UNIVERSITÀ DI SCARSE FACOLTÀ IL NUMERO CHIUSO PUÒ SALVARCI SASSARI: UNO SU TRE ABBANDONA PRIMA DELLA LAUREA NUR, L'OMINIDE CON LA BERRITTA CNR, SENZA GIOVANI NON SI FA RICERCA TORINO: AL POLITECNICO, ESAMI SUPERATI CON MENO DI "18" RICERCA EUROPEA: "ALL'ITALIA ANDRÀ IL 10% DEI FONDI" CONDANNATI IN CASSAZIONE SETTE BARONI SCUOLA, I NUOVI CICLI MORATTI: INVESTIREMO 10 MILIARDI ========================================================= ECCO LA "MAPPA" DELLA NUOVA SANITÀ: IL POLICLINICO CON S.GIOVANNI DI DIO POLICLINICO: PER I RETTORI IL FUTURO È NELLE AZIENDE MISTE TALASSEMIA: DECLASSATO IL MICROCITEMICO A FAVORE DI PESARO TALASSEMIA: LA PROTESTA CONTRO PESARO ANTONIO CAO: PER NOI SAREBBE UNA BEFFA MICROCITEMICO ADDIO, TRAPIANTI AL BINAGHI SANITÀ, I RESPONSABILI CAMBIANO PELLE SENZA TICKET LE ASL SARDE AFFONDANO SANITÀ SARDA, BUCO DA 750 MILIARDI COSÌ L'AIDS UCCIDE UN BIMBO AL MINUTO AIDS, IN ITALIA DIECI NUOVI CASI OGNI GIORNO "LA SCOPERTA SUL PARKINSON FA BRILLARE PAVIA" ALLARME DEI MEDICI: DUE BAMBINI SU DIECI SONO GIÀ OBESI IL PERICOLO DELLE SIGARETTE LEGGERE BATTERI CONTRO IL CANCRO UNA PROTENA CONTRO I TUMORI DELLA PELLE ========================================================= __________________________________________ L'Unione Sarda 25 nov. '01 UNIVERSITÀ DI SCARSE FACOLTÀ Università degli abbandoni. Atenei di scarse facoltà. Esamifici. Accademie con poche scuole di eccellenza. Quando si parla di istruzione, in Italia abbondano i giochi di parole. E le polemiche roventi. Tra destra e sinistra. Fra gruppi di facoltà e singoli docenti. Tra chi accusa il governo Berlusconi di "voler fare studiare solo un'elite" e chi lamenta che in Italia manchino proprio università d'elite capaci di formare la classe dirigente del Paese. Come avviene ad esempio in Francia con l'Ena, tempio della pubblica amministrazione. In Italia ci sono la Bocconi (Milano), il Politecnico (Torino), la Normale (Pisa). Ma non bastano, secondo molti il resto del sistema universitario italiano è un tritacarne senza qualità. I dati sono velenosi. Nel 1998 gli iscritti ai 68 atenei italiani (56 statali e 12 privati) erano all'incirca un milione e mezzo. Seicentomila dei quali fuori corso, cioè studenti che invece di laurearsi in cinque anni ne impiegano normalmente dieci. Perché? Molti lavorano: in assoluta precarietà ma quantomeno guadagnano e possono avere un autonomia personale pur vivendo in famiglia. Altri s'iscrivono all'università e sanno che - con l'eccezione di Medicina dove esiste il numero chiuso e l'obbligo di frequenza - non hanno impegni pressanti. L'università è un optional all'interno di una vita che si svolge normalmente su binari diversi. Gli studenti universitari si sposano, fanno figli, lavorano quando possono o stabilmente. Ogni tanto danno un esame. E non hanno alcun rapporto con le aziende, né le aziende con loro. La ricerca è la grande cenerentola italiana e in questo senso il governo Berlusconi non pare essere meno miope dei precedenti. In Danimarca, cinquanta studenti su cento durante l'università - soprattutto durante i primi anni - affrontano stages di formazione nelle imprese che ne saggiano possibilità e probabilità. In Canada sono trenta su cento. In Inghilterra venti su cento. In Italia uno su cento. Anche per colpa delle imprese che (secondo il ministro Moratti) non investono nell'istruzione, non tendono a fare di molte università una protesi aziendale, utilizzandone le competenze. Quali che siano le cause del disastro che da trent'anni ha azzerato la qualità di gran parte degli atenei italiani, i risultati sono chiari. Anzi controversi. Perché se il ministro Moratti sostiene che solo trenta universitari su cento arrivano alla laurea, altri dati sono più impietosi. Secondo un volume appena edito dal Mulino (una delle poche accademie del pensiero italiane) i laureati italiani non sono più di dieci su cento. Centoventinovemila nel 1998, l'ottanta per cento dei quali di lungo o lunghissimo corso. Fino agli anni Settanta, si laureavano in media sette studenti su dieci. Vero è che il percorso era molto più difficile ma oggi la liberalizzazione degli accessi all'università e il lassismo nella durata del corso di studi è inutile ed esagerata. Non a caso ricomincia ad esser contestata. Le interviste di questa pagina (con l'antropologo Giulio Angioni e con l'italianista Sandro Maxia) chiariscono bene quali sono gli argomenti che dividono oggi i docenti e che finiscono col riverberarsi sugli studenti. I pareri non sarebbero stati diversi se raccolti in facoltà come Ingegneria, Medicina, Farmacia, Giurisprudenza. Sia gli intellettuali della sinistra che quelli del centrodestra, da qualche anno sono impegnati nel cercare un modello di università che renda meno precari i risultati dello studio. La riforma approvata dal precedente governo e non smentita da questo, prevede che gli atenei italiani si muovano sul modello di lauree brevi (tre anni), lauree convenzionali (altri due anni) e dottorati di ricerca (altri quattro). Rendere più flessibile la formazione sembra la strada giusta. E del resto è quella adottata nella maggior parte d'Europa. "Purché - dice l'economista Giacomo Vaciago - non si facciano le addizioni all'italiana. Evitiamo cioé che tre (anni) più due faccia otto". Destra e sinistra possono riuscire a trovare un accordo sul sistema formativo ma c'è un bastione che continua a dividerle. Il numero chiuso in tutte le facoltà, l'obbligo di frequenza o in ogni caso un modo per verificare che gli studenti italiani non allunghino come un elastico il corso di studi. In Sardegna (che fino all'anno scorso deteneva la più bassa percentuale di laureati) gli iscritti all'università di Cagliari sono quarantamila (39.857) la metà dei quali (15.990) fuori corso. All'università di Sassari sono invece iscritti sedicimila studenti, 6484 dei quali fuori corso. Il dato curioso è che in Sardegna l'università - comunque la si guardi, a Sassari o a Cagliari - è donna. Su cento studenti ottanta sono donne. Che hanno raggiunto la parità con gli uomini, anche se non sempre sanno che farsene. Perché sul luogo di lavoro le antiche discriminazioni resistono. E quando si tratta di consegnare il potere a qualcuno il prescelto è sempre maschio. Marco Manca __________________________________________ L'Unione Sarda 25 nov. '01 IL NUMERO CHIUSO PUÒ SALVARCI L'italianista Sandro Maxia Per le statistiche l'università sarda è agli ultimi posti, sia pure con qualche punta di eccellenza. "Penso che le classifiche - dice Sandro Maxia, italianista e docente nell'ateneo cagliaritano - siano sostanzialmente giuste. Anche se detto così parrebbe eccessivamente brutale nei confronti dei miei colleghi". Perché questo scadimento? "Le statistiche sono costruite sulla maggiore o minore efficienza dei servizi e sul rapporto con gli studenti. Non riguardano invece il nocciolo culturale, che è molto più difficile da accertare. Ma per ciò che riguarda i servizi, a Cagliari sono in genere pessimi. Provi a passare dieci minuti nella guardiola dei bidelli della facoltà di Lettere, i primi ad essere in contatto con gli studenti. Dovrebbero orientarli e non sanno nemmeno dire in quale stanza possono trovare un docente. E inoltre la pagina Internet è malfatta, gli orari delle biblioteche sono disagevoli". Molti accusano le facoltà d'esser diventate degli esamifici senza scopo. "Ed è vero. Non ha mica inventato la Moratti che in Italia settanta studenti su cento abbandonano anzitempo l'università. E i ritardi nella laurea sono un fatto patologico, in Lettere non hanno meno di ventotto trent'anni". Responsabilità? "La nostra didattica è vecchia ma il vero responsabile è la mancanza del numero chiuso. Se uno che ha fatto l'istituto alberghiero viene da noi digiuno di tutto, non possiamo riconsegnarlo alla società dopo quattro anni con una buona laurea". In Italia il numero chiuso... "...è una bestemmia. Sono un sostenitore del numero chiuso e non da oggi. Dovrebbe essere generalizzato ma non solo per questa o quella facoltà. Del resto è quello che si fa in tutto il mondo avanzato". Perché alla fine il rischio è che vi siano università di serie A e di serie B, come in America. "Realisticamente sarebbe giusto e logico e in buon a parte la differenziazione esiste già. In Italia tuttavia la laurea ha valore legale ed è un argine potente alla gerarchizzazione degli atenei. Il fatto che un titolo venga conseguito a Cagliari o a Milano è la medesima cosa, almeno per quel che riguarda i concorsi." C'è stato un tempo in cui l'università di Cagliari era in ben altra posizione... "Il decennio 1965/1975 in cui il fior fiore degli intellettuali insegnava in città. Oggi è una storia finita, anche perché c'è una progressiva regionalizzazione dell'università". Cosa vuol dire? "Ogni università ha il suo budget e per chiamare un professore esterno deve spendere molti quattrini. Preferisce quindi promuovere un interno anche se non di eccelsa qualità. L'attuale riforma ha prodotto molti danni. Anche se oggi lo rinnegano, sono Berlinguer e Tranfalia ad aver voluto questo, i concorsi vengono costituiti per i candidati locali" C'è una speranza che l'Italia riesca ad avere un buon sistema universitario, al di là della sinistra e della destra? "La speranza è l'ultima a morire. Ma dall'Ottanta in poi una serie di leggi corporative hanno impedito l'ingresso all'università tra i docenti a un'intera generazione di giovani. I sindacati hanno preferito sanare chi c'era, indipendentemente dalle loro qualità". Questo è comune ad ogni ambiente di lavoro, sono i famosi diritti acquisiti. "Già ma nell'università è una catastrofe, i giovani occorre penderli al volo quando sono innovativi. Vale in Lettere ma ancor di più in Medicina, in Fisica, in Matematica. Ho speranza ma spero che la si smetta con queste impalcature corporative. A Cagliari, come del resto in tutta l'Italia, l'età media dei docenti è di cinquantadue anni. E in buona parte sono ricercatori, cioè quelli che dovrebbero ancora fare tutta la carriera. È una situazione disperata, la ricerca si sclerotizza e molti ricercatori vanno in pensione senza mai esser davvero entrati all'interno del ruolo docente". Mc.M. __________________________________________ L'Unione Sarda 30 nov. '01 SASSARI: UNO SU TRE ABBANDONA PRIMA DELLA LAUREA L'inchiesta. Tra le cause che spingono a gettare la spugna, la disinformazione e il disorientamento delle matricole Università a caccia di soluzioni per fermare la strage di studenti Sassari. Uno su tre non ce la fa. E abbandona gli studi. Una cifra che tormenta non poco il rettore Alessandro Maida e lo stuolo di segretari e professori che lavora alla riforma dell'ateneo. Come fermare l'emorragia? Basteranno i nuovi corsi triennali e il centro per l'orientamento? La sfida non è da sottovalutare. Negli ultimi dieci anni, si sono iscritti all'università di Sassari 18 mila ragazzi. Il trenta per cento ha abbandonato gli studi prima di conseguire la laurea. Ciò significa che dal 1990 al 2000 hanno smesso di studiare 5744 studenti. Nello stesso arco di tempo, certo, l'ateneo ha sfornato 9662 neo dottori: più o meno il 50 per cento degli iscritti. Di questi, però (ed è un altro dato preoccupante) 8463 erano fuori corso, mentre solo in 1199 sono arrivati al titolo più che regolari. Una curiosità: in media si laureano più donne che uomini. E non solo perché le donne sono più numerose in assoluto: le studentesse sono più tenaci dei colleghi, se è vero che nell'ultimo decennio sette su dieci hanno raggiunto il traguardo. Spulciando i dati, si può anche fare la classifica delle facoltà. Quella che ogni anno sforna il maggior numero di pergamene è quella di lettere e filosofia con, in media, 214 dottori, subito seguita da giurisprudenza con 202 e medicina con 154. Anche la facoltà di economia, in soli sei anni di vita, ha raggiunto un ottimo risultato con una media di 75 laureati l'anno. Dati positivi, se non fosse per quell'alta percentuale di abbandoni. Perché si getta la spugna? Tra le principali cause c'è sicuramente la ricerca di un lavoro: chi durante il percorso universitario ha la fortuna di trovare un impiego non ci pensa due volte a lasciare la vita da studente per iniziarne un'altra. Segno che, nella gran parte dei casi, ci si iscrive perché si considera l'università nient'altro che un'alternativa alla disoccupazione, o peggio, come un parcheggio temporaneo. C'è anche chi al titolo di dottore non vuole rinunciare e così studia e lavora allo stesso tempo. Un fenomeno che spiega, in parte, l'elevato numero di fuori corso. Ma a fare danni sono anche la disinformazione e il disorientamento che coglie chi si affaccia alla vita da studente. Non a caso un sesto degli iscritti al primo anno non arriva al secondo. Quasi mai, in realtà, il passaggio dalle scuole superiori all'università avviene senza scossoni, per un giovane di 19 anni. Da un mese all'altro, dopo la maturità, ci si ritrova a vivere una realtà completamente diversa, dove ciascuno è chiamato a gestire le proprie ore di lezione, studio, tempo libero. Cadono gli obblighi delle scuole superiori, ma non tutti riescono ad ambientarsi: anche per questo si decide di mollare. C'è infine chi sbaglia scelta. Molti sanno soltanto di volersi laureare; in che cosa, non si sa. Così si sceglie all'ultimo momento o, non è raro, magari per non correre il rischio di restare soli, in base alla decisione degli amici. Poi ci si ripensa, ma magari si è già perso un anno. O due. Questi sono i mali. La terapia (nuovi corsi triennali, centro per l'orientamento) è già partita. I dati dell'anno prossimo diranno se è quella giusta. Gina Falchi __________________________________________ L'Unione Sarda 14 nov. '01 NUR, L'OMINIDE CON LA BERRITTA Phillip Tobias: una via sarda nella storia dell'evoluzione del genere umano La tesi suggestiva di un ricercatore sudafricano La recente scoperta in una profonda caverna di Cheremule dei resti di un ominide vissuto oltre 2000 anni fa rafforza l'ipotesi che la Sardegna sia uno dei tre corridoi attraverso i quali i primi uomini si siano diffusi dall'Africa in Europa. Per il medico antropologo Phillip Valentine Tobias - ricercatore sudafricano di fama internazionale - siamo forse vicini alla soluzione del mistero legato all'evoluzione del genere umano. Nell'attesa che si arrivi all'affascinante capolinea, lo studioso ieri è stato insignito del titolo di primo medico della città nel corso di una cerimonia svoltasi in Municipio ad iniziativa dell'Ordine dei medici il cui presidente Raimondo Ibba - che con il sindaco Emilio Floris ha fatto gli onori di casa - gli ha consegnato una pergamena dell'associazione "Clemente Susini per la storia della medicina". La presenza di Phillip Valentine Tobias nell'aula consiliare del Municipio cagliaritano ha effettivamente aperto uno spaccato sulla storia antica e recente del genere umano. Un capitolo con molti dubbi e poche certezze ma che vede la Sardegna in primo piano dopo il ritrovamento della falange di una mano di un ominide: l'uomo primitivo che ha in parte ribaltato gli studi esistenti sulla presenza umana nell'Isola. "Una falange, anche se intera e lunga, è poco - ha dichiarato lo studioso - per classificare il ritrovamento: però di sicuro apparteneva ad un essere di grossa corporatura. Ed è un forte indizio per poter affermare che molto probabilmente è in relazione alle migrazioni avvenute oltre un milione di anni fa dal nord dell'Africa: la via del mare". Chiamato Nur dai ricercatori dell'Università di Sassari che lo hanno portato alla luce i suoi pochi resti, l'ominide ha tracciato un sentiero ben marcato nella storia del genere umano in Sardegna: dalla scimmia all'homo erectus di cui nei pressi di Porto Torres erano state trovate le prime tracce. Gli studi proseguono ora alla ricerca del cranio e delle ossa degli arti che, secondo il professor Alessandro Riva "daranno forza e fondamento a queste ipotesi". Soprattutto per stabilire il livello di evoluzione raggiunta e se non sia il caso di parlare del primo sardo: il sardus pater per eccellenza. Di sicuro viveva di caccia, conosceva il fuoco e dormiva in capanne circolari. Solo o in compagnia? L'antropologo Tobias ieri ha riproposto la tesi di una evoluzione biologica dell'uomo partita dalla scimmia. "La donna è però andata più avanti" ha detto confermando così il suo impegno per civile contro l'apartheid in Sudafrica, la medicina a tutti i livelli e l'emancipazione della donna nel suo Paese. Per ben tre volte ha ottenuto la nomination per il premio Nobel ma gli è sempre sfuggito di mano. Tuttavia è rimasto sempre in prima battuta negli studi antropologici conquistandosi una fama internazionale. Recentemente Tobias è stato consigliere del Dipartimento arte e cultura del suo Paese, contribuendo attivamente a promuovere la causa per il ritorno dall'Europa in Sudafrica delle spoglie mortali di Sartjie Baartman, la famosa "Venere ottentotta". Un tema a lui particolarmente caro è lo studio delle variazioni nei secoli della statura dell'uomo adulto e di altre caratteristiche misurabili negli africani neri. A questo proposito lo scienziato ha sostenuto che siamo in presenza di mutamenti biologici legati all'ambiente e alle abitudini: una ciclicità che in parte spiega come l'uomo di Cheremule fosse più alto dei nuragici e che in molti Paesi si è assistito ad un complessivo ribaltamento delle altezze. Tobias non conosce la lingua italiana ma nel suo inglese è riuscito a far conoscere molto bene il suo pensiero anche sui fatti recenti e la violenza nel mondo. Alla medicina attribuisce un ruolo importante e tra l'altro ha apprezzato che Cagliari sia amministrata da un sindaco-medico e che siano medici tutti gli iscritti all'associazione che gli ha consegnato la pergamena di socio ad honorem. Dopo la consegna dell'attestato, Tobias ha offerto un medaglione con gli emblemi della sua università e dell'Unesco. Il sindaco ha ricambiato con una miniatura in creta del Municipio: un dono che il ricercatore ha molto apprezzato assieme alla visita compiuta con l'assessore Giorgio Pellegrini per le stanze del "palazzo" e le sue importanti opere d'arte. In serata si è recato alla Cittadella dei Musei per visitare la mostra sulle cere anatomiche di Clemente Susini che costituiscono il motivo principale della sua visita nell'Isola alla ricerca della storia dell'uomo. Giovanni Puggioni __________________________________________ Il sole24Ore 28 nov. '01 CNR, SENZA GIOVANI NON SI FA RICERCA ROMA - Un'inversione di rotta sulla ricerca. Altrimenti l'Italia rischia di non recuperare i ritardi che la dividono dagli altri Paesi e di restare "suddita" in materia di ricerca scientifica. Il richiamo al Governo è arrivato dal presidente del Cnr, Lucio Bianco, che ieri ha presentato il "Report" sull'attività dell'ente nel 2000. Pochi soldi, pochi ricercatori, non pagati a sufficienza: difficile per il Cnr reggere il passo con gli istituti di ricerca europei, tanto più che con il blocco dei concorsi, ha detto Bianco, non si riesce ad aumentare il personale. Nonostante ciò i risultati dell'anno scorso, a detta del presidente, sono sono stati positivi, come testimoniano una serie di dati: il numero di pubblicazioni per ricercatore censite a livello internazionale vedono il Cnr a quota 1,79 contro le 2,2 del Max Planck tedesco, 1,83 del Csis spagnolo e le 1,43 del Cnrs francese. A livello nazionale il numero dei brevetti registrati tra il 1982 e il 2001 vedono il Cnr in testa a quota 97, contro i 42 del l'Enea, i 9 delle Università (in totale quelli presentati nella Ue da enti pubblici italiani sono stati 175). Se si guardano i fondi spesi e il personale a disposizione per la ricerca, l'Italia, ha sottolineato il presidente Bianco, supera solo Spagna, Grecia e Portogallo: destiniamo alla ricerca e sviluppo l'1,04% del Pil, contro l'1,83% della Gran Bretagna, il 2,18% della Francia, il 2,38% della Germania, il 2,65% degli Usa e il 3,04% del Giappone (la Spagna è allo 0,9%). Il numero dei ricercatori vede la Spagna sopra di noi, con 8.891 ricercatori, il Cnrs francese ne ha addirittura 25.032 mentre il Max Planck tedesco 11.218. Il Cnr è a quota 7.377, di cui 3.650 ricercatori, 2.689 tecnici e 1.038 amministrativi. "Il numero dei ricercatori è in linea con le risorse dedicate alla ricerca: pochi soldi, pochi addetti", dice Bianchi, che sottolinea però alcuni fattori negativi degli studiosi italiani: l'età media dei ricercatori si attesta sui 44,7 anni, il personale del Cnr sui 48, gli associati sui 54,6 e gli ordinari su 59,6. Una situazione che, per quanto riguarda il Cnr, è motivata soprattutto dal blocco delle assunzioni. Per questo Bianco ha chiesto al Governo un programma di formazione almeno di dieci anni per avere una nuova classe di ricercatori giovani: altrimenti, ha aggiunto, si correrebbe il rischio di non riuscire nemmeno a spendere l'eventuale aumento di risorse. Quanto al bilancio, la maggior parte delle risorse del Cnr proviene dal Governo, che nel 2000 ha contribuito con quasi 545 milioni di euro (1.054 miliardi di lire), mentre quasi 200 milioni di euro (367 miliardi di lire) arrivano dal mercato. Se si considerano altre entrate, le risorse complessive ammontano a 765 milioni di euro (1.482 miliardi di lire). Queste somme, ha spiegato Bianco, vengono assorbite principalmente dalla ricerca svolta nei 107 istituti dell'ente (in base alle legge di riforma del 1999 gli istituti sono scesi da 314 a 107), che assorbono 604 milioni di euro (1.171 miliardi di lire), pari al 79% del totale, la ricerca finanziata dal Cnr presso università e imprese incide per il 9%, mentre altrettante sono le spese per la struttura amministrativa. Per quanto riguarda le aree di ricerca, il Cnr destina il 32,8% della spesa per le scienze della vita, seguite dalle scienze di base, con il 28,7 per cento. Il 17% va alle scienze tecnologiche ed ingegneristiche, mentre il 6,1% a quelle umanistiche e sociali. Se si considerano trasversalmente gli obiettivi, è la salute umana ad assorbire il 20,5% dei fondi, mentre il 15% va alla produzione e tecnologia industriale, l'11,8% alla tutela dell'ambiente, l'8,1% alla produzione e tecnologia agricola e il 6,1% all'esplorazione ed utilizzazione dello spazio. Con l'attività di Agenzia, cioè gli interventi fuori dalle strutture del Cnr, il Consiglio nazionale delle Ricerche ha adottato la strategia di non finanziare progetti a pioggia, ma di finanziare pochi progetti concentrando le risorse. Senza interventi e senza maggiori risorse, però, denuncia Bianco, il Cnr si avvia verso il decadimento. Occorre la deroga al blocco dei concorsi, più soldi, una discussione sul piano triennale che il Cnr ha preparato, una riflessione sullo status giuridico ed economico dei ricercatori. A queste richieste ha risposto il vice ministro con delega alla ricerca scientifica, Guido Possa: obiettivo del Governo è raddoppiare le risorse pubbliche per la ricerca nell'arco della legislatura, fermo restando che "il probema della ricerca non è avere più soldi, ma come vengono spesi". Secondo Possa è importante lo sviluppo della ricerca privata: "Lo Stato - ha detto ieri il vice ministro - non deve sostenere i settori maturi, che dovrebbero interessare le industrie, i finanziamenti pubblici dovrebbero andare alle aree più deboli". Nicoletta Picchio __________________________________________ Il sole24Ore 26 nov. '01 RICERCA EUROPEA: "ALL'ITALIA ANDRÀ IL 10% DEI FONDI" L'Italia dovrebbe aggiudicarsi il 10-11% dei fondi assegnati dal VI programma- quadro di ricerca e sviluppo tecnologico europeo. Lo conferma il vice ministro dell'Università, con delega per la Ricerca, Guido Possa: "Stando ai dati relativi al V programma quadro, è prevedibile che l'Italia riesca a usufruire di un decimo delle risorse a disposizione. Tutto dipenderà ovviamente dai progetti che le nostre imprese, le università e gli enti di ricerca sapranno presentare". Quali saranno, secondo lei, le aree tematiche privilegiate dal nostro Paese? I settori in cui tradizionalmente il nostro Paese si è distinto sono quelli delle tecnologie informatiche, della genomica e post-genomica, quello delle nanotecnologie e anche l'area dell'agroalimentare, che ci vede molto forti. Quali invece i settori nei quali non ci conviene competere? L'aeronautica è uno di questi. La nostra industria ha un valore notevole, ma di certo non regge il confronto con quella francese o tedesca. L'Italia eccelle anche nelle ricerche sulla fusione nucleare... Sì, e a questo proposito vorrei ricordare che mi sono battuto personalmente a Bruxelles e in Lussemburgo perché a questo settore di ricerca fossero destinati, come nel V programma, 788 milioni di euro. Una cifra che la Commissione, sotto le spinte degli antinuclearisti presenti in Germania e in altri paesi del Nord Europa, aveva abbassato a 700 milioni. Questo taglio avrebbe compromesso un progetto italiano di prim'ordine com'è quello chiamato "Iter". Per fortuna, alla fine si è trovata una maggioranza in grado di sostenere i precedenti impegni di spesa. Come cambierà la struttura del VI Programma-quadro rispetto al V? Il VI Programma quadro ha cercato di favorire la concentrazione dei settori della ricerca in poche e precise aree, che sono poi quelle a maggiore potenziale di sviluppo, fugando il rischio di polverizzazione dei progetti che in questo campo è sempre in agguato. Ci sono poi dei nuovi strumenti con i quali dovrebbe essere più agevole conseguire migliori risultati: sono i cosiddetti centri di eccellenza e i progetti integrati. È soprattutto su questi ultimi che deve puntare l'Italia, formando partenariati tra imprese e università o tra imprese e grandi enti di ricerca, in primis il Cnr. Esistono già nel nostro Paese esperimenti simili? Purtroppo siamo ancora molto carenti su questo fronte, ma qualcosa comincia a muoversi. Qualche giorno fa ho visitato all'Ansaldo Camozzi di Sesto San Giovanni gli stabilimenti in cui si sta costruendo il più grande telescopio a livello mondiale, che sarà collocato in Arizona. A questo progetto lavorano sinergicamente, oltre all'azienda meccanica lombarda, l'Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e una piccolissima impresa di Bolzano che, unica al mondo, produce strumenti di precisione indispensabili al funzionamento del telescopio: ecco, questo è il modello da perseguire anche nell'ambito del VI Programma Quadro. Il programma europeo prevede anche l'integrazione di progetti tra più Paesi membri? Proprio così. Anche in questo caso lo scopo è di evitare la dispersione delle risorse. Le faccio un esempio: nell'ambito della ricerca sul cancro della mammella esistono progetti in Italia, Spagna, Francia e Germania. Occorre allora creare un coordinamento tra tutti questi centri, per evitare doppioni inutili, per creare cooperazione e migliorare gli standard di ricerca. Mariolina Sesto __________________________________________ Corriere della Sera 30 nov. '01 TORINO: AL POLITECNICO, ESAMI SUPERATI CON MENO DI "18" Torino: novità a Ingegneria dell'informazione "Ci adeguiamo all'Europa" Torino. Si chiamano "esami incompleti" e sono quelli che uno studente può superare anche se ha conseguito un voto inferiore al 18. Una novità introdotta dalla terza Facoltà d'ingegneria dell'informazione del Politecnico di Torino, che fa già discutere gli ambienti accademici. La sorpresa è accresciuta dal fatto che l'ateneo ha fama di essere particolarmente severo e selettivo. "È un sistema già adottato in Francia nelle Grandes Écoles e nei collegi inglesi - dice il preside della Facoltà, Carlo Nandi, preoccupato che si pensi al suo corso di studi come a una scorciatoia per la laurea - e l'Italia deve armonizzare i propri percorsi formativi con quelli degli altri Paesi europei, come è stato fatto parzialmente con la laurea triennale". Il consiglio di facoltà ha perciò stabilito che possono procedere negli studi anche quei giovani che hanno conseguito risultati "moderatamente negativi". In sostanza, nell'arco di un triennio gli studenti potranno utilizzare tre esami incompleti (cioè con un voto non inferiore a 15), purché la media complessiva non sia inferiore a 23. Un segnale di lassismo? "Nemmeno per idea - ribatte Naldi -, la selezione di entrata alla nostra facoltà è assai severa, inoltre per gli studenti in difficoltà vi sono corsi integrativi e tutor . La preparazione dei nostri iscritti è dunque buona, tant'è vero che finora nessuno ha approfittato della possibilità che gli offre l'esame incompleto, introdotto a maggio". Vantaggi: con questo sistema si arriva prima alla laurea. Naldi ha infatti notato: "Un Paese moderno, con un'economia industriale non può permettersi di avere quadri tecnici di alto livello che passano il loro periodo di maggiore creatività in attesa di laurearsi. La stragrande maggioranza dei giovani deve avanzare negli studi con regolarità". Un'impostazione condivisa dall'ex rettore del Politecnico, Rodolfo Zic, che la giudica "positiva", ma che viene bocciata dall'ex sottosegretario all'Industria e docente alla facoltà di Economia e commercio Giovanni Zanetti: "È un'altra tappa nello svilimento della qualità universitaria". Edoardo Girola Politecnico, basta il 15 per superare l'esame Roma. Analisi, fisica, geometria, chimica. Tra i corridoi, nelle aule del Politecnico di Torino risuonano questi nomi nelle bocche degli studenti dei primi anni: sono gli spauracchi, gli esami-scoglio, le bestie nere di ingegneria. Sono le materie decisive, quelle sulle quali puoi arenarti e non andare più avanti per mesi. E ad arenarcisi sono sempre in molti. Ma presto l'incubo dei primi anni potrebbe diventare solamente un ricordo: sta infatti per crollare il muro del "18". La novità sarà introdotta a Ingegneria dell'Informazione per iniziativa del preside della facoltà, il professor Carlo Naldi. Con l'obiettivo di facilitare gli studenti nel loro percorso e permettere loro di completare gli studi molto più rapidamente. Nella sostanza: per superare alcuni esami non sarà più necessario arrivare al "18" ma si potranno ottenere voti inferiori (non minori di "15" comunque) a patto che la media sul libretto superi la soglia della sufficienza. "Non abbiamo ancora stabilito con precisione per quali materie sarà introdotta questa innovazione è una questione piuttosto delicata e non appena avremo messo a punto la 'riforma' convocheremo una conferenza stampa per comunicare tutte le novità", spiega stamattina il professor Naldi, forte del fatto che l'"aiutino" che sarà introdotto al Politecnico è già stato ampiamente sperimentato, pare con successo, in molti college della Gran Bretagna, della Francia e della Spagna. L'idea nacque in Inghilterra e fu poi adottata anche in altri paesi. Perché il mondo del lavoro chiede ragazzi sempre più giovani e con il sistema antiquato che fa del "18" il voto minimo senza il quale non passi, gli studenti restano bloccati su alcune materie anche per molti mesi dovendo ripetere l'esame più volte. E spesso si scoraggiano al punto di mollare. Il nuovo principio, invece, vuole che lo studente vada avanti a tutti i costi anche se per farlo arrivare alla laurea i professori dovranno chiudere un occhio su piccole lacune qua e là. __________________________________________ L'Unione Sarda 6 nov. '01 CONDANNATI IN CASSAZIONE SETTE BARONI Sono definitive le condanne per sette cattedratici di Otorino laringoiatria che falsificarono in due concorsi i risultati delle prove a cattedre universitarie per favorire i loro figli e i figli dei loro amici. In particolare la quinta sezione penale della Cassazione a Roma ha reso definitiva la condanna per il cagliaritano Paolo Puxeddu, Gaspare Pezzarossa (Napoli), Vittorio Colletti (Verona), Giovanni Motta (Napoli), Carolo Calearo (Ferrara), Italo De Vincentis (Roma) e Salvatore Conticello (Catania). Negata agli imputati la concessione delle attenuanti generiche per l'enorme discredito gettato dai sette baroni nel mondo accademico italiano. __________________________________________ Il sole24Ore 29 nov. '01 SCUOLA, I NUOVI CICLI MORATTI: INVESTIREMO 10 MILIARDI I piani del Governo: rimangono elementari e medie, superiori di 4 anni Ludovico ROMA - Pronta la riforma dei cicli scolastici mentre il ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, annuncia un piano quinquennale di investimenti pari a 10 miliardi di euro. Il testo della commissione ministeriale presieduta da Giuseppe Bertagna prevede istruzione e formazione per tutti fino a 18 anni; la conferma di elementari e medie separate (5+3 anni); superiori che passano da cinque a quattro anni. Al termine delle medie gli studenti sceglieranno tra liceo, istituto professionale o formazione professionale. Il rapporto tra istruzione e mondo del lavoro viene rafforzato nel ciclo secondario e nel sistema di formazione superiore. Novità anche per i docenti: servirà non solo il titolo triennale di laurea, ma anche quello biennale di specializzazione, per poter insegnare dalle materne alle superiori. La proposta, che ribalta la "riforma Berlinguer", sarà discussa agli "Stati generali dell'Istruzione". Il maxi-piano di investimenti fino al 2006, presentato ieri dal ministro Letizia Moratti, prevede un forte impegno finanziario nella valorizzazione professionale e nell'edilizia. Positive le reazioni dei sindacati, Cgil esclusa. ========================================================= __________________________________________ L'Unione Sarda 01 Dic. '01 ECCO LA "MAPPA" DELLA NUOVA SANITÀ: IL POLICLINICO CON S.GIOVANNI DI DIO La sanità cagliaritana si specchia nei conti del bilancio e scopre (ma non era un mistero per nessuno) che c'è qualcosa da rivedere. E da tagliare. Aspettando la discussione attorno al programma di razionalizzazione messo a punto da Efisio Aste, il medico-manager a capo della Asl 8, nel futuro prossimo venturo si profila l'alleanza tra il Policlinico universitario di Monserrato e l'ospedale San Giovanni di Dio. Il rettore Pasquale Mistretta ne ha parlato ieri in Consiglio regionale nel corso dell'audizione davanti alla commissione Sanità. "Tre le due opzioni, un'Azienda universitario-ospedaliera o un'Azienda ospedaliero-universitaria", ha spiegato Mistretta, "abbiamo scelto la seconda, perché è quella che consente una migliore sinergia tra i due soggetti rappresentati dal servizio sanitario regionale e dall'Università". Dall'unione tra Policlinico e ospedale civile, ha spiegato il rettore, dovrebbe nascere un'azienda unica. "Una nuova realtà, per la quale occorre definire i diversi regimi giuridico contrattuali". Si tratta, in pratica, di mettere insieme personale universitario e ospedaliero, dipendente dal servizio sanitario nazionale. Davanti alla commissione Sanità del Consiglio regionale Mistretta ha evidenziato che "un punto è fondamentale ed è costituito dal fatto che l'obiettivo primario dell'Università è quello della formazione dei medici e che, quindi, l'attività ospedaliera e la sua strutturazione deve essere adeguata a questo obiettivo". Stando alle linee guida illustrate da Mistretta, il numero ottimale di posti letto per la nuova struttura è 510. Nel Policlinico sorto accanto alla Cittadella universitaria di Monserrato verranno trasferiti un centinaio di posti letto oggi in funzione nella clinca Aresu, che verrà "smantellata". Policlinico e San Giovanni di Dio, stando alle indicazioni del rettore, avranno una gestione comune e sedi separate. I posti letto del Policlinico saranno 200 per la medicina e fino a 50 per la chirurgia, mentre il resto della disponibilità sarà assicurata dal San Giovanni di Dio. L'audizione di Mistretta in Consiglio regionale segue di un giorno quella del direttore generale della Asl 8, Efisio Aste che, sull'azienda ospedaliera mista, ha detto ai consiglieri regionali che risolverebbe soprattutto i problemi dell'ateneo. Aste, guardando all'Azienda sanitaria locale che dirige, ha illustrato una serie di ipotesi (ma c'è chi dice che sia già tutto deciso) avanzate per bilanciare un disavanzo in bilancio di oltre 215 miliardi. Nell'ipotesi prospettata, l'ospedale Marino, al Poetto, perde la sua storica connotazione traumatologica e ortopedica, visto che "cede" al San Giovanni di Dio la clinica ortopedica. Resta la riabilitazione ortopedica. Il Marino riceve dal San Giovanni i 47 letti della Medicina generale. Con il riordino dell'ex hotel Esit sono previsti letti anche per la farmaceutica clinica, il day hospital e il centro per le cefalee. Al Marino sta per partire (con un bel po' di ritardo) anche l'Unità spinale, con 15 posti letto. All'ospedale oncologico Businco ci sarà spazio per il servizio di neurochirurgia (già in funzione) e per la terapia antalgica (l'attrezzatura esistente è disponibile solo in quattro o cinque sedi in tutta Italia), che risolve molte patologie del dolore e rappresenta un punto di riferimento per tutta la Sardegna. Al Santissima Trinità di Is Mirrionis ci saranno 19 posti in meno di ostetricia e 15 in meno in chirurgia pediatrica. Il "Santissima" guadagna 5 posti di riabilitazione ortopedica e altrettanti di riabilitazione cardiologica. Sette posti al pronto soccorso, 7 alla gastroenterologia e 4 alla nefrologia per la dialisi dei portatori di malattie infettive. Nel calderone, c'è anche la chiusura del poliambulatorio di viale Trieste. E. D. __________________________________________ la Nuova Sardegna 01 Dic. '01 POLICLINICO: PER I RETTORI IL FUTURO È NELLE AZIENDE MISTE Audizione di Mistretta e Maida"Sinergie ospedalieri-universitari" di Alfredo Franchini CAGLIARI. I rettori delle due università sarde per la Sanità del futuro puntano sulle "Aziende miste". Con motivazioni differenti, Pasquale Mistretta e Alessandro Maida l'hanno affermato nell'audizione avuta con la Commissione Sanità, presieduta da Noemi Sanna, la quale ha voluto capire qual è l'opinione dell'Università sull'applicazione della riforma fatta dall'ex ministro Bindi. CAGLIARI. I rettori delle due università sarde per la Sanità del futuro puntano sulle "Aziende miste". Con motivazioni differenti, Pasquale Mistretta e Alessandro Maida l'hanno affermato nell'audizione avuta con la Commissione Sanità, presieduta da Noemi Sanna, la quale ha voluto capire qual è l'opinione dell'Università sull'applicazione della riforma fatta dall'ex ministro Bindi. Pasquale Mistretta, rettore dell'Università di Cagliari, ha illustrato alla commissione la situazione delle cliniche universitarie alla luce delle linee guida indicate dai documenti dell'assessore. "Delle due opzioni che avevamo davanti", ha spiegato Mistretta, "e cioè un'azienda universitaria-ospedialiera e un'azienda ospedaliera-universitaria, a seconda della caratterizzazione che si intende dare alla struttura, abbiamo scelto la seconda". Il motivo è semplice: "Perché è quella che consente una migliore sinergia tra i due soggetti rappresentati dal servizio sanitario regionale dell'Università". Tale sinergia - ha continuato Mistretta - è stata individuata tra il policlinico di Monserrato e l'ospedale "San Giovanni di Dio" dalla cui unione dovrebbe nascere un'unica azienda "ospedaliero-universitaria". Si tratta di una nuova realtà per la quale occorre definire i diversi regimi giuridico contrattuali, trattandosi di dover mettere insieme personale universitario e personale ospedaliero dipendente dal servizio sanitario. Un punto è fondamentale: "Il fatto che occorrerà sempre tenere fermo che l'obiettivo primario dell'Università è quello della formazione dei medici e che quindi l'attività ospedaliera e la sua strutturazione dev'essere adeguata a quell'obiettivo". Mistretta ha specificato che il numero ottimale dei posti letto dovrebbe essere di 510 e ha annunciato che è stato deciso che nella nuova cittadella universitaria sarà convogliato anche il centinaio di posti letto attualmente in funzione alla clinica Aresu (questa sarà smobilitata). Nella cittadella universitaria saranno funzionanti 200 posti letto per la medicina e fino a 50 per la chirurgia, mentre il resto della disponibilità sarà assicurata dal San Giovanni di Dio. Alessandro Maida (Università di Sassari) si è detto favorevole alla costituzione di un'Azienda mista: "Non comprendiamo", ha detto Maida, "quali siano le ragioni per cui non si possa avere un rapporto chiaro con la Regione. Noi vogliamo collaborare senza creare situazioni di disagio: se i dipartimenti suscitano timori, troviamo un'altra formula senza preclusioni. Non abbiamo ansia di predominio e il fatto che nel Sassarese non ci siano case di cura private (al contrario di quanto accade a Cagliari, Ndr), dimostra quanto l'Università tenga alla funzione pubblica della sanità". Il preside di Medicina, Rosati, ha poi fornito le cifre ufficiali: 607 posti letto convenzionati, 19 mila e più ricoveri mentre il Santissima Annunziata ha più posti letto e un numero analogo di ricoveri. Sassari è l'unica Facoltà di Mecicina inserita dentro una Asl", ha concluso Rosati, "è arrivato il momento di superare la steruile contrapposizione tra ospedale e Università". __________________________________________ L'Unione Sarda 29 nov. '01 TALASSEMIA: LA PROTESTA CONTRO PESARO L' attribuzione, da parte del Ministero della Sanità, del ruolo di Centro di riferimento italiano per la cura e la prevenzione della talassemia all'Istituto Ematologico di Pesaro è stata criticata dai consiglieri regionali Emanuele Sanna, Raimondo Ibba e Pierpaolo Vargiu che hanno inviato un documento di protesta ai presidenti di Giunta e Consiglio regionale, all'assessore della Sanità e ai parlamentari sardi. L'unico centro italiano che dispone di tutti i requisiti strutturali e delle necessarie competenze nel campo della ricerca delle cure e della prevenzione della talassemia - è detto nel documento dei tre consiglieri regionali - è sicuramente l'Istituto regionale per le Microcitemie della Sardegna, che si è particolarmente contraddistinto nella comunità scientifica internazionale e da circa vent'anni è riconosciuto come "Centro di riferimento Oms per il controllo delle emoglobinopatie". Sanna, Ibba e Vargiu definiscono "grave il tentativo di disconoscere tutti i rilevanti risultati ottenuti dal Centro sardo, attribuendo il ruolo, con le relative risorse a un Istituto che non dispone di tutti i requisiti necessari per la funzione di Centro di riferimento nazionale per le talassemie". __________________________________________ L'Unione Sarda 30 nov. '01 TALASSEMIA: "NON DECLASSATE IL MICROCITEMICO" Pesaro sarebbe stata preferita all'ospedale cittadino come epicentro della ricerca sulla talassemia In gioco un progetto internazionale e una settantina di miliardi Pesaro preferita a Cagliari come epicentro della ricerca internazionale della talassemia. Basta l'indiscrezione per far gridare allo scandalo. E la possibilità che sia l'ospedale delle Marche, e non il Microcitemico cagliaritano, a incassare i 69 miliardi previsti dal Governo per scatenare una vera e propria rivolta popolare e istituzionale. Come se in un colpo solo venissero cancellati il lavoro e tutti i risultati ottenuti negli anni dall'istituto di via Jenner: "L'unico", è stato detto sia in Consiglio regionale che in Parlamento, "ad avere meriti, requisiti e professionalità per un progetto così importante". Secca e puntuale la smentita dei vertici dell'esecutivo nazionale. Che, all'interrogazione del deputato sardo di Forza Italia, Piergiorgio Massidda, hanno replicato precisando che nella finanziaria non è previsto alcun passaggio, almeno per ora. Una premessa che deve tuttavia fare i conti con le indiscrezioni che, giorno dopo giorno, si fanno sempre più insistenti. L'ospedale di Pesaro sarebbe stato infatti scelto per la realizzazione di un progetto che prevede l'istituzione, in Italia, di un centro di riferimento per tutti i paesi del mondo dove è presente la talassemia. Il Centro non si limiterebbe alle attività di ricerca, prevenzione, cura e assistenza: dovrebbe ospitare anche una scuola per medici. Il ministero degli Esteri potrebbe mettere subito a disposizione circa 9 miliardi, altri 60 dovrebbero essere individuati nella prossima legge finanziaria. Una mina che serpeggiava da tempo tra i banchi del Parlamento, a sollevarla è stato poi il deputato sardo, circa tre settimane fa, attraverso un'interrogazione al presidente del Consiglio e ai ministri di Sanità ed Esteri. "La mia è stata più che altro un'azione preventiva", spiega Massidda: "Sapevo che non risultava alcun progetto, ma non volevo assistere impotente a eventuali colpi di coda". Voci di corridoio, ma non solo. "So per certo", sottolinea il deputato azzurro, "che un sottosegretario stava spingendo per inserire Pesaro all'interno della finanziaria. E lo stesso ministro della Sanità Sirchia mi ha dato ragione: nel caso si decidesse di portare avanti il progetto la scelta non può essere fatta a priori". Risultato: anche il microcitemico cagliaritano (a furor di popolo) entra ufficialmente in corsa, insieme a quello di Palermo e Pesaro, per la leadership mondiale nella ricerca della talassemia. Anche se la partita si presenta già in salita. "Cagliari sarebbe la scelta naturale", dice Massidda, "soprattutto per i risultati ottenuti negli ultimi anni, tra i quali la riduzione dei nuovi nati affetti da talassemia in Sardegna, una sopravvivenza libera da malattia dopo il trapianto di midollo allogenico del 90-95 per cento e un'attività scientifica di alto livello". Nei giorni scorsi, l'invito a difendere a spada tratta l'istituto di via Jenner e a non abbassare la guardia è arrivato anche dai banchi del Consiglio regionale. Un appello unitario firmato dai consiglieri medici di maggioranza e opposizione Emanuele Sanna (Ds), Mondino Ibba (Fsd) e Pierpaolo Vargiu (Riformatori). Fabiano Gaggini __________________________________________ L'Unione Sarda 30 nov. '01 ANTONIO CAO: PER NOI SAREBBE UNA BEFFA "Giù le mani dal Microcitemico". Politici, medici, esperti, ma non solo loro, lanciano la sfida: "Se il Governo decide di realizzare un Centro internazionale per la ricerca della talassemia, l'istituto di via Jenner è la scelta più naturale". Parlano i fatti, i numeri, i risultati ottenuti grazie a un'equipe di altissimo livello che tutto il mondo ci invidia. E a sottolinearlo sono soprattutto gli esperti: "Da quindici anni", ricorda Antonio Cao, "padre" della ricerca sulla talassemia nell'Isola, "il nostro Centro è stato nominato "Who collaborative centre for comunity control of inherited hemoglobinopathies". Un riconoscimento che nessun centro italiano aveva mai ricevuto prima". E che, stando alle indiscrezioni che circolano tra i banchi del Parlamento, non sarebbe stato preso in considerazione dal Governo. "Se così fosse", sottolinea Cao, "sarebbe un comportamento inaccettabile. E non perché Cagliari è meglio di Pesaro: una decisione di questo tipo spetta esclusivamente ai tecnici competenti, scientifici, in qualità di consulenti dei politici". Una beffa che ha colto di sorpresa un po' tutti in città. La speranza ora è che gli interventi politici, sia a livello nazionale che regionale, riescano a far dirottare il Governo verso via Jenner. Un motivo in più è sicuramente l'incidenza della malattia nel territorio isolano: con 1300 talassemici, la Sardegna ha il più alto numero di malati in base alla popolazione. "A Pesaro, tanto per intenderci", precisa Cao, "la talassemia è pressoché inesistente". Così come sono (almeno per ora) inesistenti numerose strutture e professionalità, fatta eccezione per il trapianto dei midolli, per un'azione di controllo a trecentosessanta gradi. "Da questo punto di vista, quindi, l'ospedale delle Marche", sottolinea ancora l'ex direttore del Microcitemico, "risulterebbe monco e pertanto inadatto a un progetto di queste dimensioni". Sulla stessa linea il presidente regionale dell'Associazione talassemici, Giorgio Vargiu. "Il nostro Centro", sottolinea, "è sicuramente l'unico che, per i meriti e per i requisiti conquistati sul campo della ricerca, può ottenere un riconoscimento simile. Un ospedale di sicuro all'avanguardia: sia dal punto di vista dell'assistenza che della diagnostica". Lo stesso Vargiu tuttavia avverte: "Se il Microcitemico di Cagliari è il Centro pilota e quindi trainante, anche gli altri centri di cura della Sardegna non vanno dimenticati". Sulla vicenda è intervenuto anche il deputato di Forza Italia eletto nel collegio di Olbia, Paolo Cuccu. Il parlamentare ha infatti presentato un'interrogazione al ministro della Sanità, Gerolamo Sirchia, sul Centro di riferimento italiano per la cura e la prevenzione della talassemia. In particolare, ha chiesto - se la notizia di Pesaro come sede corrispondesse al vero - di "salvaguardare e soprattutto valorizzare una struttura sanitaria internazionale, quella cagliaritana appunto, riconosciuta come tra le più qualificate nel settore. E che vedrebbe sicuramente ridimensionate le proprie potenzialità nel caso dovessero venire meno i finanziamenti previsti". F. G. __________________________________________ L'Unione Sarda 01 Dic. '01 MICROCITEMICO ADDIO, TRAPIANTI AL BINAGHI Dopo il clamoroso ridimensionamento del centro di riferimento regionale per la talasasemia Il centro-pilota di Pesaro punta sull'ospedale di Monte Urpinu A Pesaro nascerà una scuola internazionale per i trapianti di midollo osseo, ma è previsto un collegamento operativo con il centro trapianti del Binaghi. La decisione del governo di puntare sul polo marchigiano per la cura della talassemia potrebbe regalare un ruolo di primo piano all'ospedale di Monte Urpinu, mentre è destinato a restare fuori dalla partita il Microcitemico, finora il più importante centro della Sardegna per la cura delle malattie genetiche del sangue. Il polo sanitario di Pesaro potrà contare su un finanziamento del ministero della Sanità, con un piano triennale da venti miliardi all'anno (inserito nella Finanziaria). Ma altri dieci miliardi arriveranno dal bilancio del ministero degli Esteri, nell'ambito di un progetto di cooperazione internazionale. L'input per una scuola dei trapianti è partito fuori dall'Italia, sopratutto dal mondo arabo mediorientale, dove l'incidenza della talassemia è forte ma la tecnica del trapianto di midollo è ancora agli albori. Il centro di Pesaro - guidato dal professor Guido Lucarelli - ha trovato subito la rotta giusta per arrivare ai finanziamenti del governo. Già dall'inizio del 2002 potrebbero arrivare nella città marchigiana decine di medici genetisti stranieri per partecipare agli stage di perfezionamento sulla talassemia. Il centro trapianti di Pesaro sarebbe così destinato ad assumere una posizione di altissimo prestigio nella comunità scientifica internazionale. La notizia fa tremare i muri dell'ospedale microcitemico cagliaritano. Con questo scenario è destinato a subire un fortissimo colpo all'immagine e al ruolo che - sotto il traino del professor Antonio Cao - sembrava ormai consolidato e inattaccabile. Il ridimensionamento del presidio sanitario di via Jenner contrasta con il possibile exploit del Binaghi: Lucarelli ha rivelato la sua intenzione di stringere rapporti stretti con il centro trapianti dell'ospedale cagliaritano. E il responsabile del centro Giorgio La Nasa conferma: "Il nostro presidio avrà un ruolo importantissimo, soprattutto per le competenze sui trapianti per donatori non consanguinei e per il registro dei donatori volontari di midollo osseo". Per La Nasa non c'è stato alcuno scippo nei confronti del Microcitemico: "La leadership sui trapianti di midollo del centro di Lucarelli è fuori discussione". Il Governo guarda a Pesaro ma il deputato di Forza Italia Piergiorgio Massidda è sicuro "che i giochi non siano ancora fatti". D'altronde "la mia interrogazione al ministro Sirchia ha bloccato questa operazione. Lotterò fino all'ultimo istante per evitare che la Sardegna perda un treno così importante per lo sviluppo scientifico. A Cagliari c'è il più grande centro di cura della talassemia e il settore dei trapianti non può essere isolato altrove". Il parlamentare azzurro se la prende anche con le "lotte intestine locali, che assecondano l'arretramento della Sardegna nel campo scientifico". Anche i deputati sardi dei Ds -Antonello Cabras, Pietro Maurandi e Francesco Carboni - sottolineano che "al momento non c'è stata alcuna previsione di stanziamenti per Pesaro nella Finanziaria all'esame della Camera. In ogni caso siamo impeganti a sostenere una battaglia affinché il Microcitemico ottenga il giusto riconoscimento come centro di riferimento italiano per la cura e la prevenzione della talassemia". I Ds tendono la mano agli altri parlamentari sardi: "Al di là degli schieramenti, dobbiamo assumere iniziative comuni per far ottenere al Microcitemico i riconscimenti a cui ha diritto". Una lettera al ministro della Salute è stata inviata anche dai consiglieri regionali Nazareno Pacifico e Ivana Dettori. Giulio Zasso __________________________________________ Il sole24Ore 26 nov. '01 SANITÀ, I RESPONSABILI CAMBIANO PELLE Figure innovative - Il Cergas-Bocconi analizza le funzioni di vertice e di staff che si stanno affermando in Asl e ospedali Altro che ragionieri-capo, economi-provveditori, capi del personale, responsabili delle manutenzioni o del Ced. Nell'organizzazione del Servizio sanitario nazionale che pur faticosamente avanza, è tempo di nuove funzioni, di nuove figure che irrompono, che si conquistano un mercato nuovo di zecca e che spezzano tradizionali steccati, burocratici e di carriera. Il modello aziendalistico del Ssn, pur incompleto e non esattamente diffuso a macchia d'olio, è ormai fatto di controller, di addetti marketing, di ingegneri clinici, di responsabili della qualità e di sistemi informatici. Personaggi sempre più "acquistati" sul mercato, ma anche faticosamente riconvertiti "pescando" tra il personale già in servizio, che stanno diventando le figure dominanti nelle Asl e negli ospedali pubblici. Le leve del cambiamento, insomma, perché in possesso delle competenze tipiche di un modello aziendalistico. È il nuovo che avanza. Perché il Ssn - per rispondere ai fabbisogni emergenti che impietosamente hanno messo a nudo l'impossibilità di gestire con vecchi sistemi organizzativi 77,4 miliardi di (150mila miliardi di lire) di spesa pubblica e ai desiderata in crescita degli assistiti - è diventato a sorpresa la fucina di un nuovo modo di "fare" amministrazione pubblica. Il Ssn è anzi la punta più avanzata del tentativo di riorganizzare i servizi pubblici: parola del Cergas-Bocconi, che in un'ampia ricerca su "Le funzioni innovative nelle aziende sanitarie", presentata la scorsa settimana a Firenze nell'ambito del "4° Forum europeo dei servizi sanitari" organizzato da Pharmacia corporation, ha scandagliato limiti e opportunità di sei funzioni organizzative che dovrebbero caratterizzare quel modello di gestione aziendalistica che sta cercando di conquistarsi una legittimazione interna: controllo di gestione, ingegneria clinica, marketing, politiche e valutazione del personale, qualità, sistemi informativi. L'istantanea della febbre aziendalistica offerta dalla ricerca, è, come spesso accade, quella di un Ssn che marcia a più velocità. Più in fretta vanno senz'altro le Usl, colpite per prime dal fascino dell'evoluzione aziendale e dunque pronte in molti casi a consolidare funzioni avviate con spirito pionieristico, mentre la diversa vocazione dell'ospedale incide su ambiti d'azione specifici, come quello della funzione di ingegneria clinica, prettamente orientata alla gestione del patrimonio tecnologico. Quel che è certo è che, ovunque, all'evoluzione delle nuove funzioni si accompagna la rivoluzione completa di ruoli e carriere. Medici, fisici, sanitari, biologi, veterinari si ritrovano di colpo a gestire la programmazione; ausiliari vengono coinvolti nel marketing, mentre chi gestiva le relazioni sindacali si trova a progettare strumenti di valutazione delle risorse umane. E a completare la rivoluzione che sta movimentando le ingessate strutture del Ssn c'è l'avvento di una nuova classe di potere: quella dei neo-assunti nelle posizioni di controllo che - scrive il Cergas - "godono di percorsi agevolati e più rapidi per l'inserimento nei "posti alti" dell'organigramma aziendale". Il tutto aggravato dal fatto che per sceglierli si preferisce ricorrere al mercato e "la competenza e il curriculum formativo esterno diventano fattori competitivi nuovi nel contesto del pubblico impiego". In più d'un caso può derivarne un bene, lascia capire il Cergas citando i numerosi casi di riprofessionalizzazione interna alle strutture indotta dalla rivoluzione in atto. Il tutto a patto però - avvertono in qualche caso i ricercatori - di non cedere troppo alla sirena dell'esternalizzazione almeno sulle cose che davvero contano. Per non ritrovarsi con aziende, dotazioni e servizi appiattiti dalle esigenze degli "appaltatori". a cura di Sara Todaro Roberto Turno __________________________________________ L'Unione Sarda 01 Dic. '01 SENZA TICKET LE ASL SARDE AFFONDANO Sanità in rosso con le spese per i farmaci e per i nuovi contratti Il colpevole è lui: il ticket, obolo forzato e più che detestato dal popolo della ricetta rosa. La sua scomparsa ha sbancato le casse delle Asl ridando fiato al malvezzo nazionale di confondere la farmacia col supermercato: scorte di pillole come se si trattasse di spaghetti. Tanto sono gratis. Complice del principale imputato, il rinnovo dei contratti di lavoro di dirigenti, medici e infermieri con conseguente lievitazione (modestissima secondo i diretti interessati) degli stipendi. Così almeno dicono i direttori generali delle otto Asl isolane per giustificare il profondo rosso nei bilanci delle loro aziende. Di sprechi, disorganizzazione e scarsa capacità manageriale neanche a parlarne. Tagli delle spese o chiusura di ospedali, poi, più che possibili rimedi sono autentici tabù. A meno che l'ordine non arrivi da molto, molto in alto. "I costi si potranno ridurre quando saranno applicati i livelli essenziali di assistenza indicati dalla Conferenza Stato Regioni. Anche la riorganizzazione può contribuire e non poco", dice Efisio Aste, manager dell'Asl 8 (Cagliari). "Si spende - spiega - in base a quello che si dà: ci dicano quali servizi dobbiamo offrire e noi li assicureremo nel modo migliore e più economico". Al di là dei buoni propositi, comunque, pare di capire che in futuro non ci saranno grossi risparmi. "La verità è che i soldi non bastano", sostiene Antonio Scano (Asl 1 di Sassari). E spiega perché: "Il nostro territorio è vasto, circa 70 Comuni, e vi sono grossi problemi di mobilità sia per le distanze che per i tempi di percorrenza. In questo scenario non possiamo certo permetterci di chiudere i piccoli ospedali del territorio". Spano ricollega gli insuccessi economici anche a un contrasto mai sanato: "Per migliorare l'efficienza è indispensabile definire i rapporti con l'Università che condizionano le nostre strategie". Manco a farlo apposta, proprio ieri il rettore dell'Ateneo sassarese, Alessandro Maida, ha sponsorizzato la nascita di un'azienda mista "per superare la sterile contrapposizione tra università e ospedale". "I budget sono sottostimati in tutta Italia, ecco perché poi viene fuori il buco di bilancio. Aumentano gli stipendi, eliminano il ticket ma non integrano i finanziamenti", lamenta il direttore amministrativo dell'Asl 6 (Sanluri) Giuseppe Sau. "Per quanto ci riguarda siamo ai livelli fondamentali di assistenza e c'è alcuna possibilità di contrazione". La pensa allo stesso modo, Efisio Scarteddu, direttore generale dell'Asl 2 (Olbia): "Certo, la spesa si può ottimizzare, ma non credo che ciò possa portare a grossi risparmi. La verità è che le risorse devono essere adeguate alle prestazioni che noi siamo obbligati a garantire". A complicare la vita di Italo Fancello (Asl 4, Lanusei) è invece l'alto "tasso di ospedalizzazione", ovvero una gran voglia di ricovero: "La media nazionale per mille abitanti, è di 160 ricoveri, in Ogliastra invece è di 220 che in alcuni paesi - precisa - raggiunge punte di 400. Poiché ogni ricovero costa circa tre milioni e mezzo, si fa presto a capire perché non riusciamo a stare nei limiti del budget. Ci penalizza anche la mancanza di specialisti che qui non vogliono venire. Se la Regione ci assicurasse i necessari incentivi riusciremo a convincerli". Franco Mariano Mulas (Asl 3 Nuoro) gioca sul paradosso: "Se chiudo i tre ospedali periferici (Sorgono, Isili, Bosa) vado in attivo. No, non è un'ipotesi, solo una battuta. Una scelta simile provocherebbe la rivolta degli utenti che hanno diritto a essere assisti a una ragionevole distanza da dove risiedono". Per Emilio Simeone risparmiare è possibile "recuperando denaro oggi speso in attività esterne". Ovvero curando in casa i propri pazienti ora costretti a emigrare verso altre Asl o a ricorrere a privati convenzionati. "Una "mobilità" che a noi costa 32 miliardi l'anno", lamenta Eugenio Strianese (Asl 5 Oristano). Cause diverse, stesso risultato: i conti non tornano mai. Stefano Lenza __________________________________________ L'Unione Sarda 30 nov. '01 SANITÀ SARDA, BUCO DA 750 MILIARDI L'assessore contesta le cifre fornite nel corso di un'audizione in commissione dai direttori generali L'allarme delle Asl in Consiglio. Oppi: sono calcoli sbagliati Il buco della sanità sarda è ormai una voragine: 747 miliardi stimati per il 2001, un dato che potrebbe anche peggiorare da qui alla fine dell'anno. Lo hanno detto ieri i direttori generali delle Asl, ascoltati in audizione dalla commissione Sanità del Consiglio regionale per l'esame del piano di razionalizzazione della rete ospedaliera. Ma l'assessore della Sanità, Giorgio Oppi, contesta le cifre: "Molti direttori generali - dice - non conoscono i numeri ed evidentemente non sono bravi in matematica. Sanno benissimo che stiamo erogando risorse finanziarie per azzerare i debiti del '98 e del '99 per un totale di 236 miliardi". Secondo Oppi il buco ammonta a non più di 500 miliardi: "Sempre tanti ed è per questo che la razionalizzazione della rete ospedaliera deve andare avanti". Secondo l'assessore, la colpa del buco è soprattutto della spesa farmaceutica, ma anche del rinnovo del contratto dei medici. In qualche caso, come a Sassari, la situazione è drammatica: "L'80 per cento dei fondi in bilancio - dice Noemi Sanna, presidente della commissione Sanità - servono per coprire il costo del personale". Ma Oppi avverte i manager: "Chi non raggiunge gli obiettivi andrà a casa". CAGLIARI.Profondo rosso per i conti della Asl 8 di Cagliari: il disavanzo previsto per quest'anno è di 215 miliardi. "Da qui - dice il direttore generale Efisio Aste - la necessità di contenere le spese". Il progetto prevede una serie di tagli (la chiusura dei poliambulatori di viale Trieste a Cagliari e di Quartu, il presidio multizonale e il ridimensionamento di Chirurgia pediatrica). Ma razionalizzare, ha spiegato Aste, significa anche rendere funzionali alcuni ospedali: il Marino perderà la sua clinica ortopedica che verrà trasferita al San Giovanni di Dio dal quale arriverà la Medicina generale (con 47 posti letto). Conti in regola, invece, per l'azienda ospedaliera Brotzu. Il direttore generale Franco Meloni ha spiegato che "il deficit è di 8 miliardi ma escludendo gli ammortamenti siamo in attivo". SASSARI.Il deficit quest'anno arriverà a quota 230 miliardi, contro i 160 del 2000. Il direttore generale Antonello Scano ha spiegato che la razionalizzazione della rete ospedaliera "potrà essere effettuata al meglio quando si avrà il piano sanitario regionale". L'azienda sanitaria conta 5,8 posti letto ogni mille abitanti contro i 4 stabiliti dal piano della Giunta, ma Scano non vuole tagliare. "Ci sono strutture da riconvertire - ha risposto Scano - più che da tagliare in senso stretto. Al massimo possiamo rinunciare a 300 posti letto". LANUSEI. L'Asl ogliastrina (che serve 59 mila abitanti) ha in Sardegna il tasso più alto di ospedalizzazione e prevede di chiudere il bilancio 2001 con un passivo di 17 miliardi. "I nostri malati scelgono altre Asl perché mancano gli specialisti". ORISTANO.Buco da 60 miliardi per la Asl di Oristano. Il manager Eugenio Strianese ha parlato della mancanza dei servizi "di otorino, oculistica e neurologia che provoca la fuga dei malati: una fuga che ci costa quattro miliardi all'anno". SANLURI. Il direttore generale, Chicchi Trincas, ha annunciato che la Asl chiuderà l'anno con un passivo di 20 miliardi. CARBONIA.Il deficit per il 2001 si aggirerà tra i 50 e i 70 miliardi. Per il direttore generale Emilio Simeone è arrivato il momento "di una nuova ridistribuzione dei posti letto", ma la Asl sta studiando "una riorganizzazione sia per quanto concerne il piano strutturale che quello dei servizi". NUORO.Cento miliardi di buco: i bilanci dell'Asl sono vistosamente in rosso, ma è "il prezzo che si paga - ha detto il manager Franco Mulas - per garantire servizi a un territorio di 5.200 chilometri quadrati, con una popolazione distribuita in 77 Comuni. OLBIA. Un deficit di 27 miliardi, che, per ammissione del manager Efisio Scarteddu, non sembra destinato a ridursi. "Qualche risparmio è possibile - ha detto il direttore generale - riducendo il personale, ma nella sostanza le cose non cambieranno". Fabrizio Meloni __________________________________________ Repubblica 30 nov. '01 COSÌ L'AIDS UCCIDE UN BIMBO AL MINUTO KOFI ANNAN L'epidemia di Hiv/Aids è un disastro di proporzioni globali. Più di 40 milioni di persone convivono oggi con il virus. L'area più colpita è l'Africa subsahariana, dove l'emergenza Aids è tanto acuta da costituire ormai uno dei principali ostacoli allo sviluppo. Seguono, a breve distanza, alcune zone dell'Asia e dei Caraibi. Ma anche nell'Est europeo la malattia si sta diffondendo a un ritmo allarmante. Per troppo tempo, in tutto il mondo i progressi per far fronte all'Aids sono stati purtroppo molto lenti, e mai commisurati alla portata di questa sfida. Ma nell'anno che sta per concludersi, importanti settori della comunità internazionale hanno infine incominciato ad prendere nettamente coscienza delle reali dimensioni della crisi. L'opinione pubblica è stata mobilitata dai media, dalle organizzazioni non governative, da numerosi attivisti, medici, economisti oltre che da gruppi di sieropositivi. Le società farmaceutiche hanno messo a disposizione i loro farmaci a prezzi più accessibili per paesi poveri. Sono sempre più numerose le imprese che attuano programmi di prevenzione e cura destinati non solo ai loro dipendenti, ma anche a settori più ampi della comunità. Varie Fondazioni offrono contributi sia sul piano finanziario che su quello intellettuale. Nei paesi donatori come in quelli più colpiti dall'epidemia si nota oggi una crescente consapevolezza del rapporto inscindibile tra prevenzione e cura. E si comprende anche meglio quanto sia gravoso il prezzo pagato dalle donne, e quale ruolo chiave possano giocare nella lotta contro la malattia. L'intera famiglia delle Nazioni Unite è pienamente impegnata nella battaglia contro l'Aids, attraverso l'elaborazione di un piano strategico comune e il sostegno offerto dal programma Unaids agli sforzi compiuti a livello nazionale, regionale e globale. Ma l'aspetto forse più importante è la nuova coscienza, il nuovo impegno che anima oggi i leader di molti governi, soprattutto nei paesi africani. Nel giugno scorso ha avuto luogo una Sessione speciale dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, con l'obiettivo di mettere a punto un'azione complessiva. I paesi membri hanno adottato in questa occasione una dichiarazione di forte impegno per una svolta decisiva nell'affrontare a titolo prioritario questa sfida globale. Gli stati membri hanno riaffermato l'impegno, già annunciato dai leader mondiali nella Dichiarazione del Millennio, di fermare la diffusione dell'Aids e determinare un'inversione di tendenza entro il 2015. Hanno inoltre definito una serie di obiettivi, ambiziosi ma non per questo privi di realismo, con l'indicazione di scadenze precise: portare entro il 2005 la spesa annua globale per la lotta contro l'Aids nei paesi a reddito medio/basso a 7 - 10 miliardi di dollari; assicurare in tutti i paesi, sempre entro il 2005, l'attuazione di un'ampia gamma di programmi di prevenzione; e promuovere con urgenza la creazione di un Fondo che contribuisca a finanziare misure tempestive e ad ampio raggio per combattere l'epidemia. A soli sette mesi dalla mia proposta di istituire questo nuovo organismo internazionale, con il compito di sostenere la lotta globale contro l'Aids e altre malattia infettive, il Fondo aveva già raccolto più di un miliardo e mezzo di dollari. Certo, non è pensabile che sia questo l'unico canale per convogliare le risorse necessarie ad affrontare globalmente e a tutti i livelli il problema dell'Aids. Ma ciò che più ci ha incoraggiato è la serie degli impegni sottoscritti sia dalle nazioni più ricche del mondo - a incominciare dal contributo finanziario concesso nel maggio scorso dagli Stati Uniti - sia da quelle più povere, così come dalle varie fondazioni e imprese e da privati cittadini. Oggi abbiamo chiara davanti a noi la via da seguire. Disponiamo delle conoscenze e degli strumenti necessari. Ciò che serve ora è sostenere la volontà politica di combattere l'Aids. Dopo l'11 settembre, siamo tutti portati a riflettere più profondamente su quale mondo vorremmo lasciare ai nostri figli. Che è poi quello stesso al quale aspiravamo il 10 settembre. Un mondo in cui l'Aids non uccida più un bambino ogni minuto. Ecco perché a una tragedia non ne dobbiamo aggiungere un'altra. L'autore è segretario generale delle Nazioni Unite (Traduzione di Elisabetta Horvat) __________________________________________ Corriere della Sera 29 nov. '01 AIDS, IN ITALIA DIECI NUOVI CASI OGNI GIORNO In tutto il mondo 40 milioni di contagiati. Cresce l' allarme nell' Europa dell' Est e in Cina De Bac Margherita Aids, in Italia dieci nuovi casi ogni giorno In tutto il mondo 40 milioni di contagiati. Cresce l' allarme nell' Europa dell' Est e in Cina ROMA - In Botswana un neonato ha di fronte a sé un' aspettativa di vita di appena 40 anni. Come ai temp i degli antichi romani. Ed è lo stesso nella maggior parte dei Paesi africani. Sud del mondo, è qui che l' Aids è una catastrofe, è qui che si concentrano il 95% delle infezioni dell' intero globo. L' epidemia rischia di cancellare un continente, que llo africano e sta conquistando in modo devastante altri territori, come la Cina che fino a poco tempo fa negava il problema, o l' India. In 20 anni la malattia ha ucciso 20 milioni di persone e ha seminato il suo virus, l' Hiv, in altri 40 milioni d i individui. Primo dicembre, Giornata mondiale contro l' Aids organizzata dall' Unaids, il coordinamento di Onu e Organizzazione mondiale della sanità. Bilanci terrificanti, ovunque si guardi. Anche nell' Europa dell' Est e nell' ex Unione Sovietica, specie in Russia e Ucraina, è allarme rosso. L' aumento dei sieropositivi, cominciato dopo la caduta del Muro, è maggiore che in qualsiasi altra realtà. La chiamano la bomba al neutrone. Ed è già esplosa tra i tossicodipendenti. "Siamo solo all' ini zio", prevede Peter Piot, direttore di Unaids. L' Italia a confronto è un paradiso. Drasticamente calati, rispetto al picco del ' 95, i nuovi casi di Aids, cioè i pazienti che entrano nella fase sintomatica della malattia. Per il 2001 la stima è di 1 .700. Circa 17 mila le persone che convivono con la sindrome e possono contare su una discreta qualità di vita. Resta però invariata, se non addirittura in aumento, la quota dei sieropositivi, cioè degli individui che si sono infettati col virus dell ' Hiv. La stima è di 120-150 mila infetti dall' inizio dell' epidemia (' 93). Fra questi, 80-110 mila sono ancora vivi, il 30% donne. Segnali positivi, ma il virus non si è fermato. Ogni giorno colpisce 10 persone. "Manteniamo vivo l' impegno contro l' Aids. L' Italia è fortemente impegnata anche nei Paesi in via di sviluppo - dice il ministro della salute Girolamo Sirchia - Speriamo di recuperare con lo studio del vaccino (quello italiano, avvio della sperimentazione sull' uomo entro il 2002, n dr), unica arma contro la malattia". Per ora si punta sui farmaci antiretrovirali, gli inibitori della proteasi. Ce ne sono di nuovi, associati a sostanze che ne impediscono l' eliminazione per via renale e quindi consentono una posologia ridotta. La Giornata mondiale di sabato ha uno slogan "Io ci penso...e tu?". Un invito a prendersi cura della propria salute rivolto soprattutto ai giovani maschi, come ha voluto l' Unaids. Fino a domani gli utenti Tim, partner del ministero, riceveranno questa domanda sul cellulare con un messaggio Sms. Sempre sabato dalle 10 alle 18 si può chiamare il numero verde 800 861061 per parlare agli esperti dell' Istituto superiore di sanità. Margherita De Bac mdebac@corriere.it __________________________________________ Corriere della Sera 27 nov. '01 "LA SCOPERTA SUL PARKINSON FA BRILLARE PAVIA" Il rettore: l' Università si conferma al vertice della ricerca. La scienza può rilanciare l' economia del territorio Sala Alessandro "La scoperta sul Parkinson fa brillare Pavia" Il rettore: l' Università si conferma al vertice della ricerca. La scienza può rilanciare l' economia del territorio DAL NOSTRO INVIATO PAVIA - Che dovesse essere una culla della letteratura e della grande scienza era stato chiaro fin dalle origini. Fondata nel 1361 dall' imperatore Carlo IV dietro sollecitazione di Galeazzo Visconti, l' Università di Pavia ha visto passare dai suoi chiostri, come insegnanti o come studenti, personaggi della caratura di Cesare Beccaria, Domenico Romagnosi, Vincenzo Monti, Ugo Foscolo, Alessandro Volta. Perfino Leonardo da Vinci vi studiò anatomia umana nel 1510. Una autorevolezza, quella dell' ateneo pavese, rimasta inalterata nei secoli e testimoniata tra l' al trodai premi Nobel assegnati nel 1906 a Camillo Golgi, che dell' università di Pavia fu anche rettore; e nel 1984 a Carlo Rubbia. Proprio Rubbia, docente attualmente in aspettativa per gli impegni ai vertici dell' Enea, l' ente nazionale per le nuov e tecnologie, ha avviato a Pavia il progetto Icarus per lo studio di neutrini, particelle che rappresentano una chiave importante per la comprensione dei meccanismi che portano alla trasformazione della materia in energia. La città delle cento torri sembra insomma godere di un humus particolarmente fertile per lo sviluppo scientifico, favorito anche dalla presenza di un polo sanitario di prim' ordine, come il Policlinico San Matteo. Non deve dunque stupire che il nome di Pavia sia così frequente mente abbinato a nuove scoperte e nuovi traguardi della scienza. Il più recente è quello raggiunto dai ricercatori del dipartimento di Biologia molecolare, che dopo quattro anni di lavoro sono riusciti a svelare i segreti della struttura tridimensionale della monoammina ossidasi (Mao), una proteina enzimatica responsabile della comparsa del morbo di Parkinson e dell' Alzheimer. Un grande passo in avanti, che consentirà di studiare farmaci sempre più mirati ed efficaci per sconfiggere le patologie neurologiche. "Del resto - commenta Roberto Schmid, rettore dell' Università di Pavia - i tempi per il passaggio dalla fase di studio all' applicazione concreta delle scoperte scientifiche sono molto ridotti rispetto al passato. I progressi della scienza si traducono velocemente in un miglioramento della qualità della vita. Ed è per questo che negli atenei come il nostro la ricerca di base e la ricerca applicata hanno un ruolo di primo piano". Al pari della didattica e della formazione che, a loro volta, sono a livelli di eccellenza. "Ci sono aziende anche straniere - evidenzia il prorettore vicario, Paola Vita Finzi - che vengono a reclutare i nostri laureati, il cui grado di preparazione è considerato una garanzia. Peccato che non vi si a nella provincia di Pavia un retroterra industriale sufficientemente sviluppato per assorbire e valorizzare al meglio questo grande potenziale". "Eppure - aggiunge ancora Roberto Schmid - proprio la presenza di una comunità scientifica tanto articolata potrebbe essere il punto di partenza per il rilancio dell' economia del territorio. Attorno a Pavia potrebbe infatti nascere un indotto di aziende ad alta specializzazione tecnologica che trarrebbero vantaggio da un rapporto privilegiato con i no stri ricercatori". Lo sanno bene quelli della St Microelectronics di Agrate Brianza, una delle principali realtà industriali della Sylicon Valley del Milanese che comprende anche l' Alcatel e la Celestica (ex Ibm), che per le proprie attività di ricerca e sviluppo tecnologico ha da tempo avviato una collaborazione con gli studiosi dell' ateneo pavese. Dalle valli del Lambro e del Molgora alle rive del Ticino: un ponte tra impresa e università nel nome del progresso e dell' innovazione. Alessandro Sala Gli indirizzi di studio LE FACOLTA' L' ateneo pavese fu fondato nel 1361 dall' imperatore Carlo IV. Oggi vi fanno capo nove facoltà: giurisprudenza; scienze politiche; economia; lettere e filosofia; medicina e chirurgia; scienze matematiche; farmacia, ingegneria; musicologia I CORSI Sono previsti anche corsi di laurea interfacoltà in biotecnologie; educazione fisica e tecnica sportiva; educazione motoria; informazione scientifica del farmaco; ingegneria per la protezione idrogeologica; comunicazione interculturale e multimediale. A questi si aggiungono i corsi di laurea interateneo in ingegneria meccanica (con il Politecnico di Milano); e in lingua e cultura italiana per stranieri, impartito per via telematica __________________________________________ L'Unione Sarda 01 Dic. '01 ALLARME DEI MEDICI: DUE BAMBINI SU DIECI SONO GIÀ OBESI Resi noti in un simposio i risultati di un sondaggio nelle scuole medie e nelle elementari Rischio diabete per troppe patatine A Quartu due bambini su dieci sono già alle prese con problemi di colesterolo e a rischio diabete. Troppi: colpa di merendine, patatine e di genitori svogliati o all'oscuro di buone regole alimentari. Lo dicono i medici: il venti per cento degli alunni di elementari e medie è sovrappeso o addirittura obeso. E' questo il dato che emerge dal progetto "Cartella metabolica alimentare" illustrato ieri all'hotel Quattro torri durante il IV simposio quartese su salute e alimentazione. L'appuntamento era organizzato dal Gruppo gesa-educazione alla salute, in collaborazione con l'amministrazione comunale, ed è stata l'occasione per fare un bilancio dei 12 anni di lavoro coordinato da Mario Manai, primario del servizio diabetologia della Asl 8, e dell'opera di sensibilizzazione nelle scuole. "Il nostro intervento educativo- ha spiegato Manai -è partito nel 1989 grazie al sostegno della giunta comunale di allora guidata dal sindaco Giovanni Corrias. Lo scopo che ci siamo prefissati è sempre stato di far acquisire ai giovani una conoscenza diretta di ciò che mangiano per poterne usufruire a seconda delle proprie necessità e unitamente all'attività fisica". Sul banco degli imputati ci sono le merendine, panini, patatine che gli alunni si portano negli zainetti: "L'alimentazione attuale è lontana dalla nostra tradizione alimentare e genuina che va riscoperta e valorizzata. Per questo è nato il gruppo Gesa composto da operatori sanitari, insegnanti, docenti universitari e genitori. Negli anni abbiamo attuato diverse strategie per la sensibilizzazione nelle scuole: formazione e aggiornamento degli insegnanti per realizzare progetti nelle classi, abbiamo distribuito più di 30 mila libri nelle scuole, realizzato documenti audiovisivi e organizzato incontri con esperti". L'ultimo progetto è la cartella metabolica alimentare che ha coinvolto come campione 3 classi elementari e 2 medie per un totale di 170 alunni. Una classe ha raccontato la propria esperienza durante il simposio. I dati analizzati sono stati il peso, l'età, l'altezza e l'indice di massa corporea (rapporto tra peso e altezza): "Abbiamo riscontrato- spiega Francesca Spanu, specialista in scienza dell'alimentazione -che l'80 per cento di maschi e femmine è risultato non in sovrappeso, il 14 nei maschi e il 15 per cento nelle femmine è invece in sovrappeso, mentre il 6 e il 5 percento, rispettivamente nei maschi e nelle femmine, sono addirittura obesi. Abbiamo confrontato questi dati con i risultati delle analisi fatte ai genitori e abbiamo riscontrato che esiste una relazione con i risultati dei figli. Abbiamo controllato nei bambini i livelli di glicemia e colesterolo. Per il primo abbiamo avuto valori normali mentre abbiamo trovato casi al di fuori dei livelli normali per il colesterolo, una sostanza che a livelli alti crea ostruzioni alla circolazione del sangue". I dati non si discostano con la media nazionale ma la prevenzione e l'informazione alimentare, a partire dai più giovani, può essere un arma contro le malattie metaboliche, prime fra tutte il diabete che ha cause genetiche ma è anche legato alla cattiva alimentazione e alla vita sedentaria. Giovanni Manca di Nissa __________________________________________ Le Scienze 30 nov. '01 IL PERICOLO DELLE SIGARETTE LEGGERE In realtà inducono a fumare di più e a inalare più profondamente Un rapporto divulgato la settimana scorsa dal National Cancer Institute degli Stati Uniti ha concluso che le sigarette leggere sono pericolose per la salute tanto quanto quelle normali. Il rapporto segue molte altre affermazioni del governo a favore di queste sigarette, consigliate addirittura nel 1981 alle persone che proprio non possono o non vogliono smettere di fumare. Il rapporto ha anche concluso, tristemente, che nonostante oltre 50 anni di miglioramenti, il pericolo per la salute rappresentato dalle sigarette è rimasto sostanzialmente lo stesso. I produttori si sono infatti concentrati nel cercare di ridurre la quantità di catrame, ma non hanno ridotto il contenuto di nicotina, che crea la vera dipendenza. Secondo il dottor David Burns, dell'Università della California di San Diego, principale autore del rapporto, in realtà si possono vedere dei netti incrementi dell'incidenza dei tumori ai polmoni in corrispondenza dell'introduzione delle sigarette leggere, ultraleggere e a basso contenuto di catrame. I ricercatori sospettano che i consumatori di queste sigarette fumino di più e, soprattutto, inalino il fumo più profondamente. Inoltre, con la promessa di essere meno pericolose, queste sigarette dissuadono molti fumatori dal rinunciare al loro vizio. La conclusione del rapporto è quindi laconica, "non esistono sigarette sicure." L'unico modo per ridurre i rischi associati al fumo è di non iniziare a fumare o di smettere. __________________________________________ Le Scienze 27 nov. '01 BATTERI CONTRO IL CANCRO Notevoli i risultati nella sperimentazione sui topi Un gruppo di ricercatori del Sidney Kimmel Comprehensive Cancer Center delle Johns Hopkins Medical Institutions ha prodotto batteri che attaccano selettivamente, almeno nei topi, i tumori in stato avanzato di sviluppo. I risultati degli esperimenti sono stati descritti in un articolo pubblicato sulla rivista "Proceedings of the National Academy of Sciences". I ricercatori hanno trovato il modo di utilizzare una particolare preferenza dei batteri per gli ambienti poveri di ossigeno e dirigerli verso grandi sacche di cellule morte o morenti all'interno dei tumori. Nello stadio avanzato, le neoplasie sono caratterizzate da aree con una circolazione sanguigna povera e, quindi, da uno scarso apporto di ossigeno. Ciò rende queste aree resistenti alla chemioterapia convenzionale, ma adatte all'aggressione di batteri anaerobi. Secondo Bert Vogelstein, l'idea è quella di attaccare questi tumori dall'esterno con la chemioterapia e dall'interno con i batteri. I ricercatori hanno analizzato numerose specie di batteri per trovarne una che crescesse in ambienti poveri di ossigeno e, contemporaneamente, distruggesse le cellule tumorali circostanti. Alla fine, il candidato migliore è risultato il Clostridium novyi che si trova generalmente nel suolo e contiene una tossina che può risultare letale per gli animali. I batteri sono stati quindi modificati geneticamente per rimuovere il gene della tossina e renderli innocui per gli animali. In seguito, i batteri sono stati iniettati, insieme alla normale chemioterapia, in topi in cui erano presenti grandi tumori, composti di cellule trapiantate di tumori al colon umani. I risultati ottenuti in questo modo sono stati stupefacenti. Oltre la metà dei tumori trattati, fra cui alcuni molto grandi, sono stati distrutti completamente nel giro di 24 ore. I tumori si sono semplicemente decomposti, lasciando una cicatrice scura, che si è poi riassorbita nelle due settimane seguenti. I ricercatori avvertono però che non sono neppure previsti test clinici, in questa fase, e che ci vorranno anni per determinare la miglior combinazione di batteri e agenti chemioterapici e per evitare la tossicità associata alla rapida distruzione delle masse tumorali. __________________________________________ Le Scienze 27 nov. '01 UNA PROTENA CONTRO I TUMORI DELLA PELLE Il successo dei test sui topi potrebbe aprire nuove prospettive terapeutiche La proteina interleuchina-12 potrebbe rivelarsi utile per rimediare ad alcuni danni della pelle provocati dal sole attivando i meccanismi di riparazione del DNA. Secondo uno studio svolto da un gruppo di ricercatori dell'Università di Münster , in Germania, e pubblicato sulla rivista "Nature Cell Biology", questa sostanza potrebbe essere usata anche per prevenire o trattare i tumori della pelle. I raggi ultravioletti più energetici della radiazione solare sono in grado di promuovere i tumori della pelle danneggiando il DNA all'interno delle cellule. Ma quando queste sono trattate con la proteina interleuchina-12 sembrano subire meno danni genetici permanenti. In particolare, immediatamente dopo l'esposizione, le cellule trattate con la proteina mostrano gli stessi danni di altre usate come controllo, ma in alcune ore sono in grado di riparare la maggior parte dei danni. Lo stesso effetto è stato osservato sui topi trattati con IL-12 prima di essere esposta alla radiazione e ultravioletta. In particolare, la proteina sembra stimolare il sistema di riparazione che elimina i tratti di DNA danneggiato.