UNIVERSITÀ, MOLTI DUBBI SUL FUTURO FORMAZIONE CONTINUA «MADE IN UK» STOP AI VOTI FACILI, SVOLTA NELL´UNIVERSITÀ USA CAGLIARI: ISEF - ULTIMA SESSIONE PER IL DIPLOMA ========================================================= TROPPI ERRORI, TASK FORCE-SICUREZZA NEGLI OSPEDALI LISTE D’ATTESA: AL SUD VA MEGLIO «I MALATI HANNO DIRITTO AI FARMACI GIUSTI» MEDICI, LA RIFORMA INCIAMPA NEI CONTI MEDICI SOLO A TEMPO PIENO. NIENTE «CO.CO.CO.» FARMACI, CONTI IN ROSSO «INFORMAZIONE SANITARIA DI QUALITÀ» AZIENDE ITALIANE FINANZIANO LE UNIVERSITÀ USA POLICLINICO, CONTESTATI MANSIONI E TURNI INFERMIERE MANOLESTA AL POLICLINICO I MALI DELLA SANITÀ: VERTICE A LANUSEI ZANZARE TRANSGENICHE PER COMBATTERE LA MALARIA WASHINGTON: INDIVIDUATO NELLO STOMACO L’ORMONE DELLA FAME FABICI RESTANO AL LAVORO ========================================================= _______________________________________________________ Il Sole24Ore 19 mag. ’02 UNIVERSITÀ, MOLTI DUBBI SUL FUTURO di Paola Potestio L'argomento principale per sostenere l'esigenza di una riforma della didattica dell'università ha fatto leva sulla numerosità di studenti fuori corso con il vecchio ordinamento, l'elevato tasso di abbandono, una durata media effettiva dei corsi che portava i giovani sul mercato del lavoro a 27-28 anni, contro i 22-23 che si osservano in Europa. Una più attenta riflessione sulle cause di tali risultati avrebbe forse aiutato a capire meglio limiti e potenzialità di un mutamento dell'organizzazione della didattica. In linea di principio, le possibili cause di quei risultati sono tre: Un'insufficiente disponibilità di risorse, in termini di strutture e di docenza. Studenti poco seguiti o posti in condizione di grave disagio hanno bisogno quanto meno di maggiori motivazioni per andare avanti. Standard qualitativamente elevati dei singoli insegnamenti e dei corsi di studio. Carenze organizzative. Tra queste, va sottolineato un diffuso scarso coordinamento tra gli insegnamenti che spesso ha reso i corsi di studio più complessi di quanto il loro specifico obiettivo formativo richiedeva. Non v'è dubbio che tutti e tre questi aspetti hanno concorso agli esiti richiamati sopra. Se si riconosce ciò, dovrebbe risultare chiaro il rischio o l'illusione di puntare solo sulla ridefinizione dei corsi di studio per un reale superamento di quei risultati. L'articolato schema organizzativo adottato dalla riforma, il cosiddetto 3+2 con gli annessi master di primo e di secondo livello, esprime un'offerta formativa più ampia rispetto a quella del vecchio ordinamento. Appare davvero azzardato prevedere che questo articolato schema produca risultati migliori senza un consistente potenziamento delle risorse destinate all'università. Per quanto riguarda gli altri aspetti, erano sicuramente assai ampi gli spazi per rendere più agevolmente percorribili gli studi universitari, mantenendo al contempo gli standard qualitativi della nostra tradizione. La soppressione di istituti inutili (la tesi, ad esempio) e una più efficiente organizzazione avrebbero semplificato molto le cose. La scelta dell'autonomia degli atenei dava poi, sotto questo aspetto, una più chiara responsabilità alle sedi e un'occasione preziosa alle capacità progettuali dei singoli atenei. Di fatto, non c'è stato un tentativo di razionalizzazione della struttura esistente, ma l'introduzione di un diverso e nuovo schema organizzativo, il 3+2, ossia le lauree in successione. Il principio, come si è molte volte argomentato, è inefficiente: l'obiettivo professionalizzante del triennio è in conflitto con l'obiettivo di una solida base formativa funzionale alla successiva laurea specialistica. La frammentazione dei percorsi che ne risulta avrà fatalmente come conseguenza l'abbassamento della qualità e/o, di nuovo, lunghi tempi di permanenza dei giovani nelle università. Oggi, moltissimi atenei sono nella fase conclusiva dell'applicazione della riforma ed è vicino il varo delle lauree specialistiche. In realtà la specifica regolamentazione delle classi dei corsi di studio, con i decreti di area, e i problemi che questa regolamentazione ha posto e pone alla progettazione delle facoltà, in particolare delle lauree specialistiche, ha attirato relativamente poco l'attenzione. Qualche primo bilancio del laborioso impianto normativo che, purtroppo, per gradi si è costruito, nonché un attento monitoraggio delle concrete attuazioni della riforma e dell'evoluzione della struttura dei nostri atenei sono estremamente opportuni. _______________________________________________________ Il Sole24Ore 26 mag. ’02 FORMAZIONE CONTINUA «MADE IN UK» Il ministro britannico dell'Istruzione, Estelle Morris, incontra martedì Letizia Moratti: in agenda un confronto sui piani di riforma Tra gli obiettivi del Governo laburista un forte miglioramento della scuola secondaria di Estelle Morris* L'Italia e il Regno Unito svolgono un ruolo decisivo nel l'obiettivo strategico della Ue di diventare, entro il 2010, il maggiore sistema economico mondiale basato sulla formazione. Attendo con ansia di incontrare il ministro Moratti il 28 maggio, per confrontare le nostre esperienze e discutere con lei delle sfide che ci si presentano per il futuro. Elevare lo standard di apprendimento per tutti, nel sistema d'istruzione britannico, è il principio cui ci ispiriamo fin dall'entrata al Governo dei Laburisti nel 1997. Cinque anni dopo, i nostri sforzi cominciano a essere ricompensati. Miriamo a ogni gruppo di età, dalla nascita in poi, per capire quali siano i provvedimenti che è necessario adottare. Abbiamo già registrato reali progressi nei gruppi più giovani. Per i più piccoli, soprattutto in zone svantaggiate, è necessario spezzare il tradizionale ciclo di rendimento insufficiente. Il nostro programma "Sure Start" (Partenza Sicura) risponde ad esigenze individuali, ad esempio fornendo libri e giocattoli e prestando assistenza in questioni pratiche di carattere sanitario, o relative alla nutrizione o all'esperienza di genitore. Siamo ora anche in grado di offrire un posto all'asilo a ogni bambino di quattro anni, e vorremmo fare lo stesso in futuro per i bambini di tre anni. Questa solida base è la premessa perché i bambini possano serenamente accedere alla scuola a tempo pieno che inizia all'età di cinque anni. Nella scuola primaria vorremmo introdurre un'ora di lettura e scrittura e una di aritmetica al giorno. Per gli insegnanti sono previsti corsi di formazione per poter attuare questa innovazione. I risultati conseguiti dai giovani alunni sono confortanti, e si evincono dai risultati degli esami di Stato che i bambini di sette e undici anni devono sostenere. Dal 1997 abbiamo visto, nei risultati ottenuti dagli alunni di 7 anni, un miglioramento del 6-7% in matematica e in inglese, e un miglioramento del 10% per gli alunni di 11 anni. Vorremmo ora ottenere gli stessi successi nel livello secondario. Un recente studio dell'Ocse ha riscontrato che i nostri adolescenti sono fra i più preparati in assoluto alla vita adulta e lavorativa. Troppi ragazzi, però, lasciano ancora la scuola all'età di 16 anni. Stiamo per sperimentare nuovi programmi che permettano ai ragazzi di combinare l'apprendimento a scuola con il lavoro, prendendo parte nella società. Stiamo inoltre considerando l'introduzione di incentivi finanziari per incoraggiare i giovani a proseguire gli studi. Il nostro prossimo obiettivo è quello di attirare un maggior numero di studenti all'istruzione universitaria. Hanno la priorità i giovani che per background non considererebbero normalmente l'università come una possibilità. Abbiamo l'obiettivo ambizioso di introdurre il 50% dei giovani tra i 18 e i 30 anni nelle università entro il 2010. I nostri sforzi includono qualifiche di laurea basate sul lavoro, che combinano lo studio con l'acquisizione di abilità tecniche apprese sul campo. Infine, poiché non vogliamo limitare le opportunità di studio ai soli giovani, stiamo incoraggiando tutti i cittadini all'apprendimento continuo, con l'obiettivo di migliorare le abilità letterarie e aritmetiche di 750mila adulti entro il 2004. Per ottenere tutto ciò abbiamo bisogno dei nostri eccellenti insegnanti. Abbiamo collaborato strettamente con loro, talvolta introducendo cambiamenti impopolari, per garantire flessibilità e responsabilità all'interno del sistema dell'insegnamento. Il successo e l'eccellenza possono ora essere premiati con una varietà di incentivi nelle retribuzioni. Abbiamo accompagnato questi cambiamenti con investimenti nelle retribuzioni degli insegnanti e nel nostro sistema d'istruzione. Attualmente spendiamo oltre 1.210 euro in più a persona di cinque anni fa. L'obiettivo del mio ministero è contribuire alla creazione di un'economia competitiva e inclusiva, creando l'opportunità per tutti di sviluppare il proprio apprendimento e di realizzare il proprio potenziale. La ricetta funziona, e i livelli di istruzione stanno crescendo. Restiamo impegnati nella ricerca di eccellenza per tutti. So che il ministro Moratti sta lavorando per lo stesso tipo di traguardo e attendo con ansia di incontrarla. *Ministro dell'Istruzione e delle specializzazioni nel Governo del Regno Unito Domenica 26 Maggio 2002 _______________________________________________________ La Stampa 25 mag. ’02 STOP AI VOTI FACILI, SVOLTA NELL´UNIVERSITÀ USA LODI A HARVARD L´IMPORTANTE, diceva il barone de Coubertin, è partecipare. Bel concetto, che forse potrà valere alle Olimpiadi, ma di sicuro non basta per prendere una laurea con lode all'Università di Harvard. Lo ha deciso con grande enfasi il Consiglio dell'ateneo, approvando una severa rivoluzione nel sistema dei voti: da ora in poi, sonnecchiare in classe non sarà più sufficiente per arrivare alla fine dell'anno, e chi vuole un pezzo di carta da incorniciare come una quadro del Caravaggio dovrà sudarselo. La polemica è grave e annosa, nel sistema dell'istruzione americana. Il lassismo post-sessantottesco, la correttezza politica, la pedagogia non giudicante, la coltivazione dell'autostima, la sociologia e la psicologia apologetica hanno contribuito negli anni ad abbassare la soglia delle richieste imposte agli studenti di tutti i livelli. La gestione federale della scuola, inoltre, ha sempre impedito la definizione di programmi nazionali comuni per le elementari, le medie e le superiori. I distretti scolastici dei vari Stati sono liberi di insegnare quello che vogliono, e così mancano anche esami uguali per tutti, allo scopo di verificare e uniformare il livello di apprendimento. Quando arrivano all'università, i ragazzi educati in questo modo non si aspettano di finire sotto la pressa di valutazioni più severe, e molti atenei hanno ceduto all'idea che la partecipazione conta più dell'esame per stabilire i voti. Così si sono moltiplicati i corsi «pass or fail», dove sei promosso o bocciato, senza soffermarsi troppo sul particolare del come. Nell'andazzo generale ha mollato pure Harvard, dove nel 2001 il 90% degli studenti si è laureato con lode. Una percentuale ridicola secondo il nuovo rettore Larry Summers, nipote dei premi Nobel Paul Samuelson e Kenneth Arrow, che è stata anche al centro della sua litigata col professore nero Cornel West, tornato all'Università di Princeton dopo la resa dei conti nei mesi scorsi. Così, mentre il presidente Bush e il ministro dell'Istruzione Paige insistono per introdurre test nazionali nelle scuole, anche il Consiglio di facoltà di Harvard ha cambiato registro. Da ora in poi, non più del 60% di ogni classe potrà strappare la laurea cum laude, e in questo numero dovrà rientrare un massimo di 5 diplomi su 100 summa cum laude. L'attuale sistema di voti in 15 gradi sarà eliminato, e prendere una A, ossia il massimo, diventerà molto più difficile. Gli studenti impareranno di più? Non necessariamente. Secondo Summers, però, come minimo impareranno a confrontarsi con la verità. Paolo Mastrolilli _______________________________________________________ L’Unione Sarda 23 mag. ’02 CAGLIARI: ISEF - ULTIMA SESSIONE PER IL DIPLOMA L’ultima sessione utile per conseguire il diploma Isef si terrà oggi. Dopo tale data, chi fosse interessato a proseguire gli studi, potrà passare al corso di laurea in Scienze motorie. I moduli delle domande sono disponibili nella segreteria di via dei Colombi 1 e devono essere ritirati entro lunedì prossimo. Dal primo giugno nella sede di viale Colombo funzionerà un “ufficio stralcio” che curerà la conservazione degli atti relativi alle carriere degli studenti e dei diplomati Isef. ========================================================= _______________________________________________________ Corriere della Sera 22 mag. ’02 TROPPI ERRORI, TASK FORCE-SICUREZZA NEGLI OSPEDALI Milano: al San Raffaele la prima squadra "anti sbagli", l’operazione parte in altre 22 strutture. Spesso i farmaci vengono scambiati MILANO - Un farmaco scambiato con un altro e somministrato al paziente sbagliato. Una sacca di sangue non compatibile. Una garza dimenticata nello stomaco. L’errore in ospedale non solo è possibile, ma è anche frequente, costa carissimo ai pazienti (negli Usa muoiono più persone per errori in medicina che per incidente stradale e il dato italiano potrebbe avvicinarsi), e pesa sui conti della sanità pubblica: "E’ pari ad un terzo dei costi complessivi di gestione dei nostri ospedali - dice il ministro della Salute Girolamo Sirchia -. Uno sperpero a cui bisogna cominciare a mettere mano". Quanti errori medici accadono in Italia? E cosa si può fare per limitarli? Per trovare una risposta è nato il primo Centro italiano per lo studio dei rischi e degli errori in medicina, materia su cui finora si è fatto pochissimo, di cui non si parla nelle aule universitarie e meno ancora fra i medici in corsia. Il Centro, in sigla Cesrem (sito Internet www.cesrem.org ), è un’idea dell’Istituto San Raffaele di Milano, che dal giugno scorso ha avviato sei unità di "gestione del rischio" - squadre di medici che cercano di capire come, dove e perché succedono gli errori - in altrettante aree dell’ospedale. Nel concreto, queste "squadre di medici" passano al setaccio tutto ciò che accade in reparto: "smontano" i processi organizzativi, ne individuano i punti critici e cercano soluzioni perché gli errori non si ripetano. Negli Usa e in Gran Bretagna muoversi così è la norma. Noi siamo ai primi passi: 23 le strutture sanitarie in cui sta cominciando la sperimentazione. QUALITA’ - "Ci vorranno almeno dieci anni per completare il percorso nell’intero Paese", ammette il ministro Sirchia, ieri a Milano per il battesimo del Centro. Ci vorrà tempo, ma la strada è quella giusta. Sirchia ha già introdotto nel Piano sanitario nazionale la necessità di applicare agli ospedali la certificazione Iso di qualità, un altro modo per arrivare allo stesso risultato: strutture più efficienti, dove si viene guariti meglio, con meno spese inutili. "Gli strumenti per migliorare ci sono - dice il ministro -. Manca la cultura: dall’errore si impara". ERRORI E RIMEDI - Così gli sbagli aumentano. Le segnalazioni arrivate al Tribunale per i diritti del malato sono in pericolosa crescita: più 14% dal 2000 al 2001. Le aree in cui si sbaglia di più sono ortopedia e traumatologia (16,5%, ma si tratta degli interventi più a rischio di infezione rispetto ad altri), oncologia (13%), ostetricia e ginecologia (10,8%), chirurgia generale (10,6%). Ma chi sbaglia? E a fare cosa? Nel 19,1% dei casi si tratta di veri e propri errori del medico, che non interpreta nel modo corretto i sintomi o sbaglia la terapia; nel 22% l’errore consiste in un ritardo nella diagnosi; nel 53% nell’interpretazione errata dei test. Fra gli errori più comuni, anche lo scambio di farmaci. Come uscirne? Al San Raffaele hanno messo a punto alcuni prototipi, "perché un errore su due - spiega Pierangelo Bonini, direttore scientifico del Cesrem - può essere evitato". Uno è il braccialetto con il codice a barre, che consente l’esatta identificazione del paziente, scongiurando il rischio di uno scambio di persona. Il secondo è il "carrello intelligente", con computer, che consente all’infermiere di prelevare solo i farmaci giusti per il paziente. Ma quanti medici saranno disposti a segnalare i propri sbagli, consentendo all’ équipe di studiarli e all’ospedale di migliorare? La ricetta di Sirchia: garantire l’anonimato. "Bisogna partire dalla segnalazione obbligatoria degli errori al servizio di qualità dell’ospedale, che poi trasmetterà i dati, in modo anonimo, a un Registro regionale o nazionale", dice il ministro. dmonti@corriere.it Daniela Monti _______________________________________________________ L’Unione Sarda 22 mag. ’02 LISTE D’ATTESA: AL SUD VA MEGLIO ROMA Il sud si prende una rivincita in sanità con le liste di attesa: i tempi medi nelle regioni meridionali sono infatti più brevi rispetto a quelli delle regioni del centro e del nord. Ma nel complesso il sistema sanitario nazionale perde ancora una volta sul fronte accessibilità: anziani, persone con livello di istruzione medio -basso e donne, in sostanza i più deboli, hanno difficoltà maggiori a farsi visitare da uno specialista e attendono più degli altri. Ma le persone che soffrono di un cattivo stato di salute, comunque, riescono a trovare una corsia preferenziale e ad eccedere in tempi minori. La novità del migliore risultato del sud che registra per un accertamento un’attesa media di tre giorni contro i cinque giorni del Nord-ovest e i sette giorni del Nord-est, è però frutto anche dell’utilizzo di strutture private accreditate che contribuiscono ad accorciare le liste di attesa. Anche per le visite specialistiche le regioni del Mezzogiorno mostrano una maggiore accessibilità: esse vantano un’attesa che nel 50% dei casi non supera i sette giorni, che aumenta nel nord-est a 15 giorni e nel nord-ovest a 8 giorni. Per gli accertamenti diagnostici, come una Tac o un’ecografia il 46% degli italiani riesce a non attendere nulla, ma il 50,7 si trova ad aspettare in liste di attesa che arrivano fino a 60 giorni e uno sfortunato 2,4% attende oltre i 60 giorni. Per le visite specialistiche la situazione è migliore: il 67,6% non attende nulla mentre quasi un terzo, il 31,2% aspetta meno di 60 giorni è solo l’1,2% più di due mesi. _______________________________________________________ Corriere della Sera 26 mag. ’02 «I MALATI HANNO DIRITTO AI FARMACI GIUSTI» Parla Ventafridda, direttore scientifico della Fondazione Floriani: analgesici e ansiolitici, nei casi gravi, non servono MILANO - Malati cronici, pazienti con dolori post operatori acuti, ragazzi che arrivano al Pronto soccorso con fratture multiple dopo un incidente stradale: poco meno di uno su due (il 45%) chiede una cura contro il dolore - fattibile, perché i farmaci davvero efficaci ci sono -, ma si scontra con il silenzio dei medici, che non prescrivono. Il dato viene dagli ospedali della Liguria, «ma si può estendere all’Italia intera», assicura l’esperto: «Il dolore è presente nei nostri ospedali e nelle nostre case, ma non si fa niente per controllarlo e ridurlo». Vittorio Ventafridda, 74 anni, direttore scientifico della «Fondazione Floriani» di Milano e presidente onorario della Società europea di cure palliative, mette in guardia: confinare la terapia del dolore nell’area dei malati terminali (e concepirla, magari, solo come argine all’eutanasia), è da miopi. Negli Usa - all’avanguardia in questa disciplina, portata avanti a New York da medici, colmo dell’ironia, italianissimi come Paolo Manfredi e Marco Pappagallo - il dolore più curato è il mal di schiena che blocca a letto, seguito dal mal di testa, dal dolore da cancro e dai dolori neuropatici. Un «bacino d’utenza» enorme, una «battaglia di civiltà» che il nostro Paese sembra non voler combattere. Perché, professore? «Manca la cultura. Ci sono medici che si dedicano a questo tema, ma non basta. Occorre che l’iniziativa passi all’opinione pubblica, ai malati: sono loro a dover pretendere che il dolore venga controllato. Dal 1986 l’Organizzazione mondiale della Sanità insiste sull’importanza degli oppioidi come cura contro il dolore. L’ex ministro Veronesi ha fatto anche una legge per facilitare l’uso della morfina, ma la legge non viene applicata, i "fogli di prescrizione" non si trovano. Risultato: in Italia, in controtendenza rispetto a tutti gli altri Paesi, l’uso di morfina non è mai aumentato». Da noi si prescrivono analgesici, ansiolitici, antinfiammatori. Si guarda con interesse agli studi su una nuova classe di Fansfarmaci, con minori effetti collaterali «Contro il dolore intenso non servono. Gli unici davvero efficaci sono gli oppioidi: morfina, metadone, fentanil, oxicodone. Hanno un’azione diretta su alcuni recettori posti sulla via del dolore: agendo su questi recettori, ottengono una riduzione della trasmissione del dolore, fino alla scomparsa. Vanno presi sotto controllo, ma funzionano. E abbiamo dati scientifici che dimostrano come il controllo del dolore sia benefico per la ripresa complessiva dell’individuo». Cannabis a parte (si sta studiando), esiste un problema di dipendenza per gli oppioidi? «Mi auguro che la Giornata del sollievo serva a sfatare il grosso equivoco che la morfina possa creare dipendenza». Negli ospedali americani sono i pazienti, dopo un intervento, a somministrarsi la morfina . Quando ci arriveremo? «Succede anche in alcuni nostri reparti di anestesia, ma davvero pochi. Negli Usa e nel Regno Unito le cure palliative e la terapia del dolore vengono insegnate all’università. E’ la strada che dobbiamo percorre anche noi». _______________________________________________________ Il Sole24Ore 25 mag. ’02 MEDICI, LA RIFORMA INCIAMPA NEI CONTI Consiglio dei ministri - Nella riunione di ieri solo un esame preliminare per il disegno di legge predisposto dal ministro Sirchia Verifica dell'Economia sugli effetti - Le Regioni temono tagli, opposizione e sindacati protestano ROMA - «Vediamo meglio i conti». Alla quarantesima versione, quella sbarcata ufficialmente ieri al Consiglio dei ministri, la riforma del rapporto di lavoro dei medici pubblici messa a punto tra mille fatiche da Girolamo Sirchia, incassa l'altolà di Giulio Tremonti. Uno stop temporaneo, solo "dettagli" da chiarire, getta però acqua sul fuoco il ministro della Salute: «La prossima settimana risolveremo tutto col ministro dell'Economia». La speranza è di ottenere il sì del Governo al più entro quindici giorni e di inviare il Ddl alle Camere. Un obiettivo che per Silvio Berlusconi è diventato ormai un punto d'onore: va gettata alle ortiche l'odiata "legge Bindi" e l'esclusività, ha dichiarato ancora ieri il premier. Intanto la riforma del centro-destra resta in naftalina. Col sovrappeso delle fibrillazioni regionali e di quelle, non meno decisive, dei sindacati medici. Sei articoli e mille novità, compresa l'abolizione nell'ultimo testo del ricorso ai rapporti «co.co.co.», le collaborazioni coordinate e continuative dei medici extra Ssn (come segnalato sul Sole-24 Ore» del 13 maggio), ma la riforma Sirchia è destinata a qualche altra limatura. Aspetti non di sostanza, assicura il ministro della Salute. Che si sente le spalle coperte dalla volontà di Berlusconi: «Il nostro è un intervento molto atteso da operatori del settore e pazienti: farà lavorare meglio gli ospedali e ridurrà le liste d'attesa», assicura il premier. Mentre dall'opposizione partono le bordate: «Ancora una volta Sirchia è costretto a passare la mano a Tremonti che detta le scelte di politica sanitaria, e il Consiglio dei ministri si arena. Il cambiamento annunciato è in realtà una beffa ai danni dei malati e della stragrande maggioranza dei medici che credono nel sistema pubblico», ribatte l'ex ministro della Sanità, Rosy Bindi (Margherita). Con i sindacati - sia l'Anaao che la Cimo - pronti alla guerra, che stanno a guardare e battono cassa (sull'attività libero professionale intramoenia per abbattere le liste d'attesa). E con le Regioni che temono di dover subire contraccolpi sulla spesa. Quasi ovvio e perfino prevedibile, in questo ginepraio di interessi non sempre conciliabili, che ieri il Consiglio dei ministri si sia fermato all'esame preliminare del Ddl. E che Tremonti - e forse anche i colleghi di Welfare-Lavoro e Funzione pubblica - abbia chiesto un supplemento d'esame per cercare di vederci chiaro e capire se davvero la riforma-Sirchia sarà a "effetto zero", o quasi. La verifica del ministero dell'Economia - magari anche in considerazione dei rilievi regionali e delle spinte non esattamente coincidenti all'interno della maggioranza - riguarda il provvedimento nel suo complesso. Ma formalmente ieri in Consiglio dei ministri sono stati messi in discussione solo alcuni punti. Non i rapporti «co.co.co.», che né le Regioni né i sindacati gradiscono e che Sirchia ha confermato essere stati espunti dalla bozza di Ddl. Tremonti, tra l'altro, vuole verificare se esiste il rischio di creare spese non coperte per l'eventuale passaggio automatico dall'extramoenia all'esclusività di rapporto: per questo è in discussione un intervento "regolatorio" (sgradito però ai sindacati) da parte delle aziende sanitarie. Del resto, anche le Regioni temono che possa esplodere la spesa (1,65 mld €) dell'esclusività e che, in questo modo, possa saltare anche il piatto dell'accordo dell'8 agosto 2001 sulla spesa sanitaria. Altro capitolo da chiarire riguarda la possibilità di far svolgere la libera professione intramoenia anche per la seconda specialità posseduta dal medico. E altre obiezioni, considerate superabili, riguardano l'innalzamento (fino a 70 anni, più altri due, ma senza assistenza) per i dirigenti di struttura complessa (gli ex primari): Frattini preferirebbe ancorare la norma a quella generale di riforma delle pensioni. Decisione «immotivata e sbagliata rispetto alle esigenze del mercato del lavoro», tuona l'Anaao. Mentre la Cimo attacca il ministro: «Con i sordi è difficile dialogare». Ma Sirchia garantisce di non temere le opposizioni dei sindacati medici: «Li libereremo da vincoli iniqui e ridurremo le liste d'attesa grazie alla libera professione», giura. Già, le liste d'attesa: i medici vogliono denari in più. E le Regioni non sono d'accordo. Roberto Turno _______________________________________________________ Il Sole24Ore 23 mag. ’02 MEDICI SOLO A TEMPO PIENO. NIENTE «CO.CO.CO.» Il disegno di legge sulla nuova disciplina del rapporto di lavoro domani al Consiglio dei ministri Preclusione per i contratti di collaborazione - Sì alla libera professione per chi non è in esclusiva ROMA - Niente «co.co.co.» (contratti di collaborazione coordinati e continuativi). Ma rapporti tutti a tempo pieno, con o senza esclusiva e relativa indennità, con piena reversibilità in entrambi i casi e insieme accesso senza limiti agli incarichi di vertice. Libera professione intramoenia ancorata all'abolizione delle liste d'attesa per i medici in esclusiva. E attività libero professionale extramoenia senza limiti per i non esclusivisti, purché si evitino i conflitti di interesse con l'attività svolta per il Ssn. Il tutto, disciplinato dalle Regioni. E ancora: primari (dirigenti di struttura complessa) in pensione a 70 anni, con la possibilità di restare in servizio fino a 72 anni senza fare assistenza. La nuova disciplina del rapporto di lavoro dei medici pubblici è quasi ai nastri di partenza. Dopo mesi di elaborazione e di bozze a ripetizione, il disegno di legge del Governo è stato pressoché predisposto. E già domani approderà al Consiglio dei ministri per l'esame preliminare. Senza escludere la possibilità del varo finale, che peraltro potrebbe slittare alla prossima settimana. Il condizionale, in questa vicenda, è più che mai d'obbligo. E non solo per il tormentato tira e molla che ha caratterizzato il confronto di questi mesi. In sospeso, a questo punto, è soprattutto la necessaria valutazione degli effetti di carattere finanziario che deve esprimere il ministero dell'Economia al testo predisposto dal ministro della Salute, Girolamo Sirchia, secondo cui l'impatto finanziario è da considerarsi a "effetto zero". O quasi. Una valutazione, quella di Giulio Tremonti, che dovrà accompagnarsi alle necessarie valutazioni politiche e a quelle di altri ministri, in testa Funzione pubblica e Università. E che comunque, anche se positiva, potrebbe non bastare per assicurare il via libera finale al testo al Consiglio dei ministri di domani. Una pausa di riflessione, insomma, tanto più necessaria in considerazione della delicatezza della materia. Due rapporti di lavoro. Il rapporto di lavoro è unico, a tempo pieno. Con esclusiva, e dunque con attribuzione dell'indennità, o senza esclusiva e senza indennità. In entrambi i casi, su domanda, è prevista la reversibilità e anche l'assegnazione degli incarichi di direzione di struttura semplice o complessa. Libera professione degli esclusivisti. L'attività libero professionale intramoenia - disciplinata a livello regionale - potrà essere individuale o in équipe. Dovrà essere svolta all'interno dell'azienda o in strutture pubbliche o private convenzionate, garantendo all'azienda il recupero delle spese sostenute e assimilando i redditi a quelli di lavoro dipendente. Prioritario per l'attività intramoenia, sarà l'abbattimento delle liste d'attesa secondo i programmi definiti dall'azienda sanitaria. Altra possibilità: le consulenze, i consulti e altre attività «occasionali», purché sotto l'occhio vigile del l'azienda. Medici senza esclusiva. I medici che non scelgono il rapporto di lavoro esclusivo, potranno svolgere liberamente l'attività libero professionale extramoenia, naturalmente senza percepire l'indennità di esclusività. Due soli limiti: l'attività svolta non deve configurare lavoro dipendente, né essere in conflitto d'interesse con l'attività dell'azienda di appartenenza. Le tariffe dovranno rifarsi alle prescrizioni dell'Ordine e mai essere a carico del Ssn. In pensione più tardi. I medici responsabili di struttura complessa potranno restare in servizio più a lungo, per meriti o esigenze aziendali: fino a 70 anni o fino a 72 anni, per le esigenze della formazione continua e della ricerca, ma senza poter svolgere assistenza. Tempo definito. I medici in tempo definito (meno di 2mila gli attuali) andranno a esaurimento. Roberto Turno _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 26 mag. ’02 «INFORMAZIONE SANITARIA DI QUALITÀ» Sassari, un convegno traccia le regole per medici e giornalisti Il compito dei mass-media: «Il giornale non è un nemico, ma un alleato» SASSARI. Qualità dell'informazione, trasparenza, etica. Sono le tre regole che la stampa medica specializzata sta cercando di fissare in un codice destinato sia alla tutela di chi queste informazioni delicate e preziose le riceve, sia alla formazione del medico. È stato uno dei punti salienti emersi ieri nel corso del dibattito "Mass-media e informazione sanitaria", organizzato dall'Ordine provinciale dei medici e svolto nella sala conferenza della Camera di commercio. Al convegno, che è stato moderato dal vicedirettore della Nuova Sardegna Fiorentino Pironti, hanno partecipato Danilo Ruggeri, caposervizio del Corriere medico, e Paolo Federici, del mensile Men's health. «Nel nostro campo le parole pesano come montagne - ha affermato Agostino Sussarellu, presidente dell'Ordine dei medici di Sassari - e i mass-media hanno un compito ancora più importante perché possono facilmente ingenerare false speranze o timori immotivati». Fiorentino Pironti, aprendo il convegno, ha ricordato che la stampa locale non interagisce direttamente col mondo medico-scientifico ma ha spesso «lo scomodo ruolo di cane da guardia della malasanità, tanto che ci ritroviamo spesso su opposte barricate rispetto ai medici, ai politici e ai dirigenti delle Asl». Il vicedirettore della Nuova Sardegna ha poi fatto riferimento all'inchiesta della magistratura dopo la morte del giornalista Mario De Murtas «un episodio che ci ha sconvolto e per il quale attendiamo serenamente l'esito dell'inchiesta, ma vorrei sottolineare che ci saremmo comportati allo stesso modo per chiunque altri perché è un nostro dovere. Infine un invito a tutti: il giornale non è un nemico, bensì un amico di tutti per la tutela della salute». Danilo Ruggeri ha illustrato il mondo dell'informazione del settore, un mondo che conta 88 testate e 18.000 ricercatori. Un mondo particolare se è vero che nel '91 le testate erano 390, caratterizzate da vistosi conflitti di interessi e collegamenti con le case farmaceutiche, e solo dopo la tempesta di Mani pulite il numero cominciò a ridursi: «Il rischio è sempre quello di offrire una visione parziale dell'argomento e ingenerare convinzioni errate nel lettore, come è accaduto nel caso riguardante le statine. Il dovere delle riviste internazionali deve essere promuovere un dibattito e l'avanzamento delle conoscenze con la pubblicazione di studi clinici e un contradditorio, controllando l'autorevolezza delle fonti, che non devono essere viziate a monte». Paolo Federici ha portato la sua esperienza in un periodico che si rivolge invece a un pubblico più ampio «e che da noi cerca la soluzione a problemi come la pancetta, la cellulite, la caduta dei capelli. Il nostro problema è utilizzare un linguaggio accessibile a tutti e fornire anche informazioni calibrate: non devono essere troppo specifiche, ma ovviamente nemmeno superficiali e inesatte. Comunque un giornale come il nostro per essere affidabile deve avere un comitato scientifico completo, citare le fonti ed essere aperto a più voci». Subito dopo si è svolto il dibattito, che è stato molto partecipato e ha avuto anche momenti intensi. È stata sottolineata la necessità della pubblicazione dei risultati negativi e anche di contribuire a far accettare alla gente l'idea della morte, spesso rifiutata a prescindere. Si è parlato anche dell'importanza della verifica della notizia di malasanità e dell'obbligo dei giornalisti di verificare la fonte e l'accaduto. _______________________________________________________ Il Sole24Ore 24 mag. ’02 FARMACI, CONTI IN ROSSO Allarme dell'osservatorio dell'Università Bocconi: insostenibile il tetto fissato in Finanziaria Possibili «sforamenti» tra 1,6 e 2 miliardi di euro ROMA - Per quanto tirino la cinghia - con ticket, tagli dei prezzi, distribuzione diretta e «delisting» - le Regioni non riusciranno a contenere la spesa farmaceutica entro il tetto del 13% dei conti totali della sanità. Le uscite per le medicine a carico del Ssn sfonderanno così la soglia fissata dalla Finanziaria, per una quota oscillante tra 1,6 e 2 miliardi di euro. E non a causa di mancati interventi di contenimento in sede locale: il tetto del 13% (9,693 mld €) si sta dimostrando nei fatti insostenibile, tanto che quasi nessuna Regione, anche le più virtuose, sarà in grado di rispettarlo. Arriva dall'ultimissimo report dell'«Osservatorio farmaci» del Cergas-Bocconi, curato da Claudio Jommi e Stefano Villa, l'analisi più aggiornata dei trend di spesa del settore. Con una panoramica ad ampio raggio della spesa farmaceutica 2001 (11,5 mld €: +32,4% sul 2000). Ma, soprattutto, con le proiezioni sui conti del 2002 e sull'impatto stimato delle manovre regionali complessive. Scenari, quelli proposti, che scontano la difficile valutazione, a bocce ferme, del Dl 63/02 (il cosiddetto taglia-deficit, che dopo il sì della Camera comincia la prossima settimana il suo iter al Senato) e anche di altre variabili: le eventuali manovre aggiuntive locali e l'effetto delle nuove note Cuf in arrivo. Le proiezioni del Cergas partono da una considerazione di base: a parità di condizioni regolatorie, ovvero in assenza delle norme introdotte con la legge taglia-spesa (405/2001), si sarebbe registrato quest'anno un aumento dei conti farmaceutici Ssn del 9 per cento. L'effetto congiunto della 405 e del taglio ai listini - pur riducendo fortemente il tasso d'incremento della spesa Ssn da +11 a +1,3% - non consentirebbe il rispetto del tetto di spesa: conteggiati i 700 milioni di euro di risparmio derivanti dalle misure introdotte a livello locale fino ad aprile e i 430 derivanti dalla riduzione dei prezzi, l'incidenza della farmaceutica sul finanziamento totale del Ssn si attesterebbe al 15,7%, con uno sfondamento di 2 miliardi €. E neppure basterebbero nuove misure locali: l'incidenza della farmaceutica sulla spesa totale Ssn arriverebbe al 15,1%, con un buco di 1,6 miliardi €. Risultati che non sorprendono gli autori del Rapporto, che contestano la «ragionevolezza di introdurre un tetto che già a priori si sa di non poter rispettare, dal momento che il 2001 si era chiuso con una incidenza della farmaceutica del 16,4%». Regioni all'attacco. Intanto le Regioni tornano all'attacco su Governo e Parlamento in vista dell'esame al Senato del Dl 63. Con la speranza di ottenere quanto già la Camera ha negato loro. E cioé: taglio dei prezzi al 6% (anziché al 5%), immediato adeguamento all'Europa sulla durata dei brevetti, chiarimenti su «delisting» e prezzo di rimborso Ssn, nessuna diluizione dei tempi per ottenere i ripiani dei deficit 2000-2001, una tempistica certa per rivedere i meccanismi di determinazione dei prezzi dei farmaci. Richieste alle quali, alla Camera, la maggioranza ha risposte picche. E che anche al Senato potrebbero non avere ascolto, vista anche l'urgenza del Governo di incassare la conversione in legge entro metà giugno. Sara Todaro Roberto Turno _______________________________________________________ Repubblica 23 mag. ’02 AZIENDE ITALIANE FINANZIANO LE UNIVERSITÀ USA NEW YORK Se un piccolo risparmiatore italiano avesse facile accesso alla borsa statunitense, potrebbe guadagnare cifre da capogiro investendo sul più grosso business di fine millennio: le biotecnologie. Ma per fare profitti è necessario conoscere le dinamiche di mercato. Per non correre rischi, tre farmaceutiche italiane, la SigmaTau, il Gruppo Chiesi Farmaceutici e la Rottapharm Group, hanno affidato parte dei loro proventi alla CambriaTech Genomics, società nata l’anno scorso per individuare progetti di ricerca scientifica e trasformarli in aziende. «La CambriaTech Genomics», spiega Mario Mauri, uno dei fondatori, «offre ai finanziatori la possibilità di investire in aziende ad alta redditività e di poter sfruttare scoperte e brevetti. Allo stesso modo garantiamo agli scienziati capitali e risorse manageriali per trasformare le loro idee in imprese». La CambriaTech ha stipulato un accordo con le università Usa di Yale ed Emory. (s. j. s.) _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 22 mag. ’02 POLICLINICO, CONTESTATI MANSIONI E TURNI I sindacati sollecitano un incontro con il Rettore Pasquale Mistretta CAGLIARI. Stato d'agitazione tra il personale del Policlinico universitario. La protesta, proclamata dalle segreterie di Cgil, Cisl, Uil e Cisal, è "un grido di dolore" che punta soprattutto a farsi sentire dal rettore Pasquale Mistretta, l'interlocutore principale cui il personale affida la risoluzione dei gravi problemi che, ormai da tempo, affliggono i dipendenti della struttura. «In prima battuta, chiediamo al rettore un incontro che ci metta in condizioni d'organizzare il lavoro», dice Antonio Strazzera, della Cisal: «Non è ammissibile, infatti, che il personale che dalla clinica Aresu viene trasferito qui a Monserrato, non sappia quali mansioni gli saranno affidate o quali i turni dovrà seguire». Al di là dei problemi organizzativi, c'è un altro punto cruciale da risolvere: la mancata applicazione del nuovo contratto collettivo di lavoro. «Una legge del 1979 assimila il personale paramedico dei policlinici al personale, con uguali caratteristiche, delle strutture ospedaliere», spiega ancora Strazzera: «Tuttavia, l'università non ha mai applicato questa normativa. Le conseguenze? Le nostre buste paga sono ancora ferme alle tariffe previste per il personale di un policlinico. Si pensi, per fare un esempio, che un infermiere ha un trattamento economico che è al di sotto, di almeno 300 euro, rispetto a quello cui avrebbe diritto». Ad aggravare ancor di più la situazione c'è il fatto che di questo passo diventa impossibile anche l'applicazione del contratto collettivo, firmato nel 2001. «È da più di vent'anni che portiamo avanti la nostra battaglia a colpi di avvocati e carte bollate», riferisce invece William Mancini, eletto come indipendente nella Cgil. «Diverse cause le abbiamo pure vinte e, in più di un'occasione, la stessa amministrazione universitaria ha riconosciuto i nostri diritti. Però, al momento di pagare le somme pregresse, puntualmente si tira indietro». Un atteggiamento che si è ripetuto anche l'estate scorsa, al termine di un tentativo di conciliazione andato a vuoto. «In tutti questi anni qualche acconto è stato pure pagato», continua Mancini, «I fondi dell'Università però scarseggiano». A completare il quadro, non certo idilliaco, c'è infine la nomina dei vertici del Policnico: «Non è avvenuta in maniera regolare», dice Mariano Paludu, funzionario tecnico: «Questo è un fatto grave, perché avere dei vertici forti probabilmente aiuterebbe a risolvere i conflitti». Dal suo ufficio, il direttore sanitario Andrea Corrias, dice di "appoggiare in pieno" le rimostranze relative al trattamento economico. «Non capisco però l'accanimento nei confronti di turni e mansioni: in proposito le decisioni sono state prese tenendo conto anche delle loro richieste». Le altre questioni hanno invece una valenza che va oltre il solo profilo tecnico, per questo Corrias ritiene che solo il rettore possa rispondere. La tensione è sempre alta e i lavoratori sperano ora in un "forte intervento da parte dei sindacati". Non si parla però di scioperi, piuttosto dice Paludu, «si potrebbe intervenire bloccando i rapporti con l'utenza esterna». Sabrina Zedda _______________________________________________________ L’Unione Sarda 22 mag. ’02 INFERMIERE MANOLESTA AL POLICLINICO Denunciato dai carabinieri dopo la scoperta della refurtiva nella sua casa a Pirri Rubava perfino detersivo, lo hanno tradito le telecamere Monserrato Lo hanno atteso all’uscita dall’ospedale, lo hanno perquisito e gli hanno trovato detersivo. L’uomo è impallidito, ha balbettato qualche parola e poi gli è andata anche peggio. I carabinieri della stazione di Monserrato avevano in mano un dispositivo firmato dalla Procura della Repubblica di Cagliari che autorizzava la perquisizione della sua abitazione. Così all’infermiere professionale bloccato all’uscita del Policlinico, sulla statale 554, non è rimasto altro che accompagnare i militari a casa. E qui, la sorpresa: i carabinieri hanno recuperato e sequestrato del materiale sanitario che almeno in parte sarebbe stato sottratto dal deposito della clinica. Ma c’è di più: i movimenti dell’uomo sarebbero stati ”spiati” anche da una telecamera. Incastrato? Lo dirà il giudice al quale i marescialli Modestino Oliviero e Danilo Cuboni hanno già girato un dettagliato rapporto sulla sconcertante vicenda. E nel rapporto anche il materiale sequestrato nella casa dell’infermiere presunto ”manolesta”: sei fonendoscopi ( uno sarebbe risultato di proprietà di un medico dello stesso ospedale ), tre rilevatori di pressione, quattro pacchi da cento pezzi ciascuno di guanti di lattice, tre bottiglie di sodio clururo, 200 garze, guanti sterili, bisturi, contenitori per l’esame delle urine. E persino uno scanner, un lettore Cd e termometri. Tutto materiale sottratto al Policlinico? I carabinieri stanno cercando di vederci chiaro, ma pare certo che sulla maggior parte della refurtiva non ci siano dubbi. Sarebbero stati portati via dal deposito ospedaliero che pure era ”guardato a vista” da una telecamera indiscreta. Per il momento, gli investigatori preferiscono mantenere un riserbo assoluto sulle generalità dell’infermiere, ora accusato di ricettazione e di furto aggravato. L’inchiesta è seguita passo per passo anche dal sostituto procuratore della Repubblica Liliana Ledda e dal capitano Martino Salvo, comandante della Compagnia dei carabinieri di Quartu. Un’indagine estesa a macchia d’olio e che potrebbe sfociare in nuovi colpi di scena. I primi furti sarebbero avvenuti alcuni mesi fa. Piccoli colpi. Un giorno il detersivo, un altro un termometro, un altro ancora misuratori di pressione. E così via per non dare all’occhio. In realtà però un occhio ( quello della telecamera ) c’era a seguire l’arrivo nel deposito dell’infermiere infedele. Fatto è che dall’ospedale è stata fatta una segnalazione alla Procura della Repubblica col caso subito seguito dai carabinieri della stazione di Monserrato. L’altro giorno, il blitz, come detto, in ospedale. I militari hanno atteso l’uomo alla fine del turno di lavoro, lo hanno perquisito e lo hanno invitato ad accompagnarli nella sua abitazione. Dove è scattata subito la perquisizione che ha portato al sequestro delle apparecchiature e del materiale che almeno in parte risulterebbe appunto rubato in ospedale. Da qui la denuncia a piede libero. Ed ora l’infermiere potrebbe anche rischiare la sospensione dal lavoro. Raffaele Serreli _______________________________________________________ L’Unione Sarda 23 mag. ’02 I MALI DELLA SANITÀ: VERTICE A LANUSEI Lanusei L’assistenza sanitaria, troppo spesso, deve fare i conti con l’emergenza. Specie nelle periferie delle periferie statali dove garantire servizi e cure spesso equivale a un’impresa. Vista l’importanza del tema, il Consiglio provinciale di Nuoro ha deciso di riunirsi in trasferta e il prossimo 31 maggio sarà convocato in seduta straordinaria a Lanusei. All’appuntamento, fissato per le 10, sono invitati i sindaci dei 23 Comuni ogliastrini, il presidente della Comunità Montana, i vertici della Asl e della clinica privata “Tommasini” di Jerzu, i responsabili delle organizzazioni sindacali di categoria. L’invito, non a caso, è stato esteso anche al responsabile sardo dell’Aias. L’assistenza a disabili e spastici, infatti, è tornata d’attualità visto il timore diffuso per la ventilata soppressione di alcuni centri d’assistenza periferici. «La ridefinizione dei livelli essenziali di assistenza e delle prestazioni erogabili dal Servizio sanitario nazionale», scrive il presidente del Consiglio provinciale Salvatore Podda nella sua lettera d’invito Ñ impone oggi una seria vigilanza e analisi critica, oltre che una partecipazione attiva degli Enti locali nella programmazione sanitaria territoriale, a garanzia dei cittadini». _______________________________________________________ Il Messaggero 25 mag. ’02 ZANZARE TRANSGENICHE PER COMBATTERE LA MALARIA PARIGI — Alcuni ricercatori americani sono riusciti a modificare geneticamente le zanzare in modo da renderle incapaci di trasmettere la malaria. Lo afferma la rivista Nature citando uno studio condotto presso l'università Case Western Reserve di Cleveland (Ohio). La malaria, malattia caratterizzata da crisi febbrili periodiche, uccide tra uno e tre milioni di persone all'anno, soprattutto in Africa. Gli sforzi per debellarla sono ostacolati dalla crescente resistenza del suo agente, il plasmodium, ai farmaci, dalla resistenza delle zanzare agli insetticidi e dalla mancanza di un vaccino. L'unico modo di combatterla è la profilassi farmacologica, con clorochina o altri medicinali. Si è dunque pensato di agire sulle zanzare, vettori obbligati del morbo, e sono state messe a punto tecniche e strumenti per una loro manipolazione genetica. Si è giunti così a introdurre geni estranei, in grado di conferire proprietà anti- malaria, nelle cellule riproduttive di due specie di zanzare, la Culex e l'anofele. Tali geni producono una molecola che blocca lo sviluppo del plasmodio, impedendogli di passare dall'intestino alle ghiandole salivari della zanzara. Tale percorso è fondamentale nell'eziopatogenesi della malaria, che si trasmette dal sangue di una persona a quello di un'altra attraverso una puntura di zanzara. La scoperta - fatta in laboratorio da Marcelo Jacobs-Lorena, genetista dell'università di Cleveland - potrebbe rivelarsi decisiva per l'applicazione di nuove strategie di lotta contro il morbo. Tuttavia - mettono in guardia ricercatori del Laboratorio europeo di biologia molecolare di Heidelberg (Germania) - la strada da percorrere è ancora lunga. _______________________________________________________ Il Messaggero 24 mag. ’02 WASHINGTON: INDIVIDUATO NELLO STOMACO L’ORMONE DELLA FAME STEFANO TRINCIA NEW YORK - Gli hanno dato un nome aggressivo, "Ghrelin", perché nel nostro stomaco è un’autentica belva. Quando si scatena, non c’è verso di tenerlo a freno. Bisogna mangiare, tanto e subito. Perché Ghrelin, sostengono i ricercatori americani che lo hanno scoperto, è l’ormone della fame, la pedina fondamentale del complesso meccanismo neurologico e digestivo responsabile dei cicli dell’appetito. Secreto da una serie di cellule specifiche che abitano la parte dello stomaco, l’ormone aumenta la propria attività a ridosso dei pasti, stimolando la fame, e scende immediatamente dopo. Nell’esperimento compiuto da studiosi dell’Università di Washington, il Ghrelin è stato somministrato a 28 pazienti per via intramuscolare con risultati sorprendenti: messi davanti ad un ricco buffet, le cavie umane si sono lanciate all’assalto del cibo, ingollando una quantità di manicaretti superiore del 30 per cento alle loro abitudini. La scoperta apre ora la strada alla ricerca di farmaci in grado di disattivare l’ormone e spiega anche perché gli obesi che si sottopongono all’intervento chirurgico di bypass gastrico - con conseguente riduzione della superficie dello stomaco - non provano più in egual misura gli stimoli dell’appetito. In questi casi il livello del Ghrelin diminuisce di oltre il 70 per cento. Le cellule responsabili della produzione di Ghrelin sono molto ridotte di numero e quindi la sensazione della fame decresce sensibilmente. La ricerca chiarisce anche il perché, dopo una rigida dieta, si tenda a recuperare abbastanza rapidamente il peso perso. L’organismo infatti, messo eccessivamente a stecchetto, reagisce aumentando la secrezione dell’ormone ed accrescendo di conseguenza il desiderio di mangiare. _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 26 mag. ’02 FABICI RESTANO AL LAVORO Cambia la legge dopo il caso di Portovesme g.l.s. IGLESIAS. Non perderanno il posto i 140 lavoratori dello stabilimento "Portovesme srl" colpiti da "favismo". La legge che prevedeva per queste persone l'incompatibilità ambientale nei luoghi di produzione riservati al trattamento del piombo è stata modificata grazie alla scoperta di grande rilievo scientifico fatta da due medici dell'azienda sanitaria del Sulcis Iglesiente. La non idoneinità professionale riguardava i lavoratori definiti "G6Pd carenti esposti al piombo", ovvero in difetto di attività eritrocitaria (responsabile di crisi emolitiche acute indotte da farmaci o di origine alimentare, comunemente definite favismo), ed era una condizione di incompatibilità in quelle condizioni operative. Ma gli studi condotti dal chimico tossicologo Gianfranco Desogus e dal medico del lavoro Silvestro Fois, dirigenti dell'Asl n. 7, hanno imposto una revisione normativa. La carenza enzimatica G6Pd è molto diffusa in Sardegna con una maggiore incidenza nella provincia di Cagliari (frequenza media stimata del 25-33%). Nello stabilimento ex Enirisorse circa il 20% della popolazione lavorativa si trova nelle condizioni previste dall'allegato II del Decreto legislativo 277 del 15 agosto 1991, che indicava, quali principali controindicazioni alle mansioni lavorative a contatto con il piombo, alterazioni congenite (talassemie, insufficienza di G6PD) ed acquisite (anemie). Dopo gli studi condotti dai due specialisti nel periodo 1995-1999, è stato ritenuto impossibile giustificare il difetto di G6PD quale ostacolo all'esposizione professionale a piombo. È risultata così ingiustificata e restrittiva l'applicazione della norma, che è stata infatti modificata di recente.