UNIVERSITÀ PUBBLICA: O CONCORRENZA O MORTE CAGLIARI:SCUOLE IN RETE PER FORMARE I FUNZIONARI PUBBLICI RICERCA SCIENTIFICA: UNA DEMOCRAZIA FONDATA SULL'ERRORE PER LA FIRMA ELETTRONICA ARRIVA LA VERSIONE SOFT PER GLI ISTITUTI DI RICERCA UN FUTURO DA FONDAZIONI R.TU. ========================================================= MEDICINA: ADDIO A IPPOCRATE CAMBIA IL GIURAMENTO SANITÀ - LA RISATA COME CURA - PATCH ADAMS A CAGLIARI SIRCHIA: BASTA CON IL TUTTO A TUTTI IL RETTORE DELL'UNIVERSITA' DI SASSARI SUL CENTRO TRAPIANTI TICKET & SPORT, SIRCHIA METTE LA SALUTE IN PANCHINA POLICLINICO, SCIOPERO DEGLI UNIVERSITARI (a Roma) IL PRESIDE: GIÙ LE MANI DAL POLICLINICO (Frati) AIAS: OPPI FURIOSO: BASTA PRESSIONI SULL’AIAS O MI DIMETTO AIAS: RANDAZZO: NESSUN RICATTO SOLO UNA GIUSTA PROTESTA I SINDACATI: «UN GRAVE ERRORE CEDERE MONTE CLARO AL COMUNE» PSICOLOGIA INFANTILE: PER G.GULLOTTA I BAMBINI PAGANO SEMPRE I PIONIERI DEI TRAPIANTI DI MIDOLLO OMEOPATIA INEFFICACE CONTRO L'ASMA UN MODELLO PER IL MORBO DI PARKINSON ========================================================= __________________________________________________ La Stampa 28 Feb. UNIVERSITÀ PUBBLICA: O CONCORRENZA O MORTE UNA SFIDA PER IL SISTEMA ACCADEMICO ITALIANO di Riccardo Viale L'Università pubblica italiana è a un bivio. Difendere le sue rendite di posizione basate sull'assenza di concorrenza e sul centralismo burocratico. O accettare la sfida che gli pone il fenomeno della globalizzazione e promuovere la nascita di un sistema di università veramente autonome e concorrenziali. Nel primo caso si concluderebbe la deriva, iniziata più di un secolo fa con la legge Casati, che ha portato la maggior parte delle sedi accademiche a configurarsi come «super licei», scarsamente differenziati e specializzati per missione didattica e di ricerca. Questa situazione subottimale per la domanda di formazione e conoscenza del mondo economico e sociale provocherebbe, verosimilmente, in un prossimo futuro, la nascita di un forte settore privato costituito da nuove università d'élite o da filiali di università d'eccellenza, soprattutto statunitensi. Nel secondo caso il processo di liberalizzazione e di competizione nel sistema dell'università pubblica costringerebbe le sedi accademiche a definire missioni differenziate e specializzate della loro offerta didattica e di ricerca. Queste scelte sarebbero finalizzate a soddisfare le specifiche sinergie, economie di scala e di scopo relative al contesto socioeconomico in cui operano. Questo processo evolutivo non porterà, come molti sostengono, l'università a privilegiare solo le aree di interesse industriale. La domanda differenziata di formazione e conoscenza di studenti, imprese e istituzioni pubbliche diversificherà le missioni accademiche. Ad esempio vi sarà l'università che deciderà di competere sull'alta formazione e ricerca in qualche area umanistica e per far ciò «assolderà» qualche importante studioso internazionale. O ci sarà quella che punterà sull'eccellenza nella formazione di base e si concentrerà sull'efficienza e la qualità nell'offerta didattica e nei servizi agli studenti. Vi sarà l'università che vorrà differenziare la sua specializzazione nella ricerca di frontiera internazionale e nella capacità di creare nuove imprese di spin-off. Infine vi sarà quella che deciderà di concentrarsi sullo sviluppo economico della regione di riferimento attraverso un'adeguata offerta formativa, di ricerca e trasferimento tecnologico. Quale può essere la «domanda» che provocherebbe questo processo evolutivo? Si tratterebbe di un mix composto da studenti, imprese e istituzioni pubbliche. Il problema è il peso relativo fra pubblico e privato, cioè la scelta fra modello inglese e americano. Nel primo caso il baricentro sarebbe sulle priorità e sulle valutazioni comparative espresse dal governo. Nel secondo caso sarebbe il mercato, rappresentato soprattutto dalle imprese e dagli studenti, a promuovere lo sviluppo del sistema. In ogni caso ciò che accomuna i due modelli è un obiettivo che da noi è sempre stato un'eresia: il merito come fattore selettivo dell'evoluzione del proprio sistema accademico. __________________________________________________ L’Unione Sarda 2 mar. ’02 CAGLIARI:SCUOLE IN RETE PER FORMARE I FUNZIONARI PUBBLICI Deve essere generoso, al servizio degli altri e un po’ psicologo. Del formatore e del suo ruolo strategico nella modernizzazione della Pubblica amministrazione si è parlato a Cagliari in un seminario organizzato dal Formez (Centro di formazione e studi per il Mezzogiorno). Durante l’incontro è stata presentata una recente direttiva ministeriale che impone alle amministrazioni locali un percorso obbligatorio di formazione del proprio personale. Il Formez è stato appunto incaricato di coordinare questa attività, creando un progetto che metta in rete le scuole di formazione. Come ha spiegato Gianni Agnesa, responsabile del progetto, la rete avrà una valenza europea e tenderà a modificare il sistema formativo «superando una visione meccanicistica delle risorse umane e creando un efficace sistema di valutazione e controllo». Silvano Tagliagambe, epistemologo e docente di Filosofia della Scienza all’Università di Sassari, ha sottolineato l’importanza dell’uso delle reti nei processi formativi. «La formazione è spesso demandata a soggetti diversi - ha detto Tagliagambe - il problema è come coordinarli con la creazione di uno sfondo condiviso». Due le linee da seguire: quella delle infrastrutture tecnologiche e quella della cooperazione sociale. Sergio Capranico, docente universitario e nome illustre della formazione mondiale, è stato il consulente nella fase di trasformazione delle Poste in Spa ed è un innovatore dei rapporti tra cittadini e Pa. «La formazione non può risolvere tutti i problemi - ha avvertito - e soprattutto non si possono dare soluzioni semplici alle questioni complesse». Secondo Capranico i mali della pubblica amministrazione sono da ricercare, oltre che nei comportamenti dei funzionari, in una struttura che aggiunge vincoli e pastoie e nello scarso senso civico da parte dei cittadini. Tra le possibili linee d’azione, secondo Capranico, più severità nella valutazione della produttività dei dipendenti, tecnologia ed una maggiore elasticità nei contratti di lavoro. A. Z. __________________________________________________ Il Sole24Ore 28 Feb. ’02 RICERCA SCIENTIFICA: UNA DEMOCRAZIA FONDATA SULL'ERRORE di Dario Antiseri «Nel campo di coloro che cercano la verità non esiste autorità umana; e chiunque tenti di fare il magistrato viene travolto dalle risate degli dèi». È questo il messaggio epistemologico di Albert Einstein. Ed è lo stesso insegnamento che ci proviene dall'odierna filosofia della scienza, e in particolar modo da Karl Popper: «Tutta la nostra conoscenza rimane fallibile, congetturale». Ragioni logiche, riflessioni epistemologiche e la più consapevole storiografia della scienza stanno lì a dirci che "nella scienza nulla vi è di certo" e che anche la meglio consolidata teoria è sempre sotto assedio. In realtà, la ricerca scientifica (in fisica come in economica, in filologia come in biologia, in chimica come in ermeneutica e in storiografia), insomma tutta la ricerca scientifica si risolve in tentativi di soluzione di problemi. Il ricercatore inciampa in un problema, magari inatteso; e cerca di risolverlo proponendo ipotesi; congetture che poi sottopone a controllo sulla base delle loro conseguenze. E va da sé che ogni autentico controllo di una teoria consiste in un severo tentativo di scoprire in essa delle crepe, di trovare in essa un errore, di dimostrarla falsa, di falsificarla. La prova, nella scienza come nella vita, si ha dove si rischia: dove si rischia di fare fallimento. Da ciò segue che il ricercatore serio non copre i propri errori. Errare humanum est, ma ancor più tipicamente umano è andare alla sistematica caccia degli eventuali errori che possono annidarsi nelle nostre e nelle altrui teorie. Qui sta la ragione per cui la fisica va avanti: «va avanti perché non sbaglia mai due volte allo stesso modo» (R. Oppenheimer). Evitare l'errore - ha scritto Popper - è un ideale meschino. Se ci confrontiamo con un problema difficile, è facile che sbaglieremo. L'importante è apprendere dagli errori, nostri ed altrui. L'individuazione e l'eliminazione degli errori è il debole segnale rosso che ci consente di venir fuori dalla caverna della nostra ignoranza. Per dirla con Oscar Wilde: «Esperienza è il nome che ciascuno di noi dà ai propri errori». Razionale, pertanto, «è semplicemente una persona a cui importa più di imparare che di avere ragione». Ragione, o ragionevolezza, equivale, dunque, ad "apertura alla critica". E razionale è "l'atteggiamento di chi è disposto ad ammettere che 'io posso avere torto e tu puoi avere ragione, ma per mezzo di uno sforzo comune possiamo avvicinarci alla verità". Contro l'intolleranza. La società aperta è aperta a più visioni del mondo filosofiche e religiose, a più valori, e dunque a più partiti, a idee e ideali diversi e magari contrastanti, a differenti proposte risolutive dei vari problemi, alla maggiore quantità di critica. La società aperta è chiusa solo agli intolleranti e ai violenti. E qui non va dimenticato che il prezzo della libertà è l'eterna vigilanza. In ogni caso, più idee, più prospettive filosofiche, più stili di vita non sono una miseria, sono una ricchezza: sono l'essenza di una società democratica. E di certo non è sufficiente il consenso, anche il consenso più massiccio, per far di una società una società democratica. Il popolo, tutto un popolo, potrebbe schierarsi con la più spietata dittatura e opprimere i dissidenti. Una democrazia è un insieme di regole - le regole del gioco - vale a dire di istituzioni che consentono il dissenso: il dissenso anche di uno solo. È a Voltaire che dobbiamo quella che è forse la migliore formulazione di siffatta concezione: «Io non la penso come te, ma sarei pronto a farmi uccidere perché ti sia possibile esprimere la tua idea». Per tutto ciò, i sostenitori della società aperta, tutti gli amanti della libertà, non si chiedono «chi deve comandare?», si domandano piuttosto: «come è possibile organizzare le istituzioni in modo che i governati possono controllare i governanti e rimuoverli senza spargimento di sangue?». Questo si chiedono e vogliono sapere intellettuali non disposti a portare lo strascico del re, e che sono d'accordo con il grande storico romano il quale scriveva che l'unico vero dono che si può fare all'amico che è al potere è una critica. Questo si chiedono uomini consapevoli della propria fallibilità e del fatto che viviamo e che sempre dovremo vivere - per dirla come Max Weber - in un mondo caratterizzato dal politeismo di valori. Contro tutti i monopoli. Nonostante la sua apparente plausibilità, la domanda «chi deve comandare?» è una domanda mal posta, sviante, irrazionale: ci manda alla ricerca di ciò che non esiste. Nessun individuo, ceto, razza o classe è venuta, infatti, al mondo con il predicato della sovranità degli altri, sovranità che si è supposto essere legittimata da un presunto monopolio della "verità". Il monopolio, disastroso sul piano economico, lo è altrettanto quando si cerca di imporlo nel campo delle idee e di estenderlo all'ambito del potere politico. Ma il fatto è che la ricerca progredisce tramite la più severa competizione tra teorie; la democrazia è competizione di proposte tese alla migliore soluzione dei problemi; la libertà economica è competizione di merci e servizi sul mercato. La competizione, e non il monopolio, è il grande principio che anima scienza, democrazia e mercato. Competizione da cum-petere, che vuol dire cercare insieme, in maniere agonistica, la soluzione migliore. Certo, gli dèi, per riprendere l'espressione di Einstein, ridono di chi vuol passare o si spaccia per magistrato nel campo della ricerca della verità; ma queste risate degli dèi sono accompagnate dal pianto di schiere di uomini e donne, di innocenti, schiacciati dalla presunzione di una ragione dogmatica subito trasformata in oppressione politica. Non è un caso che Popper, autore nel 1935 della Logica della scoperta scientifica, dieci anni più tardi, nel 1945, abbia pubblicato l'altra sua grande opera: La società aperta e i suoi nemici. Tra il Popper epistemologo e il Popper teorico della politica vi è un nesso indissolubile. Non c'è infatti alcun dubbio che il fallibilismo epistemologico, vale a dire la consapevolezza che le nostre conoscenze sono e restano smentibili, costituisca il presupposto cardine della società aperta. Non c'è democrazia senza discussione. Ma la discussione è possibile solo dove non ci si arroghi il diritto o il privilegio di infallibilità. __________________________________________________ Il Sole24Ore 1 mar. ’02 PER LA FIRMA ELETTRONICA ARRIVA LA VERSIONE SOFT Da domani sottoscrizioni digitali con diverso valore probatorio ROMA - Da domani la firma digitale si diversifica. Diventa, infatti, operativo il decreto legislativo 10/2002, che ha recepito il sistema europeo di sottoscrizioni elettroniche voluto dalla direttiva 1999/93/Ce. Accanto alla firma digitale forte o avanzata (come l'ha definita il legislatore) arrivano forme di sottoscrizione più agili, seppure "deboli", cioè con meno garanzie dal punto di vista della sicurezza. La firma digitale non è, però, l'unico settore di intervento del decreto, che riserva un articolo anche alla carta di identità elettronica e alla carta nazionale dei servizi. Firme elettroniche. È, però, la sottoscrizione elettronica il "cuore" del provvedimento che entra in vigore domani. La novità per il nostro Paese, che già si era dotato di una firma forte (equiparata all'atto sottoscritto con firma autografa) è l'arrivo delle sottoscrizioni deboli. Saranno, ovviamente, sistemi meno sicuri e, pertanto, i documenti informatici sottoscritti con le nuove firme non potranno pretendere la stessa validità di quelli che recano "in calce" la firma avanzata. Questo, però, non esclude che non possano, per esempio, funzionare come prova in un processo. La direttiva è, a tal proposito, molto chiara e il legislatore italiano si è attenuto alle prescrizioni europee. Insomma, come si legge anche nella relazione di accompagnamento al decreto legislativo, «l'efficacia probatoria di tali firme (quelle deboli, ndr) non può essere esclusa a priori a causa della loro natura». Sarà, pertanto, il giudice a valutare, sulla base delle caratteristiche del documento informatico, se la firma può valere come prova. La diversificazione dei sistemi di firma ha, come immediata conseguenza, la liberalizzazione dell'attività di certificazione delle sottoscrizioni elettroniche. Finora in Italia la certificazione della firma digitale è stata affidata agli enti iscritti nell'elenco pubblico tenuto dall'Aipa (Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione). Un numero limitato, dato che gli standard di sicurezza imposti alla firma hanno richiesto rigidi criteri di selezione. Da domani l'attività «dei certificatori stabiliti in Italia o in un altro Stato membro dell'Unione europea è - si legge nell'articolo 3 del decreto - libera e non necessita di autorizzazione preventiva». Rimane anche un livello più elevato di certificazione, che trova riscontro nel fatto che il certificatore può chiedere di essere accreditato non più presso l'Aipa, ma presso il dipartimento per l'Innovazione e le tecnologie della presidenza del Consiglio, che assume anche compiti di controllo. Carta di identità. La carta di identità elettronica e la carta nazionale dei servizi possono essere utilizzate per i pagamenti tra i privati e le pubbliche amministrazioni. Le modalità di come questo avverrà è affidato a un successivo decreto interministeriale, così come sarà un provvedimento futuro a stabilire le caratteristiche e le procedure per il rilascio dei nuovi documenti di identità elettronici. A.Che. __________________________________________________ Il Sole24Ore 28 Feb ’02 PER GLI ISTITUTI DI RICERCA UN FUTURO DA FONDAZIONI R.TU. Via libera sempre più vicino per la trasformazione degli Irccs ROMA - Un via libera sempre più vicino per la trasformazione in Fondazione dei quindici Istituti pubblici di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs), il cui personale però non passerà al rapporto di lavoro privato. E la possibilità sempre meno remota di uno stop alla trattativa tra Regioni e industrie sul taglio dei prezzi dei farmaci, che proprio oggi potrebbe arrivare allo show down finale. Su due "tavoli" assolutamente diversi stanno per arrivare al pettine due dei tanti argomenti che in questi mesi hanno suscitato un vivace dibattito e anche aspre polemiche in materia sanitaria. La questione-Irccs, i centri di eccellenza della ricerca pubblica nazionale, è all'ordine del giorno della Camera. Il capitolo-farmaci, invece, è la coda del patto di stabilità (e della successiva legge 405/2001) di cui stanno discutendo Regioni e industrie farmaceutiche. Irccs, primi voti. Con un voto pressoché compatto della maggioranza, la commissione Affari costituzionali di Montecitorio ha concluso la votazione degli emendamenti all'articolo (il 24) sugli Irccs contenuto nel collegato alla Finanziaria 2002 sulla pubblica amministrazione. Cinque le modifiche apportate. Ma solo una è di qualche rilievo: con un emendamento di Rosy Bindi (Margherita), è stata cancellata l'iniziale previsione di far transitare al rapporto di lavoro privato l'attuale personale dipendente (16.621 dipendenti). In commissione Affari costituzionali non è peraltro mancato il confronto tra maggioranza (con la distinzione della Lega Nord) e opposizione alla presenza del ministro della Salute, Girolamo Sirchia. Gianclaudio Bressa (Margherita), in particolare, ha contestato «la pesante interferenza nell'autonomia autonomia organizzativa delle Regioni», considerando in sostanza «incostituzionale una norma che, disciplinando le modalità e le condizioni per la trasformazione degli Irccs in Fondazioni di rilievo nazionale, lede il diritto delle Regioni di definire i propri modelli organizzativi». Sirchia ha invece naturalmente difeso la riforma: «Con il provvedimento - ha detto il ministro negando alcuna intenzione di «privatizzazione» - il Governo si propone di dare alle Regioni, attraverso l'inserimento di loro membri nei Cda, la possibilità di partecipare direttamente al governo degli Irccs pubblici e di rilanciare gli Istituti stessi attraverso forme di autofinanziamento alla stregua di quanto avvenuto per le Università». Farmaci, trattativa al bivio. Oggi, intanto, Regioni e Farmindustria si incontreranno nuovamente per cercare di arrivare alla conclusione di una trattativa in corso ormai da mesi. L'ultimissima proposta appena elaborata dalle Regioni prevede, tra l'altro, un taglio dei prezzi dei farmaci da 516,4 milioni € (1.000 miliardi di lire) ogni anno, per tre anni (2002-2004) consecutivi, e un'ulteriore limatura dei listini a carico delle industrie nel caso la spesa finale superi il tetto fissato nell'accordo (in pratica le aziende pagherebbero il 50% degli sfondamenti). In cambio le industrie otterrebbero lo stop dell'applicazione del prezzo di riferimento e una lista nazionale aggiornata trimestralmente dei farmaci generici. ========================================================= __________________________________________________ La Stampa 27 Feb. ’02 MEDICINA: ADDIO A IPPOCRATE CAMBIA IL GIURAMENTO MEDICINA LA DIMENSIONE ETICA E SOCIALE SULLA PRESTIGIOSA E SECOLARE RIVISTA INGLESE «THE LANCET» LA NUOVA «CARTA DEI DOVERI DEL MEDICO»: IL PAZIENTE AL CENTRO DELLA SANITA´ SUL prestigioso «The Lancet», il più antico giornale medico, pubblicato in Inghilterra da quasi due secoli, è comparso pochi giorni fa un articolo che è destinato a diventare la nuova Carta dei doveri del medico e a soppiantare il "Giuramento di Ippocrate" che dal quarto secolo avanti Cristo tutti i medici sono tenuti a rispettare. La nuova «Carta dei doveri del medico» è un vero e proprio decalogo preceduto da alcune considerazioni etiche generali: un testo scritto in un inglese asciutto ed essenziale, privo dei bizantinismi giuridici ai quali siamo abituati, un po' con lo stile che caratterizza la Costituzione degli Stati Uniti. Il rapporto tra medico e paziente affonda radici profonde nella storia dell'uomo. E' cosa ben diversa del rapporto che si instaura tra un avvocato o un qualsiasi altro professionista e il suo assistito. Il rapporto del medico con il paziente implica la conservazione della vita stessa e quindi il senso del trascendente da cui si pensa la vita derivi. Non a caso in passato i medici erano anche sacerdoti di un complesso rito esoterico con forti implicazioni magiche. Ancora oggi in certe società primitive lo stregone o lo sciamano fanno da intermediari tra l'uomo e la divinità. Nella Carta dei doveri del medico hanno carattere condizionante alcuni principi fondamentali. Il primo e il più importante stabilisce il primato del benessere del paziente. Il paziente è posto al centro, in un rapporto totalmente altruistico che non deve mai essere compromesso da fattori esterni e da pressioni della società. In questo legame forte tra medico e paziente si può riconoscere ancora, sia pure con un minimo di forzatura, l'antico rapporto con lo sciamano. Il secondo principio è quello dell'autonomia del paziente. Il malato qui è investito della sua totale capacità di decisione. Il medico non la deve forzare in nessun modo una volta che ci sia stata informazione esauriente e onesta del paziente, ma può e deve opporsi a richieste non conformi all'etica professionale, comprese quelle che richiedessero il ricorso a cure non appropriate o scientificamente infondate. Questo principio si discosta molto dal rapporto di dipendenza magica tra paziente e sciamano: qui il malato riconquistando pienamente il suo ruolo decisionale e tuttavia il medico mantiene la sua funzione di controllore morale e di garante scientifico. Il terzo principio fondamentale è quello della giustizia sociale. Tutti i medici sono moralmente chiamati a battersi al fine di eliminare qualsiasi discriminazione di cura dei pazienti basate su fattori razziali, economici e in genere ambientali. E' una richiesta di impegno forte che tende a una distribuzione socialmente omogenea delle risorse per la cura della salute. Questo sì che sarà un bel problema per le scelte politiche, anche in paesi con idee flessibili sul benessere sociale! Veniamo ora agli impegni che il medico assume con l'inizio della sua attività professionale. Un impegno mi sembra relativamente nuovo ed è messo in grande evidenza come primo punto del decalogo: il dovere assoluto di mantenere elevata la competenza professionale, di essere continuamente aggiornato dal punto di vista scientifico e culturale. In pratica si legge che il medico non deve smettere mai di studiare per garantire al paziente la migliore delle cure possibili. Inoltre tutti i medici devono trasmettere ai colleghi le loro competenze, io aggiungo, aldilà degli interessi professionali individuali. Questo impegno è ribadito con altri intenti in almeno due comandamenti successivi dove si richiede al medico di mantenere altissimo il livello di cura del paziente e soprattutto di promuovere e aggiornare il proprio livello di cultura scientifica. Non che questo concetto sia nuovo, ma inconsueto è il modo risoluto con il quale, per la prima volta, l´obbligo di seguire il progresso della ricerca scientifica viene imposto al medico. L'educazione scientifica continua dovrà far parte del bagaglio culturale della classe medica molto di più di quanto sia garantito dagli attuali rituali dell'aggiornamento professionale. Università diverse, facoltà di medicina forti dal punto di vista della ricerca, è ciò che io leggo in questa parte del nuovo decalogo della professione medica. Poi vengono alcuni pressanti comandamenti etici. Uno è l'impegno all'onestà e alla trasparenza. Il consenso informato non deve essere un puro atto formale ma un reale aspetto del rapporto medico- paziente. Riconoscere errori di procedura terapeutica fa parte di questo rapporto, come pure l'impegno al mantenimento stretto della segretezza sui dati del paziente. Il vecchio segreto professionale qui mostra una falla vistosa nel senso che il medico si impegna a romperlo quando la segretezza su un paziente potrebbe danneggiarne altri. Pensiamo a malattie trasmissibili come Aids o tubercolosi, che potrebbero mettere a rischio la salute di altri e danneggiare l'interesse pubblico. Due gravi peccati per il codice morale del medico sono poi approfittare sessualmente o economicamente o in qualsivoglia maniera del rapporto privilegiato con il paziente o manipolare il diritto all'accesso alle cure mediche sulla base di discriminazioni di tipo sociale o, peggio, per ragioni economiche. Infine il rapporto fiduciario del medico con l'ambiente medico e con la società. Due i punti principali in gioco. Uno è il conflitto di interessi basato sul possibile rapporto del medico con industrie impegnate a garantire profitto ai propri soci. Non si esclude questo rapporto a priori ma si richiede assoluta trasparenza anche nei benefici occulti che ne possano derivare. Ora si parla di industrie farmaceutiche, di fabbriche di strumentazione medica, di compagnie di assicurazione, una volta si parlava solo dell'incompatibilità professionale tra medico e farmacista. Questo rapporto strano di alcuni medici con il mondo industriale ha spesso manifestazioni equivoche ma non meno preoccupanti come la promozione del turismo finto- scientifico e l'appoggio finanziario a giornali scientifici o presunti tali disposti a pubblicare dati manipolati sull'efficacia di questo o quel farmaco. Il secondo punto nuovo è l'impegno di tutti i medici a controllare l'attività professionale di tutti gli altri medici e ovviamente a permettere che altri colleghi controllino la propria. Il medico, come in fondo suggeriva già Ippocrate, è sì parte di un gruppo di potere, ora come allora dotato di carisma unico, ma dentro il gruppo di potere deve esserci un controllo rigoroso che prende origine dalla protezione della comunità dei pazienti. Cosa che purtroppo spesso non capita. Spero che questa Carta della professione medica susciti un dibattito e contribuisca al miglioramento della medicina. Personalmente, come medico che fa il ricercatore, mi auguro che rinsaldi i legami tra la ricerca scientifica e la cura dei pazienti, che distrugga rapporti abnormi tra gruppi di potere medico e li ricostruisca su basi diverse. In altre parole che si rinsaldi il valore morale della professione medica. Mi piace l'idea che in futuro il medico diventi un professionista nuovo e moralmente inattaccabile nel suo ruolo riconquistato di scienziato ma capace di stare con dedizione e competenza al letto del malato. [TSCOPY](*)Università Vita-Salute San Raffaele, Milano [/TSCOPY] Pier Carlo Marchisio (*) __________________________________________________ L’Unione Sarda 25 Feb. 02 SANITÀ - LA RISATA COME CURA - PATCH ADAMS A CAGLIARI Patch Adams, il maggior esponente di quella che viene chiamata la “terapia della risata”, sarà a Cagliari il 13 marzo per il meeting organizzato dall’associazione Kirighì per sensibilizzare pazienti e medici sugli effetti benefici dell’umorismo. Tutte le informazioni possono essere richieste all’associazione di volontariato Kirighì, via dell’edera, tel. 070. 504517 - web.tiscali.it/kirighi. __________________________________________________ Il Sole24Ore 26 Feb ’02 SIRCHIA: BASTA CON IL TUTTO A TUTTI MILANO - Basta col tutto a tutti nell'accesso alle cure: «Il Servizio sanitario nazionale deve rimborsare soltanto le prestazioni che servono davvero alla salute». È Girolamo Sirchia, all'indomani dell'entrata in vigore dei nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea), a ribadire l'obbligo per le Regioni di mettere un freno a sprechi e a spese inutili in sanità. Un altolà che, per i "governatori", significa tener fede al patto di stabilità siglato l'8 agosto 2001 con il Governo. Non ci saranno tagli alle prestazioni necessarie, giura Sirchia. Anzi: si marcerà verso l'uniformità e l'universalità delle prestazioni, oggi assolutamente diverse da un capo all'altro dell'Italia, all'insegna dell'«appropriatezza» delle cure. E indispensabile sarà anche, per le Regioni, tagliare le liste d'attesa: ma senza fondi in più del Governo, frena Sirchia davanti alle richieste degli assessori. Intanto, "fatti" i Lea, sarà necessario costruire il percorso futuro per il Ssn. E Carlo Castellano rilancia la richiesta di Confindustria: «Vanno ripensati i Fondi sanitari integrativi». Ma senza seguire alcun «modello Usa». __________________________________________________ La Nuova Sardegna 27 Feb. IL RETTORE DELL'UNIVERSITA' DI SASSARI SUL CENTRO TRAPIANTI "Ritengo che almeno una struttura sarebbe giustificata" SASSARI. L'affermazione rilasciata dal ministro della Salute, Girolamo Sirchia, durante una recente visita in Sardegna, secondo la quale la nostra isola non avrebbe bisogno di un centro trapianti per il fegato, fa discutere anche all'interno della università di Sassari. Ma su quel Centro ha dimostrato di puntare molto la facoltà di Medicina e Chirurgia. E lo ha fatto soprattutto attraverso la cattedra di Clinica Chirurgica della quale è titolare il professor Giuseppe Dettori. L'università di Sassari, è stato ribadito più volte nei mesi scorsi, ha le carte in regola per avere un ruolo di primo piano in un tale progetto. "Penso che l'affermazione del ministro vada intesa nel giusto senso - dice il rettore dell'università di Sassari, professor Alessandro Maida - e cioè che non appare giustificata l'istitutizione in Sardegna di un Centro a fine esclusivo di trapianti epatici in presenza degli attuali valori di donazione di fegato che non raggiungano le 20 unità per anno". "Se però parliamo di una attività di trapianti - prosegue il rettore - inserita all'interno di una struttura di chirurgia epatica e che questa struttura possa operare in stretta connessione con una unità operativa di "chirurgia dei trapianti", già esistente, che svolge egregiamente attività nel settore renale, il discorso cambia. Infatti in considerazione del moderno orientamento di specializzazione nei vari settori della chirurgia, dell'alta incidenza di patologia epatica di interesse chirurgico, dell'auspicio che la spinta alla donazione di organi in generale e di fegato in particolare aumenti, del bisogno di assicurare agli abitanti della Sardegna quelle opportunità che la condizione di insularità rende di difficile attingimento se non si realizzano adeguate strutture nel territorio regionale, ritengo più che giustificata l'istituzione nell'isola di almeno una struttura di chirurgia epatica con annesso centro trapianti che operando in stretta collaborazione con una struttura di chirurgia dei trapianti, possa assicurare una attività di trapianti anche nel settore epatica". "Sono anche convinto- conclude il professor Maida - che la sua istituzione darebbe una rilevante spinta alla donazione in riscontro al bisogno di trapianti epatici di gran lunga maggiore rispetto all'attuale offerta di organi". __________________________________________________ L’Unione Sarda 27 Feb. ’02 TICKET & SPORT, SIRCHIA METTE LA SALUTE IN PANCHINA Il ministro Sirchia impone il ticket sulle visite di idoneità, genitori e società in rivolta Allarme dei medici : «Così aumenterà la fuga dai controlli» L’istruttore e l’attrezzatura non saranno più gli unici dazi da pagare per praticare una disciplina sportiva. Il certificato medico di idoneità ha un prezzo (per l’esattezza 25,82 euro) anche per gli atleti minorenni. La legge del ticket, per la quale il ministro della Salute Girolamo Sirchia ha chiesto il massimo rispetto, investe come un ciclone il mondo dello sport, colpendo il settore forse più esposto, vale a dire quello giovanile. Chiaro e preciso il messaggio di Sirchia, diventato decreto operativo a tutti gli effetti dallo scorso 23 febbraio: «Lo Stato deve pagare le cose che servono davvero alla salute». E tra le visite indicate dai Lea (Livelli essenziali di assistenza) non rientrano le “certificazioni di idoneità alla pratica di un’attività sportiva agonistica e non”, sino a pochi giorni fa gratuite per i ragazzi che non avevano ancora compiuto i 18 anni. L’Asl 8 di Cagliari, ma anche le aziende sanitarie di Quartu, Sassari e Sanluri stanno già applicando la nuova normativa da qualche giorno, entro l’inizio della settimana prossima comunque il ticket “sportivo” sarà presente in ogni angolo della Sardegna. Risultato: ambulatori deserti, sia lunedì che ieri. «Era inevitabile», afferma Roberto Scorcu, medico sociale del Cagliari Calcio e direttore del Centro di medicina dello sport di Sanluri: «La fuga dai controlli era forte prima, figuriamoci adesso». Molto più di un rischio, nonostante una legge - datata 1982 - che impone visite periodiche per chi svolge attività a livello agonistico. «Nel 2000, dei 100 mila tesserati sardi (la metà sono minorenni) soltanto il 70 per cento», sottolinea il segretario del Centro di medicina sportiva di Cagliari Alessandro Pusceddu, «si è sottoposto a una visita di idoneità». E le prospettive future, con le nuove disposizioni ministeriali, non sono certo rassicuranti. «Gli evasori aumenteranno», afferma il direttore dello stesso istituto cagliaritano Francesco Stagno, «anche se capisco la necessità del rigore per combattere le spese folli. Forse però sarebbe stato meglio tutelare la realtà sportiva giovanile». È preoccupato anche Scorcu. «Soprattutto in Sardegna», sottolinea il medico rossoblù, «la condizione socio-economica spinge le famiglie ad allontanare i bambini dallo sport. E ora che si dovranno pagare anche le visite la fuga assumerà dimensioni sempre più massicce. Un peccato davvero, visto che stiamo parlando di prevenzione». I costi per la visita sportiva resteranno immutati: 36,15 euro per i maggiorenni e 25,82 per i minorenni. Quanto basta per mettere in preallarme le società sportive dove i vivai sono i settori trainanti , ma anche gli stessi genitori degli aspiranti sportivi. Per Pietro Braina, primario del Centro polivalente recupero funzionale atleti dell’ospedale “Brotzu” a Cagliari, il prezzo della prestazione rimane comunque conveniente. «Sono soldi ben spesi», afferma senza mezzi termini Braina precisando: «Si tratta di tre visite specializzate che comprendono ben quattro esami: una spirometria, l’elettrocardiogramma, sia a riposo che dopo lo sforzo, e un esame alle urine. Prevenzione a tutti gli effetti: sia a livello agonistico che amatoriale». Un fulmine a ciel sereno che potrebbe avere comunque dei risvolti positivi nelle prossime ore, in Sardegna soprattutto. «Gli assessorati regionali allo Sport e alla Sanità», afferma Scorcu, «hanno manifestato molta sensibilità e l’intenzione di risolvere il problema al più presto. Non è escluso quindi che sia la stessa Regione a coprire i finanziamenti eliminati dal Governo». Fabiano Gaggini __________________________________________________ Il Messaggero 27 Feb. 02 POLICLINICO, SCIOPERO DEGLI UNIVERSITARI (a Roma) «Colleghi, ci smantellano». È l’allarme lanciato da Luigi Frati, preside della I facoltà di Medicina dell’università La Sapienza, che “boccia" il testo preliminare del protocollo d’intesa tra l’Ateneo e la Regione per la disciplina dell’attività assistenziale e il decentramento del Policlinico. Per questo, sarà un venerdì di fuoco all’Umberto I: in sciopero il personale universitario, con conferenze e cortei di protesta. L’appuntamento è alle 11 all’aula Bignami di Patologia generale, dove il preside parlerà «contro l’esproprio del Policlinico da parte di Storace __________________________________________________ Il Messaggero 3 Mar. 02 IL PRESIDE: GIÙ LE MANI DAL POLICLINICO (Frati) Universitari contro il piano di rilancio, Niente sciopero ieri al Policlinico, ma vivaci conferenze e cortei. Lo sciopero del personale universitario è stato rinviato al 22 marzo, «perché c'è il rischio che a 9000 dipendenti - spiega Paolo Bombardieri, segretario Uil Roma e Lazio - venga ridotto il salario del 30%. Lo stesso personale universitario viene messo in discussione dal direttore generale Tommaso Longhi che parla di troppi medici e superpagati rispetto ai colleghi di altri ospedali». Non piace il preliminare del protocollo d’intesa tra Regione e Università, cardine del decentramento e del rilancio del Policlinico. Non usa giri di parole Luigi Frati, preside della I Facoltà di Medicina della Sapienza, che ha richiamato l'attenzione di circa mille tra docenti, paramedici e studenti. Quel documento, secondo Frati, conterrebbe «gravi elementi di illegittimità perché rimette nei poteri del direttore generale funzioni che la legge riserva ad altri organismi. Il progetto appare di smantellamento progressivo, con l’unica attenzione a una sorta di “manuale Cencelli" dei primariati». Frati, microfono in mano, lancia il suo j'accuse, rivolto soprattutto al direttore generale Longhi e al rettore Giuseppe D'Ascenzo. «Non vogliamo lo smembramento strisciante del Policlinico, come si evince dal piano di risanamento firmato dall'asse Longhi-D'Ascenzo. Da qui ogni anno escono 500 nuovi medici tra i migliori in Italia». E ancora: «Non approvo alcune linee guida della bozza d'intesa. È fortemente lesiva dell'autonomia universitaria». «Nella bozza - sottolinea - si parla di 900 posti letto in meno. Parole incomprensibili, e che lo stesso assessore Saraceni ha più volte contraddetto. E suppongo che Saraceni sia d'accordo con Storace. Ecco perché io non ce l'ho con il presidente della Regione, che immagino mal consigliato». F.Fil. __________________________________________________ L’Unione Sarda 28 Feb ’02 AIAS: OPPI FURIOSO: BASTA PRESSIONI SULL’AIAS O MI DIMETTO Lettera a Mauro Pili «Ristabilite la verità, chiarite la linea della maggioranza o me ne vado!». È arrabbiato davvero Giorgio Oppi, assessore regionale alla sanità. Non per questioni legate alla Giunta, ma per quella che definisce «un’azione di pressione» messa in atto da chi partecipa alla maggioranza «condizionato da interessi personali o di parte». Per capire occorre fare un passo indietro. Nei giorni scorsi assistiti e operatori dell’Aias (Associazione italiana assistenza spastici) annunciano una serie di veglie di preghiera per sollecitare la Regione a riconoscere gli aumenti delle rette di assistenza e di trasporto dei disabili. Di più: organizzano una manifestazione dal 4 al 9 marzo che sarà aperta da una messa solenne nella basilica di Bonaria a Cagliari, concelebrata dall’arcivescovo Ottorino Alberti. L’Aias, per capire, è presieduta da Bruno Randazzo, ex deputato Dc e padre di Alberto, consigliere regionale affiliato alla maggioranza attraverso i Democratici cristiani sardi, il partito di famiglia. «Apprendo dagli organi di stampa - scrive Oppi - che gruppi di pressione collegati a partiti politici della maggioranza starebbero organizzando apposite veglie per sensibilizzare la Giunta regionale ai problemi dei disabili... e - secondo un cliché consolidato - la stessa formazione politica fa riferimento a precisi impegni della maggioranza non mantenuti». Oppi scrive inoltre di aver appreso che Randazzo (padre) avrebbe detto ai segretari politici del centrodestra che se non si fosse provveduto ad adeguare le rette, i Dcs avrebbero abbandonato la maggioranza. L’assessore precisa di non aver preso alcun impegno su pressioni ma di aver presentato già nella finanziaria 2000 un disegno di legge sull’adeguamento delle tariffe che, da allora, giace in commissione in attesa d’esame. Oppi, anzi, aggiunge di aver chiesto all’attuale assessore al bilancio di cercare una soluzione ma dopo aver stabilito il reale onere finanziario. Stabilito ciò, l’assessore alla sanità chiede alla maggioranza di chiarire una sua linea e ricorda di voler «continuare ad operare senza condizionamenti e in piena serenità». «Se dovessero continuare fraintendimenti, partecipazioni alla maggioranza condizionate a interessi personali o di parte, o altre iniziative come veglie o affini, non potrò procedere oltre e rimettere nelle mani del Presidente della Regione la delega affidatami». __________________________________________________ L’Unione Sarda 1 mar. ’02 AIAS: RANDAZZO: NESSUN RICATTO SOLO UNA GIUSTA PROTESTA «Così come noi non reputiamo l’annuncio di dimissioni da parte di Giorgio Oppi un ricatto nei confronti dell’attuale maggioranza, allo stesso modo egli non deve interpretare come ricatto le nostre fondate lamentele». Questa la replica all’assessore alla Sanità Giorgio Oppi, di Bruno Randazzo, consigliere regionale dei Democratici cristiani sardi, nonché presidente dell’Aias. Oppi, che ha visto come una manovra politica la protesta organizzata dai dirigenti dell’Aias per le indampienze della Regione, ha minacciato di dimettersi senza la solidarietà della maggioranza. Ma in una nota Randazzo conferma la scelta di campo nel centrodestra ma «in un contesto democratico esiste la libertà di opinione e non possiamo sottovalutare le ingiustizie che vengono registrate in danno delle categorie più deboli». Per questo viene rinnovata la richiesta di adeguare le tariffe dei rimborsi all’Aias. __________________________________________________ L’Unione Sarda 1 mar. ’02 I PIONIERI DEI TRAPIANTI DI MIDOLLO Progetto d’avanguardia di un’équipe medica sull’uso del sangue di cordone ombelicale L’ospedale si candida per una banca di cellule cordonali Un progetto di studio preliminare per la creazione di una banca di sangue di cordone ombelicale in Sardegna è stato messo a punto nell’ospedale “San Francesco” dai primari di Ematologia Attilio Gabbas e di Ostetricia Luigi Sionis. Un fondamentale apporto è stato dato dal gruppo di studio composto da Luigi Arru, Angelo Palmas, Maria Monne e Giovanna Piras. Il progetto, che ha avuto l’avvio nel 1997, candida l’ospedale nuorese all’acquisizione dell’unica banca da istituire in Sardegna. L’ospedale “San Francesco” vanta infatti, oltre alla definizione del progetto che ha consentito di standardizzare le metodiche per un ottimale prelievo e la conservazione delle cellule placentari, figure professionali qualificate (in particolare le ostetriche, il cui ruolo è fondamentale nella fase preparatoria e di raccolta) e apparecchiature scientifiche d’avanguardia. «La divisione di Ematologia - afferma Attilio Gabbas - ha alle spalle un’esperienza che data dal 1987 nel settore della crioconservazione di cellule staminali». Il coordinatore del progetto Luigi Arru ha partecipato sistematicamente alle riunioni del gruppo di ricerca “Grace”, tenutesi a Milano e coordinate dall’attuale ministro della Sanità Girolamo Sirchia e allo stage presso la Banca di sangue cordonale del reparto di Ematologia di Firenze. Ma quali sono i vantaggi che questo progetto apporterà in campo sanitario e chi ne beneficerà? I fruitori saranno i pazienti affetti da malattie ematologiche (anemie genetiche, leucemie, linfomi) che necessitano di trapianto del midollo osseo. Le cellule staminali contenute nel sangue del cordone ombelicale, raccolto al momento del parto, sono in grado di sostenere la ricostituzione del midollo nei soggetti che ricevono il trapianto. Dal punto di vista clinico, i vantaggi che offre il sangue cordonale, rispetto alle cellule staminali prelevate dal midollo osseo o dal sangue periferico, consistono nella ridotta tossicità e quindi nella ridotta eventualità di complicanze di tipo immunologico in chi riceve il trapianto. Questo fatto aumenta la possibilità di eseguire il trapianto su pazienti che non trovano un donatore di midollo. Il progetto dei medici nuoresi ha già consentito di standardizzare le metodiche di raccolta, di esame e conservazione del sangue cordonale, di studiarne le proprietà immunologiche e le capacità di rigenerazione del midollo osseo e di avviare le procedure di accreditamento per la costituzione di una futura banca. Dice ancora Attilio Gabbas: «Grazie alla omogeneità genetica dei sardi è possibile che un numero relativamente ridotto di unità di sangue placentare sia sufficiente a procedere al trapianto di midollo in molti pazienti». Intanto si va sviluppando una campagna di sensibilizzazione dei cittadini e dei medici per la donazione di sangue placentare. Ne sono promotori il Lions Club Nuoro Host e la sezione nuorese dell’Ail (Associazione italiana contro le leucemie), che ha sostenuto finanziariamente il progetto con “30 ore per la vita”. Il Lions ha inviato una lettera al direttore generale della Asl 3, Franco Mulas, che ha assicurato di supportare il progetto per la costituzione della banca del sangue placentare. Ora la fase di standardizzazione delle varie procedure è stata completata da parte dell’équipe medica di Ematologia e Ostetricia. «Sono state già raccolte - dice Luigi Sionis - 76 unità di sangue placentare previo il consenso della madre del donatore». Le sacche sono state sottoposte ai test di laboratorio al fine di valutarne l’idoneità per la crioconservazione. Sono stati anche completati alcuni studi biologici, divenuti oggetto di pubblicazione in meeting internazionali. Ora si tratta di raccogliere i frutti di questo intenso e impegnativo lavoro. Partendo, infatti, da tali esperienze preliminari e dalle conoscenze acquisite, si dovrebbe passare, con un modesto impiego di risorse (riguardanti locali e personale, dato che la maggior parte delle attrezzature sono già disponibili), alla fase successiva: la creazione cioè di una banca di cellule cordonali a Nuoro. G. P. __________________________________________________ L’Unione Sarda 2 mar. ’02 I SINDACATI: «UN GRAVE ERRORE CEDERE MONTE CLARO AL COMUNE» Cedere Monte Claro e l’ex ospedale psichiatrico al Comune sarebbe un grave errore per l’Azienda sanitaria di Cagliari: Cgil e Uil si schierano contro l’ipotesi di accordo tra i due enti, e chiedono soluzioni alternative. In una lettera indirizzata al direttore generale dell’Asl 8 Efisio Aste e all’assessore regionale alla Sanità Giorgio Oppi, i responsabili territoriali del settore funzione pubblica delle due sigle sindacali oppongono un netto no alla cessione di cui si è parlato nelle scorse settimane. Nella lettera si ricorda un progetto precedente, visto con favore dai sindacati, per «una più utile, razionale e definitiva sistemazione logistica di tutti i servizi territoriali o amministrativi dell’Asl»: l’Azienda, tra l’altro, attualmente sostiene alti costi «per gli affitti di immobili quasi sempre inadeguati e privi delle necessarie aree per i parcheggi». Una situazione che da un lato appesantisce notevolmente le disponibilità finanziarie della stessa Asl, e dall’altro penalizza i servizi per i cittadini. I sindacati hanno chiesto perciò al manager Aste e all’assessore Oppi di cercare soluzioni alternative: in particolare, per l’area di Monte Claro, si suggerisce il recupero in vista della creazione di un polo sanitario che possa servire Cagliari e hinterland. __________________________________________________ L’Uniuone Sarda 26 Feb. 02 G.GULLOTTA: I BAMBINI PAGANO SEMPRE La campanella è suonata da pochi minuti. I bambini, prima media, sono tutti in classe. Due donne, poliziotte in borghese, devono portar via uno di loro. C’è poco da discutere: un provvedimento del Tribunale dei minori (che nessun vuol certo mettere in discussione) ordina l’allontanamento del ragazzino dalla sua famiglia. Deve andar via con quelle signore sconosciute. Non può neanche passare a casa per prendere i giocattoli e i vestiti. Non può salutare gli amici, i fratelli, il padre, la madre. Così è la legge. La professoressa lo accompagna in presidenza e lì il bambino capisce: qualcosa di grave sta per succedergli. Si butta per terra, in ginocchio: prega l’insegnante, il preside, tutti quegli adulti che devono strapparlo alla sua vita, Non fatemi portar via. I docenti non sanno che fare, la tentazione è troppo forte: il bambino resta qui. Ma non si può. E il bambino va. È successo la settimana scorsa in una scuola media della provincia di Cagliari, ed è successo tante altre volte. Dappertutto. Dramma nel dramma di una decisione sempre sofferta. Che non risparmia altra sofferenza: il padre, o la madre, va a prendere il figlio all’uscita da scuola e scopre che non c’è. Capirà poi. Una storia analoga l’ha raccontata la moglie di quell’uomo di Milano rinchiuso in carcere per oltre due anni con l’accusa di aver abusato della figlia. A scuola la sua bambina non c’era. Portata via. Succedeva sei anni fa: non l’ha più vista. E anche ora, dopo la definitiva assoluzione del marito (la Cassazione ha sottolineato l’errore degli psicologi), quei due genitori non possono vedere la figlia, dichiarata nel frattempo adottabile. Casi limite che sottopongono all’opinione pubblica due problemi, gravissimi: gli abusi sessuali sui bambini e gli errori giudiziari. Come distinguere le violenze vere dai segnali di un malessere di altro tipo? Come evitare l’arresto di innocenti senza rinunciare a perseguire chi si macchia di un reato così grave? Come aiutare il minore a superare il trauma del distacco? O del rientro a casa? Il professor Guglielmo Gulotta, avvocato a Milano e docente universitario a Torino, è il padre della psicologia giuridica. Per nove anni ha insegnato a Cagliari, dove è tornato nei giorni scorsi per una serie di seguitissime conferenze sugli errori nella diagnosi e i problemi della difesa nei processi per abusi sessuali. Sull’attendibilità dei bambini, o meglio, sull’interpretazione di quel che i bambini raccontano e disegnano, il penalista- psicologo ha le idee chiare. Distingue innanzitutto il fenomeno dal problema per sostenere che il fenomeno dell’abuso non è cresciuto ma oggi è diventato un problema per la coscienza collettiva. "C’è una cultura del sospetto in questa materia. Psicologi, responsabili dei servizi sociali e magistrati ritengono che questi fatti siano molto frequenti. Il che non è vero se ci riferiamo ad abusi di bambini prepuberi compiuti in famiglia da un genitore. Si fa una grande confusione tra pedofilia (che è una perversione) e incesto da una parte, questi casi dall’altra". Come distinguerli? "Quando l’accusa arriva in una famiglia con conflitti tra marito e moglie e il padre non ha mai dato segni di perversione, se un bambino fa un disegno strano o dice qualcosa che potrebbe alludere a una seduzione bisogna prestargli attenzione ma stare molto attenti". Alcuni casi clamorosi, uno recentissimo a Cagliari, hanno evidenziato l’impreparazione dei cosiddetti esperti. "Vero. Eppure, paradossalmente nelle facoltà di Giurisprudenza non viene studiata la psicologia giuridica che umanizza il processo e dà ai magistrati gli strumenti per decidere". Che cosa si deve fare per individuare gli abusi che non si traducono in violenze riscontrabili con un controllo medico? "La confusione nasce da questo: un bambino che vive in una famiglia in crisi o che è stato portato via da casa per essere difeso da ipotetici abusi quando viene intervistato dagli psicologi o dai servizi sociali appare in crisi. E qualcuno può ritenere che la crisi dipenda dal supposto abuso anziché dalla crisi familiare". E se un bambino fa disegni espliciti in materia sessuale? "I bambini hanno molteplici curiosità, sanno più cose di quanto non pensiamo anche perché vedono la tv a tutte le ore del giorno. E fantasticano parecchio". Fino ad accusare i genitori? "È chiaro che non si rendono conto delle conseguenze delle loro parole". Resta il problema di distinguere gli abusi veri che pure nelle famiglie esistono. "Io posso dire che cosa non bisogna fare. Primo: non bisogna credere che i test del disegno possano bastare a capire se un bambino ha subito abusi. Secondo: bisogna evitare che chi fa la diagnosi sia coinvolto nella psicoterapia del bambino e non faccia parte dell’istituzione dove il bambino è ricoverato. Terzo: bisogna imparare a non fare ai bambini domande che tradiscono l’aspettativa di chi le propone". Ma davvero i bambini sono così facilmente suggestionabili? "Abbiamo una ricerca in corso in cui i bambini dicono quel che si vuole che dicano. Quindi, distinguere il vero dal falso è complesso: bisogna evitare che per non farci scappare il colpevole acciuffiamo innocenti. Si rifletta: per un bambino una falsa accusa al genitore è grave quanto un abuso". In caso di errori giudiziari c’è il problema del ritorno a casa del bambino: non è così semplice, il caso di Milano insegna. Bisogna cambiare le leggi? "Nei Tribunali dei minori per quanto riguarda gli aspetti civili (come l’adottabilità) non vengono solitamente applicate le garanzie previste dalla Costituzione con la nuova formulazione dell’articolo 111. Basterebbe quello. Oggi succede che gli avvocati e le parti possono difficilmente far valere le loro ragioni. Capita anche che provvedimenti non impugnabili perché temporanei restano tali per anni: un bambino dato in preaffidamento si adatta alla nuova realtà e poi è difficile farlo tornare indietro". Il ministro della Giustizia Castelli vorrebbe cambiare i tribunali per i minorenni e ha già annunciato una riforma con la soppressione dei magistrati onorari esperti. Non tutti sono d’accordo e c’è chi pensa a un Tribunale per la famiglia. "Io posso solo dire che la Corte europea di Strasburgo ha condannato l’Italia perché un Tribunale dei minori non ha controllato il lavoro dei servizi sociali per cui l’allontanamento, che deve sempre essere temporaneo, si è protratto a lungo in modo da non rispettare i valori della famiglia". Vuol dire che non tutto va fatto nel superiore interesse del bambino, come finora si è detto? "Il bambino innanzitutto, senza però dimenticare i valori della vita familiare". Maria Francesca Chiappe, 24/02/2002 __________________________________________________ Le Scienze 2 MAr ’02 OMEOPATIA INEFFICACE CONTRO L'ASMA Nessun miglioramento nei pazienti dello studio dopo un trattamento di 16 settimane Almeno per quanto riguarda la cura dell'asma dovuta all'allergia agli acari le medicine omeopatiche non sembrano offrire più benefici di un placebo, anche se gli effetti sono leggermente diversi. Presso il Royal South Hants Hospital di Southampton, in Inghilterra, alcuni medici hanno selezionato 242 pazienti asmatici allergici agli acari che vivono normalmente nelle nostre case e li hanno suddivisi in due gruppi, all'insaputa dei pazienti, uno curato con medicine omeopatiche e l'altro con un placebo. Dopo un trattamento di 16 settimane, i pazienti non hanno evidenziato alcun miglioramento, né nel funzionalità polmonare né nella qualità della vita. In passato alcuni studi avevano invece suggerito che i farmaci omeopatici potessero essere realmente efficaci per i raffreddori da fieno e, forse, anche per l'asma. Molto probabilmente, concludono gli autori di questo lavoro, le ricerche precedenti avevano preso in considerazione gruppi di pazienti troppo poco numerosi. __________________________________________________ Le Scienze 28 Feb ’02 UN MODELLO PER IL MORBO DI PARKINSON Le caratteristiche delC. eleganssono ideali per gli studi neurologici Alcuni biologi del Centro Medico della Vanderbilt University hanno individuato un modello animale, un piccolo nematode, che sembra essere ideale per studiare i meccanismi molecolari del morbo di Parkinson. Il risultato della ricerca, pubblicata in un articolo pubblicato sulla rivista "Proceedings of the National Academy of Sciences" è stato ottenuto durante lo studio dei neuroni produttori di dopammina di questi vermi. Il C. elegans, è un piccolo nematode (verme cilindrico) lungo circa un millimetro molto usato nella ricerca neurologica per la sua breve vita e per la sua trasparenza che permette di osservare direttamente le sue strutture neuronali. Il verme ha infatti circa 300 neuroni, otto dei quali specializzati come neuroni per la dopammina. I piccoli vermi erano stati modificati geneticamente per sintetizzare un colorante fluorescente verde. dalla mancanza di fluorescenza, si è potuto evincere la distruzione delle le cellule produttrici di dopammina, a causa dell'esposizione a una sostanza chimica, l'idrossidopamina-6 (6-OHDA). La stessa sostanza, solo leggermente diversa dalla dopamina, è in grado di stimolare la produzione di specie molto reattive, e distruttive, di ossigeno, quando entra nei neuroni produttori di dopammina. È interessante notare che questa sostanza è stata isolata nel sangue e nelle urine di molti parkinsoniani, suggerendo che potrebbe svolgere qualche ruolo nello sviluppo della malattia. L'età dell'insorgenza di Alzheimer e Parkinson L'area critica è stata individuata sul cromosoma 10 per entrambe le malattie Alcuni ricercatori del Duke University Medical Center di Durham, nel North Carolina hanno identificato un gruppo di regioni cromsomiche che potrebbero determinare l’età dell’insorgenza delle malattie di Alzheimer e di Parkinson. La scoperta - ha spiegato Margaret Pericak-Vance, direttore del Center for Human Genetics della Duke e principale autore dello studio - è significativa poiché, finora, i genetisti hanno focalizzato la loro attenzione sull’individuazione dei singoli geni che controllano il rischio di sviluppare una delle due malattie. Tuttavia l’età a cui gli individui geneticamente predisposti sviluppano i sintomi della malattia è altrettanto importante.” La ricerca, il cui resoconto apparirà sul numero di aprile della rivista “American Journal of Human Genetics” si è svolta effettuando uno screening genomico di 449 famiglie con più membri con malattia di Alzheimer e 174 famiglie con più casi di Parkinson. L’età dell’insorgenza dell’Alzheimer è generalmente considerato il tempo in cui l’individuo comincia a soffrire di perdita della memoria a breve termine o di disorientamento in modo abbastanza serio da interferire con le attività quotidiane. L’età media dell’insorgenza per i soggetti dello studio era di 72,8 anni per l’Alzheimer e 60,1 anni per il Parkinson. Ricerche passate hanno mostrato che il cromosoma 10 potrebbe contenere un gene che determinerebbe il rischio ammalarsi di Alzheimer. Quest’ultimo studio mostra invece che lo stesso cromosoma potrebbe ospitare un gene che determina l’età dell’insorgenza sia dell’Alzheimer sia del Parkinson. Inoltre, è stata identificata una forte evidenza anche per una meccanismo analogo sul cromosoma 1, ma solo per il morbo di Parkinson.