ATENEI, LA RIFORMA A TRE VIE DELLA MORATTI QUALI OSPEDALI PER FORMARE RAPPORTO SVIMEZ: FUGA DI CERVELLI DAL SUD QUALE UNIVERSITÀ? BASTA GUARDARE IN RETE SASSARI: LA LENTA AGONIA DI VETERINARIA PER I PROF A TEMPO PIENO LO STIPENDIO RADDOPPIA ========================================================= MEDICI: LIBERA PROFESSIONE SENZA VINCOLI E TAGLI IN BUSTA PAGA MEDICI: SULLA RIFORMA-SIRCHIA IL TIRO INCROCIATO DEI SINDACATI MEDICI: LA RIFORMA CANCELLA IL SISTEMA INTRODOTTO DALLA BINDI: È L’ORA DEI SALUTI ALLA CLINICA ARESU POLICLINICO VERSO IL DECENTRAMENTO (a Roma) SASSARI: AZIENDA MISTA, AUMENTA IL CORO DI 'NO' PRONTO SOCCORSO: IL TRIBUNALE DEL MALATO PROMUOVE IL BROTZU "RADIOTERAPIA IN TILT PER COLPA DELLA ASL" TRAPIANTATE CELLULE STAMINALI NEL CUORE ALZHEIMER: SOTTO ACCUSA LE PLACCHE PIÙ PICCOLE OMEOPATIA, 9 MILIONI DI PAZIENTI SENZA LEGGE TALASSEMIA SPERANZE DA UN NUOVO FARMACO DANNI DEL MOBBING PROSTATITE DA STILE DI VITA DAGLI ULTRASUONI UN’ALTERNATIVA ALLA MAMMOGRAFIA ========================================================= ___________________________________________________ Il Sole24Ore 3 Apr. ’02 ATENEI, LA RIFORMA A TRE VIE DELLA MORATTI Il ministro Letizia Moratti prepara un intervento su corsi, disciplina dell'autonomia e reclutamento docenti Atenei, riforma a tre vie Rendere flessibile il sistema «3+2» (NOSTRO SERVIZIO) ROMA - Dopo la scuola, arriva la rivoluzione-Moratti per l'università. Prima dell'estate, il ministro intende far scattare la sua azione di riforma del settore. All'ordine del giorno, tre punti ritenuti cruciali: il sistema del «3+2», l'autonomia degli atenei, stato giuridico e concorsi dei docenti universitari. Letizia Moratti ne ha parlato mercoledì scorso in una riunione ad hoc con i responsabili della maggioranza in Parlamento. Il solco, dunque, è stato tracciato e concordato con i partiti. Adesso tocca al gruppo di lavoro ministeriale, coordinato da Adriano De Majo, realizzare in concreto gli intenti di Governo e Parlamento. Il primo punto, in ordine di priorità, riguarda l'articolazione degli studi prevista dalla riforma del predecessore di Letizia Moratti, Ortensio Zecchino. L'idea dell'attuale ministro non è quella di tornare indietro, ma di rendere il sistema più flessibile e in grado di rispondere al mercato del lavoro, «mentre questo adesso non accade», ha detto il responsabile dell'università nella riunione con deputati e senatori. Il «3+2», così com'è, sarà riformato di certo per le facoltà umanistiche e giuridiche. Dovrà guardare alle professioni - il corso di studi per diventare magistrato sarà diverso da quello per entrare nell'ufficio del personale di un'azienda - e anche i singoli atenei potranno fare gli opportuni adattamenti ai corsi. «Flessibilità e applicazione diversificata vanno considerate anche per le singole discipline» afferma Giuseppe Valditara (An), che rivendica il fatto che «per primi abbiano denunciato il fallimento del "3+2"». Anche per Ferdinando Adornato (Fi) intervenire «è ormai una richiesta che trova il consenso di tutti». Secondo punto: l'autonomia universitaria. Un argomento difficile, anche perchè nella riunione è stato più volte denunciato «il vizio diffuso tra gli atenei dell'autoreferenzialità». Ricorda Adriano De Majo: «Non c'è autonomia senza responsabilità. Per questo dobbiamo realizzare un sistema competitivo, con un occhio al mercato del lavoro e un altro al quadro internazionale, senza copiare per forza dall'estero». Si metterà mano alle regole sugli statuti: «Rischiamo di arrivare a situazioni assurde - sostiene Franco Asciutti (Fi) - dove gli studenti hanno diritto di dire la loro sulle assunzioni dei docenti». Ma l'aspetto più delicato dell'autonomia è quello finanziario: «Oggi c'è una finta autonomia, visto che gli atenei hanno i fondi bloccati» dice Asciutti, che ha presentato di recente al Senato una proposta di legge sullo stato giuridico dei docenti universitari. La revisione delle norme sul reclutamento e sulla disciplina degli insegnanti universitari costituisce il terzo punto della riforma Moratti, forse il più difficile da affrontare. Ma le urgenze non mancano: «Nei prossimi dieci anni - avverte Valditara - andranno in pensione 30mila professori». E il sistema dei concorsi, accusa Asciutti, «così com'è è una farsa». Ma mettere mano a questa materia è complicatissimo, anche perchè ci sarà da scontare la protesta di una categoria che vedrà sconvolti i suoi equilibri. Una delle ipotesi in campo, per esempio, prevede che il reclutamento torni a essere nazionale e non più locale. Ma, se passa, questa proposta potrebbe far saltare abitudini e poteri consolidati «visto che - ricorda Valditara - nel 98% dei casi ora il concorso è vinto dal candidato interno all'ateneo». Marco Ludovico ___________________________________________________ La Stampa 3 Apr.’02 QUALI OSPEDALI PER FORMARE BENE ha fatto Felice Gavosto ad affrontare su «Tuttoscienze» il problema degli ospedali universitari. Con la sua grande esperienza di scienziato e di medico, Gavosto ha messo in evidenza uno dei freni che limitano lo sviluppo dell'insegnamento di una medicina moderna e al tempo stesso impediscono che l'assistenza medica diventi più agile e aperta alla sperimentazione. Tra sanità generale e università si è creato un rapporto ambiguo e incestuoso che è tempo di modificare radicalmente se non si vuole perdere contatto con gli altri paesi europei. Oggi l'insegnamento e l'addestramento di nuovi medici avviene da noi, salvo alcune eccezioni, in megafacoltà con centinaia di docenti che operano in megaospedali dove, con qualche frizione, convivono reparti con compiti di insegnamento e altri con compiti di pura assistenza. Spesso questi ultimi sono guidati da medici in grado di svolgere attività didattica con grande competenza mentre reparti universitari vivacchiano senza connotazioni precise nel campo scientifico, didattico e assistenziale. Nella maggior parte delle scuole di medicina italiane, soprattutto in quelle con dimensioni incontrollabili, si assiste a un profondo scollamento tra l'attività di assistenza, intimamente legata all'addestramento di studenti che stanno per diventare medici, e l'attività di ricerca e sperimentazione, che deve durare per sempre nella vita di un medico. Ciò comporta una stasi nell'innovazione, ulteriormente complicata dalla necessità comune alle due componenti ospedaliera e universitaria di produrre assistenza. E' quindi necessario che venga attivato un meccanismo di riconoscimento delle competenze in grado di far confluire nell'addestramento dei medici risorse di didattica innovativa che, per l'intrinseca rigidità del sistema, stentano a venire alla luce. Esiste un altro problema da risolvere nell'insegnamento della medicina moderna: il rapporto tra medicina e scienza. A volte proporre una più stretta unione tra medicina e ricerca è quasi considerato blasfemo negli ospedali costretti a operare come aziende. La scienza è, per sua natura, costosa ma a occhi meno miopi dovrebbe essere chiaro che l'innovazione dell'assistenza medica passa attraverso un'intima unione con l'innovazione proposta dalla ricerca moderna. Nelle megafacoltà che mi auguro siano riformate questo non avviene, anche perché spesso c´è una separazione fisica tra i luoghi dove si fa la ricerca e dove si fa assistenza. Clinici e ricercatori quasi sempre non si parlano e gli studenti si accorgono che tra di essi non c'è un serio rapporto, spesso anche per la scarsa frequenza di incontri. E' necessario che questa situazione cambi e che i futuri medici percepiscano fin dall'inizio che occorre un rapporto intimo e non separazione tra ricerca e medicina, anche a livello didattico. Solo così in scuole di medicina innovative, senza il fosso concettuale tra medicina e scienza, si può migliorare non solo il livello culturale della classe medica ma anche la qualità e forse il costo dell'assistenza sanitaria. Un ultimo punto. Qualunque sia la dimensione dell'ospedale universitario, è necessario che esso sia dotato di un pronto soccorso efficiente: il successo della serie televisiva ER insegni! Non possiamo permetterci di allevare medici senza nozioni di medicina d'urgenza e destinati a procurare disastri nella pratica professionale. [TSCOPY](*) Università Vita- Salute San Raffaele, Milano[/TSCOPY] ___________________________________________________ Il Messaggero 3 Apr. ’02 RAPPORTO SVIMEZ: FUGA DI CERVELLI DAL SUD , vanno al Nord per studiare e poi ci restano: è il destino di un ingegnere su tre ROMA — Vanno al Nord per studiare e una volta lauretati non tornano più indietro. E’ una vera e propria fuga di cervelli dal Mezzogiorno d’Italia quella denunciata dalla Svimez nel suo ultimo rapporto. I giovani del Sud, ingegneri, economisti, medici, lasciano le loro regioni di origine, prima per seguire gli studi, poi per lavoro. Da un'indagine condotta sui laureati meridionali del 1995 - scrive lo Svimez - emerge che uno su cinque (il 20,5%) ha conseguito la laurea in un'università del Centro Nord, e quasi uno su quattro (il 23,5%) ha trovato lavoro al Nord. Per gli ingegneri la percentuale è ancora più alta, e quasi uno su tre (il 30%) è costretto ad emigrare. Nè questa mobilità viene compensata da un analogo flusso dal Nord verso il Sud. Perchè lo stesso studio rivela che i giovani meridionali che avevano scelto un ateneo del Centro Nord (con preferenza per quelli di Lazio, Toscana, Emilia- Romagna e Lombardia) sono stati 7.110, contro appena 336 laureati settentrionali che hanno conseguito il titolo nelle università del Sud; e che contro i 2.537 laureati meridionali che hanno trovato un impiego al nord, solo 293 laureati del nord sono venuti a lavorare nel Mezzogiorno. Considerando insieme i due momenti della mobilità (studio e lavoro) dei giovani meridionali, è possibile quindi «desumere la rilevanza, in termini di perdita di potenziale capitale umano, della fuoriuscita dal Mezzogiorno, che arriva ad essere pari quasi a un quarto dei giovani con alto livello di istruzione». La "punta" di esodo toccata dagli studenti e laureati in ingegneria, spiega la Svimez, si siega con «la carenza, nel Mezzogiorno, di un'adeguata offerta formativa in tale campo, ma soprattutto all'insufficiente domanda a livello locale di simili professionalità, decisive all'interno dei moderni processi di sviluppo economico». In sostanza, il Sud «non è in grado di valorizzare pienamente le potenzialità di capitale umano che potrebbero rendere l'area più competitiva nel contesto di un'economia europea sempre più basata sulla conoscenza». ___________________________________________________ Corriere della Sera 4 apr. ’02 QUALE UNIVERSITÀ? BASTA GUARDARE IN RETE FORMAZIONE Il Web dà una mano agli studenti in cerca di una bussola nel cammino verso l’Università. Innanzitutto, sotto forma di una banca dati che il ministero dell’Istruzione e dell’Università ha appena pubblicato on-line e sulla quale si può consultare l’offerta formativa nazionale. Il servizio, predisposto con il supporto del Cineca, fornisce informazioni relative ai 2.959 corsi di laurea attivati nelle 77 università italiane: una sorta di grande "guida dello studente", che presenta corsi, piano orario delle lezioni con i relativi crediti, sbocchi occupazionali, coordinate Internet delle facoltà, dati statistici relativi ad iscrizioni e frequenze. Inoltre, dal 15 aprile al 15 maggio, gli studenti superiori all’ultimo anno potranno fare le preiscrizioni via Web. http://offertaformativa.miur.i t/corsi/ ___________________________________________________ L’Unione Sarda 31 Mar. ’02 SASSARI: LA LENTA AGONIA DI VETERINARIA Tagli nella pianta organica della Facoltà, abbandonata nonostante sia l’unica in Sardegna Manca il personale e il vicepreside pulisce le stalle SASSARI. Per cinque anni, il professore ha spalato fieno e letame, rassettato stalle, strigliato cavalli, accudito vacche: tutto bestiame della facoltà universitaria dove insegna. Basilio Floris, docente di fisiologia ed endocrinologia, vice preside di Veterinaria, si è rimboccato le maniche e ha fatto fronte a una cronica mancanza di personale. Tutti i giorni, comprese le domeniche e i giorni festivi, come Natale e Pasqua, di buon’ora il professor Floris arrivava in facoltà e, indossati gli stivali e impugnato il forcone, riempiva pazientemente carriole di fieno per sfamare gli animali e ripulire le stalle. «Ricordo quel periodo come un incubo. A volte ero solo - racconta Floris - molte altre mi aiutavano gli studenti, ma in estate e durante le vacanze, quando i ragazzi partivano, lavoravo solo». Tutto questo per far fronte alla carenza di personale addetto alla cura degli animali utilizzati per scopi didattici, cioè per le esercitazioni dei futuri veterinari. «Non mi vergogno a raccontare quello che ho fatto - sottolinea il vice preside - e spero che anzi serva da monito affinché la situazione possa cambiare al più presto». In effetti la facoltà di Veterinaria, l’unica in Sardegna, non può essere considerata un’oasi felice. Sono tanti i problemi che il preside, Angelo Mario Cosseddu, e il vice preside devono superare. Il più grave è senza dubbio la penuria di docenti e tecnici. «Secondo i parametri ministeriali - spiega il preside Cosseddu - ci dovrebbe essere un rapporto di uno a due tra personale docente e non docente». Cioè «su 80 professori - aggiunge il vice preside Floris - dovrebbero esserci almeno 160 addetti alla cura del bestiame e delle stalle della facoltà, importante supporto per l’attività didattica degli studenti». Invece ci sono 46 professori, che spesso devono farsi carico di più cattedre per sostituire i colleghi fantasma, ricoprendo mansioni che non sono di loro competenza e solo 34 addetti alla cura del bestiame, alcuni prossimi alla pensione. Insomma professori factotum che oltre al lavoro ordinario di insegnanti si improvvisano anche bidelli e segretari, e come loro anche il personale non docente svolge compiti diversi da quelli che gli sono stati assegnati. Questo stato di cose ha indotto il preside a ridurre drasticamente il numero di bovini e cavalli di proprietà della Presidenza, passati da 23 a 12. «Abbiamo dovuto dimezzare il numero dei capi, perché oltre a non avere nessuno che se ne curi - dice il professor Cosseddu - sono anche molto costosi, tanto che per sfamarli stiamo dando fondo alle nostre risorse economiche, comprese le tasse degli studenti». Da qualche tempo, oltre ai salariati agricoli lavorano anche gli stagionali, ma non sono sufficienti: tra gennaio e marzo la facoltà si trova a corto di forza lavoro. «Il rettore ci ha consigliato di assumere qualcuno con contratti a termine con i finanziamenti stanziati per la ricerca, ma - conclude il vice preside - il personale costa». Insomma una finanziaria troppo avara che ha bloccato le assunzioni, rischia di rallentare lo sviluppo di una facoltà che da quasi trent’anni sforna professionisti più che validi e che faticosamente cerca di adeguarsi ai parametri europei. A breve dovrebbero infatti iniziare i lavori per la realizzazione dell’ospedale veterinario, mentre la Comunità montana del Monte Acuto aveva inserito nel Pit, il progetto per la realizzazione di una azienda agricola nella piana di Chilivani. Già nel 1998 una commissione europea venuta in visita alla facoltà aveva sottolineato la necessità di questi due elementi per essere riconosciuta a livello europeo. E l’Unione europea ha finanziato (1miliardo e mezzo) il primo lotto per l’ospedale, mentre il secondo lotto verrà realizzato dall’Università che provvederà anche al restauro delle strutture esistenti. Nell’area della facoltà sorgeranno quindi il nuovo Istituto zooprofilattico, che collaborerà con Veterinaria e gli stabili di Farmacia, le cui opere sono quasi concluse. Gina Falchi ___________________________________________________ Il Messaggero 5 Apr. ’02 PER I PROF A TEMPO PIENO LO STIPENDIO RADDOPPIA di ANNA MARIA SERSALE ROMA - Gli insegnanti full-time con capacità professionali elevate avranno più soldi in busta paga. Quanti soldi in più? Anche il doppio. Con i contratti di "eccellenza" gli stipendi potrebbero raggiungere i 4 milioni di lire. Un bel salto per chi alla scuola dà l’anima, con competenza e qualifiche professionali di primo livello. Ma chi giudicherà le capacità professionali? Le università. I docenti, infatti, dovranno fare dei corsi di qualificazione per dimostrare di avere preparazione e qualità per ruoli diversi dall’insegnamento. E per chi è molto bravo, disposto a restare a scuola a tempo pieno, con la passione della cattedra? Potrà aspirare alla qualifica di "docente esperto", se avrà titoli aggiuntivi, pubblicazioni, ma soprattutto corsi universitari specialistici nella propria disciplina. E’ questo l’orientamento della commissione ministeriale incaricata di fissare le linee guida prima del confronto con i sindacati sul nuovo contratto. Il tavolo del negoziato verrà aperto nei prossimi giorni. Una settimana fa i sindacati hanno inviato un telegramma di sollecito al ministro dell’Istruzione Moratti per stringere i tempi. I 700 mila docenti d’Italia, infatti, dopo l’accordo del 5 febbraio scorso, che ha riguardato solo uno degli aspetti economici (il recupero dell’inflazione), attendono il rinnovo del contratto per il prossimo triennio. Gli stipendi dei professori, da tempo, sono uno dei capitoli più scottanti. Negli ultimi due anni i docenti sono scesi in piazza per rivendicare salari adeguati agli standard degli altri paesi. Berlinguer provò ad avvicinarsi all’Europa con un progetto fondato sul principio di meritocrazia, ma scivolò su una buccia di banana: il concorsone. I professori si ribellarono all’idea di essere messi sotto esame. Contestarono il sistema di valutazione, dopo anni di lavoro sul campo. E rifiutarono il principio che i soldi, inizialmente, fossero destinati solo al 20 per cento della categoria. I sindacati protestarono: «Gli aumenti devono essere generalizzati». Un’esperienza, quella di Berlinguer, che nessuno ripeterà mai. Neppure il suo successore De Mauro pensò di imboccare la stessa strada. Ora il ministro Moratti è alla ricerca di una formula che eviti le insidie. Da qui la scelta di affidare alle università il compito di certificare le qualità professionali di chi aspira a buste paga più pesanti e a scatti di carriera. Ma se i sindacati nel ’99 si mobilitarorono per dire «no» agli aumenti per pochi come reagiranno ora? La commissione non ha escluso l’ipotesi di aumenti per tutti. «Vogliamo capire - sostiene Daniela Colturani, segretario nazionale della Cisl-scuola - quanto dei 19 mila miliardi promessi alla scuola verrà destinato alla valorizzazione dei docenti. La verità è che l’argomento carriere e soldi fa tremare le vene dei polsi. Prima di avventurarci su questo terreno bisogna avviare il negoziato. In ogni caso non si può parlare solo di aumenti legati alle carriere, perché riguarderanno non più del 10 per cento degli insegnanti». «Il governo dica con chiarezza quanti soldi vuole dare agli insegnanti», sottolinea anche Massimo Di Menna, della Uil scuola. Aumenti generalizzati? Salari europei per tutti? «La comparazione con l’Europa non può riguardare solo i soldi. E’ strumentale la richiesta di salari europei - osserva uno dei componenti della commissione - se non si accetta anche l’adeguamento degli altri parametri. Quali? Tanto per cominciare il rapporto insegnanti-alunni, che in Italia è il più alto in assoluto: 1 a 9, contro la media Ue di 1 a 14. Anche il carico delle ore andrebbe rivisto: da noi 750 l’anno, non meno di 900 altrove. Se si persegue la politica dell’occupazione, e non quella della qualità, come potranno esserci risorse adeguate per tutti?». Il piano, per ora, circola negli ambienti di viale Trastevere. A giorni si aprirà il confronto. Vedremo. ========================================================= ___________________________________________________ Il Sole 24Ore 4 apr. ’02 MEDICI: LIBERA PROFESSIONE SENZA VINCOLI E TAGLI IN BUSTA PAGA La nuova Sanità - Presentato ieri alle Regioni e ai sindacati il progetto del ministro della Salute in attesa dell'esame al Consiglio dei ministri Medici, l'esclusiva al capolinea Libera professione senza vincoli e tagli in busta paga - Per la Bindi è un "intollerabile ritorno al passato" ROMA - O tempo pieno o tempo parziale, con pari opportunità di carriera e livello retributivo inalterato. Con l'esclusività del rapporto con la "casa madre", il Ssn, che viene azzerata. E la possibilità di esercitare senza confini la libera professione, dentro o fuori le mura dell'azienda sanitaria, ma a patto che prima siano sforbiciate le liste d'attesa anche tenendo aperti gli ospedali più a lungo. E ancora: in pensione a 70 anni, o anche a 72 anni ma solo per la ricerca e la didattica, senza dunque più poter assistere i pazienti. Uno schemino piccolo piccolo, pochi principi generali. Ma abbastanza per sollevare i primi temporali. E oplà: eccola la riforma dello stato giuridico dei medici pubblici targata Girolamo Sirchia. È stato lo stesso ministro della Salute a presentare ieri il suo riordino (ora da tradurre in articolato) a Regioni e sindacati. Ricevendo modesti complimenti anche dalla sua maggioranza, qualche freddezza e aperte contestazioni dal centro-sinistra, sia politico che sindacale. Ma si va avanti. Regioni permettendo e fronda medica concedendo. Per un approdo - un ritorno al pre 1992 che Sirchia difende (si veda l'intervista) a tutto tondo - in Consiglio dei ministri al più tardi entro due settimane. Lasciando poi la palla a un Parlamento che non ci sta più a vivere (come accaduto con la legge taglia-spesa) un'altra stagione in cui fare da notaio di scelte prese sull'asse Governo-Regioni. E con le stesse Regioni - forse non solo del centro-sinistra - che potrebbero arroccarsi: facendo in proprio, sulla scorta dell'autonomia federalista, o ribellandosi davanti alla Consulta. È in questo ginepraio che Sirchia ha deciso di fare la sua mossa. Riscuotendo sulle prime un difetto di consensi e registrando l'ennesima spaccatura sindacale. Anzitutto i giudizi positivi. Del ministro Enrico La Loggia: "Mi sembra si possa registrare un buon clima di collaborazione". E ancora i "sì" del sindacato Cimo ("Si avvia finalmente quel processo di controriforma promesso dalla Cdl"), di Federazione medici (con la Uil), della Cisl di Intesa medica e dei Coas. Sull'Aventino gli altri sindacati. L'Anaao Assomed, decisamente contraria, vuole il "tavolo a tre" con le Regioni. La Cgil conferma la rottura col Governo ("una presa in giro per i pazienti"). Poco entusiasti, poi, i politici. Se il centro- destra ha contestato la mancata informazione preventiva verso i suoi parlamentari, assai più duri sono stati i commenti dal centro-sinistra. "Non c'è cittadino che possa tollerare che i medici pagati dal Ssn tornino a fare attività fuori dall'ospedale e senza vincoli", ha tuonato Rosy Bindi (Margherita) contro l'"intollerabile ritorno al passato". E di riforma "confusa, inaccettabile e immorale" hanno parlato Livia Turco (Ds) e Maura Cossutta (Pdci). Infine le Regioni. Se il centro-destra ieri ha scelto la linea del silenzio, non altrettanto ha fatto il centro-sinistra. "Il collegamento con l'abbattimento delle liste d'attesa è illogico - ha detto Giovanni Bissoni (Emilia Romagna)-. Anzi, peggiorerà qualsiasi possibilità di controllo. Questi provvedimenti, poi, non sono più di competenza di Governo e Parlamento". Non è da meno Enrico Rossi (Toscana): "La nostra contrarietà è totale e assoluta. Sia perché invasiva delle nostre competenze, sia perché un ritorno al passato di questo tipo rischia di ampliare la sanità a pagamento e di restringere quella istituzionale". Ma c'è un altro carico da novanta, di tipo finanziario: chi pagherà gli 1,65 mld € (3.200 miliardi di lire) dell'attuale indennità di esclusiva? Il contratto, dicono le Regioni, parla chiaro: se cambiano le regole, è tutto da rinegoziare. Ma ecco la riforma-Sirchia in pillole. Due soli rapporti di lavoro. I rapporti di lavoro dei medici Ssn saranno a tempo pieno o a tempo parziale (già a tempo definito). In entrambi i casi si potrà esercitare la reversibilità della scelta e avere diritto alla direzione di struttura, ora permessa solo a chi ha scelto l'esclusiva. Esclusiva che, infatti, non esisterà più. Invariate le attuali retribuzioni: l'indennità di esclusiva diventerà indennità di tempo pieno. In pensione più tardi. Per entrambe le tipologie - tempo pieno o parziale - si allunga l'età pensionabile: 67 anni, più altri tre (70), a seconda delle esigenze aziendali. Ma si potrà andare in pensione anche a 72 anni, se l'azienda lo richiede: senza compiti assistenziali, ma solo di ricerca e didattica. Libera professione a tutto gas. Porte spalancate all'esercizio della libera professione. Quella in azienda, "prioritaria e programmata" con l'obiettivo di "ridurre le liste d'attesa per le prestazioni più urgenti". Solo in questo caso si avrà diritto alla libera professione "volontaria", da esercitare nell'azienda stessa o nelle strutture private convenzionate con l'azienda, da retribuire con "tariffe calmierate". Infine, apertura piena alla libera professione privata tout court, senza regolamentazione aziendale, da esercitare negli studi privati e nelle strutture private non accreditate col Ssn. Fin qui lo schema di riforma. Aspettando il testo finale. E i girotondi politico-parlamentari dei giorni che verranno. Roberto Turno ___________________________________________________ Il Sole 24Ore 5 apr. ’02 MEDICI, SULLA RIFORMA-SIRCHIA IL TIRO INCROCIATO DEI SINDACATI I camici bianchi vogliono incontrare Regioni e ministro della Funzione pubblica Roberto Turno ROMA - I sindacati medici spaccati. Il Governo che col ministro per gli Affari regionali, Enrico La Loggia, difende gli obiettivi della riforma. Le Regioni che stanno a guardare, in attesa di nuovi eventi. Il leader della Cisl, Savino Pezzotta, che scende in campo e boccia il progetto. E la richiesta compatta dell'universo sindacale di un incontro urgente con le Regioni e col ministro della Funzione pubblica, Franco Frattini, per mettere a fuoco tutte le eventuali ricadute contrattuali. Il riordino dello stato giuridico dei medici annunciato dal ministro della Salute, Girolamo Sirchia, scalda gli animi. E accende interrogativi anche di tipo finanziario: chi pagherà l'indennità di tempo pieno, destinata a sostituire l'indennità di esclusiva, se le Regioni si tireranno indietro? Sirchia è convinto di potercela fare comunque, ha detto ai sindacati. Ma, è chiaro, senza i denari sonanti sul piatto non sarà facile incassare il consenso dei camici bianchi. Il giorno dopo la presentazione dello schema di riforma del rapporto di lavoro dei medici col Ssn, è il tempo della tattica. E delle promesse di apertura al dialogo. Il dialogo, dunque. "La proposta del ministro Sirchia è ampiamente ragionevole. E peraltro è stata accolta dalla maggior parte dei medici, anche rappresentati nelle associazioni di categoria", ha dichiarato La Loggia. Non senza aggiungere che "lo stesso Sirchia ha dichiarato che qualunque ulteriore apporto delle Regioni sarà considerato con la massima attenzione". Un'apertura da valutare a stretto giro di posta. E che dovrà dare i suoi frutti in tempi brevi, se è vero che Sirchia vuole presentare il Ddl al pre Consiglio dei ministri già dalla prossima settimana per arrivare al più presto al varo ufficiale. La tempistica, del resto, non può essere sottovalutata. Anche perché tutti i sindacati, ieri, hanno sollecitato un "incontro urgente" con le Regioni e con Frattini: "Per chiarire i termini reali delle questioni e portare a termine la vertenza, ribadendo l'intangibilità degli ambiti contrattuali" (così l'"Intersindacale", che riunisce Anaao, Fesmed, Umsped, Cgil medici, Civemp e Snabi) e per valutare "i riflessi contrattuali del nuovo ordinamento" ("Intesa medica", che riunisce Anpo, Cimo e Cisl medici). Intanto il fronte sindacale è in pieno fermento. E non mancano le punzecchiature reciproche. O i dissensi anche sullo stesso campo. Come nella Cisl, dove ieri Pezzotta ha rettificato la linea "aperturista" espressa il giorno prima da Giuseppe Garraffo (segretario di Cisl-medici): "Le proposte di Sirchia - ha dichiarato il segretario generale della Cisl - vanno verso lo svuotamento della riforma Bindi, alla quale avevamo già dato il nostro consenso. Ora vedremo se vi sarà possibilità di un confronto sulle nuove proposte". Una frenata, quella della Cisl, cui ha corrisposto dall'interno della maggioranza la cautela di Raffaele Costa (Fi), già ministro della Sanità del "Berlusconi I", che ha parlato di riforma "con zone d'ombra da chiarire con un'approfondita valutazione nella maggioranza" (tra l'altro sull'ampia possibilità per i medici di svolgere la libera professione "a cavallo tra pubblico e privato"), perché "un ribaltone meramente liberista non sarebbe utile". Intanto tra i due principali schieramenti sindacali è guerra fredda. E di cifre. Le nostre posizioni sono state condivise dal 70% dei medici, ha dichiarato "Intesa medica", favorevole alle proposte di Sirchia, ma attende di conoscere il testo. Siamo rappresentativi di "almeno" il 70% della dirigenza medica e sanitaria, ha ribattuto l'"Intersindacale", che sulla riforma in campo è ben più scettica. Denunciandone le "proposte confuse", l'assenza di confronto, i punti di conflitto "con gli ambiti contrattuali", la pretesa "semplicistica" di voler risolvere il problema delle liste d'attesa con la libera professione dei medici "senza affrontare il problema della carenza di personale". Si ricominci daccapo, o quasi, è insomma la replica. La palla ritorna a questo punto al Governo. ___________________________________________________ L’Unione Sarda 4 Apr. ’02 LA RIFORMA CANCELLA IL SISTEMA INTRODOTTO DALLA BINDI: niente più vincoli per l’attività privata Ritorna la libera professione per gli “ospedalieri” ROMA La rivoluzione era nell’aria: i medici ospedalieri potranno nuovamente esercitare la libera professione. Le 140 pagine del piano sanitario nazionale presentato dal ministro Sirchia mandano in soffitta la vecchia riforma Bindi e con lei il principio dell’esclusività. Il medico non sarà più costretto a scegliere tra l’attività pubblica in ospedale o quella in uno studio privato, consentita finora solo all’interno della struttura dove lavora. Potrà esercitarle entrambe: la riforma Sirchia tende infatti a riconoscere a tutti il diritto alla libera professione. il medico avrà due scelte: il tempo pieno e il tempo determinato, un tipo di contratto che sembrava destinato a scomparire entro la fine dell’anno. Le altre novità: cure a casa, compresa la chemioterapia e una sanità completamente informatizzata, veloce e impegnata a correggere i cattivi comportamenti degli italiani (fumo ed eccessi a tavola prima di tutto). I dieci punti, ora più articolati, sono in sostanza le linee guida per ottenere, appunto, altrettanti obiettivi primari, senza mai dimenticare, ha spiegato il ministro della Salute, che è necessario comunque far quadrare i conti. Uno degli obiettivi del nuovo piano sanitario nazionale è quello di promuovere l’apertura di studi medici di medicina generale (di famiglia) sul territorio, che assicurino la presenza del medico per 12 ore al giorno per 7 giorni alla settimana, da attuare anche attraverso gli studi medici «associati». Livelli di assistenza In tutta Italia deve essere garantita una lista di cure indispensabili e ovunque con lo stesso livello di qualità. Cure a domicilio Per il governo sono una parte importante del futuro della sanità pubblica. L’assistenza fuori dagli ospedali sarà sperimentata per l’assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai malati ma, ha spiegato Sirchia, si vuole anche portare a casa cure fino ad ora relegate dentro le mura degli istituti, come la chemioterapia. Qualità Monitoraggio continuo dei servizi compreso i tempi di attesa. «Le aziende - ha ricordato Sirchia - applicano questi metodi da anni». Capitali È la parte del piano che dispone la piena attuazione della formazione continua del personale, la valorizzazione delle figure professionali e l’alleggerimento dei vincoli burocratici. Formazione Medici, infermieri e tutti i sanitari studieranno soprattutto a distanza. Troppi i movimenti per 30.000 convegni, corsi e seminari che si svolgono ogni anno soprattutto per formare i camici bianchi, ha spiegato Sirchia. Per questo, ha aggiunto, «si farà grande uso della formazione on-line». Rete di eccellenza «Non si chiudono gli ospedali - ha assicurato Sirchia - ma si utilizzerà meglio ciò che si ha ed in ogni regione saranno individuati i centri di eccellenza». Emergenza L’obiettivo è quello di migliorare il funzionamento del pronto soccorso e per gli studi dei medici di medicina generale si propone di aprire ambulatori che assicurino la presenza di un medico 12 ore al giorno per sette giorni alla settimana. Ricerca Meno burocrazia per autorizzare i finanziamenti alla ricerca che potranno arrivare anche dai privati (fondazioni, donazioni, industria, capitali di rischio). Fumo e obesitàNiente fumo e leggeri a tavola. Gli italiani, sostiene il piano sanitario, devono correggere abitudini pericolose per la salute e onerose per il servizio sanitario. «L’obesità e la cura di malattie connesse come il diabete costa alla sanità 20 mila miliardi l’anno». Farmaci L’obiettivo è quello di monitorare continuamente la spesa. «Nel primo trimestre dell’anno la spesa è aumentata del 14% rispetto allo stesso periodo dello stesso anno» ha ricordato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Ma il governo vuole avviare definitivamente un programma nazionale di “farmacovigilanza” e varare diversi progetti di formazione continua per i medici ma anche per i cittadini. ___________________________________________________ L’Unione Sarda 2 apr. ’02 È L’ORA DEI SALUTI ALLA CLINICA ARESU I reparti universitari traslocano a Monserrato Sanità Anche Reumatologia e Gastroenterologia passano al Policlinico Cardiologia e Endocrinologia sono già andate via qualche settimana fa, ora scatta il trasloco delle cattedre universitarie di Reumatologia e Gastroenterologia. È ormai al tramonto l’attività ospedaliera nella Clinica Aresu, quasi tutti i reparti hanno trovato casa nel nuovo Policlinico di Monserrato. Nonostante le polemiche e le resistenze di una parte del corpo sanitario, tecnico e amministrativo, la vecchia struttura di via San Giorgio è destinata a non avere più posti letto per dare spazio all’attività didattica e di ricerca dell’Università. Nel weekend di Pasqua è scattato il trasferimento di Gastroenterologia, oggi toccherà ai reparti di Reumatologia che fanno capo alle équipe di Giuseppe Perpignano e Alessandro Mathieu. Destinazione Monserrato, al Policlinico che sta tentando faticosamente di prendere forma con tutti i settori nevralgici indispensabili per una vita ospedaliera autonoma. Ci sono in gioco i 95 miliardi (di lire) spesi finora per il presidio inaugurato nella primavera di due anni fa accanto alla statale 554. Proprio la collocazione della nuova cattedrale sanitaria non riesce a convincere molti addetti ai lavori, costretti a fare i conti con una zona ancora irraggiungibile, nonostante le promesse di collegamenti all’altezza della situazione. La metropolitana leggera resta una sogno, infiniti sono i tempi di percorrenza degli autobus (la linea 8 impiega almeno un’ora per andare da un capolinea - al centro di Cagliari - all’altro), ma è un’impresa raggiungere il Policlinico anche in automobile. Nelle ore di punta la “554” è un collo di bottiglia e i semafori disseminati in una decina di incroci accentuano le strozzature del traffico. Ma anche muoversi all’interno della cittadella universitaria non è certo agevole. Prima c’era una linea bus interna che collegava la facoltà di Medicina con i reparti ospedalieri. Costava troppo (trenta milioni di lire al mese) e il servizio è stato accantonato. L’ospedale prende vita ma la viabilità è ancora da inventare. La Provincia sta definendo i progetti che dovranno cambiare volto alla circonvallazione che gira attorno al capoluogo e al suo hinterland. Ma servono ancora tempo (i primi lavori di spessore partiranno nel 2003) e denaro (almeno 10 milioni di euro) per chiudere una partita cominciata con grande ritardo rispetto alla nascita del Policlinico. La primavera riuscirà almeno a regalare il nuovo braccio stradale tra la “554” e il Policlinico universitario, con un allargamento di cinque metri della carreggiata e con il collegamento diretto dalla statale (per chi proviene da Quartu) alla bretella, senza l’obbligo del semaforo di Sestu. ___________________________________________________ Il Messaggero 29 Mar. ’02 POLICLINICO VERSO IL DECENTRAMENTO (a Roma) sì dei sindacati al piano di rilancio di GERMANA CONSALVI «La firma dei sindacati non è stata una sorpresa, ma certo è un bell’uovo di Pasqua». Perché, sottolinea il direttore generale del Policlinico Tommaso Longhi, l’approvazione del protocollo d’intesa Regione-Università sul decentramento-rilancio dell’Umberto I è «una buona premessa per avviare il piano di rilancio dell’azienda con il potenziamento qualitativo e quantitativo dell’assistenza». Ancora più esplicito il presidente della Regione, Francesco Storace: «Finisce l’era delle baronie e si avvia la stagione del rilancio del Policlinico. Determinante il consenso del rettore D’Ascenzo, che fa piazza pulita delle accuse di chi straparla di attentati all’autonomia dell’università, che il rettore ha a cuore». Il verdetto dei sindacati è arrivato ieri durante una riunione con il presidente Storace, il rettore della Sapienza Giuseppe D’Ascenzo, l’assessore regionale alla Sanità, Vincenzo Saraceni e il direttore Longhi. Segreterie confederali, rappresentanti sindacali di sanità e università, eccetto la Cisl, hanno detto sì al protocollo. Ergo, sì al decentramento che lascerà all’Umberto I, sede della I facoltà di Medicina della Sapienza, 1200 (dei quali 50 per riabilitazione e 150 per day hospital) degli attuali 2000 posti letto, e distribuirà in tre anni 400 letti (più 50 per il day hospital) al Sant’Andrea, sede di Medicina II, 220 (più 30 di day hospital) al S. Maria Goretti di Latina (che farà capo alla I facoltà di Medicina), e infine 200 letti all’ospedale di Bracciano (che dipenderà da Medicina II). Inoltre, la Regione si farà carico del bilancio del Policlinico. Prossima tappa, dopo Pasqua: ai sindacati dei docenti del Policlinico sarà sottoposto il protocollo. Bocciato, una settimana fa, dal Consiglio della I facoltà di Medicina. ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 2 apr. ’02 SASSARI: AZIENDA MISTA, AUMENTA IL CORO DI 'NO' Sassari: Iniziative degli ospedalieri contro il deliberato della Regione: aperta anche una raccolta di firme SASSARI. L'ipotesi di azienda mista Università-Ospedale fa crescere il numero degli scontenti. Da ieri nel "Santissima Annunziata" ha ripreso a circolare il modulo per la raccolta di firme promossa da sindacati ospedalieri. Nei giorni scorsi, sulla vicenda avevamo registrato la presa di posizione di otto sindacati contrari alla ipotesi di integrazione che la Regione intenderebbe proporre. "La 517 è una legge che non ci considera e che non ci riguarda. Il Santissima Annunziata non è un ospedale dove insiste la prevalenza del corso di laurea in Medicina e chirurgia, non lo è mai stato e non vogliamo che lo diventi": è quanto si legge nel modulo per la raccolta di firme contro il deliberato regionale che dovrebbe essere discusso a metà mese dal consiglio regionale. I sindacati ospedalieri propongono "una università libera di concentrare maggiori attenzioni verso i suoi compiti istituzionali primari (didattica e ricerca), supportata dal numero di posti letto previsto dalle linee guida nazionali. Un ospedale capace di erogare assistenza, secondo i parametri indicati dalle norme vigenti, qualitativamente e quantitativamente adeguata alle necessità dell'utenza". Gli ospedalieri, che hanno preannunciato una serie di iniziative volte alla bocciatura del deliberato regionale, dicono che "le attività del "Santissima Annunziata", della restante rete ospedaliera dell'azienda e delle strutture universitarie potranno essere funzionalmente integrate con protocolli d'intesa condivisi dalle parti". Intanto, sul "caso" della sanità nel distretto di Sassari, si muove anche il mondo politico. Il consigliere regionale dei Riformatori, Gavino Cassano, componente della commissione regionale Sanità, ha presentato un'interrogazione all'assessore Oppi, per sapere se "corrisponde al vero la notizia che sia già stato predisposto un progetto di accorpamento dell'ospedale Santissima Annunziata con l'Università di Sassari". Cassano chiede, pertanto, se l'assessore "non ritenga opportuno sospendere l'iter del provvedimento in attesa di effettuare la consultazione delle amministrazioni locali e delle organizzazioni sindacali e, soprattutto, di acquisire il definitivo pronunciamento della rinnovata commissione Sanità del consiglio regionale". ___________________________________________________ L’Unione Sarda 3 Apr. ’02 PRONTO SOCCORSO: IL TRIBUNALE DEL MALATO PROMUOVE IL BROTZU Il caso. Il sondaggio è stato effettuato dopo l’istituzione del numero unico per l’assistenza Un’ora d’attesa al Pronto soccorso Il Tribunale del malato promuove il Brotzu con riserva «Buona la situzione del Pronto soccorso al Brotzu, qualche carenza negli altri ospedali», lo affermano i dati raccolti dal Tribunale per i Diritti del Malato. Dalla verifica, sulla situazione del Pronto soccorso e sul numero d’emergenza 118, è emersa una realtà che presenta un quadro variegato. Il servizio d’emergenza di primo soccorso, per la salvaguardia dei cittadini, è senz’altro una nota positiva nel campo dell’assistenza, mentre si registrano ancora gravi disagi al momento in cui i pazienti arrivano al Pronto soccorso. Quelli della Asl 8 sono gravemente carenti di locali, dotazioni organiche e organizzazione, con attese dei cittadini molto lunghe prima di essere ricevuti e curati. Positiva la situazione del Brotzu che, essendo un ospedale ad alta specializzazione, offre un punto di riferimento per le patologie più gravi. Per accedere alla visita sono stati registrati, in media, 80 minuti per i pazienti con rischio potenziale, 37 per quelli con stato di sofferenza e nessuna attesa per i pazienti con rischi in atto. «Al Brotzu, però - racconta Luisa Cossu Giua, coordinatrice del Tribunale del Malato, - forse per mancanza di personale, le unità mobili del 118 devono interrompere il servizio anche per ore a causa dei lunghi tempi in fase di accettazione del paziente». Per un cittadino che si reca autonomamente al Pronto soccorso i tempi di attesa sono molto lunghi, in media possono superare le tre ore. Una situazione legata a vari problemi. Sono troppo numerosi i cittadini che si recano al Pronto soccorso per sostituire un servizio adeguato e continuo che dovrebbe fornire il medico di base. Nel 2000 sono stati 140 mila, 384 al giorno. «Da sottolineare che solo il 16,47 per cento delle persone che hanno chiesto una visita hanno poi avuto bisogno di essere ricoverati». Un dato, secondo il Tribunale del Malato, che ripropone l’uso spesso improprio del Pronto soccorso. In maggioranza si presentano situazioni cliniche che potrebbero essere risolte dalla medicina di base e del territorio. «Sarebbe necessario - concordano gli operatori del settore - affiancare al Pronto soccorso un servizio di Osservazione breve o di Astanteria per evitare che il servizio di emergenza sia utilizzato come scorciatoia per ottenere un ricovero non urgente». Secondo il Tribunale del Malato sarebbe utile un preciso piano di intervento della Asl e della Regione. Partendo dalle reali esigenze delle persone bisognerebbe raggiungere standard di assistenza più elevati ed effettuare una campagna adeguata di informazione ed educazione socio-sanitaria rivolta ai cittadini. Francesca Ghezzo ___________________________________________________ L’Unione Sarda 5 apr. ’02 "RADIOTERAPIA IN TILT PER COLPA DELLA ASL" Sassari: Il direttore Canalis: "Subito le assunzioni di personale specializzato" "Abbiamo bisogno di radioterapisti per ricoprire i posti vacanti e sfruttare al meglio il potenziale tecnologico dell’Istituto". Giulio Cesare Canalis, direttore dell’Istituto di radiologia dell’Università, denuncia la carenza di personale specializzato per le cure tumorali nel timore che il reparto di radioterapia, che nell’ultimo periodo era riuscito in parte ad abbattere le lunghe liste di attesa, venga investito da un’altra crisi. I trattamenti radioterapici infatti vengono eseguiti con due macchinari sfruttati solo parzialmente perché il personale non è sufficiente. "Ci auguriamo che l’Asl bandisca al più presto i concorsi per le assunzioni di medici radioterapisti. In questo modo - sostiene Canalis - potremmo utilizzare tutto il potenziale tecnologico delle nostre apparecchiature che ci consentirebbero di lavorare a pieno regime e di abbattere le lunghe liste di attesa". E bandire i concorsi per le assunzioni dei radioterapisti significherebbe anche attrarre a Sassari almeno una piccola parte degli specialisti che si sono formati nelle cliniche universitarie, ma che per lavorare emigrano nella Penisola. "I nostri medici sono molto richiesti - ammette Canalis - telefonano da numerose Università di tutta Italia per sapere se sono disposti a trasferirsi. E come possiamo dar loro torto se decidono di partire o se vogliono avere la sicurezza di un lavoro che noi non possiamo offrire". E aggiunge: "I medici specializzati sono come le mosche bianche e noi rischiamo il collasso". Se nel reparto di radioterapia i progressi fatti nei mesi scorsi rischiano di sfumare senza assunzioni, sembra che vada meglio per la radiologia tradizionale. Entro l’estate l’incubo delle code chilometriche all’alba per prenotare gli esami ecografici e radiologici potrebbe diventare solo un ricordo. "I responsabili dell’Asl si sono impegnati ad avviare le procedure per acquisire parte degli strumenti per la radiologia di base - afferma Canalis - ora attendiamo l’autorizzazione dell’assessorato regionale alla Sanità per poter utilizzare un finanziamento di due miliardi per l’acquisto di tre apparecchi nuovi". Funzionano infatti solo un macchinario per le lastre (gli altri tre sono fuori uso) e due ecografi su quattro. Mentre per i due ecografi nuovi bisognerà trovare altri finanziamenti. "Se la Regione dà il via libera per l’acquisto delle apparecchiature - conclude Cesare Canalis- entro l’estate la situazione potrebbe ritornare alla normalità". Gina Falchi ___________________________________________________ L’Unione Sarda 4 Apr. ’02 TRAPIANTATE CELLULE STAMINALI NEL CUORE PADOVA Oltre 600 milioni di cellule staminali sono state trapiantate, tramite 30 iniezioni in aree diverse del cuore, ad un paziente di 70 anni. L’ intervento, il primo nel mondo di questo tipo, è avvenuto a torace aperto e in circolazione extracorporea presso l’ istituto di cardiochirurgia dell’ Azienda Ospedaliera di Padova. L’applicazione clinica nell’ uomo di cellule staminali, presentata ieri a Padova, è stata compiuta dal professor Gino Gerosa con la collaborazione di un gruppo di esperti di varie aree bioemediche. Oltre ai cardiochirurghi sono infatti stati coinvolti anche gli oncoematologi della divisione pediatrica, diretta dal prof. Luigi Zanesco, per il prelievo delle cellule staminali. L’ operazione è durata complessivamente quattro ore. Secondo quanto dichiarato dai medici, il paziente nella quale era stato inserito circa vent’ anni fa un pacemaker cardiaco e che recentemente aveva avuto due infarti, sta bene. «L’ intervento a mia conoscenza - ha detto il professor Gerosa - è il primo nel mondo di questo tipo. In un precedente intervento effettuato in Germania si era intervenuti per via intracoronarica ma non direttamente sul muscolo cardiaco. L’applicazione delle staminali è avvenuta sette giorni fa e il paziente ora sta bene e sta per essere dimesso». Il professor Gerosa, ha sottolineato che è stata chiesta e ottenuta l’approvazione all’ intervento al comitato etico e ha rilevato poi che «questo tipo di intervento apre delle prospettive interessanti nell’ applicazione medica per le insufficienze cardiache post-ischemiche». L’ operazione è cominciata con il prelievo delle cellule staminali da un osso dell’anca, la cresta iliaca. Le cellule sono state ”processate e selezionate” in provetta. Il materiale prelevato è stato trasferito per ulteriore lavorazioni al reparto di oncoematologia pediatrica dove i medici hanno separato per sedimentazione le 600 milioni di ”cellule mononucleate” che sono state raccolte in microsiringhe e trapiantate nel cuore del paziente. Il trapianto di cellule staminali mediante multiple iniezioni attraverso il muscolo cardiaco dovrebbe - secondo i medici - permettere la trasformazione delle cellule staminali in cellule cardiache permettendo così la rigenerazione della parte di cuore danneggiata dall’infarto. Numerosi lavori sperimentali - è stato quindi spiegato - hanno dimostrato l’ efficacia e le enormi potenzialità legate all’ impiego di tali cellule in animali da esperimento, quali ratti e maiali, suggerendo così l’impiego anche in campo clinico. Altri due pazienti sono attualmente in attesa di essere sottoposti a trapianto nelle prossime settimane presso l’istituto di cardiochirurgia diretto dal prof. Dino Casarotto nell’ ambito di un progetto di ricerca clinica messo a punto dall’ Università di Padova. Il professor Zanesco ha sottolineato la capacità dei laboratori dell’istituto di Padova di effettuare questo tipo di selezione cellulare. ___________________________________________________ Le Scienze 5 Apr. ’02 ALZHEIMER: SOTTO ACCUSA LE PLACCHE PIÙ PICCOLE Gli effetti più invalidanti sarebbero dovuti a oligomeri che impediscono la comunicazione tra neuroni Un nuovo studio ha suggerito che i sintomi più debilitanti del morbo di Alzheimer potrebbero essere causati da accumuli molto piccoli di proteine. Impedire a queste proteine di raggrupparli potrebbe quindi prevenire e magari far regredire questa ed altre malattie, fra cui il diabete e l'encefalopatia spongiforme. Dennis Selkoe della Harward Medical School di Boston ha scoperto che accumuli di sole poche molecole della proteina beta amiloide interferiscono con i normali processi della memoria nel cervello dei topi. Il risultato di questa ricerca è stato pubblicato sulla rivista "Nature". Gli accumuli, detti oligomeri, aderiscono alle sinapsi distruggendole e impedendo le comunicazioni fra i neuroni. I ricercatori sanno da molto tempo che nel cervello dei pazienti affetti dal morbo di Alzheimer si formano grandi agglomerati di proteina beta amiloide, chiamati appunto placche amiloidi. Ma il legame fra la proteina e la demenza non era ancora chiaro e questi nuovi risultati sembrano finalmente fornire un indizio. I ricercatori hanno scoperto anche che le sostanze chimiche in grado di bloccare l'enzima implicato nella produzione della proteina beta amiloide impediscono la formazione degli oligomeri nelle cellule in coltura, che possono così continuare a "funzionare" regolarmente. Molte industrie farmaceutiche stanno sviluppando farmaci basati su questi bloccanti, che sono chiamati inibitori gamma-secretasi, e Selkoe crede che entro pochi anni ci saranno finalmente sul mercato i primi prodotti in grado di curare l'Alzheimer. ___________________________________________________ Il Messaggero 27 Mar. ’02 OMEOPATIA, 9 MILIONI DI PAZIENTI SENZA LEGGE La terapia che fa discutere di CARLA MASSI SAMUEL Hahnemann si laureò nel 1779. Per nove anni fu un medico diligente, osservante delle regole convenzionali. Purghe, salassi, dosi massicce di mercurio e arsenico. Improvvisamente, un giorno, la rivolta. Deluso di quei rimedi, a suo dire più nocivi che curativi, voltò le spalle alla medicina ufficiale e si mise a fare il traduttore. Finché si imbatté in un libro in cui venne a sapere che il chinino, estratto dalla corteccia di china, era una terapia efficace contro la malaria. Lo provò su di lui: notò che sviluppava tutti i sintomi tipici della malattia, tra cui la febbre intermittente. Ma non contrasse il male. Smesso il chinino, cessarono anche i sintomi. Era nata la medicina "alternativa". Quella omeopatica che cura il dolore con il suo simile. Hahnemann sapeva di andare contro le prescrizioni dei dottori tradizionalisti ma decise di andare avanti perché, duemila anni prima, Ippocrate già pensava che potessero esistere due metodi per curare le malattie: con i "simili" e con gli "opposti". Divenne professore, insegnò all’università di Lipsia ma mantenne sempre inalterato il suo disprezzo verso la medicina ufficiale. Che lo guardava, e ancora spesso guarda i suoi seguaci, con diffidenza e scetticismo. Due mondi che, da allora, sono cresciuti insieme. Ma che, solo in alcuni paesi, sono riusciti a trovare un tacito accordo, una convivenza fattiva e collaborativa. Si sono trovati in Francia, per esempio, dove, solo a Parigi, due ospedali pubblici, il Corentin Celton e il Tenon, somministrano in corsia prodotti omeopatici. Sposandoli, in molti casi, con la medicina cosiddetta allopatica, quella tradizionale. Si sono trovati in Gran Bretagna: cinque ospedali omeopatici e la famiglia reale che, dal XIX secolo, fa sapere ai sudditi di curarsi con quei prodotti Ma, a quel punto di accordo, si arriva solo se gli integralismi da entrambe le parti riescono a restare fuori della porta. Se i medici non si lasciano sedurre dalle "squadre" che si contrappongono. In mezzo, il paziente. Affascinato sempre più da chi vuole "leggere" e curare il malato nella sua totalità. Da chi vede nel dolore la manifestazione di un disagio generale. Sarebbe il caso di imparare da quei medici che sono riusciti a dialogare senza steccati. Quelli che avvicinano anche il paziente grave, con un doppio binario. Per arrivare alla stessa meta. Accusano i medici "ufficiali": gli omeopati si ostinano a curare con i loro farmaci anche i malati oncologici. Sono dei pazzi. Rispondono gli omeopati: una lettura in malafede. Mai sostenuto questo, piuttosto pensiamo di poter intervenire a pieno titolo anche noi per alleviare alcuni effetti della chemioterapia. Accusano gli omeopati: loro si occupano solo della malattia e non del paziente nella sua interezza, compreso carattere, stato d’animo, stile di vita. Rispondono gli "ufficiali": dove sono le prove scientifiche di tutto ciò? Una terapia è valida solo se può essere applicata a diversi malati ed ha la stessa efficacia, come si può sostenere questa tesi con la medicina di Hahnemann dagli esiti così diversi da persona a persona? Un dialogo tra veri e finti sordi che sembra non riuscire a trovare un luogo di incontro. Capace, spesso, di scatenare conflitti violenti. Ignorando anche le parole del più pacifista degli uomini, Gandhi: «L’omeopatia è il metodo più avanzato e più raffinato per curare il paziente in modo economico e non violento». ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 5 Apr.’02 TALASSEMIA SPERANZE DA UN NUOVO FARMACO CAGLIARI. Nuove speranze per i talassemici: è in fase di sperimentazione un nuovo «chelante orale» che permetterà di combattere l'accumulo di ferro nei vari organi e tessuti senza che gli affetti dalla malattia debbano sottoporsi alla terapia sottocutanea. Messo a punto dai laboratori della Novartis, il farmaco è attualmente nella fase in cui si verificano tossicità ed efficacia a lungo termine. Sono stati completati - ha detto il professor Daniele Alberti, coordinatore nazionale della sperimentazione che coinvolge anche ventuno pazienti americani - i dati sulla farmacocinetica: non si sono mai registrati effetti collaterali di una certa consistenza. «La nuova sperimentazione - ha sottolineato Andrea Barra, presidente della fondazione italiana 'Leonardo Giambrone' - rappresenta un ulteriore passo in avanti nella speranza di poter un giorno guarire dall'anemia mediterranea. Il percorso è tuttavia ancora molto lungo e nel 2003, se tutto va bene, la ricerca passerà alla fase di sperimentazione della dose terapeutica. Speriamo che nel 2004 si possa attivare l'uso controllato nazionale esteso ai centri di cura come è avvenuto per il deferiprone». La fondazione ha attivato una collaborazione per favorire l'attivazione del protocollo. Dal luglio 2001 è stata avviata la sperimentazione italiana che coinvolge 71 pazienti dei Centri di Cagliari, Torino, Milano e Genova. Sono talassemici volontari, arruolati con l'autorizzazione del Comitato etico e in base al consenso informato. «Si tratta - ha concluso Andrea Barra - di avere fiducia e pazienza». ___________________________________________________ La Stampa 3 Apr.’02 DANNI DEL MOBBING Lavoratori sull´orlo di una crisi di nervi LO STRESS PROVOCATO SUL POSTO DI LAVORO DA CAPI E COLLEGHI COLPISCE UN MILIONE E MEZZO DI ITALIANI NON è possibile vivere senza stress. E´ il sale della vita. Ma come il sale, quando è troppo può far male. Fu Hans Seley, un ricercatore canadese, a darne per primo, negli Anni 30, una interpretazione biologica, che mantiene ancora tutta la sua validità: qualunque situazione ambientale venga percepita dal cervello come potenzialmente minacciosa, «stressor», provoca una «reazione d´allarme» neuro-ormonale che pone l´organismo in stato di allerta per prepararlo alla risposta più adeguata. Reazione che vede l´attivazione dell´asse ipotalamo-ipofiso-surrenalico e del sistema nervoso simpatico, con il rapido aumento in circolo di adrenalina, endorfine e cortisolo. L´attivazione dura fino a quando dura lo stato di allerta e ha in sé stessa la capacità di autolimitarsi, in quanto l´eccesso di cortisolo in circolo esercita una «retro- regolazione» (feed-back negativo) su ipotalamo e ipofisi, interrompendo la sorgente stessa dello stress. Lo stress, quindi, è una risposta «adattativa» fisiologica dell´organismo, utilissima in particolari circostanze perché affina le capacità di concentrazione, di attenzione e di discriminazione percettiva. Può tuttavia indurre varie patologie se gli stimoli sono troppo frequenti e prolungati, oppure se lo stress è vissuto con allarme eccessivo. Un evento, infatti, sarà recepito come stressante secondo un sistema di lettura del tutto individuale, che dipende dalla propria cultura, dalla propria esperienza, dalle proprie aspettative di vita e di lavoro. Esiste una predisposizione psichica particolare, la cosiddetta personalità di «tipo A» (descritta per primo da Meyer Friedman, un cardiologo di San Francisco, negli Anni 50), caratterizzata da marcata ambizione, senso dell´incalzare del tempo, astio latente, desiderio di dominare l´ambiente circostante e metterlo sotto controllo, per cui chi ne è portatore vive in uno stato di tensione perenne, attivandosi per ogni situazione che non aderisca perfettamente a quella da lui prefigurata. Un simile soggetto è destinato a uno stress cronico, e ha molte più probabilità di patologie cardio- vascolari (ipertensione arteriosa, infarto del miocardio), gastroenteriche (ulcera peptica, colon irritabile, rettocolite ulcerosa, morbo di Crohn), dermatologiche (dermatite e dermatosi di vario genere), psichiatriche (depressione, ansia), immunitarie (ridotta capacità di opporsi a virus, batteri, cellule tumorali) di un soggetto con personalità «tipo B», molto meno competitivo e ambizioso, che prende la vita come viene. L´ambiente di lavoro è quello che più espone allo stress cronico. Oltre ai classici motivi (lavoro ripetitivo; troppo facile rispetto alle proprie capacità e aspettative; troppo pensate e impegnativo, al limite delle capacità di adattamento; mancanza di riconoscimenti e di carriera; scavalcamenti da parte di colleghi meno meritevoli; pendolarismo etc.) da qualche tempo se n´è aggiunto un altro, il più subdolo e devastante, che sta assumendo proporzioni preoccupanti, il «mobbing»: ovvero lo stress da persecuzione psicologica sul posto di lavoro. Il termine proviene dall´inglese «to mob», attaccare, usato in etologia per descrivere il comportamento degli uccelli che per difendere il nido volano attorno all´aggressore. Negli Anni 80 si è iniziato a usarlo per indicare gli attacchi da parte di colleghi o dei datori di lavoro (in questo caso detto anche «bossing») sotto le forme più varie: emarginazione, diffusione di maldicenze, continue critiche, assegnazione di compiti dequalificanti, eccessive richieste, compromissione dell´immagine sociale, molestie sessuali. Lo scopo è quello di eliminare una persona divenuta «scomoda», per ragioni di concorrenza, gelosia, invidia, antipatia, distruggendola psicologicamente e socialmente, in modo da provocarne il licenziamento o, meglio ancora, da indurla alle dimissioni. Il mobbing ha gravi conseguenze sulla salute fisica e psichica. Sarebbero centinaia di migliaia le vittime finite in prepensionamento o addirittura in clinica psichiatrica. Un´indagine statistica indica che in Svezia tra il 10 e il 20 per cento dei suicidi ha come causa scatenante lo stress da persecuzione psicologica sul posto di lavoro. Ma il fenomeno ha pesanti conseguenze anche sulla collettività: ogni lavoratore «mobbizzato» costa il 190 per cento in più del suo salario lordo annuo per la ridotta produttività sul lavoro, per il prezzo sociale e familiare della sua depressione, per i farmaci, per l´eventuale ricorso alla magistratura. Negli Stati Uniti sembra che questo tipo di aggressione psicologica si verifichi sul 20% dei lavoratori. In Italia, secondo le associazioni nate per combattere il fenomeno, sarebbero un milione e mezzo i lavoratori coinvolti. In Svezia e in Germania la legislazione riconosce al lavoratore l´invalidità psicologica derivante dall´aver subito forme di mobbing, includendo l´evenienza fra le malattie professionali. In Italia il mobbing è entrato nella giurisprudenza del lavoro dopo la sentenza del tribunale di Torino del 16 novembre 1999, che ha riconosciuto il «danno biologico» sotto forma di una grave depressione in cui era caduta una lavoratrice per i ripetuti maltrattamenti del capo reparto: il datore di lavoro è stato condannato a un risarcimento in denaro, avendo egli l´obbligo, secondo l´articolo 2087 del Codice Civile, di tutelare l´integrità fisica e morale dei propri dipendenti. Antonio Tripolina ___________________________________________________ Repubblica 4 Apr.’02 PROSTATITE DA STILE DI VITA Le abitudini giovanili da correggere Dieta sbagliata, vita sedentaria, troppa moto e poco sesso tra i fattori irritativi. Un farmaco d’origine vegetale DI MIRELLA TARANTO Ha tra i diciotto e i trentacinque anni, passa molto tempo in macchina o sulla moto, mangia cibi piccanti, beve bevande gassate ed ha una vita sessuale irregolare il giovanotto che rischia la prostatite. Il 90 per cento delle prostatiti, infatti, secondo Antonio Destito, docente della Scuola di Urologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, non sono di natura batterica e sono, invece, influenzate da comportamenti e stili di vita scorretti. «Spesso ci arrivano giovani che vengono curati con gli antibiotici al primo bruciore e senza motivo», spiega Antonio Destito, «e che perciò hanno frequenti ricadute dei sintomi di bruciore e stimolo urinario frequente, tipici della prostatite». Prima di tutto, quindi, è importante che alla visita seguano le analisi cliniche per escludere che, alla base dell’irritazione ci siano germi o miceti. «La terapia non può essere aspecifica», afferma l’urologo, «ma deve essere mirata. L’analisi del secreto uretrale, del liquido seminale e la coltura delle urine sono perciò necessarie prima di decidere la terapia. Che può essere antibiotica o semplicemente antinfiammatoria come nel caso in cui non ci siano batteri. In quest’ultimo caso, inoltre, è molto importante cercare anche di cambiare le regole di vita che hanno potuto favorire o aggravare la patologia». E tra i comportamenti a rischio c’è anche quello dietetico: «bevande gassate, cibi fritti o piccanti» dice l’urologo, «sono assolutamente controindicati perché favoriscono l’irritazione e perciò acuiscono la malattia». Ma è così anche per chi passa molto tempo in moto o in macchina: «La moto, in particolare, se usata a lungo, produce dei microtraumi che tendono a creare una situazione irritativa cronica», afferma il dottor Destito, «così come una delle cause di irritazione è dovuta al trattenere a lungo le urine, comportamento dannosissimo per la salute della vescica e della prostata». E per la vita sessuale la regola è stare lontano dagli eccessi sia in un senso che nell’altro: «Fa male stare a lungo senza rapporti sessuali, così come non fa bene averne troppi di seguito dopo lunghi intervalli», dice l’urologo, «questo perché la prostata produce la maggior parte del liquido seminale e perciò se viene sottoposta a un superlavoro può creare dei problemi di congestione. Ma anche non avere rapporti o avere spesso dei rapporti sessuali incompleti può creare una situazione di ingorgo che inevitabilmente irrita o gonfia ulteriormente la prostata». Sul fronte terapeutico, poi, ci sono anche novità. Nel caso di prostatiti non batteriche, infatti, sembra che l’associazione di una farmaco di origine vegetale serenoa repens il nome del principio attivo ai comuni antinfiammatori dia buoni risultati. «La prostatite si caratterizza per improvvise riacutizzazioni e progressive cronicizzazioni, soprattutto laddove non è trattata», spiega l’esperto; «in uno studio randomizzato che ha coinvolto circa trecento pazienti, la metà dei quali è stato trattato con alfalitici e antinfiammatori e l’altra metà anche con questo farmaco di origine vegetale, dopo un periodo più o meno lungo di trattamento abbiamo osservato che in questo secondo gruppo di pazienti c’è stata una scomparsa pressoché totale dei disturbi, oltre che una diminuzione degli effetti collaterali tipica degli antinfiammatori, soprattutto a livello gastrico». Cure che, in ogni caso, precisa l’urologo, «vanno associate a prescrizioni dietetiche e ad una correzione di eventuali stili di vita sbagliati, altrimenti c’è il rischio che la patologia si ripresenti frequentemente fino a cronicizzarsi negli anni futuri». ___________________________________________________ Repubblica 4 Apr.’02 DAGLI ULTRASUONI UN’ALTERNATIVA ALLA MAMMOGRAFIA La necessità di ricorrere alla mammografia come strumento efficace di prevenzione contro il tumore alla mammella è stata ribadita nel corso della "Terza Conferenza Europea sul Cancro della Mammella" di Barcellona. La mammografia e la possibilità di servirsi, in futuro, degli ultrasuoni rappresentano un valido aiuto nella lotta del cancro alla mammella. Proprio questi ultimi, ha annunciato al congresso Umberto Veronesi, potrebbero essere un’alternativa alla mammografia, grazie ad un’ecografia con iniezione di un mezzo di contrasto che rende visibili i vasi sanguigni di tumori iniziali anche di soli 3 millimetri. I dubbi sulla bontà della tecnica radiografica, sollevati alcune settimane fa, sono stati confutati da Robin Wilson, dell’European Group for Breast Cancer Screening: «Le prove che abbiamo raccolto fino ad oggi sulla validità della mammografia sono evidenti», ha detto l’esperto, «anche se dobbiamo ammettere che ci possono essere degli ostacoli allo screening e che diagnosi errate di presenza di un tumore possono generare ansia nella donna, in particolare se è richiesta una biopsia, l’uso della mammografia è efficace nella prevenzione del tumore al seno». La conferma arriva anche da un recente studio dell’Università di Umea in Svezia, su un totale di 247.000 donne di almeno 55 anni, per oltre 15 anni. Secondo i ricercatori, lo screening ha ridotto del 21 per cento la mortalità delle donne colpite dal tumore. La riduzione inoltre è stata maggiore nel gruppo di donne con età compresa tra i 60 e i 69 anni, raggiungendo il 33 per cento. In crescita è l’utilizzo delle mammografie digitali, la cui efficacia è simile a quelle standard ma con il vantaggio di essere la base per lo sviluppo di applicazioni più avanzate, come la diagnosi tramite computer (CAD), tomosintesi, mammografia a medio contrasto (CMM) e a fusione ultrasuoni/digitale. (antonio caperna)