FIRENZE: PROFESSORI UNIVERSITARI IN CORTEO FIRENZE: L'ACCADEMIA DELL'APOCALISSE FIRENZE: LE FALSE ACCUSE DI APOCALISSE RICERCA: CERVELLI SPRECATI L'UNIVERSITÀ DEL FUTURO STUDENTI UNIVERSITARI: UNO SU 2 LAVORA MORATTI, NIENTE SOLDI PER LA SARDEGNA CAGLIARI: IN LINGUE STRANIERE SONO SBAGLIATI I CORSI? FAZIO : "PUBBLICA AMMINISTRAZIONE DA RIFORMARE" =============================================================== "IL DISASTRO AL POLICLINICO OPERA DEI BARONI" (a Roma) CENTRO TRAPIANTI NELLA BUFERA: "SBAGLIATA LA NOMINA DEL NUOVO COORDINATORE" I DIALIZZATI: "BASTA CON LE POLEMICHE SUI TRAPIANTI" IL MEDICO SPECIALISTA NON BADA ALLA SPESA BIASOTTI:"I VERI MIRACOLI LI FACCIO IN OSPEDALE" CARLO MASCIA: ALLE SALINE PER CURARE I REUMATISMI SÌ ALLA TRASFORMAZIONE DEL BINAGHI IN AZIENDA AUTONOMA CLINICA PER SOLI MEDICI CATTOLICI I DANNI DA RUMORE SONO "ESISTENZIALI" L'EFFICACIA A LUNGO TERMINE DELLA MORFINA ANGIOPLASTICA SOTTOZERO MAMMOGRAFIA ORA E' DIGITALE, CON MOLTI VANTAGGI MAURICE RAVEL COMPOSE IL BOLERO GRAZIE ALLA SUA DEMENZA LA BIOMETRIA? UNA QUESTIONE D'IDENTITÀ I GRASSI SATURI PERICOLOSI PER LA SALUTE SONO PRODOTTI DAL NOSTRO ORGANISMO MANUALE MERCK:LA MEDICINA A MISURA DELL´ANZIANO ALLO STUDIO UN VACCINO CONTRO LA NICOTINA COSMACINI: RICOMINCIAMO DALLA CURA DI SÉ" =============================================================== ______________________________________________ La Repubblica 25 gen. '02 PROFESSORI UNIVERSITARI IN CORTEO A FIRENZE "Difendiamo la magistratura" Dopo l'appello di trecento professori universitari Firenze. In testa al corteo quelli che in corteo non li vedi mai, i professori universitari. Scesi dalle cattedre per sfilare in piazza e far sentire la loro voce di protesta contro "un governo che mette in pericolo giustizia e informazione" ma anche "per dare una spinta all'opposizione che ha bisogno di sentire la forza della società". Prima di sfilare lungo le strade del centro di Firenze con megafoni e cartelli con citazioni in latino e "slogan" ripresi da Kant, Platone e Erasmo da Rotterdam, hanno scritto un appello in difesa dell'indipendenza della magistratura. All'inizio le firme sono 92, in pochi giorni diventano più di trecento, ieri dietro al gruppo dei docenti si mettono in marcia diecimila persone (dodicimila secondo gli organizzatori), nonostante la pioggia e il freddo, e sulla gradinata del tribunale ci sono trenta magistrati, tra pm e giudici, ad aspettare il loro arrivo. Per una volta sono parlamentari, sindaci, sindacalisti, studenti, movimenti e associazioni a camminare nelle retrovie, a partecipare senza essere in mostra, "ad imparare qualcosa dal successo eccezionale di questo evento", come dice il coordinatore della segreteria nazionale dei Ds Vannino Chiti. I partiti dell'Ulivo ci sono tutti, eccetto lo Sdi che si dissocia "da un vecchio modo di far politica in piazza", ma quasi non si vedono. Davanti al lungo corteo un solo con la scritta "giustizia e informazione imbavagliate democrazia in pericolo". Lo tengono i professori, tra cui Paul Ginsborg, lo storico anglosassone che è stato uno degli inventori della manifestazione. A fare da apripista la macchina col megafono sul tetto, in puro stile Sessantotto, con dentro Francesco Pardi, docente di analisi del territorio ad Architettura, che parla del mandato di cattura europeo, poi tanti cartelli di questo tono: "Magna promisisti, exigua videmus", Seneca. Ci sono Vittoria Franco, senatrice Ds e docente di Storia delle dottrine politiche a Pisa, gli esperti di Storia dello spettacolo Siro Ferrone e Sara Mamone, il filosofo Sergio Givone, lo storico Riccardo Francovich, il costituzionalista Umberto Allegretti, il demografo Massimo Livi Bacci, il giurista Aldo Schiavone. Ma stretto tra la folla sotto l'ombrello c'è anche la rockstar Piero Pelù e a pochi metri da lui Rosario Lupo, il gip che ha prosciolto Berlusconi a Milano per il lodo Mondadori. Antonino Caponnetto, ex capo dell'Antimafia, indebolito da una recente influenza, non riesce a partecipare ma invia messaggi di pieno consenso, il sindaco Leonardo Domenici è a Roma per incontrare il ministro Matteoli ma dice di essere contento per la straordinaria mobilitazione. Partito dalla sede dell'università, il corteo sfiora la galleria dell'Accademia dove è esposto l'originale del David diMichelangelo, passa sotto la Cupola del Brunelleschi e Palazzo Vecchio, dall'epoca dei Comuni simbolo del potere politico cittadino, e arriva al tribunale. Dove parla Paul Ginsborg: "Siamo tutti preoccupati per la democrazia ma siamo minoranza, non maggioranza in questo paese. E dobbiamo lavorare, se i canali tv sono contro di noi, per far arrivare questo nostro messaggio, dentro i vicinati e nelle famiglie. Se mancano l'autonomia della magistratura e la libertà dell'informazione siamo in pericolo". Nell'appello c'era scritto "costruiamo insieme l'opposizione a questo governo". E il messaggio era rivolto a quelli che ieri sfilavano nelle retrovie. Simona Poli - Massimo Vanni ______________________________________________ Corriere della Sera 25 gen. '02 FIRENZE :L'ACCADEMIA DELL'APOCALISSE Firenze, docenti in piazza contro il governo Gli slogan dei professori universitari, che sono scesi in piazza ieri pomeriggio a Firenze, sembravano i proverbi arcaici dei Vinti, quelli dei Malavoglia verghiani, una sfilza di frasi importanti, aforismi, detti e contraddetti che, pur scolpiti su cartelli e mai recitati, facevano il rumore del latinorum . C'era Seneca con " magna promisisti, exigua videmus ", molto promettesti e poco vediamo, e, già tradotti, Lucrezio con "il genere umano è avido di potere", Diogene Laerzio con "i grandi ladri fanno impiccare i piccoli" e via coltocitando, da Erasmo sino a Camilleri. Sono banalità con l'unghia lunga, quiz adatti al valoroso "Passaparola" televisivo, ovvietà senza tempo e senza spazio che vanno bene per tutti. Tuttavia ieri pomeriggio la pensosa banalità s'era caricata di pretese da far tremare i polsi: quel gruppo di docenti universitari è sceso in piazza, con un arsenale di proverbi appesi al collo, nientemeno che per portare a Norimberga Berlusconi. Volevano infatti mettere in guardia l'Italia contro "il gravissimo pericolo", "la fine delle libertà", "gli attentati alla democrazia", "l'apocalisse nazionale", "la deriva fascista del governo". Così, con il conforto di una massima di Kant sul paternalismo, e con l'illuminazione di una sentenza di Orwell su passato e presente, lo strampalato centrodestra italiano è diventato lo Stato etico, e Mediaset è stata trasfigurata in un perfetto mix di purgante ripugnante, del genere olio di ricino, e di manganello. Avessero chiesto al governatore del Piemonte Enzo Ghigo di arrossire per quel regalo spudorato di nove milioni e mezzo; avessero chiesto all'organizzatore di Forza Italia, l'attuale ministro degli Interni Scajola, di spiegare e condannare la compravendita delle tessere, pratica democristiana da anime morte di Gogol, scoperta dalla magistratura di Torino a carico del partito di Berlusconi; avessero chiesto a Cesare Previti di uscire dalla giungla protettiva dei cavilli e affrontare a viso aperto il suo processo; avessero spiegato a Bossi che non si può insultare la bandiera e poi servirsene come scudo, come armatura di privilegio; avessero rimproverato a Fini l'uso opportunistico della Storia...: allora sì, sarebbe stata una protesta di civiltà, un richiamo alla coerenza, all'eleganza, alla sobrietà. Non era insomma difficile nell'Italia di oggi una manifestazione di protesta adeguata al rango della professione intellettuale. Ma - ci chiediamo - si possono scimmiottare le scimmie? Quaranta anni fa, nell'Italia che ancora non aveva chiuso i suoi conti con la guerra civile dei genitori, noi giovani facevamo il verso di famiglia e portavamo in piazza i furori dei ragazzi di altre generazioni: l'antifascismo, non passeranno, il proletariato non permetterà, fascisti carogne/ tornate nelle fogne. Ebbene, quaranta anni dopo, a Firenze, è andata in scena la riscimmiottatura. Non sono più i giovani a scimmiottare gli adulti, ma sono gli adulti che scimmiottano i giovani. Adesso sono i professori di molto sapere che imitano gli studenti di poco sapere. Così da ieri ha il timbro accademico l'infantilizzazione del dibattito politico. Proprio quei professori che volevano vitalizzare l'opposizione l'hanno mummificata. E se, per paradosso o per scherzo, Berlusconi ci credesse e si affacciasse da Palazzo Venezia, si troverebbe rincuorato e frastornato. Come si fa ad avere per oppositori i vecchi travestiti da bambini? Berlusconi, che pure non è un gigante, si vedrebbe assediato dal mondo di Lilliput. Da tanta Accademia critica ieri è stato infatti partorito il topolino della rimostranza, dell'imbronciatura. Direbbero Seneca e il professore anglo-fiorentino Paul Ginsborg, che è il laeder dell' Apocalypse now : " Magna promisisti, exigua videmus ", (in inglesorum si tradurrebbe "Much ado about nothing", tanto rumore per nulla). Francesco Merlo ______________________________________________ Repubblica 26 gen. '02 FIRENZE: LE FALSE ACCUSE DI APOCALISSE PAUL GINSBORG Devo ammettere la mia profonda sorpresa di fronte al violento e ingiusto attacco che Francesco Merlo, dalla prima pagina del Corriere della Sera, ha rivolto alla dimostrazione di 12.000 cittadini di Firenze condotta da 300 docenti universitari. Per Merlo non eravamo altro che "scimmie", che scimmiottavano "noi giovani di quaranta anni fa" (cosa esattamente facesse Merlo nel 1962 mi sfugge). Siamo colpevoli d'aver "infantilizzato" il dibattito politico italiano, mentre, come l'adulto Merlo, avremmo dovuto piuttosto concentrare la nostra attenzione sull'orologio di Enzo Ghigo e il vilipendio di Bossi alla bandiera italiana. Ma soprattutto, a sentire l'editorialista del Corriere, siamo addirittura colpevoli di voler portare Berlusconi a "Norimberga", a motivo del suo desiderio di reintrodurre un nuovo fascismo, e io personalmente sono il profeta di questa visione da "Apocalypse Now". Il tutto sarebbe solo stupido livore, non meritevole di commento e indegno del Corriere della Sera, se non fosse per due elementi. Il primo è prendere nota con tristezza dell'inflazione linguistica che oggi caratterizza una parte dei commenti politici in Italia (la cosiddetta "guerra civile" degli ultimi dieci anni ne è ulteriore pericoloso esempio). Il secondo, e più importante, è osservare che le nostre posizioni sono diametralmente opposte a quelle che Merlo ci attribuisce. Su La Repubblica del 24 marzo ho sostenuto diffusamente che non esisteva il rischio di un ripetersi del fascismo, ma piuttosto che correvamo il pericolo d'assistere a una lenta, subdola e corrosiva azione d'indebolimento delle basi della democrazia italiana dall'interno della democrazia stessa, nel pieno rispetto delle regolari consultazioni popolari. La dimostrazione di Firenze aveva come oggetto la libertà d'informazione e l'autonomia della magistratura e il ruolo centrale che esse rivestono per la prevenzione della tirannia della maggioranza. A me non sembrano questioni infantili, e credo che valga la pena di discuterne in ben altri termini. ______________________________________________ Repubblica 24 gen. '02 RICERCA:CERVELLI SPRECATI Ricerca, lo Stato è "tirchio" Pochi studiosi, mal pagati. Ma tanti risultati DI MARIA GULLO Sinergia. E' questa da un po' di tempo la parola chiave quando si parla di ricerca e i due soggetti che dovrebbero interagire sono chiaramente pubblico e privato. Una soluzione presentata spesso come panacea per tutti i mali della ricerca per riportarci alle medie europee. Tuttavia sarebbe bene ricordare che alcune sinergie nel campo della ricerca biomedica in Italia già esistono, soprattutto se consideriamo le collaborazioni tra il mondo dell'Università e alcune importanti Fondazioni. La questione della sinergia con l'industria è più spinosa, per l'impossibilità secondo i più di affidare la ricerca di base al mercato, ma comunque in divenire. Questo governo in particolare ha spinto molto sull'importanza di "drenare" risorse private verso interessi pubblici, prendendo ad esempio più volte il modello americano ma senza specificare modalità e linee guida. Su questo è intervenuto però recentemente il ministro della Salute Sirchia, sottolineando la necessità del sostegno del privato ma chiarendo che lì dove il finanziamento è misto la "missione" della ricerca deve restare pubblica così come al pubblico va la direzione e il controllo. Un pubblico spesso bistrattato che tuttavia, con gli scarsi fondi a disposizione - non arrivano all'1% del Pil - la ricerca la fa, "forse poca, ma buona" come ha sottolineato recentemente il presidente del Cnr, Lucio Bianco, in occasione della presentazione del Report 2000 dell'attività dell'ente (che resta, comunque, nel mirino del governo). Sono soltanto 3650 i ricercatori Cnr contro gli 8891 del corrispondente Csic spagnolo, gli 11200 tedeschi e gli "irraggiungibili" 25000 del Cnrs francese. Le cose non migliorano di molto con i 5500 ricercatori dell'Istituto superiore di sanità, il "braccio" tecnicoscientifico del ministero, di cui più della metà non sono di ruolo bensì "contrattisti" e qualche borsista. Ricercatori, quelli italiani peraltro, per cui non esiste ricambio generazionale, a causa del blocco delle assunzioni e, soprattutto nessuna meritocrazia. Nonostante ciò va ricordato che i contributi dei ricercatori Iss su riviste scientifiche sono state, fino al '99, ben 500, di cui 425 su riviste internazionali e la media del numero di pubblicazioni dei ricercatori Cnr è di 1,79, inferiore in Europa solo a quella tedesca. C'è poi da registrare l'aumento vertiginoso dell'impact factor, l'indice che misura la frequenza con cui un articolo viene citato sulle riviste scientifiche durante un biennio. E' questo il vero miracolo, afferma Bianco, di fronte a finanziamenti così scarsi. Ma quanto scarsi? Al Cnr sono andati circa 1000 miliardi di lire (oltre 516 milioni di Euro) dallo Stato; gli altri 367 miliardi (più di 189 milioni di Euro) del 2000 vengono dal mercato: l'80 per cento di questa cifra va alla ricerca, di cui una fetta consistente (33%) al settore delle scienze della vita e il 20% al campo della protezione e promozione della salute umana. Il ministro dell'Istruzione, università e ricerca scientifica, Letizia Moratti, ha peraltro recentemente ribadito, per il prossimo quinquennio, un investimento del governo di 10mila miliardi di lire (5 miliardi 164 milioni di Euro), pari all'1% del Pil. ______________________________________________ L'opinione 24 gen. '02 L'UNIVERSITÀ DEL FUTURO di Emilia Costa L'Università con i suoi specifici compiti di didattica e di ricerca dovrebbe essere la culla della cultura, della scienza, della professionalità, e nello stesso tempo luogo di riflessione, di elaborazione del sapere, di trasmissione della conoscenza, specchio del progresso civile della Nazione. In realtà, negli ultimi cinquant'anni, la cultura dello "spezzettamento dei saperi", delle ultra specializzazioni, della moltiplicazione spropositata ed anarchica degli insegnamenti, le scelte sui programmi di ricerca non sempre felici perché spesso mal pilotate da interessi di casta, non hanno favorito una visione globale ed unitaria dell'essere umano. Più recentemente, negli ultimi 30 anni, i mali si sono acuiti con l'accesso indiscriminato all'Università senza criteri selettivi di capacità e merito, la creazione di nuove Facoltà ad induzione politica e gestione partitica, gli attacchi al Ministero della Sanità alle Facoltà di Medicina, i tagli alla Ricerca, il 18 politico e l'esame di gruppo che hanno via via depotenziato il quadro istituzionale universitario, appiattendo sapere e conoscenza a livelli sempre più bassi; e tra l'altro mischiando e confondendo concetti fondamentalmente diversi come uguaglianza, diritti, parità. Cosicché oggi tutti si sentono "diventati uguali", tutti sanno tutto, tutti possono "prevaricare", tutti devono avere tutto, e ciò a scapito delle differenze, della creatività, della crescita personale e delle abilità professionali. E' tempo di invertire la rotta, in una fase di grandi cambiamenti sociali e rapide innovazioni tecnologiche, l'Università italiana ed i docenti devono necessariamente ridefinire la propria identità ed il proprio ruolo e porsi come forza culturale trainante di rinnovamento del Paese. Ciò è diventato prioritario ed essenziale rispetto a qualsiasi altra scelta politica e deve essere compreso ai vertici e soprattutto dal Governo per il benessere socio-economico di ogni singolo essere umano come dell'intera Nazione. Per questo, e proprio mentre si sta confusamente avviando il processo di autonomia degli Atenei, è necessario un programma politico-culturale che caratterizzi l'Università italiana e tutte le sue rappresentanze nell'organizzazione e nelle finalità. E' necessario inoltre ridefinire la funzione e le modalità della Ricerca sia fondamentale che applicata, nonché nuovi modelli per la didattica con un progetto di formazione permanente e servizi di assistenza più idonei ed adeguati ai processi innovativi ed alle diverse esigenze e richieste. E' assolutamente anacronistico che gli esami di profitto all'Università italiana siano ancora oggi regolati da un "Regio Decreto" 1269/38, che la mini Riforma dell'Università, arrivata dopo anni di blocco delle carriere e dell'organizzazione didattica, "Legge 382/80" sia rimasta sempre in attesa di "perfezionamenti", che la pressante richiesta di trasparenza nei reclutamenti concorsuali sia stata aggirata con il Decreto del presidente della Repubblica 117/2000 di "pincopallo" che abolendo i Concorsi Nazionali ed istituendo quelli banditi dalle singole Università, ha favorito le consorterie locali e gli accordi sottobanco tra le baronie di Scuola, che si scambiano le "cortesie" per le idoneità nazionali dei loro pupilli, da chiamare nella propria Facoltà. Il rinnovamento dei "sistemi universitari" è indispensabile non solo per il futuro del nostro Paese ma soprattutto nel confronto con l'Europa, con il Mondo e con i Paesi industrializzati. E, bisogna dirlo, anche per ogni studente, per ogni persona che aspira ad una formazione vera e vitale per migliorare il proprio livello culturale e raggiungere un più alto standard professionale. Per realizzare questi obiettivi e per vincere la sfida dalla "complessità" è necessario, a mio avviso, spingere il Governo a riconoscere la centralità della ricchezza della cultura e della scienza, ma anche promuovere azioni per la formazione permanente ed investimenti per sviluppare la ricerca scientifica e tecnologica considerando tutto ciò come valore fondante e fondamentale della persona e della nostra Nazione. Emilia Costa ______________________________________________ Il Messaggero 24 gen. '02 STUDENTI UNIVERSITARI: UNO SU 2 LAVORA Un'indagine: La nuova vita degli studenti universitari: uno su 2 lavora ROMA - Uno studente universitario su due lavora, oltre che applicarsi agli studi. Lo fa per mantenersi economicamente, ma anche per avere un minimo di indipendenza ed entrare gradualmente nel mercato del lavoro. È questo l'esito di una inchiesta (denominata Eurostudent) condotta su un campione di 7.000 studenti universitari, promossa dal Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (Cnvsu), organismo che fa capo al ministero dell'Istruzione, e presentata ieri dal professor Giuseppe De Rita. La ricerca, effettuata dalla Fondazione Rui e dall'università di Camerino, ha preso in esame un campione di iscritti nell'anno accademico 1999-2000 ed ha rivelato che per la prima volta il numero degli studenti lavoratori è stato superiore a quello degli studenti-studenti: il 54% contro il 46%. Gli studenti-lavoratori sono impegnati in attività che offrono e prevedono una grande flessibilità: impieghi stagionali, part-time, saltuari servizi di segreteria, editoria elettronica, pubbliche relazioni, terziario avanzato, no profit, oltre a baby- sitter, hostess e interprete. ______________________________________________ L'Unione Sarda 23 gen. '02 MORATTI, NIENTE SOLDI PER LA SARDEGNA ASSESSORI IN RIVOLTA: CHIUDEREMO LE SCUOLE Piano per la scuola da 600 miliardi? Il ministro Moratti ha detto no. Si è conclusa con una clamorosa sconfitta la missione a Roma di una pattuglia di sindaci, assessori provinciali e comunali alla Pubblica istruzione. Nella capitale hanno scoperto che per l'edilizia scolastica non ci sono fondi straordinari, ma neppure quelli ordinari del bilancio 2002. La Finanziaria non la faccio io - ha detto il ministro - la congiuntura economica è sfavorevole, siamo in guerra e la guerra costa. Insomma, una questione di tagli. Cortese, disponibile, Letizia Moratti è stata però molto realistica: ha precisato che l'edilizia scolastica non rientra tra le competenze del suo ministero, ma ha adombrato la possibilità che alla Sardegna vengano assegnate anticipazioni sulla Finanziaria 2003. I sardi non l'hanno presa bene: "Chiuderemo le scuole", ha annunciato l'assessore provinciale di Cagliari Gianni Giagoni. "I nostri giovani non potranno mai competere coi loro coetanei europei e noi non vogliamo prendere in giro le loro famiglie". ______________________________________________ La Nuova Sardegna 25 gen. '02 CAGLIARI: IN LINGUE STRANIERE SONO SBAGLIATI I CORSI? Il corso di laurea in Lingue e Letterature straniere del 2000-2001 rischia di essere bocciato dal ministero. Colpa dei crediti formativi bassi: studenti in rivolta La scoperta degli studenti universitari iscritti l'anno scorso Piani di studio " sgonfi" a rischio Lingue straniere Cagliari. Il corso di laurea in Lingue e Letterature straniere dell'Università così com'è rischia di non essere riconosciuto. Lo denuncia un gruppo di studenti, che chiede alla preside di rivedere i piani di studio dell'anno accademico 2000-2001. Ieri è saltato un primo incontro e per la soluzione bisognerà aspettare il prossimo Consiglio di Facoltà. Ma del caso si occuperà anche il rettore Pasquale Mistretta e l'ufficio centrale per la Riforma. Comunque, salvo contrordini, restano in vigore gli attuali piani di studio, nonostante non rispondano ai criteri previsti dal decreto ministeriale e presentino una carenza di crediti formativi. Il decreto prevedeva un minimo di otto crediti per il modulo di Lingua e Letteratura Italiana, ma nei piani di studio sono soltanto quattro. Per le materie caratterizzanti, il minimo è ventisei, dieci in più di quelli previsti dal progetto 2000-2001. Un altro esempio: i moduli delle materie economiche valgono quattro crediti ma dovrebbero essere "pesanti" sei. Al contrario vi sono moduli, come quello di principi di linguistica, con i quali si ottengono ventidue crediti, quattordici in più degli otto necessari, o il modulo relativo a materie Storiche, Sociologiche e Geografiche: diciotto contro i sei necessari. In una parola sola: il caos. Adesso gli studenti chiedono al Consiglio di rimettere ordine e, soprattutto, evitare che le irregolarità annullino il corso di laurea. ______________________________________________ Repubblica 23 gen. '02 FAZIO : "PUBBLICA AMMINISTRAZIONE DA RIFORMARE" Secondo Fazio, un aumento del 10% dell'efficienza potrebbe far balzare il Pil del 45% ROMA - Un aumento del 10 per cento dell'efficienza della pubblica amministrazione "può far fare al pil un balzo del 45 per cento". Ad affermarlo è il governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, che ieri ha detto che l'Italia ha un problema di efficienza della pubblica amministrazione. Dopo la ristrutturazione dell'industria negli anni '80 e delle banche negli anni '90, ha affermato il governatore, "ora tocca alla pubblica amministrazione". Fazio, chiudendo il convegno "Il futuro dell'unione europea e delle sue classi dirigenti", ha osservato che l'Italia "ha estremo bisogno di flessibilità, efficienza, competitività". Negli anni '50'60, ha ricordato il governatore, l'economia italiana crebbe a ritmi del 6 per cento, negli anni '70 l'espansione era scesa a tassi del 3 per cento, nel decennio successivo al 2,5 per cento e negli anni '90 all'1,5 per cento. "Tra le cause prossime di questa performance insoddisfacente - ha aggiunto - si trova subito la difficoltà nella competitività". Una delle vie d'uscita per ovviare a questa situazione "è l'investimento nel capitale umano, ad iniziare dalla pubblica amministrazione". Secondo il governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio, inoltre, l'allargamento dell'Unione europea significa allargamento del mercato, che andrà ad includere un maggior numero di abitanti, e l'Unione europea ha un problema di sviluppo, di crescita, di crisi demografica e di invecchiamento della popolazione. "Sono fenomeni che a mediolungo termine portano ad una minore propensione agli investimenti - ha aggiunto il governatore - e quindi l'allargamento della Unione europea avrà effetti positivi". Il governatore ha anche ricordato i rischi insito in una riforma non equilibrata del federalismo: "senza normecornice ha detto si rischia di aumentare la disparità" =============================================================== ______________________________________________ Il Tempo 22 gen. '02 "IL DISASTRO AL POLICLINICO OPERA DEI BARONI" (a Roma) Durissima risposta del direttore dell'Umberto I alle dichiarazioni del prof. Sergio Stipa sul degrado della I Clinica Chirurgica Ogni anno 200 miliardi di deficit. Longhi: "Per troppo tempo si sono preoccupati solo delle cliniche private" di CARLO ANTINI DISASTRO del Policlinico? Anche colpa dei baroni. Tommaso Longhi, direttore generale dell'Umberto I, non usa mezze misure e attacca la gestione che ha caratterizzato negli anni il Policlinico universitario più grande d'Europa. Proliferazione delle cattedre, dei dipartimenti e dei primariati, costi del personale alle stelle e logiche di feudo: tutto questo ha portato al deficit attuale del nosocomio che oggi ammonta a 200 miliardi di lire. E come se non bastasse l'Umberto I soffre anche di una gravissima emergenza strutturale che spinge il suo direttore generale a parlare di "non idoneità dei 64 edifici alle attività clinico-scientifiche che devono svolgere". Le strutture hanno in genere più di 80 anni e avrebbero bisogno di essere rimesse a posto. Nei giorni scorsi Sergio Stipa, direttore della I Clinica chirurgica del Policlinico, aveva denunciato lo stato di estremo degrado in cui versa il dipartimento e aveva sollecitato una sua rapida riqualificazione. Tommaso Longhi, però, afferma che la richiesta è in contrasto con i progetti di ristrutturazione già finanziati dal ministero della Salute e che prevedono la creazione di un'unica piastra centrale in cui concentrare camere operatorie e terapie intensive. "Se i baroni universitari - dichiara Tommaso Longhi - avessero passato più tempo all'Umberto I piuttosto che nelle loro cliniche private, se non si fossero preoccupati solo della moltiplicazione delle cattedre e dei primariati per le loro scuole e per i loro allievi e non avessero polverizzato i servizi che dovevano essere comuni, creando 113 laboratori con 47 primariati, non si sarebbe realizzato il disastro strutturale, organizzativo ed economico-finanziario che l'azienda Policlinico Umberto I ha ereditato dalle passate amministrazioni". Ciò che è mancato nel corso degli anni è stata insomma una gestione attenta dell'ospedale che tenesse conto delle esigenze comuni e dei criteri di efficienza e di uso razionale delle risorse a disposizione. "Ognuno dei baroni ha seguito la logica del proprio feudo e del proprio dipartimento - prosegue Longhi - senza alcun coordinamento con l'intero ospedale. Sono stati creati troppi servizi ed è stata privilegiata la moltiplicazione delle cattedre e dei primariati. Sono state seguite logiche di Istituto e di gruppo e non si è privilegiata una gestione razionale delle risorse". E le recenti affermazioni di Sergio Stipa sul degrado in cui versa la I Clinica chirurgica hanno messo in subbuglio l'intero ospedale. Questa mattina alcuni docenti dell'Umberto I prenderanno formalmente le distanze dalla posizione espressa dal professor Stipa e tra questi figura persino suo fratello, Vincenzo Stipa, professore ordinario della I Clinica chirurgica. "Non sono d'accordo con mio fratello - conclude Vincenzo Stipa - e non condivido il suo attacco. Lo sfascismo non conduce a nulla e il dialogo è l'unica cosa che può portare miglioramenti. Chi di dovere deve far valere le proprie ragioni. I ruoli non si devono confondere. C'è un preside e un direttore sanitario che si devono occupare di queste cose. Se c'è qualcosa che non va bisogna dialogare con i vertici e non scegliere la strada dell'attacco frontale". ______________________________________________ L'Unione Sarda 20 gen. '02 CENTRO TRAPIANTI NELLA BUFERA : "SBAGLIATA LA NOMINA DEL NUOVO COORDINATORE" Sanità. Direttore e capo dipartimento del Brotzu contro le scelte dell'assessore Oppi Le valutazioni e le scelte dell'assessore regionale alla Sanità Giorgio Oppi continuano a non piacere e replicano. Franco Meloni (direttore generale dell'Azienda ospedaliera Brotzu) e Ugo Storelli (capo dipartimento trapianti dell'ospedale di San Michele) non hanno digerito le espressioni di Oppi a loro indirizzate dopo le critiche mosse alla nomina (fatta dalla Giunta regionale) del professor Licinio Contu a coordinatore del Centro regionale trapianti. Oppi su Meloni: "Sbaglia a porre in discussione atti corretti nella forma e indiscutibili nella sostanza". Su Storelli: "Ha espresso un parere modesto". Pronta la controreplica del direttore del dipartimento trapianti. "Come cittadino, come amministratore pubblico e soprattutto come esperto della materia - se l'assessore non è a conoscenza sarò lieto di inviargli il mio curriculum - ho non solo il diritto", sottolinea in una nota Storelli, "ma addirittura il dovere di contestare quello che fanno l'assessore e la giunta della mia Regione, il tutto a prescindere dalle mie eventuali "amicizie altolocate" cui fa un oscuro riferimento l'assessore. Il quale potrebbe cortesemente evitare di occuparsi delle mie amicizie ma, se proprio non se ne può astenere, almeno sia chiaro e faccia i nomi. Evito, per doveroso rispetto istituzionale, di rispondere agli ironici riferimenti alla mia modestia, che considero uno dei miei maggiori pregi, e vengo alla sostanza del problema". Il provvedimento: "È talmente scoordinato, atecnico e confuso che i difetti formali si intrecciano inestricabilmente con quelli sostanziali, così da rendere difficile persino individuarli secondo un ordine logico. Nessuno discute il diritto-dovere dell'assessore di attuare quanto previsto dalla legge ma piuttosto della interpretazione data dalle norme che ha portato all'aberrante risultato di produrre un coordinatore regionale dei trapianti che terminerà il suo mandato più o meno vicino ai 77-78 anni". Sull'esperienza. "Pare che l'assessore non lo sappia, ma un conto è dirigere un laboratorio di tipizzazione e un altro fare l'organizzatore dei trapianti su base regionale: questo ruolo richiede la voglia e la disponibilità di andare in giro e in permanenza, visitare le rianimazioni, di andare a pranzo con i colleghi, conoscerne i problemi, aiutarli a risolverli, proporre all'assessore e ai direttori generali soluzioni e percorsi per aumentare le donazioni. Vuol dire avere una conoscenza approfondita della vita ospedaliera, esserne parte, farsi percepire dai colleghi come uno di loro, essere capaci di conquistare la fiducia: così si aumentano le donazioni, non con atti di arroganza calati dall'alto. L'Assessore si è mai chiesto per esempio come mai in tanti anni anni di attività del precedente coordinatore non si è riusciti a coinvolgere stabilmente nel programma gli ospedali di Carbonia, di Iglesias, di Cagliari di Oristano?". I trapianti "sono un tipo di attività che non si può imporre per decreto, richiedono coinvolgimento, determinazione, voglia di rischiare (una lunga striscia di processi e di avvisi di garanzia lo dimostra), un ambiente idoneo da costruire, una tensione etica che va oltre routinari compiti d'istituto. Non servono le trionfali conferenze stampa per incrementare l'attività ma l'impegno costante e oscuro di quelli che hanno voglia di sacrificarsi perché ci credono". All'assessore: "La legge cui lei fa riferimento le consentiva di nominare chi voleva purché avesse esperienza di trapianti, lei si è autolimitato a quelli con esperienza nel campo dell'immunogenetica: ma perché? È suo potere scegliere, ha scelto ed io rispetterò la sua scelta ma mi permetta e pensare e dire che disposizioni di questo genere si fanno in altro modo, coinvolgendo gli addetti ai lavori smussando contrasti e facendo lavorare insieme la gente. Non ho detto che lei è un delinquente o favorisce i suoi amici o che ne trae personale vantaggio o altre cose similari, nulla di tutto questo, ho solo fatto delle critiche serene ed equilibrate. Mi consenta di continuarlo a fare senza insultarmi". Più pacata la replica di Franco Meloni. "L'assessore alla Sanità, nel suo intervento sul giornale di ieri mi accusa di "porre in discussione" il provvedimento sui trapianti appena adottato dalla giunta regionale. Forse sono stato frainteso ma in realtà io non intendo porre in discussione niente perché non voglio certo sostituirmi all'assessore. Ribadisco che ottempererò correttamente e lealmente alle disposizioni regionali appena le riceverò. Mi sono limitato a criticare un provvedimento che, mi perdonerà l'assessore, ritenevo e continuo a ritenere sbagliato nella forma e nella sostanza. E questo, sia ben chiaro, ma non per fatto personale ma solo ed esclusivamente avuto riguardo all'interesse generale. Credo di poterlo fare dall'alto di una competenza organizzativa nel campo di trapianti che non ha eguali in Sardegna". ______________________________________________ L'Unione Sarda 23 gen. '02 I DIALIZZATI: "BASTA CON LE POLEMICHE SUI TRAPIANTI" Con una lettera l'assessore regionale Oppi respinge le accuse di Storelli Ha scatenato una bufera di polemiche la nomina di Licinio Contu a coordinatore del Centro regionale trapianti. La decisione dell'assessore regionale alla sanità Giorgio Oppi non è stata condivisa dal direttore generale e dal capo dipartimento trapianti del Brotzu. Tra i due litiganti, in questo caso, il terzo non gode. In una nota, il presidente dell'Associazione sarda nefropatici emodializzati trapiantati (Asnet), Giuseppe Canu, mette in evidenza tutta la sua perplessità per una vicenda preoccupante, di cui i trapiantati sono gli unici a pagare le conseguenze. "Signori - è scritto nella lettera - avete tralasciato un punto molto importante: i pazienti in lista d'attesa di essere trapiantati". In Sardegna l'anno scorso sono stati eseguiti 35 trapianti di rene, a fronte dei 1500 dializzati sardi. Una situazione delicata: ogni anno si registra un ingresso di circa 140 nuovi malati. "Non prendeteci in giro - afferma Canu - i dati parlano chiaro più delle parole: la diminuzione dei trapianti si è accentuata". Per questi malati c'è un unico rimedio: proprio la sostituzione dell'organo. "Come mai - si chiede il presidente dell'Asnet - il centro dell'ospedale Santissima Trinità pur avendo i requisiti non effettua i trapianti?". La missiva si chiude con un appello: "Cari medici, caro assessore, lasciateci fuori dalle dispute e dagli accanimenti. Rispettate chi soffre, attivatevi con altrettanto vigore e accanimento per migliorare il servizio, per dare una speranza in più ai pazienti n lista d'attesa". Anche l'assessore Oppi prende carta e penna e stila una lettera al fulmicotone. Destinatario Ugo Storelli, responsabile del Centro trapianti del Brotzu: "Storelli - precisa l'assessore - formula accuse generiche e nessun addebito preciso. Apprendo infatti che Storelli è stato nominato direttore del Dipartimento mentre sapevo fosse coordinatore locale dei trapianti per la sua Azienda ospedaliera: che facesse parte cioè della stessa struttura che contesta. Se è libero di esprimere un parere come cittadino, non lo è altrettanto come parte di quella struttura". Secondo Oppi il provvedimento con il quale è stata presa la decisione è tecnicamente ineccepibile. "Solo al dottor Storelli - afferma l'assessore - è sembrato confuso. Prova ne sia il fatto che nella riunione (alla quale era assente ingiustificato), i coordinatori locali hanno confermato piena fiducia a Licinio Contu. Chiedo ai direttori generali e ai medici - ha concluso Oppi - di collaborare proficuamente e onestamente con il Centro e ricordo che procedere a espianti e trapianti al di fuori delle autorizzazioni della struttura è un grave illecito". Andrea Artizzu ______________________________________________ Il Sole24Ore 21 gen. '02 IL MEDICO SPECIALISTA NON BADA ALLA SPESA Secondo un'indagine condotta dai generalisti a Verona e Bari due prescrizioni su tre non rispettano le note al risparmio della Cuf Roberto Turno ART001 Due ricette su tre di farmaci prescritti dai medici specialisti non rispettano le note limitative della Cuf (Commissione unica del farmaco). Quelle che consentono di erogare un medicinale a carico del Ssn - di solito i più nuovi e costosi - ma solo per determinate patologie ben definite. Intanto la spesa farmaceutica cresce. Ma a dover dare conto di tanta generosità sia al Ssn che ai pazienti sono i detentori della "ricetta rosa", la sola che il Ssn rimborsa: i medici di medicina generale. Che dovendo trascrivere sul ricettario del Ssn le medicine indicate dai loro colleghi, si trovano tra l'incudine dei diktat delle Asl di risparmiare e il martello dei pazienti che invece pretendono le cure gratis. Un circuito perverso, anche perché medici di famiglia e specialisti sono vasi tra loro non comunicanti: manca il dialogo e, con buona pace della privacy, le ricette arrivano spesso sui tavoli dei generalisti in busta aperta e con l'indicazione perentoria del nome commerciale del farmaco da prescrivere. Medici di famiglia prescrittori per conto terzi, insomma. E alle prese con le "rognose" spiegazioni da dare ai pazienti, se mai in rispetto delle "note Cuf" negassero loro un farmaco prescritto dal collega specialista perché non necessario alla forma patologica del paziente. Una condizione intorno a cui i medici di base fanno quadrato: non siamo burocrati, è la parola d'ordine. Né siamo i soli responsabili di una delle variabili impazzite della spesa, lamentano. Un allarme in piena regola. Dimostrato, dati alla mano, dai risultati di un'indagine condotta dal principale sindacato (Fimmg) e dalla società scientifica (Simg) dei generalisti, prendendo a campione le ricette degli specialisti arrivate sui tavoli dei generalisti di Verona e Bari. La palma di specialisti più "indisciplinati" nel rispettare le note Cuf è toccata ai medici di pronto soccorso, seguiti da neurologi, chirurghi, cardiologi e ortopedici. Anche se le prescrizioni di questi ultimi sono quelle considerate dai generalisti le più "imbarazzanti" da trascrivere. Nel mirino la "nota 79", relativa a farmaci a carico del Ssn per la cura dell'osteoporosi e che, secondo i medici di famiglia, gli specialisti utilizzano con troppa facilità, prescrivendo i farmaci anche non in presenza dei quadri patologioci previsti dalla Cuf. Una scioltezza dimostrata dai dati: gli ortopedici restano infatti negli argini delle indicazioni Cuf solo nel 22% dei casi. E la "nota 79" con la "9" (un principio attivo utilizzato in analogia all'acido acetilsalicilico nella terapia di alcune patologie vascolari) e la "55" (antibiotici iniettabili) raggiungono da sole il 61% delle prescrizioni indicate dai generalisti come causa di maggiore "sensazione di prevaricazione" nei loro confronti da parte degli specialisti. I problemi però non finiscono qui. Nel 51% dei casi analizzati, l'indicazione diagnostica dello specialista era incerta o assente e solo nel 42% era chiara. Nel 29% dei casi i generalisti hanno giudicato "razionale" l'argomentazione clinica della prescrizione, ma nel 41% l'hanno ritenuta insufficiente o assente. Solo nel 30% dei casi la scelta del farmaco da parte dello specialista si è basata su chiari dati strumentali. E per evitare giudizi di parte, ad analizzare se le prescrizioni degli specialisti erano "dentro" o "fuori" i paletti indicati dalla Cuf, è stata, in base a precisi criteri prestabiliti, una task force di farmacisti ospedalieri dell'Asl 20 di Verona. Con il risultato che, tra "fuori nota" e "dubbie", circa il 75-80% delle prescrizioni degli specialisti sono risultate in difetto. Ma il punto dolente è nella comunicazione all'assistito. Nel 71% dei casi lo specialista non ha detto nulla al paziente sulle difficoltà di prescrizione dei farmaci con nota; il 14% ha espresso un suo punto di vista (non sempre fedele alla realtà) sulla mutuabilità del farmaco e solo nell'11% dei casi le prescrizioni contenevano informazioni precise. Ciò che è peggio, sottolinea l'indagine, è che gli specialisti pubblici, quelli degli ospedali e delle Asl, invece di conoscere a fondo le regole del Ssn si comportano come i loro colleghi privati. Con conseguenze sulla spesa e per i colleghi generalisti che si possono facilmente immaginare. Paolo Del Bufalo ______________________________________________ Corriere della Sera 25 gen. '02 BIASOTTI:"I VERI MIRACOLI LI FACCIO IN OSPEDALE" GOVERNATORI La "sfida" del ligure Biasotti al collega Formigoni Quattro nuove strutture ipertecnologiche. Ma a tasse invariate "I l dubbio è stato: continuo a non fare un piffero tutta la vita o accetto?". Accetta, accetta, s'è sentito dire da una vocina interiore Sandro Biasotti, il venditore genovese per 200 miliardi l'anno di 5 mila Jaguar, Mercedes, Chrysler e Smart, il padrone di sette concessionarie, il polista pescatore di cernie e figlio di camionista, passato agli agi tre anni fa, dopo avere venduto, per 53 miliardi di lire, ad Aldo Spinelli, proprietario del Genoa, l'ingrandita azienda di trasporti di famiglia. Il 25 settembre '99 ha detto sì a un Claudio Scajola coordinatore di Forza Italia, non ancora ministro. Ha "accettato" la proposta che "a nome del Polo" gli aveva già avanzato Alfredo Biondi: "perché non ero un politico, né nel Rotary, né nello Yacht Club, né candidato alla presidenza della Camera di Commercio. Uno dei pochi che nessuno odiava". E così oggi eccolo qui, presidente della Regione Liguria, contro le vetrate al decimo piano del palazzo di via Fieschi. Alza il braccio in grigio antracite e indica la sopraelevata, la ferita orizzontale della città. "La vede? Non la abbatterò mai. E' la nostra vetrina". E non scherza, argomenta: "Uno arriva dal casello e subito ha Genova ai piedi". Poi siede davanti a una frittata di gianchetti, parla, la fa raffreddare. E lancia la sua tesi. A un anno e nove mesi dall'elezione che lo ha portato a scalzare Giancarlo Mori, Ppi, "con la disoccupazione scesa dall'11,1% al 6,9%", " è la Liguria - dice Biasotti - il modello del sistema regionale italiano". Grazie, sostiene, al suo personale piano . "Da outsider". Ed "efficace". A partire dalla Sanità. E' su questa voce, che copre il 70% delle spese totali e che nessuna regione o quasi riesce a far quadrare, che la Liguria dichiara di aver fatto il miracolo: cioè chiuso il bilancio 2001 in pari. Parte del recupero è dovuto al cambio della contabilità , da cassa a competenza: invece che calcolare le entrate e le uscite effettive, si guarda all'anno a cui si riferiscono. "Ma abbiamo anche sostituito otto dirigenti di Asl e ospedali con manager - dice Biasotti - Devono presentare resoconti trimestrali, possono essere licenziati se non rispettano gli obiettivi". Roberto Formigoni, per compensare 433 miliardi di lire di deficit sanitario in Lombardia, ha appena aumentato le tasse? La Liguria, segnala l'assessore al bilancio Giovanni Battista Pittaluga, ordinario di Economia politica all'Università di Genova ("uno dei tecnici che Berlusconi mi ha consentito di chiamare in giunta"), "è una delle poche regioni, con Toscana, Emilia e Umbria (tutte uliviste, ndr. ), che non hanno fatto ricorso alla leva fiscale per coprire disavanzi del comparto Sanità". Caso significativo in un'Italia dove, rivela una ricerca Censis di novembre, ciascun cittadino ha speso nel 2001 il 15% in più in medicine. "Formigoni? Buoni rapporti", si affretta a precisare Biasotti. Ma i fatti lo indicano come il primo rivale. Ora vuole superarlo anche negli ospedali. Ipertecnologici, come l'Humanitas di Rozzano. Da lì viene Piero Micossi, assessore alla Sanità, l'altro tecnico della Regione. E a Micossi Biasotti ha chiesto: "Costruiscimi quattro ospedali come l'Humanitas. Almeno uno entro il 2005". È un obiettivo che completa il piano in quatto punti avviato "per la riuscita del modello ligure di federalismo": uno, contenimento della spesa sanitaria. Due, attrazione di imprese: con sgravi fiscali, come il taglio di un punto dell'Irpef, deciso in aprile, e con fondi dedicati, come i 100 milioni di euro appena recuperati da quella Ue che li aveva revocati. Tre, ricontrattazione con le banche del debito regionale di 270 milioni di euro, "per investire in inceneritori, depuratori, spiagge, parcheggi, centri storici". Quattro, dirottamento degli investimenti dall'acciaio a chip e logistica. È Biasotti che ha detto no alla costruzione dell'area a caldo Ilva di Cornigliano, che ha investito 104 miliardi in tecnologia, che in novembre ha fatto crescere la Regione al 51% nella Datasiel della Telecom. Ora annuncia anche "sei-sette nuovi porti in costruzione, più altri cinque in ampliamento, per 10 mila posti barca". Non gli basta essere già giudicato negativamente (sondaggio di novembre Telecittà-Digis) solo da un genovese su quattro, quando Berlusconi lo è da uno su due. Alessandra Puato ______________________________________________ L'Unione Sarda 23 gen. '02 CARLO MASCIA: ALLE SALINE PER CURARE I REUMATISMI Secondo il chimico e tossicologo Carlo Mascia le acque hanno proprietà terapeutiche Rilanciata la proposta di trasformarle in un centro termale Trasformare le Saline in un centro termale, farle diventare un polo di attrazione per i cittadini e per i turisti. Un'idea non nuova, ma che riscuote sempre un discreto successo: lo dimostra il fatto che il chimico e tossicologo Carlo Mascia, insegnante universitario in pensione, continua a riproporla instancabilmente ormai da più di vent'anni. "Negli anni Ottanta partecipai ad un convegno sulle zone umide del Sud della Sardegna", spiega Mascia, "e in quell'occasione proponemmo proprio questa soluzione, oltre a quella di sfruttare le Saline per l'acquacoltura. E già nel 1986 consegnammo al Cis una relazione sulle caratteristiche delle acque delle Saline, che sono molto simili a quelle più rinomate come, per esempio, di Salsomaggiore", racconta Mascia. Ecco perché l'idea di trasformare le Saline in un centro termale, com'è avvenuto in tante altre parti d'Italia. "Senza contare che, in questo modo, verrebbero riutilizzate acque di scarto, come l'acqua- madre, che correttamente utilizzata può essere utilizzata per la cura di numerose patologie". Il dibattito sul futuro delle Saline sembra quindi aprire interessanti prospettive. Il professor Mascia ne è più che convinto: "Le acque salse, di origine analoga, già da molti decenni sono impiegate nel termalismo terapeutico, sia come coadiuvanti di particolari trattamenti, come quelli per esempio post- traumatici, sia nella cura di forme reumatiche, di malattie endocrine, della pelle, dell'apparato respiratorio e genitale femminile, oltre che di affezioni cutanee e dismetaboliche. Sono cure e trattamenti eseguiti attraverso bagni, oppure con le fangazioni. L'uso delle acque di queste caratteristiche chimiche si ha, ad esempio, nella stazione termale di Salsomaggiore e in quella di Margherita di Savoia, in provincia di Lecce". Ma le acque delle nostre Saline sono adatte ad uno sfruttamento di questo genere? "La composizione delle acque madri prodotte dalle Saline di Stato consentono di catalogarle tra quelle salso-bromo-iodico-magnesiache. E ciò conferma la possibilità del loro impiego in stabilimenti termali opportunamente attrezzati". Sarebbe un'attività soltanto stagionale? "No. Il volume delle acque madri annualmente producibili, e quindi disponibili all'uso, è tale da garantire ampiamente l'attività, anche per tutto l'anno, di una struttura di ampie dimensioni. Uno stabilimento termale di questo tipo nella zona del Poetto, proprio davanti al mare, potrebbe diventare un importante centro di richiamo turistico. Senza contare tutte le strutture collaterali che lo affiancherebbero, come alberghi, centri sportivi e ricreativi, negozi". Un'iniziativa di questo tipo è compatibile con un sito ambientale protetto e delicato come il Poetto? "Certamente; la cosa consentirebbe di salvaguardare le caratteristiche dell'ambiente. Non vedo pericoli in questo senso. Inoltre è scientificamente provato che un maggiore effetto delle cure termali si ha quando ad esse si affiancano condizioni di relax e di svago". Alice Guerrini ______________________________________________ La Nuova Sardegna 26 gen. '02 SÌ ALLA TRASFORMAZIONE DEL BINAGHI IN AZIENDA AUTONOMA Un incontro fra i responsabili del presidio e i sindacati CAGLIARI. L'ipotesi di scorporo di alcune strutture della Asl 8 e l'eventuale accorpamento e costituzione in azienda autonoma del 'Binaghi' con i presìdi ospedlaieri 'Businco' e Microcitemico, è stata al centro di un incontro tra i rappresentanti del 'BInaghi' e le organizzazioni sindacali. Alla fine i sindacati hanno dichiarato la loro ampia disponibilità a "un auspicabile paritetico confronto per la realizzazione di tale ipotesi, nell'ambito di un generale riassetto della rete ospedaliera regionale. "Le risorse umane, strutturali e tecnologiche che il presidio ospedaliero potrebbe apportare a un'eventuale futura azienda autonoma - è detto in un documento - sono di alto livello sia nel campo dell'indirizzo toraco-polmonare che nelle specialità di un inserimento della sclerosi multipla, del trapianto di midollo osseo e della chirurgia del colon-retto. E costituiscono, nella loro peculiarità, un punto di riferimento a livello regionale. Esse potrebbero proficuamente integrarsi con le specialità presenti all'Oncologico e al Microcitemico". I sindacati, in conclusione, considerano positiva l'eventuale costituzione in azienda sanitaria autonoma delle tre strutture ospedaliere considerate con caratteristiche abbastanza omogenee. ______________________________________________ Corriere della Sera 26 gen. '02 CLINICA PER SOLI MEDICI CATTOLICI L'accordo dovrebbe permettere ai sanitari di svolgere l'attività privata Polemica per la convenzione del San Camillo con una casa di cura Al San Camillo Forlanini il credo religioso dei medici è discriminante per poter esercitare la libera professione. Una convenzione stipulata a giugno del 2000 e tutt'ora in vigore, fra l'azienda ospedaliera pubblica e la casa di cura "Salvator Mundi", fissa i criteri per esercitare l'attività privata intramoenia , cioè all'interno di strutture messe a disposizione dall'azienda stessa. In cambio di posti letto e spazi in cui operare la clinica si riserva la possibilità di respingere medici che non siano in linea con la fede cattolica. L'articolo 2 dell'accordo stabilisce infatti che la Casa di Cura ha "il diritto di chiedere la ricusazione di professionisti che possano attuare attività e/o interventi contrari all'etica della religione cattolica ovvero per motivati comportamenti negativi, lesivi dell'immagine della Casa di Cura". Sulle attività o interventi contrari all'etica cattolica rientrano senz'altro le interruzioni di gravidanza. Commenta l'avvocato Pietro Nocita, ordinario di Procedura penale all'Università di Roma "La Sapienza" ed esperto di Diritto amministrativo: "È semplice: la "Salvator Mundi" non ammette medici che pratichino interruzioni di gravidanza e si riserva il diritto di rifiutarli. Il problema è che il medico non cattolico in questo modo viene discriminato. E questo è contrario a quanto stabilisce la costituzione italiana all'articolo 3. In questo caso si discrimina il professionista sulla base della religione". E per essere certi della ortodossia del medico la clinica aveva inserito un colloquio con un sacerdote, preliminare all'esercizio della attività intramoenia . Da circa un mese, in seguito alla protesta di alcuni medici, la procedura è stata eliminata. "La direzione del "San Camillo" ci ha assicurato che la "Salvator Mundi" non sottoporrà più i medici a questo colloquio", spiega Sandro Petrolati, segretario dell'Anao, associazione medici ospedalieri del San Camillo Forlanini. Ma su come e perché il medico di una struttura pubblica possa essere respinto a seconda delle sue convinzioni religiose, al San Camillo non sono in grado di spiegarlo. Claudio Clini, ex direttore sanitario dell'azienda spiega: "In seguito all'approvazione del decreto legge 229 sull'obbligo delle aziende di reperire spazi per la libera professione medica, stipulammo delle convenzioni fra cui quella con la "Salvator Mundi". L'articolo 2 mi sembrò pletorico, una precisazione inutile o scontata per una clinica privata cattolica in cui evidentemente non c'era la possibilità di effettuare interruzioni di gravidanza". Anche l'attuale responsabile dell'attività intramoenia dell'azienda, Lauro Marazza, minimizza: "Qual è il problema? Esistono altri spazi in cui i medici possono esercitare. Avremo 80 altre convenzioni con privati. E poi il colloquio con il sacerdote è stato eliminato". Ilaria Sacchettoni ______________________________________________ Il Sole24Ore 23 gen. '02 I DANNI DA RUMORE SONO "ESISTENZIALI" SAVERIO FOSSATI Principio fissato dalla Corte d'appello di Milano ROMA - Il rumore fa danno, anche se non lo dice il medico. Con la sentenza 2444 del 6 dicembre 2001 la Corte d'Appello di Milano ha stabilito un importante principio: quello del "danno esistenziale" in presenza di rumore. A segnalare la sentenza è Missione rumore (telefono 0229419090), l'associazione per la difesa dal rumore che da anni si batte per aiutare i molti, troppo cittadini tormentati dal fracasso. La vicenda prende le mosse dall'attività di una piccola officina meccanica, il cui titolare si rifiutato persino di adempiere a un'ordinanza del sindaco che imponeva di limitare il rumore ai normali orari lavorativi. I cittadini che vivevano nei pressi (poche persone) si erano così rivolte al Tribunale di Milano. Il giudice unico (sentenza depositata il 21 ottobre 1999), rilevato che la rumorosità era superiore di 3 decibel al rumore di fondo rilevato dal Ctu (consulente tecnico d'ufficio), imponeva al titolare di spostare l'attività e di dotarsi di speciali protezioni antirumore, seguendo la giurisprudenza consolidata sul concetto di "normale tollerabilità". E liquidava ai due vicini che lo avevano richiesto il "danno esistenziale, consistente nell'alterazione delle normali attività dell'individuo quali il riposo, il relax, l'attività lavorativa domiciliare", nella misura di 15 milioni di lire per ciascuno. Il titolare ricorreva in Appello e respingeva la liquidazione del danno, sottolineando fra l'altro che nessuna prova era stata fornita circa l'incidenza del rumore sull'equilibrio psico-fisico dei vicini. Ma la Corte d'appello, nel respingere il ricorso, ha anche evidenziato che non occorreva provare nulla circa l'incidenza delle immissioni sull'equilibrio psico-fisico, perché "l'inquinamento acustico intollerabile comporta, di per sé, un danno esistenziale che, anche se non comporta l'insorgere di una malattia, tuttavia causa un'alterazione del benessere psicofisico e del normale ritmo di vita (...) provocando uno stato di malessere psichico diffuso. (...). Quindi il risarcimento del danno compete a chiunque subisce un turbamento della psiche che ostacola l'esplicazione del complesso delle funzioni naturali afferente al soggetto nell'ambiente in cui vive: domestico, di lavoro, ricreativo". La Corte ha anche accolto il ricorso incidentale di un altro danneggiato e i danni "esistenziali" da liquidare sono così saliti a 45 milioni. Questa conferma del "danno esistenziale", considerato presente in sé e per sé ogni volta che il rumore supera la normale tollerabilità, è il vero elemento di novità, perché "libera" le vittime del rumore dall'obbligo defatigante di sottoporsi a numerose visite mediche per verificare se il rumore abbia inciso effettivamente sotto il profilo patologico. La Corte d'appello di Milano ha invece individuato nel malessere psichico sufficiente motivo per la liquidazione di un danno. E, nell'assenza di fatto di interventi amministrativi seri, è forse quella del portafoglio una lezione che i disturbatori potrebbero tenere da conto. ______________________________________________ Le Scienze 25 gen. '02 L'EFFICACIA A LUNGO TERMINE DELLA MORFINA Stimolando l'endocitosi è possibile arrestare la naturale tendenza all'assuefazione Sfidando una concezione vecchia di decenni, secondo cui i medicinali come la morfina perdono efficacia man mano che vengono usati, i ricercatori dell'UCSF hanno dimostrato in alcuni esperimenti compiuti su animali come le potenti capacità di soppressione del dolore di questi farmaci possono essere mantenute senza aumentare le dosi. Se questo risultato dovesse venire confermato da ulteriori studi, la scoperta potrebbe portare allo sviluppo di metodi migliori per il controllo del dolore. La morfina viene infatti ancora prescritta per controllare i casi più gravi di dolore cronico, fra cui quello causato dai tumori in fase terminale. La ricerca è stata descritta in un articolo pubblicato sulla rivista "Cell". I ricercatori, guidati da Ernest Gallo, sono stati in grado di mostrare che un processo cellulare naturale, noto come endocitosi, che si pensava indebolisse gli effetti della maggior parte degli oppiacei, in realtà ha esattamente l'effetto contrario. Gli esperimenti hanno infatti dimostrato che se il processo viene stimolato, esso può arrestare la naturale tendenza all'assuefazione alla morfina, i cui effetti possono essere mantenuti solo ricorrendo a dosaggi sempre crescenti. La morfina e altri oppiacei funzionano legandosi ad alcuni recettori naturali, che sono parte di una grande famiglia di recettori coinvolti nel funzionamento della maggior parte dei neurotrasmettitori e degli ormoni. Questi recettori vengono normalmente rimossi poco dopo il loro contatto con gli oppiacei. Quando questo avviene, essi di solito vengono attirati all'interno della cellula mediante il processo della endocitosi. Una volta all'interno della cellula, i recettori vengono distrutti o riciclati e rimessi in servizio. Al contrario di molti altri oppiacei, la morfina non promuove l'endocitosi. Gli esperimenti condotti prima su cellule in cultura e poi su topi hanno mostrato che accoppiando la morfina ad altri oppiacei innocui, che facilitano l'endocitosi, è possibile eliminare la tendenza della morfina a perdere i suoi benefici. In passato era invece opinione diffusa che l'endocitosi fosse parte integrante dell'assuefazione. Poiché i farmaci che stimolano l'endocitosi sono molte, la scoperta suggerisce un possibile metodo per aumentare la durata dei benefici della morfina senza doverne aumentare la dose, riducendo così anche i suoi effetti collaterali. ______________________________________________ Le Scienze 24 gen. '02 ANGIOPLASTICA SOTTOZERO Le pareti dei vasi non vengono espanse e perciò non subiscono danni Una nuova tecnica che permette di congelare e rimuovere le placche aterosclerotiche dalle arterie bloccate potrebbe ridurre drasticamente il numero degli interventi di angioplastica. I pazienti curati con questa tecnica sperimentale sembrano infatti molto meno soggetti a sviluppare nuove placche, come sembrano suggerire i primi test clinici. L'angioplastica tradizionale consiste nell'inserire un catetere nell'alteria e gonfiare piccoli palloncini usando una soluzione salina. In questo modo i depositi di grasso vengono compressi e l'arteria riaperta. La procedura danneggia però le pareti dell'alteria, facendo si che si formino delle cicatrici. Ora un gruppo di medici guidato da James Joye del El Camino Hospital di Mountain View, in California, ha provato a usare, invece della soluzione salina, ossido nitroso raffreddato a -10 °C. In questo modo i depositi vengono congelati e possono essere rimossi usando un minuscolo filtro. La crioplastica, come è stata battezzata la tecnica, causa molti meno danni alle arterie, poiché non è più necessario espanderle. Inoltre, dei quindici pazienti curati finora in questo modo, solo tre hanno mostrato, novi mesi dopo, segni di una riocclusione delle arterie. Dopo un'angioplastica tradizionale oltre la metà dei pazienti ha problemi di riocclusione delle arterie e spesso necessita un ulteriore intervento. I test stanno comunque proseguendo, e la prima fase dovrebbe concludersi con un totale di circa 100 pazienti curati in questo modo. ______________________________________________ Corriere della Sera 26 gen. '02 MAMMOGRAFIA ORA E' DIGITALE, CON MOLTI VANTAGGI Addio lastra: Un nuovo apparecchio di mammografia a lettura computerizzata consente d'individuare più tumori in fase iniziale e con una dose di raggi molto inferiore a quella consueta. Aumenta così la capacità di svelare neoplasie ancora in fase di curabilità definitiva. Il nuovo Policlinico dell'Università "Tor Vergata" di Roma ha da poco avviato l'esperienza con il nuovo apparecchio, già in uso anche a Milano (I.E.O.), Torino, Aosta, Gorizia, Padova. Decodificatore Come funziona il nuovo metodo ce lo spiega il professor Giovanni Simonetti, direttore del dipartimento di Diagnostica per Immagini e Radiologia Interventistica del Policlinico dell'Università "Tor Vergata" di Roma: "L'apparecchio si comporta da "decodificatore", che converte i raggi in segnali televisivi. Le radiazioni che attraversano la ghiandola vengono convogliate non su una lastra, ma su un dispositivo che le trasforma in "luce elettronica", fatta di puntini pittorici (pixel) che formano un'immagine molto nitida sullo schermo. Finito l'esame, il radiologo "chiede" al computer ogni sorta d'informazione sui segnali immagazzinati (post-processing), eliminando dubbi e giungendo più facilmente alla diagnosi". Il computer "legge" meglio dell'occhio umano, lavora senza artefatti di lastre e focalizza dettagli di pochi millimetri, ingigantendoli a richiesta. Migliorano inoltre le possibilità di lettura sul "seno denso", fra i 35 e i 40 anni, e nelle portatrici di protesi. L'innocuità è assicurata da radiazioni dieci volte inferiori e dal fatto che non c'è bisogno di rivedere sotto i raggi le zone in dubbio. Tutto ciò velocizza il lavoro e potenzia le capacità di smaltire gli "screening" di massa, tanto da compensare nel tempo il maggior costo dell'apparecchio, sei-settecento milioni, quattro volte superiore a quello dell'apparecchio tradizionale. Facili confronti Tra l'altro, un vantaggio tipico del computer consiste nella possibilità di un confronto fra le immagini in lettura e quelle di un archivio di casi già accertati. A questo proposito, in un recente studio apparso sulla rivista Radiology, condotto presso un Centro specializzato del Texas, sono state esaminate circa tredicimila donne e si è riscontrato che la lettura "confrontata" delle mammografie consente quasi il 20% in più di diagnosi di tumore, rispetto alla lettura dei singoli casi. FILIPPO ASOLE ______________________________________________ Le Scienze 23 gen. '02 MAURICE RAVEL COMPOSE IL BOLERO GRAZIE ALLA SUA DEMENZA Le sue due ultime opere mostrano i primi segnali dell'indebolimento dell'emisfero sinistro del cervello Nella sua ultima e più famosa opera, il Bolero, probabilmente Maurice Ravel fu influenzato più dal deterioramento della parte sinistra del suo cervello, piuttosto che dalla vena artistica. Nell'opera prevalgono infatti i timbri orchestrali, invece della complessità melodica, e il timbro viene elaborato principalmente dall'emisfero destro. Il compositore francese Maurice Ravel soffrì di una misteriosa demenza a partire dal 1927, quando aveva 52 anni. Egli perse gradualmente la capacità di parlare, di scrivere e di suonare il piano. Egli però compose la sua ultima opera, forse la più nota, nel 1932. I neurologi si sono interrogati da allora sulla natura della malattia, che molti hanno identificato come morbo di Alzheimer. Ma secondo François Boller, del Centre de recherche Paul Broca di Parigi, i sintomi si presentarono troppo presto e Ravel mantenne comunque troppa memoria, perché questa diagnosi possa essere corretta. Secondo Boller, quindi, Ravel soffì invece di due disturbi diversi: una afasia progressiva primaria, che erode i centri del linguaggio, e una degenerazione corticobasale, che priva il paziente del controllo del movimento. Secondo Boller, quindi, Ravel rimase letteralmente intrappolato nel suo corpo e non perse la capacità di comporre musica, ma solo quella di esprimerla. Le facoltà perse dal compositore furono principalmente quelle legate all'emisfero sinistro, ma le capacità musicali dipendono realmente da quasi tutto il cervello. Secondo Boller e i suoi colleghi le due ultime composizioni di Ravel mostrano i primi segnali dell'indebolimento dell'emisfero sinistro, con quello destro, che si occupa del timbro, che prende il sopravvento. Oltre al Bolero, l'altra opera è il concerto per piano per mano sinistra, composto nel 1930. Il Bolero contiene di fatto solo due temi, ognuno ripetuto 30 volte, ma ha anche 25 diverse combinazioni di suoni. Ravel stesso lo descrisse come "un tessuto orchestrale senza musica." Ovviamente, discriminare tra l'evoluzione della malattia e lo sviluppo artistico è molto difficile. Deborah Mawer, della Lancaster University ricorda infatti che alla fine della sua vita Ravel si interessò di meccanizzazione, e questo potrebbe spiegare la ripetitività del Bolero. ______________________________________________ Il Sole24Ore 25 gen. '02 LA BIOMETRIA? UNA QUESTIONE D'IDENTITÀ Una ricerca Arthur D. Little fa il punto su questo comparto legato alla sicurezza hi-tech, i trend di mercato e le prime applicazioni di Enrico Netti É la sicurezza il problema numero uno degli It manager. Sicurezza vuol dire piattaforme sempre disponibili (always on), strategie per la protezione dei dati e soluzioni che identificano in maniera certa, anzi assoluta, le persone "autorizzate" ad accedere alle applicazioni, alle basi di dati più sensibili e "business critical". Identificazione che viene affidata alle tecnologie di biometria, che grazie a metodologie automatizzate misurano le caratteristiche "uniche" degli individui. "Prima dell'undici settembre c'erano pochi investimenti sul lato applicativo della biometria - commenta Giuseppe Uslenghi, direttore information management della società di consulenza Arthur D. Little Italia - dopo è emersa tutta l'urgenza del fenomeno". L'importanza strategica della sicurezza emerge anche da manifestazioni specializzate come Infosecurity Italia 2002 (www.infosecurity.it),che oggi chiude i battenti, organizzata presso gli spazi della Fiera di Milano e riservata agli addetti ai lavori. Sulla biometria il team di Arthur D. Little ha realizzato una ricerca i cui contenuti @lfa Il Sole-24 Ore pubblica in esclusiva per l'Italia. Lo studio fa il punto sul mercato e le applicazioni più significative già utilizzate. In forte crescita. Dal punto di vista del fatturato questo segmento nei prossimi anni dovrebbe decollare. Secondo le previsioni degli analisti di Arthur D. Little il tasso annuo medio di crescita sarà del 40% e, nel mondo, i ricavi generati dal comparto passeranno dai circa 730 milioni di dollari previsti per quest'anno ai 1,905 miliardi di dollari attesi nel 2005. Ma questi valori, sottolinea Uslenghi, sono estremamente conservativi e si riferiscono solo alle tecnologie mentre il vero valore è nei servizi a valore aggiunto, come la consulenza, la progettazione, implementazione, manutenzione delle soluzioni e la gestione dei dati. É proprio il bisogno di sicurezza a fare da traino al comparto. Secondo un sondaggio il motivo che spinge gli It manager a investire nei sistemi biometrici, nel 62% dei casi, è "il maggior livello di sicurezza". Seguono la convenienza economica (18%), l'integrazione con altri sistemi informatici (14%) e la convenienza nel medio-lungo periodo per il restante 6 per cento. Gli ostacoli. Il recente passato della biometria è stato costellato da ostacoli, di carattere tecnologico e applicativo, senza trascurare il nodo del ritorno degli investimenti. Questo è stato un punto critico ma oggi il progresso tecnologico ha abbassato la soglia di ingresso. Ad esempio, uno scanner utilizzato per "leggere" la geometria del palmo della mano ora ha un prezzo inferiore ai 1.500 dollari. Uno studio del Georgia Institute of technology ha posto l'accento sulle barriere all'adozione di queste piattaforme: nel 26% dei casi è la mancanza di standard industriali, ma anche una difficile accettazione da parte degli utenti (25%), problema legato soprattutto alla privacy, mentre un altro 18% pone l'accento sui costi di realizzazione. Caratteristiche fisiche. Per identificare l'utente nell'82% dei casi si ricorre a elementi fisici, soprattutto impronte digitali (50%), la geometria palmare (15%), del volto (12%), la voce (10%) e la firma (8 per cento). Solo dove viene richiesta la massima sicurezza, nel 4% dei casi, si sceglie la scansione dell'iride. I trend. Gli analisti di Arthur D. Little hanno anche "disegnato" modelli di sviluppo che portano a una crescente diffusione della biometria, dalle applicazioni specializzate all'e-commerce ed e-banking per finire con gli utenti consumer. Sono gli Usa il mercato più avanzato dove gli strumenti biometrici sono usati per il controllo degli accessi (logico e fisico) ad ambienti, applicazioni e reti. In Europa, per ora, si sperimentano applicazioni in condizioni controllate e ambienti ad altissima sicurezza, con un numero minimo di utenti. Le applicazioni che hanno riscosso, secondo le rilevazioni Arthur D. Little, maggior successo sono legate al controllo dell'accesso fisico (42%), nel settore Ict (25%) e in ambito finanziario (15 per cento). Le aree di impiego sono ampie e spaziano dalla sorveglianza e identificazione remota al voto elettronico, dalla monetica alla transazioni sicure, dalla Difesa al controllo dell'immigrazione. Gli esempi. Nel campo delle applicazioni concrete emerge la leadership degli Stati Uniti. In occasione dell'edizione 2001 del Superbowl, la finale del campionato di football, l'Fbi e la polizia di Tampa hanno "controllato" a distanza il pubblico che accedeva allo stadio. Speciali telecamere acquisivano le caratteristiche facciali (dimensione del viso e distanza di occhi, naso, bocca) dei tifosi e confrontavano queste informazioni con quelle dei criminali memorizzate nei database federali. Il riconoscimento della geometria palmare, basata sulla dimensione della mano e le "caratteristiche" delle dita, viene utilizzato dal Servizio di immigrazione Usa (Inspass). I cittadini statunitensi che viaggiano frequentemente all'estero possono registrarsi al programma Inspass ed evitare il controllo alla frontiera. Negli aeroporti postazioni automatiche, in quello di San Francisco sono oltre 170 che accedono a un database con più di 34mila profili, provvedono all'identificazione, confrontato i dati personali e le caratteristiche biometriche del viaggiatore. La stessa tecnologia è utilizzata da alcune università americane per il controllo degli accessi in aree sensibili mentre il Sistema di debito ucraino la usa insieme alla monetica. Introduzione alla biometria (Arthur D Little) ______________________________________________ La Stampa 23 gen. '02 I GRASSI SATURI PERICOLOSI PER LA SALUTE SONO PRODOTTI DAL NOSTRO ORGANISMO SI STA SCOPRENDO CHE I GRASSI SATURI EFFETTIVAMENTE PERICOLOSI PER LA SALUTE NON SONO QUELLI CHE ASSUMIAMO CON LA DIETA MA PIUTTOSTO QUELLI PRODOTTI DAL NOSTRO ORGANISMO SOTTO LO STIMOLO DEGLI ZUCCHERI (O CARBOIDRATI) CHE SI NASCONDONO IN BIBITE, SNACK, PATATE E PIATTI DI SPAGHETTI A anni sappiamo che una dieta ricca in grassi saturi può creare problemi di salute. Quello che invece cominciamo solo ora a percepire è che i grassi saturi dannosi non sono solo quelli che assumiamo con la dieta ma anche quelli prodotti dal nostro organismo. Vi sono sostanze, infatti, che stimolano il fegato a rilasciare grassi saturi in circolo. A sorpresa, fra queste ci sono proprio gli zuccheri, e in particolare il fruttosio, che risultano quindi dannosi per il nostro cuore quanto i grassi saturi. Mangiare è obbligatorio ma se si assume un alimento più di un altro si deve mangiare necessariamente molto meno di qualcos'altro. Alla dieta a basso contenuto di grassi è seguita come contropartita la dieta ricca di carboidrati (zuccheri). L'industria alimentare ha pochi incentivi a pubblicizzare prodotti non marchiabili, come frutta e verdura, e le migliaia di miliardi di dollari spesi ogni anno in pubblicità servono essenzialmente a vendere carboidrati sotto forma di bibite, merendine e snacks. Come ampiamente discusso di recente dal "New Scientist", la sostituzione dei grassi con zuccheri facilmente assimilabili sembra avere un effetto paradossale, predisponendo alla cosiddetta sindrome X e all'insorgenza di diabete e obesità. Quando mangiamo, l'insulina secreta dal pancreas permette ad altri organi e tessuti di assorbire il glucosio in circolo, facendo il pieno di combustibile ed evitandone un accumulo dannoso. L'insulina blocca anche il rilascio nel sangue di grassi saturi da parte del fegato. Questi sono veicolati come trigliceridi e possono andare incontro a modificazioni chimiche che permettono il loro ingresso nelle pareti delle arterie, dove formano la placca ateromasica, la vera responsabile dell'infarto. E' chiaro, quindi, che l'insulina influenza non solo il metabolismo degli zuccheri ma anche quello dei lipidi. Studi recenti suggeriscono che una dieta ricca di carboidrati facilmente assimilabili e povera in grassi può aumentare i trigliceridi, rendere le LDL piccole e dense e diminuire le HDL. Questa combinazione, accompagnata da pressione arteriosa elevata e da resistenza insulinica, è stata definita sindrome X, in pratica un'intossicazione cronica da cibo troppo ricco di zuccheri facilmente assimilabili. Nel mondo occidentale, sembra che un terzo della popolazione adulta ne sia affetta, con un notevole aumento del rischio cardiovascolare. E', probabilmente, il maggiore problema dietetico del nostro tempo. Il due volte premio Nobel Linus Pauling, già negli anni '80, fece notare che malattie cardiovascolari e consumo di zuccheri erano correlati, ma, forse per l'eterodossia delle sue teorie dietetiche a proposito della vitamina C, le sue osservazioni non ebbero il seguito dovuto. Un altro importante aspetto negativo delle diete ad alto contenuto di carboidrati facilmente assimilabili è che possono predisporre all'obesità in misura ancora maggiore rispetto a diete ad alto contenuto di grassi. La spiegazione di questa osservazione, paradossale dal punto di vista dell'aritmetica delle calorie, è che un eccesso di zuccheri facilmente assimilabili altera l'omeostasi fame-sazietà. I cibi ricchi di zuccheri semplici ad assimilazione rapida provocano una brusca impennata nella secrezione d'insulina, che causa un immagazzinamento del glucosio ematico così efficiente da portare a fame precoce, e quindi ad assunzione eccessiva di cibo. Recenti studi indicherebbero che la sindrome X può essere influenzata dall'abuso di snack fra un pasto e l'altro, un'abitudine che può innescare un circolo vizioso. Livelli di glucosio costantemente elevati nel sangue portano, infatti, ad un aumento parossistico della secrezione di insulina, fino all'espressione finale della sindrome X: le cellule dei tessuti adiposi soccombono all'eccesso di trigliceridi e glucosio nel sangue e diventano resistenti all'insulina, "suicidandosi" con rilascio di acidi grassi che vanno a distruggere proprio le cellule produttrici di insulina, portando alla comparsa del diabete. Anche se lo scenario sembra apocalittico, si può fare qualcosa per prevenire la sindrome X: esercizio fisico moderato, abolizione di snacks frequenti e grande attenzione a quello che si mangia. Il rilascio di trigliceridi nel sangue, infatti, è particolarmente favorito da alimenti ricchi di fruttosio. L'industria alimentare usa in abbondanza miscele di zuccheri a basso costo, e ricche di fruttosio, per ogni sorta di alimento, dai cereali per la colazione e le merendine alle cosiddette "soft drinks", le bibite dolci e gassate. E' stato calcolato che questo zucchero rappresenta il 9 per cento dell'apporto calorico per un americano medio, e la percentuale è presumibilmente simile per un europeo che segua le tendenze alimentari di oltre oceano. Il fruttosio, poi, è stato per anni consigliato ai diabetici proprio per il suo effetto "poco glicemico"; oggi, invece, ne conosciamo i potenziali effetti dannosi sui lipidi in circolo, il cui controllo, da solo, già rappresenta una fonte di preoccupazione per i pazienti diabetici e non. Si fa molta propaganda ai prodotti "100 per cento senza grassi", ma si evita di dire che questi sono sovente sostituiti da zuccheri forse persino più dannosi. In un recente editoriale di "Science" si osservava che, se l'industria alimentare non modificherà i propri metodi di lavoro o di marketing, rischierà di essere regolata dal punto di vista legislativo, pagando un giorno danni simili a quelli dell'industria del tabacco per aver immesso sul mercato prodotti che possono far ammalare chi, ignaro, li consuma. Enrica Pugno ______________________________________________ La Stampa 23 gen. '02 MANUALE MERCK:LA MEDICINA A MISURA DELL´ANZIANO E´fresca di stampa l´edizione italiana del manuale di geriatria della Merck, utile non solamente per il medico di medicina generale ma anche agli specialisti di ogni disciplina, geriatria inclusa. Sono 1474 pagine di facile consultazione, realizzate da Medicom Italia con l'opera di squadra di 35 redattori, traduttori ed esperti, guidati da Bruno Pieroni per la versione italiana. Il prezzo è di 135.000 lire. Il mondo dell'anziano è in veloce espansione, almeno in occidente, dove l´aspettativa di vita cresce rapidamente: all´inizio del secolo era ancora inferiore ai cinquant´anni, oggi è di 81 anni per le donne e di 75 per gli uomini. In Italia, dal dopoguerra ad oggi, le persone di età compresa fra i 60 e i 79 anni sono più che raddoppiate e gli ultraottantenni sono aumentati del 400 per cento: attualmente sono 2 milioni e mezzo. Quasi diecimila sono i centenari. Ciò significa che una popolazione composta da anziani e "grandi vecchi" è per lo più disabile e malata, quindi vulnerabile. Le patologie più comuni di cui soffre l'anziano sono: l'equilibrio psico-fisico precario, la demenza senile, la depressione, infermità causate da cadute o paresi, l'insieme di più malattie che obbliga ad assumere farmaci diversi, fino a 12-15 compresse al giorno. Lo scenario si complica se l'anziano vive da solo ed è povero. Nelle cure dell'anziano, fragile quanto un bambino, è importante che il medico generico sia affiancato dal geriatra, così come fino a 14 anni il bambino è seguito dal pediatra. Il "Manuale Merck" contribuirà a far crescere questa cultura. Pia Bassi ______________________________________________ La Stampa 23 gen. '02 ALLO STUDIO UN VACCINO CONTRO LA NICOTINA IN SVIZZERA E INGHILTERRA SPERIMENTAZIONI INTERNAZIONALI PER VINCERE LA DIPENDENZA ANCHE DA DROGHE PESANTI SEMBRA essere questo il momento buono per vaccini che hanno come bersaglio il sistema nervoso centrale. E' in corso una grande sperimentazione clinica a livello internazionale di un vaccino per l'immunizzazione contro l´Alzheimer. Al tempo stesso si tenta la lotta contro la droga attraverso al risveglio del sistema immunitario. Ai fumatori desiderosi di liberarsi dalla nicotina (oltre il 50% secondo dati recenti) può interessare sapere che si sta sviluppando una vaccinazione contro gli effetti della nicotina. La società inglese Xenova ha annunciato che ne inizierà prossimamente i primi test sull'uomo. In Svizzera una piccola azienda, la Chilka, ha sviluppato in collaborazione con gli Istituti di Biochimica e Chimica Organica dell'Università di Losanna un vaccino analogo. Finora questo vaccino è stato sperimentato solo su topolini, ma con risultati interessanti. La stessa società rivendica la paternità di un vaccino contro la dipendenza da cocaina. La Xenova si è interessata ad un simile tipo di vaccino che sta a sua volta provando nell'uomo. Mentre la paternità delle scoperte si sta risolvendo all'Ufficio europeo dei brevetti, anche negli Usa altri laboratori lavorano sulla stessa idea. Ma come funziona il vaccino? Poiché l'organismo viene costantemente a contatto con piccole molecole che giungono dall'esterno (come la nicotina nei fumatori) il sistema immunitario sarebbe continuamente sollecitato a rispondere. Spesso le molecole non sono di tale taglia da scatenare una reazione immunitaria. Per far reagire il sistema immunitario contro piccole molecole quali la nicotina e la cocaina è quindi necessario legarle a molecole più grandi, generalmente delle proteine. La presenza di una molecola di nicotina associata ad una proteina è in grado di scatenare una reazione immunitaria che porta alla produzione di anticorpi capaci di riconoscere la prima molecola anche se introdotta da sola. La capacità di fabbricare anticorpi anti-nicotina può estendersi nel tempo dando luogo a una vera vaccinazione. Tutti i vaccini allo studio contro nicotina o cocaina si basano su questo principio. Nel topolino immunizzato il sistema linfocitario risponde alla introduzione dell'antigeno (cocaina o nicotina che sia) con una vigorosa produzione di anti-corpi specifici i quali legandosi alla cocaina o alla nicotina ne diminuiscono o addirittura ne neutralizzano l'effetto sul sistema nervoso. Il meccanismo è efficace anche contro la dipendenza dalla droga. Secondo i primi dati, nell'uomo la somministrazione del vaccino anti- cocaina ai primi otto drogati ha prodotto in cinque di essi un'astinenza totale per un periodo di tre mesi. Nel caso dei fumatori si sviluppa un vaccino analogo in forma iniettabile. Una serie di quattro iniezioni endomuscolo nello spazio di 2-4 settimane potrebbe bastare per produrre una reazione immunitaria tale da neutralizzare le molecole della nicotina in circolo. Il fumatore potrà tranquillamente fumarsi la sigaretta ma non sentirà più alcun effetto della nicotina, inclusa la dipendenza. L´insensibilità conferita dal vaccino potrebbe durare anni. E' come se il fumatore avesse deciso di cessare di colpo di fumare. Si faranno vivi tutti i ben noti e spiacevoli sintomi dell'astinenza, ma se persiste a fumare non proverà più alcuna soddisfazione in quanto si è spezzato il meccanismo della dipendenza. Non è da escludere che l'immunità neutralizzi solo gli effetti della nicotina sul cervello ma non impedisca altri effetti tossici. Non è pure da escludere che venendo a mancare "la soddisfazione di fumare" ciò spinga il fumatore ad aumentare il numero di sigarette nella speranza di scavalcare la barriera degli anticorpi. Ciò potrebbe essere pericoloso in quanto aumenterebbe il rischio di overdose. Rimane infine da stabilire il numero di anticorpi necessari per neutralizzare la nicotina in circolo, cioè il dosaggio preciso del vaccino. Al tempo stesso si deve conoscere il comportamento delle molecole di nicotina una volta legate agli anticorpi. Non dobbiamo quindi attenderci l'arrivo di un vaccino anti-nicotina prima di 5 anni nella migliore delle ipotesi. Ezio Giacobini ______________________________________________ Il Messaggero 26 gen. '02 COSMACINI: RICOMINCIAMO DALLA CURA DI SÉ" Noi, il corpo, la salute - Giorgio Cosmacini, storico della medicina. Il rapporto "filantropico" medico-paziente, l'importante ruolo del dottore di famiglia e non dello specialista, le malattie "mai incurabili, semmai inguaribili". E un consiglio "Ricominciamo dalla cura di sé" di LUIGI VACCARI GIORGIO Cosmacini dice che non tutti reagiamo distrattamente ai segnali che ci manda il nostro corpo: "Vi sono individui talmente iperattenti che diventano addirittura patofobici e fanno motivo d'allarme di ogni minimo subliminale segnale sintomatico; sono pazienti ipersensibili che confermano l'ipotesi opposta. Le tendenze sono varie e dipendono da fattori comportamentali e psicologici inerenti all'individuo: quindi peculiari dell'individualità, che è difforme da caso a caso. Sicuramente c'è, in altri casi, una sorta di rimozione, perché la malattia è un'esperienza spiacevole e, come la morte, si pensa sempre che debba colpire gli altri: sono gli altri che si ammalano, noi stiamo bene. Il senso del sé è di autogratificazione, tutto quello che lo può mettere in crisi tende a essere allontanato, fin tanto che non diventa così assillante da imporsi in tutta la sua importanza". Nella rimozione gioca anche la sfiducia nel medico? "Il discorso investe la crisi della professione medica. Se il medico viene considerato un meccanico, e cioè è ridotto al ruolo di tecnico della salute che aggiusta le parti avariate del corpo, non può soddisfare appieno le attese di un individuo che sono non soltanto di natura organica, ma di natura esistenziale. Lo star bene non è riducibile esclusivamente al buon funzionamento degli organi: coinvolge la soggettività dell'individuo; e la soggettività è qualche cosa di più complesso, di totalizzante, che deve trovare un interlocutore, il medico, che sia un curante in senso lato. E cioè viva la sua professione, che non è una scienza ma una pratica basata su scienze (la biologia, la chimica, la fisica), in modo scientifico-tecnico certamente al massimo grado, ma anche in modo "affabile" diceva il più grande clinico del primo Settecento, Hermann Boerhaave, che insegnava nell'Università olandese di Leida ed era denominato "totius Europae praeceptor", precettore di tutta Europa. Diceva esattamente: "Due cose si richiedono al medico: che sia esperto nella scienza medica e che abbia quella disposizione di genio che gli consenta di esercitarla in modo affabile". Il rapporto medico-paziente è un rapporto fra due soggetti: non tra un soggetto e un oggetto. E' un rapporto di filantropia". Spesso, oggi, inesistente. E' ingeneroso attribuire soltanto al medico le responsabilità di una correlazione comunque frettolosa e problematica? "Non ci sono buoni magistrati e cattivi politici o buoni politici e cattivi magistrati: buoni e cattivi sono da tutte le parti. Anche fra i medici. Colpevolizzarli del deterioramento di un rapporto può essere giustificato al 50 per cento. Il medico italiano all'estero è apprezzato, perché è un buon autodidatta: più che ben formato nelle Università (quello della formazione professionale è un altro problema), è un medico che sul campo sa molto spesso il fatto suo e si comporta adeguatamente. Si trova in un momento difficile, anche perché una serie di disinformazioni al pubblico lo mette molto spesso in difficoltà. Lui stesso, come il paziente, è qualche volta vittima di una mancanza di cultura". Cosmacini, milanese, 71 anni a febbraio, è il maggiore storico italiano della medicina. Laureato in Filosofia, insegna, a Milano, Storia della salute alla Statale e Storia della medicina nell'Università Vita-Salute del San Raffaele. Ha pubblicato molti libri, fra cui, con Laterza, Storia della medicina e della sanità in Italia (tre volumi), i saggi La qualità del tuo medico. Per una filosofia della medicina e Medici nella storia d'Italia. Con Vittorio Sironi cura la collana "Storia della medicina e della sanità". Quali segnali del corpo non dovrebbero restare inascoltati? "Forse il più importante, non soltanto nella cultura occidentale, è il dolore. E' un segnale inequivocabile dell'uomo e dell'animale. Il sintomo ha una doppia valenza: una somatica, in quanto pena fisica; una esistenziale, in quanto stato di sofferenza. Coinvolge non solo l'oggettività del soma, ma anche la soggettività della psiche. Per cui sostanzialmente è uno dei segni cardine della clinica". Manca anche una educazione a prendersi cura di sé? "Ha messo il dito sulla piaga. L'educazione alla autocura: capire che il miglior medico di ciascuno di noi siamo noi stessi, e cioè che, oggigiorno, quando le malattie sono cambiate, è molto importante lo stile di vita. E lo stile di vita lo può gestire soltanto chi vive: regolando le abitudini e i comportamenti in modo tale da non ammalare, o perlomeno rendere meno probabilistico, stocastico, l'evento morboso. Una volta a una causa corrispondeva un effetto: bacillo di Koch, tubercolosi; vibrione del colera, colera; bacillo della peste, peste. Oggi, no, le malattie sono plurifattoriali. Perché arriva l'infarto? E perché uno fuma, e perché è sedentario, e perché ha il colesterolo alto, e perché è stressato... Oggi le malattie sono dovute a un cumulo di fattori di rischio non deterministici, ma probabilistici. Se l'individuo non se ne rende conto e non si arma, lui per primo, contro di essi, si espone al peggio. La prima medicina è l'autocura, l'educazione alla salute, come era un tempo ippocraticamente: Regimen, una delle più grandi opere di Ippocrate, significava proprio regola di vita". E' consigliabile andare dal medico periodicamente, fare il tagliando, anche quando si pensa di star bene? "Io non sono per la medicalizzazione a oltranza della nostra vita: non dobbiamo essere medico-dipendenti. Anche perché, dall'altra parte, c'è la tendenza a monitorare i livelli fisiologici e parafisiologi in modo addirittura forsennato e paradossale facendo di ogni sano un potenziale malato. Ci vuole il senno: un paziente dovrebbe essere ragionevolmente attento al funzionamento del proprio corpo e se ha qualche cosa che non funziona come in passato, o perlomeno gli crea qualche allarme o disturbo, in questo caso fa bene a sentire il medico di famiglia, attenzione, eh, non lo specialista: il medico generale, che a torto viene definito generico, perché non è affatto generico, ma un medico avveduto, molto importante". Ne esistono ancora? "E' un altro nervo scoperto. La cultura della salute comprende anche la cultura di questo medico che deve farsi carico del proprio paziente, inteso non soltanto come una macchina, ma come una persona inserita in un contesto ambientale, familiare, lavorativo, territoriale, di cui egli conosce vita, morte e miracoli". Il medico deve dire sempre la verità o è lecito anche tacerla? "Non esiste una regola fissa. Se la verità comporta la disperazione e si suppone ragionevolmente che il paziente possa uscire da questa verità distrutto, il medico deve usare una grande prudenza. Non deve essere menzognero. In linea generale la verità va detta. Ma ci sono tanti modi diversi di dirla. Bisogna sempre coniugarla alla ragionevole speranza, alla fiducia, alla comprensione, e soprattutto alla solidarietà: "Ti sono vicino. Sono al tuo fianco per risolvere i problemi che ti si presentano. Non c'è nulla di definitivo. La scienza cammina: quello che oggi sembra, domani può non esserlo". La verità ha tante sfumature". Parlare, come fanno i mezzi di comunicazione, di mali incurabili, è un errore imperdonabile? "Non diciamo incurabili. Diciamo inguaribili. Tutti i mali sono curabili. Bisogna prendersi cura di ogni paziente. Purtroppo, gran parte delle malattie odierne sono inguaribili: non solo il cancro. Il diabete è una malattia inguaribile. Ma si può curare benissimo. E il diabetico ha un'aspettativa di vita non inferiore a quella di uno che non lo è. Purché sia ben curato. Oggi la donna campa mediamente fino a 85 anni, l'uomo fino a 80. Siamo tutti pieni di malattie inguaribili, da una certa età: abbiamo tutti la pillolina da prendere, più o meno, ogni giorno. Certo: ci sono grandi malattie inguaribili che hanno una scadenza breve e si confrontano col tempo del morire, che può essere di attimi, nella morte improvvisa, di settimane, di mesi. La morte annunciata si può presentare, in certe malattie, anche a distanza di tempo dall'evento terminale. E' qui che c'è bisogno del medico. Diceva un grande clinico tedesco dell'Ottocento, Ludolf Krehl, che un vero medico si rivela in queste circostanze, non quando aggiusta la macchina".