"ULTIMI NELLA RICERCA SCIENTIFICA? CI VOGLIONO I FONDI" "L' UNIONE E LA RICERCA BANCHI DI PROVA DEL GOVERNO" RIPENSARE IL RUOLO DELL'UNIVERSITÀ RIVISTE SCIENTIFICHE, UN OLIGOPOLIO IL RETTORE ATTACCA CHI CRITICA IL SAN GIOVANNI E IL NUOVO POLICLINICO RETTORE PER DODICI ANNI:A QUALCUNO SEMBRA TROPPO IL RETTORE SUL POLICLINICO: "FINITELA CON LE BUGIE" GLI UNIVERSITARI CHE NON VANNO AL POLICLINICO CAGLIARI: ALL'ORIZZONTE L'ELEZIONE DEL PRESIDE DI MEDICINA TENSIONE DOPO LE DIMISSIONI, ACCETTATE, DEL PRORETTORE GIAIME MARONGIU UNIVERSITÀ: PROPOSTA DI CONVENTION REGIONALE SASSARI: UNIVERSITARI IN LOTTA CONTRO LE TASSE: OCCUPATO IL RETTORATO DEBITI PER LAUREARSI,STUDENTI AMERICANI IN BANCAROTTA LAUREA DENARIS CAUSA IL MEDICO CLOWN SBARCA IN CITTÀ: TUTTI AL PALAZZETTO PER PATCH ADAMS ========================================================= POLITICI IN CAMPO CON L'UNIVERSITÀ: LA REGIONE FINANZI I CORSI PER INFERMIERI LE REGIONI DISEGNANO I SISTEMI-SALUTE IL TRENTA PER CENTO DEI RICOVERI È EVITABILE? SASSARI: "CHIUDEREMO I CORSI DI LAUREA PER LE PROFESSIONI SANITARIE" SAN GIOVANNI DI DIO NEUROLOGIA È AL COLLASSO EPATITE C: TERAPIE PIÙ EFFICACI CAGLIARI: EPATITE C, SVELATE LE ASTUZIE DEL VIRUS SIRCHIA: LABORATORI APERTI PIÙ A LUNGO ELIMINEREMO CURE E RICOVERI INUTILI AIDS, LA GUERRA NON È FINITA UN RIVELATORE RAPIDO DI CARBONCHIO UN VACCINO MIGLIORE DAI VIRUS DEGLI SCIMPANZÉ RIPARARE I DANNI DA ICTUS GENE DI MATUSALEMME LO CERCANO IN SARDEGNA ========================================================= ___________________________________________________________ Corriere Della Sera 7 mar. '02 "ULTIMI NELLA RICERCA SCIENTIFICA? CI VOGLIONO I FONDI" Lettera aperta dal mondo accademico ai ministri Moratti e Tremonti Gli scienziati non sono soddisfatti dei chiarimenti offerti dai ministri Letizia Moratti e Giulio Tremonti ( Corriere 1 marzo) sugli impegni del governo dedicati alla ricerca scientifica. E i professori Carlo Alberto Redi e Silvia Cavagna dell'Università di Pavia e Maurizio Zuccotti dell'Università di Parma rispondono con una lettera aperta precisando come tale atteggiamento possa far solo male alla scienza e al Paese, quando, semmai, ci sarebbe bisogno di un rilancio. L'intervento dei ministri era nato da un articolo di fondo del professor Angelo Panebianco ( "La modernità può attendere", Corriere 26 febbraio ) in cui si denunciava l'assenza di un adeguato impegno sul trascurato fronte. Come ormai è arcinoto, l'Italia nelle spese della ricerca (1 per cento del prodotto nazionale lordo tra investimento pubblico e privato) è in coda all'Europa e lontana dalla media dell'Unione che è esattamente il doppio. "La risposta dei ministri - precisa il professor Redi, che era stato anche componente della commissione sulle cellule staminali creata dall'ex ministro Veronesi - lascia la comunità accademica impegnata nella ricerca del tutto frustrata e con la certezza che il presidente del Consiglio ci ha dato solo promesse nel corso della campagna elettorale, quando ricevette una delegazione di ricercatori". Secondo gli scienziati non si può sostenere che oggi abbiamo bisogno di un censimento dei soggetti capaci di svolgere buona ricerca quale prerequisito per invogliare fondi privati ad investire in questa direzione. "La ricerca - dice Redi - ha bisogno di massicci investimenti pubblici senza i quali non si ottengono risultati. E tutto non può essere ridotto alle sole indagini di interesse industriale perché le grandi scoperte utili sono frutto di una ricerca libera". Gli studiosi sono contrari "a trasformare le Università in società per azioni" e ricordano recenti scelte significative. Negli Stati Uniti gli analisti misero in evidenza come nel medio termine l'investimento nella ricerca generasse un utile annuo del 28 per cento. Il valore spinse subito l'ex presidente Clinton ad aumentare i fondi per la ricerca. "Dopo anni di discussioni non c'è bisogno di un censimento dei capaci - dice Redi -. Nelle nostre università si continuano a formare bravi ricercatori e la dimostrazione sta nel fatto che ci vengono rubati dai centri stranieri". E per sottolineare il buon livello dei nostri scienziati si ricordano le statistiche della rivista internazionale Research Policy dalle quali risulta come il numero dei loro articoli pubblicati sui diversi periodici di prestigio come Science e Nature , sia considerevole e per nulla inferiore a quello di altri Paesi. I ricercatori nella loro lettera non sono d'accordo nel lasciare il diritto di sfruttamento dei brevetti al singolo scopritore. "Per un minimo di etica - dice Redi - i brevetti che io ed altri miei colleghi abbiamo ottenuto all'Università li abbiamo donati perché ottenuti con i soldi dello Stato. E, comunque, per arrivare al brevetto occorrono risorse finanziarie che il governo oggi non intende garantire". Giovanni Caprara ___________________________________________________________ Corriere Della Sera 6 mar. '02 "L' UNIONE E LA RICERCA BANCHI DI PROVA DEL GOVERNO" Gasperetti Marco PISA - Il futuro dell' Italia si gioca su un' Europa più forte e di tipo federale, ma anche sul miglioramento della ricerca e della qualità della formazione. E' quanto sostiene Umberto Agnelli in un' intervista che sarà pubblicata da "Sant' Anna News ", il periodico degli ex allievi della Scuola Superiore Sant' Anna di Pisa e nella quale vengono affrontati anche i problemi legati alla congiuntura economica, ai rapporti tra ricerca e industria e al ruolo del governo. Agnelli ammette che è proprio la ricerca il "punctum dolens" del rapporto tra università e industria. Per quale motivo, dottor Agnelli? "Gli investimenti sono inferiori a quelli degli altri Paesi industrializzati e la ricerca pubblica si sviluppa spesso secondo meccanismi di tipo burocratico. Quella privata è troppo "risparmiosa" e, in un tessuto industriale a grande prevalenza di piccole imprese, stenta a rafforzarsi. La separatezza tra università e impresa, pur se molto è cambiato negli ultimi due decenni, è un' eredità che pesa ancora". Quali rimedi suggerisce? "E' necessario un comune sforzo per concentrare l' attenzione su iniziative singole di collaborazione pubblico-privato che siano veramente eccellenti, utili a chi le promuove e all' interesse collettivo e che possano costituire un esempio". L' Europa ha un ruolo nella ricerca? "La strada della ricerca è sempre più europea: occorre perciò più Europa e, soprattutto, occorrerebbero pochi grandi progetti europei trainanti. Sul modello di ciò che avviene da sessant' anni negli Stati Uniti". Gli economisti parlano di ripresa in arrivo, ma non mi sembrano troppo convinti. Lei è ottimista? "Un miglioramento della congiuntura interna e internazionale è quanto tutti sperano possa avvenire in tempi brevi, tutta via il compito di un imprenditore è di attrezzarsi a essere preparato sia al prolungarsi del rallentamento economico, sia a un auspicabile nuovo "start up". Un imprenditore deve essere sempre prudentemente ottimista: imprenditorialità significa crede re nel futuro. In campo economico, ma anche in ambiente accademico". Un giudizio sul governo. Ritiene che la stabilità politica sarà sufficiente a garantire una spinta alla modernizzazione e innovazione di cui il Paese ha un gran bisogno? "Occorre da re all' esecutivo ragionevolmente credito e tempo. A mio giudizio un importante banco di prova è l' atteggiamento che verrà assunto sulla costruzione di una Europa politicamente più integrata e con una propria Carta Costituzionale. C' è un anno di tempo prima del semestre di presidenza italiano, per coinvolgere l' Italia, gli italiani, la società civile nei dibattiti della Convenzione presieduta da Giscard d' Estaing". Parliamo brevemente della riforma Moratti. Il ministro vuole introdurre la certificazione di qualità dei vari atenei. Cosa ne pensa? "Migliorare la qualità significa anche certificazione di qualità. Mi auguro soltanto che non si commettano errori che purtroppo sono avvenuti in altri campi, a cominciare dal settore industriale . In cui non di rado si è guardato più al rispetto formale delle procedure che assicuravano all' azienda il diploma di certificazione-qualità, che non alla qualità quella vera". Marco Gasperetti ___________________________________________________________ Liberazione 9 mar. '02 RIPENSARE IL RUOLO DELL'UNIVERSITÀ La battaglia del Prc dopo le "pelose" e approssimative aperture del governo ai ricercatori Domenico Jervolino Qualcosa torna a muoversi nel panorama frastagliato delle politiche universitarie e delle lotte dei docenti. Lo mostra anche lo svolgimento di un'assemblea nazionale indetta martedì 5 marzo alla Sapienza da tutte le sigle sindacali della docenza (meno quella che rappresenta tradizionalmente le istanze dei cosiddetti "baroni"), assemblea alla quale Rifondazione è intervenuta con una propria delegazione. Un mondo, quello dell'università, notoriamente difficile, per l'intreccio degli interessi, la frammentarietà delle situazioni, la penetrazione di logiche privatistiche vecchie e nuove, e dove da sempre si è mobilitata per riforme democratiche solo una minoranza. Eppure anche qui qualcosa si muove, sull'onda della partecipazione di settori di docenti, studenti e lavoratori alle iniziative contro la guerra, ai forum sociali e, più recentemente, anche a manifestazioni per la difesa della legalità. Questi fermenti possono di nuovo destare un interesse anche sulla specificità della condizione universitaria, sulle contraddizioni della trasformazione in itinere, sulla situazione della ricerca e del personale che nei settori dell'università e della ricerca lavora o aspirerebbe a lavorare (pensiamo soprattutto alle nuove leve giovanili, la cui situazione andrebbe affrontata politicamente e non solo dal punto di vista per così dire "tecnico", interno cioè a leggi, regolamenti, apparati amministrativi). Infatti, i discorsi che noi facciamo spesso a proposito di dimensione pubblica e sociale oppure privata e mercantile degli studi universitari e della ricerca scientifica diventano per i giovani immediatamente un problema esistenziale, di vita, che può essere affrontato in termini individualistici oppure, come diceva don Milani, in termini politici e collettivi. I giovani che si avviano sulla strada degli studi sono spesso lasciati soli, e costretti a risolvere da soli i loro problemi. Detto questo, vorrei ricordare che come Rifondazione abbiamo condotto nel passato recente delle lotte politiche e sviluppato delle conseguenti iniziative parlamentari, soprattutto in direzione dei ricercatori universitari, battendoci per il riconoscimento delle terza fascia docente, perché avevamo individuato qui uno dei nodi essenziali per un processo di democratizzazione complessiva dell'università. Questa battaglia va ora ripresa, sia dentro la discussione dello stato giuridico dei docenti, nella prospettiva di un ruolo unico dei docenti, sia anche con la riproposizione (che abbiamo fatto anche in questi giorni in entrambe le Camere) di una proposta di legge urgente che riprende quanto acquisito nel dibattito svoltosi nella scorsa legislatura, senza attendere i tempi lunghi di un provvedimento complessivo, che - come l'esperienza insegna - potrebbero essere tempi che non arrivano mai. Anzi, alcuni dei contenuti di questo provvedimento, che si attende ormai da troppi anni, avrebbero potuto trovare una via ancora più breve per giungere in porto, in sede di discussione alla Camera del decreto legge cosiddetto salvastatuti, se fosse passato martedì 5 marzo un emendamento presentato da Rifondazione, che prevedeva l'estensione a tutti i docenti (inclusi ricercatori e assistenti di ruolo) dell'elettorato attivo a tutte le cariche accademiche, sulla base del vecchio principio democratico "una testa, un voto", principio che evidentemente nell'università italiana tarda ad essere riconosciuto. L'emendamento ha riscosso un ampio consenso in aula, ed è già questo un primo risultato, ma la maggioranza lo ha bocciato, così come ha bocciato i successivi emendamenti presentati da Rifondazione e dall'Ulivo su richiesta di tutte le organizzazioni sindacali che miravano a salvaguardare almeno le conquiste acquisite dalla categoria e iscritte negli statuti delle diverse università (contestati da una serie di ricorsi amministrativi). Il cosiddetto decreto salvastatuti rischia così di non raggiungere nemmeno quest'obiettivo minimale. Questa vicenda (che si riaprirà comunque al Senato) mostra come siano "pelose" e approssimative le aperture verbali che da parte della maggioranza di governo sono venute in questi mesi ai ricercatori. Naturalmente queste lotte parlamentari, che pure sono oggetto di iniziative assunte di comune accordo dal nostro partito e dai suoi senatori e deputati, sono per noi solo delle tappe parziali di un discorso molto più ampio di ripensamento del ruolo dell'università, dei suoi protagonisti (studenti e giovani studiosi in via di formazione, non dimentichiamo che l'università è fatta soprattutto per loro e poi docenti, tecnici, amministrativi, ecc.) e delle sue funzioni. Questo lavoro s'intreccia con la riflessione sul sistema formativo nel suo complesso, e sul ruolo della ricerca e della diffusione dei saperi in una società democratica avanzata. Non si tratta di una tematica solamente italiana, per questo sono stati avviati contatti per aprire un discorso almeno a livello europeo fra i partiti del Gue, il gruppo parlamentare al quale aderiamo, incominciando da un confronto italo-francese. Sono temi essenziali, a mio avviso, per definire l'identità programmatica e l'azione trasformatrice di una moderna forza comunista, che ci impegneranno per un periodo non breve. Importante, intanto, è ben cominciare. responsabile Prc Università ___________________________________________________________ Il Messaggero 5 mar. '02 RIVISTE SCIENTIFICHE, UN OLIGOPOLIO Media/Oltre 1.500 studiosi contro la concentrazione di ROMEO BASSOLI UN MOVIMENTO di dissenso organizzato si sta facendo strada nella comunità scientifica internazionale. Negli ultimi anni, infatti, si è affermato in un silenzio quasi totale l'accorpamento della proprietà delle testate scientifiche nelle mani di pochi gruppi editoriali, non più di una mezza dozzina. Questo accentramento delle proprietà va di pari passo con la crescita delle pubblicazioni scientifiche che utilizzano la "peer review", cioè la valutazione degli articoli da parte di esperti competenti e indipendenti. In altre parole, è il filtro di qualità - e nello stesso tempo la certificazione del valore, con tutto quel che ne consegue per la carriera scientifica, politica e finanziaria degli studiosi - della ricerca scientifica mondiale, che sta diventando proprietà di pochissimi gruppi editoriali. Per esempio, con la recente fusione Reed Elsevier-Harcourt, una sola azienda editoriale controlla da sola il 42 per cento di tutte le riviste scientifiche normalmente utilizzate da qualsiasi università. Contro questo monopolio dell'informazione scientifica si sta mobilitando una parte crescente di ricercatori. Qualche mese fa, oltre duemila persone di 138 paesi del mondo (con centinaia di italiani) hanno firmato la petizione per la creazione sul Web di una "biblioteca pubblica della scienza". L'iniziativa, lanciata negli Stati Uniti da un piccolo gruppo di biologi, afferma che un archivio permanente delle ricerche e delle idee, "non può essere controllato dagli editori" delle riviste scientifiche, ma disponibile gratuitamente al grande pubblico. Due settimane fa, un gruppo di ricercatori associati alla Fondazione Soros, ha messo a punto un manifesto - firmato da oltre 1500 scienziati di tutto il mondo - per una iniziativa che rompa il monopolio delle grandi riviste sulla letteratura scientifica mondiale. Il manifesto, chiamato "Iniziativa di Budapest per l'accesso aperto" (Boai) rivendica "l'accesso libero a tutta la letteratura scientifica" per liberarla dal monopolio dei grandi editori. La Boai se la prende duramente con la politica commerciale delle grandi riviste che detengono i diritti di pubblicazione degli articoli dei ricercatori e che vengono vendute con tariffe d'abbonamento proibitive, soprattutto per i paesi del Sud del mondo. L'iniziativa del Boai propone una soluzione imperniata sul cosiddetto metodo di "autoarchiviazione". Il ricercatore, cioè, continuerebbe a cedere alle riviste tradizionali il suo articolo nella forma emendata dai comitati di revisione (il sistema cioè della "peer review", che garantisce la qualità della ricerca), ma verrebbe autorizzato a mettere on line, su riviste gratuite, l'articolo originale. Per favorire questa "autoarchiviazione" la Fondazione Soros ha annunciato l'investimento di 3 milioni di dollari. ___________________________________________________________ L'Unione Sarda 8 mar. '02 UNIVERSITÀ. IL RETTORE ATTACCA CHI CRITICA IL SAN GIOVANNI E IL NUOVO POLICLINICO Lo "strappo" del prorettore Marongiu: non condivido le modifiche allo statutoDivorzio in venti righe: "Lascio perché non condivido l'intenzione del rettore di rivedere la norma che limita a due i mandati per ricoprire le cariche elettive dell'Università". Sessantadue anni, insegnante da quaranta, dall'86 ordinario di Chimica generale, il Pro-Rettore Giaime Marongiu s'è dimesso e non intende ripensarci: "Dimissioni già accolte". A metà del secondo mandato (il Rettore Pasquale Mistretta l'aveva scelto il primo novembre dell'anno accademico '96-97, incarico fiduciario confermato nel 2001), Marongiu non se l'è sentita di condividere una "modifica allo statuto" che, se accolta, cancellerebbe lo sbarramento a due mandati (della durata di tre anni ciascuno) per assumere le cariche interne dell'Ateneo. "Io", chiarisce il professore dimissionario, "sono per mantenere il limite a due mandati". Senza sbarramento, via libera alle conferme: da quella di Magnifico rettore a tutte le altre dell'Ateneo che ha 40 mila studenti, 1.500 docenti, 100 corsi di laurea e oltre 3 mila discipline insegnate. Marongiu esclude dissapori con Mistretta: "Solo una diversa opinione sulle modifiche allo statuto". Per chiarire la natura della decisione, Marongiu ha scritto una lettera al rettore e (via e-mail) ai colleghi: "Il ruolo di prorettore richiede l'adesione e la condivisione delle linee politiche del Rettore nella gestione dell'Ateneo. Questa condizione è indispensabile per il rapporto assolutamente fiduciario della carica. Le diverse valutazioni emerse nei recenti colloqui sulla possibilità di procedere a rilevanti modifiche statutarie suggerisce l'opportunità che io rimetta il mio mandato. La mia attività ha comportato in qualche occasione scelte non totalmente condivise, ma ti assicuro che le polemiche eccessive, e per certi versi strumentali, di questi giorni non hanno avuto alcun peso sulla mia decisione". Mentre il rettore ha confermato che "la decisione del prorettore prescinde da valutazioni di carattere politico", Marongiu ha escluso un ripensamento. Il rettore ieri ha condannato chi (negli ambienti universitari) "critica strumentalmente l' ospedale San Giovanni di Dio e il Policlinico di Monserrato con l'intenzione di colpire altri obiettivi". Con il preside della Facoltà di Medicina, Angelo Balestrieri e alla direttrice generale del Policlinico, Rossella Coppola, Mistretta si è rivolto a chi fa questi attacchi ("anche professori universitari"), al Tribunale del malato e ai politici "per ribadire, una volta per tutte, che il nostro compito non è quello di portare via i pazienti al sistema pubblico, ma è quello di formazione e ricerca: l' Università utilizza la sanità solo a fini formativi e di ricerca". Mistretta ha difeso "l' operato del direttore della Asl 8, Efisio Aste, che nonostante stia facendo i salti mortali per gestire la più grande struttura della Sardegna, viene attaccato tutti i giorni da universitari". In vista dell' istituzione della nuova Agenzia sanitaria Regione-Università, è stato annunciato che il nuovo Policlinico potrà contare su 570 posti letto (attualmente sono 250, dei quali 120 occupati) e che entro il 31 marzo verranno assegnati all'ospedale di Monserrato 31 letti del reparto di Chirurgia del San Giovanni di Dio. ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 9 mar. '02 RETTORE PER DODICI ANNI:A QUALCUNO SEMBRA TROPPO Maretta all'università dopo le dimissioni del prorettore CAGLIARI. Pasquale Mistretta è rettore da dodici anni. Se è vero che tre sono pochi, sei anni cominciano a bastare, nove coprono un arco abbastanza lungo per ottenere i risultati e godersi il successo, si capisce perché in tanti ritengono che dodici anni sia un allargamento eccessivo dell'attività di un rettore. Ma nel caso dell'università di Cagliari non ci sarebbe neppure da mettersi il problema: lo statuto, infatti, dà ragione a quelli che sostengono l'utilità di un numero di anni inferiore a dodici per reggere una carica importante come quella del rettore. Il problema esplode perché c'è chi vuole cambiare lo statuto in modo da rendere possibile la moltiplicazione degli anni di gestione di un professore universitario dell'ufficio del rettore. Si è discusso molto all'università, si è discusso ancora di più nel senato accademico che raduna i rappresentanti delle varie facoltà. Tema: si cambia o no lo statuto che attualmente sbarra la rielezione del rettore? Si cambia, dice il rettore assieme ad altri. Non si cambia, sostengono altri fra cui Giaime Marongiu prorettore giunto alle dimissioni per non modificare la sua linea di pensiero e quindi di condotta. Le dimissioni sono state accettate: che ne sarà dello statuto? Davvero all'interno dell'università di Cagliari si crede che un uomo possa fare il rettore da qui all'eternità o quasi? Sembrerebbe di no, ma a questo punto ci vorrebbe un sondaggio per tastare il polso di una situazione che si avvicina al punto critico. Prima o poi, infatti, la questione verrà portata all'attenzione ufficiale del senato accademico che dovrà esprimersi e soprattutto votare. Insomma, i mesi a venire si annunciano caldi. Come anche nella facoltà di Medicina dove è certo che l'attuale preside non si ricandiderà e prendono quota nomi quali quello di Faa, l'anatomo patologo e di Cagetti il chirurgo. Non è questione ininfluente, quest'ultima del cambio del preside di Medicina perché i rettori di Cagliari vengono espressi soprattutto da due facoltà: Medicina e Ingegneria. Quindi bisognerà seguire le evoluzioni delle candidature e delle correnti che, in scala, riportano la situazione al massimo livello, quella che esprime, poi, il rettore. ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 8 mar. '02 IL RETTORE SUL POLICLINICO: "FINITELA CON LE BUGIE" L'ufficialità dell'ateneo sconfessa gli universitari in polemica per il trasferimento a Monserrato Conferenza stampa dai toni accesi: "Stiamo lavorando e le critiche sono solo strumentali"CAGLIARI. La potenza dei docenti universitari si misura, tra l'altro, sul numero di posti letto gestiti, non importa se l'edificio, il personale e il soldo necessario per mandare avanti la baracca siano interamente garantiti dalla sanità pubblica. Nel nascente Policlinico quei docenti che in qualche modo si compiacciono di essere definiti "baroni", certo dovranno inventarsi altre unità di misura per le proprie onnipotenze: l'entità posto letto sparisce, ci saranno, ovviamente, i letti per ricoverare le persone, però l'organizzazione della degenza sarà, come dicono i manager, aperta. Cioè macchinari, infermieri, pazienti non più chiusi nei reparti dedicati alle varie discipline mediche, ma distribuiti nell'edificio e assistiti su necessità del paziente e dell'organizzazione, non secondo sogni e bisogni del direttore del reparto. E' una delle tante "modifiche culturali e comportamentali" imposta dalle leggi che hanno ripensato il funzionamento delle scuole di medicina. Che probabilmente si somma al fastidio di traslocare dal centro città alla periferia malcollegata. O al dispetto verso chi, causa la gradualità dell'imponente riconversione, ancora per chissà quanti anni resterà comodamente sistemato nel reparto vecchia maniera (succederà di sicuro per tutti coloro che continueranno l'attività al San Giovanni di Dio). Spazientito dalla quantità di lettere di protesta (sui giornali) di universitari e no pro o contro il Policlinico di Monserrato, pro o contro il San Giovanni, pro o contro il trasloco, il rettore Pasquale Mistretta ha annunciato ufficialmente che "l'Università prende le distanze totalmente dalle dichiarazioni rese per arrivare a obbiettivi strumentali". L'annuncio è avvenuto al rettorato, in conferenza stampa, con due supertestimoni: il preside della facoltà di Medicina, Angelo Balestrieri, il direttore generale del Policlinico di Monserrato, Rossella Coppola. Riepilogo della polemica: nelle settimane scorse ai mezzi di informazione è arrivato un tam tam di notizie che spiegavano i ritardi nell'avviamento del Policlinico come un favore a qualcuno (le cliniche private), le "pessime condizioni" del San Giovanni di Dio come un dispetto ad altri (della Usl verso gli universitari) o, al contrario, come un appoggio (della Usl al rettorato) per sostenere la validità del trasferimento a Monserrato. C'è chi si è lamentato per non essere stato consultato su tempi e modi del trasloco, chi invece ha protestato perché nell'operazione mancherebbero obbiettivi chiari. Ieri il rettore ha detto basta. "Il presidio di Monserrato è piccolo (250 posti letto in tutto), secondo le linee guida la facoltà di Medicina cagliaritana avrà 570 posti letto più quote per le scuole di specializzazione: per integrare e avere davvero 570 posti letto abbiamo preso atto che la Regione nelle delibere di giunta dello scorso anno ha stabilito che il corpo della nuova azienda Regione-Università sia costituito da tre parti: il complesso di Monserrato, l'attuale clinica pediatrica, il San Giovanni di Dio. Ecco perché mi sono sentito persona lesa nella duplice veste di rettore e di cittadino che sa dei miliardi spesi in ristrutturazioni di quell'ospedale quando ho letto di topi, gironi danteschi, correnti d'aria, nonché crolli paurosi della produzione scientifica. Poi c'è il direttore generale Asl che sta facendo salti mortali per coadiuvarci nella riorganizzazione della facoltà e deve subire gli attacchi degli universitari: ebbene l'Università esprime oggi una presa di distanza totale dalle dichiarazioni di pochi docenti. Dopo un lavoro lunghissimo stiamo concludendo con il direttore generale della 8 Efisio Aste e con l'assessore alla sanità Giorgio Oppi un difficilissimo percorso amministrativo (le leggi vanno interpretate) per portare 31 posti letti di chirurgia a Monserrato e garantire così maggiore compiutezza alle attività del presidio". Non da oggi Mistretta ringrazia Aste: senza gli anestesisti della 8 che inseriranno nei turni di lavoro anche Monserrato mai si potranno aprire le sale operatorie. Torniamo agli universitari: cos'hanno da lamentarsi se rettore, preside, Usl, Regione lavorano per allestire un polo adeguato alla legge nonostante Monserrato sia piccolo, il San Giovanni di concezione superata ecc.? Risponde Mistretta: "Forse anche il fatto che nella politica dei piccoli passi, i pionieri di Monserrato hanno avuto incentivi, chi c'è andato ha avuto tutto quello che chiedeva. Oggi gli spazi sono contratti, gli ultimi a trasferirsi si devono accontentare ma ci sono esigenze che debbono essere tenute in considerazione. Faccio l'esempio: alla fine non ci possiamo permettere la capienza delle sei sale operatorie se non ci sono attorno gli spazi necessari perché, chi ci lavora, abbia un posto dove stare quando l'intervento deve cominciare, è finito ecc. E non dimentichiamoci che a Monserrato dobbiamo portare gli studenti". Tempi: entro marzo saranno pronte le delibere degli enti impegnati nel trasloco. Che non è solo sull'asse San Giovanni Monserrato, ma anche Marino-San Giovanni- Marino: l'ortopedia universitaria andrà al San Giovanni, al posto della Medicina generale. Il solito Aste disponibile? "Sì - risponde al telefono il direttore della 8 - ringrazio Mistretta, la collaborazione andrà avanti sperando di vedere al più presto l'azienda mista perché l'università possa svolgere i suoi compiti e l'assistenza possa essere adeguata". Fuori dall'ufficialità: si è capito che il San Giovanni di Dio sarà tutto universitario, serve il protocollo che regoli i rapporti tra universitari e ospedalieri. Ancora più chiaro: con l'azienda mista si riequilibrerà l'antica disparità degli universitari che potevano fare assistenza e degli ospedalieri che molto di rado avevano l'opportunità di entrare ufficialmente nelle attività di ricerca. Alessandra Sallemi ___________________________________________________________ la Nuova Sardegna 9 mar. '02 GLI UNIVERSITARI CHE NON VANNO AL POLICLINICO Chi non vuole andare? Quelli con la casa al Corso Tra problemi seri e nicchie di comodo Parla Giovanni Brotzu Alessandra Sallemi CAGLIARI. Giovanni Brotzu chirurgo vascolare professore a Medicina parla di pregi e difetti del Policlinico e non teme il rettore perché da due anni lavora a Monserrato "come impiegato", scopo: arrivare ad aprire la sala chirurgica e la rianimazione. Non ne può più neppure lui del fronte palese e occulto degli scontenti che rumoreggia attraverso i mezzi di informazione. Quanti saranno questi riottosi? Medicina interna conta 30 persone tra professori e ricercatori: 14 sono già trasferiti, gli altri risultano pronti a farlo. Cardiologia: su 6, 4 sono già a Monserrato. Otorino è già trasferita, Chirurgia generale: su 13, 7 hanno le valigie pronte. Endocrinologia: qui su 6 nicchiano in 3. Gastroenterologia: su 3 uno chiede la luna. Meglio di Reumatologia: "fanno storie" in 3 su 3. Intanto, la storia del Policlinico: "Nasce 20 anni fa, Casula rettore, per 960 posti letto, la legge li ridurrà poi a 510 più le quote per le specializzazioni (830 circa in tutto), ne sono stati realizzati solo 300 per questioni finanziarie. Le beghe tra ditta costruttrice e università provocò ritardi, 2 anni fa fu aperta la Medicina, non ancora le chirurgie perché non c'erano le strutture base, tipo le sale operatorie: basta secondo lei per non aprire una chirurgia?". Credo di sì, ma sono passati altri due anni. "Avevamo pochi soldi e c'erano mille minuzie di cui occuparsi. Oggi sono pronti 52 posti letto per la chirurgia e 2 per la rianimazione. E' stato comprato tutto il materiale per le sale operatorie...". Perché a lei l'onere, o l'onore, di fare tutto? "Credo nell'università, ho diecimila interventi chirurgici alle spalle ed era ormai mio desiderio massimo vedere una struttura chirurgica universitaria. Poi sono anche il chirurgo più anziano dell'ateneo. E poi ho avuto il coraggio di mollare il reparto per fare l'impiegato". Cos'è tutto questo malcontento sul trasferimento al Policlinico? "Abbiate chiaro un particolare: gli universitari che lavorano non hanno niente contro Monserrato. Alcuni ci sono già, altri sono pronti a trasferirsi". E altri ancora? "Hanno la casa al Corso Vittorio Emanuele, a due passi dalla clinica Aresu. Che, però, piaccia o meno, deve essere dismessa: non è a norma. Sa qual'è la cosa buffa? Meno produzione scientifica hanno, più accampano pretese". Del tipo? "C'è un collega che vuole ritrovare il regno a Monserrato. Un altro che fa mille visite l'anno e vuole tre ambulatori tutti suoi. Qualcuno proprio non si rassegna al fatto che tutti dovranno usare gli ambulatori a turno. E tra i riottosi c'è gente che ha fatto l'ultima pubblicazione nel 1998...". Una massa? "No, una minoranza. Poi ci sono discipline come Medicina del lavoro che hanno problemi tecnici autentici: hanno bisogno di stanze dove sistemare i macchinari. Ma lì 16 sono e in 16 sono pronti a trasferirsi. Il rettore sta facendo l'impossibile per trovare soluzioni". Visto che conosce bene la situazione, forse potrà muovere una critica sui problemi del Policlinico. "Se devo, posso dire che la facoltà di Medicina avrebbe dovuto dare alll'azienda Policlinico, centro di ricerca e di insegnamento, un programma didattico e scientifico. Mancando questo è successo, per esempio, che siano stati previsti 24 posti letto per la rianimazione: a cosa servivano? D'altronde, in una regione dove manca perfino un piano sanitario può succedere questo e altro, come avere ospedali che non servono, costano e che la Politica non chiuderà". A proposito di politica: l'ospedalità privata non vedrà bene una struttura modernissima come il Policlinico universitario. "L'ospedalità privata va per conto suo, ci sono servizi alternativi a quelli offerti dall'università, oltre che compiti diversi e, per la sanità pubblica, tutti quelli fuori dai Lea, i livelli essenziali di assistenza stabiliti dal ministero. So che i privati si stanno attrezzando per servizi in gran parte scoperti come geriatria, la chirurgia estetica, le chirurgie non previste dai Lea". Il protocollo Regione-Università per creare l'azienda mista Policlinico non arriverà mai? "E' fatto. In bozza. E ha già il corredo delle osservazioni degli universitari". Ma perché dicono che è in alto mare, che è difficile da elaborare? "E' difficile mettere giù gli allegati". Che sarebbero? "Le norme sull'attività quotidiana, che dovranno necessariamente smuovere situazioni consolidate". Come gli universitari che dovrebbero accogliere nei loro ranghi i medici ospedalieri? "Chiariamolo una volta per tutte. Io faccio parte di commissioni dove si presentano anche ospedalieri: per la carriera universitaria servono le pubblicazioni, chi le fa si può presentare ai concorsi". Con quali soldi vivrà il Policlinico? "Con i drg (rimborsi sui ricoveri), i fondi per la ricerca. Gli stipendi saranno pagati dal ministero dell'università". ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 8 mar. '02 CAGLIARI: ALL'ORIZZONTE L'ELEZIONE DEL PRESIDE DI MEDICINA Sussurri e grida oltre la battaglia delle lettere sulla situazione della sanità locale Ma si potrà mai sapere cos'hanno da litigare, stavolta, gli universitari? Mistretta ha detto, in sostanza, che qualche nume della medicina locale rischia di avere a disposizione meno spazio del collega trasferito anni prima. Balestrieri, il preside di Medicina, ha ricordato che il trasloco di oggi solleva le stesse polemiche del 1953 quando "ci fu un'insurrezione perché il professor Aresu mise su la clinica, allora un gioiello per la didattica, la ricerca scientifica, l'organizzazione dell'assistenza": "L'Università entra nella sanità perché deve formare i futuri medici e, oltre alla didattica, agli studenti deve garantire la pratica che si fa attraverso l'assistenza. Finora i docenti universitari hanno avuto una grande libertà di organizzarsi: potevano disporre di tutto quello che erano in grado di procurarsi. Oggi è nata l'esigenza di cambiare mentalità - ha concluso -, l'universitario deve entrare in un sistema e lavorare con quello che gli viene dato". Le opinioni ufficiali spesso hanno un grande pregio: spiegano, ma non ammazzano la curosità. Per esempio: che senso ha avuto prendersela con la fatiscenza non più così attuale del San Giovanni di Dio? E come mai attaccano la Usl ma si offende l'Università che, ieri, si è presentata con tanto di rettore, direttore del Policlinico e preside della facoltà? Si racconta che di questi tempi, a Medicina, ci sia nella realtà un motivo in più per litigare: le elezioni per il preside non sono lontane, le correnti si sono formate e lavorano per sostenere o abbattere in senso figurato i candidati. Balestrieri non si presenterà, ma avrà sicuramente un delfino. Non potranno mancare i non allineati (al fronte Balestrieri, se esiste un fronte che si riconosce nel preside): ci sarà già in pista qualche nome di prestigio da contrapporre validamente alle vecchie logiche? Quanto può essere forte un delfino del preside? Molto se il preside domina, molto meno se lo si può attaccare, magari anche di sfuggita in una lettera che parla d'altro. a. s. ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 8 mar. '02 TENSIONE ALL'UNIVERSITÀ DOPO LE DIMISSIONI, ACCETTATE, DEL PRORETTORE GIAIME MARONGIU Cambiate lo statuto? Io me ne vadoCAGLIARI. Tensioni negli organismi di vertice dell'Università. Il prorettore Giaime Marongiu si è dimesso. Lo ha fatto con una lettera inviata a Pasquale Mistretta e diffusa via e-mail ai colleghi dell'Ateneo. "Il ruolo di prorettore - ha scritto Marongiu - richiede l'adesione e la condivisione delle linee politiche del Rettore nella gestione dell'Ateneo. Le diverse valutazioni emerse nei recenti colloqui sulla possibilità di procedere a rilevanti modifiche statutarie suggerisce l'opportunità che io rimetta il mio mandato. La mia attività - ha scritto ancora Marongiu, che ha apprezzato la lettera personale con cui il Rettore ha preso atto delle dimissioni - ha comportato in qualche occasione scelte non totalmente condivise, ma ti assicuro che le polemiche eccessive, e per certi versi strumentali, di questi giorni non hanno avuto alcun peso sulla mia decisione. Alcuni errori commessi ed ammessi - ha concluso - sarebbero facilmente rimediabili, se ci fosse la volontà, salvaguardando, come ritengo possibile, le scelte di fondo derivanti dal documento sulla ricerca, largamente condivise nel Senato accademico". Il malumore, di cui soffre negli ultimi tempi l'organismo di vertice dell'Università, riguarda - secondo quanto apprende l'Agi - le scelte d'indirizzo politico dell'Ateneo e la modifica, per la seconda volta, dello statuto nella parte relativa alle norme che regolano l'elezione del Magnifico. Per alcuni sarebbe opportuno o ripristinare lo sbarramento dei due anni, com'era originariamente, per altri, invece, sarebbe meglio non porre limiti. ___________________________________________________________ L'Unione Sarda 5 mar. '02 UNIVERSITÀ: PROPOSTA DI CONVENTION REGIONALE Sessantamila studenti, tremila insegnamenti, 2.500 docenti: da questa realtà che sintetizza le Università di Cagliari e Sassari occorre partire per il "governo dello sviluppo" dell'Isola. Lo ha sostenuto il preside della Facoltà di Scienze della Formazione di Cagliari, Alberto Granese, che ha invitato con un documento programmatico i colleghi dei due Atenei a realizzare una convention regionale. "Nella fase di cambiamenti e di innovazioni del sistema universitario - ha sottolineato Granese - davanti a una riforma che non mostra ancora chiari i contorni e di cui non è agevole prevedere gli effetti, la Conferenza dei due Atenei intende affrontare problemi e emergenze del mondo accademico. Lo scopo è anche quello di sollecitare agli altri soggetti istituzionali un rapporto con gli Atenei che assuma l' Università come soggetto chiamato a mettere in campo le proprie risorse rendendole disponibili per il governo dello sviluppo". Il Documento programmatico, stampato in duemila copie, è stato inviato ai docenti e agli altri organismo universitari ___________________________________________________________ L'Unione Sarda 7 mar. '02 SASSARI: UNIVERSITARI IN LOTTA CONTRO LE TASSE: OCCUPATO IL RETTORATO Gli studenti chiedono l'esenzione totale per chi ha un reddito basso Domani un incontro Hanno occupato simbolicamente l'aula del rettorato per un'ora, gli studenti della facoltà di Lettere e Filosofia che da due settimane si sono costituiti in assemblea permanente contro la riforma universitaria. La manifestazione, cui hanno preso parte una ventina di studenti, ha avuto carattere pacifico. Ai funzionari dell'ateneo che li hanno ricevuti, gli studenti hanno ribadito le loro richieste: abolizione della tassa regionale per il diritto allo studio e l'istituzione di una "fascia zero" che esoneri gli studenti meno abbienti dal pagamento delle tasse universitarie. Ma nel corso della breve occupazione gli studenti hanno anche sottolineato che poche settimane fa alla loro delegazione è stato negato il diritto di partecipare alla cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico. Domani alle 16,30, nell'aula O della facoltà di Lettere è in programma un incontro per fare un bilancio delle prime due settimane di occupazione. Gli studenti passeranno in rassegna gli incontri avuti nei giorni scorsi con i rappresentanti dei lavoratori (Ucs, Ferrovie, Cobas, Energia, operai delle fabbriche di Ottana) e con i pastori del movimento Kuiles, ma anche dell'attività culturale promossa: mostre fotografiche, rassegne cinematografiche. Si parlerà anche di quella che gli occupanti considerano un'importante vittoria: il prolungamento di due ore dell'apertura della biblioteca di facoltà. ___________________________________________________________ Corriere Della Sera 6 mar. '02 DEBITI PER LAUREARSI,STUDENTI AMERICANI IN BANCAROTTA Laurea con bancarotta. Così un numero crescente di studenti americani conclude l'università. Lo ha rivelato la ricerca di uno studio di commercialisti di Washington: l'anno scorso un milione e mezzo di americani (persone, non società) ha dichiarato bancarotta, un record. Centomila di loro erano al di sotto di 25 anni, in maggioranza neolaureati. Secondo lo studio, Garza e Regan associates , non c'è da meravigliarsi. Il debito medio contratto da un neolaureato per frequentare l'università è di quasi 20 mila dollari, 22 mila euro. Con interessi del 7-8 per cento, e stipendi inferiori ai 40 mila dollari pochi riescono a cavarsela. In America le migliori università sono private, e la retta, alloggio compreso, arriva ai 30 mila dollari all'anno, oltre 33 mila di euro. Ma anche la più umile università pubblica costa almeno 4 mila dollari annui. Le borse di studio non sono sufficienti, e gli studenti dei ceti medio e basso sono costretti a chiedere prestiti a un apposito istituto federale o alle banche. Come se non bastasse, pur lavorando per mangiare, spesso gli studenti contraggono altri debiti con la carta di credito del campus, 2.800 dollari in media nel quadriennio, 3.100 euro. Mentre l'istituto federale attende almeno un anno dopo la laurea per essere ripagato, le banche non concedono dilazioni. La bancarotta non esime i neolaureati dal saldare il debito, ritarda soltanto il pagamento. Capita così che un quarantenne, sposato e con figli, debba fare fronte al mutuo per la casa, alla rata dell'auto e al prestito per l'università. Lo studio Garza e Regan associates ha citato un caso estremo: Custis Nelloms, 33 anni, dopo due lauree si è trovato con un debito di 50 mila dollari, oltre 55 mila euro, e un mediocre impiego, ed è finito in tribunale. "Il suo livello di vita, e di migliaia di altri giovani come lui - ha commentato lo studio di Washington - era più elevato prima della laurea che dopo. E' la morte dei sogni giovanili". L'anno scorso, il fenomeno è stato aggravato dalla recessione economica, che ha spinto molti neolaureati, impossibilitati a trovare un buon lavoro, a iscriversi a una seconda facoltà. Le associazioni dei genitori stanno combattendo per la riduzione delle rette universitarie, una missione impossibile, e per l'abolizione delle carte di credito sui campus. Queste sono un grosso affare per le banche: la First Usa , ad esempio, paga 13 milioni di dollari alla Università dell'Oklahoma per l'esclusiva decennale della sua carta di credito nel campus. Ennio Caretto ___________________________________________________________ La Stampa 5 mar. '02 LAUREA DENARIS CAUSA FENOMENO DEI TITOLI IN VENDITA di Marco Belpoliti In uno dei quotidiani gratuiti, che si distribuiscono nelle grandi città italiane, è apparsa nei giorni scorsi una pubblicità. Il titolo: Laurea Honoris Causa. Nel disegno un signore vestito in toga e cappello da laureando che osserva soddisfatto la propria medaglia. Lo slogan: "investire in immagine significa assicurarsi il successo". Nel testo si spiega che a partire da oggi è possibile ottenere il titolo onorifico di Doctor. I destinatari della réclame sono titolari d'azienda, professionisti, imprenditori, dirigenti. I requisiti per ottenere il titolo (ma meglio sarebbe dire: l'onorificenza) pochi: un buon curriculum professionale. La società che offre la laurea, nascosta dietro una sigla misteriosa, C.I.D., ha sede nella Repubblica di San Marino (cos'altro potrebbe significare R.S.M?) e assicura che il conferimento dell'onorificenza avverrà senza esami e senza spostamenti all'estero. L'ente che rilascia l'attestato (tiriamo un sospiro di sollievo) è un'università straniera che lo accompagna con un certificato di autenticità tradotto in italiano (le lingue straniere!) e "asseverato da un tribunale". A scanso di equivoci si specifica che il titolo non è equipollente alla laurea italiana. Un tempo in ogni città di provincia c'erano il ragioniere o il geometra, titolari di un studio avviato, che ambivano al titolo di dottore in economia o ingegnere (e, in subordine, di architetto). Per questo, alla sera, magari con l'aiuto della moglie, studiavano e cercavano di dare esami. In capo a un decennio, con tanta fatica, il sogno era realizzato; un bel mattino il ragioniere faceva levare la vecchia targhetta dal portone e la sostituiva con una nuova di zecca (stessa cosa accadeva al biglietto da visita). Era, come testimoniano i racconti di uno spietato osservatore della provincia italiana, Lucio Mastronardi, un'aspirazione sociale, un modo per confermare il proprio successo, per ottenere quel rispetto che il mestiere già aveva assicurato: salire un gradino della scala sociale. La laurea come scatto - riscatto - sociale è stato il sogno della generazione postbellica: avere un laureato in casa! Ora le cose stanno diversamente. La laurea non è una conferma, una conseguenza della propria ascesa, bensì una causa: investire in immagine per ottenere il successo. E poco importa se per ottenerla occorra pagare. Tanto sul biglietto da visita non ci sarà scritto chi l'ha rilasciata. L'importante è poter vedere quel "dott.". L'offerta del C.I.D. di San Marino tuttavia non fa che mimare un'iniziativa che tutte le università del mondo hanno intrapreso da molto tempo: attribuire lauree honoris causa a persone che si sono distinte in un campo particolare: scienziati, politici, imprenditori, finanzieri, ecc. A volte capita che a riceverle siano imprenditori che hanno generosamente finanziato la medesima università: una forma di riconoscimento reciproco. L'acquisto della laurea a San Marino è un altro esempio del fai-da-te che sembra oggi trionfare nella società italiana. Oggi tutto si può comprare. Al supermercato della cultura, lauree vendesi. ___________________________________________________________ L'Unione Sarda 9 mar. '02 IL MEDICO CLOWN SBARCA IN CITTÀ: TUTTI AL PALAZZETTO PER PATCH ADAMS Sbarca in città il clown delle corsie, l'uomo che ha introdotto la rivoluzione del sorriso nell'austero ambiente degli ospedali. Patch Adams, simbolo della moderna comicoterapia, medico burlone che l'attore Robin Williams ha portato sul grande schermo nel 1999, sarà a Cagliari mercoledì prossimo, 13 marzo (con tutta probabilità al palazzetto dello sport). Un'occasione straordinaria non solo per il personale medico e paramedico, ma anche per tutti quelli - pazienti e familiari - che hanno sperimentato le virtù terapeutiche del sorriso. La storia di Patch Adams è quella di un bimbo finito in ospedale psichiatrico in seguito a una depressione per la morte del padre, vicenda da cui uscì con l'unico desiderio di diventare da grande un medico capace di alleviare col sorriso la sofferenza dei piccoli pazienti. A farlo arrivare in città sono i volontari dell'associazione "Kirighì", termine onomatopeico tratto dal sardo su kirighittu (solletico). Un gruppo di professionisti di svariati ambiti (medici, psicologi, infermieri, pedagogisti, terapisti, insegnanti, attori e animatori) che mettono a disposizione la propria esperienza per far sorridere gli ammalati. Basta poco: un camice bianco come pagina per tanti disegni colorati, uno stetoscopio a forma d'orecchio, nasi rossi, bolle di sapone, grandi scarpe e grandi "ciucci", da far provare ai piccoli pazienti. Ma anche ai grandi, soprattutto alle mamme che assistono i figli, stanche e spesso scoraggiate. "La vita di corsia deprime", dice uno dei soci che si presenta col nome di Dottor Piretto (tutti i membri dell'associazione si presentano con pseudonimi da "dottori d'umorismo"): "Ma è sufficiente entrare e cambia tutto. Chiediamo sempre prima il permesso ai bambini, e se loro dicono di sì, dopo un paio di "numeri" ce ne andiamo lasciando un clima completamente diverso. Mamme meno stanche, con una luce magica negli occhi. E la cosa più bella è che questo le stimola a comunicare tra loro". Per ora i "pagliacci" della Kirighì hanno avuto il permesso di entrare in azione soltanto nel reparto pediatrico del Brotzu, anche se le richieste di collaborazione sono state inoltrate a tutti gli ospedali di Cagliari. Con i loro nasi rossi, convinti che la vera medicina universale sia l'amicizia, i "dottori della risata" si preparano all'incontro con il grande Patch: "Era previsto per tutta la giornata di mercoledì 13 all'Hotel Mediterraneo Ñ riferisce Dottoressa Bollicina Ariosa Ñ ma finora abbiamo avuto più di mille richieste, anche da Roma e Treviso. Lo spazio non basta più". L'appello al Comune, come accennato, dovrebbe appunto aver dato buon esito, con la probabile concessione del palazzetto. Per prenotare basta spedire una e-mail all'indirizzo risate@tiscali.it. Monica Perozzi ========================================================= ___________________________________________________________ L'Unione Sarda 7 mar. '02 POLITICI IN CAMPO CON L'UNIVERSITÀ: LA REGIONE FINANZI I CORSI PER INFERMIERI Da Forza Italia ai Ds, passando per i Quattro Mori, i rappresentanti dei sassaresi in consiglio regionale raccolgono l'appello dell'università turritana. Tutti pronti a combattere la guerra dichiarata dal preside di Medicina, dagli studenti e dal rettore Maida: una guerra da cui dipende la salvezza di dodici corsi di laurea nelle professioni sanitarie. Lauree brevi che finora si sono sistematicamente tradotte in posti di lavoro e che anche in futuro dovrebbero garantire l'assoluzione (si pensi al caso degli infermieri, richiestissimi) ma che dal prossimo novembre rischiano di finire nel dimenticatoio. "Mi meraviglia che il problema emerga solo ora che è in atto la discussione per la Finanziaria regionale", esclama Giacomo Sanna, consigliere regionale del Psd'Az. "La Regione doveva pensare per tempo che, una volta finiti i finanziamenti dell'Unione europea, avrebbe dovuto provvedere a dare continuità all'attività universitaria inserendo queste spese in bilancio". Ora potrebbe essere tardi: "In sede di discussione della Finanziaria non è possibile presentare emendamenti o correggere il documento contabile". Per Sanna le responsabilità sono tutte della Regione che "aspetta sempre l'ultimo momento per affrontare i problemi più importanti". Giacomo Spissu, consigliere dei Ds gli fa eco: "Siamo schierati a favore dell'università di Sassari, e a Cagliari lavoriamo per il suo sviluppo". L'impegno di Spissu è di muoversi quanto prima, contattando l'assessore alla Sanità Giorgio Oppi. Non è da meno Tonino Frau, consigliere di An: "Mi assicurerò Ñ annuncia Ñ che sia fatto un monitoraggio per capire i motivi di tanto ritardo o il perché di questa scelta". A Sassari, studenti e docenti sono in attesa. Giovedì il preside Giulio Rosati ha dato l'ultimatum alla Regione, chiedendo una rapida decisione sulla firma dei protocolli d'intesa e i finanziamenti da destinare alla facoltà per l'attività didattica. Ma sul tavolo sono finite anche altre questioni: come il rispetto dei decreti che prevedono il superamento dell'attuale sistema e danno il via alla nascita di un'azienda mista ospedaliero-universitaria. I rappresentanti degli studenti di Medicina, promotori dell'iniziativa che ha smosso le acque sul problema, manifestano la loro soddisfazione per l'impegno preso dall'assessore Giorgio Oppi. "Il timore Ñ sostengono Alessandra Nivoli, Giovanni Rizzo, Giovanni Antonio Cocco e Gianfrancesco Sale Ñ è che i ragazzi che studiano a Sassari siano privati della possibilità di avere un titolo e una formazione professionale competitivi in Italia e in Europa". La conseguenza sarebbe "una nuova migrazione di intelligenze verso altre università: quelle che garantiscono i diritti oggi negati dall'università turritana. Ci auguriamo Ñ concludono Ñ che gli impegni si concretizzino presto". Gina Falchi ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 4 mar. '02 LE REGIONI DISEGNANO I SISTEMI-SALUTE Sanità - Già pronti al varo sette piani dei Governi periferici all'insegna della razionalizzazione e del taglio dei costi Messe alle strette dall'obbligo, sotto federalismo, di far assolutamente quadrare i bilanci di Asl e ospedali, le Regioni corrono ai ripari. E dopo le manovre che hanno visto rinascere in ordine sparso i ticket sui farmaci e aumentare i balzelli locali a carico di cittadini e imprese, ecco che stanno per farsi largo altre "manovrine" locali di contenimento della spesa sanitaria. Nel segno, questa volta, di una parola d'ordine: "razionalizzazione" della gestione. Dunque, ancora una volta, di freno al correre altrimenti impetuoso della spesa. Interventi, quelli in cantiere, che da una parte recepiscono i recentissimi Livelli essenziali di assistenza, nel tentativo di eliminare sprechi e doppioni di prestazioni, soprattutto di quelle "non essenziali". Ma che insieme si muovono nell'ottica di ridisegnare i processi complessivi locali di governo del sistema sanitario locale. Di qui - sempre sulla traccia dei Lea e del patto di stabilità dell'8 agosto 2001 - il fiorire dei nuovi Piani sanitari regionali (Psr), ovvero degli strumenti cardine della programmazione della salute pubblica che per lungo tempo, soprattutto nelle realtà del Mezzogiorno, sono stati una "merce rara". I Psr attualmente "in movimento" sono sette. In più d'un caso, sono anche oggetto di duri confronti politici in sede locale, come del resto dimostrano spesso i tempi lunghi del dibattito in corso nei Consigli regionali. Le linee di indirizzo dei Psr più o meno ai nastri di partenza, di cui diamo conto in questa pagina, disegnano del resto anche strategie di governo del sistema-salute regionale e di accesso all'assistenza, spesso difformi. Esprimendo evidentemente precise scelte politiche di fondo: dalle Fondazioni ai Fondi integrativi che mette in pista la Lombardia, alla separazione tra Asl e ospedali del Piemonte. Ma anche considerando le specificità locali o il ritardo in alcuni casi colpevolmente accumulato nel corso di lunghi anni di vuoto programmatorio. Non mancano peraltro - anche nel rispetto degli obblighi di legge - strategie comuni, rintracciabili da Nord a Sud. Con un obiettivo di fondo che percorre come un filo rosso tutte le scelte regionali: la necessità, cioè, di rafforzare il rapporto tra ospedale e territorio, riservando finalmente a quest'ultimo un ruolo primario nel circuito dell'assistenza: dalle cure a domicilio all'assistenza ai malati terminali alla lungodegenza. Nuovi scenari che, inevitabilmente, ci toccheranno direttamente come utenti: basta pensare alla riduzione dei posti-letto negli ospedali e alla rimozione dell'ospedalizzazione "sempre e comunque". Perché salute, come è scritto anche nella tanto odiata riforma ter del Ssn, vuole spesso dire prevenzione. ___________________________________________________________ Repubblica 7 mar. '02 IL TRENTA PER CENTO DEI RICOVERI È EVITABILE? Più day hospital e più efficienza I Livelli Essenziali di Assistenza nascono e si sviluppano con il duplice intento di mettere chiarezza in una materia da sempre ribollente: la gestione della salute pubblica e riuscire nell'impresa titanica di contenere la spesa sanitaria. Obiettivi molto ambiziosi che meritano una sede per una discussione e focalizzazione: quella dell'Università di Tor Vergata di Roma dove si è svolto il seminario dal titolo "Opportunità ed impatto della definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza". I "Lea" secondo i partecipanti nascono come strumenti per affinare il controllo e per accelerare lo sviluppo di un sistema più efficiente ed efficace. Così come la necessità di limitare sempre più il ricovero tradizionale e di convertirlo in modo sempre più quantitativamente consistente in ricovero di dayhospital, rappresenta un altro fondamentale traguardo per migliorare la gestione della nostra salute. Perciò sono nati specifici strumenti di intervento: uno di questi è rappresentato dall'individuazione di ben 43 prestazioni (i Drg) "abusive", definite come "ad alto rischio di inappropriatezza". "La percentuale del loro utilizzo come ricovero ordinario è stata altissima in Basilicata, Molise ed a Bolzano e la più bassa in Emilia Romagna, Veneto ed Umbria con una oscillazione del 30 per cento fra le regioni più parsimoniose e quelle più "spendaccione"" spiega Laura Pellegrini, direttore dell'Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali. "L'abuso nazionale dei Drg è molto alto e si attesta intorno al 25 per cento. Le cifre sono spietate: il confronto fra l'utilizzo sensato dei Drg in dayhospital porta ad un risparmio economico di un miliardo di euro". La scelta di fissare dei "paletti" per l'intervento statale non è fatta da tutti nel mondo: in Nuova Zelanda i massimi margini discrezionali sono affidati alle regioni. La Norvegia, invece, senza individuare una vera e propria lista di prestazioni, ha livelli di priorità: servizi sanitari di base, "supplementari", "di bassa priorità" e servizi sanitari che non vengono finanziati, conferendo massima tutela alle malattie mentali negli adolescenti e negli adulti. L'Inghilterra ha puntato sulla responsabilizzazione del singolo medico verso scelte che si fondino sull'efficacia clinica della prestazione, sempre privilegiando i servizi per le disabilità fisiche e mentali. Federico Spandonaro, economista dell'Università di Tor Vergata, invita comunque a riflettere: "La Finlandia, il paese più indietro nella definizione delle priorità, ha la più alta percentuale (78%) di cittadini soddisfatti del proprio servizio sanitario nazionale; nel Regno Unito sono la metà. Da noi solo il 14 per cento". ___________________________________________________________ L'Unione Sarda 8 mar. '02 SASSARI: "CHIUDEREMO I CORSI DI LAUREA PER LE PROFESSIONI SANITARIE" Dieci anni di ritardo sulla riforma: a rischio titoli che garantiscono il posto di lavoro Ultimatum dell'ateneo alla Regione La facoltà di Medicina suona la sveglia alla Regione: "O ci si siede subito a discutere - scandisce il preside, Giulio Rosati - o, il primo novembre, blocco i corsi di laurea per le professioni sanitarie". Sono a rischio dodici tipi di lauree brevi: gli otto ex diplomi universitari che finora si sono sempre trasformati in posti di lavoro più quattro corsi di nuova istituzione. Servono, a esempio, per diventare infermiere (11mila assunzioni annunciate nei prossimi due anni, a livello nazionale: Sassari sforna 50 laureati all'anno) o audioprotesista, una figura che praticamente in Italia non esiste (in pratica, basta il pezzo di carta per essere assunti). Dietro l'ultimatum c'è una storia assurda: quella di una Regione con dieci anni di ritardo, l'unica a non rispettare le norme che hanno riformato il sistema sanitario nazionale. Una storia di trattative estenuanti fra docenti e funzionari, con protocolli d'intesa che tutti, a Cagliari, dicono di voler firmare ma nessuno poi firma davvero. Morale: all'università sarda viene lasciato il compito di formare medici e paramedici, interamente a spese sue e adeguandosi agli standard europei. Fino a quest'anno l'ateneo sassarese è riuscito ad arrangiarsi con fondi europei. Dall'anno prossimo, però, Bruxelles non manderà più quattrini. E allora, avvertono il preside Rosati e il rettore Maida, la Regione deve fare la sua parte, ora o mai più. E gli studenti sono con i professori: è per iniziativa dei loro rappresentanti che del problema si discute in un'aula magna gremita. "La sanità - sottolinea Maida - è uno dei pochissimi settori universitari che garantiscono uno sbocco professionale": come dire, la chiusura di questi corsi, in un'Isola dove la disoccupazione resta su livelli preoccupanti, sarebbe un danno gravissimo. Le responsabilità politiche, pesantissime. Dunque: si istituisca subito una commissione consiliare. In prima fila, il dottor Giovanni Serra, inviato dell'assessore Giorgio Oppi, prende appunti. "Ho ascoltato con interesse e riferirò puntualmente", spiega poi al microfono, mentre il suo piede, sotto la cattedra, batte a ritmo forsennato. Posizione scomoda, la sua. È chiamato a rappresentare l'unica Regione in Italia a non aver ancora applicato i due decreti che hanno rivoluzionato la sanità italiana. In pratica, l'orologio della sanità sarda si è fermato al 1978, alla legge 833: i decreti 502 e 517 sono rimasti sulla carta. Non è poco. Il primo, che risale a dieci anni fa, regola i rapporti fra università e sistema sanitario nazionale e ha portato ovunque alla nascita delle aziende ospedaliere autonome, che fra l'altro godono di maggiori finanziamenti e possono creare più posti di lavoro: "Ovunque ma non in Sardegna", arringa il professor Rosati, "dove l'unica azienda ospedaliera di rilievo nazionale è il San Michele di Cagliari". Il secondo decreto è quello che ha di fatto superato la separazione fra ospedali delle Asl e cliniche universitarie, prevedendo la nascita delle aziende miste. Già quattro anni fa una commissione parlamentare sollecitò l'applicazione: l'assessorato rispose che avrebbe provveduto quanto prima, invece niente. Di qui la mancata firma dei protocolli e il rischio che l'università tagli dei corsi di laurea che producono occupazione e rappresentano una seria possibilità di crescita per il territorio. Ora la palla passa a Giorgio Oppi, che nella querelle sul centro trapianti di fegato ha già dato prova di attenzione per la sanità sassarese, ma soprattutto al consiglio regionale. "E qui - conclude Rosati - serve l'impegno dei nostri rappresentanti politici". Marco Noce ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 6 mar. '02 SAN GIOVANNI DI DIO NEUROLOGIA È AL COLLASSO Troppi pazienti, poche stanze e appena 5 infermieri Cagliari. Il reparto di Neurologia del San Giovanni di Dio non ce la fa più. Troppi pazienti, poche stanze e infermieri rarissimi. Ieri mattina i ricoverati erano oltre una quarantina: ad assisterli solo quattro-cinque infermieri. E più che una corsia di ospedale, Neurologia sembra un accampamento: molti letti sono sistemati nel corridoio, perchè dentro le stanze non c'è più posto. Ma tra i ricoverati vince la rassegnazione: "Sono arrivato stamattina per una visita - spiega uno di loro - e mi è stato proposto il ricovero. Mi hanno detto che per il momento mi sarei dovuto accontentare del corridoio. E io ho accettato: va bene così". Emergenza straordinaria o raccappricciante routine? Sembra che il lunedì e il martedì questa sia la prassi: "Ma poi li sistema - spiega un paziente - a inizio settimana qui è sempre così". Bocche cucitissime, invece, tra medici e infermieri: "Non siamo autorizzati a rilasciare dichiarazioni". Ma lavorare in queste condizioni per loro è quasi impossibile. Parlano invece i parenti dei pazienti: "Come si fa a lasciare i ricoverati in mezzo ai corridoi? E la direzione sanitaria? E le associazioni che tutelano i malati? Possibile che nessuno sappia che cosa sta succedendo?" e le lamentele non si fermano qui. Sotto accusa la qualità dei pasti: minestre, pastasciutta e fettine arriverebbero fredde. Perchè? Il problema sarebbe sempre lo stesso: poco personale a disposizione. Ovvero: tutto fila liscia al momento della preparazione delle pietenze nella fase di trasporto dalle cucine ai reparti. Ma poi la catena si interrompe al momento della distribuzione stanza per stanza: gli infermieri sono pochi e i tempi si allungano. E i pasti, stando alle proteste dei pazienti e dei loro parenti, arriverebbero tardissimo. E non caldi al punto giusto. "Diciamo congelati", azzarda qualcuno. Nessuno si lamenta di medici e infermieri: "Sono bravi - sussurra un paziente - fanno quello che possono, ma le condizioni sono queste: e nessuno può farci niente". L'alternativa è un rimedio peggiore del male, mandare a casa pazienti che hanno assolutamente bisogno di essere seguiti ora per ora non si può. E addirittura chi sta in corridoio è contento: "Meno male che mi hanno accettato: mi hanno assicurato che presto si libererà un posto". Stefano Ambu ___________________________________________________________ L'Unione Sarda 5 mar. '02 EPATITE C: TERAPIE PIÙ EFFICACI Un gruppo di ricercatori dell' università di Cagliari ha svelato le astuzie con le quali il virus dell'epatite C riesce a resistere ai farmaci. Le ricerche, coordinate da Patrizia Farci e pubblicate sulla rivista Proceedings of National Academy of Sciences, aprono la possibilità di migliorare i trattamenti attuali contro una malattia che colpisce il 3% della popolazione italiana. "Il virus Hcv", spiega Farci, "è tra i più smaliziati che si conoscano perchè cambia faccia continuamente, e cronicizza nell'80% dei casi nelle persone infettate e nel 30% di questi sviluppa i sintomi della malattia, cirrosi e tumore del fegato". La gravità della situazione è accentuata dal fatto che non esiste a tutt'oggi un vaccino ma l'unico modo per bloccare l'infezione è una terapia a base di interferone e ribavirina, ma per il 60% delle persone infettate le cure sono inefficaci. La ricercatrice ha studiato dal punto di vista genetico i virus Hcv (in una persona infettata ci possono essere fino a 56 tipi diversi di virus) di coloro che non rispondevano ai farmaci e di coloro che rispondevano bene ai farmaci. Mentre tra i primi c'erano virus già in partenza resistenti che via via prevalevano e dominavano sugli altri, nel secondo gruppo prevalevano virus omogenei e sensibili all'interferone. "E già dopo due settimane di terapia", ha spiegato Farci, "è possibile sapere quali astuzie il virus mette in atto per imbrogliare il sistema immunitario e far cronicizzare la malattia". Molti ricercatori pensavano che il fenomeno della resistenza avvenisse durante la terapia, " ma non è così" sottolinea Farci, "si parte già con un ceppo di Hcv resistente che domina e si amplifica". La scoperta, oltre a mettere in luce i meccanismi che creano la resistenza alle terapie, mette in evidenza la necessità di mettere a punto nuovi farmaci anti Hcv. ___________________________________________________________ Corriere Della Sera 5 mar. '02 SIRCHIA: LABORATORI APERTI PIÙ A LUNGO ELIMINEREMO CURE E RICOVERI INUTILI Il ministro: "L' azienda sanitaria farà ricorso a personale esterno" De Bac Margherita ROMA - "E' stata presentata come un' operazione rivolta contro i cittadini. Invece ci siamo impegnati a fondo per favorirli", si duole il ministro della Salute Girolamo Sirchia difendendo i Lea (Livelli essenziali di assistenza) entrati in vigore con l' obiettivo di "uniformare" in tutt' Italia le prestazioni rimborsate dalla Sanità pubblica. E annuncia un' altra sferzata di regole che dovrebbe portare al prosciugamento delle liste d' attesa. Le nuove regole ripercorrono più o meno quelle già esistenti o riprendono vecchi provvedimenti. Perché a lei il taglio delle liste dovrebbe riuscire? "Fino ad oggi il direttore generale di un ospedale non ha avuto strumenti per intervenire. Nutriva il timore che la Corte dei Conti potesse chiedergli in dietro i soldi spesi per accorciare le attese. Noi col consenso delle Regioni abbiamo fatto chiarezza con un documento unico, che non lascia spazio a interpretazioni e permette una flessibilità di interventi che non c' è mai stata". Che cosa cambierà sul piano pratico? "Oggi laboratori e apparecchiature diagnostiche smettono di funzionare alle 15. Resteranno aperti per 3-4 ore in più nel pomeriggio. Per trovare personale il manager dell' azienda farà ricorso alla libera professione dei dipendenti. In alternativa prenderà personale esterno a contratto o si rivolgerà a centri esterni convenzionati, i service. Infine potrà prevedere incentivi per il personale capace di accelerare il ritmo degli esami". Quanto si aspetta in Italia per un' ecografia? "Ufficialmente non lo sappiamo. Il nuovo sistema prevede che entro tre mesi le Asl misurino le loro liste e comunichino al ministero il risultato dei rilevamenti. Ogni Regione fisserà i limiti massimi entro i quali assicurare le prestazioni. Chi non li fa rispettare, dai dirigenti ai medici, rischia penalizzazioni". Funzionerà? "Deve funzionare. I cittadini faranno la loro parte protestando se le promesse vengono disattese". Un invito alla protesta? "Le liste di attesa sono una vergogna, disonorano il Paese. Anche se esistono realtà dove la situazione non è così drammatica". Con i Lea, avete voluto risparmiare a discapito dei cittadini? "Al contrario. Le cure rimborsate dal servizio pubblico restano le stesse. Abbiamo voluto però chiarire senza possibilità di equivoci quali sono e quali restano fuori. Esempio, la chirurgia plastica non è mutuabile ma chi si rompe il naso in un incidente stradale ha diritto alla rinoplastica gratuitamente. Non ci saranno ticket aggiuntivi, né tagli". E allora che cosa cambia? "Risparmieremo eliminando cure e ricoveri inappropriati. Un paziente che si opera di cataratta o al ginocchio in artroscopia non può restare in ospedale tre giorni, come avviene oggi. Basta un giorno. Poi torna a casa ed è un vantaggio non solo per il Ssn, che risparmia, ma soprattutto per il malato che vede diminuire il rischio di contrarre infezioni ospedaliere. Più la degenza si allunga, più il rischio aumenta. É un grave problema, non solo italiano. Lo stesso va le per gli altri tipi di ricovero. Molte prestazioni oggi erogate in regime di day hospital possono essere svolte in ambulatorio. Abbiamo fatto una lista delle 43 cure a rischio di inappropriatezza. Contiamo di risparmiare così due terzi della spesa ospedaliera". E le Regioni che decidono comunque di rimborsare cure non comprese nei Lea? "Usano fondi propri, se il bilancio lo consente, non quelli dello Stato. Non possiamo dare tutto a tutti". Margherita De Bac mdebac@corriere.it ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 5 mar. '02 CAGLIARI: EPATITE C, SVELATE LE ASTUZIE DEL VIRUS Ricerca dell'università di Cagliari apre la strada a nuove cure CAGLIARI. Un gruppo di ricercatori dell'università di Cagliari ha svelato le astuzie con le quali il virus dell'epatite C riesce a resistere ai farmaci. Le ricerche, coordinate da Patrizia Farci e pubblicate sulla rivista Proceedings of National Academy of Sciences, aprono la possibilità di migliorare i trattamenti contro una malattia che colpisce il 3 per cento della popolazione italiana. "Il virus Hcv - spiega Farci - è tra i più smaliziati e cambia faccia continuamente. Cronicizza nell'80 per cento dei casi nelle persone infettate e nel 30 per cento di questi sviluppa i sintomi della malattia, cirrosi e tumore del fegato". Non esiste a tutt'oggi un vaccino e l'unico modo per bloccare l'infezione è una terapia a base di interferone e ribavirina, ma per il 60 per cento delle persone infettate le cure sono inefficaci. Farci ha studiato dal punto di vista genetico i virus Hcv (in una persona infettata ci possono essere fino a 56 tipi diversi di virus) di coloro che non rispondevano ai farmaci e di coloro che invece rispondevano bene. Mentre tra i primi c'erano virus già in partenza resistenti che via via prevalevano sugli altri, nel secondo gruppo prevalevano virus omogenei e "sensibili" all'interferone. "E già dopo due settimane di terapia - ha spiegato Farci - è possibile sapere quali astuzie il virus mette in atto per imbrogliare il sistema immunitario e far cronicizzare la malattia". Molti ricercatori pensavano che il fenomeno della resistenza avvenisse durante la terapia, "ma non è così: si parte già con un ceppo di Hcv resistente che domina e si amplifica". ___________________________________________________________ L'Unione Sarda 5 mar. '02 AIDS, LA GUERRA NON È FINITA Ecco i dati aggiornati a dicembre 2001 sul virus Hiv: 25 nuovi casi di infezione Nell'ultimo anno non sono nati bimbi sieropositivi Lo zero virgola due per cento è un traguardo? Grande traguardo, quando si parla di aids. Perché ogni ostacolo superato è una festa, ogni grafico in cui la curva scende è un successo. Alla fine del 2001 i casi di aids in Sardegna sono 25: due in meno rispetto al 2000. E a Cagliari da 4 si passa a 3,8. Poco, pochissimo, questo 0,2. Tanto, tantissimo perché è una vita salvata. È un bambino che nasce sano, è l'intelligenza e il rispetto della prevenzione, è l'incubo della morte che si allontana. "È il sorriso di Aspino, che parla con la sua faccia bianca da pagliaccio e racconta grandi verità". Ninni Piu lo sa bene: il 4 aprile dell'85 diagnosticò al Brotzu un caso di sieropositività di aids. Era la prima volta in Sardegna. Da allora, giorno dopo giorno, il medico virologo non ha mai smesso di parlare di prevenzione. Con coraggio, ha iniziato dai bambini. Ha creato Aspino, pagliaccio in camice bianco, simbolo dell'Aspa, l'Associazione sarda prevenzione aids, che distribuisce palloncini e centomila opuscoli, e racconta con semplicità la vita e la morte. Tra qualche settimana lo farà anche su Videolina: quattro puntate - che in replica diventeranno otto - per spiegare l'aids ai 98 mila bambini sardi. "Il futuro", è certo Piu, "dipende da loro". Aspino ha dieci anni: e in dieci anni, insieme a lui, sono cresciuti migliaia e migliaia di bambini. "Gli stessi che oggi non rinunciano al preservativo, e affrontano la vita e l'amore con intelligenza e buon senso". Perché a leggerli, grafici e tabelle, sono davvero inquietanti. Nel mondo, 6 ragazzi ogni minuto vengono contagiati dal virus e ogni anno muoiono di aids 11 milioni di persone. Sono 37 milioni gli adulti che oggi convivono con il virus, 17 milioni sono donne e due milioni e mezzo bambini. Il totale: 40 milioni. I paesi più colpiti: Africa subsahariana, Asia del Sud e Sud-Est Asiatico, Estremo Oriente, America Latina, Europa Orientale. Nel 2001, sono morti di aids 3 milioni di persone: un milione sono donne, due e mezzo uomini, 600 mila bambini sotto i 15 anni. Ma in vent'anni il virus non ha risparmiato 21 milioni di persone. In ogni parte del mondo. In Italia dall'82 a oggi i casi di aids sono stati 49.333, 1700 nel 2001. I sieropositivi sono 100 mila, e ogni giorno in dieci scoprono di esserlo. Le donne: i casi di infezione sono passati dal 20 al 30 per cento, e 6 su 10 non sanno di essere ammalate di aids. E in Sardegna? Spiega Ninni Piu: "In campo pediatrico dal 31 dicembre 1998, anno in cui si erano registrati 25 casi, la situazione è rimasta stabile: ma negli ultimi 36 mesi in Sardegna non è nato neanche un bambino sieropositivo". Nel 2000, il tasso di incidenza per 100 mila abitanti in Sardegna era di "4 a Cagliari, 0 a Nuoro, 0.6 a Oristano, 0.9 a Sassari". Al 31 dicembre 2001 i i dati sono da aggiornare: "3.8 a Cagliari, 0.7 a Nuoro, 0.6 a Oristano, 2.8 a Sassari". Cosa significa? "Che non dobbiamo mai abbassare la guardia". Anche se nella classifica delle città italiane per tasso di incidenza Cagliari è passata dal ventitresimo al ventesimo posto. Preoccupante, in tutta Italia, "è il dato che riguarda gli eterosessuali: dal 16,4 per cento del 31 dicembre 1999 si è passati al 17,2 del 2000 e al 17,9 del 2001: mai sentirsi invincibili davanti all'aids, mai sentirsi sicuri, intoccabili". Parola di Aspino. Francesca Figus ___________________________________________________________ Le Scienze 8 mar. '02 UN RIVELATORE RAPIDO DI CARBONCHIO L'obiettivo è riuscire a dare l'allarme nel più breve tempo possibile Dopo "l'epidemia" americana di carbonchio, molti ricercatori si sono messi al lavoro per progettare e costruire strumenti in grado di rivelare rapidamente la presenza delle spore del pericoloso batterio. Un primo prototipo, messo a punto dai National Sandia Laboratories, è in grado di identificare in meno di cinque minuti alcuni particolari acidi grassi del carbonchio che degradano il metile, chiamati FAME. L'identificazione del batterio in pochi minuti, anziché nelle ore attualmente necessarie, è fondamentale per avvertire gli occupanti di un edificio in modo che possano scappare più rapidamente possibile, limitando il rischio di contrarre l'infezione. Il rivelatore funziona concentrando il particolato atmosferico su una minuscola piastra calda che funziona come un pentolino sul fuoco. La piastra vaporizza immediatamente gli acidi grassi che si trovano sulle pareti cellulari dei batteri, creando i FAME, che rappresentano la firma della loro presenza. "Il processo - ha spiegato Curtis Mowry dei Sandia - è simile a quello della cottura del bacon. Un piccolo calcolatore correla la quantità di ogni estere emesso nei gas analizzati in funzione del tempo e la confronta con curve di riferimento ottenute in laboratorio. Il processo richiede quantità di energia molto inferiori, rispetto a quelli normali, per cui si presta meglio allo sviluppo di dispositivi portatili. Ora i ricercatori si stanno concentrando sul problema di aumentare ulteriormente la velocità dell'analisi, mantenendo allo stesso tempo la capacità di distinguere diversi microorganismi. Acidi grassi si trovano infatti nelle membrane cellulari di tutti gli organismi viventi. ___________________________________________________________ Le Scienze 7 mar. '02 UN VACCINO MIGLIORE DAI VIRUS DEGLI SCIMPANZÉ Nella sperimentazione su topi è stata riscontrata una forte risposta immunitaria Gli immunologi sanno che gli adenovirus umani, che causano infezioni comuni delle vie respiratorie, possono essere manipolati in laboratorio per servire come vaccini contro varie malattie virali. Quando vengono modificati geneticamente affinché esprimano geni di altri virus, come quello dell'HIV o del vaiolo, gli adenovirus infettano le cellule umane senza provocare danni e stimolando una vigorosa e duratura reazione immunitaria. Questa almeno è la teoria, ma in pratica ci sono ancora numerosi problemi. Gli adenovirus sono praticamente ubiquitari negli esseri umani, al punto che almeno un terzo della popolazione ha nel sangue anticorpi neutralizzanti, capaci di disattivare un vaccino basato su di essi. Ora un nuovo studio svolto sui topi dai biologi del Wiestar Institute e dell'Università della Pennsylvania ha mostrato che un vaccino basato su un adenovirus prelevato dagli scimpanzé ha le stesse proprietà immunitarie di quelli basati sui virus umani, senza averne gli svantaggi. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista "Journal of Virology". "Il vaccino basato sugli adenovirus degli scimpanzé - ha spiegato Hildegund C. J. Ertl - funziona come un amuleto. "È potente dal punto di vista immunologico ed è chiaro dal nostro studio che non viene inattivato a causa di esposizioni precedenti al virus, come può capitare con i vaccini basati sugli adenovirus umani." Per lo studio, i ricercatori hanno sviluppato due vaccini contro il virus della rabbia. Uno era basato su un adenovirus umano che incorporava un gene della rabbia, l'altro era su un adenovirus di scimpanzé con lo stesso gene. Nei topi non esposti a nessun tipo di adenovirus il vaccino ha stimolato una forte risposta immunitaria. Nei topi esposti in precedenza all'adenovirus umano, tuttavia, il funzionamento del vaccino basato su questo era seriamente compromesso, mentre quello basato sul virus degli scimpanzé mantiene la sua efficacia. ___________________________________________________________ Le Scienze 6 mar. '02 RIPARARE I DANNI DA ICTUS Ripristinare la funzionalità degli arti anche negli uomini è l'obiettivo della ricerca dei prossimi anni Proseguendo una serie di scoperte sulle cellule staminali, un gruppo di biologi dell'Università del Minnesota e dello Stem Cell Institute ha dimostrato come esse abbiano la capacità di ripristinare le funzioni cerebrali in animali da laboratorio colpiti da ictus. Le cellule sono state isolate da midollo osseo di uomini adulti, e trapiantate in topi di laboratorio sette giorni dopo che avevano sofferto di un danno cerebrale da ischemia. Prima del trapianto, gli animali non erano in grado di utilizzare correttamente le zampe anteriori, ma dopo alcune settimane hanno recuperato la funzionalità degli arti, come è stato descritto in un articolo pubblicato sulla rivista "Experimental Neurology". Dopo il trapianto, l'esame del cervello dei topi ha mostrato che le cellule si erano sviluppate esibendo le caratteristiche dei neuroni. Questa scoperta suggerisce che la stessa tecnica potrebbe aiutare a ripristinare le funzioni cerebrali anche in esseri umani colpiti da ictus. "La possibilità di ripristinarne le funzioni motorie - ha spiegato Walter Low, principale autore della ricerca - potrebbe in futuro riguardare anche gli esseri umani. Tuttavia, bisogna condurre molti altri studi su queste cellule, prima di poter prendere in considerazione l'idea di iniziare test clinici. Il prossimo passo di questa ricerca sarà quello di determinare dopo quanto tempo il trapianto delle cellule è ancora efficace. È possibile trapiantarle uno, due, sei o dodici mesi dopo l'ictus e recuperare ancora le funzioni cerebrali? Un altro problema è quello di verificare se queste cellule possono mantenere le loro nuove caratteristiche di neuroni per tempi prolungati dopo il trapianto." ___________________________________________________________ La Stampa 6 mar. '02 GENE DI MATUSALEMME LO CERCANO IN SARDEGNA INTERNAZIONALE PER GLI STUDI SULLA LONGEVITA´ LA Sardegna potrebbe diventare un laboratorio mondiale per la ricerca sulla longevità umana: in quest'isola, caratterizzata da una struttura genetica della popolazione diversa dal resto d'Italia e da tutte le popolazioni note in Europa e in Africa, gli ultimi censimenti hanno registrato due fenomeni di grande interesse: un numero di ultranovantacinquenni più alto che in qualsiasi altra regione italiana e un rapporto centenari/centenarie di 1:2, mentre in buona parte del mondo occidentale oscilla tra 1:4 e 1:7. Non solo. Nella Sardegna interna, in contrasto con quanto succede nel resto del mondo, la mortalità maschile degli ultraottantenni è addirittura inferiore a quella femminile. Proprio nel cuore montuoso della Sardegna, a Tiana, in un'area di pascoli e di greggi, abitava l'uomo più vecchio del mondo, quell'Antonio Todde, scomparso di recente, che con i suoi 113 anni aveva attraversato tre secoli e conosciuto nove papi, tre re, la guerra d'Africa e due conflitti mondiali. Un altro patriarca da record è Giovanni Frau, di Orroli, che ha oltrepassato la soglia dei 110 anni. La presenza di un numero di centenari più elevato che nel resto del paese sembra una tendenza sarda di lungo periodo, a giudicare dai dati dei primi attendibili censimenti come quello fatto alla vigilia dell'Unità, nel 1858, negli antichi Stati sardi, che comprendevano, oltre alla Sardegna, il Piemonte, la Liguria e la Savoia. Gli ultracentenari erano in tutto 39 su una popolazione di 4.918.855 abitanti: e, sorprendentemente, quasi la metà, 17, erano stati censiti nell'isola, che contava poco più di un decimo del totale della popolazione (547.112) rispetto alla "Terraferma", dove anche gli ultranovantenni era meno numerosi rispetto alla popolazione sarda. Inoltre gli ultracentenari maschi sardi erano in numero superiore a quello delle loro coetanee: 9 a 6. Ma qual è il peso specifico dei fattori genetici e ambientali nel determinare la longevità? Si muove lungo un promettente itinerario di ricerca il progetto "Akea. Studio dei marcatori della salute e della longevità dei sardi" (Akea riprende le iniziali del tipico augurio in sardo: a kent'annos, a cent'anni) presentato di recente dal direttore della cattedra di biochimica clinica dell'Università di Sassari Luca Deiana e dai suoi collaboratori Ciriaco Carru e Gianni Pes, coadiuvati da geriatri e patologi di altre università e istituzioni di ricerca italiane e straniere. Avviato nel 1997, lo studio Akea - con il supporto finanziario dell'assessorato alla Sanità della Regione Sardegna - aveva già censito, classificato e intervistato 141 dei 222 centenari, delineando una geografia della longevità nell'isola che riconduce, ancora una volta, alla provincia di Nuoro, al piccolo mondo millenario che ruota intorno al massiccio del Gennargentu, patria di una piccola popolazione autoctona di pastori- cacciatori geneticamente omogenea. Proprio nelle zone in cui l'indice di longevità è più elevato della media regionale, pur cospicua, il gruppo di ricerca interdisciplinare sulla longevità umana in Sardegna - che si avvale anche della collaborazione del Max Planck Institute for Demographic Research di Rostock (Germania) - concentrerà la seconda fase dell'indagine, di durata pluriennale, che studierà alcune centinaia di grandi vecchi sardi con un'intervista a domicilio, un esame e un prelievo di sangue. Esistono prove che la genetica influenzi la longevità umana? Secondo uno studio danese sui gemelli, solo un quarto della variabilità della vita umana sarebbe dovuto a fattori ereditari. La Sardegna potrebbe presentare una situazione diversa. L'analisi genetica è stata condotta dall'équipe di Deiana in due direzioni: l'analisi di geni candidati associati allo sviluppo di malattie età correlate e lo studio di geni a trasmissione uniparentale. Per quanto riguarda questi ultimi, data l'elevata frequenza di maschi tra i centenari sardi, un primo studio è stato condotto sul cromosoma Y che viene ereditato dai figli maschi per via paterna attraverso gli spermatozoi. I dati preliminari non sembrano tuttavia indicare l'esistenza di differenze significative tra cromosoma Y dei centenari e quello di individui sessantenni nati nella stessa area. La conoscenza più approfondita dei geni che controllano la durata dei processi biologici e quindi della vita porterà informazioni di grande importanza, offrendo opportunità quasi inimmaginabili. Occorre però tener conto degli altri fattori in gioco. "Se si volesse considerare la longevità una malattia (una condizione patologica invece che una condizione di vantaggio) - dice il neurologo Giulio Rosati, preside della facoltà di Medicina dell'Università di Sassari - si dovrebbe parlare di condizione multifattoriale, nella quale intervengono cioè cause genetiche ed esogene. Se l'atipia genetica dei sardi può spiegare le prime, occorre insomma considerare anche le seconde". Dovremo pensarci, aspettando il "gene di Matusalemme". Eugenia Tognotti