RICERCA, CORSA ALLA COMPETITIVITÀ NUORO: UN ATENEO APERTO A TUTTA LA SARDEGNA CENTRALE RICERCA, 120 MLN DI EURO PER IL SUD STANCA: TELELAVORO E PATENTE INFORMATICA UNIVERSITÀ: LA VICENDA CONSOLO SENATORE “COPIONE” RIFORMA SCUOLA: STOP AL «PRIMATO» DELLA PEDAGOGIA RIFORMA SCUOLA: LE REGIONI ALL'ATTACCO UFFICI PUBBLICI FUORILEGGE NEL RISPETTARE LA PRIVACY ========================================================= ANNO SANITARIO, I MEDICI DELL'ISOLA RILANCIANO LA PROPOSTA DELL'AGENZIA MALLIANI:IPPOCRATE CONTRO IL MERCATO MEDICI, IL FEDERALISMO CAMBIA LO STATO GIURIDICO ASL8: QUEI MEDICI DI BASE COSÌ SPENDACCIONI IL DIRETTORE GENERALE DEL POLICLINICO:«QUI L'ASSISTENZA SI FA» POLICLINICO: ESAMINATO IL "CASO" SANTA CRUZ NEL 2003 LO SVINCOLO PER IL POLICLINICO CAGLIARI: L’OSPEDALE CIVILE INVASO DAI TOPI CAGLIARI: "L’OSPEDALE CIVILE NON SI TOCCA" BROTZU: GUERRA PER I TRAPIANTI DI FEGATO BROTZU: «PRONTI PER GLI INTERVENTI SUL FEGATO» E.FLORIS: "DIFENDO IL BROTZU: UNA GRANDE REALTÀ PER LA CURA DEL FEGATO" PAOLO LA COLLA CONDUCE LA GUERRA ALL’EPATITE C CON I SOLDI AMERICANI DI CHIARA « ANCHE LA MARIJUANA PUÒ FAR MALE» DROGHE LEGGERE E PESANTI, UNA SVOLTA ANTISCIENTIFICA AIDS, I CONTAGI NON CALANO PIÙ TROVATO IL GENE DELL' EVOLUZIONE, DARWIN AVEVA RAGIONE UN VACCINO CONTRO UN'INFEZIONE OSPEDALIERA LA PELLE CHE RESPIRA PRESTO SULL’UOMO LA VESCICA ARTIFICIALE ========================================================= ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 14 feb. ’02 RICERCA, CORSA ALLA COMPETITIVITÀ MILANO - E’ passato un anno dal Manifesto dei Mille e gli scienziati, oggi, "tornano in piazza". La "voce della scienza" si levò esattamente il 13 febbraio 2001: i ricercatori, più di 1500, protestarono (cosa mai accaduta prima) contro alcuni veti sulla ricerca dell'allora ministro Pecoraro Scanio. E se la pietra dello scandalo fu, in quel momento, la libertà stessa dell'attività scientifica (in particolare quella sugli Ogm) oggi e’ la critica, anzi cronica, mancanza di fondi. Ogm e finanziamenti. «Gli Ogm alla prova dei fatti», questo il titolo del convegno promosso dal Cnr, discuterà sul ruolo delle biotecnologie in Italia e nel mondo. Tra i partecipanti due grandi nomi del biotech come Ingo Potrykus, padre del golden rice, e Channapatna Prakash, grande esperto di biotecnologie agricole. «Sarà un'occasione per riflettere sugli Ogm - dice Roberto Defez, organizzatore del convegno -, ma soprattutto per ripetere che su questi tema ci sono forti discussioni e scarsissime conoscenze». Basti pensare che il 95% della soia importata dall'Europa e’ modificata, «per cui parlare di "tolleranza zero" sugli Ogm» ribadisce Defez «e’ mistificare la realtà e comunque e’ ridicolo pensare di fare una battaglia con percentuali totalmente insignificanti di prodotto». Alla manifestazione, in programma a Roma presso la sede del Cnr hanno già dato il loro assenso anche altre personalità della ricerca italiana come Eugenio Benvenuto (Enea), Edoardo Boncinelli (Direttore Sissa) o l'ex ministro della Sanità Umberto Veronesi e Silvio Garattini, direttore dell'Istituto Mario Negri. Sarà di nuovo il momento per ritrovarsi e ribadire con forza lo stato totalmente insufficiente degli investimenti pubblici nel settore. «Eppure» dice Luciano Caglioti, ricercatore del Cnr, e uno dei promotori dell'ufficio brevetti recentemente avviato all'Università La Sapienza di Roma «la qualità della ricerca italiana e’ comunque di tutto livello. Quando si parla di fuga dei cervelli, significa che i cervelli li abbiamo (e il prossimo 2 marzo a Cambridge si terrà un workshop per confrontarsi e discutere del tema, ndr). All'estero siamo più che rispettati: in alcuni settori, come la fisica, c'e’ un'ottima scuola. Sono state avviate collaborazioni tra il Cnr e l'università di California, il livello competitivo e’ buono. Quello che e’ drammatico e’ la carenza dei fondi, che negli anni '90 sono crollati dall'1,6% del Pil a circa lo 0,6%». E non c'e’ nemmeno da invocare le necessità belliche, come qualcuno ha fatto, per rimandare gli investimenti: anzi la protesta si rinvigorisce se e’ vero (basta controllare nel numero di «Nature» dello scorso 31 gennaio) che gli Usa rispetto allo scorso anno investiranno nel 2002 ben il 13% in più in ricerca. «Non solo - dice Defez -: il National Healt Insitute vedrà raddoppiati, in sei anni, dal 1998 al 2003 i suoi fondi». Stiamo parlando di 27 miliardi di dollari, livelli, dunque, totalmente impensabili alle nostre latitudini, che dettano però quale sia la tendenza. Mentalità da cambiare. «C'e’ poco da fare - incalza Boncinelli - e’ un problema di mentalità. Tutti i governi che si sono succeduti in questi anni hanno, diciamo così, tralasciato la questione ricerca. Ma non e’ solo questione di soldi: ci vuole anche meritocrazia e organizzazione. Finora c'e’ stato fondamentalmente un disprezzo verso la cultura scientifica mentre e’ ben chiaro che la ricchezza di una nazione oggi si misura anche in maniera determinante dal suo potenziale scientifico e tecnico». Oltre al cambio di mentalità occorre però anche un cambio di strategia nel sistema Paese. Oltre le difficoltà burocratiche tipiche italiane (per cui dice Defez «io sono fuori legge nel momento in cui faccio uscire i miei semi e li porto nel campo del laboratorio») c'e’ lo scarso feeling della grande industria con la ricerca. «Uno scollamento evidente - dichiara Luciano Caglioti -. Le industrie provocano poca domanda di ricerca e gli scenari cambiano rapidamente: le grandi industrie sono state acquisite da gruppi esteri». Sulla stessa linea Edoardo Boncinelli, che ribadisce «l'assenza dell'industria italiana quale contribuente della ricerca. All'estero invece le multinazionali si sbilanciano di più, forse meno di quello che si dice, ma sicuramente più che in Italia». Gli investimenti delle industrie. Gli industriali sono consapevoli dell'insufficienza. «Devo ammettere di concordare con i ricercatori - afferma Sergio Dompe’, presidente di Assobiotec, l'associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie che rappresenta le imprese attive in questo settore che operano in Italia -. Lo sforzo del Paese e’ inadeguato anche se esistono "sacche" di competitività alta dove il vantaggio competitivo e’ sfruttato». Il parterre di investitori sarebbe, soprattutto nei settori biotecnologici, ampio e qualificato «ma anche questo Governo deve concretizzare - continua Dompe’ - i buoni propositi che ha fatto. E invece proprio ieri ho scritto al Presidente Berlusconi per chiedere che si faccia, e presto, qualcosa per la direttiva europea sui brevetti che e’ stata stralciata dalla finanziaria». Un provvedimento, aggiunge amaramente Defez, che «lascia in sospeso uno dei nodi più importanti». «Siamo già oggi marginali - conclude Dompe’ - e viviamo di freni psicologici assolutamente insensati come quelli sugli Ogm». Oggi, a Bruxelles, verrà approvata una direttiva che regola anche la commercializzazione di viti geneticamente modificate. L'Europa ha già superato inutili paure: noi, dice Dompe’ «rischiamo di perdere gli ultimi treni cui possiamo ancora aggrapparci». Lo sforzo da fare e’ imponente e riguarda tutti, nel breve o lungo periodo. Non solo gli scienziati che tentano a fatica di far sentire la loro voce all'interno del palazzo. Stefano Salis ___________________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 feb. ’02 NUORO: UN ATENEO APERTO A TUTTA LA SARDEGNA CENTRALE Aspettando i finanziamenti regionali si pensa alle alleanze del Consorzio con i Comuni e gli altri enti Il prossimo obiettivo un’offerta formativa adeguata al moderno mercato del lavoro La battaglia sui finanziamenti regionali all’Università nuorese non e’ stata ancora vinta. Serve prudenza e soprattutto attenzione e vigilanza. E’ questo l’atteggiamento dei responsabili del Consorzio universitario il giorno dopo il dibattito svoltosi martedì mattina alla Camera di commercio e la notizia che la Commissione regionale Bilancio ha approvato l’emendamento alla Finanziaria che stabilisce di assegnare al Consorzio un miliardo e mezzo per l’anno accademico 2001 e di cinque miliardi dal 2002 al 2004. Già martedì, alla soddisfazione per quanto deciso dalla Commissione e’ subentrata subito l’aspettativa per il voto in Consiglio regionale che dovrà sancire l’emendamento riguardante l’università nuorese. Il presidente del Consorzio, Bachisio Porru, avverte: "E’ una prima vittoria, ma, per ora almeno, e’ soltanto una manifestazione di buona volontà da parte della Regione. Noi chiediamo agli amministratori locali e all’opinione pubblica di stare all’erta. Sino al voto in aula, il pericolo che i finanziamenti non possano arrivare non e’ affatto scongiurato". A parte questo aspetto del problema, certamente essenziale, in questi giorni di incertezze e anche di paure e’ balzato in primo piano lo scenario, che si può definire di sfondo, dell’Università nuorese. E cioe’ la prefigurazione del suo futuro e la riaffermazione del suo ruolo di volano dello sviluppo della Sardegna centrale. Ancora Bachisio Porru: "Con i miliardi che mancavano e che arriveranno, le attività programmate potranno andare avanti con una certa tranquillità. Ma non possiamo stare abbarbicati alle cinque lauree brevi attuali. Serve infatti una offerta formativa universitaria che raccolga le sfide dell’oggi, se si vuole davvero crescere economicamente oltre che culturalmente". Su questo fronte, il sindaco Mario Zidda dà man forte al presidente del Consorzio. Dice infatti: "Bisogna ancora lavorare molto in prospettiva. Con la Regione e con lo Stato. I finanziamenti non sono più sufficienti e allo Stato bisogna chiedere la piena attuazione degli accordi". E rimanda a quelle che erano state le richieste della Commissione Medici che aveva individuato nell’Università a Nuoro la leva strategica per lo sviluppo del territorio. "Necessari sono quindi - prosegue Zidda - l’attivazione delle tredici cattedre previste e i finanziamenti statali. Lo Stato non può continuare con l’incompressibile politica del costo zero. Una appropriata mobilitazione degli enti locali a questo riguardo mi sembra opportuna". Il presidente della Provincia, Francesco Licheri, vedrebbe volentieri l’Università nuorese più aperta al territorio e più forte di alleanze: "E’ questa - sostiene - l’Università della Sardegna centrale. Per farla crescere serve, pertanto, un’alleanza territoriale con le istituzioni : Comuni, Comunità montane, Camera di commercio, aziende private. E non guasterebbe un’alleanza extraterritoriale con le altre province, prima fra tutte Oristano". In quanto all’offerta formativa, Licheri afferma: "Bisogna ripensare a un’offerta che sia flessibile e fedele interprete delle offerte del mercato in materia di lavoro, per dare agli studenti un ampio ventaglio di opportunità occupazionali". Il presidente del Consorzio, Bachisio Porru, rammaricandosi per quella che definisce "la posizione di comodo dello Stato", riporta, infine, il problema Università nell’alveo della sua connotazione futura: "Il nostro disegno - avverte - non dev’essere di corto respiro. Nel grande scenario che si deve aprire conteranno i contenuti, i grandi apporti culturali e politici. Servirà, insomma, il fiato lungo del fondista per poter vincere le battaglie che ci aspettano". G. P. ___________________________________________________________________ L’Unione Sarda 13 feb. ’02 RICERCA, 120 MLN DI EURO PER IL SUD Anche la Sardegna tra le regioni interessate ai fondi E’ disponibile sul sito del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca (www.miur.it) l’avviso pubblico su modalità e termini per la presentazione di progetti nell’ambito del programma operativo nazionale “Ricerca scientifica, sviluppo tecnologico, alta formazione 2000-2006”. Interessa le regioni dell’Obiettivo 1 (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna) e riguarda una serie di interventi per il rafforzamento del sistema scientifico meridionale e la realizzazione della “Società dell’informazione per il sistema scientifico meridionale”. I progetti - per i quali e’ disponibile un cofinanziamento di 120 milioni di euro - devono essere rivolti all’innalzamento e qualificazione della dotazione di strutture e attrezzature scientifico- tecnologiche delle università e degli enti pubblici di ricerca meridionali; alla realizzazione di applicazioni multimediali e centri di servizio per la diffusione delle Ict; a strutture di learning e training per la formazione (anche a distanza); al potenziamento e sviluppo di strutture per attività di ricerca e innovazione operanti nelle tematiche contemplate nel Programma comunitario Information society technologies. Possono presentare progetti le università, gli enti pubblici di ricerca, anche a carattere regionale, e le stazioni sperimentali per l’agricoltura e l’industria. La valutazione dei progetti (che potranno essere presentati fino al 15 novembre 2002) avverrà con cadenza trimestrale: nel primo ciclo saranno esaminati i progetti pervenuti entro il 16 marzo 2002. ___________________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 feb. ’02 STANCA: TELELAVORO E PATENTE INFORMATICA e proposte del ministro per l’Innovazione Stanca: dieci obiettivi per modernizzare il Paese Roma. Sviluppo del telelavoro e una patente informatica per tutti: e’ quanto ha proposto il ministro per l’Innovazione tecnologica, Lucio Stanca, parlando delle iniziative che dovranno essere assunte nel corso della legislatura per modernizzare il paese, accanto ai 10 obiettivi indicati per il nuovo modello di stato digitalizzato. In Italia i telelavoratori sono 720 mila (il 3,6% della forza lavoro), e sono praticamente inesistenti nella pubblica amministrazione, mentre in Europa, secondo i dati forniti dal ministro, sono 9 milioni, il 10% della forza lavoro di Svezia, Finlandia, Danimarca e Olanda, con paese come Germania e Gran Bretagna che oscillano tra il 5 e il 10%. "L’adozione di pratiche di lavoro a distanza - ha spiegato Stanca - consente di raggiungere significativi vantaggi per il sistema economico complessivo, per la protezione dell’ambiente, per la salute, per la famiglia, per la riduzione significativa del fenomeno del pendolarismo, con benefici effetti sui costi della mobilità nonche’ sul congestionamento e inquinamento dei centri urbani. Inoltre si possono realizzare significativi vantaggi in termini di sviluppo di specifiche aree territoriali e di categorie deboli, facilitando e rendendo flessibile il rapporto di lavoro". Si ritiene possibile "realizzare velocemente nelle Pubbliche amministrazioni effettive esperienze di telelavoro, e costituire laboratori che possano essere anche un volano per analoghe iniziative nel settore privato. L’obiettivo primario e’ promuovere nelle amministrazioni pubbliche l’uso del telelavoro, per realizzare un nuovo modello di sviluppo "integrato e sostenibile" attraverso la diminuzione strutturale della richiesta di mobilità. Per quanto riguarda la patente informatica, uno strumento di incentivazione e monitoraggio dell’effettivo avanzamento della società e’ rappresentato da una maggiore diffusione della patente informatica europea, uno standard adottato dal ministero dell’Istruzione per la certificazione delle competenze informatiche nella scuola. In Italia, al 31 dicembre 2001 vi erano 60mila patenti informatiche e 160mila persone iscritte agli esami (la metà presso Scuole ed Università). Vi sono 2000 test center attivi distribuiti su tutto il territorio. Secondo Stanca, l’intero progetto deve essere rifocalizzato e orientato ad una larghissima diffusione e conoscenza da parte dei giovani, per cogliere l’obiettivo di passare da una dimensione limitata ad un’iniziativa ampia che possa efficacemente assicurare a tutti gli interessati il conseguimento del titolo. Altre aree di interesse prioritario sono state individuate nel Sud, "che altrimenti rischierebbe l’emarginazione dall’Europa digitale" e le piccole e medie imprese. ___________________________________________________________________ L’Unione Sarda 17 feb. ’02 UNIVERSITÀ: LA VICENDA CONSOLO Il preside Bottazzi: «Dopo il concorso c’e’ una terna di nomi» Il concorso per un posto di professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico e’ bloccato per problemi interni alla commissione. Nulla a che fare, insomma, con le vicende personali di uno dei candidati, il senatore Giuseppe Consolo, accusato da un anonimo concorrente di aver copiato buona parte di alcuni saggi di diritto, pubblicati di recente dal parlamentare di An. Consolo, nato a Napoli 53 anni fa ma da tempo a Roma, fa l’avvocato. Ha difeso, tra gli altri, Gianni Boncompagni dall’accusa di induzione alla prostituzione. E ha fatto vincere la causa a Lilli Gruber (con un risarcimento di 75 milioni) per le foto senza veli “rubate” nella sua villa di Torre delle Stelle. Consolo e’ professore associato alla Luiss di Roma, dove ha insegnato anche Diritto monetario internazionale. Il concorso balzato (incidentalmente) agli onori della cronaca era stato bandito il 13 luglio 2000 con un decreto del rettore dell’ateneo cagliaritano Pasquale Mistretta. Tra i 20 posti a concorso per professore ordinario di ruolo, uno riguardava la facoltà di Scienze politiche e, in particolare, la cattedra di Istituzioni di diritto pubblico. Il termine per la presentazione delle domande scadeva il 14 agosto 2000. Consolo non era ancora senatore: e’ stato eletto, infatti, il 13 maggio 2001 nel collegio 11 di Roma. In un altro decreto del rettore, datato 17 novembre 2000, vengono anche riportati i nomi dei cinque componenti della commissione giudicatrice. Uno designato dalla facoltà di Scienze politiche (Sandro Amorosino, facoltà di Economia dell’Università La Sapienza di Roma), gli altri nominati dal rettore sulla base del risultato delle elezioni (nazionali) per la composizione delle commissioni giudicatrici, elezioni svoltesi tra il 16 e il 26 ottobre del 2000. I nomi: Antonio Carullo (facoltà di Economia dell’Università di Bologna), Alessandro Catelani (facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena), Raffaele Chiaretti (facoltà di Economia dell’Università di Perugia) e Eugenio De Marco (facoltà di Scienze politiche dell’Università di Milano). Una volta nominata, la commissione opera in modo autonomo. «Giusto qualche giorno fa», sottolinea il preside della facoltà di Scienze politiche, Gianfranco Bottazzi, «mi ero ripromesso di contattare la commissione per capire a che punto e’ arrivato il concorso». Poi ci hanno pensato le vicende del professor Consolo a dare al concorso cagliaritano un risalto nazionale. Il preside spiega che al termine del lavoro della commissione la facoltà di Scienze politiche potrà scegliere tra una rosa di tre nomi. Non solo: la legge dà anche la possibilità alla facoltà di non scegliere alcun vincitore. Emanuele Dessì SENATORE “COPIONE” IN LIZZA PER L’UNIVERSITÀ L’Università di Cagliari, suo malgrado, e’ finita al centro di una vicenda che sta mettendo a rumore il mondo accademico e, soprattutto, politico. Tutta colpa dell’accusa di plagio piovuta addosso a Giuseppe Consolo, senatore di Alleanza nazionale e docente associato di Diritto pubblico alla Luiss di Roma. Consolo, 53 anni, e’ anche uno degli aspiranti professori ordinari della stessa materia all’ateneo cagliaritano, facoltà di Scienze politiche. Un concorso che ha avuto già di per se’ un iter abbastanza tormentato e che adesso si arricchisce di un nuovo capitolo. Originario di Napoli, avvocato, Consolo esercita nel foro di Roma. Nella primavera dello scorso anno la sua scalata a Palazzo Madama viene premiata in un collegio capitolino. Fa parte della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari ed e’ membro della commissione Giustizia del Senato e del Comitato parlamentare per i procedimenti di accusa. Già, l’accusa. Qualcuno ha pensato di giocargli un brutto scherzo indirizzando al ministro dell’Istruzione Letizia Moratti alcuni saggi firmati proprio Giuseppe Consolo. Con, nello stesso plico, alcuni testi pubblicati tra l’inizio e la metà degli anni Novanta. L’autore e’ diverso ma il testo avrebbe molti punti di contatto. E così tal professor Giovanni Rossi, autore della lettera che accompagna i vari brani, più o meno inediti, accusa Consolo di plagio. Tra i destinatari del plico c’e’ anche il rettore dell’Università di Cagliari, Pasquale Mistretta. «In realtà», spiega, «io non ho ancora ricevuto nulla. Chissà, magari lunedì, in mezzo alla posta, potrebbe esserci anche questo. Francamente», aggiunge il rettore con la solita verve cagliaritana, «non me ne importa nulla». Il concorso per la cattedra di Diritto pubblico per la facoltà di Scienze politiche era stato bandito nel dicembre del 2000. Tra gli aspiranti professori anche Giuseppe Consolo. Si sa che il concorso e’ bloccato per le dimissioni, più o meno un anno fa, di uno dei cinque componenti della commissione concorsuale, nessuno dei quali e’ sardo. Quattro commissari vengono nominati per decreto dal rettore sulla base di una lista formata a livello nazionale, uno viene indicato dalla facoltà. Facile pensare che dietro lo scherzetto giocato a Giuseppe Consolo ci sia un collega deciso ad eliminare un concorrente diventato molto potente. E. D. ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 17 feb. ’02 RIFORMA SCUOLA: STOP AL «PRIMATO» DELLA PEDAGOGIA di Laura Paoletti* C'e’ un solo punto sul quale i contestatori delle ultime riforme e i "contro-contestatori", nonche’ tutte le persone di buon senso, si trovano d'accordo: per fare una buona scuola occorrono insegnanti bravi e adeguatamente retribuiti. Una nutrita schiera di pedagogisti - in particolare l'intellighenzia pedagogica che ha fornito le basi teorico-culturale al progetto Berlinguer-De Mauro - pensa che per fare una buona scuola occorra "destrutturare" le discipline e dar vita a nuovi saperi: data la complessità sociale, il rapido cambiamento, l'obsolescenza delle conoscenze, l'esplosione delle tecnologie infotelematiche, la multiculturalità con tutte le altre "multi" (etniche e religiose) e quant'altro. A ciò, sostengono i fautori di questa teoria, dovrebbero provvedere i pedagogisti stessi. Quindi il bagaglio culturale, disciplinare e professionale del bravo insegnante sarebbe questa "nuova scienza didattica", regina dei cosidetti saperi. In questo modo, però, si ipotizza una rovinosa inversione di rapporti: prima la didattica rappresentava una sorta di "strategia" per veicolare al meglio i contenuti scientifici, ora la didattica e’ la scienza e i cosiddetti saperi sono gli strumenti che la veicolano. All'articolo 5 del Ddl delega del ministro Moratti si buttano a mare queste teorie, da molti considerate un inutile ciarpame in stile "pedagogichese". La proposta dell'attuale riforma, infatti, e’ orientata ad assicurare al docente un'approfondita conoscenza della o delle discipline di insegnamento e una buona cultura generale di livello universitario alla quale seguono, attraverso un contratto di formazione lavoro e un adeguato tirocinio, le "competenze professionali", cioe’ la capacità di insegnare. E’ chiaro che in tale contesto la didattica non e’ vista come una delle frontiere più avanzate della ricerca epistemologica ma e’ intesa nel suo significato tradizionale. E’ un "fare" che bisogna "imparare" nella sua dimensione teorica ma soprattutto nella sua applicazione pratica: da qui il valore del tirocinio nell'agire di tutte le professioni. In tal modo si va costruendo quel sistema di istruzione europeo nei criteri educativi ma saldamente radicato nella nostra identità culturale, altamente qualificato per quanto riguarda il personale docente e nel quale hanno pari opportunità il diritto di accesso all'istruzione e il diritto al successo, già descritto nelle Dichiarazioni programmatiche del ministro. Questa modalità di formazione dei docenti elimina la farsa deprimente dei concorsi a cattedre con centinaia di migliaia di concorrenti e le relative degenerazioni e impedisce il formarsi di sacche di precari. Tuttavia essa non e’ esente da rischi. Il primo e’ che la laurea specialistica per docenti può abbassare il livello culturale dei medesimi se si differenzierà qualitativamente dalla laurea specialistica di chi non sceglie l'insegnamento. Il secondo rischio e’ che, in mancanza di adeguati incentivi economici e di prestigio sociale, potrebbe verificarsi un processo negativo di autoselezione che porta all'insegnamento prevalentemente i meno dotati. Infine, i piani di studio dei futuri docenti dovranno misurarsi con la sfida culturale del nostro tempo che richiede, tanto per sapere quanto per saper fare e per agire, la ricostruzione dell'orizzonte unitario della cultura. *Segretario Generale della Fondazione Internazionale Nova Spes ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 17 feb. ’02 RIFORMA SCUOLA: LE REGIONI ALL'ATTACCO Riparte a fine mese il confronto Stato-Enti locali sul progetto Moratti di riordino dell'istruzione Scuola, le Regioni all'attacco Presentato alla Camera un documento che si oppone alle proposte di riforma degli organi collegiali Marco Ludovico (NOSTRO SERVIZIO) ROMA - Mossa a sorpresa delle Regioni, nella lunga partita a scacchi con il Governo sul decentramento scolastico. La novità, stavolta, non riguarda il riordino dei cicli scolastici, ma la riforma degli organi collegiali in discussione alla Camera. Nel corso di un'audizione in commissione Cultura, la Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle Province autonome ha presentato un documento che boccia in modo severe le quattro proposte di legge in discussione. Si tratta dei testi della maggioranza, dei Ds, della Margherita e di Rifondazione, oltre a quello di Angela Napoli (An). La posizione delle Regioni e’ netta: «Nessuno dei quattro disegni può essere condiviso - si legge nel documento - in quanto contengono disposizioni troppo dettagliate». «Una legge di riforma degli organi collegiali - sottolinea il testo - può unicamente indicare le norme generali che le Regioni dovranno rispettare nell'emanazione delle proprie leggi di riforma dell'organizzazione amministrativa delle istituzioni scolastiche». Si sfiora perfino l'accusa di incostituzionalità: «Nessuna delle quattro proposte di legge tiene conto della recente riforma costituzionale - e’ la legge n. 3/2001 - che prevede la competenza concorrente delle Regioni in materia di istruzione». In altre parole, dicono i Governatori, «unicamente le norme generali sull'istruzione dettate dallo Stato» e non, dunque, disposizioni di dettaglio, potrebbero «limitare la competenza delle Regioni». L'iter della revisione degli organi collegiali proseguirà la prossima settimana. Non si tratta di un cammino semplice. C'e’ un contrasto ormai insanabile tra maggioranza e l'opposizione. Ma sull'impostazione della riforma c'e’ da registrare anche uno scontro forte all'interno di Forza Italia e, in particolare, tra Ferdinando Adornato, presidente della commissione Cultura, e il sottosegretario Valentina Aprea. In questo quadro, il ministro Moratti sta seguendo molto da vicino l'evolversi degli eventi. La partita difficile del riordino dell'istruzione. Il testo di legge che sta più a cuore di tutti, comunque, riguarda il progetto del Governo sui nuovi cicli. Il 28 febbraio la Conferenza Stato-Regioni potrebbe emanare il parere sul Ddl approvato da palazzo Chigi. Lo ha annunciato il presidente Enzo Ghigo, che ha sottolineato positivamente «il metodo intrapreso, perche’ il ministro Moratti si e’ reso disponibile ad aprire tavoli tecnici e, soprattutto, a tenere in grande considerazione gli aspetti relativi alle materie che sono ormai di competenza esclusiva delle Regioni. E' una situazione che non tutti i ministri hanno così ben compresa». L'ottimismo di Ghigo stride, però, con altre posizioni espresse nella Conferenza. Come quella di Adriana Buffardi, coordinatrice degli assessori regionali all'Istruzione: «Ci sono almeno due punti della riforma Moratti sui quali ritengo che si riuscirà a trovare una posizione unitaria. Il Governo, intanto, deve dirci quali sono le risorse finanziarie con le quali ci chiede di impegnarci nel decentramento dell'istruzione professionale». Secondo Adriana Buffardi, inoltre, «sarebbe necessario che il ruolo delle Regioni fosse messo più al centro del percorso di riforma. Questo rapporto, insomma, e’ stato finora trascurato». In ogni caso, non si può escludere che, così come sul progetto di devolution, anche sul riordino della scuola ci sia alla fine una spaccatura nella Conferenza tra le Regioni governate da giunte di CentroSinistra e quelle guidate invece dal Centro-Destra. E anche i Comuni vanno alla guerra. L'Anci (Associazione nazionale comuni d'Italia) e l'Uncem (Unione nazionale comunità montane) hanno presentato un documento durissimo sulla riforma Moratti. Vengono sollevati «dubbi che emergono dalla lettura di questo schema del Ddl che evidenzia, tra l'altro, i ruoli dello Stato, delle Regioni e delle scuole autonome, mentre lascia pressoche’ inespressi quelli di Province e Comuni». Si contesta «la scelta operata dal Governo di procedere con lo strumento della legge-delega in una materia così delicata e di competenza di tutti i soggetti istituzionali Stato, regioni, enti locali». E si fa notare che «una tale procedura appare inaccettabile specialmente a fronte della parificazione dei soggetti costituzionali, operata dalla riforma del Titolo V della Costituzione». Il documento mette in evidenza che la nuova Costituzione «ha espressamente previsto che la materia dell'istruzione non sia più di esclusiva competenza dello stato, ma in parte di competenza concorrente in altra esclusiva delle regioni, con significativi punti di contatto funzionale con i compiti attribuiti agli enti locali». Critiche molto dure anche ai contenuti della riforma Moratti e, in particolare, alla previsione di anticipare l'ingresso alle elementari e alle materne. A tutti i livelli, dunque, il "conflitto istituzionale" rimane alto. ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 12 feb. ’02 UFFICI PUBBLICI FUORILEGGE NEL RISPETTARE LA PRIVACY Richiamo del Garante, che ora minaccia il blocco delle situazioni più a rischio ROMA - Pubblica amministrazione fuorilegge nell'applicazione della legge sulla privacy. Il richiamo e’ del Garante, che ieri ha diffuso una circostanziata segnalazione sui ritardi degli uffici pubblici nell'adottare le garanzie necessarie per l'utilizzo delle informazioni sensibili. Un ritardo di due anni, che rischia - secondo l'Authority - di attirarci il rimprovero di Bruxelles e che vale un invito al Governo italiano perche’ intervenga. Altrimenti il Garante bloccherà l'utilizzo dei dati sensibili da parte delle amministrazioni più a rischio. A poco sono valsi i reiterati allarmi lanciati dal presidente del Garante, Stefano Rodotà, nel corso di questi anni. Più volte Rodotà ha denunciato, anche in occasione delle relazioni annuali al Parlamento, le diffuse sacche di evasione della legge da parte degli uffici pubblici. Evasione che e’ proseguita senza colpo ferire, soprattutto in un settore delicato come quello dei dati sensibili. Le amministrazioni avrebbero dovuto, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 135/99, adottare una serie di comportamenti per capire quali, tra le informazioni più delicate utilizzate, sono effettivamente pertinenti all'attività dell'ufficio e quali, invece, possono essere tralasciate. Secondo la legge 675/96, infatti, le pubbliche amministrazioni possono gestire i dati sensibili solo se il trattamento e’ autorizzato da «espressa disposizione di legge, nella quale siano specificati i dati che possono essere trattati, le operazioni eseguibili e le rilevanti finalità di interesse pubblico perseguite». Poiche’ una simile copertura legislativa e’ praticamente inesistente, e’ stato inoltre previsto che l'Authority possa individuare alcune attività che perseguono finalità di rilevante interesse pubblico. Una parte di queste attività e’ stata indicata con il decreto 135 e un'altra con un provvedimento del Garante. Le pubbliche amministrazioni, però, avrebbero dovuto avviare, entro il 31 dicembre 1999, una ricognizione delle categorie dei dati sensibili utilizzati e metterle a disposizione del pubblico. Per quanto la scadenza del 31 dicembre non fosse perentoria, a due anni di distanza niente e’ stato fatto. L'inerzia, sottolinea il Garante, e’ totale da parte di alcune amministrazioni, ma c'e’ da pensare che il fenomeno sia molto diffuso, «tale da esporre il nostro Paese ai rischi di gravi violazioni della disciplina comunitaria». Insomma, gran parte degli uffici pubblici opera, ha sottolineato l'Autorità, sprovvista «di un indefettibile presupposto di liceità, trattando dati sensibili e giudiziari relativi ad innumerevoli cittadini senza alcune necessarie garanzie, privando gli interessati della possibilità di conoscere le utilizzazioni effettive di dati che li riguardano». Anche quelle poche amministrazioni più sollecite si sono limitate a iniziative difformi al dettato della legge o inadeguate. Non si tratta, ha avvertito l'Authority, di «un mero adempimento formale di ricognizione di prassi esistenti», assolto magari con un'asettica citazione di fonti legislative. E’, invece, fondamentale capire che l'intervento richiesto dal decreto 135 ha effetti «innovativi e significativi sui diritti fondamentali di numerose persone interessate». Ecco perche’ l'Autorità ha suggerito uno schema di rilevazione e ha fornito alcune indicazioni su come avviare la ricognizione dei dati sensibili (consultabili anche sul sito www.garanteprivacy.it). Se le amministrazioni continueranno a evadere gli obblighi, allora il Garante si vedrà costretto, nei casi di violazione accertata, ad adottare «specifici provvedimenti di blocco o divieto del trattamento». Antonello Cherchi ========================================================= ___________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 17 feb. ’02 ANNO SANITARIO, I MEDICI DELL'ISOLA RILANCIANO LA PROPOSTA DELL'AGENZIA Cagliari, indagine sulla regione che ha un piano superato Un'analisi sincera ma Oppi ha disertato a. s. CAGLIARI. Da due anni e mezzo i medici sardi non si riunivano per parlare dei guai che incontrano in una regione con un piano sanitario vecchio di 17 anni, i rimborsi per i ricoveri ospedalieri più bassi d'Italia, nessun sistema di monitoraggio della spesa, tantomeno un osservatorio su come e perche’ ci si ammala. L'occasione c'e’ stata ieri per l'inaugurazione dell'anno sanitario, iniziativa inedita della federazione degli ordini che, dato il titolo, sembrava voler fare il verso ad altre istituzioni e invece e’ stato un incontro così sincero che qualcuno si e’ pure offeso. L'assessore alla Sanità Giorgio Oppi non e’ venuto e non ha mandato collaboratori ad ascoltare. Il presidente della federazione degli ordini dei medici Pierpaolo Vargiu ha rilanciato la proposta di istituire l'agenzia regionale per la sanità, «struttura che supporti l'attività dell'assessorato fornendo le competenze tecniche che mancano e garantendo l'attività di rilevazione sulle informazioni, di consulenza e di controllo di gestione delle asl, di supporto nell'informatizzazione e omegenizzazione delle procedure, di verifica e revisione della qualità dei servizi erogati». E se dovesse succedere che la Regione ne farà un carrozzone di poltrone per gli amici, dovremo rassegnarci a vedere ancora la fotografia fatta ieri da Vargiu della situazione sanitaria sarda: viviamo in una regione dove circolano manager che non sanno quant'e’ il debito dell'azienda sanitaria da loro gestita, dove non ci sono collegamenti informatici tra le aziende e tra queste e la Regione, dove si pagano i ricoveri pochi milioni l'uno ma, quando il paziente si fa curare fuori, allora si sborsano alle aziende di quelle regioni tutti i soldi che queste chiedono. Vargiu ha spiegato quel che si sa ma non sembra fare tanta paura: lo Stato dirà quale dovrà essere il livello di assistenza, la Regione dovrà decidere di cosa ha bisogno la popolazione e, se servono più soldi di quelli che lo Stato trasferisce, dovrà inventarsi un sistema per trovarli. Commentava il consigliere regionale Raimondo Ibba: il bilancio della sanità sarda e’ di 6.500 miliardi, con lo scadente armamentario della Regione c'e’ il rischio di spenderli ancora senza risultati per i cittadini. Riferiva Efisio Aste manager dell'Asl 8: «La Regione Sardegna e’ l'unica in Italia a non avere l'agenzia per l'ambiente quindi sulle usl gravano anche i costi per i controlli ambientali e i presìdi multizonali costano dai 18 ai 20 miliardi l'anno». Franco Meloni del Brotzu: i rimborsi per i ricoveri dei by pass alle coronarie sono di 12 milioni, ne costano nella realtà 20, in Lombardia il rimborso e’ di 25 milioni, che noi diamo a quelle regioni quando i nostri pazienti vanno a farsi operare là. Il patologo Alessandro Riva spiegava che la Sardegna e’ l'unica a non avere il protocollo d'intesa con l'università per le lauree brevi sulle professioni mediche (infermieri, ostetrici). Visto che l'assessore non ha mandato nessuno ad ascoltare riceverà una lettera con la sintesi del malcontento e sei proposte per assistere anziani, adolescenti, handicappati, tossicodipendenti, malati di tumore e coloro che subiscono un trauma cranico: nell'isola 2000 persone ogni anno, con una quota di circa 400 pazienti che esce dall'ospedale in sedia a rotelle ___________________________________________________________________ Il Manifesto 16 feb. ’02 MALLIANI:IPPOCRATE CONTRO IL MERCATO Una medicina contro la logica mercantile di tutela della salute. Parla Alberto Malliani,il docente italiano che ha partecipato alla stesura di un appello pubblicato dalla rivista "Lancet" LUCA TANCREDI BARONE "La vita e’ breve, l'arte e’ complessa; l'esperienza ingannevole, il giudizio difficile". Da quando - quasi 2500 anni fa - il padre della medicina empirica scriveva questo pragmatico aforisma, la scienza medica ha fatto passi in avanti che il povero Ippocrate di Coo non poteva certo immaginare. E non solo dal punto di vista delle conoscenze e della tecnologia. Anche l'antico giuramento che porta il suo nome si scontra oggi con la modernità di una scienza costretta ad abbandonare la sua pretesa incorruttibilità per confrontarsi con gli altri attori della società. E per un moderno discepolo di Ippocrate, alle prese con finanziamenti sempre più interessati, esprimere un giudizio obiettivo e’ più che mai difficile.@Così nel numero del 9 settembre Lancet, la nota rivista britannica di medicina, pubblica in contemporanea agli Annals of internal medicine una "Carta per la professionalità medica", una sorta di codice deontologico per i medici di tutto il mondo. Si tratta di un documento innovativo stilato da 15 medici (8 americani e 7 europei) in più di due anni di lavori. "La professione medica oggi - si legge nel documento - e’ messa di fronte a una esplosione di tecnologia, alle mutevoli forze di mercato, ai problemi nell'erogazione dei servizi sanitari, al bio-terrorismo e alla globalizzazione. Di conseguenza i medici trovano sempre più difficile tenere fede alle proprie responsabilità nei confronti dei pazienti e della società". E' da queste considerazioni che nasce, secondo gli estensori, l'esigenza di riaffermare in chiave moderna alcuni dei principi cardine individuati per la prima volta da Ippocrate.@Unico membro italiano del gruppo e’ il professor Alberto Malliani, docente all'Università degli studi di Milano e presidente dell'Associazione di medicina interna italiana. Oltre alle sue ricerche di base nel campo del sistema nervoso neurovegetativo, Malliani cerca da tanti anni di riflettere anche sui principi etici nella pratica clinica, ed e’ stato grazie a una lezione che aveva tenuto su questo tema nel 1999 che e’ stato selezionato per far parte della commissione che ha steso il documento. La sua sensibilità per il rapporto con la società civile e’ testimoniata anche dal fatto che in passato e’ stato il rappresentante italiano della Associazione internazionale di medici per la prevenzione dalla guerra nucleare (Ippnw) e oggi e’ il presidente di Vidas, una associazione milanese di volontari per l'assistenza dei malati inguaribili di cancro.@"Qualche tempo fa il New England Journal of Medicine ha scritto polemicamente in un editoriale: `La medicina accademica e’ in vendita?' - racconta Malliani - Si riferiva a quei settori della medicina dove la corruzione e’ più diffusa, soprattutto in quei campi in cui la complicità con gli interessi industriali e’ particolarmente forte".@Dice proprio così Malliani, "corruzione", senza paura di usare questa parola per indicare le connivenze con interessi poco trasparenti.@"Il problema - continua - non e’ tanto che alcune persone guadagnino miliardi grazie al sostegno delle industrie: se uno ci paga le tasse, diventa una scelta di coscienza. Il problema e’ quando le società di medici che nascono per rispondere a interessi industriali particolari scrivono le linee guida per quel determinato campo medico. E' una situazione di conflitto di interesse non più accettabile".@Il documento che hanno stilato i 15 medici si compone di due parti: tre "principi fondamentali" e dieci "impegni" divisi per ambito. I principi sono, nella sostanza, puramente ippocratici: la centralità del bene del paziente, l'autonomia del paziente, la giustizia sociale. Ma leggendo fra le righe si intravede qualcosa di più squisitamente moderno: "le forze del mercato, le pressioni della società e le esigenze amministrative non devono compromettere il principio della centralità del bene del paziente", recita il documento. Poco più sotto, nella parte dedicata all'autonomia del paziente, campeggia un'altra parola chiave: "empower", dare al paziente il potere consapevole di scelta sulla propria cura. Infine il medico non deve più solo curare tutti nello stesso modo, indipendentemente dalle condizioni socio- economiche, come prevede l'attuale versione del giuramento di Ippocrate, ma secondo gli estensori del documento i medici sono tenuti a fare qualcosa di più: "Il medico deve promuovere la giustizia nei sistemi di cura, compresa una distribuzione equa delle risorse sanitarie. I medici devono lavorare attivamente per eliminare le discriminazioni del sistema sanitario". Malliani e’ d'accordo, e precisa: "C'e’ da fare anche una distinzione molto importante, ontologica: un conto e’ la `medicinà, con le sue forti connotazioni etiche fondanti, e un conto e’ la `sanità', la gestione delle cure. Questi due termini non vanno confusi come spesso accade: i valori fondanti della medicina non possono essere erosi dall'economicismo" @Ma i principi che avete espresso, per quanto lodevoli, non sono forse un pò troppo vaghi per essere applicabili? @Da una parte questo e’ vero. Ma non si può scendere troppo nel dettaglio: ogni realtà in ogni angolo del mondo ha le sue caratteristiche specifiche. Un principio serve per dare una indicazione di comportamento che valga in contesti diversi: e’ importante mettere dei paletti, sta poi al singolo valutare come applicare il principio. C'e’ un esempio concreto che possiamo fare: autonomia del paziente vuol dire che e’ lui a dover prendere le decisioni. Ma quando un paziente dà il cosiddetto "consenso informato" durante i trial clinici, e’ davvero informato? Chi gli chiede il consenso, la stessa persona che lo cura o una terza persona che forse lo può influenzare di meno? Il punto e’ che bisognerebbe cercare riflettere su cosa vogliano dire questi principi nella pratica quotidiana. @A proposito di giustizia sociale, la Lega nord propone di non curare gli immigrati entrati clandestinamente nel nostro paese... @Per fortuna in Italia, almeno per ora, la Lega lo dice e basta e noi continueremo a curare tutti, come ci impone la nostra professione e la nostra coscienza. Ma ricordiamoci che negli Stati uniti ci sono 45 milioni di persone senza assicurazione sanitaria: scrivere nero su bianco un impegno come quello di promuovere sistemi sanitari più equi vuol dire già molto. @Dopo i principi, il documento elenca dieci "impegni", dieci "comandamenti". C'e’ l'impegno alla competenza professionale, all'onestà con i pazienti, alla confidenzialità, al rispetto del rapporto medico-paziente... @Beh, intanto che siano proprio dieci e’ successo per caso. Io poi ne avrei preferiti nove o undici, dieci mi sembrava troppo poco auto-ironico.@Comunque, questi dieci "comandamenti" nascono dall'esigenza di rendere più concreti alcuni aspetti che per la verità sarebbero già impliciti nei principi generali. Ma aver delineato in particolare alcuni ambiti significativi di applicazione dei principi e’ stato secondo noi importante per aiutarci a comprendere dove concentrare i nostri sforzi. @Forse l'impegno più clamoroso e’ quello legato alla gestione del conflitto di interessi dei medici: "I medici hanno l'obbligo di riconoscere, rivelare al pubblico e gestire i conflitti di interesse che insorgano durante i loro doveri professionali e le loro attività", recita il penultimo "impegno". @Il conflitto di interessi non e’ un peccato, e’ una condizione in cui ci troviamo quasi tutti noi molto facilmente. Il problema e’ che questi conflitti di interesse devono essere messi in condizioni di non nuocere. Quindi l'importante e’ che siano trasparenti. Ad esempio, se posso dettare delle linee guida e sono influenzato da qualche conflitto di interesse, ho il potere di far spendere allo stato - e far guadagnare a una casa farmaceutica - un sacco di soldi: suggerendo di usare un farmaco più costoso di un altro, magari altrettanto efficace.@Pensiamo poi a cosa accade quando ci sono gruppi editoriali di riviste internazionali gremiti di persone che vivono di soldi industriali. E' chiaro che si dubiterà dell'obiettività dei loro editoriali o dei contributi che accettano o rifiutano. Come pure sarà legittimo dubitare dell'obiettività delle prescrizioni di apparecchi medici (siano ginocchi artificiali o apparecchi per i denti) da parte di un medico che possieda, come accade regolarmente negli Stati uniti, azioni regalate dalle aziende produttrici degli stessi apparecchi. @Ma come fare a diffondere una maggiore sensibilità verso questo tema da parte dei medici ricercatori? @C'e’ una fioritura mondiale di consapevolezza in questo momento, per cui c'e’ tanta gente che chiede maggiore attenzione: ecco perche’ e’ importante che due riviste così importanti pubblichino contemporaneamente lo stesso documento. In fondo, ci stiamo giocando il futuro della credibilità della medicina stessa, siamo noi che dobbiamo riscattarla mettendo a nudo le situazioni che potrebbero condizionare le nostre ricerche.@Per parte mia, cerco di fare la mia parte: vorrei fare in modo che questo documento arrivi a tutti i medici, che tutti possano rifletterci sopra. Vedremo.@ ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 feb. ’02 MEDICI, IL FEDERALISMO CAMBIA LO STATO GIURIDICO Ministro, sindacati e Regioni discutono la mappa delle competenze ROMA - E’ tempo di devolution anche per i medici. E per i camici bianchi sarà come per i farmaci: la palla passa alle Regioni. Con ampia autonomia locale, sia per la definizione dello stato giuridico che per la messa a punto delle politiche contrattuali. Come richiesto dalle Regioni, che domani formalizzeranno la proposta attraverso i "governatori", il ministro della Salute, Girolamo Sirchia, e’ pronto ad asciugare considerevolmente la bozza del Ddl di riforma in preparazione sul rapporto di lavoro dei medici col Ssn. Allo Stato resterà la competenza sui principi generali del rapporto di lavoro. Alle Regioni andrà praticamente tutto il resto, ma con contenuti ancora da stabilirsi. Anche in attesa di arrivare a un "accordo-cornice" che fissi i capitoli di competenza del contratto nazionale e quelli da riservare alla contrattazione regionale. Sono queste - come anticipato dal Sole-24 Ore l'8 febbraio - le basi della riforma che ieri Sirchia ha illustrato al plenum dei sindacati medici. Dai quali e’ arrivata la conferma della spaccatura totale esistente tra le sigle in campo. Con un filo rosso di condivisione, però: il timore di lasciare troppo potere alle Regioni sul versante contrattuale. In queste ore, intanto, i sindacati invieranno formalmente le loro osservazioni al ministro. E sempre oggi sono attesi a un nuovo round, in qualche modo inedito ma ormai da considerare istituzionale: il vertice con le Regioni. Che però ieri hanno subito messo in chiaro: "Non c'e’ alcun testo legislativo approvato dalle Regioni. Siamo solo a una proposta sul metodo di lavoro. Se vi saranno le necessarie convergenze, si arriverà anche a una discussione di merito", ha frenato l'assessore dell'Emilia Romagna, Giovanni Bissoni. Quale riforma. Lo Stato dovrà limitarsi con propria legge a disciplinare "due principi generali": la natura del rapporto di lavoro, che dovrà essere "di dipendenza" o di "collaborazione di natura coordinata e continuativa" (i rapporti libero professionali "a tempo" con medici esterni al Ssn, secondo limiti indicati in sede locale); la regola che il rapporto di dipendenza deve avere "natura esclusiva". Sul "dettaglio" della disciplina, in forza della riforma del titolo V della Costituzione (legge 3/2001) verrebbe riconosciuta "effettiva autonomia" alle Regioni, "sia nella precisazione dello stato giuridico che nella definizione delle politiche contrattuali", si afferma nel documento consegnato ai sindacati. Un "tavolo tecnico" dovrà intanto delineare i reciproci ambiti di legislazione, nazionale e regionale, per chiarire gli "indirizzi comuni sulla contrattazione". Nel tentativo di arrivare a un accordo-quadro. E proprio al tavolo tecnico vengono affidati come "punti di riflessione" i contenuti della riforma originaria di Sirchia: neo assunti, età pensionabile, ma soprattutto compiti dei liberi professionisti "a tempo", libera professione nel Ssn e negli studi dei dipendenti. Sindacati pro e contro. La spaccatura tra sigle conferma le posizioni dei giorni scorsi. Sul fronte del "sì" a Sirchia e’ "Intesa medica" (Anpo, Cimo e Cisl), che ha espresso "parere favorevole sia per il metodo e il percorso individuati, sia per i principi informatori del documento di lavoro", pur notando la "delicatezza" del confronto con le Regioni. Per Federazione medici" (Uil, Fnam-Simges, Coas, Cumi, Nuova Ascoti, Fials) e’ stato un incontro "costruttivo", non senza segnalare però i rischi sul versante contrattuale. "Non condivisibile": questa invece la secca bocciatura di "Intersindacale", che (con Anaao, Fesmed, Umsped, Cgil, Civemp e Snabi Sds) riunisce il 60% della categoria. La ripartizione di ambiti tra legge e contratto nazionale dev'essere "chiara", si afferma, e il contratto di lavoro resta "la natura di fonte giuridica primaria". Di qui la richiesta di conservare lo stato giuridico unico a livello nazionale, senza deroghe alle Regioni. E i rischi paventati: l'ingresso di medici esterni al Ssn che sostituirebbero i dipendenti creando un "precariato permanente", la perdita del diritto all'esercizio della libera professione e della "certezza" degli attuali livelli economici conquistati. Oggi le Regioni scopriranno le loro carte. Se riusciranno a farlo all'unisono. Roberto Turno ___________________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 feb. ’02 POLICLINICO: ESAMINATO IL "CASO" SANTA CRUZ E’ conto alla rovescia per il futuro di Medicina legale C’e’ incertezza sull’esito del ricorso al Tar contro l’assegnazione della cattedra universitaria di Medicina legale. I giudici amministrativi hanno esaminato il caso nella tarda serata di martedì, ma l’esito della decisione di merito si conoscerà probabilmente la prossima settimana. Con un decreto dell’11 ottobre scorso il rettore Pasquale Mistretta aveva nominato Giuseppe Santa Cruz ordinario di Medicina legale. In precedenza, il professor Santa Cruz era stato confermato anche alla direzione di Medicina legale al Policlinico di Monserrato. Due provvedimenti impugnati da Francesco De Stefano, medico legale e docente universitario, in città da alcuni anni. Attraverso i legali Gianni Contu e Matilde Mura, il professor De Stefano contesta il passaggio di un anatomo patologo (Santa Cruz) alla medicina legale, citando il parere sfavorevole del Comitato universitario nazionale. Il professor Santa Cruz, rappresentato dall’avvocato Roberto Candio, dirige l’istituto di Medicina legale dal 2 febbraio 1998. ___________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 17 feb. ’02 ASL8: QUEI MEDICI DI BASE COSÌ SPENDACCIONI Polemico botta e risposta col manager alle prese con le super spese della Asl 8 Regione sotto accusa all'inaugurazione dell'anno sanitario promossa dagli Ordini Alessandra Sallemi CAGLIARI. Suscettibili, i medici di base cagliaritani. Ieri il direttore generale della Asl 8 Efisio Aste invitato al «momento di riflessione sullo stato dei bisogni dell'assistenza in Sardegna» promosso dalla federazione degli ordini parlava di spese cresciute e ne ha citata una: «E' bastato che un ticket venisse tolto perche’ la penna veloce di alcuni colleghi ci facesse lievitare la spesa, ci sono medici di base che hanno un potere enorme di prescrizione di farmaci e di prestazioni tecnologiche e andrebbe ricordato che prima di mandare a fare analisi bisognerebbe visitare il paziente... Alla Asl 8, nel gennaio 2001 e’ stato prescritto Aulin per 2 miliardi di lire...». Qualche intervento dopo, Silvio Piras medico di base ha dichiarato di sentirsi offeso e ha ricordato che in Italia tutta la spesa per i farmaci e’ cresciuta del 20 per cento e «questo non e’ dovuto a criminalità bensì a diversi fattori come l'abolizione del ticket ma anche l'uscita di nuovi farmaci antiasma, antidepressivi ecc.» Palestra di questi e altri botta e risposta e’ stata la sala conferenze del Cis dove la federazione regionale degli ordini dei medici ha celebrato ieri una inaugurazione dell'anno sanitario 2002 che il presidente Pierpaolo Vargiu ha spiegato subito non essere «un'autocelebrazione dei medici, ne’ una passerella per l'ordine professionale». Il sospetto, a leggere il nome dato alla manifestazione, era venuto, ma il calore degli interventi e il peso dei problemi che la Sardegna affronta ogni giorno alla fine ha accreditato la giornata addirittura come necessaria. Grave l'assenza dell'assessore regionale alla sanità Giorgio Oppi soprattutto perche’ non ha ritenuto di mandare almeno un funzionario ad ascoltare cos'avessero da riflettere i medici sardi. Il quadretto che e’ venuto fuori, in sintesi, e’ questo. La Regione non sa quante persone si ammalano ogni anno nell'isola e di che cosa, non sa quanti malati cronici assiste, non sa in quali zone della Sardegna si concentrano malattie da ambiente come alcuni tipi di tumori. Sono finiti i tempi in cui si spendeva e basta, ma la Regione non ha strumenti informatici e risorse umane per studiare dove e come spendere i soldi. Lo Stato aveva affidato la formazione di medici e infermieri ai protocolli di intesa tra Università e Regioni ma la Sardegna e’ rimasta l'unica a non avere prodotto accordi per far fare l'indispensabile pratica agli studenti delle varie scuole. Inutile accampare problemi di spesa: «Non diamo alibi alle regioni - spiegava il parlamentare di Forza Italia Piergiorgio Massidda - perche’ il governo ha stanziato finanziamenti aggiuntivi per sostenere le regioni che non arrivano a raggiungere i 'leà, livelli essenziali di assistenza». Il guaio e’ che ormai questa nostra Regione lenta e inefficiente dovrà programmare tutto quello che riguarda la nostra salute. E' il federalismo in versione sanitaria e, ieri, Vargiu ha chiesto «di stringere un patto virtuoso con i pazienti che ci aiuti a garantire i loro diritti e le loro aspettative... oggi siamo qui per chiedere che tutte le scelte vengano fatte pubblicamente, consentendo a tutti di capire quali sono gli attuali bisogni di salute in Sardegna e quante le risorse disponibili». Ecco perche’ «non e’ più possibile non avere un osservatorio epidemiologico, non e’ più possibile non avere un registro tumori che ci consenta di ragionare sulle peculiarità della malattie oncologie nelle aree che si sospetta siano a rischio come Sarroch, Portotorres, Portoscuso, non e’ più possibile che non si riesca a controllare e a recuperare dalle altre regioni la spesa dei farmaci che la Regione Sardegna regala ogni estate ai turisti, non e’ più possibile che la sanità sia gestita a spanne con lodevoli intuizioni personali...». Il viaggio burocratico dell'agenzia regionale della sanità, strumento operativo per la programmazione sanitaria, e’ cominciato: ma e’ ancora lungo e c'e’ sempre il rischio che, strada facendo, diventi il carrozzone che pochi, ma forti, vorrebbero. Raimondo Ibba consigliere regionale: «Il problema dei problemi e’ stabilire quali sono i bisogni: perche’ finora ci si e’ rifatti alle medie nazionali. Poi, ogni volta che qualcuno e’ andato a studiare la situazione di una patologia in Sardegna, si e’ scoperto che i valori sono ben diversi. Se non si misurano i nostri bisogni non potremo costruire il sistema dei servizi...». ___________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 17 feb. ’02 IL DIRETTORE GENERALE DEL POLICLINICO:«GUARDATE CHE QUI L'ASSISTENZA SI FA» Continuano i trasferimenti di letti a Monserrato. In attesa del protocollo con la Regione CAGLIARI. E' un poco, diciamo, alterata la professoressa Rossella Coppola direttore generale del Policlinico universitario dopo che il manager della Asl invita l'università a farsi avanti. «Anche l'Università sta facendo assistenza - spiega -. Esiste un policlinico ancora non completo, stiamo cercando di far decollare la struttura di Monserrato. Ma esistono limiti paralizzanti per la sanità in Sardegna: manca un piano sanitario regionale, ritengo difficile garantire una sanità adeguata con principi vecchi di vent'anni...». Il chirurgo vascolare Giovanni Brotzu tira su la voce di qualche tono: «Quando ero studente ero obbligato a frequentare l'università. Ora, invece, la politica regionale e locale mi sembra che siano orientati soltanto a impedirci l'attività. Allora io chiedo: noi i medici come li dobbiamo preparare? Sapete cosa credo: che ormai gli unici veri baroni siano i manager, altro che gli universitari». La storia e’ questa: i docenti universitari insegnano in aula ma anche, soprattutto, in corsia, in sala operatoria, in laboratorio e, nel tempo, gli spazi messi a disposizione dalle strutture del servizio sanitario nazionale si sono ristretti. Tutto si doveva concentrare a Monserrato, uno splendido complesso luminoso ed elegante, ma il trasferimento dei vari istituti procede a passo lento. «Anche su questo ho qualcosa da dire - spiega Coppola -. La struttura di Monserrato ha cominciato a funzionare nel 1999. A poco a poco il volume di lavoro e’ aumentato, ora ci sono 104 posti letto per i ricoveri ordinari, 50 per il day hospital, nel 2001 si sono fatti 6 mila ricoveri, tutti i giorni ci sono 200-300 accessi per le analisi di laboratorio. Funzionano ematologia, allergologia, immunologia, oncologia, gastroenterologia, il centro per lo studio del diabete, il centro di riferimento per le malattie della coagulazione e l'afflusso degli utenti e’ cresciuto negli ultimi mesi perche’ ci si e’ resi conto che abbiamo una struttura di accoglienza di qualità. In queste settimane stiamo trasferendo le attività della clinica Aresu». Per ora, tutto questo funzionerà con gli stessi criteri amministrativi e organizzativi del passato: «Ci vuole infatti il protocollo d'intesa Regione- Università (Cagliari e Sassari) per l'assistenza integrata, da questo potrebbe discendere l'azienda mista Regione-Università. Il protocollo lo si sta facendo, ma a rilento, perche’ bisogna conciliare le esigenze del personale ospedaliero con quello universitario. Deve nascere una nuova struttura che funziona grazie alla sinergia delle due realtà e che ha compiti differenti rispetto a quelli contenuti nella convenzione Università-Usl dove gli universitari erano integrati nei vari ospedali cagliaritani e gli studenti giravano la città per fare pratica». Si andrà avanti coi vecchi rapporti, ma non si potrà procedere così in eterno: il decreto istitutivo del Policlinico universitario imponeva un rapporto di 3 posti letto per ogni studente iscritto al primo anno e questo traguardo e’ ancora lontano. ___________________________________________________________________ L’Unione Sarda 13 feb. ’02 NEL 2003 LO SVINCOLO PER IL POLICLINICO Tredici minuti per superare il semaforo sulla “554” e svoltare a sinistra verso Sestu. Il Policlinico, cattedrale di vetro e cemento affiancata alla Cittadella universitaria, sembra una cosa lontana e irraggiungibile: il budello per arrivarci non supera il chilometro. La carreggiata s’allarga dopo l’ultima curva e diventa meno insidiosa. Un cartello, finalmente: Policlinico, 800 metri a destra superato l’ingresso della Cittadella. «Solo tredici minuti al semaforo? Fortunato. All’ora di punta e’ peggio». Chissà cosa potrebbe accadere in caso di emergenza. «Successo. Sirene spiegate per forzare il traffico: non ci sono alternative». Rossella Coppola (51 anni, genovese, ordinario di Igiene e medicina preventiva, dal marzo scorso direttore generale del grande ospedale universitario di Monserrato costato 95 miliardi) ha la calma di chi insegue una meta importante: far sopravvivere l’ospedale. Come? «Arricchendolo con i servizi che ancora non ha». Come la viabilità esterna: «Il problema principale da risolvere». Inaugurato nel marzo 2000, il Policlinico (260 posti letto in 5 padiglioni, 104 pazienti attualmente ricoverati in 10 reparti dove lavorano circa 500 dipendenti tra medici e infermieri) e’ meta quotidiana di pazienti e studenti di medicina ma e’ ancora un’incompiuta: ha servizi come radiologia, diagnostica di laboratorio, degenza e day hospital però mancano pronto soccorso, dialisi, rianimazione. «Aspettiamo le autorizzazioni della Regione», spiega il direttore generale: «Questione di mesi, sembra». Fondamentali per aprire le sale chirurgiche: «Se queste non possono funzionare non e’ possibile avere il pronto soccorso per le urgenze». I pazienti vanno e vengono: ricoveri, analisi, prelievi. «Il numero di esterni che arrivano da noi per i prelievi supera già quello della clinica Aresu». Più visite vuol dire più traffico, e il budello dal semaforo alla Policlinico e’ una strozzatura che rischia di paralizzare la statale ”554” e impedire l’accesso all’ospedale. «Il Rettore ha chiesto più volte la costruzione delle strade, ma nulla e’ cambiato: la mancanza di un vero e proprio svincolo isola l’ospedale». Aggiunto agli altri problemi (mancanza di servizi e prospettive), un rischio per il decollo autentico di un presidio che ha le potenzialità per assorbire i reparti universitari e diventare, per la sua collocazione e proiezione verso l’interno dell’isola, un centro fondamentale per l’assistenza sanitaria. Rossella Coppola denuncia il problema dei collegamenti coinvolgendo anche il servizio pubblico: «Siamo collegati alla città soltanto dalla linea 8. Troppo poco». Lunghe attese: «Oltre un’ora da un capolinea all’altro» Proposto pochi mesi fa: «Un bus-navetta per i pazienti in arrivo dal Sulcis-Iglesiente. Potrebbero scendere alla stazione ferroviaria di Elmas e, invece di proseguire per piazza Matteotti, salire su un bus e giungere facilmente al Policlinico. Aspettiamo ancora la risposta del Ctm». Anche spostarsi all’interno della Cittadella non e’ facile ne’ economico. «Avevamo una circolare: collegava l’ingresso della Cittadella al Policlinico e costava 30 milioni al mese. Troppo. Stiamo valutando altre proposte. Nel frattempo aspettiamo che la Provincia si decida a farci le strade». Renzo Zirone, assessore provinciale alla Viabilità, non annuncia tempi brevi: «Via ai lavori ai primi del 2003». Mesi (anni?) di passione per il Policlinico. Nel frattempo? Zirone: «Un gruppo di sette persone sta lavorando al progetto. Abbiamo già il primo finanziamento di 9 miliardi per la prima parte degli interventi che, una volta conclusi, verranno a costare 20 miliardi». Tempi: «Entro il 2003 sarà completato il 50 per cento dei lavori». Sorpresa: «Fra dieci, forse quindici giorni inizieranno i lavori nella bretella che dal semaforo sulla 554 conduce alla Cittadella. La carreggiata sarà allargata di 5 metri». Sarà tolto il guard rail che ora impedisce di superare (per chi giunge da Quartu) il semaforo tra la 554 e la provinciale per Sestu. Il resto dell’opera seguirà. Lentamente. Senza fretta. Pietro Picciau ___________________________________________________________________ L’Unione Sarda 12 feb. ’02 CAGLIARI: L’OSPEDALE CIVILE INVASO DAI TOPI Da giovedì il reparto di Cardiologia e’ chiuso per la disinfestazione Sospesa l’attività programmata, le urgenze al Brotzu Al San Giovanni di Dio ormai e’ allarme rosso. Il grande ospedale civile cagliaritano e’ invaso da topi e blatte: animali molto furbi che, complici gli eterni lavori di ristrutturazione, si aggirano indisturbati tra i reparti. Per non parlare delle discariche a cielo aperto, testimonianza di cantieri ancora aperti, nei quali i roditori hanno deciso di stabilire la loro residenza. L’ultima segnalazione e’ di qualche giorno fa: tracce di un roditore sono state trovate nella divisione di Cardiologia, al terzo piano del vecchio ospedale. Secondo alcuni medici e infermieri, avrebbe approfittato delle impalcature usate dall’impresa per i lavori di rifacimento della facciata e si sarebbe introdotto, attraverso una finestra lasciata aperta, nelle stanze del reparto. "Un topo di passaggio", si affrettano a precisare i responsabili del Civile, che ha lasciato tracce inequivocabili sul davanzale e in altri punti. Escrementi che, secondo gli esperti del Centro provinciale antinsetti (Cpia), apparterrebbero a un roditore di fogna, agile quanto basta per arrampicarsi sino al terzo piano. Da giovedì la divisione universitaria diretta da Luigi Meloni e’ off limits per un intervento straordinario di disinfestazione. Gli addetti del reparto sono al lavoro armati di guanti e potenti insetticidi per eliminare la scomoda presenza. Una task force che lavora per riportare la situazione igienica alla normalità. Così negli ambulatori dove si impiantano pacemaker, si fanno interventi di emodinamica, ergonometria ed ecocardiografie vanno in onda le grandi manovre di pulizia. L’attività del reparto e’ stata interrotta per un intervento radicale. Ci sono da spostate le brande, i comodini, le apparecchiature mediche. Insomma ogni centimetro del reparto va battuto con potenti disinfestanti. Una battaglia dura, i topi, si sa, sono animali intelligenti, numerosi e difficili da eliminare. Per questo i tecnici hanno studiato attentamente una strategia, ma sconfiggerli sembra un’impresa difficile. Per i pazienti qualche disagio: l’attività del reparto, quella programmabile, e’ stata bloccata, le urgenze sono state trasferite al Brotzu. Una situazione che tornerà alla normalità solo domani, quando i vapori dei potenti insetticidi saranno scomparsi. Al terzo piano del Civile la prendono con filosofia: evidentemente sono abituati a convivere con roditori e insetti di ogni specie. "Manca il personale e la Asl per integrare ha assunto i topi", dice con tono beffardo un infermiere addetto alla bonifica. Una storia vecchia di decenni: agli inizi degli anni settanta balzò agli onori della cronaca una lettera, polemica quanto ironicamente intelligente, che l’allora primario Peppinello Saba fece affiggere all’ingresso della Clinica universitaria di Anestesia e rianimazione, da lui diretta: cercasi gatto di sana e robusta costituzione per dare la caccia ai topi. Ma da scherzare nell’imponente ospedale costruito da Cima nel 1800 c’e’ poco. Il San Giovanni, come tutta la città, e’ diventata una terra di conquista per questi animali. Gli scavi per la realizzazione dei sottoservizi che hanno ferito la città, hanno aperto infinite vie di fuga per i roditori. Un problema serio, soprattutto dal punto di vista igienico, in locali dove la pulizia dovrebbe essere una costante. E il San Giovanni di Dio e’ come una vecchia bomboniera: bella fuori brutta dentro. Certo, e’ un periodo di transizione ma l’igiene e la pulizia non vanno prese sotto gamba. Andrea Artizzu ___________________________________________________________________ L’Unione Sarda 13 feb. ’02 CAGLIARI: "L’OSPEDALE CIVILE NON SI TOCCA" San Giovanni di Dio. Oggi si saprà qualcosa sulla riapertura ma la trasformazione e’ rimandata "L’ospedale civile non si tocca" Resta chiuso il reparto di Cardiologia invaso dai topi Porte sbarrate anche ieri al San Giovanni di Dio nel reparto di Cardiologia: la caccia ai topi che avevano messo in allarme medici e infermieri e’ finita ma soltanto oggi si saprà se i locali (dove tra l’altro si effettuano importanti esami sul cuore) sono agibili o se ancora per qualche giorno si debba ricorrere ai servizi del "Brotzu". Davanti alla facciata rimessa a nuovo e agli importanti restauri in corso d’opera (costo 33 miliardi), la presenza dei roditori viene liquidata come un incidente di percorso: nessun rischio per i ricoverati o per l’operatività della struttura ospedaliera universitaria. Con qualche perplessità seminascosta: ma l’edificio realizzato da Gaetano Cima nel tardo Ottocento non potrebbe essere utilizzato meglio come centro per attività culturali? L’idea, per la verità, non e’ nuova. Una decina di anni fa era venuta al consigliere comunale Raimondo Ibba (oggi presidente dell’Ordine dei medici e consigliere regionale socialista) partendo proprio dal degrado e dall’inadeguatezza in cui si trovava il complesso ospedaliero, aveva suggerito la sua trasformazione in un "Centro culturale della città". "Mi rendo conto - sottolinea Ibba - che oggi come allora i cagliaritani avrebbero un posto in più dove trovare libri da consultare, studiare, un grande salotto per l’arte e quant’altro di culturale può trovare d’accordo la gente. Però devo prendere atto che Cagliari non può rinunciare ad avere un ospedale al centro della città anche se ha costi di gestione pazzeschi. Tutto diventerebbe più facile con la piena utilizzazione del Policlinico universitario e della clinica Aresu per la ricerca e la didattica. Mi rendo conto che il problema e’ abbastanza complesso, tuttavia qualcosa bisogna fare in nome dei pazienti e di una sanità a misura d’uomo". Raimondo Ibba nella sua idea non e’ solo ma quasi poiche’ l’edificio firmato dall’architetto Cima viene visto solo in chiave ospedaliera. "Spero soltanto - dice Sandro Balletto, presidente della Provincia - che con tutti i soldi che si stanno spendendo diventi a tutti gli effetti civile e non sia più un ospedale da Terzo mondo. Dev’essere valorizzato al massimo poiche’ fa parte integrante della città anche sotto il profilo storico e geografico. Pensiamo anche all’Europa: non possiamo ne’ dobbiamo presentarci come se appartenessimo a un altro pianeta". Anche il sindaco Emilio Floris punta sul "San Giovanni" per garantire alla città un’assistenza degna del nome e della sua tradizione. "Mi rendo perfettamente conto - dice - delle difficoltà che si possono incontrare nella gestione e nell’organizzazione di un ospedale che ha tutti i suoi anni. Però dobbiamo impegnarci a migliorarlo ancora. Personalmente penso anche al "Santissima Trinità" di Is Mirrionis che pone ugualmente problemi di organizzazione e di funzionalità". Il Tribunale del Malato, che ieri si e’ riunito sotto la presidenza della dottoressa Luisanna Giua, ormai non nasconde più che bisogna fare di tutto per arrivare in tempi brevi al trasferimento delle cliniche universitarie del San Giovanni di Dio e dei reparti della Clinica Aresu nel nuovissimo (ma praticamente vuoto) Policlinico di Monserrato. "Il San Giovanni di Dio - dice la presidentessa - e’ praticamente in campagna. La struttura andrebbe ripulita di tutto ciò che nel corso degli anni (e delle varie esigenze) e’ stato accorpato alla struttura originaria. Qualche reparto e’ stato rimesso a nuovo ma si avverte la mancanza di spazi: non c’e’ più un angolo dove mangiare o poter incontrare i parenti. Anche il "Brotu" - aggiunge la presidentessa del Tribunale - sta perdendo spazi utili per i malati. Per contro il Policlinico universitario e’ tristemente vuoto e sottoutilizzato. Per questi motivi abbiamo inviato una lettera di protesta alla Regione e all’Università denunciando la situazione. Se ci sono sprechi e omissioni che intervenga pure la magistratura competente (la Corte dei Conti?) o altri organi di controllo". Insomma, a ben vedere, tutti sono per un ospedale civile bello ed efficiente. Non più una zona franca per i topi sfrattati dalle loro tane dalle ruspe dei cantieri aperti. Il direttore generale Efisio Aste non nasconde l’amarezza ma sdrammatizza e getta acqua sul fuoco. Però sotto sotto non nasconde neppure l’ipotesi di una congiura nei suoi confronti e della Asl 8. "Topi in cardiologia? Ma lasciamo stare, certi segni possono arrivare anche da fuori". Cioe’? "Ma lo volete sapere che non sono candidato da nessuna parte?" Ci scusi dottor Aste, ma questo i topi non lo sapevano. Scherzi a parte, oggi in Cardiologia la situazione dovrebbe gradualmente tornare alla normalità. Giovanni Puggioni ___________________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 feb. ’02 BROTZU: GUERRA PER I TRAPIANTI DI FEGATO L’azienda ospedaliera replica all’assessore che ha bloccato l’autorizzazione «La Regione conosceva la richiesta del Brotzu» Caro assessore, non e’ vero che la Regione non sapeva della richiesta del Brotzu di autorizzazione ai trapianti di fegato. I toni della lettera firmata dalla direzione dell’azienda ospedaliera non sono così diretti, ma il senso della risposta a Giorgio Oppi e’ chiaro. La scelta dell’assessore regionale alla Sanità (bloccare l’iter ministeriale che poteva dare al Brotzu il via libera ai trapianti) fa esplodere la polemica. «La Regione non era al corrente del progetto e avrebbe considerato il sì del ministero una lesione dell’istituto autonomistico», ha detto l’assessore. E soprattutto lo ha scritto in un fonogramma indirizzato al Consiglio superiore della sanità, che stava appunto per discutere della richiesta dell’azienda ospedaliera cagliaritana. «Sarebbe stato più corretto se il Brotzu ci avesse chiesto l’autorizzazione», ha anche aggiunto l’assessore, e le reazioni non sono tenere. Ieri Franco Meloni, direttore generale del Brotzu, ha messo nero su bianco la propria versione. La polemica riguarda l’istanza di autorizzazione al trapianto di fegato, presentata il 27 dicembre 2000 al ministero della Sanità. «Tale organo Ñ sottolinea Meloni Ñ era allora (e lo e’ ancora) l’unico a poter rilasciare le autorizzazioni. In pari data l’istanza e’ stata trasmessa all’assessorato regionale all’Igiene e sanità». Non solo: tre mesi fa il Brotzu ha comunicato al ministero una variazione della richiesta, e anche in quella occasione, precisa il direttore generale, non ha mancato di farlo sapere all’assessorato. «Devo quindi concludere che l’assessore non e’ stato informato dai suoi funzionari». Quanto alle accuse di scorrettezza, il manager del Brotzu non le ha prese bene: «Se e’ pur vero che non condividiamo le scelte dell’assessore in materia, e’ altrettanto vero che siamo stati, come sempre, corretti e leali nei confronti suoi e della Giunta». Scrivono a Oppi anche i primari del Brotzu: «Ci riesce difficile comprendere i motivi di decisioni e di atteggiamenti di sapore punitivo nei confronti non tanto dell’ospedale ma soprattutto dei pazienti», si legge nella lettera firmata da ventidue medici. «Il nostro ospedale Ñ proseguono Ñ non e’ secondo a nessuno quanto a titoli scientifici e professionali e soprattutto non necessita di finanziamenti specifici o di aumenti di pianta organica. La pratica e’ stata fermata per altre ragioni. Ci permettiamo di chiederle di spiegarci “l’accordo politico” in base al quale dovremmo essere esclusi da un’attività così importante». E mentre la sanità cagliaritana polemizza, i medici di tutta l’isola richiamano l’attenzione delle istituzioni sui problemi di pazienti e operatori. Se ne parlerà sabato, alle 16 nella sala convegni della Banca Cis, nell’inaugurazione dell’anno sanitario. E’ la prima iniziativa del genere in Sardegna, voluta dagli ordini dei medici di tutte le province, che riuniscono 11mila professionisti. Domani sottoporranno alla Regione (che sarà rappresentata, oltre che dall’assessore Oppi, anche dal presidente Mauro Pili) l’elenco delle richieste più urgenti per elevare la qualità dell’assistenza sanitaria in Sardegna: registro dei tumori, osservatorio epidemiologico, agenzia regionale per la sanità. E poi la creazione del “garante della salute”, una figura in grado di affibbiare sanzioni nei casi di malasanità. Giuseppe Meloni Inserisci il commento 15/02/2002 Nanni Brotzu, Cagliari Caro Franco Meloni, il problema dei trapianti di fegato come e’ lo stai ponendo e’ un falso scoop. Il vero problema sono il numero delle donazioni di organi e il numero dei prelievi di organi validi per il trapianto di fegato. In Sardegna, con una popolazione di solo 1.600.000 abitanti, le donazioni di fegato saranno logicamente poche e quindi sarà difficile istituire un Centro altamente valido con una attività di trapianti continua. Questo e’ il primo punto; il secondo e’ l'obiezione di Sassari che dice che anche loro hanno diritto ad avere qualche attività di prestigio ed obiettano da tanto tempo che Cagliari ha: un Centro Tumori, il Centro trapianti midollo osseo, la più grossa Cardiochirurgia, la Chirurgia Toracica al Binaghi ect. Come tu ben sai io penso che costerebbe molto meno spedire in Jet privato, non solo il malato da trapiantare di fegato, ma anche tutta la famiglia e pagare loro un albergo a 5 stelle, che mettere sù un Centro trapianti di fegato a Cagliari. Infatti non mancano i pazienti con epatopatie, bensì gli organi da trapiantare Come ben sappiamo la politica sanitaria non segue logiche chiare e non certo l'interesse, sempre però riportato, dei malati ma strade ben più contorte che sfuggono ai più. Come diceva Costanzo: cosa vi e’ dietro l'angolo? Nanni Brotzu ___________________________________________________________________ L’Unione Sarda 17 feb. ’02 BROTZU: «PRONTI PER GLI INTERVENTI SUL FEGATO» Salta il faccia a faccia tra il manager Meloni e l’assessore Oppi Braccio di ferro per i trapianti «Se ci danno il via libera, i trapianti di fegato possiamo farli anche domani». Per Franco Meloni, manager del Brotzu, basterebbe questo a giustificare la volontà dell’azienda ospedaliera di aprire il centro trapianti. Ma l’assessore regionale Giorgio Oppi ha bloccato l’iter ministeriale per l’autorizzazione, che sarà concessa invece a Sassari. Ieri, all’inaugurazione dell’anno sanitario nell’auditorium della Banca Cis, c’era grande attesa per il faccia a faccia tra Meloni e Oppi dopo la polemica dei giorni scorsi. Invece il confronto e’ saltato: l’assessore non e’ arrivato, pare per problemi familiari («ma non ha neppure mandato un suo delegato, forse pensava che fosse superfluo», ha commentato perplesso il presidente dell’Ordine dei medici di Cagliari Raimondo Ibba). «Credo che ci vedremo nei prossimi giorni», prevede Meloni: «Dobbiamo affrontare altre questioni, ma immagino che ci occuperemo anche di trapianti. Spero che si trovi un accordo: non abbiamo nulla contro l’autorizzazione a Sassari, ma noi siamo pronti a partire, loro no. E nel frattempo la gente muore. Allora perche’ non autorizzare anche il Brotzu?». Tra le ragioni della sua scelta, pochi giorni fa, Oppi aveva parlato di «un accordo politico», frase che fa infuriare Raimondo Ibba: «Gli accordi politici nella sanità sono una vergogna, non devono esistere. Se la scelta di Sassari nasce da un’attenta valutazione delle esigenze del territorio, va bene: se no e’ una scelta sgangherata». Il suo collega del capo di sopra, Agostino Sussarellu, pur con un accenno di difesa della conquista sassarese («la Regione ha deciso così, ma le due città possono collaborare») si tiene più o meno sulla stessa linea: «I guai nascono perche’ non c’e’ uno studio preciso delle necessità della Sardegna», osserva il presidente dell’Ordine dei medici della provincia di Sassari. E’ proprio questo, d’altra parte, il nodo delle richieste dei medici sardi, riuniti ieri per la prima volta nella celebrazione dell’anno sanitario. «Finora la sanità dell’isola e’ stata amministrata a spanne, senza dati precisi su cui fare le scelte», denuncia Pierpaolo Vargiu, presidente della Federazione regionale degli ordini dei medici. «Non e’ più possibile fare a meno di un registro tumori che ci dica quanti casi e quanti decessi abbiamo nelle varie aree, di un osservatorio epidemiologico, del piano sanitario regionale (manca da 17 anni) e soprattutto dell’Agenzia regionale per la sanità». Mentre il federalismo fiscale sta per rivoluzionare il settore, si procede ancora senza strumenti adeguati per decidere come spendere i soldi: «Gli 11mila medici sardi non vogliono essere spettatori di scelte importanti per i cittadini. Proponiamo un patto per la buona sanità in Sardegna, tra operatori, pazienti, associazioni e istituzioni». La voce della Regione, assente Oppi, e’ stata solo quella del presidente Mauro Pili: «Puntiamo a centrare già da quest’anno l’obiettivo del pareggio di bilancio delle spese sanitarie», ha detto, «ma siamo convinti che in questo ambito non si debba solo tagliare per far quadrare i costi, ma garantire servizi di qualità». Giuseppe Meloni ___________________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 feb. ’02 E.FLORIS: "DIFENDO IL BROTZU: UNA GRANDE REALTÀ PER LA CURA DEL FEGATO" Perplessità davanti a un centro trapianti di fegato nell’Isola ("In Italia ne basterebbero quattro o cinque per un’assistenza sanitaria eccellente") ma "pieno sostegno a un’attività chirurgica fondamentale davanti alle mille sfumature delle patologie epatiche". Sollecitato da un’interrogazione in Consiglio comunale (di Piero Comandini), il sindaco Emilio Floris si e’ soffermato sulla decisione della Regione di dare il via libera a un centro trapianti di Sassari. "Non voglio cadere in discorsi di campanile, ma il Brotzu negli ultimi anni ha dimostrato di non essere secondo a nessuno in quanto a trapianti di reni, di cuore e ultimamente anche di cornee". Da qui la convinzione "di seguire una strada precisa che, al di là dei trapianti di fegato, valorizzi le grandi potenzialità e le competenze dell’ospedale in materia di chirurgia epatica". Il primo cittadino ha detto che porterà la sua proposta sul tavolo dell’assessore regionale alla Sanità: "Ci sono tutti i presupposti per creare un centro di riferimento della Sardegna". ___________________________________________________________________ L’Unione Sarda 17 feb. ’02 PAOLO LA COLLA CONDUCE LA GUERRA ALL’EPATITE C CON I SOLDI AMERICANI Il caso. I venti ricercatori cagliaritani sono stati assunti con i finanziamenti di una multinazionale farmaceutica L’equipe guidata da Paolo La Colla scopre una nuova molecola Sopra l’armadio dello studio - una scalinata, una grande vetrata, piano rialzato del laboratorio di Microbiologia - c’e’ una scimmia. Pelliccia di peluche e occhi a bottoncino, un’etichetta sulla pancia, come una provetta nel frigo giù in basso, la scimmia e’ un regalo degli americani. Ricordo del gruppo di ricerca, trofeo di quegli studi del composto flavivirus sulla scimmia, monito a continuare, perche’ quella e’ la strada giusta per combattere l’epatite C. Paolo La Colla lo sa bene: la strada l’ha tracciata lui, i suoi ricercatori lavorano ogni giorno, due turni dalle 7 alle 14 e dalle 14 alle 21. Lì, alla Cittadella universitaria, silicon valley nel deserto di ovili e mobilifici tra Sestu e Monserrato, nel dipartimento di Biologia sperimentale, divisione di Microbiologia, non c’e’ posto per tutti. Poco importa che l’equipe di Paolo La Colla lavori a una delle scoperte più importanti per la storia della medicina contemporanea. L’Università di Cagliari sta a guardare: tanto, i soldi li mettono gli americani. Cioe’ i soci della Novirio Pharmaceuticals Limited, società biofarmaceutica che a giorni verrà quotata in borsa, e lavora con l’obiettivo di portare avanti la scoperta, lo sviluppo e la commercializzazione di terapie innovative per le più gravi malattie da virus. Lo sviluppo clinico e le operazioni di marketing della società si svolgono a Cambridge, Massachusetts, e le attività di drug discovery sono condotte tra gli Stati Uniti, Montpellier e Cagliari. Dove, a coordinare la ricerca, c’e’ proprio il professor Paolo La Colla. Lui in Sardegna, Gilles Gosselin e Bruno Canard in Francia, Frank Seela in Germania, Silvio Spadari a Pavia, e Martin Bryant in America sono gli scienziati che stanno ricercando nuovi antivirali per la terapia delle infezioni da flavivirus: medicine per guarire da epatite C, virus dengue, virus west nile. Cosa significa? Paolo La Colla, abito scuro, cravatta a disegni sottili, i capelli tra il biondo e il grigio, solleva gli occhi dal microscopio. «Flavivirus e’ una famiglia di virus, a cui appartengono epatite C, virus dengue, virus west nile. L’epatite C la conosciamo tutti: in Europa sono 8 milioni le persone infettate, 170 milioni nel mondo. L’infezione cronica può portare a cirrosi e carcinoma epatico con esito fatale». Virus dengue: «E’ analogo al virus di ebola. Ma se ebola, che ha una mortalità del 90 per cento, e’ un virus circoscritto a determinate zone del pianeta, dengue al contrario ha diffusione enorme. Ogni anno 500 mila casi di dengue finiscono in ospedale e il tasso di mortalità nei bambini e’ del 5 per cento». West nile: «In passato era un virus diffuso solo in aree geografiche intertropicali, ora e’ causa di nuove infezioni nelle zone temperate d’Europa e del Nord America. Nel ’99 una terribile epidemia ha sconvolto Manhattan, il cuore nobile di New York». E’ su questa analisi precisa dei virus e delle loro potenzialità che si inserisce “Flavitherapeutics”, progetto di ricerca finanziato dalla Commissione Europea con 1.9 milioni di euro e portato avanti proprio dal consorzio costituito da Novirio. Ma se a coordinare il gruppo di ricerca sono i chimici di Montpellier, l’idea nasce a Cagliari. Paolo La Colla ha scoperto le molecole attive su flavoivirus, le ha brevettate, e ha ceduto su licenza il brevetto a Novirio. «La stretta collaborazione avviata nel ’99 con il Cnr e le università di Montpellier e Cagliari, e il finanziamento della Comunità Europea - spiega Martin Bryant, vice presidente esecutivo di Novirio - ci ha consentito di accelerare lo sviluppo di nuovi antivirali per la terapia delle infezioni da virus dell’epatite C e da altri Flavivirus». Che Cagliari ha già testato sulle scimmie, primati più vicino all’uomo. Il risultato? Sorprendente. Il composto ha superato ogni test di tossicità. «Perche’ il nostro laboratorio e’ come un atelier di molecole: noi disegnamo molecole su misura e le analizziamo in modelli semplici. Quando identifichiamo una molecola che funziona, non uccide le cellule e arresta il processo del virus, il nostro obiettivo e’ raggiunto». Sorride, il professore. E dalla vetrata del suo studio guarda giù, nei laboratori, dove studiano i suoi ragazzi. Quanti sono? «In venticinque anni di lavoro l’Università mi ha dato due ricercatori. In tre anni di collaborazione con l’America, la Novirio di ricercatori ne ha assunto dieci». Che diventeranno venti non appena il professore firmerà il nuovo contratto. Quattro anni di lavoro, un milione e mezzo di dollari, dieci ricercatori sardi che potranno continuare a studiare in Sardegna. Senza scappare in America. Francesca Figus ___________________________________________________________________ L’Unione Sarda 16 feb. ’02 DI CHIARA « ANCHE LA MARIJUANA PUÒ FAR MALE» Gaetano Di Chiara, il farmacologo italiano più citato al mondo E’ il neurofarmacologo italiano più citato al mondo. Per questo e’ al primo posto nella classifica dei migliori neuroscenziati elaborata dal Ministero della sanità sulla base dei severissimi criteri dell’Isi (Institute for scientific information) che tengono conto, appunto, della quantità di citazioni nelle riviste più autorevoli. E Gaetano Di Chiara, neurofarmacologo, preside della facoltà di Farmacia e docente di farmacologia al dipartimento di tossicologia dell’università, e’ stato citato soprattutto per due ricerche: una, pubblicata per la prima volta su “Nature” dimostra che la nicotina e’ una droga a tutti gli effetti, perche’ ha proprietà additive al pari di cocaina e morfina e provoca dipendenza; l’altra, rivelata nel ’97 da “Science” dimostra che gli effetti neurochimici della cannabis (la pianta che produce le foglie di marijuana e l’hascisc) sul cervello hanno aspetti comuni a quelli delle droghe pesanti, come l’eroina. Allora professore, che cosa pensa delle affermazioni del ministro Veronesi? «Faccio una premessa statistica: nel rapporto annuale del Centro europeo di monitoraggio delle sostanze d’abuso emerge che 45 milioni di europei tra i 15 e i 64 anni, cioe’ il 18 per cento della popolazione del continente, hanno fumato uno spinello almeno una volta nella vita e che 15 milioni ne hanno fatto uso almeno una volta negli ultimi 12 mesi. E l’Italia, in Europa, e’ tra i Paesi in cui si fuma di meno: circa il 19 per cento dei ragazzi tra i 15 e i 18 anni hanno fumato almeno una volta. Ho fatto questa precisazione per sottolineare la differenza tra uso occasionale e abuso. Credo sia normale che molti abbiamo voluto provare per curiosità, ma ritengo che i consumatori abituali non superino il 5 per cento. Insomma, il ministro ha esagerato diffondendo dichiarazioni in linea con l’atteggiamento storico di certi politici che hanno sempre ideologizzato le droghe leggere sminuendone i danni». Che invece, secondo i suoi studi, sono seri. «Sì. Il principio attivo della cannabis, il Delta 9, se assunto in forma pura può avere effetti simili a quelli delle droghe pesanti. Insomma, togliamoci dalla testa che la marijuana sia innocua». Eppure molti giovani sembrano ignorare l’allarme degli scienziati e continuano a fumare le canne, basandosi sulla loro esperienza che non contempla casi di dipendenza ne’ l’insorgere di effetti negativi. «Certo, perche’ non sanno che gli effetti negativi si manifestano dopo molto tempo e dopo un consumo ripetuto. Anche la cocaina, all’inizio, era considerata una droga leggera ed era addirittura l’ingrediente di un vino, il vin Mariani, che veniva persino consigliato da un vescovo francese ai suoi fedeli. Poi, nel 1910, venne diffuso l’Harrison act, un decreto che la mise al bando. Idem per l’eroina, in principio diffusa dalla Bayer come antidoto alla cocaina». E invece? «Oggi autorevoli studi dimostrano che la cannabis ha un ruolo nell’insorgenza dei disturbi del tono dell’umore come la depressione». Cioe’? «Questi disturbi in genere si manifestano soprattutto nelle donne, in rapporto due a uno. Si e’ scoperto che il rapporto si inverte nel caso di consumatori di droghe cosiddette leggere». In che senso? «E’ dimostrato che le persone affette dal cosiddetto disturbo bipolare hanno dei cicli: per periodi più o meno lunghi hanno disturbi maniacali, per altri problemi depressivi. Nel caso dei consumatori di droghe leggere, questi cicli di manifestano nell’arco della giornata e, dunque, sono incontrollabili perche’, al contrario degli altri, non rispondono alla terapia con il litio». Il messaggio finale? «Diffidate di chi minimizza. Anche uno spinello, se consumato regolarmente, nel corso degli anni può far male, molto male». Fabio Manca ___________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 17 feb. ’02 DROGHE LEGGERE E PESANTI, UNA SVOLTA ANTISCIENTIFICA di Luigi Manconi Il governo - per bocca di Gianfranco Fini - l'ha definita «una svolta»: e, va detto, che proprio di svolta si tratta. I punti principali del piano governativo in materia di droghe sarebbero, dunque, due: l'equiparazione di tutte le sostanze, senza alcuna distinzione tra le cosiddette «droghe pesanti» (eroina, cocaina, ecstasy) e le cosiddette «leggere» (hashish e marijuana); e la drastica riduzione della somministrazione di farmaci sostitutivi (metadone, in primo luogo). Per la verità, si tratta di qualcosa di più di un «cambiamento di rotta»: e’ un vero e proprio tentativo di introdurre un mutamento nella mentalità collettiva. Basti pensare che oggi, tra le massime autorità dello Stato e del governo, vi sono parlamentari che, non più di qualche anno fa, si pronunciavano a favore della legalizzazione di hashish e marijuana. Ritenevano - e, immagino, tuttora ritengono - che c'e’ una incolmabile differenza tra una sostanza letale come l'eroina e quei derivati della canapa indiana che, nell'intera storia dell'umanità, non hanno provocato una sola vittima. Dunque, la «svolta» del governo e’, innanzitutto, antiscientifica: ignora l'imponente lavoro di ricerca sugli effetti delle sostanze psicotrope fatto, nel corso di decenni, da chi, come l'autorevolissimo Gian Luigi Gessa, afferma che la molecola contenuta in hashish e marijuana «non produce danni fisici»: e, dunque, per chi la consuma «sopra i diciott'anni, non mi preoccuperei più di tanto». Attenzione: qui non si vuole affermare che fumare i derivati della canapa indiana faccia bene. Ci si limita a constatare che «non produce danni fisici». Ne deriva che «non distinguere» - come orgogliosamente rivendica il governo - e’ una scemenza colossale: sotto il profilo scientifico, in primo luogo. E, poi, sotto tutti gli altri profili. Come si può immaginare, infatti, che una efficace campagna di dissuasione nei confronti della cannabis - analoga a quella che ha dato buoni risultati nei confronti del tabacco - possa utilizzare strumenti e sanzioni, misure e messaggi uguali a quelli indirizzati contro una sostanza che uccide, come l'eroina? Secondo pilastro del piano governativo sarebbe la drastica riduzione del ricorso al metadone. Si tratta di un farmaco sostitutivo somministrato nelle terapie di mantenimento e disintossicazione dall'eroina. Rispetto a quest'ultima, presenta molti ed evidenti vantaggi: non e’ illegale (e, dunque, non riproduce all'infinito il circuito della criminalità); non determina overdose, infezioni, Aids; non spinge il tossicomane nella clandestinità. Certo, può «cronicizzare» il tossicomane e renderlo dipendente dalla sostanza sostitutiva: ma, come ha ricordato don Ciotti, «può salvargli la vita». E, dunque, può consentire al tossicomane che non e’ morto di overdose o di Aids; che non e’ finito in galera o in ospedale; che non si e’ fatto prostituto o prostituta, spacciatore o scippatore, di decidere - in un altro luogo e in un altro momento della propria vita - di astenersi dall'eroina. Come si può ignorare tutto ciò? La sensazione - terribile - e’ che nel piano del governo prevalga una impostazione solo ideologica e, appunto, antiscientifica: e che l'obiettivo della «lotta alla droga» e del «recupero totale» dei tossicomani faccia dimenticare - dei tossicomani in carne e ossa - la concreta sofferenza, la fatica e il dolore quotidiani, la domanda di più e non meno opportunità. Di vita, innnanzitutto. ___________________________________________________________________ Corriere della Sera 13 feb. ’02 AIDS, I CONTAGI NON CALANO PIÙ L' Istituto superiore di Sanità: meno test e la malattia viene scoperta in ritardo L' immunologo Aiuti: la nuova campagna dovrà sensibilizzare soprattutto gli eterosessuali De Bac Margherita ROMA - Negli Stati Uniti, dove sono bravissimi a catalogare i fenomeni, lo chiamano post Haart, dove Haart non e’ un cognome ma l' acronimo di «highly active antiretroviral therapy», terapie antiretrovirali ad alto impatto. Gli americani in questi ult imi due anni hanno visto che la curva dei nuovi casi di Aids non si abbassa più, ma che anzi si e’ stabilizzata. Ed hanno attribuito la mancata diminuzione all' avvento dei nuovi farmaci combinati (tre o quattro per volta). Sembra un paradosso. Eppure e’ così. La gente si e’ come rassicurata dalla prospettiva di avere una cura efficace, quindi non fa il test, quindi arriva alla malattia senza averne o cercarne la consapevolezza e questo vale soprattutto per gli individui con comportamenti molto a r ischio, gli omo e bisessuali. Succede in tutto il mondo occidentale, Italia compresa. I dati aggiornati al 31 dicembre diffusi dall' Istituto superiore di sanità confermano la tendenza. La curva dei nuovi casi di Aids non scende più. Secondo Gianni Rezza, direttore del Centro Operativo Aids «molte persone arrivano a sviluppare i sintomi senza mai aver saputo di essere sieropositivi. Non fanno i test. Ne consegue che il 62,5% dei malati di Aids non possono essere curate perche’ scoprono la verità troppo tardi». Il problema di fondo e’ che negli ultimi anni si e’ abbassata la guardia e alcuni concetti fondamentali per prevenzione e controllo dell' infezione sono stati dimenticati. La percezione del pericolo e’ scemata: «Il fenomeno riguarda soprattutto persone adulte, non tossicodipendenti, che hanno contratto il virus attraverso rapporti eterosessuali o immigrati provenienti da paesi dove la malattia e’ endemica. Tra gli omosessuali invece si e’ diffuso un falso ottimismo, indotto dalla disponibilità di nuove terapie. «Nella prossima campagna di sensibilizzazione sarà necessario rilanciare l' invito a fare il test e questo messaggio deve essere indirizzato soprattutto agli eterosessuali, lo ritengo un passo fondamentale», e’ convinto l' immunologo Fernando Aiuti ricevuto pochi giorni fa dal vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini sul problema dei fondi per la ricerca scientifica, dimenticata dall' ultima Finanziaria. I dati dell' Iss riportano 1296 casi di malattia notificati nel 2001, un declino di appena il 3% rispetto all' anno precedente e in controtendenza rispetto alla netta flessione che si e’ avuta tra il ' 96 (arrivo delle cure ricombinate) e il 2000. «C' e’ stato un notevole calo di attenzione - rileva Aiuti -. E’ ragionevole sottoporsi a controlli dopo rapporti sessuali non protetti a rischio, specie se ripetuti nel tempo. Un primo test andrebbe fatto a due mesi dall' esposizione, un secondo dopo sei mesi. Il pericolo di contagio aumenta in presenza di malattie dell' apparato sessuale». Da Stoccolma, dove e’ impegnato in un incontro internazionale, il virologo Stefano Vella, presidente della Società internazionale per l' Aids, afferma che i kit diagnostici utilizzati oggi sono molto più precisi e che l' incubazione della malattia ha una media di dieci anni: «Sarebbe un errore di sottovalutazione considerare tramontato il rischio Aids in Italia. Le terapie antiretrovirali non sono una soluzione definitiva. Non sempre sono efficaci e arrestano la progressione della malattia». Margherita De Bac mdebac@corriere.it ___________________________________________________________________ Corriere della Sera 11 feb. ’02 TROVATO IL GENE DELL' EVOLUZIONE, DARWIN AVEVA RAGIONE E' come un interruttore e dà origine alle mutazioni Isolati per la prima volta nel 1983 nei moscerini Boncinelli Edoardo Un gruppo di biologi dell' Università di San Diego in California ha scoperto «i geni dell' evoluzione»: si trovano nel gruppo Hox, in pratica l' interruttore generale del Dna che consente «i salti» da una specie all' altra. La scoperta dunque dà ragione a Darwin (un secolo e mezzo più tardi) e alla sua teoria dell' evoluzione e dà torto ai «creazionisti», che hanno sempre ammesso microevoluzioni all' interno di una specie ma mai macroevoluzioni, come il salto di una caratteristica da una specie a un' altra. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica «Nature». * Sono passati 150 anni da quando Charles Darwin propose le linee essenziali dell' evoluzione biologica. Tutti gli esseri viventi derivano da uno stesso gruppo di organismi originari vissuti quasi 4 miliardi di anni fa. La prima cosa che colpisce chi osserva la natura e’ però l' enorme varietà degli organismi viventi, dai batteri ai funghi, dai protozoi alle piante e agli animali più diversi. Come spiegare allora l' origine di tanta diversità? La proposta di Darwin fu semplice e geniale. Per lunghi periodi gli organismi di una data specie restano simili a se stessi, ma ogni tanto compaiono individui diversi che possono poi dare luogo ad una nuova specie, che può finire per rimpiazzare la precedente o vivere a fianco a quella. Questi nuovi individui nascono perche’ si e’ verificata un' alterazione, che oggi chiamiamo mutazione, nel loro patrimonio genetico. Queste mutazioni sono casuali ma quasi inevitabili. Molte di loro produrranno individui malati o svantaggiati rispetto ai fratelli. In qualche caso però i nuovi individui si riveleranno più adatti dei vecchi a vivere in un certo ambiente naturale. La maggior parte delle novità biologich e vengono quindi spazzate via, ma alcune resistono e si affermano. Darwin chiamò selezione naturale quell'insieme di processi che puniscono alcuni tipi di individui e ne premiano altri. L' azione combinata delle mutazioni casuali e della selezione naturale hanno prodotto l' enorme varietà di esseri viventi oggi esistenti e portato a quelle sconvolgenti novità costituite dalla comparsa delle piante che fanno fiori, dei vertebrati, dei mammiferi e infine dell' uomo. Darwin stesso però ammise che la sua spiegazione aveva un punto debole, che non lo faceva dormire. Come e’ possibile che piccole variazioni in un particolare gene diano risultati tanto rilevanti da essere notati e selezionati dall' ambiente circostante? E come si arriva, a forza d i piccoli passi, alla formazioni di organi meravigliosi e quasi perfetti come l' occhio? E qui entrano in gioco la biologia e la genetica moderne con le loro scoperte. Darwin non sapeva che esistevano i geni e non poteva certamente supporre che l' alterazione di alcuni di essi portasse uno sconvolgimento complessivo del piano somatico di un organismo. Nel XX secolo sono stati scoperti nel moscerino della frutta, la famosa drosofila, alcuni geni, detti omeotici che controllano la forma del suo corpo. Se uno di questi geni muta, spontaneamente o in seguito ad un intervento di laboratorio, si può avere una mosca con due toraci, con 4 ali invece di due o con più zampe del dovuto. Non si tratta di magia, ma del fatto che questi geni controllano l' attività di molti altri e una loro alterazione equivale a quella di centinaia di geni diversi. Si capì subito che questi geni potevano fornire la spiegazione che mancava a Darwin. Nel 1983 furono isolati e caratterizzati e l' anno dopo si scoprì c he geni simili esistevano in tutti gli animali superiori, dalla sanguisuga all' uomo. In ogni organismo esistono geni molto simili a quelli del moscerino che vennero chiamati Hox. Questi geni controllano la forma complessiva del corpo in tutti gli animali superiori. Una loro alterazione può avere effetti sconvolgenti e probabilmente li ha avuti nel passato. In questi 15 anni si sono succedute un gran numero di scoperte che hanno confermato il ruolo di controllori generali di questi geni che a su o tempo chiamai geni-architetto. Sono loro infatti a fare il progetto dell' edificio del nostro corpo. Siamo ora ad un' ulteriore dimostrazione del loro potere. Un insetto normale ha solo sei zampe, che si trovano confinate nella sua regione toracica , perche’ il suo addome non porta zampe. Alterando un gene Hox gli si possono fare crescere anche le zampe toraciche come in un crostaceo e come nell' antenato comune di insetti e crostacei. Può bastare una mutazione in un singolo gene quindi a far comparire un' intera nuova categoria di animali. ___________________________________________________________________ Le Scienze 16 feb. ’02 UN VACCINO CONTRO UN'INFEZIONE OSPEDALIERA I problemi possono andare da una piccola infezione della pelle fino a più pericolose polmoniti o meningiti Un gruppo di ricercatori del National Institute of Child Health and Human Development, insieme all’industria farmaceutica Nabi, ha messo a punto il primo vaccino contro lo Staphylococcus aureus,che e’ spesso causa di infezioni, anche letali, fra i pazienti degli ospedali. Lo studio e’ stato descritto in un articolo pubblicato sul "New England Journal of Medicine." "I batteri Staphilococcus aureus - ha spiegato Duane Alexander, che ha partecipato alla ricerca - possono essere molto pericolosi e stanno rapidamente diventando resistenti agli antibiotici. Questo nuovo vaccino potrebbe dimostrarsi un nuovo potente metodo per impedire le migliaia di serie infezioni che si verificano ogni anno." Lo Staphilococcus aureus spesso infetta persone dal sistema immunitario indebolito causando spesso infezioni del flusso sanguigno. In particolare, circa il tre per cento dei pazienti in dialisi sviluppa queste infezioni. I problemi possono andare da una piccola infezione della pelle fino a più pericolose polmoniti o meningiti. Ormai, la maggior parte dei ceppi e’ resistente alla meticillina e sta diventando resistente anche alla vancomicina, che per ora rappresenta l'unica alternativa. L'intero lavoro e’ stato basato sulla scoperta, avvenuta ormai molti anni fa, che lo Staphilococcus aureus possiede un rivestimento, o capsula, costituito da polisaccaridi. In una serie di esperimenti, compiuti negli ultimi 15 anni, i ricercatori hanno mostrato che il batterio possiede 13 polisaccaridi capsulari, di cui solo due rappresentano l'85 per cento di quelli isolati nel sangue dei pazienti infetti. Questi due polisaccaridi difendono il batterio prevenendo l’attacco dei globuli bianchi dell’organismo ospite. In poche parole, l’organismo possiede gli anticorpi adatti, ma non riconosce i polisaccaridi. Per ovviare a questo inconveniente, i polisaccaridi sono stati accoppiati chimicamente a una proteina, che permette il riconoscimento. I primi esperimenti condotti sui topi hanno mostrato subito un aumento del livello degli anticorpi, verificato anche in pazienti umani. Nel corso della prima sperimentazione clinica si e’ visto che il vaccino così prodotto e’ in grado di ridurre del 57 per cento l'incidenza delle infezioni. ___________________________________________________________________ Le Scienze 14 feb. ’02 LA PELLE CHE RESPIRA La scoperta potrebbe cambiare l'approccio alla cura di molte malattie dermatologiche Una nuova ricerca ha rivelato che non tutto il nostro corpo viene rifornito di ossigeno dai polmoni, mediante il sangue. Il professor Markus Stücker, della Università della Ruhr a Bochum, in Germania, ha scoperto che uno strato spesso da 0,25 a 0,4 millimetri della nostra pelle assorbe l'ossigeno direttamente dall'aria. Questa zona comprende l'intero strato più esterno di epidermide, e parte dello strato sottostante, dove si trovano le ghiandole sudorifere e i pori piliferi. La scoperta, descritta in un articolo pubblicato sulla rivista “Journal of Physiology”, potrebbe cambiare l'approccio alla cura di molte malattie della pelle. Per esempio, i medici hanno sempre pensato che le ulcere alle gambe che affliggono spesso gli anziani siano causate dalla cattiva circolazione, non più in grado di rifornire di ossigeno i tessuti. Il fatto però che la pelle sia in grado di procurarsi da sola l'ossigeno che le serve suggerisce invece che la causa sia in realtà la mancanza di qualche altra sostanza trasportata dal sangue. L'ossigenazione della pelle direttamente dall'aria potrebbe svolgere un ruolo importante anche nelle malattie dovute a un'eccessiva replicazione delle cellule, come la psoriasi. Si e’ infatti osservato che questa malattia viene di solito contenuta coprendo la pelle. La nuova scoperta, unita al fatto che l'ossigeno stimola la riproduzione delle cellule, potrebbe fornire una risposta. ___________________________________________________________________ Il Messaggero 17 feb. ’02 PRESTO SULL’UOMO LA VESCICA ARTIFICIALE Sperimentata in Usa sui cani. L’urologo: ma già ricostruiamo l’organo con l’intestino ROMA - Dopo il cuore e l’utero, e’ la volta della vescica artificiale. A provarci sono ricercatori americani del Boston Children’s Hospital. La nuova tecnica e’ stata sperimentata per ora soltanto su sei cani di razza beagle e si sta aspettando l’autorizzazione per poterla testare sull’uomo. A condurre la ricerca e’ stato il dottor Anthony Atala: «penso che più avanti nel tempo non avremo limiti. Dovremo solo usare diversi tipi di tessuti e di cellule e poi potremo intervenire su qualsiasi organo del corpo che potrà essere riparato». Due anni fa la sua e’quipe ha realizzato con successo le prove sui cani. Semplici tessuti sono stati presi dalla vescica degli animali e usate per coltivare in vitro nuovi muscoli, alcune cellule speciali della vescica, chiamate uroteliali, sono state usate per costruire l’organo artificiale. Queste cellule moltiplicanti sono state inserite nella vescica del cane spingendole su "palle" di polimeri. Trapiantati nei cani questi organi ricreati in laboratorio hanno consentito all’animale di urinare normalmente. Una vescica artificiale potrebbe essere la risposta per le persone colpite da cancro. Secondo il dottor Atala la strada dell’ingegneria genetica dei tessuti consentirà di ridurre le liste dei pazienti in attesa dei trapianti. E che sia una ricerca molto importante dal punto di vista scientifico e’ il parere del professor Gerardo Ronzoni, primario di Urochirurgia alll’università Cattolica di Roma. «I primi esperimenti in questo campo sono iniziati ben 30 anni fa — commenta l’urologo — hanno cercato anche di realizzare vesciche con materiale sintetico, però il problema e’ che questo e’ un organo dotato di contrazione per cui se e’ più facile far rigenerare le cellule epiteliali per quelle muscolari il discorso e’ più difficile. Siamo ancora a livello di ricerca. Può essere una via di ricerca interessante». Sono soprattutto i pazienti colpiti da cancro quelli che hanno bisogno di ricorrere ad una nuova vescica. Ma come spiega il chirurgo ormai questo e’ un intervento di routine che si risolve con l’utilizzo delle anse intestinali dello stesso paziente con cui si ricostruisce la vescica stessa, senza andare incontro a nessun problema di rigetto. R. Cr.