PRONTO SOCCORSO PER L'UNIVERSITÀ "CARO MINISTRO, ALL'UNIVERSITÀ IL TRE PIÙ DUE NON FUNZIONA" SCUOLA, DOPO LO STOP ALLA RIFORMA MORATTI NON SPARATE SU LETIZIA PER MOTIVI SBAGLIATI SCUOLA, PROMOSSI O BOCCIATI MA SOLO OGNI DUE ANNI CAGLIARI:MEDICINA LEGALE: DIBATTITO APERTO IN FACOLTÀ CAGLIARI:MEDICINA LEGALE, IL TAR RINVIA LA DECISIONE LA PRIVACY SEMPLIFICATA AL DEBUTTO DA FEBBRAIO ========================================================= "LA DEVOLUTION NON TAGLIA LE PRESTAZIONI" MALASANITÀ, SONO 80 MILA L'ANNO LE MORTI CHE SI POSSONO EVITARE INTERVENTI DI ROUTINE, INUTILI 3 RICOVERI SU 4 "ESAMI SANITARI IN RITARDO? PAGHERÀ IL MANAGER" TRAPIANTI, NUOVI CONFLITTI COL BROTZU OPPI: "GIÙ LE MANI DAL CENTRO TRAPIANTI" AMBROSINI APRE AL "BROTZU" UN CENTRO DI CHIRURGIA EPATICA CARO MINISTRO, SE I CANI SPORCANO, SALUTE A RISCHIO LA NASA PRIMARIO DEL CENTRO TRAPIANTI DI MIDOLLO OSSEO METROPOLITANA AL POLICLINICO: UN BANDO CON 52 MILIARDI BLITZ ANTIFUMO, OSPEDALI NEL MIRINO ARRIVA IL FARMACO ANTI-LEUCEMIA MICRORGANISMI IN ANTARTIDE VIA LIBERA AL GLIVEC NUOVA ARMA ANTICANCRO OBESITÀ E DIABETE BATTERI: UN PERICOLO PER LO STOMACO AIDS, DUBBI SUL VACCINO: IL VIRUS INGANNA LE DIFESE IL MUFLONE SALVATO DALLA BIOTECH I SARDI? ERANO IN BUONA SALUTE ANCHE NEL PALEOLITICO RISCHIO UV LA "PELLE XP" GREEN: SE IL LETTINO NON CURA LA DEPRESSIONE ========================================================= ____________________________________________ Corriere della Sera 18 gen. '02 PRONTO SOCCORSO PER L'UNIVERSITÀ Cosa possono fare gli studenti Roma. Dopo la politica, che fare? Questa domanda incontra i giovani nello spazio della Capitale e dell'Università. Stando tra le folle della "Sapienza" vedo l'inerzia con cui si valuta il suo disastro senza metterlo in relazione alla qualità di vita della città e degli italiani. Masse di giovani privi di potere contrattuale sommergono minoranze educate a forme di scontro convenzionali o tanto esasperate da aver perso ogni concreto interesse per le strutture universitarie. La collettività degli studenti è all'oscuro di sé, incapace d'essere viva parte dell'Urbe. La nuova domanda di istruzione si infrange così in sofferenza, deficit di identità, opacità e atti meschini. In questo stesso giornale si è parlato degli studenti delle scuole medie e superiori, apprezzando pratiche di contestazione più costruttive, lontane da quelle del '68, allora inclini alla rivolta più che a contenuti operativi. Ma rispetto ai loro fratelli minori gli universitari risultano per lo più inerti. Saggi o disillusi? Pochi sono ancora attratti da ideologie, cattive culture e opportunismi del sinistrismo storico. Nell'olocausto di chi ora frequenta le facoltà si consuma dunque quel che resta dell'agire politico tra massa e avanguardie? Forse. Certo il digiuno dei ragazzi romani è stato un gesto di massimo disprezzo nei confronti della nostra società. Sacrificare il proprio corpo significa dare per morta ogni fiducia in altre forme di azione politica e civile. Vista l'inutilità delle loro rappresentanze, copia di vecchie culture e strategie di partito, anche gli studenti universitari potrebbero fare scelte simili, compattandosi sul rifiuto di mediatori che non meritano alcun credito. Ma possibile che la forza organizzativa delle ideologie non possa tradursi in pratiche di lavoro? Se nascesse non una volontà di digiuno, ma di partecipazione? Se, come su un'isola ostile, gli iscritti agissero nella necessità d'essere adulti e guadagnarsi il futuro; pensando e cercando per sé alleanze e risorse; facendosi pionieri di nuovi mercati delle professioni per una nuova idea di città; restaurando e edificando in proprio? Questo provocatorio sogno ad occhi aperti non porta alla creazione di militanti politici ma a rivoluzioni dell'identità studentesca; sforzi dettati non da proclami politici, retaggio di prediche cattoliche e speranze leniniste, ma da saperi locali, gruppi di lavoro, creatività; non pretesti per azioni di piazza ma luoghi per risolvere l'emergenza. Come e dove? A Roma e provincia ci sono edifici, strutture e servizi in abbandono, che investimenti mirati potrebbero trasformare in lavoro produttivo per il territorio e per l'università (ancora incapace di pensare queste sinergie persino al proprio interno). Spazi da affidare a giovani per crescere nella sperimentazione di nuove professionalità. Ecco le basi di una vera riforma: prendere cura di chi vive i luoghi che docenti e allievi abitano; trovare i modi in cui tale cura può essere impresa, fonte di denaro e mezzi, un sistema di interessi e modelli formativi che abbia al centro bisogni e innovazione come garanzia economica e qualitativa. Questa ormai non è certo cosa da potere affidare a logore leggi accademiche. Assai meglio un volontariato di base. Come si fa per anziani, malati terminali, poveri, ambiente, beni culturali. Persino l'impresa riconosce tali bisogni. Perché non si pensa all'università? Alberto Abruzzese ____________________________________________ Corriere della Sera 16 gen. '02 "CARO MINISTRO, ALL'UNIVERSITÀ IL TRE PIÙ DUE NON FUNZIONA" Luciano Canfora scrive a Letizia Moratti e spiega perché il nuovo ordinamento che unisce diploma e laurea deve essere rivisto "Caro ministro, al supermercato dell'università il tre più due non funziona" Signor Ministro, non avendo avuto il gravame, che forse è anche un vincolo, di partecipare alle "commissioni di saggi" che hanno partorito la riforma universitaria entrata in vigore il primo novembre 2001, ma avendone invece quotidianamente sott'occhio gli effetti, ho ritenuto che un tempestivo promemoria potesse essere, per il Ministro in carica, di una qualche utilità. A torto si è di recente affermato che le innovazioni introdotte dal precedente governo siano da considerarsi ormai definitive e immutabili, novelle leggi mosaiche. Qualunque legislazione è passibile di modifica, e la modifica s'impone e diventa urgente quando si tratta di leggi errate e dannose. Tralascerò dettagli secondari e mi terrò al punto principale intorno al quale si è in passato dibattuto, in modo, a mio avviso, flebile. Mi riferisco all'ordinamento degli studi denominato con formula brachilogica "tre " due". Un ordinamento che ha, in verità, del miracoloso, tale da far impallidire quella che i teologi definivano, e definiscono, e intorno alla quale a lungo si scontrarono, "transustanziazione". Infatti c'è qualcosa di miracoloso in quel segno di addizione ("più"). Grazie a quel semplice segno matematico, un percorso triennale, avente per obiettivo un autonomo, autosufficiente, e (si spera) coerente itinerario mirato ad una formazione "di base", diventa - ed è lì il miracolo del mutamento di sostanza - la gran parte (tre anni su cinque) di un percorso di tutt'altro tipo: specialistico, e non "di base". Il percorso che si conclude in tre anni deve essere, non può non essere, altra cosa rispetto a quello che conduce ad una vera laurea. Sommarvi i due anni (due!), nei quali si dovrebbe fabbricare in tutta fretta lo studioso, fingendo che già i primi tre mirassero a tal fine, è semplice autoinganno. E perciò rovinoso. Parecchi anni fa Nicola Tranfaglia, all'epoca in fiera polemica col ministro Falcucci, scriveva assai giustamente che "nei Paesi più avanzati del mondo" vi è chiara distinzione - nell'ordinamento universitario - tra "diplomi, laurea e dottorati". ( La Repubblica del 10 dicembre 1986, pagina 24: appena quindici anni fa). Eccellente impostazione, nella quale ad ogni cosa viene attribuito il giusto nome . Bisognava - come additato quindici anni fa da Nicola Tranfaglia - tener separate le due strade, e render chiaro, anche sul piano onomastico, che tre anni vuol dire "diploma" e quattro o cinque (a seconda del tipo di facoltà) vuol dire "laurea". Quando i nomi vengono correttamente usati in corrispondenza delle cose non diventano più possibili le somme in cui, contro ogni elementare principio aritmetico, gli addendi sono eterogenei . I tre anni che portano ad un diploma (in modo truffaldino oggi chiamato laurea, contro la giusta veduta del Tranfaglia 1986) non possono essere addizionati ai due di necessità convulsi e raffazzonati anni "specialistici" (i quali portano daccapo alla "laurea"). Se non, ripeto, grazie a repentini e miracolosi mutamenti di sostanza. Debbono essere due percorsi totalmente distinti. Non mi dilungo nella esemplificazione. Soggiungo soltanto che il nostro Paese non meritava questo trattamento da Paese in via di sviluppo, dove si costruisce, nel deserto, una prima struttura universitaria di una qualche efficacia. Non meritavamo questa retrocessione ope legis. E Lei è ancora a tempo per rimediare. Luciano Canfora ____________________________________________ La Stampa 14 gen. '02 SCUOLA, DOPO LO STOP ALLA RIFORMA MORATTI Eppur si deve muovere Troppo facile fare dell'ironia sul flop del ministro Moratti. Piuttosto è disperante constatare come nel nostro paese tutti a parole concordino sul fatto che occorre riformare la scuola, anche perché la sua efficacia, in termini di sviluppo delle capacità degli allievi, sembra ampiamente al di sotto della media dei paesi sviluppati; ma poi qualsiasi proposta, in qualsiasi direzione vada, trova resistenze fortissime in tutti i soggetti coinvolti - politici, insegnanti, studenti, genitori. Del resto, che cosa ci si può aspettare di diverso in un paese in cui (secondo l'indagine Istat sulla scuola commissionata dal ministero dell´Istruzione) la maggioranza sia degli insegnanti sia degli studenti dichiara che i rapporti umani sono l'aspetto di gran lunga più positivo dell'esperienza scolastica? Va detto che il modello di scuola disegnato dal ministro Moratti sembra poco adatto a superare questo scarto tra apprendimento e socializzazione; viceversa restituisce una immagine delle materie e dei percorsi di apprendimento molto rigida, a comparti incomunicanti. Accentua infatti la separazione, precoce, tra formazione professionale e formazione di base per l'università, riduce il raggio di materie non tecniche per chi frequenta gli istituti professionali, come se il piacere della lettura, la capacità di capire un'opera d'arte, di discutere di principi e valori dovessero essere appannaggio solo di chi proseguirà gli studi, elimina, assurdamente, la matematica dai licei classici, cristallizzando i più vieti stereotipi sulla distinzione tra cultura umanistica e cultura scientifica. Ma ci sono anche aspetti su cui varrebbe la pena di riflettere. Ad esempio, il mantenimento dei 5 anni di scuola elementare e 3 di medie corrisponde alla opinione prevalente di genitori e insegnanti intervistati nella ricerca citata (per quanto essi non sembrino in generale molto informati). Se una riforma della scuola deve ottenere il consenso non solo del Parlamento, ma del paese, forse questo è un dato di cui tenere conto. Anche la possibilità di transitare da un corso di studi a un altro mi sembra una indicazione positiva, su cui lavorare proprio per eliminare le rigide separazioni curriculari che segnalavo prima. E la proposta di permettere l'iscrizione alla prima elementare a chi non ha ancora compiuto sei anni, invece di far gridare allo scandalo, dovrebbe essere accolta con favore, se introduce maggiore attenzione per i tempi di maturazione dei bambini, non vincolandola all'anno di nascita. Oggi troviamo sugli stessi banchi bambini nati dal 1° gennaio al 31 dicembre dello stesso anno, non bambini nati a un giorno di distanza, ma in anni solari diversi. Rallegriamoci dunque se una riforma sbagliata ha subìto uno stop. Ma non della apparente impossibilità di riformare una istituzione così cruciale e il cui cattivo funzionamento miete vittime tra le giovani generazioni, in particolare quelle che non hanno una famiglia con risorse sufficienti per far comunque colmare le lacune più vistose. Il classismo si riproduce e rafforza non solo con i sostegni alla scuola privata e le separazioni curriculari, ma anche lasciando che la qualità della scuola sia affidata esclusivamente alla più o meno casuale presenza di un gruppo di docenti preparati e motivati in un determinato tempo e luogo. Chiara Saraceno ____________________________________________ La Repubblica 15 gen. '02 NON SPARATE SU LETIZIA PER MOTIVI SBAGLIATI Lo stop al disegno di legge sulla scuola non è stato causato dalla troppa "fretta" di Letizia Moratti di partorire la sua riforma, secondo una versione di comodo accolta dai giornali, ma dal fatto che, di fronte alle critiche che le erano state mosse, ella aveva rimesso mano ad alcuni punti che modificavano in meglio l'impianto iniziale. In particolare aveva proposto qualcosa che i post dc di varia osservanza - siano collocati nel Ccd o fra i Popolari - vivono come un'offesa alla sacralità della famiglia e soprattutto alle competenze delle suore dei tantissimi asili infantili privati: l'inizio delle elementari a cinque anni e non a sei. Un anticipo che, peraltro, corrisponde alle capacità di apprendimento dei bambini del Duemila. Non c'era, dunque, tanto da approfondire. Anche perché lady Letizia, ricordandosi forse di un punto del vecchio manifesto elettorale di Romano Prodi (il quale, pur non dando pienamente retta alle suorine, era ed è tuttavia dotato della prudenza del buon cattolico) in cui si suggeriva una via di mezzo, e cioè l'iscrizione a scuola a cinque anni e mezzo, se ne era venuta fuori con un analogo compromesso. Naturalmente, per comprendere l'importanza di questo anno (o mezzo anno) guadagnato bisogna correlarlo a tutto l'iter scolastico, fino alla licenza superiore. E, poiché si vuole giustamente che esso si concluda a 18 anni, come auspicano le direttive europee, anche per rendere omogeneo in tutta la Ue l'avvio al lavoro, quella partenza anticipata ha permesso alla Moratti di sanare un altro dei punti maggiormente criticati della bozza iniziale, l'accorciamento di un anno del liceo, riportandolo di nuovo da 4 a 5 anni. Altro inciampo in Consiglio dei ministri, è risultata la protesta della Lega, insoddisfatta per il fatto che la devoluzione alle Regioni si limiterebbe sostanzialmente alle scuole professionali. Non dovrebbe sfuggire ad alcuno la grande rilevanza culturale e politica della questione. Il federalismo nella versione rivendicata da Bossi scardinerebbe, infatti, l'unità culturale della scuola italiana, introducendo programmi differenziati a seconda degli orientamenti storico politici delle maggioranze locali, della propensione a privilegiare i dialetti come fossero lingue ed altre rivendicazioni tipiche dell'estremismo leghista (insegnanti locali, ecc.). Per tutto questo, almeno sui punti su cui si è verificato lo scontro, non possiamo che essere dalla parte del ministro, anche se non siamo affatto certi che possa resistere fino in fondo. Col che non voglio affatto dire che la sua riforma soddisfi le attese degli insegnanti e degli studenti molto di più di quanto avvenne con le riforme Berlinguer-De Mauro. Anzi, la deriva aziendal- privatistica è ancor più inaccettabile per chi voglia tener fermi i princìpi basilari della scuola pubblica. Basti citare l'introduzione dei consigli di amministrazione in luogo dei consigli d'istituto che dovrebbe sancire la trasformazione delle scuole, da istituzione della Repubblica, in microaziende. Nei CdA il peso dei membri eletti scende drasticamente mentre sale quello degli esperti nominati di diritto. Il preside, ora ribattezzato manager con la denominazione di "dirigente scolastico", ha il potere di un amministratore delegato, presiede il consiglio, lo convoca a suo piacimento (solo con 2/3 dei voti è possibile un'auto convocazione) e può utilizzarlo come una sua staff. Il CdA ha, comunque, quasi tutti i poteri, da quelli che riguardano l'indirizzo generale alla gestione quotidiana. Il Collegio dei docenti, per contro, non delibera più nulla, elabora il piano dell'offerta formativa che dovrà, però, essere approvato dal CdA ma perde, comunque, la sua sovranità in merito alle scelte didattiche e organizzative. Gli restano vaghe competenze di monitoraggio e coordinamento, prive di potere deliberante; gli è sottratta ogni capacità di governo generale dell'attività scolastica anche attraverso la scomposizione del Collegio in cosiddetti dipartimenti disciplinari. Comunque non può autoconvocarsi ed è presieduto dal "dirigente" che stabilisce l'odg. Infine non dovrebbero esser più i singoli insegnanti a valutare gli alunni e, neppure, il consiglio di classe, che viene abolito. La valutazione sarebbe determinata in forma collegiale (non meglio precisata) "periodicamente e alla fine dell'anno scolastico, secondo modalità organizzative coerenti con i percorsi formativi degli alunni stessi, indicate dal regolamento d'istituto, deliberato dal Consiglio di Amministrazione". A questo punto cosa resterebbe della libertà d'insegnamento e dell'autonomia dei docenti? ____________________________________________ Repubblica 18 gen. '02 SCUOLA, PROMOSSI O BOCCIATI MA SOLO OGNI DUE ANNI Se andrà in porto la riforma Moratti gli studenti saranno valutati ad ogni biennio Scompare l'esame di quinta elementare ROMA - Promossi o bocciati solo ogni due anni. Se la riforma della scuola andrà in porto gli studenti non saranno più valutati ad ogni fine anno scolastico ma solo dopo un biennio. A sottolineare questa novità nascosta nelle pieghe dela riforma Moratti è stata il sottosegretario all'Istruzione Valentina Aprea durante un congresso della Gilda, il sindacato autonomo dei professori. Con la nuova scuola delineata dalla riforma cambia il metodo di valutazione e spariranno i debiti scolastici. Nel progetto di riforma si prevede, infatti, una articolazione del percorso di studi in bienni didattici. Questo vuol dire che i ragazzi saranno valutati al termine di ogni biennio: il "via libera" o lo "stop" nel percorso di studi avverranno cioè al termine della seconda elementare, della quarta elementare e della prima media. In questo modo, inoltre, scompare l'esame della quinta elementare, mentre la valutazione finale per il primo ciclo di studi avverrà in terza media con un esame di stato che prevederà anche una prova a carattere nazionale. "I docenti - ha detto la Aprea - avranno la possibilità ogni due anni di promuovere o di fermare gli studenti rispetto all'ordine di scuola frequentato, e sempre ogni due anni il sistema nazionale valuterà in ingresso gli apprendimenti dei ragazzi e la qualità complessiva del sistema". La filosofia di fondo, ha concluso il sottosegretario, è che "è necessario colmare i debiti formativi prima di procedere nel percorso di studi". La Aprea ha anche detto che il Consiglio dei ministri deciderà sulla delega da chiedere al Parlamento in materia di istruzione. "In ogni caso - ha precisato il sottosegretario - non sarà comunque una delega di principi, ma una delega che riprenderà tutti i punti più importanti della legge 30 e illustrerà i nuovi aspetti della riforma, esattamente come avevamo ipotizzato di descriverli in un disegno di legge". Aprea ha infine rilevato che "sarebbe anche possibile mettere a punto un disegno di legge composto da un solo articolo, ma la questione è che è nostra intenzione fare una riforma organica della scuola". __________________________________________ L'Unione Sarda 15 gen. '02 MEDICINA LEGALE: DIBATTITO APERTO IN FACOLTÀ Università. Il rettore nomina Santa Cruz: il Tar decide oggi sulla sospensiva Due pretendenti per una cattedra Il caso Medicina legale: dibattito aperto in facoltà CAGLIARI. È diventato un caso nazionale la nomina a ordinario di Medicina legale di Giuseppe Santa Cruz, anatomo patologo. Mario Marigo, presidente della Società italiana di Medicina legale e delle Assicurazioni, ha dato mandato a un avvocato per ricorrere al Tar contro il decreto di nomina firmato dal rettore. Proprio oggi il Tar si pronuncerà anche sul primo ricorso con richiesta di sospensiva, quello del professor Francesco De Stefano, 50 anni, medico legale originario di Marsala, per 30 anni a Genova e dal '99 a Cagliari. C'è anche un'interrogazione presentata dal deputato Paolo Cuccu (FI) al ministro dell'Università, Letizia Moratti. È polemica, intanto, sulla seduta del consiglio della Facoltà di Medicina che, il 25 settembre, ha deliberato (a maggioranza) che "nulla osta" al passaggio del professor Santa Cruz da un settore scientifico-disciplinare (Anatomia patologica) a un altro (Medicina legale). Roberto Mezzanotte, docente di Biologia e Genetica, fa sapere di aver votato no. Al di là del fatto che "Anatomia patologica e Medicina legale hanno scarsa affinità", dice il professor Mezzanotte, "la facoltà è stata chiamata ad esprimere un parere che non le competeva. Il rettore può chiedere quello che vuole, ma io non sono tenuto a esprimermi su una cosa che non mi compete". Giuseppe Santa Cruz, 57 anni, venne nominato professore ordinario di Anatomia patologica nel 1989. Dopo la morte del professor Sergio Montaldo, il 2 febbraio '98 Santa Cruz viene nominato direttore dell'istituto di Medicina legale e, dal novembre '99, dirige la scuola di specializzazione. Tra il migliaio di autopsie eseguite, Santa Cruz ebbe anche l'incarico, dalla Procura di Palermo, di eseguire quella sul giudice Luigi Lombardini. Il 29 gennaio scorso Santa Cruz presenta domanda per la cattedra di Medicina legale. Pasquale Mistretta si rivolge al Consiglio universitario nazionale, che rinvia la richiesta perché priva della delibera del Consiglio della facoltà di Medicina. Viene adottata il 27 marzo: all'unanimità, si esprime parere favorevole all'accoglimento di un professore di prima fascia per la Medicina legale. Punto. Sul nome di Santa Cruz, 13 giugno, il "Cun" esprime parere sfavorevole. Da qui li nuovo coinvolgimento, da parte del rettore, della facoltà di Medicina, "chiamata quasi artificiosamente ad esprimersi", dice il preside, Angelo Balestrieri. "In una prima seduta abbiamo detto sì per un professore di prima fascia per Medicina legale, la seconda volta abbiamo detto che nulla osta a che il professor Santa Cruz sia inquadrato in Medicina legale, ma senza un parere". E ribadendo che la competenza era del rettore. A verbale c'è solo il "no" di Roberto Mezzanotte ma, tra i 48 presenti, c'erano anche altre perplessità. "C'è un parere del "Cun" e io mi rifaccio a questo", dice Licinio Contu, professore di Genetica medica. "Ritengo comunque che in linea di massima ognuno debba fare il suo mestiere". Carlo Pintor, direttore della prima Clinica pediatrica: "L'errore è a monte, quando è stata affidata un anatomo patologo la direzione di Medicina legale. Da allora, però, va riconosciuto che il professor Santa Cruz si è impegnato a fondo ed è stato, per tutti, un punto di riferimento". ____________________________________________ L'Unione Sarda 15 gen. '02 INTERROGAZIONE PARLAMENTARE CONTRO LA NOMINA DI SANTA CRUZ Due ricorsi al Tar contro un decreto del rettore: in gioco anche un posto al Policlinico di Monserrato Caro collega, quel posto non ti spetta. È guerra tra professori, all'Istituto di Medicina legale, per raccogliere l'eredità di Sergio Montaldo, scomparso nel '99. Da una parte Giuseppe Santa Cruz (un decreto del rettore gli ha affidato la cattedra), dall'altra Francesco De Stefano, medico legale genovese, da alcuni anni in città. Una guerra che si combatte davanti al Tar (martedì i giudici si pronunceranno sulla richiesta di sospensiva di De Stefano) ma che ha avuto eco anche in Parlamento. Paolo Cuccu, deputato di Forza Italia, ha chiesto al ministro dell'Università Letizia Moratti "se non ritenga di dover intervenire per accertare eventuali abusi". Cuccu scrive che "la cattedra è stata assegnata a un anatomo patologo, nonostante risulti in organico un professore di ruolo di Medicina legale, Francesco De Stefano". Non solo: il Consiglio universitario nazionale, evidenzia Cuccu, "ha espresso parere sfavorevole". Due volte: l'8 febbraio e il 13 giugno scorso. Il parere sfavorevole del "Cun", peraltro, viene anche citato nel decreto con cui, l'11 ottobre scorso, il rettore Pasquale Mistretta ha assegnato al professor Santa Cruz, 57 anni, la cattedra di Medicina legale. Gli avvocati di De Stefano, Giovanni Contu e Matilde Mura, citano nel ricorso una decisione del Tar del Lazio, in cui si evidenzia che il parere del Consiglio universitario nazionale è vincolante. Da qui, sostengono, l'illegittimità del passaggio di Santa Cruz dall'Anatomia patologica alla Medicina legale. Nel decreto del rettore si fa anche riferimento, comunque, al parere favorevole del consiglio della facoltà di Medicina, rilasciato "dopo ampia discussione, all'unanimità", il 27 marzo scorso. Santa Cruz, che è anche direttore della Scuola di specializzazione in Medicina legale per il triennio 2001-2004, era stato nominato responsabile del servizio a Monserrato nel dicembre '99 dall'allora direttore generale, Franco Meloni. Ma il Policlinico, ora diretto da Rosa Cristina Coppola, aveva deciso di revocare l'incarico a Santa Cruz il 7 settembre scorso, anche per la presenza di un professore di ruolo (De Stefano) di Medicina legale. Una delibera, quella del Policlinico, annullata da due provvedimenti del rettore, datati 11 e 21 settembre, in cui si evidenziava, tra l'altro, che per dirigere la struttura di Medicina legale a Monserrato non era necessario né un medico legale né un anatomo patologo. Raggiunto ieri sera al telefono, il rettore preferisce non aggiungere nulla al testo del decreto, in attesa della decisione del Tar. La vicenda non sta facendo rumore solo a Cagliari e in Sardegna. Anche la Società Italiana di Medicina legale e delle Assicurazioni ha presentato ricorso al Tar. Non solo: il presidente, Mario Marigo, già rettore dell'Università di Verona, è stato in città, incontrando Pasquale Mistretta, il preside della facoltà di Medicina Angelo Balestrieri e il procuratore capo Carlo Piana (la Procura della Repubblica ha rapporti costanti con la con la Medicina legale). Chiamato in causa, Alessandro Bucarelli, il professionista cagliaritano direttore dell'Istituto di Medicina legale a Sassari, premette: "È una vicenda incresciosa. Sono stato in quella facoltà per oltre trent'anni, stimo e apprezzo Santa Cruz come anatomo patologo, ma", aggiunge, "ritengo che Medicina legale sia materia unica, che richiede una peculiare professionalità che non può essere né improvvisata né studiata sui libri". Emanuele Dessì ____________________________________________ La Nuova Sardegna 16 gen. '02 CAGLIARI:MEDICINA LEGALE, IL TAR RINVIA LA DECISIONE Dopo il ricorso presentato dal professor De Stefano Cagliari. Il Tribunale amministrativo regionale emetterà una "sentenza a breve" il mese prossimo sul ricorso relativo alla nomina a responsabile del servizio di medicina legale del Policlinico universitario di Cagliari. Lo ha deciso il collegio riunito in camera di consiglio per esaminare la richiesta di sospensione della nomina di Giuseppe Santa Cruz presentata da Franceso De Stefano. Il ricorrente, difeso dagli avvocati Gianni Contu e Matilde Mura, ha impugnato il provvedimento del 16 ottobre scorso con il quale è stato dato l'incarico al professor Santa Cruz. Secondo gli avvocati difensori l'attuale responsabile non può dirigere le struttura essendo un anatomopatologo, mentre il professor De Stefano è docente di medicina legale all'Università di Cagliari, e quindi ha titolo a ricoprire l'incarico. Non solo - hanno aggiunto i legali - sulla nomina ha espresso parere negativo il Consiglio universitario nazionale (Cun). I giudici amministrativi (Presidente Alberto Manlio Sassu, Relatore Manfredo Atzeni, Consigliere Francesco Scano) hanno deciso di esaminare il ricorso direttamente nel merito. ____________________________________________ Il Sole24Ore 18 gen. '02 LA PRIVACY SEMPLIFICATA AL DEBUTTO DA FEBBRAIO Pubblicato il decreto legislativo che rivede adempimenti e sanzioni ROMA - La normativa sulla privacy si appresta a cambiare vestito. Si tratta di un "restyling" parziale, ma incisivo, che prevede la semplificazione di alcuni obblighi - informativa, consenso e notificazione - l'ampliamento delle forme di tutela (vengono introdotti i dati personali semi-sensibili), la revisione dell'apparato sanzionatorio (per una panoramica completa si veda "Il Sole-24 Ore" di lunedì scorso). Tutte conseguenze del decreto legislativo 28 dicembre 2001, n. 467, pubblicato sulla "Gazzetta Ufficiale" 13 del 16 gennaio. La maggior parte delle novità entrerà in vigore dal 1°febbraio; le altre diventeranno operative nel corso dell'anno. È il caso, per esempio, dei codici deontologici, che dovranno garantire il rispetto della privacy anche su Internet, nel direct marketing o nei rapporti di lavoro. Il Garante ha tempo fino a giugno per promuovere, presso le categorie interessate, la predisposizione delle regole di buona condotta. Sempre il Garante deve attivarsi per approntare entro il gennaio del 2003 la casistica sulla base della quale decidere quali informazioni personali hanno necessità di tutele "intermedie", più forti di quelle riservate ai dati comuni ma non così penetranti come le garanzie di cui beneficiano i dati sensibili. Le tutele "intermedie" sono destinate alla nuova categoria delle informazioni semi-sensibili, introdotta dal decreto. Debutta, invece, da febbraio la revisione dell'apparato sanzionatorio. Una riforma all'insegna della depenalizzazione e dell'aumento degli importi delle ammende. Non sono più considerati reati, finora puniti con la reclusione, i casi di intempestiva o falsa notificazione al Garante e la mancata adozione delle misure minime di sicurezza per i trattamenti effettuati a fini esclusivamente personali. La sanzione penale, invece, resta (ma da delitto diventa contravvenzione) per tutti gli altri casi in cui le banche dati non siano state adeguatamente protette. In tali casi gli inadempienti possono scegliere di pagare e possono anche estinguere il reato attraverso una sorta di ravvedimento operoso, il quale prevede che le misure minime di sicurezza vengano adottate entro sei mesi. Dopodiché, è necessario versare una somma pari a un quarto della contravvenzione. A.Che. ========================================================= ____________________________________________ Il Sole24Ore 14 gen. '02 "LA DEVOLUTION NON TAGLIA LE PRESTAZIONI" Mette subito in chiaro: "Non facciamo processi a nessuna Regione. Il nostro compito, anzi, è di essere di supporto e di affiancare le realtà locali, per fornire loro utili parametri di riferimento per il miglior governo della spesa e per aumentare la qualità dell'assistenza". Laura Pellegrini, direttore dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali (Assr), è convinta della bontà del cammino seguito da Governo e Regioni per la messa a punto dei Lea (Livelli essenziali di assistenza). E delle opportunità che nasceranno col federalismo sanitario. Dottoressa Pellegrini, la devolution può però portare tagli all'assistenza, soprattutto nelle Regioni meno ricche. La devolution non dev'essere considerata come lastricata solo di tagli alla spesa. È anzi indispensabile ripensare ai modelli tipici di intervento per contenere la spesa. Facile a dirsi, assai meno a realizzarsi... Le opportunità, anzi, non mancheranno. A cominciare dall'utilizzo del parametro dell'appropriatezza delle prestazioni, che nulla toglierà al rispetto del diritto costituzionale alla salute per tutti i cittadini. Il patto di stabilità va in questa direzione: garantire equità di prestazioni e, al tempo stesso, contenere i costi. Un bel rompicapo. Un'equazione non impossibile, invece. Perché da una parte si garantiscono i livelli di assistenza da assicurare in maniera uniforme, dall'altra c'è l'assicurazione di un ammontare definito, e di tutto rispetto, di risorse finanziarie. E con l'impegno del Governo a non prendere provvedimenti che possano incrementare i livelli di assistenza senza risorse aggiuntive. Da queste garanzie discende la piena responsabilità regionale. Dal monitoraggio che avete fatto, emerge intanto un quadro di differenze abissali tra le Regioni. Il quadro di variabilità è certamente notevole. Come del resto era immaginabile, considerata la grande differenza nelle politiche di prevenzione o di assistenza sul territorio. Proprio quelle voci che il patto di stabilità intende rilanciare. Dalla revisione delle 43 prestazioni erogate in modo non appropriato, ipotizzate risparmi per 1,032 miliardi di euro (2mila mld di lire): soldi finora sprecati? Fondi che possono essere spesi meglio e altrimenti investiti, per garantire più salute con più qualità. Senza tagli e senza intaccare il diritto alla salute per tutti gli italiani. Quali sono le prospettive future dell'Assr? Intendiamo incrementare l'attività di supporto alle Regioni, con l'obiettivo di offrire un servizio che comprenda non solo l'analisi puntuale di dati e informazioni sull'impiego dei Lea, ma anche la diffusione di metodologie sul controllo di gestione nelle aziende sanitarie per un uso razionale delle risorse. Per questo stiamo predisponendo gli strumenti per la valutazione della qualità dei processi assistenziali e per l'integrazione delle attività tra ospedale e territorio. ____________________________________________ Repubblica 19 gen. '02 MALASANITÀ, SONO 80 MILA L'ANNO LE MORTI CHE SI POSSONO EVITARE Secondo il rapporto "Prometeo" al Nord troppe diagnosi errate, al Sud strutture carenti Fuori controllo la spesa per l'assistenza: più 10 per cento ROMA - Diminuiscono le "morti evitabili", quelle legate alle diagnosi errate, ai ritardi nelle terapie, al cattivo funzionamento della strutture sanitarie. Nel '98 sono stati registrati 78.974 casi, mille e settecento in meno rispetto al '97 e ben seimila nei confronti del '95. Diminuiscono i decessi per tumore, aumentano invece quelli legati a disfunzioni dell'apparato cardiocircolatorio. Alle regioni del Nord la maglia nera, anche se è Genova la città che merita il primato per il numero minore di questa tipologia di decessi, seguita da Firenze e Ancona. Oltre 45 mila i decessi che si sarebbero potuti evitare con una prevenzione efficiente, secondo l'ultimo rapporto "Prometeo" presentato ieri a Roma. I migliori risultati sono stati registrati contro i tumori, mille morti in meno ogni anno, successo bilanciato dagli scarsi risultati nella riduzione delle morti per cause circolatorie, che passano dal meno 4,3 per cento del 1996 al meno 1,5 del 1998. Il Centro resta stabilmente assestato nella situazione migliore, le Isole e soprattutto il Mezzogiorno perdono alcune posizioni ed il NordEst ed il NordOvest iniziano una lenta ma difficile marcia di recupero. In coda alla classifica troviamo, invece, Trento, Napoli e, per ultima, Aosta. Per una visione d'insieme della situazione della mortalità evitabile le Usl sono state suddivise in cinque categorie: primo livello con un numero di anni di vita persi minore di 60 ogni 100.000 anni di vita potenziali; secondo livello con un numero di anni di vita persi compreso tra i 60 e i 69; terzo livello tra i 70 e gli 89 anni; quarto livello tra i 90 e i 99 anni e quinto livello con un numero di anni di vita persi superiore a 100. Nel terzo livello si colloca la maggior parte delle Asl, ben 104 su un totale di 189. All'interno di questa categoria tutte le Asl del Nord. In testa la Asl dell'Alto Molise, che comprende vari comuni della provincia di Isernia, al secondo posto Bari/5, al terzo Lamezia Terme. La ricerca prende anche in esame la spesa sanitaria. E le notizie non sono buone. Se i dati definitivi confermeranno le previsioni, nel 2000 i costi correnti aumentano del 10.9 per cento, più del doppio rispetto all'incremento dell'anno precedente. Complessivamente la spesa si attesterebbe a circa 70 miliardi di euro, 132.454 miliardi di lire, un aumento molto differente nelle diverse realtà locali: mentre la spesa della Valle D'Aosta è cresciuta del 16.4 per cento, seguita da Piemonte e Friuli Venezia Giulia, quella di Trento è cresciuta solo del 6.9 seguita in fondo alla classifica da Abruzzo e Molise. Il periodo tra il 19952000 ha segnato cambiamenti importanti nel modo di spendere all'interno della sanità. Campania e Piemonte assorbono quote maggiori di spesa, mentre si è ridotta quelle di Lombardia, EmiliaRomagna e Sardegna. La quota del personale si riduce fortemente in Campania ed Umbria e quasi per nulla in Sardegna. I costi dell'assistenza farmaceutica convenzionata crescono di più in Lazio, Sicilia e Sardegna, mentre rimangono quasi stabili in Campania e Toscana. La spesa per l'assistenza ospedaliera convenzionata sale nelle Marche ed in Basilicata. (ma.re.) ____________________________________________ Il Sole24Ore 14 gen. '02 INTERVENTI DI ROUTINE, INUTILI 3 RICOVERI SU 4 Secondo l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, per 43 patologie diffuse si ospedalizza il paziente quando basterebbe il day hospital ART001Tecnicamente la si definisce "decompressione del tunnel carpale": una patologia frequente che conduce alla perdita della sensibilità delle dita della mano, risolvibile con un micro intervento chirurgico di dieci minuti. Eppure nel 44% e oltre dei casi in media i pazienti sono ricoverati in ospedale, anziché in day surgery, con punte che arrivano al 100% in Molise e al contrario al 7% in Friuli. Con quanto ne consegue in più di spese a carico della collettività. E ancora: perché mai gli interventi sul cristallino (soprattutto la cataratta) avvengono sul territorio in media soltanto nel 27% dei casi, lasciando dunque tutti gli altri all'ospedale, ancora una volta con picchi "virtuosi" come (solo) il 27% di ricoveri dell'Emilia Romagna al 100% dei ricoveri di Molise, Valle d'Aosta e Campania? A questi e ad altri 41 interrogativi di ricoveri "inappropriati", vogliono dare una risposta i nuovi Livelli essenziali di assistenza (i Lea). E in tempi anche brevissimi. Contando, nel giro di un anno, di risparmiare ben 1,04 miliardi di (2mila mld di lire) con una riduzione del 20% dei ricoveri impropri. Un'operazione che, a regime, dovrebbe lasciare nel letto di ospedale non più del 25% delle prestazioni "a rischio di inappropriatezza". Il tutto, senza tagli alle prestazioni, ma spostando dal ricovero in ospedale agli interventi sul territorio (day hospital, day surgery e ambulatorio) almeno un milione di prestazioni. Facendo tesoro della parola d'ordine della riforma sanitaria ter (fin qui dimenticata e prossima a essere modificata): l'"appropriatezza" delle prestazioni sanitarie. Che a ben vedere, ha anche un altro significato: lotta agli sprechi e buon uso delle risorse, finanziarie e umane, del Ssn. Il quadro completo della situazione lo ha elaborato l'Agenzia per i servizi sanitari regionali (Assr), che alla stesura dei Lea ha contribuito in modo determinante. Secondo l'indagine Assr - integralmente pubblicata sul settimanale "Il Sole-24 Ore Sanità" ora in distribuzione - i 43 Drg (le prestazioni con relative tariffe) individuati fra quelli a rischio di inappropriatezza rappresentano il 25,83% dei ricoveri totali (nel 1999, ultimi dati disponibili): 3.283.884 prestazioni su 12.715.589 totali. E della lista fanno anche parte alcuni Drg fra i primi nella classifica dei più ricoverati in Italia: interventi sul cristallino, affezioni mediche del dorso, malattie dell'apparato digerente sopra i 17 anni di età occupano rispettivamente il secondo, terzo e quinto posto a livello nazionale. Il 75,53% delle prestazioni a rischio di inappropriatezza è trattato in ricovero e solo il 24,47% va in day hospital. Differenziato anche il range rispetto ai singoli Drg. Si va, infatti, da casi in cui i ricoveri sfiorano il 100% degli interventi (traumi della pelle del tessuto sottocutaneo e della mammella, interventi su orecchio, naso e gola e così via) ad altri in cui in un letto di ospedale finiscono oltre l'85% dei casi trattati (alterazioni dell'equilibrio, artroscopia, affezioni mediche del dorso, nevrosi depressive). Per "fare i conti" sui Drg a maggior rischio di inappropriatezza secondo l'elenco dei Lea, l'Assr ha elaborato un confronto fra la percentuale di utilizzo delle prestazioni in regime di ricovero ordinario e in day hospital. Il tutto, prendendo a riferimento, per ogni prestazione, la percentuale di maggior utilizzo dei ricoveri di un giorno e tralasciando, per il momento, casi in cui il Drg non dovrebbe in assoluto (tranne situazioni particolari) essere trattato in ricovero. Come, a esempio, le patologie di orecchio, naso e gola o le alterazioni dell'equilibrio, che "ricoverano" rispettivamente nel 91% e l'87% dei casi. A livello regionale la situazione si differenza ulteriormente. Oltre a tunnel carpale e interventi sul cristallino, a esempio, è il caso dell'artroscopia. Si tratta di un intervento incruento della durata di una ventina di minuti e il paziente, se trattato adeguatamente in riabilitazione, può lasciare dopo poche ore l'ospedale. Ma oltre l'86% delle artroscopie si fa in ricovero, con punte massime che sfiorano il 100% in Molise, a Bolzano e in Campania e livelli minimi di ricoveri del 54% in Piemonte, 59% in Veneto e 67% in Emilia Romagna. Percentuali comunque troppo elevate, secondo i tecnici sanitari che hanno messo a punto i Lea. E che aspettano risultati consistenti, anche economici, dalla razionalizzazione avviata. Roberto Turno Paolo Del Bufalo ____________________________________________ Corriere della Sera 17 gen. '02 "ESAMI SANITARI IN RITARDO? PAGHERÀ IL MANAGER" Sirchia vuole tagliare le liste d' attesa troppo lunghe in ospedale. Le nuove norme sottoposte alle Regioni La rete informatica è insufficiente. Le prenotazioni sono spesso fatte ancora a mano. Servono anche 180 giorni per una angiografia coronarica e si arriva a 210 per un' ecografia De Bac Margherita Il testo prevede la possibilità di utilizzare la libera professione dei medici dipendenti. Il dirigente "colpevole" potrebbe giocarsi la riconferma "Esami sanitari in ritardo? Pagherà il manager" Sirchia vuole tagliare le liste d' attesa troppo lungh e in ospedale. Le nuove norme sottoposte alle Regioni ROMA - Oltre due mesi per l' elettrocardiogramma, 5 per la Tac addominale, 6 e mezzo per la mammografia. Chissà se un giorno i tempi per sottoporsi ad un esame diagnostico negli ospedali italiani potranno essere accorciati. Ci hanno provato tutti i ministri, perché le liste di attesa sono la spia rossa di una sanità che non funziona. E adesso tocca a Girolamo Sirchia cercare di mettere mano ad un problema che sta palesemente a cuore al capo d ello Stato, Carlo Azeglio Ciampi e al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Un provvedimento taglia-attese verrà sottoposto presto al vaglio delle Regioni che, anche in questo, "restano sovrane". Tra i possibili bersagli il manager dell' azien da sanitaria. Se la lista delle prestazioni ritenute urgenti non verrà eliminata o ridotta entro un limite di giorni fissato caso per caso, il manager rischia di incorrere in penalizzazioni che peseranno sul giudizio per la sua riconferma alla scaden za del quinquennio. "Le Regioni devono avere largo spazio perché la situazione cambia da ospedale a ospedale - spiega il ministro -. Non sempre la lunghezza delle liste è sintomo di disorganizzazione e inefficienza. Avviene che il fenomeno sia dovuto all' eccesso di richieste rivolte ad un centro con buona fama, che lavora bene". LIBERA PROFESSIONE - Il testo richiama norme già esistenti. Si dà piena facoltà alle Regioni di utilizzare la libera professione dei medici dipendenti. Potranno lavorar e per un numero di ore non superiori al 50% rispetto a quelle contrattuali. Esempio. Per un ecodoppler si devono attendere cinque interminabili mesi? In questo caso il direttore generale può decidere di aumentare la disponibilità degli esami giornali eri facendo entrare in squadra un cardiologo in più. Meccanismo già previsto nella Riforma-ter dell' ex ministro Rosy Bindi, ma che non ha funzionato se è vero che le liste di attesa in questi ultimi mesi non hanno mostrato sensibili variazioni. "Noi pensiamo però di allargare e rendere più agevole l' uso di questo strumento", dice il ministro. ANALISI - Le liste di attesa sono le eterne nemiche della sanità pubblica, in Italia e nel resto d' Europa: "Ci saranno sempre e ovunque - è l' analisi d i Isabella Mastrobuono, docente di organizzazione e gestione dei servizi sanitari all' università Cattolica del Sacro Cuore -. La domanda è in continua esplosione, guardiamo cosa sta accadendo per i test genetici che sono quadruplicati in pochi anni. E guardiamo cosa succede agli inglesi che vanno ad operarsi in Germania". In Italia c' è un ostacolo in più. La rete informatica è spesso assente, le prenotazioni di esami diagnostici e visite ambulatoriali si trascrivono manualmente, in molte strut ture manca il Cup, il centro unico di prenotazione. L' ultima indagine effettuata dal Tribunale per i diritti del malato rivela un elenco di tempi biblici: 70 giorni per l' elettrocardiogramma, 180 per l' angiografia coronarica, 90 l' endoscopia, 180 ecografia mammaria, 210 l' ecografia. Margherita De Bac mdebac@corriere.it I TEMPI 70 4 Sono i giorni necessari in media per un elettrocardiogramma. Nel resto d' Europa si va da un minimo di 55 giorni (Svezia) ai 110 della Spagna (indagine Tdm) Anch e 4 mesi e mezzo di attesa per un' ecografia all' addome. Gli esami diagnostici più richiesti oltre alle ecografie, sono radiografie, Tac e Rmn ____________________________________________ L'Unione Sarda 17 gen. '02 TRAPIANTI, NUOVI CONFLITTI COL BROTZU Diminuisce il numero delle donazioni. La nuova legge regionale r.p. CAGLIARI. Cagliari ha diminuito in questi ultimi anni il numero dei trapianti e dei donatori. Secondo Licinio Contu (coordinatore regionale del centro trapianti, che ieri ha tenuto una relazione sulla situazione di questo tipo di interventi in Sardegna) il calo delle donazioni dipende anche dai lavori di ristrutturazione che interessano la rianimazione dell'ospedale Brotzu. Fatto che ha condizionato le donazioni. In città, nel 2000 si sono eseguiti 24 trapianti di rene e 7 di cuore. L'anno scorso ne sono stati fatti 18 di rene e 4 di cuore. In generale, in Sardegna, questo tipo di interventi (di reni e di cuore) è diminuito di oltre il 20 per cento nell'ultimo anno. Nel 2001 i trapianti sono stati 39 (di cui 4 di cuore), dieci in meno rispetto al 2000. Invariato il numero delle donazioni: 22, di cui 12 a Sassari e 7 a Cagliari. La media nazionale per milione di abitanti è di 17,7 donazioni, contro le 13,28 della Sardegna. La diminuzione dei trapianti, afferma Contu, si deve anche alla mancanza di un centro per il fegato. I sardi in lista d'attesa per quest'organo devono emigrare, mentre i fegati prelevati nell'isola (17 nel 2000, 1 in meno l'anno scorso) vengono offerti a pazienti di altre Regioni. Cagliari (assieme a Sassari) si candida a ricevere l'autorizzazione nazionale. Ma, spiega Contu, dovrà essere la Regione a decidere. Licinio Contu, ieri, ha anche illustrato il disegno di legge regionale per l'attuazione delle linee guida di quello nazionale in cui sono state introdotte le norme sul consenso informato alla donazione di organi. Per il momento, però, nell'isola si seguirà la vecchia procedura: si chiederà sempre l'autorizzazione ai parenti del potenziale donatore. Manca ancora, ha sostenuto Licinio Contu, un sistema di informazione nazionale e locale adeguato. La legge regionale prevede, tra l'altro, un coordinatore regionale unico del Centro trapianti e riconferma Contu per i prossimi cinque anni. Se approvate, le nuove norme istituiranno in tutti gli ospedali dell'Isola anche un registro delle persone decedute per lesioni cerebrali ("indispensabile per questi interventi"), che consentirà di individuare possibili donatori. La legge regionale regolerà anche le attività collegate, come la tipizzazione tessutale, necessaria per verificare con tempestività la compatibilità fra donatori e riceventi, e prevede che diventi di competenza esclusiva del Centro regionale trapianti. Contu ha sottolineato che l'unico laboratorio sardo accreditato anche a livello internazionale per questo tipo di esami e quello della Cattedra di Genetica medica diretto dal Carlo Carcassi (del Centro trapianti), all'ospedale Binaghi. Mentre questi esami si fanno anche all'ospedale Brotzu, attività che secondo Contu, deve cessare. Al Brotzu l'attività dei trapianti di rene iniziò nell'87 con un blitz a fin di bene: un intervento che forzò la mano (non c'era, infatti, nessuna autorizzazione nazionale) per aprire la strada ai trapianti nell'isola. ____________________________________________ L'Unione Sarda 19 gen. '02 OPPI: "GIÙ LE MANI DAL CENTRO TRAPIANTI" L'assessore regionale alla Sanità ribatte alle critiche per la nomina di Contu Bordate al veleno contro un dirigente dell'ospedale "Brotzu" Centro regionale trapianti, esplode la polemica. L'assessore alla Sanità Giorgio Oppi spara a zero contro chi contesta la sua delibera. Al centro della disputa c'è infatti il provvedimento della Giunta regionale che organizza i servizi e nomina coordinatore il professor Licinio Contu. Dopo gli interventi del direttore generale Franco Meloni e del Capo dipartimento trapianti del "Brotzu" Ugo Storelli, interviene l'assessore regionale alla Sanità Giorgio Oppi. "La nomina del professor Licinio Contu a coordinatore del Centro regionale per i trapianti - premette l'assessore - è un atto dovuto, che rispetta pienamente la normativa in materia e recepisce integralmente la legge nazionale, attuandola". L'assessore contesta quindi le critiche di Meloni, che non condivide il provvedimento, ma si è impegnato a rispettarlo. "Il direttore generale del "Brotzu" - scrive Oppi - sbaglia a porre in discussione atti che sono corretti nella forma e che ritengo indiscutibili nel merito". Ma è contro Storelli che il responsabile della sanità regionale lancia i suoi fulmini: "Circa il parere espresso dal dottor Storelli, devo convenire con lui che è modesto: non esistono monarchi e il suo lavoro potrà trarre solo giovamento dalla collaborazione e dal coordinamento del Centro trapianti. Il dottor Storelli - precisa Oppi - non vanta specifiche competenze per mettere in discussione la legge nazionale e le decisioni della Giunta regionale ed a ciò non servono né possono servire amicizie altolocate. Un'altra buona occasione persa per dedicarsi alla scienza, occupandosi di polemiche inutili". Riferendosi al titolo pubblicato sul giornale di giovedì, "Licinio Contu re dei trapianti", il dottor Storelli aveva scritto ieri: "Individuare, mediante disposizioni ad hoc, monarchi più o meno assoluti, sicuramente non aiuterà i trapianti. A mio modesto parere, l'assessore e la giunta hanno sbagliato". (l. s.) ____________________________________________ L'Unione Sarda 18 gen. '02 AMBROSINI APRE AL "BROTZU" UN CENTRO DI CHIRURGIA EPATICA "Fegato artificiale sì, di maiale no" Tutti i dubbi sul trapianto dagli animali transgenici È uno che dà del tu al fegato. Ha trapiantato, (primo al mondo), cellule epatiche in un bambino di 10 anni che guardava i cartoni animati; ha utilizzato (primo in Italia) il fegato bioartificiale; ha innestato una parte del fegato di un adulto in un ragazzino. L'autore di questi interventi, Giovanni Ambrosino, tra poco dirigerà una divisione di Chirurgia epatica al "Brotzu". Quarantaquattro anni, originario di un paesino della Campania, ha studiato Medicina a Padova, prima di iniziare un lungo soggiorno di specializzazione all'estero che lo ha condotto a Boston, New York e Pittsburgh. Quindi il rientro a Padova, nell'équipe del professor Davide D'Amico. Il bisturi occupa tutta la sua vita, ma non gli ha fatto dimenticare le vecchie passioni per la chitarra, i fumetti, il tennis e la cinepresa (come regista, nell'82, ha girato un documentario sugli anziani). Nel 94, folgorato sulla via di Arcore, ha aderito a Forza Italia. Il suo impegno sociale è proseguito come vice presidente della "Federazione internazionale dei diritti umani", mentre oggi segue alcune associazioni che si occupano delle malattie rare. Professore, con un curriculum come il suo, com'è finito in serie B? "Non sono d'accordo su questa valutazione. La Sardegna nel campo delle donazioni e dei trapianti è tra le prime regioni italiane. Inoltre, c'è una consolidata tradizione di scambi di chirurghi tra Cagliari e Padova. Infine considero prestigioso mandare avanti un'iniziativa con un gruppo diverso da quello della mia scuola". Vivrà a Cagliari, o farà il pendolare? "Mi trasferirò in questa città, mi piace molto". Come ha trovato il reparto? "Molto bello, nuovo, anche se ancora non conosco tutti coloro che ci lavorano. Comunque mi sono reso conto di avere a che fare con un'amministrazione motivata a realizzare un programma complesso, che può dare un buon risultato". Porterà con sé dei collaboratori di Padova? "Deciderò in seguito, qui ci sono già tutte le professionalità. Non escludo che, nel frattempo, qualcuno possa venire da me, a Padova, per prendere confidenza con un tipo di patologia e un intervento, il trapianto, non comune". Ha predisposto un programma con l'amministrazione del Brotzu? "In primo luogo voglio avviare la chirurgia del fegato e del pancreas. In questo contesto si inseriranno anche i trapianti. E anche se non siamo in una sede universitaria, cureremo la ricerca scientifica. In particolare, sulle terapie geniche già avviate a Padova. Ci occuperemo del fegato bioartificiale e di uno studio sulle cellule staminali che sarà unico in Europa". Saprà che il ministro Sirchia non vede con favore la nascita di altri cliniche per i trapianti di fegato. "In Sardegna non esiste un centro, mentre ci sono i donatori. Non vedo perché sardi, per sottoporsi al trapianto, debbano spostarsi altrove". Avremo anche a Cagliari il fegato bioartificiale ?(una macchina in grado di purificare il sangue sino all'arrivo di un organo da trapiantare ndr). "Certamente. Ormai è una realtà sofisticata, computerizzata, che utilizza cellule di maiale. In più a Cagliari arriverà anche un fegato totalmente artificiale, si chiama Mars, e servirà per trattare, in caso di scompenso acuto, i pazienti con cirrosi in vista del trapianto. E non contiene cellule". Si può ipotizzare che questi fegati artificiali possano di ventare come gli apparecchi per la dialisi, magari portatili? "Che diventino portatili sarà difficile, perché si tratta di macchine complesse, ma è vero che la ricerca è orientata a farle diventare strumenti per una sorta di "dialisi epatica"". Quando si arriverà allo xenotrapianto, cioè all'utilizzo del fegato di un maiale transgenico? "Credo che la via dello xenotrapianto, con l'impiego del maiale transgenico, sia molto lontana. Seguo invece con maggiore interesse la linea di ricerca (che porteremo anche a Cagliari) sulle cellule staminali. Quella orientata a rendere l'uomo capace di accettare il fegato dell'animale". Lei una volta ha trapiantato una parte del fegato di un adulto su un bambino. È una strada percorribile su larga scala? "Dividere gli organi consente di aumentare il pool dei donatori e quindi dei trapianti. Oggi questa tecnica offre possibilità ancora maggiori ricorrendo al trapianto di fegato da vivente (a Padova ne abbiamo fatti sei). Ma in questo caso sono necessarie particolari cautele". Ha fatto anche trapianti di aorta. "Sì, ma a Cagliari non me ne occuperò, perché c'è già una straordinaria scuola di chirurgia vascolare". Lucio Salis ____________________________________________ L'Unione Sarda 16 gen. '02 CARO MINISTRO, SE I CANI SPORCANO, SALUTE A RISCHIO Lettera aperta a Sirchia Illustre professore Girolamo Sirchia, il campo del suo Governo è molto ampio, tanto da interessare ciascun cittadino personalmente, eppure un attento osservatore può trovarvi una prospettiva d'ulteriore estensione. È il mio caso: dopo alcuni anni d'indagini sul problema degli escrementi dei cani, quella mia iniziale prospettiva è divenuta un'esigenza. Perché? Ho creato un sito Internet dedicato all'eliminazione delle feci canine dai luoghi pubblici delle nostre città, il suo indirizzo è www.caccacaniedintorni.com. Questo sito ha ricevuto, migliaia di consensi e d'email per avviare a soluzione il problema e ritengo ora doveroso esporre il risultato, perché un Paese che si dice civile giunga rapidamente ad una consapevole decisione. Il problema esisteva già prima dell'ultima guerra e anche allora i regolamenti comunali disponevano l'obbligatoria raccolta delle feci canine. Allora si stimava la presenza di non oltre un milione di cani, mentre oggi in complesso ce ne sarebbero nove milioni, dei quali ben sei milioni e mezzo nelle abitazioni cittadine, capaci di un deposito giornaliero su strade e pubblici giardini di oltre 700 tonnellate d'escrementi, sistematicamente non raccolte da oltre il novanta per cento dei loro padroni, impuniti da decenni. È presumibile che la presenza dei cani aumenterà in notevole misura per varie esigenze (difesa e compagnia d'anziani), così il disagio e il pericolo aumenteranno. Le autorità comunali, nonostante i tanti esperimenti avviati per la raccolta, costosa e difficile, costringono ancora gli italiani a camminare con lo sguardo per terra per scansare gli scivolosi depositi. Intanto i nostri bambini sono costretti a disertare i pubblici giardini dove persino le aree per cani, che i Comuni non puliscono, sono intese come gabinetti canini. Il caso di Matteo, il bambino di Cernusco sul Naviglio, ci ricorda che cosa possa succedere a seguito del casuale contatto con le feci di cane contenenti l'echinococco. A Matteo si produsse nel fegato la cisti idatidea e dovette subire l'asportazione di una parte di un polmone e di una costola. Le feci canine hanno un contenuto batterico potenzialmente pericoloso, anche dopo l'asportazione a causa degli inevitabili residui, esso si aggrava quando questi sono accumulati nei contenitori stradali, creando veri e propri serbatoi batteriologici. Questo in sintesi il grave problema igienico, unito alla necessità di far operare in borghese la vigilanza urbana, applicando sanzioni più alte, adottando l'uso dei moderni microchips per l'identificazione del cane, vigilando affinché gli istruttori non esasperino gli istinti d'aggressività di certe razze, reprimendo la vivisezione e i combattimenti tra animali ancora troppo praticati. Sarebbe subito auspicabile una massiccia campagna televisiva di sensibilizzazione dei padroni dei cani, tipo Pubblicità Progresso. Poiché l'aspetto igienico del problema è prevalente, ritengo sia istituzionalmente competenza del suo Ministero, nell'ottica di una ormai indilazionabile necessità di prendere l'iniziativa di coordinare e dirigere tutte le normative per una rivisitazione complessiva di tutto quest'annoso problema ancora non risolutamente affrontato. Non pensa che, con in tasca l'Euro, ora ci si debba ancor più vergognare di questa igienicamente pericolosa ed ambientalmente indecorosa situazione nazionale? Piero Di Blasi Milano (diblasi@micronet.it) ____________________________________________ L'Unione Sarda 17 gen. '02 LA NASA PRIMARIO DEL CENTRO TRAPIANTI DI MIDOLLO OSSEO Giorgio La Nasa è il nuovo primario del Centro trapianti di midollo osseo dell'ospedale "Binaghi". L'importante incarico gli è stato affidato dal manager della Asl 8 Efisio Aste. La Nasa continuerà così l'attività promossa dal suo maestro, il genetista Licinio Contu, pioniere dei trapianti. La direzione del Centro rappresenta la più importante tappa di una carriera percorsa sempre sotto il segno dell'impegno scientifico. Cagliaritano, 47 anni, allievo dei Salesiani, La Nasa si è laureato in Medicina e specializzato in Ematologia nell'ateneo cittadino. Le patologie del sangue sono state sin dall'inizio al vertice dei suoi interessi di ricercatore. Una passione che, nell'85, l'ha indotto a trasferirsi a Pesaro, presso il Centro trapianti diretto dal professor Guido Lucarelli. Dall'Italia all'estero, il '90 vede il giovane studioso cagliaritano in Inghilterra, all'Hammersmith hospital di Londra diretto dal professor Goldmans. Il resto è storia recente. Giorgio La Nasa è membro del Consiglio scientifico della "Scuola internazionale per la cura della talassemia mediante trapianto", col ministro della Sanità Sirchia e i professori Tura, Lucarelli e Granena. L. S. ____________________________________________ L'Unione Sarda 17 gen. '02 METROPOLITANA AL POLICLINICO: UN BANDO CON 52 MILIARDI Le Ferrovie della Sardegna sono pronte a mandare in gara il primo tratto della metropolitana di superficie. Chiamate in causa dal presidente del Ctm Giovanni Corona nel suo intervento in Consiglio comunale, le FdS ribadiscono la bontà del loro progetto, peraltro "a costo zero" per gli enti locali, dal momento che i finanziamenti, già concessi, sono statali. Nessuno, comunque, replica ufficialmente alla polemica aperta da Corona. Dal primo gennaio scorso le FdS sono tornate nell'alveo del ministero dei Trasporti, con un commissario governativo. Il progetto definitivo, approvato a Roma, prevede la realizzazione di un collegamento in superficie tra piazza Repubblica e Monserrato, nella zona della stazione, con la possibilità di arrivare anche al Policlinico e alla Cittadella universitaria. Resta in piedi il progetto di massima, più volte discusso, per la realizzazione di un collegamento che colleghi Quartu con Cagliari attraverso il Poetto. Il bando di gara per il progetto definitivo (Cagliari-Monserrato) avrà come importo base, al netto di Iva, 52 miliardi e 300 milioni per lavori e forniture. Una metropolitana pesante, con la realizzazione di gallerie sotterranee, così come proposta dal Ctm, viene considerata dalle FdS eccessiva, per i costi, per un'area di 400 mila abitanti. Un simile intervento sarebbe giustificabile con un'utenza potenziale di almeno 35 mila passeggeri all'ora che solo le grandi metropoli sarebbero in grado di offrire. ____________________________________________ La Repubblica 18 gen. '02 BLITZ ANTIFUMO, OSPEDALI NEL MIRINO Sotto osservazione aeroporti, stazioni, cinema, luoghi di ritrovo e teatri. Attivato un numero verde per le segnalazioni In corsia oltre 400 ispezioni, multati anche alcuni medici IL 58% APPROVA I CONTROLLI Milano. Ancora una giornata campale per i controlli antifumo in tutt'Italia. Nel mirino dei Nas sono finiti in particolare ospedali e uffici pubblici. Ma non sono mancati i controlli anche in porti, aeroporti, metro e stazioni ferroviarie. E sono fioccate le multe. I dati al 16 gennaio parlano di oltre 400 ispezioni nelle strutture ospedaliere e sanitarie, una cinquantina nei grandi punti di transito del trasporto nazionale. E poi cinema, teatri, sale da ballo (150), uffici postali (52), musei e biblioteche (una trentina) e, naturalmente, sale corse (53). E 52 le multe elevate ai giocatori incalliti e la 53ma è toccata a uno dei responsabili del controllo. Un record prevedibile per abitudine e stress, anche se si continua a fumare troppo soprattutto là dove sarebbe più ferreamente vietato sin dal 1998: negli ospedali e anche fra il personale medico e paramedico. E nelle strutture sanitarie, hanno scoperto i carabinieri, mancavano anche i cartelli antifumo (a Milano e Rimini, ad esempio). A scorrere i rendiconti dei controllori i più indisciplinati sembrano i napoletani (e proprio a Napoli tre medici sono stati sorpresi a fumare in corsia), ma è anche vero che nel capoluogo più intensi sono stati i controlli. Rare le multe da 400 euro, mentre a singoli "irriducibili" del fumo si preferisce applicare la sanzione da 50 euro. Ai centralini dei Nas fioccano le denunce ma non tutte sono affidabili e in molti segnalano ristoranti e bar che, per il momento, restano esclusi dalle sanzioni. E per segnalare le violazioni di legge (ma anche per chiedere consigli medici e legali) la Lega italiana per la lotta contro i tumori ha messo a disposizione un numero verde: 800998877. ____________________________________________ Corriere della Sera 16 gen. '02 ARRIVA IL FARMACO ANTI-LEUCEMIA La molecola ha avuto risultati positivi in nove casi su dieci Roma. Arriva in Italia il farmaco che forse segna una svolta nella lotta al tumore. Una molecola capace di interferire con i meccanismi della leucemia mieloide cronica. La molecola è l'imatinib (nome commerciale Glivec) ed è il risultato di una ricerca durata 40 anni. La novità è che il bersaglio non sono le cellule malate, come nella tradizionale chemioterapia, ma appunto uno degli interruttori di questa malattia del sangue, che in Italia colpisce 800 persone all'anno. Per le forme croniche l'unica speranza era il trapianto di midollo. Ora c'è un farmaco definito "straordinario" da un ematologo solitamente cauto, Franco Mandelli. L'imatinib ha ottenuto risultati positivi nel 90% dei pazienti con leucemia mieloide cronica, che ora "hanno speranza di guarire e tornare a condurre una vita normale". Uno dei vantaggi, infatti, è la limitatezza degli effetti collaterali. Il farmaco blocca l'azione della proteina sintetizzata da un gene ibrido, presente nei malati. Per ora viene utilizzato nei centri ospedalieri con indicazioni che, secondo il professor Michele Baccarani, ematologo dell'Università di Bologna, potrebbero presto essere ampliate ad altre fasi meno estreme della malattia. Non solo. Nel futuro della molecola, ci sono l'abbinamento con altre molecole (ad esempio l'interferone) e la sperimentazione in altri tipi di leucemie. In Italia sono già partiti i test sui primi pazienti. Secondo i medici, le risposte sono molto stimolanti. M.D.B ____________________________________________ Le Scienze 17 gen. '02 MICRORGANISMI IN ANTARTIDE L'alto grado di salinità del suolo che mantiene l'acqua allo stato liquido è una delle caratteristiche favorevoli Nel sottosuolo delle Dry Valley, zone dell'Antartide non coperte di ghiaccio, vivono microrganismi. In due diversi siti caratterizzati da un suolo con una alta salinità, ricercatori canadesi e neozelandesi hanno infatti scoperto colonie di funghi e specie comuni di muffe Penicillium, a una profondità compresa tra tre e otto centimetri. La ricerca, il cui risultato è pubblicato sulla rivista "Icarus", apre interessanti prospettive sullo studio della possibilità di vita su Marte. "Crediamo - ha spiegato William Mahaney della York University, in Ontario, Canada - che le nostre ricerche sul campo forniscano informazioni sul suolo antartico e sui microrganismi che vi sono ospitati che potrebbero essere utili per le future missioni per Marte. Infatti la superficie marziana testimonia una storia geologica per molti aspetti simile a quella del continente antartico." Il suolo freddo e arido delle Dry Valley si è formato in condizioni ambientali molto simili a quelle di Marte. Le temperature medie annuali nella zona in cui sono stati trovati i microrganismi, oscillano tra - 30 e -35 gradi Celsius. Le precipitazioni sono praticamente nulle: meno di 10 millimetri l'anno. Il terreno è caratterizzato da concentrazioni saline pari a circa 3.000 parti per milione. Questa caratteristica consente un abbassamento della temperatura fino a -56 gradi Celsius senza formazione di ghiaccio. In questo modo l'acqua rimane allo stato liquido: una condizioni fondamentale per i microorganismi, in Antartide come su Marte. ____________________________________________ Repubblica 16 gen. '02 VIA LIBERA AL GLIVEC NUOVA ARMA ANTICANCRO É efficace al 90% contro la leucemia mieloide cronica GIOVANNI MARIA PACE ROMA - Maurizio ha ora 36 anni. "A trentaquattro", racconta, "gli esami effettuati dall'azienda dove lavoro hanno dato un aumento dei globuli bianchi molto importante. Il medico in fabbrica era preoccupato e ha disposto una visita presso l'Istituto di ematologia di Bologna. Gli ulteriori esami e la biopsia del midollo hanno confermato che si trattava di leucemia mieloide cronica". Una diagnosi grave, quasi una sentenza di morte. Nel dicembre '98 il paziente riceve la cura al momento migliore, iniezioni di interferone e capsule di citosina arabinoside, preludio al trapianto di midollo. "Ma dopo dodici mesi di terapia, nel mio midollo quasi tutte le cellule risultavano Filadelfia positive (il cromosoma difettoso Filadelfia è all'origine della malattia) e per questo hanno cominciato a somministrarmi l'Sti 571". Sono passati due anni e Maurizio è in remissione completa, anzi potrebbe dirsi guarito, se i medici non diffidassero della parola. Del "miracolo" deve ringraziare la nuova molecola, nel frattempo battezzata Glivec, primo di una serie di farmaci molto efficaci e non tossici che stanno cambiando il volto del cancro. Dopo l'approvazione dell'autorità americana e di quella europea, Glivec ha superato il vaglio della Cuf ed è ora liberamente disponibile anche in Italia. Lo ha annunciato ieri Giacomo Di Nepi, amministratore delegato di Novartis Italia, sottolineando come il farmaco sia il solo ad avere ottenuto risultati nel 90 per cento dei malati di Lmc in fase cronica. In fase accelerata e nella crisi blastica la malattia però recidiva per la comparsa di cellule resistenti. "Ma i meccanismi che provocano la resistenza al farmaco sono in parte noti", dice Michele Baccarani, l'ematologo bolognese che ha curato Maurizio. "Per aggirarli, si sta sperimentando l'uso del Glivec in combinazione con preparati complementari, aventi cioè un'altra via di attacco al tumore". La via del Glivec è molto specifica. Il difetto cromosomico genera una mutazione nella proteina Abl, che diventa così iperattiva e induce l'incessante moltiplicazione dei leucociti. Ma normale o mutata che sia, l'Abl deve legarsi, per funzionare, al sito della Atp, molecola coinvolta nella trasduzione del segnale di crescita dall'esterno all'interno della cellula. Il Glivec si infila dunque nella tasca altrimenti destinata all'Atp, inceppando il meccanismo di segnalazione. Con la conseguenza che le cellule leucemiche si aggregano e muoiono. Secondo l'ematologo Franco Mandelli dell'università "La Sapienza", il Glivec si dimostra efficace anche in un altro tipo di cancro del sangue, la leucemia linfatica acuta, che è caratterizzata dalla stessa anomalia cromosomica della mieloide. ____________________________________________ Le Scienze 16 gen. '02 OBESITÀ E DIABETE Entrambi i disturbi potrebbero essere contrastati con farmaci diretti a un unico bersaglio Ricercatori del Beth Israel Deaconess Medical Center (BIDMC) della Harvard University Hanno identificato il meccanismo che spiega come la leptina entra in gioco nel metabolismo degli acidi grassi nei muscoli, stabilendo così per la prima volta un collegamento tra obesità e diabete, e creando la possibilità di sviluppo di nuovi farmaci per contrastare entrambi i disturbi. La leptina, ormone scoperto nel 1994, funziona da segnale di sazietà e di soppressione dell'appetito. I primi studi hanno rivelato che essa con i recettori delle cellule cerebrali per segnalare che il corpo ha consumato abbastanza cibo. Ma le sue funzioni non si limitano a questo: i recettori della leptina sono stati identificati anche nelle cellule T e nei vasi di recente formazione. "La leptina - ha spiegato Barbara Kahn, docente della Harvard Medical School, che ha partecipato alla ricerca - è uno dei maggiori regolatori del nostro sistema ormonale. Il metabolismo alterato dei nutrienti è un fattore importante nell'insorgenza dell'obesità così come nel diabete di tipo 2. Quando gli acidi grassi nei muscoli e nel fegato non sono sufficientemente utilizzati, la loro accumulazione non solo inficia la capacità di consumare calorie ma può portare alla resistenza all'insulina, che aumenta il rischio di sviluppare il diabete." Secondo quanto si apprende dall'articolo apparso sulla rivista "Nature", la ricerca si è focalizzata sulla protein chinasi dell'adenosina 5' monofosfato (AMPK), una molecola che agisce su enzimi chiave sia nel metabolismo del colesterolo e nella sintesi del glicogeno. L'ipotesi che l'AMPK possa agire anche da "corsia segnaletica" per la leptina consentendo all'ormone di metabolizzare gli acidi grassi nei muscoli è stata verificata su topi di laboratorio, in cui è stata riscontrata una evidente attivazione in seguito a iniezioni di leptina. "l'AMPK - ha continuato la Kahn - è un enzima con tre sezioni, alfa, beta e gamma, ciascuna delle quali contiene due o tre isoforme. Il nostro studio ha mostrato che una sola isoforma la alfa 2, è legata agli effetti della leptina sull'ossidazione degli acidi grassi nei muscoli." ____________________________________________ Le Scienze 16 gen. '02 BATTERI: UN PERICOLO PER LO STOMACO L'allarme viene dallo studio di topi in cui è stata inibita la produzione di gastrina, un ormone che stimola la produzione di acido gastrico Da tempo l'Helicobacter pyloriè stato indicato tra le possibili cause di ulcera gastrica. Ora, secondo una ricerca dell'Howard Hughes Medical Institute (HHMI) dell'Università del Michigan i cui risultati sono pubblicati sulla rivista "Gastroenterology", anche altri batteri sarebbero implicati nell'insorgenza di gastriti e ulcere che possono anche causare un tumore. Il trattamento a lungo termine dell'infezione da Helicobacter,in particolare, produrrebbe un importante danno secondario, poiché è basato sulla somministrazione di potenti anti-acido, gli inibitori della pompa protonica (PPI), che creando un ambiente gastrico più alcalino, rendono difficile la sopravvivenza del batterio ma annullerebbero la funzione protettiva nei confronti della proliferazione di Lactobacillus, Enterobacter, Staphylococcus e Probionibacterium. Il risultato è stato raggiunto grazie allo studio dell'azione della gastrina, un ormone prodotto da apposite cellule dello stomaco chiamate cellule G che stimolano la crescita e la secrezione acida delle cellule parietali dello stomaco. Per determinare se e in che modo la gastrina è legata al danno gastrico prodotto dall'infezione batterica, i ricercatori hanno preso in considerazione un gruppo di topi privi del gene che codifica per la gastrina. Gli animali, lasciati con una insufficiente produzione di acidi gastrici, hanno sviluppato una gastrite, ma senza essere infettati da Helicobacter. "La ragione di ciò - ha spiegato Juanita L. Merchant, ricercatrice dell'HHMI - è che l'ambiente era già stato colonizzato da un gran numero d batteri. Questo ci ha portato a comprendere più chiaramente che il pH è i fattore determinante per la regolazione degli organismi che colonizzano lo stomaco: l'Helicobacter per bassi valori di pH, una flora mista per alti valori". ____________________________________________ Il Messaggero 18 gen. '02 AIDS, DUBBI SUL VACCINO: IL VIRUS INGANNA LE DIFESE dal nostro corrispondente STEFANO TRINCIA NEW YORK - Nella drammatica partita a scacchi che la scienza mondiale gioca contro l'Aids, il micidiale virus piazza una mossa a sorpresa. Evita con un'abile soluzione lo scacco matto e rivà in fuga, a seminare infezione e morte. Lo hanno imparato a proprie spese i ricercatori della prestigiosa della Scuola di Medicina dell'Università di Harvard. Al termine di tre anni di sperimentazione di un vaccino particolarmente promettente, una delle scimmie cavia che appariva resistere all'infezione, ha ceduto di schianto all'assalto del virus ed è morta. Agli studiosi perplessi è apparso evidente poco dopo il motivo del clamoroso fallimento: l'agente patogeno dell'Aids ha prodotto la mutazione di uno dei suoi geni, confondendo le cellule killer del sistema immunitario lanciate al suo inseguimento dal vaccino. Una dozzina di altri vaccini sono in fase di sperimentazione in tutto il mondo, con risultati molto incoraggianti, avvertono gli scienziati. Non è quindi il caso di disperare. Ma l'episodio di Harvard conferma la grande facoltà camaleontica dell'Aids e quindi la difficoltà di inchiodarlo definitivamente. Fin dalla sua comparsa planetaria il virus della Sindrome da Immunodeficienza Acquisita è apparso una brutta bestia, spiegano gli esperti. La sua capacità di assumere svariate forme e di rispondere con mutamenti della sua struttura alle sollecitazioni dell'organismo malato hanno reso molto ardua la ricerca e lo sviluppo di un vaccino tradizionale: che istruisce cioè l'organismo a riconoscere l'invasore consentendogli di combatterlo con tutte le difese immunitarie di cui dispone. Ad Harvard ed in altri centri di ricerca è stato quindi tentato l'approccio del "vaccino a protezione parziale". Esso mobilita le "cellule T Killer" che intervengono quando è già in corso una risposta immunitaria. In sostanza il vaccino parziale non impedisce al virus di contagiare l'organismo. Ma ne limita fortemente la proliferazione tanto da scongiurare la debilitazione del sistema immunitario e l'insorgere quindi della infezione secondarie, causa di morte nell'Aids. Su questa strada il dottor Dan Barouch e il suo collega Normal Letvin di Harvard hanno cominiciato a sperimentare nel 1999 il vaccino sulla variante del virus che colpisce le scimmie. Otto primati sono stati vaccinati prima di venire contagiati dall'agente patogeno. Per quasi due anni hanno resistito egregiamente all'infezione. Lo scorso anno però la scimmia contrassegnata dal numero 798 ha manifestato improvvisi sintomi di peggioramento e dopo qualche mese è morta. Gli esami del sangue hanno rivelato che il virus si è limitato a alterare uno solo dei suoi geni, rendendo del tutto inefficace l'azione delle cellule T killer. Un'analoga ricerca della casa farmaceutica Merck sta invece dando risultati finora pienamente soddifacenti. ____________________________________________ La Stampa 16 gen. '02 IL MUFLONE SALVATO DALLA BIOTECH N gruppo di scienziati guidati dal biologo Pasqualino Loi e dalla embriologa polacca Grazyna Ptak, entrambi dell'Università di Teramo, è riuscito a clonare un animale in via di estinzione, il muflone sardo, utilizzando una tecnica simile (ma non identica) a quella che nel 1997 permise la clonazione della pecora Dolly. Tutto ha inizio quando due mufle (così si chiamano le femmine di muflone) vengono trovate morte al pascolo, vicino a un Centro per il recupero della fauna selvatica, in Sardegna. L'équipe guidata da Loi raccoglie alcune cellule di questi animali, ne estrae il Dna e lo inietta in 23 ovuli di pecora (i biologi preferiscono parlare di oociti) privati del loro corredo genetico. Dopo una settimana, gli embrioni vitali vengono impiantati nell'utero di quattro pecore domestiche, che hanno il compito di portare a termine la gravidanza. Alcuni mesi dopo nasce un cucciolo di muflone, apparentemente in buona salute. Si chiama Ombretta. Le analisi confermano che ha gli stessi cromosomi della "madre genetica", una delle due mufle trovate morte al pascolo. "Ombretta è nata lo scorso ottobre e ora vive in libertà con altri esemplari della sua specie", racconta la Ptak. Il muflone è una pecora selvatica piuttosto comune in Europa ma la sua variante sarda (Ovis orientalis musimon), presente sull'isola da almeno 10 mila anni, oggi rischia di scomparire. A differenza dalle pecore domestiche, di cui è un antenato, il muflone ha una pelliccia corta e rossastra, arti robusti per spostarsi con agilità fra le rocce; splendide corna a spirale ornano il capo dei maschi. Dopo il muflone, il primo mammifero a salire sull'Arca dei ricercatori italiani, qualcuno già pensa al camoscio appenninico e al cervo sardo, anch'essi a rischio di estinzione. Anche perché, a giudicare dai risultati pubblicati dalla rivista "Nature Biotecnology", sembra proprio che l´équipe abbia migliorato l'efficienza della tecnica. La clonazione è nota per essere poco affidabile: tipicamente, solo un tentativo su cento va a buon fine, mentre l'équipe di Loi ha raggiunto una percentuale di successo che supera il 4 per cento. Gli interessati fanno orecchi da mercante ma nel frattempo hanno depositato una richiesta di brevetto. "Il miglioramento può essere dovuto a tanti fattori, come l'animale usato per l'esperimento, o il tipo di cellule da cui è stato estratto il Dna, che nel nostro caso proveniva da cellule morte, e proprio questo particolare potrebbe aver influito positivamente sui risultati", ha commentato la dottoressa Ptak. I critici sostengono tuttavia che le specie a rischio vanno difese con politiche rispettose dell'ambiente piuttosto che con tecniche di riproduzione assistita, la cui utilità è messa in dubbio da numerosi studi. Gli animali clonati, infatti, sono più vulnerabili alle malattie ed esistono seri dubbi sul funzionamento del loro orologio biologico. In altre parole, i cloni potrebbero nascere già vecchi e non vivere a lungo. "La clonazione è ancora una tecnica empirica - ammette la Ptak -, funziona, ma non sappiamo bene perché. Sono necessari altri studi prima di poter valutare l'effettiva utilità delle applicazioni". La verità è che in Italia, da quando la clonazione è stata messa la bando per decreto ministeriale, i nostri ricercatori hanno dovuto fare di necessità virtù e, per non interrompere ogni attività, hanno dirottato tutti gli sforzi sulle specie protette. Le sole, insieme a quelle utili nella produzione di farmaci, che oggi possono essere clonate. Presto le cose potrebbero cambiare: il ministro Sirchia non intende rinnovare il divieto. ____________________________________________ La Stampa 16 gen. '02 I SARDI? ERANO IN BUONA SALUTE ANCHE NEL PALEOLITICO OSTEOLOGIA ARCHEOLOGICA UNA RICCA MESSE DI INFORMAZIONI E´ VENUTA DALL´ESAME - A CURA DI UN´EQUIPE DELL´UNIVERSITA´ DI SASSARI - DEI RESTI DI UN CENTINAIO DI INDIVIDUI RECUPERATI IN UNA "TOMBA DEI GIGANTI" VENUTA ALLA LUCE NEL NORD DELLA SARDEGNA E DATABILE INTORNO AL 1300 D.C. I paleosardi erano in buona salute e di statura relativamente elevata: gli uomini avevano un'altezza media di 163 centimetri e le donne di 156. Potevano contare su un apporto calorico sufficiente, anche se carente di zuccheri. Stando al grado di usura dei denti e alle patologie dentali la loro dieta era varia e doveva comprendere pesce, carne, cereali. Un'alimentazione che farebbe supporre la presenza di un'agricoltura abbastanza sviluppata. Tutte queste informazioni provengono dalle ossa di un centinaio di individui, recuperate da una Tomba dei Giganti nel Nord Sardegna databile attorno a 1300 anni a.C. e utilizzata per l'intera comunità (maschi e femmine, adulti e bambini). Studiando con particolari tecniche le ossa lunghe (tibie, femori, omeri), i crani e i denti rinvenuti nelle tombe di giganti, nelle domus de janas, nelle necropoli, l'équipe diretta dal direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche dell'Università di Sassari, Andrea Montella, è in grado di fornire dati antropometrici, di stabilire sesso, età, alimentazione, patologie delle antiche popolazioni della Sardegna. In continua evoluzione, e con gli apporti della biologia molecolare e della genetica, l'osteologia archeologica rappresenta, oggi come non mai, un ponte tra la preistoria e la storia. Il materiale osseo recuperato dagli archeologi confluisce nel laboratorio di Paleoantropologia della Sezione di Anatomia umana del dipartimento. Qui si svolge il laborioso e paziente lavoro preliminare in cui sono coinvolti anche gli studenti: la ripulitura dei frammenti ossei anche con utilizzo di solventi, la ricostruzione di segmenti ossei con colla vinilica, la classificazione e la ricomposizione in unità scheletriche, a cui segue poi l'indagine vera e propria attraverso l'analisi delle caratteristiche istologiche, istochimiche e biofisiche, gli studi della cristallizzazione minerale che si avvale dell'EPR (Electron Paramagnetic Resonance), e quelli in microscopia elettronica a trasmissione ed in scansione. Impegnativa la recente indagine - in collaborazione con la Soprintendenza ai Beni Archeologici delle province di Sassari e di Nuoro - sulle ossa proveniente dalla necropoli di Montalè, nei pressi della città di Sassari. Avvalendosi dei progressi delle conoscenze e delle tecniche dell'osteologia archeologica, delle più aggiornate metodologie antropometriche, l'équipe ha esaminato gli elementi scheletrici recuperati in 19 tombe di cui 12 singole, 2 doppie, 5 triple. Dei 25 individui di cui è stato possibile stabilire l'età della morte, nessuno superava i 45 anni. Soltanto per pochissimi si è potuta calcolare l'altezza, che oscillava per le donne tra 144 e i 160 centimetri, e per gli uomini tra i 165 e i 170. Tra le patologie osservate artrosi della colonna, una frattura, un tumore tibiale. Bassissima l'incidenza della carie, collegabile alla scarsa quantità degli zuccheri nell'alimentazione ordinaria. È certo che consumassero cibi "elaborati", cotti, ma non è stato possibile stabilire di quali alimenti si cibassero. Gli studi genetici lasciano sperare nuove acquisizioni sulle origini delle popolazioni nuragiche, mentre la possibilità di recuperare frammenti di DNA antico sta aprendo in questi ultimi anni nuovi e stimolanti campi di ricerca. Storia e medicina si alleano, insomma, per tentare di recuperare brandelli del passato, tanto più laconico sulla gente comune quanto più lontano: se dalle tombe più ricche emergono le tracce delle famiglie nobili, di principi e sovrani con le loro armi, i loro gioielli, i loro corredi funebri, le sepolture dei morti anonimi restituiscono solo ossa, diventate, grazie a nuovi supporti scientifici, una preziosa fonte storica. Eugenia Tognotti ____________________________________________ La Stampa 16 gen. '02 RISCHIO UV LA "PELLE XP" DIETRO XP, una sigla apparentemente innocua (che, tutt´al più, richiama alla mente l´ultimo sistema operativo lanciato da Bill Gates), si nasconde invece una malattia genetica dagli effetti devastanti: lo Xeroterma Pigmentosum. Questa malattia significa, per chi malauguratamente ne è colpito, avere la pelle ipersensibile ai raggi ultravioletti e quindi predisposta (ma forse sarebbe meglio dire: condannata) a sviluppare forme tumorali. Accade cioè che questi soggetti, diversamente da tutte le altre persone, non dispongono di enzimi riparatori in grado di provvedere al mantenimento dell´integrità del materiale genetico delle cellule della pelle quando questo materiale genetico (il Dna contenuto nel nucleo cellulare) subisce una mutazione a causa dell´esposizione al sole. Fino ad oggi, purtroppo, non esiste alcuna terapia per contrastare l´XP: l´unico conforto - ma non per chi ne è colpito - può essere trovato nel fatto che si tratta di una malattia rara. Ma ora, con l´annuncio appena dato dai ricercatori del Centre Nationale de la Recerche Scientifique (Cnrs) e del Centre "Zviak" de L´Oreal in Francia, insieme con quelli del Dipartimento di Dermatologia dell´Ospedale Universitario di Bab-El-Qued in Algeria e della Stanford University in California (Stati Uniti) nasce davvero una speranza non soltanto per chi si è ritrovato geneticamente a dover fare i conti con l´XP ma anche per coloro i quali esagerano con l´esposizione al sole, che resta comunque pericolosa per tutti. Questi ricercatori sono riusciti per la prima volta a ricostruire in vitro la pelle di chi è colpito dallo Xeroterma Pigmentosum. "Si tratta di un risultato che apre prospettive immense" afferma Françoise Bernerd, biologa, responsabile dell´unità di foto-invecchiamento del "Centre C. Ziviack", protagonista di questo straordinario risultato. E spiega che avere a disposizione modelli di vera pelle su cui lavorare apre ora alla ricerca una nuova fase sperimentale. Sarà possibile verificare "in diretta", attimo per attimo, le conseguenze prodotte da diverse gradazioni di esposizione ai raggi UV (ultravioletti), giungere a cogliere il momento del primo insorgere dei fenomeni tumorali, individuare i reali danni prodotti sul DNA delle cellule esposte al sole, cercare una via per intervenire su quegli enzimi riparatori mutati. "Sul piano terapeutico si aprono così nuove strade per la elaborazione di una terapia cellulare", osserva la ricercatrice francese. E racconta come si è giunti alla creazione della pelle di chi è affetto da XP. Si è trattato, spiega, di uno sviluppo della tecnica già adottata con successo per la creazione della pelle normale. Questa avviene, semplificando molto, "coltivando" separatamente le differenti cellule che la compongono e poi mescolandole insieme. Ecco, in questo "cocktail" si è inserita una grossa quantità di cellule della pelle XP giungendo così a riprodurre in vitro la sua epidermide e il derma. Arrivare a questi risultati non è stato naturalmente così semplice come può sembrare da una sintetica ed esemplificativa descrizione. E´ il risultato di lunghe ricerche sperimentali che hanno ricevuto il contributo, in particolar modo, racconta sempre Françoise Bernerd, della équipe del Cnrs (organismo analogo al Consiglio nazionale delle ricerche italiano) di Villejuif diretto dal professor Sarasin. E, come si diceva, l´obiettivo non è stato soltanto aprire finalmente una via di speranza per chi si trova geneticamente colpito dallo Xeroterma Pigmentosum ma anche approfondire le conoscenze di causa ed effetto fra l´esposizione ai raggi UV e l´insorgenza di tumori della pelle. Avere a disposizione pelle ricostruita in vitro consente per la prima volta, con questo "modello" tridimensionale, di studiarne la penetrazione dei raggi ultravioletti e le modificazioni prodotte. E´ una svolta nella ricerca che non tarderà a sorprenderci offrendo opportunità di cura e di protezione non solo della pelle XP. Luciano Simonelli ____________________________________________ Corriere della Sera 19 gen. '02 GREEN: SE IL LETTINO NON CURA LA DEPRESSIONE Il male del secolo visto da un maestro della scuola francese L'incontro con lo psicoanalista francese André Green su "Psicoanalisi: di cosa si tratta?", oggi a Milano, sarà un evento memorabile perché Green è ormai una figura storica, uno dei grandi protagonisti dell'epoca post-freudiana. La sua opera, che spazia dalla clinica alla critica letteraria, è caratterizzata da indipendenza di giudizio, rigore morale, ampiezza culturale e aderenza all'esperienza terapeutica. Egli stesso,riferendosi alla vicende spesso conflittuali della psicoanalisi francese, si è definito "né signore né vassallo". Green ci ha rilasciato la seguente intervista. La relazione che lei terrà oggi s'intitola: "La Psicoanalisi: di cosa si tratta?". Possibile che, dopo oltre un secolo dalla sua nascita, la psicoanalisi debba ancora esibire la carta d'identità? Presentarsi? Può davvero sembrare strano. Ma il bisogno di ritornare sulle definizioni di base si deve alla dispersione del pensiero psicoanalitico che, in questi ultimi anni, ci costringe a interrogarci tanto sull'unità quanto sulla necessità di riconoscere la coesistenza di molti modelli. A cosa si deve la frammentazione della psicoanalisi, che è nata ad opera di un solo autore, Sigmund Freud? "Sostanzialmente a due ragioni. In primo luogo la psicoanalisi si è diffusa in tutto il mondo incontrando, in ogni Paese, particolari tradizioni culturali che hanno influenzato le sue teorie. Per esempio, la psicologia dell'Io o la psicologia del Sé si collegano alla cultura nordamericana e, se Melanie Klein sviluppa un'opera iniziata in Germania, i suoi successori Bion e Winnicott sono il prodotto di un modo di pensare anglosassone. Quanto a Jacques Lacan, riesce difficile immaginare che la sua opera potesse nascere altrove che in Francia. Inoltre i pazienti, limitati con Freud ai nevrotici adulti viennesi, si sono ampliati sino a comprendere i bambini, gli adolescenti, gli psicotici. Ormai ricorrono alla psicoanalisi anche persone appartenenti a culture lontane da quella occidentale. Poiché i pazienti sono diversi, è bene che vi siano teorie diverse". In questo più ampio raggio d'intervento rientra anche il "male del secolo", la depressione? "Sicuramente. Ma è necessario prima un chiarimento. Non esiste "la" depressione, bensì differenti aspetti depressivi. Non dobbiamo dimenticare che la depressione fa parte dei vissuti emotivi che ognuno di noi sperimenta in modo più o meno intenso e prolungato durante tutta la vita. Le vicissitudini dell'esistenza e le crisi personali ci obbligano a fronteggiare la depressione e, se qualcuno non l'ha mai mai provata, non per questo merita di essere considerato "normale". Sappiamo che vi sono rapporti strettissimi tra lutto e depressione. Al giorno d'oggi non è raro incontrare qualcuno che, in occasione di un lutto o di una delusione d'amore, viene immediatamente curato dal proprio medico con antidepressivi. Ma, in questo caso, negare l'ineluttabilità della sofferenza e cercare di metterla a tacere ad ogni costo mi sembrano scelte che impoveriscono l'esperienza umana. La psicoanalisi ha descritto la posizione depressiva come una tappa normale dello sviluppo infantile. Quando si parla di "guarire" la depressione, si allude senza dubbio a stati patologici particolarmente intensi (che rendono difficile amare e lavorare)". E su questi la psicoanalisi può intervenire? "La psicoanalisi ha conseguito risultati notevoli nell'ambito della depressione nevrotica (quando il paziente non ha perduto il contatto con la realtà). Ma è importante sottolineare che proprio gli specialisti che curano col farmaco raccomandano sempre più spesso l'impiego congiunto dei medicinali e della terapia psicoanalitica. Tuttavia, è bene ripeterlo, il ruolo della psicoanalisi non è quello di porre rimedio al male del secolo. Sta al secolo, alla società trovare rimedio al suo male, e non è detto che debba essere per forza di tipo medico". Che cosa augura al futuro della psicoanalisi? "I miei voti non cambieranno in nulla l'evoluzione di questa disciplina che seguirà comunque il suo cammino. Certamente oggi il risveglio è abbastanza duro e se posso formulare, non dei veri e propri voti, ma almeno delle raccomandazioni per le generazioni che verranno, sono di non confondere la psicoanalisi, come patrimonio di sapere, con la cura psicoanalitica in senso stretto. Mi sembra che le scoperte essenziali di Freud siano acquisizioni di grande importanza. Dopo di lui, altri pensatori non si sono accontentati di fare aggiunte, ma hanno anche riformulato la teoria nel suo insieme, in modo più o meno convincente. Freud, per quanto possa sembrare straordinario, aveva previsto che i pazienti della psicoanalisi sarebbero cambiati. Oggi, uno dei nostri compiti è quello di rispondere a questi cambiamenti". In che modo? "La psicoanalisi può sopravvivere ai colpi inferti da contributi teorici magari brillanti, ma destinati soprattutto ad impressionare coloro che sono alla ricerca di eccitanti intellettuali. Questo effetto euforizzante è simile a quello delle droghe: effimero e senza efficacia quanto all'aiuto che ci si può attendere da una psicoanalisi. Siccome, alla fine dei conti, lo scacco e la sofferenza non scompaiono, suona l'ora della verità. E allora bisognerà rivolgersi a psicoanalisti forse meno seducenti sul piano teorico e dalla parola meno affascinante, ma più in grado di confrontarsi con la prova richiesta dai grandi fondamenti della psiche. Non possiamo dimenticare che la psicoanalisi non può esistere come pura disciplina intellettuale, ma che per vivere e progredire deve fondarsi sulla pratica clinica. I problemi che questa ci pone sono la posta del secolo che verrà. Dipende solo dagli psicoanalisti che lo slancio impresso da Freud prosegua, si arricchisca e si diversifichi, oppure che affondi nella sclerosi e nella dimenticanza".