abbattimento degli oneri
derivanti dall'insularità.
"Un sistema competitivo", ha ribadito l'assessore regionale Pietro Pittalis,
sottolineando che "la Regione deve assumere un ruolo di coordinamento fra
centri di ricerca e imprese, sono questi gli obiettivi che intendiamo
perseguire per aumentare la competitività e l'occupazione qualificata".
L'assessore Pittalis ha anche evidenziato il disegno di legge che riporta
tutto il sistema della ricerca in una nuova cornice normativa che
consentirà alla Regione una spendita diretta delle risorse, e pertanto
un'accelerazione importante.
In sintesi, ricerca e sviluppo, trasferimento tecnologico e incubazione
d'impresa nei settori agroalimentare e ambientale, sono questi i servizi
messi a disposizione da Polaris. Un investimento che deve essere utilizzato,
il messaggio verso le aziende e' stato chiaro, anche perche' solo così si
potranno ottenere produzioni d'eccellenza.
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Corriere Della Sera 2 ott. '01

PIÙ SELEZIONE ALL'UNIVERSITÀ

I punti fermi della formazione
di GIUSEPPE REMUZZI*
L'editoriale di Franco Brevini sulle tante università della Lombardia e le
successive prese di posizione dei rettori sostanzialmente contrari alla
proposta di diversificarle, si presta a qualche considerazione di ordine
più generale. Ha detto Adriano De Maio rettore del Politecnico: "E' la
concorrenza a migliorare la proposta didattica: siano le famiglie e il
mercato a decidere". Giustissimo. E' proprio sulla concorrenza che si fonda
il successo delle migliori università degli Usa. Ma c'e' concorrenza tra le
nostre università? Vorrei provare a rispondere prendendo come emblematico
il caso delle scuole di Medicina. In Italia sono troppe. In più sono, con
qualche lodevolissima eccezione, male organizzate e fatte, di nuovo senza
voler generalizzare, più per venir incontro alle esigenze dei professori
che a quelle degli studenti. Qualche anno fa la rivista Science ha dedicato
una pagina intera alle nostre scuole di Medicina sotto il titolo "Corruption
scandal reaches academy" (la corruzione arriva all'accademia). Il Lancet in
questi ultimi anni ha ripreso lo stesso tema in diverse occasioni. Emerge un
quadro desolante basato sulla constatazione che, ancora oggi, i concorsi
universitari premiano i meno capaci con criteri clientelari. Va detto che
negli ultimi anni qualcosina sta cambiando, in meglio, e a onore del vero in
Lombardia più che nel resto del Paese. Ma una cattedra che venga data a
qualcuno solo perche' e' bravo e' comunque un'eccezione portata a preziosa
testimonianza da chi fra presidi e rettori più illuminati vorrebbe che
anche le nostre università potessero un giorno contendersi i professori
migliori come succede regolarmente negli Stati Uniti. E non e' la sola forma
di concorrenza: in Nord America le diverse scuole competono per i programmi
migliori e li pubblicizzano così che lo studente possa scegliere quelli
più adatti alle sue aspirazioni.
E in Italia? In Italia i programmi sono più o meno tutti uguali,
competizione e ricerca sistematica dell'eccellenza non si sa quasi cosa
siano. Professori bravi anche bravissimi ce ne sono eccome. Ma come può un
professore anche bravissimo lasciare il segno se tutto e' frammentato,
disperso senza una buona organizzazione (segretarie, tecnici, supporti
informatici, centri di documentazione)? E nemmeno si può pensare di poter
incidere in modo originale sulla formazione degli studenti quando in certe
facoltà si contano fino a venti professori di clinica medica con
denominazioni appena diverse per altrettanti insegnamenti più o meno
uguali. Forse qualche volta ci dimentichiamo che la salute di tutti noi
dipende in modo determinante dalla qualità delle nostre scuole di Medicina
cui e' affidata la formazione dei medici della prossima generazione. Se e'
così bisogna fare di tutto - e farlo presto - per mettersi al passo con
l'Europa. Da dove si comincia? Una proposta avanzata qualche tempo fa dal
professor Garattini e che si potrebbe riprendere e' quella di togliere
valore legale alla laurea. Oggi laurearsi in Medicina significa di fatto
poter esercitare la professione. C'e' un esame di Stato, ma siccome non
viene mai bocciato nessuno e' come se non ci fosse. Se invece l'esame di
Stato servisse a stabilire chi ha le capacità di fare il medico e chi no,
allora sarebbero gli studenti stessi a cercarsi le migliori facoltà, a
scegliersi i migliori professori e i programmi di ricerca più avanzati. Le
università avrebbero grande interesse ad attirare i professori più capaci
e farebbero a gara per dargli i mezzi di cui hanno bisogno per lavorare
bene.

* ricercatore dell'Istituto Mario Negri
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L'Unione Sarda 1 ott. '01

NOMINE AL CONSORZIO 21 IL PASTICCIO DEI PRESIDENTI (MANCATI)

Le grandi manovre intorno alle partecipate del Consorzio 21
C'e' chi parla di pasticcio, chi invece conferma tutto: quelle poltrone
saranno nostre. Un fatto e' certo: le nomine decise la settimana scorsa dal
centrodestra per alcune le società partecipate dal Consorzio 21 (tra cui
Neuroscienze) ed altri enti come l'Università nuorese, hanno fatto nascere
un piccolo caso politico-scientifico: con scambio di nomi, enti sbagliati,
illustri professori citati a sproposito e via pasticciando.
Tutto ha inizio al vertice di maggioranza di martedì notte: dopo la nomina
dei nuovi vertici del C21 (Antonello Fonnesu presidente e nuovo cda) si
passa alle società controllate: Parto scientifico, Ptm, Società di
Neuroscienze, Università nuorese.
La presidenza di quest'ultima viene attribuita ad Alleanza nazionale, con
gran soddisfazione del nuorese Bruno Murgia, capogruppo di An in Consiglio
regionale. Salvo poi scoprire che l'Università nuorese non e' una società
controllata (ne' partecipata) dal C21.
Mercoledì erano soddisfatti anche i Riformatori: un posto nel cda di
Neuroscienze con un'opzione sulla poltrona del presidente. Ed ecco il
problema: su quella poltrona sta seduto Gian Luigi Gessa, scienziato
cagliaritano di fama mondiale, nominato dai ricercatori che detengono il 55
per cento delle azioni della società. E siccome l'aritmetica societaria non
e' un'opinione, e' evidente che il Consorzio 21 ha una quota di minoranza e
non può indicare il presidente. A meno che qualcuno non stia preparando un
ribaltone nel cda.
Ultimo pasticcio: tra le società su cui intervenire c'era anche il Parco
genetico dell'ogliastra, che nella bozza della Giunta risulatava presieduto
dal genetista Licinio Contu. Che invece col Parco non c'entra nulla.

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La Nuova Sardegna 2 ott. '01

UNIVERSITÀ DI SASSARI, PARTE L'ANNO ACCADEMICO DELLA RIFORMA

I nuovi corsi di laurea triennali ma anche i percorsi formativi
SASSARI. Sta per cominciare l'anno accademico caratterizzato dall'avvio
della riforma universitaria con i corsi di laurea triennali. Una formula
"3+2" che prevederà il biennio specialistico per coloro che vorranno
approfondire il loro percorso formativo. Fatta eccezione per facoltà come
Medicina, Veterinaria e Farmacia, strutturate in modo diverso rispetto alla
riforma (anche se, per le ultime due, sono programmati corsi di laurea
triennali), la novità che andrà assimilata e' di un percorso
"professionalizzante" nel triennio.
Si potrebbero anche ipotizzare rivisitazioni della riforma in corso d'opera.
Comunque, si parte con una riforma che dovrà integrarsi, al di là
dell'esperienza che stanno per fare le matricole, con norme transitorie e
soluzioni da determinare, nelle varie facoltà, per gli studenti dei
"vecchi" corsi. Per privilegiare gli aspetti pratici, c'e' da precisare che
le iscrizioni scadono il 15 ottobre. Entro questa data gli studenti dovranno
pagare la prima rata (un acconto della tassa d'iscrizione di 244mila lire
più i contributi di laboratorio, biblioteca e viaggi d' istruzione e la
tassa regionale di 120mila lire a favore dell'Ersu).
Si dovrà consegnare la domanda di iscrizione o immatricolazione, assieme
all'autocertificazione, alle segreterie-studenti. Entro il 28 febbraio
dovrà essere pagato il conguaglio delle tasse d'iscrizione (in base a una
delle quattro fasce di reddito) assieme ai contributi di facoltà e
d'ateneo.
Per quanto riguarda gli importi delle tasse e dei contributi d'ateneo e
facoltà, la prima fascia e' di 474,400 lire, la seconda di 639mila, la
terza di 821mila e la quarta e ultima fascia di poco più di un milione. A
questi vanno poi aggiunti i contributi di laboratorio, biblioteca e viaggi
d' istruzione.
Per la facoltà di Agraria si versano 110mila lire, per Economia 130mila
lire, per Farmacia 180mila lire, per Giurisprudenza 45mila lire, per Lettere
e Filosofia 90mila lire, per Lingue e Letterature straniere 80mila lire, per
Medicina e Chirurgia 130mila lire, per i diplomi universitari della stessa
facoltÓ 80mila lire.
Ancora, nella facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali, si
pagheranno 200mila lire per i corsi di laurea di Chimica, Scienze ambientali
delle acque interne e lagunari, Scienze ambientali terrestri e per Scienze
biologiche mentre per Scienze della natura e delle sue risorse si dovranno
invece versare 150mila lire.
Per Scienze politiche, il contributo di 40mila lire, per Veterinaria di
150mila lire. Per i corsi di laurea Interfacoltà, si verseranno 200mila
lire per Biotecnologie, 90mila lire per Restauro e Conservazione dei beni
culturali e 100mila lire per Servizio sociale e indirizzo europeo.
Tomaso Derudas, coordinatore dei Servizi-studenti, e Mariangela Marras,
responsabile delle Segreterie-studenti, sottolineano l'esigenza diffusa di
recepire in modo adeguato la novità delle lauree triennali.
"Le famiglie degli studenti universitari, i genitori che vedono il proprio
figlio avviato all'esperienza universitaria, devono essere pienamente
consapevoli della novità rappresentata dalla laurea che ora, fatta eccezion
e per alcune facoltà scientifiche, si riconosce nel triennio - spiegano i
due responsabili amministrativi -. Insomma, ci si potrà laureare in tre
anni. Per quanti vorranno decidere di proseguire, dal successivo anno
accademico 2002-2003 si affaccerà il biennio specialistico. Un passaggio
significativo - osservano ancora Tomaso Derudas e Mariangela Marras - e'
quello del decentramento nel territorio, con sedi di corsi di laurea a
Tempio, Oristano, Olbia, Nuoro, senza dimenticare che, ad Alghero, dall'anno
accademico 2002-2003 partiranno le iscrizioni nella nuova facoltà di
Architettura e, nello stesso centro, si sta pensando all'attivazione del
corso di laurea in Scienze dell'Ambiente e delle Produzioni marine".
Con un sistema di valutazione che sarà espressione, al di là dei classici
voti d'esame, anche dei cosiddetti crediti formativi (parametri e unità di
misura del lavoro svolto dallo studente nelle attività di formazione per
superare l' esame) i percorsi didattici tenderanno a essere
individualizzati.
"Insomma - precisa Tomaso Derudas - si potrebbe parlare di un tempo pieno,
legato agli stessi crediti e alla frequenza. Si prevede, in casi come quelli
riguardanti gli studenti-lavoratori, un tempo definito, con un'articolazione
particolare di obiettivi e crediti. Comunque si immagina una dimensione
universitaria che dia impulso alla formazione e a un'attività didattica che
eviti situazioni di cosiddetto parcheggio, con un fenomeno esasperato dei
fuori corso. L'impegno delle commissioni - concludonoi deu responsabili
amministrativi Tomaso Derudas e Mariangela Marras - competenti delle
facoltà e degli stessi Consigli di facoltà e di corso di laurea sarà
quello di determinare e concordare, con gli studenti iscritti negli anni
scorsi e nei precedenti ordinamenti, possibilità di compensazione e
integrazione in questa stagione della riforma".
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Corriere Della Sera 30 sett. '01

L'UOMO RAGGIUNSE LA SARDEGNA ALMENO 250-300 MILA ANNI FA

TROVATA UNA FALANGE NEL SASSARESE L' uomo raggiunse la Sardegna almeno
250-300 mila anni fa Una falange umana rinvenuta in una caverna del
sassarese dimostra che l' uomo raggiunse la Sardegna 250-300 mila anni fa.
L' osso ritrovato e' riferibile, nella scala evolutiva, alla fase finale
dell' Homo erectus e all' uomo di Neanderthal. La scoperta e' stata
effettuata tra Thiesi e Cheremule dal gruppo speleologico di Thiesi; il
reperto e' stato studiato da Sergio Ginesu, dell' università di Sassari e
Jean Marie Cordy, dell' università di Liegi. Fino a pochi anni fa si
riteneva che la Sardegna fosse stata popolata poche migliaia di anni fa
(Neolitico), ma alcuni manufatti di pietra e diverse prove mineralogiche
avevano fatto ipotizzare una presenza umana molto più antica. Rimane ora da
spiegare come un uomo tanto antico abbia potuto attraversare il tratto di
mare che separa (e separava) l' isola dalla terraferma.

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Corriere Della Sera 3 ott. '01

SIRCHIA AI MEDICI: CAMBIO L'ESCLUSIVITÀ

Potrà diventare primario anche chi svolge attività privata fuori
dall'ospedale
Roma. Anche i medici che svolgono attività privata fuori delle strutture
ospedaliere potranno diventare primari. Lo aveva già promesso il Polo
durante la campagna elettorale. E ieri sera il ministro della Salute,
Girolamo Sirchia, ha voluto confermare questo impegno davanti ai sindacati
dei medici. E questo sembrerebbe soltanto il primo passo di quella che si
annuncia come una vera e propria "controriforma". Sirchia, infatti, intende
capovolgere la riforma realizzata dal precedente governo e voluta dall'ex
ministro della Sanità, Rosy Bindi. Cardine della riforma della Bindi era
proprio l'"esclusività": nel tempo si dovrebbe arrivare all'abolizione
dell'attuale scelta da parte dei medici: attività privata o attività
ospedaliera. Ieri il ministro ha cominciato a scardinare questo concetto
aprendo con i sindacati dei medici un tavolo di consultazione. E' qui che
Sirchia ha anticipato le sue idee. La prima: quella, appunto, di permettere
anche a chi svolge attività privata "extramoenia" (ossia al di fuori
dell'ospedale) di accedere alle massime cariche pubbliche.
Non e' una semplice promessa quella del ministro. Perche' il tavolo e'
riconvocato in tempi stretti, al massimo entro due settimane: all'ordine del
giorno le possibili modifiche alla riforma sanitaria, ma anche i risvolti
del nuovo contratto.
Diverse le reazioni dei sindacati. La Cgil ha già alzato gli scudi, mentre
la Cisl ha apprezzato le proposte del ministro. "Non si deve toccare una
virgola di quanto scritto nella riforma circa l'esclusività", ha detto
Roberto Polillo segretario della Cgil-medici. E ha spiegato: "L'esclusività
e' già stata finanziata in maniera adeguata ed in parte e' già diventata
una componente importante del salario dei medici".
Per la Cisl invece non ci sono pregiudiziali. "E' giusto affrontare le
necessarie modifiche alla riforma nell'inquadramento di una nuova
flessibilità", ha commentato Giuseppe Garaffo, segretario della
Cisl-medici.
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Il Sole24Ore 5 ott. '01

PER LA SANITÀ LA DEVOLUTION NON BASTA

di Elio Borgonovi L'accordo Stato-Regioni definito l'8 agosto - anche se
siamo ancora in attesa della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto
che lo recepisce - prevede una "nuova strategia" (così e' stata, forse un
pò affrettatamente, definita) per il Servizio sanitario nazionale
articolata in due punti. Risorse certe per le Regioni: il ministro Giulio
Tremonti ha garantito poco meno di 243mila miliardi di euro (470mila
miliardi di lire) alle Regioni per i prossimi tre anni. Trasferimento reale
(devolution) di competenze legislative alle Regioni, collegato alla loro
responsabilità nel contenere la spesa e alla loro autonomia di decidere
come coprire gli eventuali disavanzi. Anche se sarà abbastanza facile far
approvare le proposte, dato l'attuale rapporto di forza tra maggioranza e
opposizione, l'accordo merita qualche commento. Non sarà semplice, da un
lato, tradurre sul piano operativo la filosofia del passaggio a una maggiore
autonomia legislativa delle Regioni senza intaccare il principio del
mantenimento di un Servizio sanitario nazionale che ha la finalità di
garantire standard omogenei di servizi a tutti i cittadini: funzione del
Piano sanitario che proprio in queste settimane e' in corso di revisione e
aggiornamento da parte del ministero della Sanità. Ancor più difficile
sarà dare attuazione alla devolution. Tanto e' vero che si e' iniziato con
una misura centralistica: il blocco del processo di adeguamento dei prezzi
dei farmaci al livello europeo e la riproposizione di interventi di blocco
della spesa farmaceutica, che hanno provocato forti reazioni di
Farmindustria. E' infatti inevitabile che la devolution dei poteri
legislativi accresca la differenziazione all'interno del sistema sanitario,
come avviene in tutti gli Stati federali. Ogni Regione, infatti, deciderà
in base a fattori e condizionamenti che rispecchiano le realtà locali. Nel
nuovo scenario il Governo centrale dovrebbe evitare l'errore di pensare che
la maggiore autonomia comporti automaticamente un miglioramento. Dovrà
quindi mettere a punto un sistema di pochi indicatori sensibili capaci di
segnalare dove l'autonomia viene utilizzata per migliorare il rapporto tra
qualità dell'assistenza e spesa sanitaria, dove viene utilizzata solo per
contenere la spesa e dove, addirittura, determina un peggioramento del
rapporto tra qualità dei servizi e spesa. Il Governo dovrà poi svolgere
un'azione di monitoraggio sull'applicazione dell'accordo, rafforzando il suo
ruolo di indirizzo, segnalando tempestivamente a ogni Regione le tendenze
rilevate con il sistema degli indicatori e attuando rapidamente una
strategia di misure, concordate con le Regioni stesse, per evitare l'aumento
delle differenze "socialmente inaccettabili". Un altro compito importante
sarà immunizzare le Regioni dalla tentazione di "copiare" i modelli
assistenziali, organizzativi e manageriali ritenuti più avanzati. Infatti,
in un sistema regionalizzato, occorre valutare le differenze di risultati,
sulla base di indicatori di salute o indicatori intermedi di prestazioni,
capire con quali strumenti alcune Regioni hanno ottenuto risultati giudicati
migliori rispetto ad altre e individuare, per le Regioni che partono da
situazioni meno soddisfacenti per i pazienti, percorsi capaci di avvicinarle
ai risultati conseguiti dalle Regioni più avanzate. Trasferire
semplicemente modelli più avanzati può creare vantaggi nel breve periodo,
ma alla lunga non paga. Lo Stato dovrà evitare, a sua volta, la tentazione
di attuare interventi "di riequilibrio" di carattere solo o prevalentemente
finanziario, com'e' accaduto nel passato e come sembra emergere da una prima
lettura dell'accordo. Tali interventi, infatti, spesso ottengono il duplice
risultato negativo di ridurre la tensione al miglioramento - poiche' le
Regioni svantaggiate sperano sempre in misure di riequilibrio finanziario -
e di accentuare, anziche' ridurre, le differenze sostanziali, in quanto le
Regioni con i migliori servizi sanitari tenderanno ad attrarre pazienti, e i
relativi finanziamenti, dalle Regioni meno soddisfacenti. Per aiutare le
Regioni meno progredite sul piano della tutela della salute occorrerà
accompagnare le misure di riequilibrio finanziario eventualmente necessarie
(senza risorse non e' possibile recuperare il divario di servizi) con
interventi volti a trasferire le capacità tecniche, professionali e
manageriali, trasformando così l'investimento in attrezzature in migliori
servizi. Ma di ciò, nell'accordo di agosto, si fa solo un generico accenno.
La devolution in sanità non dovrà quindi essere utilizzata come strumento
per responsabilizzare maggiormente sul piano finanziario le Regioni o per
affermare la validità "astratta" del modello federale e delle autonomie, ma
dovrà essere utilizzata come strumento per rilanciare una nuova grande
stagione innovativa, basata soprattutto su tre elementi: maggiore
progettualità, con riguardo alla soluzione dei sempre più complessi
problemi della tutela della salute; maggiore valorizzazione delle
professionalità, anche tecniche e manageriali, che esistono nel sistema;
maggiore attrazione dei privati, che dovranno fornire nuove e "fresche"
energie, comprese le risorse finanziarie. I privati non dovranno essere
attratti solo o prevalentemente dalla volontà di "fare business", con
impieghi a redditività elevata e sicura, ma anche e soprattutto da una
concezione secondo cui pubblico e privato possono, anzi, devono condividere
la responsabilità nei confronti del miglioramento dell'intero sistema
sanitario. La sanità, la scuola e la sicurezza - le tre aree su cui il
Governo lavora in tema di devolution - dovranno diventare i tre pilastri sui
quali si costruirà il progresso futuro di un Paese unico ma differente,
perche' sarà in grado di essere sempre più vicino ai bisogni reali dei
cittadini.
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L'Unione Sarda 5 ott. '01

PIÙ SOLDI PER LA SANITÀ SARDA

La Sardegna potrà avere presto quote capitarie, cioe' quanto lo Stato
trasferisce per l'assistenza di ogni cittadino, più alte. Lo ha annunciato
il ministro della Salute, Girolamo Sirchia, spiegando che un accordo fra le
regioni sta permettendo di rivedere i parametri che fino ad ora hanno
penalizzato le regioni meridionali. Fino ad oggi le quote capitarie della
Sardegna sono le più basse in Italia. "Le regioni stesse", ha detto
Sirchia, "stanno rivedendo i riparti e la penalizzazione della Sardegna come
quella di altre regioni del Sud può essere superata con un accordo con gli
stessi enti locali senza nessuna imposizione da parte dello Stato".
Le quote capitarie sono appunto la divisione per cittadino del fondo
sanitario nazionale in base ad alcuni criteri sui bisogni specifici della
salute regione per regione, con particolare riferimento per età. Le regioni
con popolazione anziana percepisce, proprio in base a questo principio, una
quota capitaria più alta delle regioni che demograficamente sono più
giovani.
L'assegnazione di quote capitarie più alte era una decisione attesa che va
nella direzione auspicata da tempo dai dirigenti locali. Tuttavia altre
prospettive, come la devolution in campo sanitario prevista dal referendum
di domenica prossima, vengono da alcune parti contestate proprio perche'
tenderebbero a smantellare il Ssn.
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Il Messaggero 5 ott. '01

MEDICI, QUALI ESAMI DI STATO?

di ANTONIO GALDO
I 340 mila medici italiani sono tutti figli di un esame truffa. "Un esempio
lampante di inefficienza e malcostume con conseguenze molto negative per la
salute dei cittadini" e' scritto nella relazione che accompagna la legge
(numero 3.641) approvata, con voto bipartisan, dalla commissione Sanità del
Senato nella scorsa legislatura. Un testo asciutto, sette articoli, che l'ex
ministro Umberto Veronesi voleva portare in aula per cambiare le "norme
relative all'abilitazione dell'esercizio della professione di
medico-chirurgo". Ma non ci riuscì. Ebbe la precedenza una legge per le
acque minerali, molto gradita alle aziende del settore; poi le Camere sono
state sciolte, l'Italia ha votato, il professore Girolamo Sirchia ha
sostituito Veronesi. E i nostri medici continuano a essere abilitati da un
esame di Stato, bulgaro per i risultati, il 98,5 dei candidati sono
promossi, e terzomondista per gli effetti. Lo studente conquista il suo
status professionale rispondendo alle domande fatte dagli stessi professori
universitari che lo hanno laureato e con una prova pratica, detta tirocinio,
che sconfina nella burla. "Questi giovani danno quasi fastidio, quando
girano per i reparti, e normalmente sono invitati a restare a casa, e a
ricevere firme false di presenza" spiega Luciano Vettore, presidente della
Società italiana di pedagogia medica, uno dei massimi esperti in formazione
sanitaria. I tirocinanti sono considerati talmente molesti, nelle corsie
degli ospedali e nelle cliniche universitarie, da essere soprannominati "i
randagi". Prima di ricevere, con l'esame truffa, la qualifica di medici e
chirurghi.
Mentre ogni settimana piove nelle redazioni dei giornali una notizia che
riguarda la professionalità dei medici (l'ultima e' quella delle ricette
facili, con immancabile sentenza della Corte di Cassazione), della legge
3.641 si e' persa ogni traccia. Il suo primo relatore, il professore Fulvio
Camerini di Trieste, non e' stato ricandidato dall'Ulivo. E ha pregato
l'amico senatore Milos Budin, di Gorizia, di raccogliere il testimone della
sua riforma. "Sto cercando le firme per ripresentare la legge a Palazzo
Madama" annuncia il Budin. Quanto al ministro della Salute, il
sottosegretario Antonio Guidi ricorda che "in Italia si continuano a
sfornare dottori che non hanno mai visto un malato". Negli uffici del
Consiglio superiore della Sanità, invece il professore Mario Condorelli e
il presidente nazionale dell'Ordine dei medici, Giuseppe Del Barone, hanno
concordato alcune modifiche virtuali dell'esame di Stato per la categoria.
Gli otto componenti della commissione, per esempio, devono essere designati,
almeno al cinquanta per cento, dall'Ordine e non solo dall'università; il
tirocinio può avvenire anche nell'ambulatorio di un medico di famiglia,
antica trincea nazionale di una sgangherata Sanità. "Noi siamo i primi a
riconoscere che questi esami, così come si svolgono, non servono a nulla. E
bisogna cambiarli, con una vera riforma" avverte Del Barone. E il ministro
Sirchia? E' immerso, con consulenti ed esperti che si spostano come birilli
con ciascun governo, nel labirinto dell'Ecm. La sigla dell'educazione
continua in medicina, cioe' un cervellotico punteggio che i camici bianchi
devono conquistare con l'aggiornamento professionale. Congressi, convegni, e
corsi. Quando Sirchia ha spiegato in Parlamento le virtù dell'Ecm
("vogliamo dare ai cittadini la garanzia che i medici siano preparati e
informati"), gli e' scappata l'ipotesi di lavoro; fare ripetere l'esame a
tutti i 340 mila dottori ogni cinque-dieci anni. Non e' chiaro se si tratti
dell'esame truffa, quello che bisogna riformare da una trentina d'anni, o di
un altro tipo di test. In attesa del chiarimento del (nuovo) ministro,
accontentiamoci della buona volontà del (nuovo) presidente della
commissione Sanità del Senato, Antonio Tomassini: "Al momento nessuno ha
ripresentato la riforma 3.641, che mi sembrava un buon accordo tra
maggioranza e opposizione. Ma se qualcuno dovesse farlo, la metterò subito
in calendario per la primavera del 2.002. Prima non posso, la commissione e'
già ingolfata di leggi da discutere".
Aspettando la primavera, torniamo alle notizie: questa e' appena arrivata da
Londra. Anche Tony Blair deve riformare il servizio sanitario nazionale,
quello smantellato dalla privatizzazione manu militari della signora
Margaret Tatcher, e per non perdere tempo ha fatto partire in questi giorni
una massiccia campagna di reclutamento di medici da tutta Europa. Con
l'esclusione dei dottori made in Italy: non sono graditi in Gran Bretagna,
anche perche' gli inglesi, a differenza di noi, non sanno distinguere il
medico bravo (e sono tanti, sicuramente, anche in Italia) da quello che ti
può rovinare la vita e la salute.

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Corriere Della Sera 3 ott. '01

LOMBARDIA:MANCANO OTTOMILA INFERMIERI

Il consiglio regionale: intervenga subito il governo. A Milano la situazione
più critica
Vecchi Gian Guido
In Lombardia previsti 53 mila dipendenti, ma gli assunti sono 45 mila. L'
assessore Borsani: stipendi troppo bassi Sanità, mancano ottomila
infermieri Il consiglio regionale: intervenga subito il governo. A Milano la
situazione più critica In Lombardia mancano ottomila infermieri, visto che
se ne contano 45 mila, anziche' i 53 mila previsti come necessario. Così il
consiglio regionale ha approvato ieri una mozione per chiedere al governo di
intervenire. Il documento, presentato dal consigliere leghista Stefano
Galli, spiega come la situazione sia in particolare difficile a Milano: "Il
sessanta per cento degli infermieri viene da fuori regione, e dopo poco più
di un anno la maggior parte chiede il trasferimento nella propria". Il
problema esisteva pure prima, ma ora e' acuito dal fatto che l' infermiere,
d' ora in poi, sarà tale solo dopo aver conseguito una laurea triennale.
Mentre i lavori che prima svolgevano gli infermieri generici, nella
sostanza, passerebbero ai cosiddetti "operator i sanitari di supporto". L'
assessore regionale alla Sanità, Carlo Borsani: "I cambiamenti recenti del
sistema formativo hanno portato alla riduzione del numero degli iscritti,
mentre sono aumentate le necessità delle strutture private accreditate".
Insomma, "la laurea triennale ha comportato un indubbio innalzamento delle
competenze dei professionisti, ma l' organizzazione del lavoro negli
ospedali pubblici segue ancora il precedente schema". Chi studia per cinque
anni alle superiori più tre al l' università "ha maggiori aspettative". E
spesso si ritrova a coprire "mansioni di basso contenuto". Perciò le
aziende dovranno riorganizzare il lavoro. E ci vorrebbero aumenti per gli
infermieri. Emilio Di Done', della Cisl sanità, sospira: "Andate a vedere
cosa fa davvero un infermiere professionista. Perche' negli ospedali
cambiano pappagalli e padelle e puliscono di tutto". VECCHI a pagina 50 Il
Pirellone rilancia i problemi di organico nelle strutture sanitarie della
Lombardia. "Mesti ere faticoso e sottopagato" "Ottomila infermieri in meno,
ospedali in crisi" Mozione in consiglio regionale: il governo ci aiuti. La
Cisl: Milano e' cara e gli stipendi sono ridicoli Chiamate gli infermieri.
Perche' l' impazzimento della sanità, a quanto pare, e' arrivato al punto
che gli ospedali non sanno più dove andare a pescare gente disposta a
lavorare nelle corsie: e in Lombardia mancano ottomila infermieri, visto che
se ne contano 45 mila anziche' i 53 mila previsti come necessari. Non che c
i sia granche' da stupirsi: mestiere duro, a contatto con la sofferenza,
pagato poco. Su questo sono tutti d' accordo. Come sul fatto che la
situazione stia diventando preoccupante: tanto che ieri, a larga
maggioranza, il consiglio regionale ha approvato una mozione che chiede l'
intervento del governo. Il documento, presentato dal consigliere leghista
Stefano Galli, spiega come la situazione sia in particolare difficile a
Milano: "Il sessanta per cento degli infermieri viene da fuori regione, e
dopo poco più di un anno la maggior parte chiede il trasferimento nella
propria". Per questo la mozione, tra le altre cose, chiede che l' infermiere
lavori là dove ha conseguito il titolo di studio. Ma non e' facile: l'
esodo, molto semplicemente, si spiega con il fatto che altrove gli affitti e
la vita in genere costano meno: "Il fatto e' che non si naviga nell' oro,
com' e' noto: andiamo dal milione e mezzo dell' ausiliario appena arrivato
ai due milioni e quattro dell' infermiere: se fa turni, straordinari, notti,
tutto quanto...", sospira Emilio Di Done', responsabile sanità della Cisl.
"E tutti quanti sanno quanto costa un affitto a Milano". Il problema
esisteva pure prima, ma ora e' acuito dal fatto che l' infermiere, d' ora in
poi, sarà tale solo dopo aver conseguito una laurea triennale. I lavori che
prima facevano gli infermieri generici, nella sostanza, passerebbero ai
cosiddetti "operatori sanitari di supporto". L' assessore regionale alla
sanità, Carlo Borsani, dice che " il problema c' e' ma non e' così grave,
il tono della mozione e' un pò emotivo: dire che mancano infermieri e'
semplicistico". Dopodiche' riassume: "I cambiamenti recenti del sistema
formativo hanno portato alla riduzione del numero degli iscritti, mentre
sono aumentate le necessità delle strutture private accreditate". E perche'
si sono ridotti gli iscritti? "La laurea triennale ha comportato un indubbio
innalzamento delle competenze dei professionisti, ma l' organizzazione del
lavoro negli ospedali pubblici segue ancora il precedente schema rigido
delle "mansioni infermieristiche"". Chi studia cinque anni di superiori più
tre di università, insomma, "ha maggiori aspettative sia in termini
economici, di carriera e di riconoscimento della professionalità". E spesso
si ritrova a fare "mansioni di basso contenuto assistenziale". Morale: "E'
stato confermato da più esperienze e studi che il 30 per cento dell'
attività infermieristica e' impropria e si potrebbe delegare ad un
operatore di support o. Ma nel sistema sanitario pubblico, ora, ce ne sono
solo 4375 su 39 mila infermieri". Per l' assessore ce ne vorrebbero "almeno
10 mila". Perciò le aziende dovranno riorganizzare il lavoro. E ci
vorrebbero aumenti per gli infermieri. Quelli dell' ultimo contratto
nazionale "sono significativi ma non premiano i più impegnati". La prossima
volta, quando "contrattazione delle risorse e incentivi spetteranno alla
Regione", l' assessore promette: "Si dovrà puntare su aumenti graduati
secondo merito e capacità". Per ora la situazione e' ben diversa. Tanto che
Di Done' propone: "Andate a vedere cosa fa davvero un infermiere. Perche'
gli infermieri negli ospedali cambiano pappagalli e palette, puliscono il
vomito, di tutto. Sì, bisogna vedere , magari in un vecchio padiglione del
Policlinico. Certo, non finisci disoccupato. Ma uno se lo deve sentire, come
una missione: sennò non sarà mai un buon infermiere". Gian Guido Vecchi
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Il Nuovo 3 ott. '01

"PIANO PER IL POLICLINICO GEMELLI? UN BLUFF"

Il centrosinistra alla Regione boccia il progetto di rilancio presentato nei
giorni scorsi. Rodano: "Il particolare e' che non c'e' una linea da
criticare. Si denuncia il vecchio e non si spiega nulla"
di Simone Navarra
"Il piano per il risanamento del Policlinico non suona, e' stonato. Denuncia
cose note, ma non decide assolutamente nulla. Dice di spostare i posti
letto, ma non dice quali, dice di ridurre i primari ma in realtà non tocca
nessuna baronia. Comunica il cambiamento però non cambia. Un vero
documento-gattopardo". Il vice presidente della commissione Sanità al
consiglio regionale, Giulia Rodano, Ds, boccia su tutta la linea il progetto
di rilancio dell'Umberto I presentato nei giorni scorsi dal direttore
generale Tommaso Longhi. E con lei tutti i capogruppo del centrosinistra
formano un coro di proteste che potrebbe nei prossimi giorni sfociare in
confronti duri, "sia alla Pisana che altrove". Il fatto poi che la giunta
abbia previsto un maxi finanziamento di quasi mille miliardi per ripianare
il deficit pregresso accumulato negli anni, e' visto solo come "un
escamotage per entrare in qualche modo nella Finanziaria dello Stato".

E nel giorno in cui la Regione dà il via al tavolo di concertazione con La
Sapienza ed i sindacati per definire il protocollo d'intesa che definirà le
modalità pratiche dell'attuazione del piano il centrosinistra attacca la
"non sostanza" di quanto prospettato. Il segretario generale della Cisl Fps
di Roma e Lazio, Luigi Canali, afferma che "solo con l'accordo delle parti
sociali si potrà arrivare ad un protocollo d'intesa per risolvere i
problemi che riguardano trasferimenti, mobilità ed i contratti ma
soprattutto per definire quale sarà il futuro della sanità pubblica nel
Lazio". Per sollecitare "un rilancio concreto" dell'Umberto I, la Cisl
annuncia per giovedì prossimo un'assemblea e una manifestazione di medici
ed infermieri.
Il Policlinico, dicono comunque gli esponenti dell'opposizione, ha bisogno
di scelte chiare mentre il documento presentato non ne presenta nessuna.
"Non si dice cosa dovrà fare, ne' quanto personale serve, ne' quali e
quanti sono i dipartimenti o come si risolve il problema dei precari. E poi,
che fine ha fatto il piano per la messa in sicurezza per il quale erano
stati stanziati 30 mld?''. Alessio D'Amato, dei Comunisti italiani, affonda
il colpo: "Non vi e' parola sull' edilizia sanitaria, per la quale ad oggi
non e' stato presentato nessun progetto a fronte dei 1400 mld stanziati".
Secondo dati nazionali di strutture simili, dal San Matteo di Pavia al
Sant'Orsola di Bologna e al Molinette di Torino, la struttura
dell'Università La Sapienza avrebbe registrato un calo dei ricoveri e un
eccesso di camere operatorie (8,42 per 100 posti letto a fronte di una media
di 3,45 delle strutture paragonabili). Per la terapia intensiva vi sono
invece 3,02 posti letto contro una media di 3,44. "I nostri numeri - ammette
Bonadonna, responsabile della sanità nella giunta Badaloni - si fermano al
'99. Dopo di allora non si può sapere più nulla. Mentre si avvalora ogni
giorno di più il sospetto che molti servizi vengano affidati a strutture
private esterne". "Dopo la legge D'Alema sulla riorganizzazione dei
policlinici, nel novembre '99 - continua la Rodano - si era ripianata ogni
cosa. Un esborso così ingente e' solo un modo per fare qualcosa che dice di
riformare, ma in realtà non lo fa". A parere dell'esponente Ds, che tempo
fa e' stata definita la Cassandra di Francesco Storace, il Policlinico ha
però un deficit di circa 200 miliardi l'anno, con una perdita giornaliera
che si aggirerebbe intorno ai 600 milioni al giorno, con servizi che costano
quattro volte più del necessario. Il disavanzo previsto per il 2001 dalla
giunta - spiega ancora combattiva la Rodano - in sanità e' pari a circa
2.300 miliardi senza considerare il Policlinico.

"Il motivo della denuncia - dice Giovanni Hermanin, della Margherita - e'
ribadire quel che non funziona. Un patrimonio come quello dell'Umberto I si
può dividere, in favore del Sant'Andrea, e può essere una linea. Si può
riorganizzare. Comunque serve una mano decisa e finora questa non si e'
vista e non si vede". Anche per questo più d'uno, dal centrosinistra,
rivolge una sorta di appello al Campidoglio, affinche' il Comune si
interessi a una struttura "tanto importante per la città". Il sindacato dei
Cobas per questo attacca e interroga: "Devono dirci cosa siamo e cosa
diventeremo. La quota d'assistenza di 8 posti letto per mille abitanti va
rispettata o no? Va tagliato il cordone ombelicale con l'Università oppure
no? Noi diciamo solo che tagliare qua e là non avrebbe senso. Esempio, a
ortopedia ci sono 34 posti letto e ne servirebbero il triplo, e allora che
si fa?".
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L'Unione Sarda 3 ott. '01

POLICLINICO: GIORNATE CARDIOLOGICHE A VILLASIMIUS

Malattie del cuore come prevenire complicazioni dopo l'infarto
Le hanno chiamate "Giornate cardiologiche in Sardegna 2001". Un vertice sul
cuore al quale parteciperanno specialisti universitari e ospedalieri. Ampio
il programma del convegno, che si terrà venerdì e sabato prossimi al
Sofitel Timi Ama di Villasimius.
Nel corso delle due giornate, organizzate dal Dipartimento di scienze
internistiche e di Scienze cardiovascolari dell'università di Cagliari, si
discuterà della gestione del paziente con infarto miocardico che, una volta
dimesso dal reparto e affidato al cardiologo del territorio e al medico di
medicina generale, deve poter godere di tutti i supporti terapeutici che
l'esperienza scientifica più moderna suggerisce per prevenire le
complicanze e le recidive.
Un secondo tema attiene alla strategia terapeutica da adottare in caso di
coesistenza di una patologia cardiovascolare e di una disfunzione di altri
organi e apparati. Saranno svolte relazioni in campo endocrino,
gastroenterologico, diabetologico, neurologico e geriatrico.
Una parte delle giornate congressuali sarà dedicata ad altri due eventi. E'
previsto un forum del gruppo di studio delle malattie cardiovascolari nelle
donna, che si occuperà dell'aggiornamento in tema di gravidanza e
cardiopatie, nonche' dei rapporti tra la terapia ormonale nella donna in
menopausa e il rischio cardiovascolare.
Previsto anche un workshop tecnico pratico sulle applicazioni della
telemedicina in cardiologia, con particolare attenzione alla diagnosi
d'urgenza dell'infarto miocardico e al trattamento domiciliare dello
scompenso cardiaco.
Dirigeranno i lavori il preside della facoltà di Medicina Angelo
Balestrieri e il responsabile del reparto di Cardiologia del Policlinico
universitario Giuseppe Mercuro.
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L'Unione Sarda 6 ott. '01

NASCE IL "PARLAMENTINO" DEI MEDICI

Villasimius Una consulta permanente formata da medici di tutte le sigle
sindacali e dalla Federazione degli Ordini (Fnomceo). E' il "parlamentino"
dei camici bianchi che il ministro della Salute, Girolamo Sirchia, ha
intenzione di istituire per decreto e che si riunirà, per la prima volta,
il 17 ottobre prossimo nella sede del ministero. L'obiettivo e' quello di
avere una possibilità istituzionale di confronto permanente con la
categoria sui provvedimenti che riguardano la salute dei cittadini e
l'organizzazione professionale. L'annuncio e' stato dato ieri al congresso
dei medici di famiglia della Fimmg in corso a Villasimius.
E' stato lo stesso ministro Girolamo Sirchia a dare la notizia ai medici.
"Siamo stati informati -ha detto Giuseppe Del Barone, presidente della
Fnomceo - ma non sappiamo ancora quali siano le effettive competenze che il
ministro assegnerà alla consulta. Ci sono comunque molti argomenti sul
tavolo che ci interessa approfondire. A partire dalla sostituibilità dei
medicinali prescritti da parte dei farmacisti o, ancora, dal problema dei
letti ospedalieri per i malati cronici. Sono d'accordo con l'idea del
ministro di istituire "cronicari", ma questi non possono essere l'unica
soluzione, anche perche' l'evento acuto e' possibile in queste categorie di
malati ed in questi casi sono sicuramente necessari i ricoveri "normali"".
Altre novità si annunciano nel mondo della sanità: come già avviene nelle
corsie degli ospedali, anche gli studi dei medici di famiglia si riempiranno
di studenti in medicina e neo laureati che si faranno le ossa sul campo fra
visite ai pazienti e preparazione di ricette. La Federazione degli Ordini
dei medici (Fnomceo) sta mettendo a punto un progetto per varare un
tirocinio di 6 mesi negli studi dei medici di base.
"Quale luogo migliore di questo per imparare a fare i medici" ha spiegato il
presidente della federazione nazionale degli ordini dei medici, Giuseppe Del
Barone, che inconterà l'11 ottobre i rappresentanti della Fimmg e
dell'università per verificare la fattibilità del progetto. La novità, in
sostanza, e' quella di mettere a disposizione dei futuri camici l'esperienza
clinica dei medici di famiglia.
Attualmente il tirocinio si svolge negli ospedali. Dopo la laurea, o anche
prima, al sesto anno, se si e' in regola con gli esami, i futuri dottori
dovranno, se la proposta andrà avanti, recarsi in studio e imparare così
il mestiere, dal semplice controllo delle tonsille fino al dedalo di regole
burocratiche che caratterizzano sempre di più il lavoro quotidiano della
categoria. Ma il neo dottore dovrebbe comunque andare anche in corsia a
completare il suo iter formativo.
Per Del Barone, che ha parlato del progetto al congresso di Villasimius, non
esistono ragioni di fondo per credere che l'operazione non possa andare
avanti ma per vedere i giovani medici in studio a fare tirocinio bisognerà
ancora aspettare. La decisione infatti spetta al ministero della Salute e a
quello dell'Università.

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La Nuova Sardegna 2 ott. '01

NASCERÀ A CAGLIARI L'EREDE DEL VIAGRA?

I primi risultati degli esperimenti sui ratti del gruppo di neurofarmacologi
dell'università coordinato da Antonio Argiolas
ROMA. L'era del dopo-Viagra e' cominciata anche nei laboratori, dove sono
partite le sperimentazioni sui topi di tre nuove molecole contro i disturbi
dell'erezione. Una di queste e' italiana e si sta sperimentando
all'università di Cagliari. I risultati dei test sono stati presentati in
anteprima mondiale nel congresso della Società europea per le ricerche su
sessualità e impotenza, in corso a Roma.
"Anche le ricerche sul Viagra sono cominciate così nove anni fa - ha detto
il presidente del congresso, l'urologo Francesco Montorsi, dell'istituto San
Raffaele di Milano - e, proprio come allora, anche i dati sugli animali
presentati oggi appaiono molto interessanti".
Le sperimentazioni in corso, ha aggiunto, "potrebbero indicare una strada
che nel giro di qualche anno potrebbe portare a nuovi farmaci veramente
utili".
Allo studio a Cagliari ci sono gli attivatori dei recettori della centralina
dell'erezione: li sta sperimentando sui ratti il gruppo di neurofarmacologi
dell'università, coordinato da Antonio Argiolas.
Si tratta di una nuova classe di sostanze simili all'apomorfina, il nuovo
farmaco anti-impotenza entrato recentemente in commercio. Come l'apomorfina
queste nuove sostanze agiscono al livello del sistema nervoso centrale.
Stimolano cioe' i recettori del nucleo paraventricolare dell'ipotalamo, la
"centralina" che nel cervello innesca la catena di reazioni che porta
all'erezione. Per il momento queste sostanze hanno soltanto una sigla (si
chiamano Ep 91073 ed Ep 60761) e sono state iniettate nel ratto sia per via
endovenosa sia direttamente nel cervello. Hanno quindi determinato il
rilassamento della muscolatura liscia dei corpi cavernosi del pene,
permettendo così l'erezione.
Il possibile arrivo di nuove molecole contro l'impotenza e' la conseguenza
dei progressi compiuti in questi anni nel comprendere il meccanismo
dell'erezione. "E' un meccanismo complesso - ha osservato Montorsi - e che
avviene in tanti passaggi". Ciascuna delle nuove molecole allo studio
interviene in un passaggio diverso, così come diversi sono i passaggi nei
quali intervengono le molecole già in commercio, ossia il sildenafil
(Viagra) e l'apomorfina.
Adesso si vuole vedere quali risultati si possono ottenere intervenendo in
altri momenti del processo che porta all'erezione.

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Corriere Della Sera 3 ott. '01

GENETICA, PRIME TERAPIE PER CURARE CON IL SANGUE

Genetica, prime terapie Farmaci nei globuli rossi per curare con il sangue
Arachi Alessandra
Roma, la ricerca e' tutta italiana Genetica, prime terapie Farmaci nei
globuli rossi per curare con il sangue ROMA - Quando la terapia genica sarà
pronta, spalancherà orizzonti inimmaginabili. Perche' non solo servirà per
curare molte tra quelle malattie complesse che colpiscono il 50 per cento
della nostra popolazione (tra questi il diabete, l' osteoporosi, alcune
malattie psichiatriche, l' ipertensione, certi tipi di cancro). Ma la
terapia genica potrà essere usata anche per renderci più belli, più alti,
più muscolosi, più atletici. Quando la terapia sarà pronta, ancora non si
sa. "Non si può dire con certezza, ma siamo certi che i prossimi dieci anni
saranno definitivi per questo", garantisce Bruno Dalla Piccola, presidente
della Società d i genetica italiana, impegnato in questi giorni in un
congresso mondiale organizzato a Roma dalle Università la Sapienza e Tor
Vergata in collaborazione con l' università del Vermont. E spiega: "Basti
pensare che soltanto quattro anni fa parlare di cromosomi artificiali
sembrava un' utopia. Utopica era anche l' idea di una ricombinazione
omologa. Perche' la terapia genica e' stata inventata 20 anni fa e applicata
soltanto da 11: ormai, però, siamo davvero alla fase finale". Nel frattempo
gli studi genetici cominciano a portare i primi risultati. E a tirar le fila
e' una ricerca tutta italiana, sperimentata su 8 adolescenti malati di
fibrosi cistica all' ospedale BambinGesù di Roma. Su di loro e' stata
sperimentata la tecnica di farmaci nel sangue. Meglio. Di farmaci dentro ai
globuli rossi che come micro-container viaggiano all' interno dell'
organismo rilasciando il medicamento un pò alla volta. Il risultato? Con
una flebo soltanto si può sostituire un mese di cure. Spiega Mauro Magnani
, il coordinatore dello studio, docente all' università di Urbino. "Siamo
in grado di prelevare il sangue, processarlo e incapsulare farmaci all'
interno dei globuli rossi. E grazie a questo tutti i ragazzi sui quali
abbiamo sperimentato questa tecnica hanno ottenuto una qualità della vita
molto migliore". Alessandra Arachi Test e cure IL METODO Globuli rossi
"imbottiti" di farmaci antinfiammatori per cure più mirate e
somministrazioni ridotte IL TEST E' stato eseguito su una decina di malati
di fibrosi cistica e di asma cronica L' EQUIPE La sperimentazione e' guidata
da Mauro Magnani dell' ateneo di Urbino in collaborazione con Giuseppe
Novelli dell' università di Roma Tor Vergata e i medici del Bambin Gesù
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Le Scienze 5 ott. '01

IL GENOMA DELLA PESTE BUBBONICA

Scoperte sulla superficie del batterio molecole-bersaglio per nuovi farmaci
Un gruppo di ricercatori del Sanger Centre di Cambridge, in Inghilterra,
guidato da Julian Parkhil, ha terminato di sequenziare il genoma del
batterio della peste bubbonica, la Morte Nera che decimò più volte la
popolazione dell'Europa medievale. L'intero genoma e' stato pubblicato sulla
rivista "Nature". I geni del batterio Yersinia pestis sono risultati molto
"fluidi", nel senso che si possono riordinare facilmente. Questa
osservazione e' estremamente importante, perche' suggerisce che potrebbero
emergere nuovi ceppi di questo batterio, considerato come un possibile
candidato per un attacco terroristico biologico.
Lo Yersinia pestisinfetta comunemente i roditori dell'Asia, dell'Africa e
delle Americhe, ma solo raramente attacca gli esseri umani, anche se sempre
con effetti letali. Di solito il passaggio del batterio agli esseri umani
avviene attraverso altri vettori, tipicamente le pulci.
A rendere questo batterio molto adatto per un attacco batteriologico e' la
sua resistenza, poiche' può essere spruzzato direttamente come aerosol
senza fare ricorso alle pulci. Di fatto, i ricercatori dell'ex-Unione
Sovietica hanno già compiuto esperimenti volti a usarlo come arma.
L'analisi del genoma ha mostrato lo Yersinia pestis ha già imparato a
infettare sia gli insetti sia i mammiferi. In particolare, i ricercatori
hanno scoperto che il batterio ha inglobato geni da un virus che attacca gli
insetti. La sequenza ha permesso di scoprire anche alcune nuove molecole
sulla superficie del batterio, possibili bersagli per nuovi farmaci.
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Le Scienze 5 ott. '01

RADIOFREQUENZE CONTRO I TUMORI

In sette minuti di trattamento i tessuti neoplastici vengono distrutti
Breve tempo di ricovero, meno dolore e minima invasività a carico dei
tessuti: questi i vantaggi della nuova tecnica di trattamento chirurgico del
tumore messa a punto presso il Southwestern Medical Center dell'Università
del Texas a Dallas.
Il primo a beneficiarne e' stato il sessantaduenne David Rist, a cui era
stato diagnosticato un cancro a entrambi i reni, uno dei quali già rimosso
nel 2000. Proprio i postumi di tale intervento hanno spinto i medici a
evitarne un altro, ricorrendo a una tecnica di ablazione mininvasiva mai
sperimentata per questo tipo di neoplasie.
"Il tumore - ha spiegato Jeffrey Cadeddu, urologo dell'Università del
Texas - non viene asportato, ma semplicemente distrutto lì dove si trova.
Per fare ciò abbiamo utilizzato solo un ago e un apparecchio per la
tomografia assiale computerizzata. La punta dell'ago si apre una volta
entrata in contatto con il tessuto di interesse: con essa e' possibile
applicare una radiazione elettromagnetica nel campo delle radiofrequenze per
circa sette minuti, quanto basta per distruggere il tumore grazie al calore
sviluppato, a una temperatura di circa 105 gradi Celsius. In un'ora
l'intervento e' concluso e il paziente può tornare a casa. Per gli evidenti
vantaggi, una simile tecnica rappresenta il futuro del trattamento
chirurgico delle neoplasie."

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La Stampa 3 ott. '01

BIOLOGIA MOLECOLARE: PROTEOMA, UN PROGETTO IMPOSSIBILE?

L'obiettivo della proteomica è identificare, isolare e classificare le proteine espresse dalle cellule, impresa estrema poiché le proteine superano del 25% i geni e sono estremamente instabili.

Fabiana Fini UN Progetto Proteoma come il Progetto Genoma? "No, forse non e'
il caso. Perche' una iniziativa del genere mancherebbe sia delle chiare
finalità sia della velocità del Progetto Genoma". E' quello che pensa
Lukas Huber, direttore del Laboratorio di patologia molecolare
dell'Università di Vienna nonche' editore della neonata rivista
"Proteomics". La proteomica e' la scienza che sembra destinata a raccogliere
l'eredità della genomica. Il suo ambizioso obiettivo e' identificare,
isolare, classificare tutte le proteine espresse dalle cellule, per
comprenderne le funzioni e le relazioni reciproche. Perche', se i geni
rappresentano l'informazione necessaria alla vita, le proteine sono la colla
che tiene insieme l'organismo, i messaggeri che consentono la comunicazione,
i guerrieri che combattono le infezioni, gli enzimi che regolano tutti i
processi fisiologici. Sono cioe' l'informazione tradotta in opera.
La sfida e' stata raccolta con grande entusiasmo da ricercatori e
finanziatori. Negli Stati Uniti - ma anche in Europa - somme consistenti
sono già state investite in progetti dedicati esclusivamente alla
proteomica. L'Italia ha stanziato per la ricerca post-genoma, di cui la
proteomica e' uno dei cardini, 20 miliardi nei prossimi due anni. E le
multinazionali farmaceutiche creano alleanze e finanziano progetti per
identificare e brevettare le proteine difettose alla base di tante patologie
per poi ottenere e vendere i farmaci che ne permetteranno la cura. Gli
interessi in gioco sono enormi: basti pensare che, a oggi, i farmaci in
commercio agiscono su appena 500 proteine fra le centinaia di migliaia
presenti nell'organismo umano. E dunque c'e' già chi parla di un Progetto
Proteoma Umano sulla scia del Progetto Genoma. Ma, sempre secondo Huber, "il
sequenziamento sistematico di tutte le proteine espresse da un organismo in
ogni momento e' completamente privo di senso". E non e' il solo a pensarla
così. Individuare tutte le proteine e capirne la struttura e le funzioni
non sarà facile. Perche' le proteine sono molto più complesse e variegate
del Dna. Perche' l'attività e la presenza di ogni proteina sono
strettamente legate a quelle di altre proteine, e per comprenderne la
funzione bisognerebbe quindi riuscire a "fotografare" anche tutte le
interazioni. Perche' le proteine sono più numerose dei geni e, sebbene
siano il risultato diretto delle istruzioni in essi contenute, una volta
sintetizzate vanno incontro a modificazioni a seconda delle condizioni
cellulari. Questo fa sì che in ogni organismo vivente il numero di proteine
superi di almeno il 25 per cento quello dei geni. E implica anche che ogni
individuo abbia un set di proteine pressoche' unico. Ma c'e' dell'altro.
"Lasciare un tessuto su un banco di laboratorio cinque minuti in più o in
meno probabilmente cambia la mappa delle proteine in esso contenute",
sostiene ancora Lukas Huber. Il fattore tempo e' infatti una variabile
determinante nello studio del proteoma, diversamente da quanto avveniva nel
Progetto Genoma. Le proteine si muovono nell'intero ambiente cellulare, non
sono sempre tutte presenti e comunque mai alla stessa concentrazione.
Inoltre vengono sintetizzate o demolite a seconda delle condizioni e delle
necessità della cellula in quel particolare momento. Il proteoma e' cioe'
estremamente dinamico. E, una volta terminata l'analisi, si correrebbe il
rischio di dover ricominciare daccapo perche' nuove proteine potrebbero
essere presenti.
A complicare questo quadro vi sono poi le tecniche di cui dispongono gli
studiosi del proteoma. Per identificare le proteine e' necessario isolarle,
e il metodo di elezione e' l'elettroforesi su gel in due dimensioni. Ma
questa tecnica e' relativamente lenta e non consente la separazione delle
proteine molto grandi o molto piccole, così come di quelle idrofobiche (che
non amano l'acqua). Questo fa sì che ci si concentri soprattutto sulle
proteine più abbondanti all'interno della cellula. Ma e' come studiare la
punta dell'iceberg, dice Huber.
Il sequenziamento sistematico di tutte le proteine espresse da un organismo
in ogni momento e' quindi completamente privo di senso, almeno secondo
Huber. O meglio: si devono ipotizzare "progetti proteoma" circoscritti, con
bersagli meno complessi e ben definiti. Perche', nonostante tutti i limiti -
Huber ne e' convinto - la proteomica porterà con se' innumerevoli
innovazioni tecnologiche, cambierà il modo di fare biologia e, soprattutto,
il mondo farmaceutico. Nel frattempo, numerosi interrogativi cercano
risposta. Chi si assumerà gli oneri e gli onori di questa nuova gigantesca
sfida scientifica? Il pubblico, il privato o entrambi? E i ricercatori sono
pronti per un altro progetto di big science? Secondo alcuni studiosi saranno
soprattutto le compagnie private a investire in progetti di proteomica,
perche' il numero delle tecniche richieste e la necessità di automatizzare
le procedure sono semplicemente troppo numerose, troppo costose e troppo
complicate per poter essere acquisite dalla maggior parte delle strutture
accademiche. E l'impegno richiesto potrebbe essere di gran lunga superiore a
quello che molte istituzioni pubbliche sono in grado di affrontare.
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Il Messaggero 6 ott. '01

FRATTURE, CON GLI ULTRASUONI ADDIO VECCHIO GESSO

Roma, vertice di ortopedici e medici sportivi: ogni anno "si rompe" un
milione di italiani. Per i fumatori guarigione più lenta
Nuova tecnica a ultrasuoni: ridotti i tempi di cura. Più a rischio piede e
caviglia
di CARLA MASSI
ROMA - Una caduta, il gesso, il tutore, la riabilitazione. Questa la storia
di un piede o di una caviglia che si rompono. Che danno dolore, che devono
restare fermi per almeno tre settimane, che lasciano i movimenti difficili
per mesi e mesi. Un guaio per il calciatore costretto a stare lontano dal
campo, un dramma per la mamma (le casalinghe sono le più a rischio dopo gli
sportivi) che scivola dalla scala e si rompe il metatarso. Che si ritrova
impossibilitata a camminare per settimane e, dopo l'immobilizzazione, non
riesce neppure a rinfilare la scarpa.
Ogni anno, in Italia, un milione di persone deve fare i conti con la
frattura di un arto. Età media, 25-40 anni. In questa fascia le "rotture"
non fanno distinzioni di sesso, mentre si registra un netto aumento di
incidenza nelle donne dai 60 anni in su. Tempo medio per la guarigione, due
mesi. Oggi, la tecnologia, offre una cura che va oltre il gesso. E' la
terapia con ultrasuoni a bassa intensità. Proprio per parlare di questo
nuovo metodo si incontrano oggi a Roma, al Coni, ortopedici, reumatologi e
medici dello sport. Il piede e tutti i suoi guai al centro della
discussione.
"L'applicazione di ultrasuoni a bassa frequenza in corrispondenza del
focolaio di frattura arriva a ridurre del 40% i tempi della riparazione
ossea - spiega il professor Paolo Ronconi, docente di Ortostatica
all'università Tor Vergata di Roma, tra i primi in Italia ad aver
sperimentato al metodica -. Permette la formazione del callo osseo anche nei
casi in cui la calcificazione non avviene spontaneamente".
Più piccola di un computer portatile, la macchina lavora attraverso un filo
fissato con un elettrodo alla parte fratturata. Non più di 20 minuti di
applicazione al giorno. "Tutto e' così semplice - aggiunge Ronconi - che il
paziente può fare da solo. Comodamente a casa. Per il futuro e' già allo
studio una sorta di apparecchio "usa e getta" predosato".
Dal gruppo di esperti, un'avvertenza per i fumatori: le loro fratture,
infatti, si saldano con tempi molto più lunghi di quelli che, invece, non
fumano. Il ritardo oscilla tra il 30 e il 35%.
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Il Messaggero 6 ott. '01

DIAGNOSTICA, LA VIA DEL TEST SI FA VIRTUALE

Attraverso le immagini del computer possibile simulare cistoscopie,
colonscopie e broncoscopie. I referti elaborati in tempo reale
Tor Vergata, con la Tac possibile fare esami complessi senza dolore e in
pochi minuti
di CARLA MASSI
Oggi, simulare in medicina si può. Come si fa con i viaggi on line che, da
casa, ti portano in un minuto sulla piazza Rossa o con le sfilate di moda
che pullulano di top computerizzate da capogiro. Questa volta, però, e' il
corpo umano in carne ed ossa che entra nel mondo virtuale. Nessun gioco. Ma
un esame diagnostico vero, come e' la cistoscopia, la colonscopia o la
broncoscopia.
Apparecchio utilizzato: la Tac spirale multistrato che riesce ad acquisire
simultaneamente le informazioni di più livelli dell'organismo. La tecnica:
dopo aver sottoposto il paziente alla Tac (quindi, nessun tipo di esame
invasivo e doloroso), si prendono le immagini e, al computer, si simula la
colonscopia. Nell'addome vengono fatte entrare, sempre al computer,
dell'aria ed una cannula per ispezionare. Seguendo lo stesso procedimento
"normale". Il luogo: il Centro di diagnostica per immagini del Policlinico
Tor Vergata diretto dal professor Giovanni Simonetti.
Due piani, 50-60 persone al lavoro, tre Tac, tre Pet, una Gamma camera
doppia testa (unisce insieme Tac e Pet per "leggere" contemporaneamente il
dato funzionale e quello anatomico), 5 mammografi, 8 apparecchi per
l'ecografia, due camere operatorie per la radiologia interventistica,
l'inserimento di protesi aortiche, la chemio-embolizzazione. In meno di
cinque minuti, le lampade a ultravioletti, sterilizzano tutta la stanza
dove, su due pareti, sono allineati armadietti a tenuta stagna (arrivati
direttamente dagli Usa) con tutto il materiale per gli interventi. In un
lampo quei lettini sono pronti per l'emergenza. Ma, per ora, in quel
Policlinico, i posti letto non ci sono. Si deve aspettare Pasqua per poter
averne a disposizione almeno duecento. L'università di Tor Vergata, in
questo servizio di diagnostica per immagini, ha investito 40 miliardi. E
oggi, dopo dieci mesi di lavoro ambulatoriale, può vantare un centro che,
secondo gli addetti ai lavori, non ha rivali in Italia.
Qui, tutto e' immagine, tutto e' film, tutto e' ricompattamento di segni
finalizzato alla costruzione virtuale di quello che accade nell'organismo.
Prendiamo il cuore. Una tac "programmata" solo per lui permette di misurare
quanto il sangue irrora il muscolo cardiaco e il tessuto cerebrale. Un'altra
Tac, invece, "legge" unicamente le articolazioni.
Nella stanza a fianco, un medico, parla ad alta voce in un microfono.
Accanto a lui, un tecnico, con lo stesso apparecchio che si usa al
supermercato per leggere i prezzi, passa al vaglio le cartelle cliniche. I
referti, infatti, vengono dettati e poi trasformati dal computer in testo
scritto. Le cartelle, invece, sono marcate da codici a barre per
salvaguardare la privacy del paziente e poter catalogare tutto nei
dischetti.
Peccato che, arrivare a Tor Vergata, e soprattutto raggiungere i centri di
diagnostica, sia ancora difficile: pochi cartelli sul raccordo, segnalazioni
a prova di lince dopo lo svincolo a pochi passi dal Policlinico.
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Il Messaggero 5 ott. '01

DIETE, L'ELETTRICITÀ SVELA QUELLA GIUSTA

Una tecnica sperimentata dalla Cattolica di Roma: "Bisogna andare oltre la
bilancia". L'obesità colpisce 9 italiani su 100
Una nuova analisi, grazie alle scariche, rivela i punti dove c'e' più
grasso
di SARA IPPOLITO
ROMA - Tre diete su 10 sono sbagliate o inutili. Ma oggi, a promuovere o
bocciare un regime alimentare, ci pensa l'elettricità. Si tratta dell'
"analisi impedenziometrica". Grazie al passaggio di una corrente innocua nel
corpo la macchina rivela le zone in cui c'e' un eccesso di grasso e permette
di capire se una dieta e' giusta o sbagliata.
"Con questa tecnica - spiega Giacinto Miggiano, direttore del centro di
ricerche in Nutrizione umana dell'università Cattolica di Roma - e'
possibile andare oltre la bilancia".
Il corpo umano e' costituito di due parti: la massa grassa e la massa magra.
Gli aumenti o le diminuzioni di queste possono essere responsabili del
sovrappeso o del sottopeso. "Se si vuole conoscere veramente a quale parte
del corpo e' attribuibile la variazione del peso e che cosa l'ha provocata -
aggiunge il nutrizionista - non e' sufficiente salire sulla bilancia e
calcolare l'indice di massa corporea".
L'impedenziometria e' una tecnica rapida, indolore che consiste
nell'applicazione di quattro elettrodi (sul dorso delle mani e dei piedi) e
nel passaggio di corrente. La misura della resistenza che la corrente
incontra nell'attraversare il corpo fornisce i dati sulla massa grassa e
magra. Quanta più resistenza si incontra, tanta meno acqua c'e' e, quindi,
e' minore il tessuto magro. "L'impedenziometria - assicura Miggiano - riesce
ad individuare quel 30% di diete dovute ad una non perfetta valutazione
dello stato nutrizionale. Quindi sbagliate o addirittura inutili".
Novità importante soprattutto per quel 9-10 per cento della popolazione che
e' obesa. Il ministro della Salute Girolamo Sirchia ha lanciato l'allarme:
e' preoccupato per la salute degli italiani ma anche per la spesa, 21 mila
miliardi l'anno, che la malattia fa esborsare allo Stato per curare i
cittadini. Per questo, mercoledì prossimo 10 ottobre, e' stato indicato
come l'"Obesity day". L'organizzazione e' dell'Adi, Associazione italiana
dietetica. Quel giorno saranno gratuitamente a disposizione dei cittadini
per offrire consulenze e informazioni.
"La mancanza di conoscenze - spiega Giuseppe Fatati, responsabile del
servizio Dietetico dell'ospedale di Terni e segretario dell'Adi - e la
tendenza a sottovalutare il problema le cause dell'obesità. Non viene
riconosciuta come malattia vera e propria. Eppure si tratta di una delle
patologie maggiormente diffuse nel mondo occidentale".
In America il 55% della popolazione adulta e' in sovrappeso, il 23% e'
gravemente obeso e un bambino su cinque e' in cura da un dietologo. Il
modello americano sta contagiando gli altri Paesi. In Italia circa 10 per
cento della popolazione e' obeso".
Mercoledì nei centri saranno installate colonnine informative, regalati
opuscoli, distribuiti questionari (Così, dicono i nutrizionisti,
"riusciremo a capire dove sbagliamo") e dispensati consigli personalizzati.
Alcuni dati: un giro vita superiore agli 88 cm per la donna e 102 per gli
uomini significa andare incontro a conseguenze molto serie per la salute.

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