UNIVERSITÀ, CORSI DI LAUREA CON IL BOLLINO BLU SCUOLA, C’È UNA VIA TECNOLOGICA DA SALVARE UN CONTROLLO DI QUALITÀ PER I CORSI DI CHE COSA HANNO DAVVERO BISOGNO I GIOVANI DI VALORE CAGLIARI: «UN CENTRO UNIVERSITARIO A TUVIXEDDU» NUORO: LA REGIONE È AVARA: CORSI LAUREA A RISCHIO NUORO: IL FAMIGERATO “COSTO ZERO” BLOCCA L’ATENEO SASSARI: ATENEO IN CRESCITA, MA AUMENTANO I FUORI CORSO SASSARI: ALL’UNIVERSITÀ PORTE CHIUSE AGLI STUDENTI I SARDI E L’ELISIR DI LUNGA VITA «IL 13% DELLE ALLIEVE MOLESTATE IN FACOLTÀ» ERSU: GODOT-UNIVERSITY PER GLI STUDENTI DIPENDENTI PUBBLICI, AUMENTI DA 100 EURO ========================================================= MEDICI SPACCATI SULLA RIFORMA «SALVIAMO IL POLICLINICO UNIVERSITARIO» LA SANITÀ PRIVATA BOCCHEGGIA TARIFFE DA ADEGUARE SPORT: SOS DEL CONI ALLA REGIONE PER LE VISITE MEDICHE DOCENTI DI MEDICINA ROMANI APPOGGIANO LE PAROLE DEL PAPA MEDICI SPECIALIZZANDI: INCHIESTA SUL TIROCINIO ASL: DUE SU TRE SONO IN DEFICIT OPPI:PRESTO A SASSARI UN CENTRO PER I TRAPIANTI DI FEGATO UN POLICLINICO IRRAGGIUNGIBILE BROTZU: PER UNA VISITA NOVE MESI D’ATTESA SORGONO ALL’OSPEDALE IL DEFICIT SUPERA GLI OTTO MILIARDI UN VACCINO CONTRO LE ALLERGIE ATTACCARE I TUMORI UNA BIBLIOTECA MEDICA ONLINE PER I PAESI POVERI CUORE, UNA ”MOLLA” PULISCE E TIENE APERTE LE CORONARIE ========================================================= ________________________________________________ Corriere della Sera 05 feb. ’02 UNIVERSITÀ, CORSI DI LAUREA CON IL BOLLINO BLU La Moratti: «Gli studenti potranno fare un confronto tra gli atenei». Sarà un certificato di qualità Le facoltà saranno tenute a rispettare gli standard indicati pena l' esclusione dai finanziamenti Benedetti Giulio ROMA - Corsi di laurea col «bollino blu». Tra qualche anno gli studenti che si iscriveranno all' università potranno fare la loro scelta anche sulla base di informazioni essenziali che oggi mancano. Non solo disporranno di elementi di giudizio riguar danti gli aspetti quantitativi come il numero delle aule, delle biblioteche e via dicendo, ma soprattutto potranno fare affidamento su un marchio di qualità ufficiale che attesterà la qualità del prodotto formativo. Scegliendo i corsi col bollino blu , insomma, famiglie e studenti avranno una garanzia in piu’ sulla qualità. Questa e altre novità sono state annunciate dal ministro dell' Istruzione e dell' Università che ieri mattina ha preso parte all' inaugurazione dell' ottantesimo anno accademic o della Cattolica di Milano. Una visita che ha piacevolmente sorpreso Letizia Moratti. Dopo mesi di contestazioni, è stata accolta da centinaia di studenti che gridavano: «Una di noi, Letizia sei una di noi». Il ministro ha parlato di valutazione qua ntitativa e qualitativa. «Misureremo - ha detto - l' adeguatezza dei mezzi messi a disposizione dei docenti e degli studenti. Porremo gli studenti nelle condizioni di fare un confronto trasparente tra università e singole facoltà quanto a strumenti d idattici, strutture funzionanti, libri utilizzabili e consultabili». BANCA DATI -- Si partirà dall' efficienza organizzativa. Il comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, presieduto da Giuseppe De Rita, ha messo a punto un docu mento in cui sono indicati i requisiti minimi, sotto il profilo della quantità, per avviare un corso di laurea. Gli atenei d' ora in poi saranno tenuti a rispettare gli standard indicati nello studio, altrimenti rischiano di non ricevere i finanziame nti. Inoltre dovranno trasferire in una banca dati, gestita dal ministero, tutte le notizie riguardanti le strutture e le dotazioni di personale dei vari corsi. Siamo ai primi passi. «Ci vorrà almeno un anno», prevede Luciano Modica, presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui). Il passo successivo sarà quello della certificazione della qualità, che non può prescindere dall' esistenza di requisiti minimi nelle strutture e nell' organizzazione. Il ministro Moratti ha d ichiarato che gli studenti, al momento della scelta, dovranno disporre di un maggior numero di informazioni anche sui contenuti dei corsi. «Pensiamo - ha dichiarato - che sia necessario introdurre nelle università l' accreditamento del prodotto forma tivo, cosicchè il confronto competitivo tra le diverse offerte didattiche possa avvenire in modo trasparente e puntuale». BOLLINO BLU - Gli atenei e il ministero si sono già messi al lavoro. È stata varata, di comune accordo, una procedura di valuta zione, fondata su giudizi interni ed esterni. Alla fine delle procedure è previsto un accreditamento dei corsi di laurea che avranno ottenuto un giudizio positivo. «L' idea - dice ancora il professor Modica - richiama quella del certificato di qualit à utilizzato sempre piu’ dalle aziende a garanzia dei beni prodotti. La formazione è qualcosa di immateriale rispetto a un oggetto, tuttavia l' idea di fondo è simile». Un unico sistema dalla scuola materna e dell' infanzia all' istruzione superiore, fino all' università e alla ricerca, dove efficienza organizzativa e qualità dei risultati siano sottoposte a una costante verifica. L' accreditamento del prodotto formativo e la banca dati sui servizi forniti dagli atenei rientrano in questo progett o. Come i questionari sull' apprendimento dei ragazzi predisposti dall' Istituto nazionale di valutazione che verranno distribuiti in un vasto campione di scuole nel mese di marzo. Giulio Benedetti ________________________________________________ Il Sole24Ore 08 feb. ’02 SCUOLA, C’È UNA VIA TECNOLOGICA DA SALVARE di Andrea Pininfarina Molti commentatori di fronte alla riforma della scuola proposta dal ministro Moratti hanno paventato il rischio di separazione tra scuola e formazione professionale, giudicata dannosa per gli studenti e antistorica. Tali commenti sembrano ignorare le profonde trasformazioni che hanno attraversato l'impresa e gli indirizzi di riforma dei sistemi educativi dei paesi piu’ avanzati. Nessuno, infatti, può chiedere di tornare alla separazione tra scuola e lavoro, ma occorre viceversa equipararci al l'Europa anche con la formazione professionale e l'alternanza. Molti studiosi europei si meravigliano che in Italia ci si attardi ancora in polemiche di questa natura. Non è, infatti, in discussione la necessità di dotare tutti i giovani, sia nei percorsi liceali, sia in quelli professionalizzanti, di quel set di competenze di base senza le quali non si possono esercitare diritti di cittadinanza. Nè può essere ignorato che l'impresa è cambiata e che "professionalità" fa rima anche con "cultura". Semmai il problema è proprio quello opposto: dare appeal, valore specifico e dignità propria ai percorsi professionalizzanti. Portare la formazione professionale in serie A in un Paese che l'ha sempre vista come la Cenerentola del sistema educativo è la vera scommessa della riforma. Dunque, come hanno rilevato i rappresentanti di Anci e Upi, non bisogna «separare scuola e formazione», ma offrire agli studenti un menu piu’ ricco, dove la stessa filiera professionalizzante non è monolitica, ma plurale, con percorsi diversificati (licei tecnologici, istituti, alternanza, corsi regionali brevi, corsi di formazione professionale superiore eccetera). I modelli tradizionali. È assai apprezzabile che nella riforma sia salvaguardato il modello del liceo classico, ma non tutta l'offerta scolastica si deve ispirare a esso. Dovrebbero capirlo per primi gli insegnanti che annotano «adatto alla formazione professionale» nel giudizio dei ragazzi da loro ritenuti meno dotati. Ritengo inoltre, non da tecnico, ma da persona di buon senso, che un ausilio importante al l'immagine e alla fruibilità della formazione professionale sia costituito da quel l'anno, definito di "riallineamento", che, se innestato su cicli d'apprendimento validi e completi, "anche se" professionali, potrebbe, piu’ di tante "passerelle", recuperare scelte di cui ci si è pentiti e consentire nuove opportunità in ambito universitario o di formazione superiore. In questo rilancio della formazione professionalizzante non disgiunta dalla cultura, c'è però un patrimonio del Paese, costituito dal l'istruzione tecnica, che rischia di essere disperso, con grave danno del sistema produttivo. Proprio il settore scolastico che ha fornito i tecnici necessari al l'industrializzazione e che, in questi ultimi anni, ha risposto alle esigenze di flessibilità e di adattamento alle innovazioni tecnologiche e alle trasformazioni organizzative espresse dalle imprese. Ciò proprio grazie al connubio tra competenze trasversali e sapere professionale, che già caratterizza quest'ordine di scuole. Il futuro degli istituti tecnici. Sono quindi molti, oggi, a chiedersi che fine faranno nella riforma Moratti gli istituti tecnici. Apparentemente le soluzioni sembrano essere due: o venir "liceizzati" o passare integralmente alle Regioni insieme al l'istruzione professionale. In entrambe le soluzioni ci sono gravi rischi di depauperamento. Penso allora che vada individuata una terza soluzione che salvaguardi identità e specificità di quest'importante filone, che ha sempre avuto caratteristiche professionalizzanti e anche culturali, e che, in molte realtà, continua a soddisfare le esigenze degli studenti, dei genitori e delle imprese: annoto come l'istruzione tecnica oggi costituisca oltre il 40% della scuola superiore e i suoi diplomati coprano il 70% delle richieste d'assunzione di giovani provenienti dalle imprese. La soluzione è considerare l'istruzione tecnica "terzo genere" tra i licei e gli istituti professionali, ovvero garantire che i nuovi licei tecnologici, con gli indispensabili indirizzi diversi, siano una vera e propria filiera professionalizzante. Queste soluzioni consentirebbero di ottenere due risultati. Da un lato la salvaguardia del l'"argenteria di famiglia" da una rischiosa operazione di omogeneizzazione (ai licei tradizionali o alla formazione regionale), dal l'altro l'interruzione di un processo di deprofessionalizzazione che si è avviato negli ultimi dieci anni, a partire dagli esiti della "Commissione Brocca". Tale sperimentazione, dove è stata realizzata, ha aumentato a dismisura il numero delle discipline e ridotto l'orario delle discipline professionalizzanti e di laboratorio, portando tali scuole a rinunciare alla loro funzione professionalizzante. Fortunatamente in molte realtà, e nel l'area piemontese e torinese in particolare, ciò è avvenuto in minor misura, rispondendo ai reali bisogni professionali delle aziende. Oggi occorre un processo inverso da quello voluto dalla Commissione Brocca: riprofessionalizzare l'istruzione tecnica, potenziarne i collegamenti con le imprese, aggiornarne i curricula tecnici, valorizzarne le attività di laboratorio e l'apprendimento d'esperienza. Le soluzioni "professionalizzanti". Ciò è possibile attraverso uno snellimento del numero di discipline e del l'orario di insegnamento, che in molti casi ha raggiunto le 40 ore settimanali, pur tenendo conto del l'esigenza, connaturata a questo tipo di scuole, di un quadro orario piu’ robusto dei licei tradizionali. Ciò renderà necessario potenziare modalità di apprendimento basate sul saper fare e sul mettere in relazione il contenuto degli insegnamenti disciplinari con le situazioni del mondo reale, motivando gli studenti a collegare le conoscenze con le loro applicazioni. Infine, mediante la valorizzazione del l'autonomia scolastica, occorre rafforzare il raccordo con le imprese e la specificità degli istituti tecnici e del loro patrimonio di risorse umane e di capacità professionali. Ci auguriamo che non venga in mente a nessuno di riesumare i piani di studio del '92 della commissione Brocca che segnerebbero, se applicati a tutto il territorio nazionale, il sostanziale declino del l'istruzione tecnica e del suo naturale ruolo di raccordo del sistema scolastico con la cultura d'impresa. ________________________________________________ Il Sole24Ore 05 feb. ’02 UN CONTROLLO DI QUALITÀ PER I CORSI MILANO - Feste, sorrisi, urla con cori quasi da stadio («Letizia sei una di noi»), qualche striscione («Piu’ liberi con la Moratti»). E una standing-ovation al termine del discorso di inaugurazione dell'anno accademico 2001/2002 dell'Università Cattolica tenuto ieri a Milano nella bella aula magna dell'ateneo. La giornata si era aperta con la messa nella basilica di Sant'Ambrogio, presieduta dal cardinale Martini ed è continuata con i discorsi del rettore, Sergio Zaninelli e il saluto del presidente dell'istituto Giuseppe Toniolo, Emilio Colombo. Al termine dell'inaugurazione è stato presentato il film «Piu’ di una storia», di Paolo Lipari che documenta gli 80 anni dell'università. Il tributo degli studenti è un'accoglienza insospettata rispetto a quelle abitualmente riservate dalle rappresentanze studentesche ad un ministro. La centralità degli studenti è uno dei punti chiave sui quali il ministero punterà per l'attuazione della riforma, insieme alla valorizzazione della missione e dell'identità sociale dell'università, la ridefinizione del ruolo dei docenti, l'intensificazione del rapporto con il mondo del lavoro, l'incentivazione della ricerca. La Moratti ha sottolineato che l'opera del Governo sarà quella di «predisporre un sistema di monitoraggio della qualità dei corsi». «Misureremo - ha detto - l'adeguatezza dei mezzi messi a disposizione dei docenti e degli studenti. Porremo gli studenti nelle condizioni di fare un confronto trasparente tra università e singole facoltà quanto a strumenti didattici, strutture funzionanti, libri utilizzabili e consultabili». Il ministro ha continuato sostenendo che sarà sviluppata un'azione particolare per aiutare gli studenti nella scelta dell'università e rafforzando il preorientamento universitario nelle scuole. «Pensiamo - ha aggiunto - che sia necessario introdurre nelle università l'accreditamento del prodotto formativo e la certificazione della qualità dei servizi, cosicchè il confronto competitivo tra le diverse offerte didattiche possa avvenire in modo trasparente e puntuale. Infine, punteremo a rafforzare la ricerca in ambito universitario». Piu’ volte, durante il suo discorso, il ministro ha ribadito l'esigenza di «ridare agli studenti le sicurezze individuali e collettive che sembrano aver smarrito», accompagnandoli piu’ da vicino «nell'inserimento nel ciclo produttivo della loro vita» ma proteggendoli anzitutto, «dai rischi di emarginazione ed estraniazione culturale che oggi corrono». Occorre «affrancarli dal senso di abbandono e da quella fatica del cambiamento che spesso avvertono nel profondo del loro animo, ma anzi affiancarli con sistemi di tutoring organizzato». Nel progetto «di ricostruzione e rifondazione culturale del Paese», secondo il ministro Moratti, bisogna «ripartire dalla persona, da docenti disponibili e capaci a diventare maestri di valori, da studenti formati su ideali di libertá, di giustizia e di saggezza». Un rinnovato modello etico di cultura, quello del ministro, che oltre a sottolineare che la riforma «è ispirata da una visione integrata e unitaria del sistema, che si estende dalla scuola materna fino all'università» ha sostenuto che l'università deve compiere un grande salto culturale e lo potrà fare solo facendo proprie le antiche radici della cultura europea». Non mancano però le preoccupazioni. L'Italia continua ad essere un Paese che opera prevalentemente sull'innovazione di secondo livello (utilizzando dunque i prodotti della ricerca altrui); la mortalità formativa è ancora troppo elevata, la fuga all'estero dei cervelli è una realtà. E ancora: «Permane - ha detto la Moratti - il grave divario con gli altri Paesi industrializzati dove il 21,5% della popolazione attiva è in possesso di un titolo equivalente alla laurea, contro il nostro 9,3%». Siamo anche agli ultimi posti posti per laureati scientifici e dottorati. Contiamo appena 3,3 ricercatori per mille abitanti, rispetto ai 5,3 della Ue. Rispetto a questi dati preoccupanti, che continuano a porre il livello di ricerca italiano ancora tropo in basso, è sicuro che occorrerà investire nell'università e nei settori di ricerca e sviluppo risorse ben maggiori di quanto non sia stato fatto fino ad ora. Anche sul reperimenti dei fondi e sulla quantità di quelli che verranno impegnati i giornalisti, alla fine del discorso ufficiale, hanno richiesto al ministro precisazioni. Ma, proprio in quel momento, scadeva il tempo dedicato alla stampa e la Moratti si infilava nell'auto blu andando sorridente verso i cori degli studenti "tifosi". Stefano Salis ________________________________________________ Corriere della Sera 04 feb. ’02 DI CHE COSA HANNO DAVVERO BISOGNO I GIOVANI DI VALORE Alberoni Francesco Come si fa a capire chi ha delle reali doti artistiche o scientifiche e che tipo di insegnamento dobbiamo dargli per aiutarlo a metterle a frutto? È una domanda che mi sono posta molte volte perchè so che, nell' università di massa, è difficile segui re con attenzione gli studenti, e distinguere quelli realmente dotati da quelli che sono semplicemente brillanti. Ed è soprattutto difficile creare per loro l' ambiente culturale che consente di stimolare, far fruttare le loro capacità. La persona di valore sopporta molto male l' insegnamento tradizionale, accademico, privo di spessore, di idee, di originalità. Per carità, egli può essere un allievo modello, fare tutto quello che gli viene richiesto. Però la sua mente è continuamente alla ricerca, esplora strade nuove e cerca con avidità modelli, maestri a cui attingere, da cui imparare. E, attenti, ha una sensibilità particolare, riconosce i suoi simili, non si fa ingannare dalle apparenze. Egli aspira ad un ambiente pieno di personalità forti, creative, realmente capaci. Se penso alla mia vita, ricordo solo un periodo in cui ho trovato un ambiente di questo genere. Quando ero all' Istituto di Padre Gemelli dove, ogni quindici giorni, si riunivano tutti gli psicologi italiani, e noi presentavamo le nostre ricerche, discutevamo per ore ed ore. Poi mi incontravo con i giovani che scoprivano l' econometria, i teorici dell' entropia, i primi informatici, gli psicoanalisti che esploravano nuove strade. È stato in questo clima incandescente della Milano degli anni ' 60 che sono nate le mie idee sulle discontinuità psicologiche e sociali e, quindi, la teoria dello stato nascente, i movimenti, l' innamoramento. Da questa esperienza ho capito perchè, in certi periodi, piccole città come Atene o Firenze sono diventate dei centri straordinari di cultura, di arte, di creatività. Dove, come per prodigio, nascono i geni. Perchè vi affluiscono spontaneamente tutte le persone che vogliono creare, nell' arte e nella scienza, gente che crede nel suo sogno. Vivono insieme, pensano insieme, si stimolano, si arricchiscono reciprocamente, non hanno paura di inventare. In piccolo si è creata una temperie del genere anche a Roma nel campo del cinema durante gli anni ' 50-60. Gli americani riescono a produrre una analoga intensità creativa in alcune loro grandi Università dove arrivano i talenti da tutto il mondo e si fecondano reciprocamente. Perciò, per valorizzare i giovani di valore bisogna mandarli dove vi sono gran di maestri, perchè possano imparare dalle loro parole, dal loro esempio. Dove svolgono anche compiti umili, ma su problemi veri, insieme ad altri giovani come loro, ugualmente motivati. Non chiuderli in un ambiente ristretto, non sperare di potergli insegnare tutto tu. Solo così la loro intelligenza viene diretta all' essenziale e le loro qualità, se ci sono, vengono messe alla prova, temprate, senza ipocrisie, senza indulgenza. In sostanza la grande arte, come la grande scienza, si apprende solo come l' apprendevano i giovani del Rinascimento che andavano a lavorare con Giotto, o a bottega dal Verrocchio o dal Bramante. O come quelli che accorrevano da Freud, o studiavano architettura con Gropius alla Bauhaus, o imparavano recitazione all' Actor' s Studio di Strasberg, o facevano ricerca in via Panisperna con Enrico Fermi. Cioè dove ci si incontra per realizzare un grande progetto, un sogno, e con fede. www.corriere.it/alberoni ________________________________________________ L’Unione Sarda 03 feb. ’02 «UN CENTRO UNIVERSITARIO A TUVIXEDDU» I permessi sono in regola, ora si tratta di trovare fondi per il primo blocco di lavori Il rettore Mistretta conferma il progetto di riunire tre facoltà sul colle Sorgerà nel colle di Tuvixeddu, in via Is Maglias di fronte alla facoltà di Ingegneria, il nuovo complesso universitario che ospiterà le facoltà di Lingue e Letterature Straniere, Scienze della Formazione e Ingegneria. Lo ha ribadito il Rettore Pasquale Mistretta dopo averlo annunciato nella conferenza di fine anno. Le trattative sono ancora in corso, ma la volontà è quella di creare un polo universitario nella zona di Piazza d’Armi. Questo eviterà - ha detto Mistretta - la dispersione di tempo e di energie negli spostamenti per raggiungere le aule sparse in piu’ punti di Cagliari. I permessi sono in regola, si sta lavorando al progetto finanziario (dopo il blocco dei Pit) e non appena si troveranno i fondi il primo blocco dei lavori partirà per essere terminato in due anni e mezzo. Dei 18.800 metri quadri di superficie d’area destinati all’Università, 6.800 saranno coperti. Gli edifici si svilupperanno sia entroterra (60.000 metri cubi per una superficie di 14.355 metri quadri), che fuori (64.000 metri cubi per una superficie di 20.143 metri quadri ). Nell’area sotterranea saranno costruiti i laboratori tecnici e due piani di parcheggi, mentre aule e laboratori saranno realizzati fuori terra. Gli edifici saranno collegati con la facoltà di Ingegneria sull’altro lato di via Is Maglias attraverso passerelle sopraelevate. Il primo blocco dei lavori prevede anche la costruzione delle foresterie, dove si potranno ospitare studenti e studiosi che arrivano da altre università italiane ed europee. Saranno realizzate nello stesso lato dell’attuale facoltà di Ingegneria. È prevista anche una seconda fase di lavori per la realizzazione di un campus universitario. Dovrebbe sorgere sempre in via Is Maglias, ma piu’ in basso rispetto alle aule e ai laboratori. Questo secondo blocco è però legato al reperimento di ulteriori fondi. La realizzazione del progetto è della Coimpresa, che nell’accordo di programma con il Comune e la Regione per il progetto sul colle aveva destinato una parte di superficie d’area ai servizi universitari. L’affidamento a questa ditta senza gara d’appalto - ha spiegato il rettore - è stato deciso per risparmiare tempo, visto che comunque quella era l’unica area disponibile che rispondesse ai requisiti necessari di superficie e vicinanza alla Piazza d’Armi, dove si intende costruire il polo universitario. Questo permetterà anche di risparmiare molto tempo - ha concluso - vista che il conseguente sovraffollamento delle aule, inadeguate al numero degli studenti. Per il primo blocco dei lavori è prevista una spesa di circa 150 miliardi di lire. ________________________________________________ L’Unione Sarda 07 feb. ’02 NUORO: LA REGIONE È AVARA: CORSI LAUREA A RISCHIO L’Università nuorese corre il rischio della chiusura dei suoi cinque corsi di laurea. Il Consiglio regionale, infatti, ha bloccato martedì sera il disegno di legge sui provvedimenti in tema di cultura e di istruzione, penalizzando in modo particolare l’ateneo nuorese. Il presidente del Consorzio universitario, Bachisio Porru, aveva sollecitato il presidente della commissione regionale Cultura, Roberto Capelli, a farsi promotore della riattribuzione dei cinque miliardi annui concessi dalla Regione all’Università di Nuoro. Scriveva Porru nella lettera indirizzata a Capelli: «Qualora il reintegro dello stanziamento consolidato di cinque miliardi non avvenisse, le conseguenze per il Consorzio sarebbero devastanti: comporterebbe la chiusura immediata dei cinque corsi di laurea e verrebbe così a cadere il ruolo dello stesso Consorzio». Il contributo finanziario regionale di cinque miliardi - aveva ribadito Porru - è strettamente necessaria per la sopravvivenza delle attività universitarie in corso. Roberto Capelli, nella sua risposta a Porru, ha parole dure nei confronti «dei consiglieri franchi tiratori, di chi ha abbandonato l’aula alla chetichella, di chi non ha votato affatto (l’intero centro sinistra)». Ha definito ”indecente” lo spettacolo in aula. Insieme al Consorzio universitario vengono penalizzati anche la biblioteca “Satta” di Nuoro e la fondazione “Nivola” di Orani. Il commento di Capelli è questo: «L’istituzione dell’Università nuorese è stata ed è una grande conquista per la nostra provincia. Forse a qualcuno non è andata giu’. Sono convinto che se il medesimo provvedimento avesse riguardato L’Ente Lirico di Cagliari o altri enti non targati centro Sardegna, avrebbe certamente avuto miglior sorte». Infine, l’invito di Capelli alla collaborazione di tutti «per la difesa dei nostri diritti con ogni strumento di civile ma decisa protesta». ________________________________________________ L’Unione Sarda 09 feb. ’02 NUORO: IL FAMIGERATO “COSTO ZERO” BLOCCA L’ATENEO La condizione capestro per istituire l’ateneo nuorese Il famigerato “costo zero” ha chiuso i rubinetti statali Quando la commissione Medici negli anni Settanta indicò la terapia per far uscire le “zone interne” dal sottosviluppo, intravide due strade: la grande industria e l’università. Una terapia che lo Stato ha indicato ma non somministrato, almeno per la seconda ricetta. Infatti non ha mai dato una lira per l’ateneo nuorese. Anzi pose allora come condizione il cosiddetto costo zero alla gemmazione con le Università di Cagliari e Sassari di corsi di laurea a Nuoro. Quando, alla fine degli anni Ottanta, si costituì il Consorzio, sono stati il Comune e la Provincia a favorire l’insediamento universitario mettendo a disposizione le sedi logistiche. Poi la Regione ha finanziato. Lo Stato, invece, è tuttora il grande assente. Ma può un’Università crescere con la latitanza statale? E può la Regione sobbarcarsi da sola il peso finanziario? Possono Comune e Provincia destinare le loro risorse a funzioni improprie come l’Università? Evidentemente no. Eppure l’ateneo nuorese è vivo, con i suoi oltre mille studenti che risiedono in città, nella quale vengono spesi i quattro quinti della somma regionale stanziata. «Il primo obiettivo - dice il presidente del Consorzio Bachisio Porru - è l’acquisizione dell’autonomia. Un obiettivo da perseguire con determinazione da parte di enti locali, rappresentanze istituzionali e classe politica. Una battaglia da fare subito». Con l’autonomia lo Stato non potrà piu’ continuare nel suo atteggiamento pilatesco. Infine una domanda: perchè Camerino, cittadina di appena diecimila abitanti, ha un’università autonoma? La Sardegna Centrale non merita altrettanto? G. P. ________________________________________________ L’Unione Sarda 05 feb. ’02 SASSARI: ATENEO IN CRESCITA, MA AUMENTANO I FUORI CORSO Inaugurazione dell’anno accademico, il rettore guarda all’Europa L’università punta sulla ricerca L’università di Sassari si attrezza per produrre ricerca, innovazione e sviluppo tecnologico, e trovare così la sua collocazione in un’Europa sempre piu’ integrata. I princìpi etici e i grandi valori della cultura occidentale sono stati al centro della cerimonia di inaugurazione del 440° anno accademico. Il rettore Alessandro Maida ha tracciato un quadro che vede l’ateneo sassarese decisamente proiettato verso il futuro di una società sempre piu’ multietnica: «In relazione ai nuovi compiti Ñ ha spiegato Ñ l’università prosegue il suo progressivo potenziamento per svolgere un ruolo dignitoso nello scenario che va configurandosi per i prossimi decenni: punto di partenza è l’aumento progressivo delle risorse economiche impegnate, come mostra il trend relativo all’ultimo triennio che ha visto pagamenti per 245 miliardi nel 1999, 261 nel 2000 e 285 nel 2001». Nonostante lo sforzo finanziario, però, il rettore è preoccupato. Il dato che non lo lascia tranquillo è l’alto numero di studenti fuori corso: quasi 7mila sui circa 17mila iscritti. «Il dato Ñ commenta Maida Ñ è ulteriormente aggravato dal numero di abbandoni dopo il primo anno, pari al 25 per cento degli immatricolati». Per porre un argine a questo fenomeno, gli organi accademici hanno deliberato di avviare un progetto-obiettivo che garantisca un nuovo tipo di rapporto tra l’ateneo e gli studenti, motivandoli verso un maggiore impegno per i propri doveri. Nel complesso, comunque, le note positive non mancano: i corsi di laurea sono ormai 44 e le immatricolazioni hanno registrato un aumento del 16,5 per cento. Fiore all’occhiello del nuovo ateneo è poi l’apertura della nuova facoltà di Architettura di Alghero, «che pone Ñ parola di rettore Ñ l’ateneo sassarese fra i primi 14 d’Italia». Importante, nella gemmazione delle facoltà, anche la collaborazione fra i due atenei isolani, impegnati nel sistema formativo diffuso sul territorio. Fra i punti toccati nella relazione, anche il sistema bibliotecario di ateneo: «Hanno aderito finora 16 biblioteche e 3 centri aggregati: è stato creato, con l’automazione, il catalogo unico dell’ateneo, l’accesso via internet e tremila periodici e forme di cooperazione con altre università e istituzioni». Dopo la relazione del magnifico rettore e la prolusione del professor Michele Polo sul tema “La nuova economia: potenzialità e problemi nella diffusione delle tecnologie dell’informazione”, ha preso la parola il ministro Beppe Pisanu. Il responsabile dell’attuazione del programma di governo ha voluto dare risposte alle preoccupazioni del rettore e dell’intero mondo accademico: innanzitutto ha annunciato la volontà dell’esecutivo di concludere lo scambio dei locali della manifattura tabacchi, quindi ha assicurato l’avvio degli atti per sbloccare i 15 miliardi per il polo naturalistico. Dopo aver garantito gli accertamenti per i fondi per Farmacia e Veterinaria, Pisanu ha dato notizia della disponibilità di 700 milioni per l’istituzione del corso di laurea triennale in economia. Giuseppe Florenzano ________________________________________________ L’Unione Sarda 05 feb. ’02 SASSARI:ALL’UNIVERSITÀ PORTE CHIUSE AGLI STUDENTI Università, l’Antisommossa contro il dissenso Ancora una volta i portavoce del dissenso hanno trovato le porte dell’Università chiuse da un cordone di forze dell’ordine in assetto antisommossa. Ieri pomeriggio infatti, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico a cui hanno preso parte tutte le autorità cittadine e religiose della città e il ministro Beppe Pisano, i rappresentati degli studenti appartenenti al Collettivo studentesco non sono potuti entrare nell’aula magna per esporre le loro opinioni e proporre delle soluzioni per «una università a portata di tutti e non solo dei privilegiati». I ragazzi, una trentina in tutto, sono arrivati pacificamente in piazza Università. «Non siamo riusciti ad entrare nemmeno nell’atrio dell’ateneo- racconta Stefania, presidente del Collettivo studentesco - e allo stesso tempo guardavamo sfilare, protetti dalle forze dell’ordine, il rettore, i docenti e i rappresentati degli studenti di altri movimenti politici. Ci hanno anche chiesto i documenti». Forse queste misure sono state prese per evitare che si ripetesse ciò che era accaduto l’anno scorso, quando gli studenti di questa parte politica erano stati ammessi e avevano manifestato creando disordini. «È vergognoso che ci abbiano ghettizzato e trattato in questo modo - aggiunge con toni polemici Maurizio, rappresentante degli studenti - mentre hanno lasciato entrare la goliardia. Volevamo distribuire i nostri volantini ed esporre le nostre ragioni, invece le forze di polizia ci hanno caricato e costretto alla solita manifestazione». Ora gli studenti del Collettivo chiedono che il rettore si scusi con loro per il trattamento ricevuto. «Aspetteremo un giorno - dicono - poi decideremo sul da farsi». (gi. fa.) ________________________________________________ L’Unione Sarda 05 feb. ’02 I SARDI E L’ELISIR DI LUNGA VITA Dal nostro inviato Sassari. I sardi vantano un numero di ultracentenari fra i piu’ alti del mondo. E sono in tanti, scienziati, case farmaceutiche, universitari, fors’anche qualche ciarlatano, a essersi impegnati negli ultimi anni nella ricerca delle cause di questo straordinario record. Non è sicuramente un elisir quello che consente all’isola di contare 135 centenari ogni milione di abitanti, 222 in tutto alla data dell’ultimo censimento realizzato dall’Università di Sassari. Fra i tanti studi in corso in Sardegna, l’Ateneo sassarese ha voluto, con il rettore Alessandro Maida, offrire il palcoscenico dell’inaugurazione dell’anno accademico al gruppo guidato da Luca Deiana, consigliere regionale della Margherita, qui in veste di direttore della cattedra di Biochimica clinica impegnata nel Progetto Akea(dall’augurio sardo a kent’annos). Già al lavoro dal ’96, il gruppo ha ora ottenuto dalla Regione un finanziamento di un miliardo di lire in tre anni per andare oltre il censimento. «E individuare- spiega uno dei ricercatori, Ciriaco Carru - i fattori biologici e genetici della salute e della longevità». Non basta insomma aver scoperto che negli ultimi dieci anni ben tre sardi hanno oltrepassato la soglia dei 110 anni, con Giovanni Frau di Orroli ritenuto oggi, grazie ai suoi 111 anni l’uomo piu’ vecchio d’Europa dopo la scomparsa del piu’ vecchio del mondo, Antonio Todde, morto un mese fa a Tiana sulla soglia dei 113. Nè è sufficiente aver scoperto che nelle aree montuose e isolate del Nuorese si registra una percentuale di ben 2,5 centenari ogni 10mila abitanti. In una Sardegna abitata da uomini e donne i cui geni sono radicalmente diversi da quelli di italiani ed europei c’è un altro dato che ha dell’incredibile rispetto al resto del mondo: la longevità maschile. Longevità che nelle aree interne (Barbagia, Mandrolisai, Ogliastra) fornisce dati stupefacenti: quasi un centenario per centenaria, contro un rapporto di uno a quattro nel resto del mondo. Ora i ricercatori di Akea hanno deciso di fare un salto ulteriore, cercando di capire i tanti perchè con un approccio multidisclipinare. «Sono convinto che la genetica non spieghi tutto-dice il preside di Medicina, Giulio Rosati-e dunque sottolineo l’utilità anche dei dati ambientali». Il programma, di durata pluriennale, studierà da un punto di vista clinico e biologico circa 800 individui anziani sardi con un’intervista a domicilio, un esame e un prelievo di sangue. Parallelamente verrà svolta un’indagine demografica estesa a tutti i 377 comuni della Sardegna, relativa al periodo 1980-2001 per identificare gli individui piu’ longevi. Rilevante è la presenza nell’aula magna dell’ateneo di Sassari di decine di sindaci, dei presidenti delle Province di Nuoro e Sassari, insieme all’assessore regionale alla Sanità Giorgio Oppi. Il Progetto Akea, caso ben raro in Sardegna, vede infatti schierate insieme istituzioni e amministrazioni locali, un bell’esempio di sinergia fra scienza e territori, utile soprattutto se la sanità punterà alla trascuratissima medicina preventiva. L’obiettivo della nuova fase della ricerca, oltre all’aggiornamento dei dati demografici, è la formazione di una banca dati che possa spiegare il perchè della longevità dei sardi. La grande speranza è di individuare i geni responsabili dell’invecchiamento, proprio oggi che la comunità scientifica internazionale è messa a rumore dalla notizia, pubblicata dall’Observer , della scoperta in Islanda di un unico gene, battezzato di Matusalemme, in grado di garantire non l’immortalità ma una lunga vita. «Francamente sono scettico su questa notizia-sostiene Gianni Pes, ricercatore della cattedra di Biochimica clinica-anche se è possibile ipotizzare quali responsabili dell’invecchiamento pochi geni, e non l’enorme numero al quale si pensava. In questa materia la cautela è d’obbligo. Non va trascurata una notizia fornita dai ricercatori danesi impegnati a studiare gemelli ultraottantenni: in questo caso si parla su un’incidenza del 23 per cento dei dati genetici. Ma il caso sardo potrebbe essere diverso, anche perchà parliamo di ultracentenari, e purtroppo non abbiamo gemelli sui quali indagare». Semmai c’è un numero rilevante di fratelli longevi, così come c’è un numero robusto di maschi, caso unico al mondo. E infatti gli studiosi di Akea puntano molto sullo studio del cromosoma Y, quello maschile, «dando la precedenza- precisa Luca Deiana-a loci genici specifici che potrebbero spiegare in maniera preponderante tale fenomeno». Emerge anche qualche prima scoperta, anch’essa non definitiva ma interessante. «Fra gli ultracentenari-dice ancora il dottor Pes- si registra un’incidenza superiore al 25 per cento, rispetto all’11 per cento medio dei sardi, della carenza dell’enzima G6PD. Lo stesso fenomeno che può causare il favismo potrebbe favorire la longevità». È bene procedere sempre con grande cautela, in un settore delicato anche per il gran numero di interessi in gioco: si pensi soltanto agli affari potenziali per le case farmaceutiche. Ma c’è, sul lato positivo della bilancia, il bisogno e la speranza di guarigione di tanti uomini e donne affetti da malattie genetiche come la sclerosi multipla e il diabete o da patologie tipiche della vecchiaia ( Alzheimer, arteriosclerosi, ecc.). C’è poi l’esigenza, fortissima, di un allungamento della vita accompagnato da uno stato di salute buono, o quantomeno accettabile. Ecco perchè c’è grande interesse intorno ai gruppi di studiosi che vanno verificando le cause dell’invecchiamento. Gli studi interessano in particolare l’Ogliastra, che nel corso dei secoli ha avuto scarsi scambi migratori con altre comunità, e rappresenta perciò una sorta di laboratorio a cielo aperto, scelto dal professor Antonio Cao non soltanto per un omaggio al dottor Giuseppe Pilia, nato a Lanusei e direttore scientifico dell’operazione Progenia. Nella stessa area si lavora per costruire il Parco genetico voluto dal Cnr di Alghero (il dottor Mario Pirastu) e da Renato Soru, fondatore di Tiscali, insieme fra gli altri ai medici Giorgio e Marco Pisu, proprietari della clinica Tomasini di Jerzu. Studia il genoma dei sardi, con l’ipotesi di costruire una Dna-teca, il genetista Licinio Contu, che gode di finanziamenti regionali, mentre gli studi in corso in Ogliastra sono finanziati da privati o, nel caso di Progenia , dell’intervento del ministero della salute degli Stati uniti. Tutti insieme cercano di capire il segreto della lunga vita, consci che forse la soluzione non è così semplice come la racconta l’Observer citando l’esperienza islandese. Ma certo l’idea che un solo gene possa allungare la vita è attraente. Sarebbe bello che i duecento ultracentenari sardi regalassero a tutti un segreto così prezioso, così irraggiungibile. Giancarlo Ghirra ________________________________________________ Corriere della Sera 05 feb. ’02 «IL 13% DELLE ALLIEVE MOLESTATE IN FACOLTÀ» Lazzaro Claudio ROMA - Sesso, esami e videotape. Dopo lo scandalo scoppiato all' Università di Camerino, dove un professore sessantacinquenne filmava i suoi amplessi con le allieve, arriva una ricerca sul campo a mostrare quanto sia diffusa nel mondo accademico la p ratica delle molestie sessuali e delle proposte indecenti. Il portale www.universinet.it, che pubblica anche un magazine mensile, ha distribuito 3.000 questionari in diverse università italiane: 1.870 sono stati compilati (1.050 ragazzi e 820 ragazze , età media 18-19 anni). I risultati sono pubblicati sul numero di Universinet in uscita oggi. Primo dato interessante: il 63,28% delle studentesse universitarie ritiene di aver subito una molestia sessuale (contro il 25,71% dei maschi). Tra le femmi ne, il 13,54% dice di avere subito le molestie nell' ateneo (tra i maschi la percentuale scende al 9,6%). Che cosa s' intende per molestia sessuale? Per il 53,33% dei maschi e per il 58,82% delle femmine si tratta di un approccio fisico indesiderato. Ma, per il 20,48% dei maschi e il 16,47% delle femmine, la molestia sessuale è anche «una pressione o un ricatto psicologico». Ancora piu’ interessante il dato che quantifica la disponibilità degli studenti a subire il ricatto: per passare un esame u niversitario, il 24,6% delle femmine (ma solo il 8,25% dei maschi), è disposto ad accettare la proposta indecente del cattedratico. Una disponibilità che sale al 39% nelle femmine (e al 48% nei maschi), se il professore o la professoressa incontrano i gusti dei ricattati, cioè se piacciono. Il fronte etico, lo zoccolo duro di quelli che non si vendono, che dicono no indipendentemente dalla gradevolezza del docente, è costituito da un 43% di uomini e da un 36% di donne. Ma sono molti (il 60,5% de gli uomini e il 43% delle donne), a ritenere che il ricatto sessuale sia estremamente diffuso all' interno dell' Università. Tutti gli studenti interpellati, infine, ritengono che la molestia sessuale debba essere punita: il 56% delle femmine e il 33 % dei maschi con il carcere. C. Laz. ________________________________________________ La Nuova Sardegna 07 feb. ’02 ERSU: GODOT-UNIVERSITY PER GLI STUDENTI Un servizio interattivo internet promosso dall'Ersu Antonella Loi CAGLIARI. È dal binomio "nuove tecnologie-cultura" che nasce una nuova iniziativa dell'Ersu (Ente regionale per il iritto allo studio universitario) rivolta agli studenti dell'ateneo di Cagliari. "Godot-University" è un servizio on line di informazione culturale e di spettacolo «ma con un'occasione in piu’ - precisa l'editore Marco Fresi - la possibilità per gli studenti di avvicinarsi al mondo della cultura e di Internet, in maniera attiva». Tema centrale di Godot-News è l'informazione sulle attività culturali e di spettacolo promosse dall'Ente e dell'Università, facilmente consultabili grazie ad un pratico motore di ricerca interno, a cui si aggiunge lo spazio riservato alle associazioni studentesche, molto numerose a Cagliari, alle quali è dedicata un'intera sezione che funge da vetrina. Tra le pagine del sito è possibile, inoltre, per chiunque scrivere un commento su teatro, musica, arte, cinema e vederlo automaticamente pubblicato nella sezione "Recensioni". Ma non solo. Il fiore all'occhiello, su cui l'Ersu conta molto, è una bacheca virtuale dedicata al cerco e offro, attraverso cui mettersi in contatto con colleghi e colleghe, cercare libri, appunti, casa e così via. Inoltre la chat-line, le news-letter, i link alle facoltà universitarie e, soprattutto, il forum su argomenti proposti dagli stessi studenti, mirano a creare momenti essenziali di dialogo e confronto. «Abbiamo risposto ad un'esigenza dei ragazzi di avere spazi su Internet», ha commentato Antioco Floris, responsabile del settore culturale dell'Ente. Dopo un avvio un pò lento, legato forse ad un'inadeguata pubblicizzazione, Godot-University si propone oggi agli studenti cagliaritani come occasione di incontro e scambio in un mondo, quale Internet, sempre piu’ ambito dai giovani. Al sito si accede tramite: www.godotnews.com e www.spettacolosardegna.com. ________________________________________________ Corriere della Sera 06 feb. ’02 DIPENDENTI PUBBLICI, AUMENTI DA 100 EURO Berlusconi: spero nel disgelo con i sindacati. Pezzotta: accordo utile per il confronto su altri temi Marro Enrico ROMA - «Sono soddisfatto, mi sembra che sia andata molto bene». Silvio Berlusconi tira un sospiro di sollievo e spera nel «disgelo» con i sindacati. L' accordo sul rinnovo dei contratti del pubblico impiego raggiunto lunedì notte evita lo sciopero generale e la grande manifestazione che Cgil, Cisl e Uil avevano in programma per il 15 febbraio (resta in piedi quella proclamata dalle Rappresentanze sindacali di base). E apre nuove prospettive di dialogo sui licenziamenti e le pensioni. Anche con l a Cgil? «Me lo auguro», ha risposto ieri il presidente del Consiglio ai giornalisti. Sono soddisfatte anche Cgil, Cisl e Uil. Portano a casa un accordo in 12 punti, sottoscritto dal vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini, che prevede un aumento medio delle retribuzioni del 5,56% per il biennio 2002-2003, contro una richiesta del 6%. In pratica, spiegano i sindacati, i circa tre milioni e mezzo di dipendenti pubblici riceveranno un incremento fra le 195 e le 200 mila lire al mese (100- 103 e uro), secondo i comparti. Il personale della scuola prenderà di piu’: 211 mila lire, circa 109 euro. I sindacati possono quindi sostenere di aver portato a casa quasi l' intera posta. «È la prova che quando il sindacato è unito e determinato il governo è costretto a fare marcia indietro», dice il vicesegretario della Cgil, Guglielmo Epifani. Ma anche il governo può vantare alcuni risultati positivi. Non solo ha evitato la spallata del 15 febbraio (i sindacati puntavano a portare in piazza almeno mezzo milione di persone), ma ha anche ottenuto, spiega il ministro della Funzione pubblica Franco Frattini, che gli aumenti «non vengano dati a pioggia», cioè a tutti, ma come premio per la produttività e l' efficienza dei servizi. Il punto 11 dell' accordo stabilisce infatti che «le risorse aggiuntive», cioè il punto in piu’ di aumenti (rispetto a quelli già previsti dalla Finanziaria) che i sindacati hanno ottenuto con l' ultima notte di trattativa (circa 700 milioni di euro), «dovranno in ogni caso essere prevalentemente destinate alla incentivazione della produttività dei dipendenti». Un' affermazione che aprirebbe margini di manovra, se non fosse limitata da quella del punto 2, dove si dice che le risorse per la produttività verranno gestite «con i criteri definiti dai contratti nazionali di lavoro». Il governo, cioè, dovrà trattare ancora su questa parte, come spiega Antonio Foccillo (Uil). L' accordo, infatti, è solo la premessa dei passi concreti che porteranno ai singoli contratti di settore (statali, enti locali, scuola, sanità, eccetera): la direttiva del governo all' Aran (agenzia per la contrattazione), la trattativa e gli accordi. Un processo che richiederà diversi mesi. E che qualche problema potrebbe riaprirsi è testimoniato dal botta e risposta tra lo stesso Epifani e il ministro dell' Economia, Giulio Tremonti. I soldi in piu’ previsti dall' accordo saranno trovati con la «prossima finanziaria» dice Tremonti. E lo conferma il Ragioniere generale, Andrea Monorchio, che definisce anche «non strabiliante» l' onere aggiuntivo per i conti pubblici, quantificandolo in 600 milioni di euro, un pò meno della stima sindacale. «Occorre certezza nelle risorse e nella decorrenza, altrimenti vuol dire che si tratta d i un governo bugiardo», avverte Epifani. «Non commento», ribatte Tremonti e poi aggiunge che le risorse saranno trovate «in corso d' anno». Da Cisl e Uil arrivano invece messaggi distensivi. «Questo accordo cambierà in meglio i rapporti tra governo e sindacati e può aprire una nuova fase di dialogo», dice il leader della Uil, Luigi Angeletti. E quello della Cisl, Savino Pezzotta, gli fa eco: «È un' intesa che, pur riguardando esclusivamente il pubblico impiego, può essere utile nel confronto col governo su altri temi». E il ministro del Lavoro, Roberto Maroni, va oltre: «Spero che entro pochi giorni si possa riprendere il dialogo». Ma Epifani ribadisce: prima il governo ritiri le modifiche all' articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (licenziamenti). Spera in un clima migliore anche il presidente della Confindustria, Antonio D' Amato, pur sottolineando l' onerosità dell' accordo: «Si sta dimostrando - ha detto parlando alla Luiss - che sedendosi attorno a un tavolo si possono ottenere risultati positivi. Spero che anche la Cgil sappia cogliere questo momento». Enrico Marro L' intesa punto per punto Busta paga Nel biennio 2002-2003 aumenti del 5,6% Il governo si impegna ad assicurare le risorse finanziarie per aumentare le retribuzioni dei dipendenti pubblici in media del 5,56% nel biennio 2002-2003. Rispetto a quanto già previsto dalla Finanziaria si tratta di altri 600 milioni di euro circa. Che verranno destinati, dice l' accordo, «prevalentemente all' incentivazione della produttività dei dipendenti». Previdenza Le liquidazioni nei fondi pensione Verrà sbloccato il Tfr (trattamento di fine rapporto) anche per i dipendenti pubblici che aderiranno ai fondi pensione integrativi. E sarà gradualmente abolito il divieto di cumulo tra pensione e reddito da lavoro, come previsto per i dipendenti privati dal disegno di legge delega di riforma presentato dal governo (che proporrà quindi alcuni emendamenti). Spoil System Nuove regole anche sui dirigenti Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, emanerà una direttiva ai ministri per raccomandare che non si adottino provvedimenti di legge su materie riservate alla contrattazione. Inoltre, verrà modificato il disegno di legge sulla dirigenza statale, stabilendo che «gli inquadramenti del personale sono di competenza della contrattazione». Verranno anche valutate correzioni al meccanismo dello Spoil System, per attenuarlo. Contrattazione Arriva l' autonomia per le intese locali Il governo presenterà un emendamento a uno dei disegni di legge collegati alla Finanziaria per garantire l' autonomia della contrattazione decentrata. Per evitare cioè che gli impegni presi dagli enti locali per gli aumenti retributivi di secondo livello vengano poi annullati dal governo centrale perchè troppo onerosi. Di questi incrementi saranno infatti «responsabili le singole amministrazioni». Numeri Dai ministeri alla scuola 3,5 milioni di statali L' accordo interessa circa tre milioni e mezzo di dipendenti pubblici dei vari comparti (ministeri, enti locali, sanità, scuola, ricerca, università, agenzie fiscali, aziende autonome). L' aumento medio mensile a regime sarà di circa 100 euro. Un pò di piu’ per la scuola: circa 109 euro. Dopo l' intesa, il governo emanerà la direttiva all' Aran (agenzia per la contrattazione) e poi partiranno le trattative di settore. le parole Giulio Tremonti ministro dell' Economia «Cambiano le tecniche, si esce dai meccanismi di concertazione di prima generazione». Le risorse per il pubblico impiego? Saranno reperite «in corso d' anno». Roberto Maroni ministro del Welfare «Spero che entro pochi giorni possa riprendere il dialogo sulle questioni ancora aperte, a partire dalla riforma del mercato del lavoro, con le modifiche all' articolo 18 e la norma sul taglio dei contributi previdenziali» Antonio D' Amato presidente di Confindustria «Il contratto è abbastanza oneroso. Mi auguro che lo Stato sappia trovare le giuste contropartite in termini di recupero di produttività. Dimostra, però, che sedere intorno a un tavolo per trattare paga» Franco Bassanini ex ministro Funzione Pubblica «L' intesa legittima una valutazione largamente positiva, anche per la parte normativa. Il sindacato ha ottenuto buona parte di ciò che l' opposizione di centrosinistra aveva invano proposto» ========================================================= ________________________________________________ Il Sole24Ore 09 feb. ’02 MEDICI SPACCATI SULLA RIFORMA Sei sigle contro Sirchia, altre tre accusano i colleghi Roberto Turno ROMA - Pronti allo sciopero. Pronti addirittura a «sfiduciare» il ministro. E a chiedere la mediazione della presidenza del Consiglio, come appena accaduto con la vertenza del pubblico impiego. Ma pronti anche a far muro contro le Regioni, soprattutto se i "governatori" volessero intromettersi in aspetti puramente contrattuali. Il magma del pianeta medici torna ad agitarsi. E a spaccarsi. A dare l'altolà alla riforma della dirigenza sanitaria annunciata da Girolamo Sirchia e ancora in piena evoluzione ci ha pensato ieri l'«intersindacale medica», un fronte che raggruppa il 60% della categoria (Anaao, Fesmed, Umsped, Cgil, Civemp, Snabi). Un altolà che è stato però denunciato dall'altra (quasi) metà del cielo dei camici bianchi (Anpo, Cimo, Cisl): solo posizioni «di retroguardia con chiari intendimenti politici di opposizione pregiudiziale», hanno ribattuto ai colleghi contestatori. Un'accusa fatta propria dal ministro della Salute: che in un comunicato ha condannato i «pregiudizi» e «gli evidenti tentativi di strumentalizzare i pazienti per motivi esclusivamente politici e di categoria», a dispetto dell'obiettivo di «valorizzare la professionalità della classe medica» e di garantire qualità e tempestività di prestazioni ai cittadini. È con questo retroterra, e con animi non esattamente idilliaci, che si prepara l'incontro, convocato per martedì, tra il ministro della Salute e tutte le organizzazioni sindacali dei medici. Oggetto: proprio i contenuti di quella bozza di Ddl (che sarà pubblicata sul n. 6 del settimanale «Il Sole-24 Ore Sanità») oggetto della discordia. Un incontro cui seguirà, forse già mercoledì, anche una riunione di Sirchia con gli assessori. Che d'altra parte, come anticipato ieri, sono pronti a chiedere al Governo di circoscrivere il testo della riforma ai soli principi, lasciando il "dettaglio" alla contrattazione ma anche alla legislazione regionale. Il fronte del «no». I «no» alla riforma (si veda la scheda qui a fianco) sono praticamente totali: disciplina di esclusività e intramoenia "fuori contratto", medici esterni "a ore", neo assunti con contratti "a termine", nuova disciplina previdenziale. E naturalmente «no» alla modifica dello stato giuridico dei medici dipendenti. Se su questi argomenti martedì il ministro non dovesse fare retromarcia - questa la minaccia - scatterà la vertenza con assemblee e manifestazioni, fino ad arrivare allo sciopero. I rischi? La creazione di sacche di precariato, lo scardinamento della continuità assistenziale, lo strapotere sempre maggiore dei direttori generali, la perdita del potere sia contrattuale che di stipendio, la minore qualità dell'assistenza ai cittadini. E lo smantellamento del servizio pubblico. Ma ampie «perplessità» suscitano anche le posizioni regionali, sia nel metodo (la mancata concertazione con la categoria) che nel merito (l'accoglimento dell'introduzione dei rapporti libero professionali e anche il "fai da te" legislativo regionale). Non «svolgiamo un'azione politica antigovernativa», hanno messo le mani avanti. Ma rilanciando: vogliamo partecipare a un tavolo comune con Governo e Regioni «per affrontare nella loro globalità i problemi generali della Sanità». E quanto al prossimo contratto, va seguita la linea del protocollo d'intesa del 6 febbraio tra Governo e sindacati confederali che ricalca l'accordo del luglio 1993 sul costo del lavoro. E come avvenuto in occasione della vertenza del pubblico impiego con l'intervento decisivo di Palazzo Chigi, «altrettanto si può e si deve fare» per il comparto sanitario. Perentoria la conclusione: «Arriveremo fino a delegittimare il ministro della Salute». Il fronte del «sì». Non dice esattamente «sì» alla riforma allo studio l'altra fetta dei sindacati medici. Ma senz'altro sembra condividere le linee portanti che la caratterizzano, soprattutto perchè interpretata come superamento dell'odiata "legge Bindi". Durissime sono però le reazioni nei confronti del "fronte del no". Cimo, Anpo (primari) e Cisl non hanno infatti perso tempo a dissociarsi da «iniziative tese alla conservazione dell'attuale sistema sanitario burocratico e corporativo» e a invitare il popolo dei camici bianchi «a mobilitarsi contro la disinformazione e il tentativo di egemonizzare la categoria si temi di retroguardia» da parte di chi ha solo fini «politici di opposizione pregiudiziale». Medici-contro a tutto campo, insomma. Altro che ferri corti. Un preludio rovente in vista del vertice di martedì 12 col ministro della Salute. ________________________________________________ L’Unione Sarda 10 feb. ’02 «SALVIAMO IL POLICLINICO UNIVERSITARIO» Sanità. Denuncia del patologo Pani sullo stato di abbandono dell’ ospedale di Monserrato inaugurato due anni fa Non esistono ancora il pronto soccorso, la dialisi e la rianimazione «Salviamo il Policlinico universitario. Da quando l’hanno aperto è rimasto a metà, chi ci lavora non sa che futuro lo aspetta. Una situazione insostenibile, dietro la quale ci sono molte responsabilità». La denuncia arriva da Paolo Pani, docente di Patologia generale all’università. È preoccupato il professore. Il grande ospedale di Monserrato, costato 95 miliardi, ha aperto i battenti nel marzo del 2000. Giusto due anni fa. Da allora, attende ancora di essere completato. Ospita dieci reparti, ma ne mancano altri, fondamentali, come la Rianimazione. E le sale chirurgiche, con le attrezzature nuove fiammanti, sono desolatamente vuote. Persino arrivarci è un’avventura, attraverso un dedalo di strade e semafori tra Sestu e Cagliari. Professor Pani, come mai questo appello? «Perchè, a due anni dall’inaugurazione, il Policlinico non è ancora autosufficiente, non ha un’identità. Questo non avverrà sino a quando non ospiterà tutti i reparti universitari che ancora non vi sono stati trasferiti». Cosa manca oggi? «I reparti fondamentali. In primo luogo la Rianimazione, quando c’è un’emergenza, bisogna trasportare i pazienti al Brotzu, con tutte le difficoltà che questo comporta. C’è la Medicina, ma non i servizi essenziali di supporto, come la dialisi, e pure le sale chirurgiche sono inutilizzate. Non esiste un pronto soccorso». Cosa c’è dietro queste carenze? Lei ha parlato di responsabilità. «In qualche misura sono della facoltà di Medicina, ma non solo. La facoltà ha protetto gli accademici, ha tutelato le carriere ma non ha saputo guardare oltre». Questo all’interno: e all’esterno dell’università? «Credo sia rimasto emarginato rispetto ai grandi interessi: la medicina privata e il Brotzu. Non ha una lobby che lo difenda, è una sorta di terra di nessuno». In che modo la sanità privata può influire sulla vita del Policlinico? «Diciamo che sa fare bene i suoi affari. Però se a Cagliari funzionassero a pieno ritmo il Policlinico e il Brotzu, per i privati rimarrebbero pochi spazi». Che c’entra il Brotzu? «L’ho citato solo perchè ha punti di riferimento, anche politici, molto forti. E ha una sua organizzazione di riferimento che non vedo invece nel Policlinico». Forse perchè è nato fuori tempo massimo. «Io, a suo tempo, sono stato uno degli oppositori del Policlinico». Ma perchè è stato costruito? «Per accontentare gli accademici e dare loro lustro. Oggi comunque rappresenta una scelta irreversibile e io mi batto perchè sia realizzato nel migliore dei modi». Dove trovare le risorse perchè possa funzionare al meglio? «Mi dicono che ci sono risorse finanziarie sufficienti, sia della Regione che dell’università. Ma non è solo una questione di mezzi finanziari. Dietro questa situazione di impasse ci sono ritardi a livello burocratico». La Regione sostiene il Policlinico? «Mi sembra che la Regione sia orientata verso un tipo di ricerca a livello internazionale sulla quale nutro qualche perplessità. Mi riferisco a certe iniziative sulla genetica». Come queste scelte possono influire sul destino del Policlinico? «Rappresentano una direzione culturale ben precisa rispetto a una sanità del territorio». Forse Cagliari non sente suo il complesso di Monserrato. «Infatti, lo considera una sorta di corpo estraneo, o quantomeno separato. Non c’è un rapporto organico tra Cagliari e l’università e ancora meno tra Cagliari e il Policlinico». Forse perchè ci sono anche problemi di collegamento. «È la città, nel suo complesso, che dovrebbe farsi carico di colmare la distanza, non possiamo aspettare che lo facciano gli speculatori». Insomma, il Policlinico rischia di restare isolato. «È ciò che pensa molta gente. Cosa si è fatto, sinora, per avvicinare il Policlinico a Cagliari, per integrarlo?». Il mancato completamento non dipenderà dal fatto che proprio alcuni universitari non ci credano sino in fondo? «È vero. Tutti aspettano gli eventi e si trasferiscono solo quando torna loro comodo. Hanno paura di trovarsi isolati. Questa è una precisa responsabilità». La cittadella universitaria non sembra però accusare gli stessi disagi del Policlinico. «Infatti l’università a Monserrato vive bene, il Policlinico no. E si deve ringraziare il rettore Mistretta per come ha sistemato le facoltà di scienze». Cosa si può fare per fare uscire il Policlinico da questa situazione di stallo? «Accorpare tutti i reparti e sanare quelli che io chiamo i buchi neri. Infine procedere alla convenzione con la sanità pubblica». Ma se esiste il Policlinico, ha un senso che ci siano reparti universitari negli ospedali della Asl? «Credo che bisogna assolutamente trasferire a Monserrato tutti gli universitari impegnati negli ospedali». Lucio Salis ________________________________________________ L’Unione Sarda 03 feb. ’02 LA SANITÀ PRIVATA BOCCHEGGIA TARIFFE DA ADEGUARE Sos dei sindacati alla Regione Tariffe da adeguare «A rischio il posto di 2 mila lavoratori» La sanità privata boccheggia e chiede l’intervento della Regione. L’ennesimo grido d’allarme arriva dal coordinamento regionale Sanità privata della Uil-Fpl che lamenta lo scarso interesse per un settore bersagliato da gravi problemi di carattere gestionale e finanziario. Una delle questioni ancora irrisolte è il mancato adeguamento delle tariffe delle prestazioni erogate agli utenti in regime di ricovero ordinario e day ospital (Drg) che, godendo della libertà di scelta, si rivolgono a quelle strutture che garantiscono maggiore professionalità, tempi di attesa piu’ brevi e strutture piu’ confortevoli. «I tariffari sono fermi al 1994», avverte Guido Sarritzu, coordinatore regionale Uil-Fpl: «Se non verranno adeguati, potrebbero essere messi a rischio duemila posti di lavoro».In una nota al ventriolo, la Uil-Fpl sottolinea che ancora non è stato preso nessun provvedimento nonostante un decreto ministeriale del ’94 preveda un aggiornamento triennale in grado di far fronte a innovazioni tecnologiche, variazione dei costi delle prestazioni, aumenti Istat e costi per i rinnovi contrattuali. «L’azione di governo della Giunta regionale si mantiene su livelli di mediocrità», accusa Sarritzu, «si doveva innescare quel cambiamento reale auspicato dalle forze sociali con la ripresa della concertazione». Emiliano Farina ________________________________________________ L’Unione Sarda 08 feb. ’02 SPORT: SOS DEL CONI ALLA REGIONE PER LE VISITE MEDICHE Il presidente Pisano contesta le nuove disposizioni Visite mediche a pagamento Sos del Coni alla Regione Il Coni si mobilita per stoppare le nuove disposizioni che impongono agli sportivi visite mediche a pagamento. Il presidente del comitato provinciale Giorgio Pisano fa un appello agli assessorati regionali alla Sanità e allo Sport perchè «possano di concerto trovare il modo di superare i vincoli di una disposizione che, per modesti vantaggi sul piano economico, rischia di avere ben piu’ pesanti e preoccupanti risvolti negativi sotto l’aspetto sociale e di tutela della salute». Pisano ha scritto una lettera che interpreta i disagi chi fa attività sportiva. «A parere del Coni Ñ scrive il presidente Ñ questo fatto rappresenta un ulteriore colpo alla diffusione e alla pratica dello sport dilettantistico e di base, ai danni delle società, soprattutto delle zone economicamente piu’ disagiate, e va ad aggiungersi alle altre permanenti condizioni di disincentivazione dell’attività fisica». La protesta segue il recente accordo tra Regioni e Governo sui livelli essenziali dell’assistenza sanitaria, pubblicato qualche settimana fa nella Gazzetta ufficiale. Prevede che le certificazioni di idoneità all’attività sportiva siano a carico degli interessati perchè escluse dai cosiddetti livelli essenziali di assistenza. Queste disposizioni Ñ spiega Pisano Ñ valgono anche per i minorenni. «Occorre Ñ dice il presidente del Coni nuorese Ñ che il mondo dello sport e della politica, provinciale e regionale, si mobilitino per trovare correttivi urgenti e tempestivi». ________________________________________________ L’Unione Sarda 04 feb. ’02 DOCENTI DI MEDICINA ROMANI APPOGGIANO LE PAROLE DEL PAPA «L’embrione come paziente» è il titolo della dichiarazione sottoscritta dai docenti di medicina e chirurgia di cinque atenei romani che è stata ricordata ieri dal Papa nel chiedere la tutela giuridica dell’embrione umano. Il documento a favore della dignità umana e scientifica dell’embrione, frutto di un convegno di studi svoltosi presso l’università la Sapienza, è stato firmato da dodici professori, tra cui Adriano Bompiani, Pierluigi Benedetti Pacini e Bruno Dallapiccola. Il testo si articola in quattro punti analitici che si concludono con 5 impegni: curare l’embrione ispirandosi agli stessi principi etico- deontologici propri di ogni altro intervento sanitario, garantendo in tal modo la stessa dignità dovuta ad ogni paziente e le condizioni umane per crescere e svilupparsi; diffondere nella cultura scientifica e sanitaria le esigenze della vita embrionale, come conquiste della ricerca e patrimonio di tutta l’umanità; sensibilizzare i responsabili della sanità pubblica a creare le strutture sanitarie necessarie a favorire un ambiente idoneo allo sviluppo dell’embrione, a cominciare dalla assistenza adeguata alla madre e alle dinamiche materno- embrionali; rilanciare l’insegnamento dell’embriologia come momento di particolare rilevanza formativa; favorire ricerche interdisciplinari coinvolgendo tutte le componenti della società in modo che l’embrione sia conosciuto e accolto nella sua inviolabile dignità; vigilare sulla divulgazione delle informazioni che hanno come riferimento l’embrione e il feto. I punti analitici partono dalla constatazione del fatto che la scienza ha «confermato l’evidenza che l’embrione-feto è un vero e proprio soggetto». Dopo il discorso del Papa, è intervenuto il ginecologo Severino Antinori il quale ha criticato l’ingerenza della Chiesa nei confronti dello Stato. Assieme agli altri componenti dell’associazione mondiale per la riproduzione assistita (Warm) ha ricordato che l’embrione si definisce tale dopo 14 giorni e che prima di tale periodo si deve parlare di cellule staminali. ________________________________________________ Il Messaggero 06 feb. ’02 MEDICI SPECIALIZZANDI: INCHIESTA SUL TIROCINIO Alcuni specializzandi l’avrebbero svolto al di fuori delle strutture universitarie Medici specializzandi in varie branche che si erano aggiudicati borse di studio assegnate dalle tre università romane (ed erano perciò vincolati alla sola attività e retribuzione universitaria) avrebbero invece lavorato, dietro compenso, per strutture pubbliche o private lasciando anche traccia della loro presenza. Nelle cliniche, infatti, sarebbero state trovate fatture che documentavano i loro pagamenti. L'indagine dei carabinieri del Nas (Gruppo antisofisticazione Sanità), avviata alla fine del 1998 sulla base di una segnalazione e tuttora in corso, coinvolgerebbe un centinaio di medici specializzandi persone. Durante i sopralluoghi gli investigatori hanno acquisito documentazione che riguarda le borse di studio e l'impegno degli specializzandi a non esercitare attività privata: carte che testimoniano la qualifica dei giovani medici e altre che accertano le prestazioni lavorative al di fuori dell'università. Questo ultimo aspetto sarebbe stato accertato anche con sopralluoghi dei carabinieri che hanno trovato gli specializzandi sul posto di lavoro o inseriti nei turni delle strutture sanitarie. Al momento, non state formulate ipotesi di reato e, a quanto si è appreso, gli investigatori compiranno ulteriori accertamenti. Gli specializzandi trovati a lavorare nelle strutture rischiano la sospensione della borsa di studio, ma per il momento non è stata formulata alcuna ipotesi di reato. ________________________________________________ Il Sole24Ore 04 feb. ’02 ASL: DUE SU TRE SONO IN DEFICIT Secondo la ricerca voluta dal ministero per l'Economia solo 94 su 292 aziende sanitarie e ospedaliere hanno bilanci in utile o pareggioDue Roberto Turno Cinquanta tra Asl e ospedali-azienda su un totale di 292 che, da sole, hanno accumulato il 62% del deficit sanitario totale. Le aziende sanitarie di Campania e Lazio - con Napoli e Roma in testa a tutte le città - che detengono 14 dei peggiori venti risultati di bilancio. Il Centro-Sud, da Roma alla Sicilia, che occupa i posti piu’ bassi della graduatoria nazionale. Ma anche Asl e ospedali in attivo, o comunque con bilanci vicini al pareggio: 42 aziende (20 ospedali, 22 Asl) hanno registrato utili superiori a 516mila € (1 mld di lire) e che raggiungono i 31,5 mln € (61 mld di lire) nella Asl «Roma C», e altre 52 (27 Asl e 25 ospedali) in sostanziale pareggio. Nel complesso, dunque, 94 aziende sanitarie "virtuose": il 32% dell'universo delle strutture del Servizio sanitario pubblico. La fotografia potrebbe apparire datata: risale al 1998. E da quel momento in poi, tanta acqua è certamente passata, e altra ancora ne passerà, sotto i ponti dei deficit sanitari. Qualche azienda ha migliorato le sue performance, altre invece le hanno magari peggiorate. Ma i risultati di consuntivo del 1998 - gli unici oggi disponibili e che per la prima volta in assoluto sono suddivisi struttura per struttura - rappresentano un check decisivo per comprendere e cercare di analizzare le dinamiche della spesa sanitaria locale. E, non a caso, l'analisi arriva da uno studio, appena diffuso, realizzato da «Saniteia» per la Commissione tecnica per la spesa pubblica del ministero dell'Economia. Cifre e classifiche sono naturalmente da "maneggiare" con massima cautela. Nello sfondo dei disavanzi ci può essere la sottostima dell'assegnazione dei fondi. Come, del resto, ciascuna azienda può avanzare le proprie specificità: le caratteristiche epidemiologiche o quelle della popolazione di riferimento, l'offerta maggiore o di piu’ elevata qualità di determinati servizi, la diversità della domanda, le tariffe, la presenza di ospedali nelle Asl. Resta, tuttavia, la nitidezza di una "foto di gruppo" che testimonia ampiamente dell'estrema variabilità di gestione anche all'interno delle singole Regioni e del fortissimo gap Nord-Sud. Tutti fattori che avranno riflessi profondi nell'epoca del federalismo incalzante. I dati. In base ai risultati della ricerca su 292 aziende sanitarie, una su tre (94) hanno chiuso il bilancio in utile (o in pareggio) e 198 in perdita. L'utile realizzato è stato di 127,56 milioni € da parte delle Asl (l'1,1% del valore della loro produzione) e di 54,23 milioni € da parte delle aziende ospedaliere (1,0%). Il deficit complessivo è stato di 2,99 mld € per le Asl (6,8%) e di 459,65 milioni € per le aziende ospedaliere (5,7%), con un'incidenza percentuale sostanzialmente simile tra le due tipologie di aziende. Tra le aziende in utile vi sono soprattutto quelle ospedaliere, piu’ "abili" a raggiungere il pareggio o l'utile di bilancio (41 contro 37 Asl), che vantano anche un valore economico di produzione percentualmente maggiore (5,40 mld €, pari al 40% di tutte le aziende), rispetto alle Asl (11,67 mld €, pari al 20%). Dal punto di vista territoriale, le Regioni con il maggior numero di aziende in utile nel 1998 sono state la Lombardia (26), la Sicilia (8), la Puglia e la Calabria (6 ciascuna), la Liguria e la Campania (entrambe 5). Asl e ospedali a confronto. In linea generale, a esibire i costi piu’ pesanti - per complessivi 2,99 mld € di “perdite” - sono le Asl. Il motivo c'è. Ben 20 hanno affrontato nel 1998 spese superiori a 516 milioni €: prima in classifica è Napoli 1 (1,95 mld €), seguono Roma C e Città di Milano (1,31 mld € entrambi). Costi che vanno ovviamente rapportati alle dimensioni del bacino d'utenza: si tratta di Asl che comprendono una grande città o un'intera provincia. All'estremo opposto gli “spiccioli” spesi dalle Asl dell'Alto Molise (21,17 mln €) e Lanusei (con 45,45 mln €). Altrettanto variabili i bilanci e i disavanzi delle aziende ospedaliere: in testa il S. Camillo-Forlanini di Roma (393,54 mln €), il Cardarelli di Napoli (348,09 mln €), gli Spedali Civili di Brescia (347,58 mln €) e il S. Giovanni- Molinette di Torino (336,21 mln €). Nell'insieme, 6 Ao esibiscono un bilancio superiore a 309,87 mln €, mentre sono una decina quelle che non toccano i 51,65 milioni €. Una sola azienda presenta un deficit superiore a 51,65 mln € (Ospedale S. Filippo Neri di Roma con -60,43 mln €) e altre 4 un deficit compreso tra 25,82 e 51,65 mln €, di cui 2 a Torino (S. Giovanni-Molinette e Oirm S. Anna) e 2 a Roma (S. Camillo-Forlanini e S.Giovanni). Utili o avanzi di gestione consistenti, infine, in 7 aziende che hanno chiuso i conti 1998 con avanzi superiori a 5,16 mln € . Virtuosismi che - per quanto riguarda gli ospedali - vedono in pista 4 nosocomi lombardi con gli utili superiori ai 5,16 mln €, mentre in altri 16 si rilevano avanzi compresi tra 516.456,90 € e 5,16 mln €. Sara Todaro ________________________________________________ L’Unione Sarda 07 feb. ’02 OPPI:PRESTO A SASSARI UN CENTRO PER I TRAPIANTI DI FEGATO L’assessore Oppi «Presto in città un centro per i trapianti di fegato» L’assessore regionale alla Sanità Giorgio Oppi ha annunciato la prossima apertura di un importante centro di chirurgia epatica a Sassari. Oppi ha chiarito di aver già richiesto la disponibilità di locali, posti letto, sale operatorie e professionalità all’Azienda sanitaria locale. Si tratterebbe di una struttura all’avanguardia in grado di svolgere almeno quindici trapianti di fegato all’anno, scongiurando i viaggi della speranza di molti pazienti sardi costretti a recarsi nella penisola. Il centro dovrebbe essere gestito in sinergia (caso raro in Sardegna) da Asl e università. ________________________________________________ L’Unione Sarda 08 feb. ’02 UN POLICLINICO IRRAGGIUNGIBILE Come non si sviluppa una città Vi chiedo di poter usufruire di un piccolo spazio sul giornale per esporre un problema a cui vanno incontro migliaia di persone che tutti i giorni devono andare alla cittadella universitaria e al Policlinico Universitario di Monserrato. Chi scrive è un medico ricercatore del Policlinico Universitario che lavora nel presidio di Monserrato da circa un anno. Per prima cosa mi chiedo chi ha avuto l’idea di costruire una cittadella di studio e un policlinico in un posto sperduto come quello. Certamente il paesaggio è bucolico, ma intorno c’è il deserto. Ma quello potrebbe essere il problema minore! È possibile che un povero paziente, non munito di auto (già sembrerà strano, ma c’è tantissima gente che non si può permettere un’automobile!), che viene da un qualsiasi paese del Campidano, deve fare tappa a Cagliari e poi sciropparsi quasi un’ora di autobus per raggiungere il Policlinico? Certo, perchè il numero 8 che parte da Piazza Matteotti, fa tutto il giro di Monserrato prima di arrivare a destinazione. Praticamente per una visita di mezz’ora, il povero malcapitato ci perde sicuramente tutta la mattina o tutto il pomeriggio, sempre che riesca a trovare le coincidenze giuste. Pensate ai vecchietti, ai disabili, a chi a problemi di deambulazione! Non di meno è rosea la situazione per chi decide di arrivare al Policlinico in auto. Tutti conosciamo la situazione della 554. Un disastro! Chi passa per la 554 deve fare conto di sorbirsi una fila dietro all’altra. Ma il malcapitato utente che ci sceglie rimane fregato quando lascia il Policlinico. Infatti suo malgrado deve cimentarsi con una fila infernale che, piu’ o meno lunga, separa il complesso universitario dal bivio della 554. È possibile che non si possano risolvere questi problemi? Di chi sono le responsabilità? A chi un semplice cittadino deve rivolgersi per avere informazioni? Io ovviamente continuo a lavorare nel mio bel Policlinico bucolico e per l’occasione mi sono comprato un scooter. Infatti non ho piu’ voglia di farmi il fegato marcio per il menefreghismo di chi dovrebbe risolvere i problemi reali dei cittadini, ma non sottoporto piu’ i soprusi quotidiani a cui sono sottoposti i nostri malati. Luchino Chessa (chessal@pacs.unica.it) Gentile dottor Chessa, le responsabilità di una situazione paradossale affondano nella notte dei tempi. Ci è voluto circa un ventennio per inaugurare un Policlinico che funziona ancora solo per metà. Ci sarebbe stato tutto il tempo per pianificare lo sviluppo urbanistico della zona e per organizzare un servizio di trasporti appena decente. Anche perchè, nel frattempo, il cemento ha camminato e la Cittadella universitaria non è piu’ così isolata, come dimostra il grado di intasamento della circonvallazione. Rimane invece irraggiungibile con i mezzi pubblici, come gran parte dell’hinterland di Cagliari. È mancata la cooperazione fra le amministrazioni interessate o, piu’ realisticamente, è mancata un’autorità d’area che desse corpo a una soluzione efficace. Sprecata l’occasione - e i danari - della linea metropolitana. A tutt’oggi le ipotesi si succedono alle ipotesi, ma senza risultati concreti. Ci si potrebbe scrivere un libro: come non si evolve una città allargata. Daniela Pinna ________________________________________________ L’Unione Sarda 03 feb. ’02 BROTZU: PER UNA VISITA NOVE MESI D’ATTESA All’ospedale Brotzu Se questa è Sanità: per una visita nove mesi d’attesa Ho 77 anni, sono un pensionato dello Stato e tra gli altri scompensi dovuti all’età, i sanitari già da diversi anni hanno riscontrato che ho la prostata due volte la norma. Perciò devo farmi visitare ogni sei mesi per controllo. Quindi secondo la prassi, ogni sei mesi devo munirmi dell’impegnativa e recarmi all’ospedale Brotzu per prenotare la visita ambulatoriale. La prenotazione dev’essere richiesta prima di tre mesi dalla data disposta dal medico dell’ambulatorio per la visita di controllo e la flussometria, chiedo scusa, uroflussometria. Dimenticavo di aggiungere che i tre mesi prima e la visita richiesta devono essere compresi nel medesimo anno solare. Ora, poichè la mia visita precedente era stata nel settembre 2001, la prenotazione successiva doveva richiedersi dopo il 2 gennaio 2002 e non prima. Fatta questa doverosa precisazione, veniamo al dunque. Il giorno 9 gennaio 2002 mi sono presentato allo sportello delle prenotazioni, munito della richiesta del medico dell’ambulatorio dello stesso Ospedale Brotzu e dell’impegnativa redatta dal mio medico di base sul modello della Asl. E qui ho avuto la sorpresa. La visita di controllo, che io chiedevo per la fine di aprile, mi è stata assegnata per il 12 settembre del 2002. Perchè, si è giustificata l’impiegata, prima di tale data non era possibile: tutti i periodi da aprile a settembre erano già stati prenotati. In soli nove giorni sarebbero state disposte tutte le prenotazioni di ben cinque mesi. Ora, io mi chiedo e lo chiedo anche a voi: è possibile che qui in Sardegna abbiamo una Sanità così scassata? E se dovessi peggiorare? Niente paura, in questo caso dovrei ricorrere al Pronto Soccorso e farmi ricoverare d’urgenza. Sono piu’ che certo che una assistenza sanitaria così arretrata non esiste neppure nei paesi sottosviluppati e mi chiedo: allora a che serve un ospedale che non è in grado di assolvere al proprio compito? Forse sarebbe meglio demolirlo e al suo posto ripristinare le piantagioni di carciofi, come probabilmente era in passato, sarebbe molto piu’ utile. Come lettore attendo una risposta in merito a questo ritardo. Meloni Gaetano Cagliari ________________________________________________ L’Unione Sarda 08 feb. ’02 SORGONO ALL’OSPEDALE IL DEFICIT SUPERA GLI OTTO MILIARDI Ancora polemica sull’ipotesi di taglio delle spese presentata dalla Asl «Il deficit supera gli otto miliardi» No dei sindaci al ridimensionamento dell’ospedale Sorgono Per quanto si tenga conto delle priorità, razionalizzare alla fine significa tagliare posti di lavoro e ridurre i servizi. Anche perchè il budget assegnato al distretto sanitario e all’ospedale di Sorgono è di appena 35-36 miliardi di lire. Una coperta troppo corta per coprire le esigenze e mantenere gli standard di assistenza. Il “San Camillo” di Sorgono, da solo, a quanto risulta dal consuntivo 2001, è andato in perdita per otto miliardi e mezzo. Il direttore generale della Asl di Nuoro, da cui il distretto sanitario di Sorgono dipende, ha dovuto preannunciare tagli e sacrifici. Se e dove ci sono sprechi saranno eliminati, ma soprattutto bisognerà attenersi a rigidi parametri imposti dalla Regione. Ma perchè non tener conto anche delle esigenze di un territorio che va sostenuto, quantomeno per arginare un fenomeno dilagante come quello dello spopolamento? «Nella distribuzione dei fondi spettanti ai distretti Ñ ha spiegato Mulas Ñ non vedo altro sistema se non quello di tener conto della popolazione residente. Posso accettare anche altri metodi, ma credo che quello sia il piu’ equo». Si poteva tener conto sia della popolazione residente che del territorio ma questo doppio criterio, pur agevolando l’azienda di Nuoro che è la piu’ estesa, non sarebbe affatto servito - ha sostenuto il direttore generale - ad agevolare un territorio limitato e periferico come la Barbagia-Mandrolisai. Sindaci e sindacati insistono che si tenga conto della convenienza per l’intera regione che la montagna non si spopoli ulteriormente, quantomeno per non incoraggiare i già gravi fenomeni di malessere sociale. Non essendo stati coinvolti nella programmazione della sanità nel territorio e soprattutto nella rideterminazione della pianta organica, che tra l’altro prevede drastici tagli a livello di dipendenti e servizi, i sindaci della zona hanno duramente attaccato i vertici dell’azienda sanitaria, innanzitutto disertando l’incontro di mercoledì e poi rivendicando in un documento unitario il loro ruolo. «A tutt’oggi Ñ osservano Ñ non abbiamo in mano nessun piano attuativo. La nostra richiesta riguarda atti e dati di questo territorio, che sono di competenza della conferenza dei sindaci per legge. Le uniche informazioni finora avute provengono da fonti giornalistiche». Franco Mulas ha tuttavia confermato la disponibilità al confronto preannunciando per giovedì un incontro con i sindacati. Attilio Loche ________________________________________________ Le Scienze 08 feb. ’02 UN VACCINO CONTRO LE ALLERGIE Sono già iniziati i test clinici e la terapia potrebbe diventare disponibile in tempi relativamente brevi Il banale raffreddore da fieno è un disturbo relativamente innocuo che colpisce però circa il 25 per cento della popolazione, comportando in primavera danni economici non indifferenti. Ora alcuni ricercatori dell'Università di Melbourne hanno messo a punto un potenziale vaccino contro le allergie ai pollini. I ricercatori hanno iniziato il loro lavoro modificando il gene che codifica per uno dei piu’ potenti allergeni noti. Il gene modificato codifica per una proteina che provoca una reazione allergica fortemente ridotta, ma che è ancora in grado di attivare il sistema immunitario. In pratica, la somministrazione di dosi sempre crescenti di questa nuova proteina permette di potenziare le difese naturali dell'organismo. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista "European Journal of Immunology". Secondo Prem Bhalla, che ha partecipato alla ricerca, "i test cutanei eseguiti per stabilire la sicurezza della proteina mostrano che è molto piu’ sicura ed efficace delle terapie immunitarie attualmente usate per curare le allergie ai pollini." Le immunoterapie comportano infatti rischi significativi di effetti collaterali letali, come lo shock anafilattico, in cui il corpo diventa improvvisamente ipersensibile all'allergene. Nei casi meno gravi queste terapie non vengono infatti utilizzate, ma si curano invece i sintomi dell'allergia, come l'asma, le dermatiti e le congiuntiviti. Il gene, prelevato dalla segale, è stato inserito in un batterio, che può produrre la proteina in grandi quantità. Una volta purificata, la proteina può essere iniettata ai pazienti, che corrono un rischio dieci volte inferiore di incorrere in uno shock anafilattico, rispetto alle terapie tradizionali. Per arrivare a questo punto i ricercatori hanno già lavorato sei anni, ma ora che sono iniziati i test clinici la terapia potrebbe diventare disponibile in tempi relativamente brevi. ________________________________________________ Le Scienze 07 feb. ’02 ATTACCARE I TUMORI L'idea è di utilizzare le diverse "firme" chimiche dei vasi sanguigni che li nutrono Un esperimento svolto su un paziente in coma irreversibile ha permesso di evidenziare in quali vasi sanguigni si sono accumulati peptidi iniettati nell’organismo. Questa scoperta rende sempre piu’ credibile l'idea che si possano mettere a punto farmaci contro i tumori in grado di attaccare tessuti ben precisi. Mentre i tumori sono normalmente localizzati in tessuti specifici, i farmaci che si usano per combatterli non sono così selettive. Una soluzione potrebbe però essere quella di utilizzare le diverse "firme" chimiche dei vasi sanguigni che nutrono i tumori. Wadih Arap e Renata Pasqualini, entrambi biologi dell’M.D. Anderson Cancer Center di Houston, in Texas, sono venuti a conoscenza del caso di un uomo di 48 anni in terapia intensiva, ma ormai in coma irreversibile. La famiglia dell'uomo aveva deciso di donare i suoi organi, ma l'avanzato stato di sviluppo del tumore che lo aveva colpito non lo permetteva. La famiglia ha allora autorizzato i ricercatori a iniettare i peptidi. Prima che fossero staccate le macchine che tenevano in vita il paziente, i ricercatori hanno prelevato campioni di tutti i suoi tessuti, muscoli, pelle, midollo osseo, etc. Dai vari campioni sono stati poi estratti i peptidi, per dimostrare che si erano effettivamente accumulati in tessuti diversi e, quindi, potevano essere utili per lo sviluppo di nuovi medicinali. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista “Nature Medicine”. Ovviamente, attaccando un farmaco antitumorale a un peptide in grado di accumularsi in un particolare tessuto è possibile somministrarne alte dosi senza danneggiare i tessuti sani. ________________________________________________ Le Scienze 05 feb. ’02 UNA BIBLIOTECA MEDICA ONLINE PER I PAESI POVERI Il periodo di prova di durerà tre anni Da giovedì scorso molte migliaia di medici, ricercatori e anche politici in circa 70 paesi in via di sviluppo hanno a disposizione gratuitamente, attraverso Internet, l'accesso a una delle piu’ vaste biblioteche di letteratura biomedica del mondo. Si tratta di un evento importantissimo, reso possibile grazie alla collaborazione fra Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e sei piu’ grandi editori del mondo di letteratura medica. Il direttore dell'OMS, Gro Harlem Brundtland, ha commentato che «si tratta forse del piu’ grande passo mai intrapreso verso la riduzione della differenza di informazioni mediche fra i paesi ricchi e quelli poveri.» L'iniziativa Access to Research permette a università, scuole mediche, centri di ricerca e altre istituzioni pubbliche accreditate nelle nazioni in via di sviluppo di accedere alle informazioni contenute in piu’ di 1000 riviste biomediche. Fino a ora, l'abbonamento a questi giornali, sia alle copie cartacee che all'edizione elettronica, aveva avuto lo stesso prezzo per tutti, indipendentemente dalla collocazione geografica. Poichè molte delle riviste piu’ importanti costano fino a 1500 dollari all'anno, e in media costano alcune centinaia, essi erano inaccessibili nella stragrande maggioranza dei centri medici e universitari dei paesi poveri. I sei editori che partecipano all'iniziativa sono Blackwell, Elsevier Science, il gruppo Harcourt Worldwide STM, Wolters Kluwer International Health & Science, Springer Verlag e John Wiley. Il sito Internet, aperto giovedì, rappresenta solo la prima fase dell'iniziativa. Nel corso di una seconda fase lo stesso accesso verrà venduto ad altri paesi a prezzi molto ridotti. Per ora gli editori hanno accordato un periodo di prova di tre anni, durante i quali verrà controllato il progresso, in base al numero di accessi. ________________________________________________ Il Messaggero 08 feb. ’02 CUORE, UNA ”MOLLA” PULISCE E TIENE APERTE LE CORONARIE ROMA - Angina e infarto: una "molla meccanica" pulisce e mantiene aperte le coronarie. Questa riesce a impedire la proliferazione delle cellule impedendo, così, la formazione di nuove ostruzioni per il flusso. Ecco la "nuova" angioplastica. Quell’intervento che viene fatto quando una coronaria si restringe e, attraverso, una cannula e uno "stent" (una reticella che si posiziona sulle pareti coronariche) viene riallargata. I risultati dello studio europeo e italiano appena concluso sono stati presentati a Roma, durante il convegno internazionale di cardiologia interventistica "Live". «I nuovi dispositivi - spiega Francesco Romeo ordinario di Cardiologia all’università di Tor Vergata a Roma - sono impregnati di farmaci, taxolo, rapamicina, actionomicina D. Questi vengono rilasciati nell’arco dei sei mesi successivi all’intervento. Il periodo critico per una possibile richiusura della coronaria. Il medicinale blocca la proliferazione cellulare». Fino ad oggi, dopo l’impianto di uno stent coronarico tradizionale c’era un 30% di rischio che si formasse una nuova occlusione.