PERDONATE LE UNIVERSITÀ POCO «VIRTUOSE» FIRMATO L’AUMENTO DEL 4.31% AI PROFESSORI UNIVERISTARI MEDICI, SÌ ALLE PLURI-SPECIALITÀ UNIVERSITARIE MEDICI SPECIALIZZANDI, MOLTO LAVORO PER POCO E-LEARNING: CORSI E UNIVERSITÀ SULLA RETE E-GOVERNMENT: IMPRESE INFORMATICHE PRONTE AD AIUTARE LE AMMINISTRAZIONI PSICHIATRIA: VIOLENZE IN FAMIGLIA, DUE SCUOLE A CONFRONTO AD ALGHERO ========================================================= LANUSEI: «LA SANITÀ DEVE ESSERE A MISURA D’UOMO» MEDICI: «PIÙ ATTENZIONE NELLE NOTIZIE DELLE CORSIE» TICKET, FARMACI GRATIS NELL’ISOLA PER POVERI, ANZIANI E PENSIONATI IL POLICLINICO PARTE VENTI POSTI LETTO DI CHIRURGIA SANITA?: TROPPE FILE SEI MESI PER UN'ECOGRAFIA BRONCOPATIE: “BINAGHI” PROMOSSO CON OTTO GESSA: LE DONNE STREGATE DALLE SIGARETTE GESSA: NICOTINA, LA DROGA PIÙ PESANTE" "DA FUMO" UN RICOVERO SU 5 «PRONTO IL PRIMO FEGATO ARTIFICIALE» IL PROBLEMA DELL’IPOVISIONE E GLI STRUMENTI TECNICI SCHIZOFRENIA: UNA PASTIGLIA IMPIANTABILE SOTTOCUTE CANCRO, AL SUD MENO MALATI MA SI MUORE PIÙ CHE AL NORD ========================================================= ______________________________________________ Il Sole24Ore 27 Mag.’02 PERDONATE LE UNIVERSITÀ POCO «VIRTUOSE» Chi si allontana dal costo standard per studente e dalla produttività media (esami sostenuti per iscritti in corso) non restituirà i fondi Dimezzata la politica degli incentivi nei confronti degli atenei "virtuosi". Quest'anno non ci saranno penalità per quelle università che si discostano in misura significativa dal costo standard per studente e dalla produttività media (numero di esami sostenuti per gli iscritti in corso). E se dal punto di vista nominale il budget destinato a premi e handicap dovrebbe essere di 500 milioni di euro - il 9% del fondo per il finanziamento ordinario delle università - per i bonus sono in realtà a disposizione solo 48,5 milioni di euro, che sono risorse aggiuntive. Va detto - peraltro - che nel 2002 il finanziamento ordinario è stato aumentato di circa 43 milioni di euro, cifra che però non riesce neppure a coprire i costi per l'adeguamento degli stipendi (preventivati in oltre 100 milioni di euro). In base al meccanismo premi-penalità una quota del fondo di finanziamento ordinario delle università (circa 6,2 miliardi di euro per quest'anno) viene destinata alla manovra di riequilibrio. Utilizzando parametri di costo e di produttività si stabilisce quanto debba essere dato in più a ogni università in regola con il valore medio e quanto invece debba restituire, sotto forma di minori erogazioni da ricevere (si veda la tabella con le cifre del 2001) chi se ne allontana. Se però non si praticano i "tagli", non ci sono neppure i fondi per i premi. Pur facendo salva la procedura per individuare le università che hanno un indice distante dal valore mediano, il decreto firmato il 24 aprile dal ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, contiene, per quest'anno, una sorta di sanatoria nei confronti delle realtà che dovrebbero restituire una porzione dei finanziamenti. Non solo: i debiti vengono condonati anche agli atenei "in negativo" in base alla manovra di riequilibrio del 2001. Infatti, il decreto ministeriale 23 aprile 2001 aveva ripartito su due anni le conseguenze della penalizzazione, rinviando al 2002 il recupero del 50% del dovuto. Ma quali le ragioni di questo "perdono"? «Il riequilibrio - spiega Giovanni D'Addona, direttore del dipartimento Programmazione, coordinamento e affari economici del ministero - verrà accelerato per le università che hanno costi al di sotto della media nazionale, mentre chi è al di sopra non subirà tagli a condizione che le risorse corrispondenti vengano destinata a interventi per gli studenti. Si dovranno potenziare le strutture, in particolare i laboratori, le biblioteche e gli spazi di studio, e si dovrà spendere per orientamento e tutorato». Tuttavia, i conteggi per il riequilibrio non sono ancora definiti, in quanto mancano i dati "certificati" sugli studenti iscritti nel 2000/2001, depurati da quanti figurano in carico a corsi di studio attivati autonomamente dagli atenei senza oneri aggiuntivi per lo Stato. Con queste informazioni si deve "riempire" la formula elaborata nel 1998 dal Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario, che permette di ricavare il costo di produzione della didattica nelle diverse aree disciplinari, misurando anche l'efficacia del processo formativo con il numero degli studenti attivi sulla base degli esami superati dal totale degli iscritti. Il decreto mette inoltre in palio 8,2 milioni di euro, consolidabili negli esercizi successivi, per incentivare il numero di laureati che conseguono il titolo in un tempo quanto più possibile vicino alla durata legale dei corsi e per interventi finalizzati a diminuire il numero degli abbandoni tra il primo e il secondo anno. È stato invece ridotto alla metà - in totale 2,5 milioni di euro - il fondo per promuovere la mobilità del personale docente e, rispetto al decreto dello scorso anno, non vengono destinate risorse per premiare la ricerca scientifica. Maria Carla De Cesari ___________________________________________________ LAUTEC 1 Giu. 02 FIRMATO L’AUMENTO DEL 4.31% AI PROFESSORI UNIVERISTARI Vi informo e confermo che il Pres. Consiglio e i ministri competenti Univ. e Finanze-tesoro hanno firmato il decreto governativo e trasmesso per la registrazazione Corte Conti l'aumento del 4.31 % degli stipendi docenti. Le universita’, appena verra’ pubblicato, si pensa entro i prossimi 7-10 giorni, come decreto Pres. Cons. Min. sulla GURI, dovranno eseguire con arretrati da gennaio. Per i non docenti le trattative, dopo l'accordo quadro sugli aumenti nel pubblico impiego, dovrebbero riprendere, compreso il periodo 2000-2001 e poi 2002-2005, per il comparto Universita’. ______________________________________________ Il Sole24Ore 30 Mag.’02 MEDICI, SÌ ALLE PLURI-SPECIALITÀ UNIVERSITARIE Corte costituzionale - Depositata ieri una sentenza della Consulta che liberalizza l'accesso. Medici, sì alle pluri-specialità. Illegittimo impedire il conseguimento di un ulteriore titolo o l'accesso ai corsi per i sanitari di base ROMA - È illegittimo impedire ai medici già in possesso di una specializzazione di conseguirne un'altra o di accedere ai corsi per diventare medico di famiglia. Con questa motivazione la Corte costituzionale ha bocciato due norme contenute nel Dlgs 368/1999 con cui il Governo italiano ha dato attuazione alle direttive europee in materia di libera circolazione dei medici e reciproco riconoscimento dei loro diplomi. Il decreto delegato - tra le altre cose - fissa le modalità attraverso cui i laureati in medicina possono accedere ai corsi di specializzazione in branche specifiche oppure al corso biennale in medicina generale obbligatorio per coloro che vogliano esercitare come medici di famiglia. Il Dlgs stabilisce che chi è già in possesso di una specializzazione non può essere ammesso ai corsi per diventare medico generico (art.24, comma 1) e nemmeno a quelli per ottenere una nuova specializzazione (art.34, comma 4): e proprio su queste ultime due disposizioni sono caduti i dubbi di costituzionalità del Tar dell'Umbria che ha rimesso la questione alla Consulta. I giudici costituzionali (sentenza 219 del 29 maggio 2002) hanno affermato che la «rigidità» e l'«assolutezza» del divieto di cumulare più diplomi di specializzazione «non può ritenersi compatibile con i principi costituzionali». La ratio di tale divieto - affermano i magistrati - sta nell'intento di evitare che, in un panorama di risorse limitate, uno stesso medico possa «accaparrarsi più di uno spazio di formazione nell'ambito e a spese delle strutture a ciò deputate, a danno di altri aspiranti. Tale intento - si legge ancora nella sentenza - non è privo di una sua ragionevolezza, in quanto miri a tutelare gli interessi di chi non abbia ancora avuto accesso a una formazione medica specialistica, e a rendere razionale l'impiego delle risorse pubbliche». Ma se l'intenzione è giustificata - afferma la Corte - i mezzi a cui il Governo ha fatto ricorso sono sproporzionati. Si poteva, cioè, tutelare il diritto di tutti i medici ad accedere ai corsi di specializzazione, senza pregiudicare del tutto le aspirazioni di chi - per interesse personale o professionale o semplicemente perché desidera un cambiamento rispetto alla carriera inizialmente scelta - voglia conseguire più di una specializzazione. «Da questo punto di vista - si legge nella sentenza - non apparirebbe in sé irragionevole che il legislatore, ad esempio, riservasse quote dei posti disponibili ai medici non ancora in possesso di specializzazione, o prevedesse quote di posti cui ammettere in soprannumero candidati che siano già in possesso di altra specializzazione». La soluzione «rigida» adottata con il Dlgs 368/1999 - invece - contrasta con gli articoli 34 e 35 della Costituzione che tutelano rispettivamente il diritto di tutti i cittadini di accedere in base alle proprie capacità e ai propri meriti ai gradi più alti degli studi e il diritto di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una professione. «Il diritto di studiare nelle strutture a ciò deputate per acquisire o arricchire competenze anche in funzione di una mobilità sociale e professionale, è - secondo i giudici costituzionali - strumento essenziale perché sia assicurata a ciascuno, in una società aperta, la possibilità di sviluppare la propria personalità, secondo i principi espressi negli articoli 2, 3 e 4 della Costituzione». Chiara Bannella ________________________________________________ Il Sole24Ore 27 Mag.’02 MEDICI SPECIALIZZANDI, MOLTO LAVORO PER POCO Sanità - A tempo pieno in corsia 30mila giovani medici che hanno solo una borsa di studio e si pagano l'assicurazione contro i rischi Manuela Perrone Sono medici «in formazione specialistica»: dottori e insieme studenti. Lavorano in corsia, ma senza un contratto e pagando spesso di tasca propria un'assicurazione per coprirsi dai rischi professionali. Gli oltre 30mila "specializzandi" restano un ibrido, benché tre anni fa il Parlamento abbia approvato il Dlgs 368/99, che prevede la stipula di «contratti di formazione- lavoro» e l'adeguamento del profilo alle regole Ue. Il provvedimento è rimasto sulla carta. Il regime delle borse di studio è stato prorogato. E loro, gli specializzandi, si mobilitano in tutta Italia. Borsa "contro" contratto. Dal 1991 a ogni specializzando è stata riconosciuta una borsa di studio di circa 11.600 euro l'anno. L'importo non è imponibile, ma il camice deve pagare la tassa universitaria e versare la quota annuale dell'Ordine dei medici. Il «368» prevede invece la stipula di un contratto annuale di formazione-lavoro con l'Università e con la Regione (lo schema tipo deve essere varato con Dpcm dal Governo), finalizzato all'acquisizione delle capacità professionali e rinnovabile ogni anno. Un contratto atipico, grazie al quale, però, al medico sarebbero garantiti un trattamento economico ipotizzato dello stesso importo delle borse e, soprattutto, la copertura previdenziale e assicurativa: la prima, pari al 75% di quella ordinaria per il settore sanitario; la seconda, a carico dell'azienda sanitaria dove si svolge l'attività formativa. Costi al raddoppio. Il Dm firmato a marzo dal ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, che ha assegnato 5.500 borse statali agli specializzandi per il 2001/2002, recita: «Si rende necessario confermare la disciplina delle borse di studio di cui al Dlgs 257 del 1991, non essendo ancora stata approvata con provvedimento legislativo la copertura finanziaria dei contratti di formazione lavoro». Sulla questione è al lavoro un gruppo di tecnici di quattro ministeri - Istruzione, Salute, Lavoro ed Economia - che ha anche avviato le attività preliminari per la definizione dello schema tipo di contratto. «Secondo le verifiche effettuate - spiega il sottosegretario alla Salute, Cesare Cursi (An) - la spesa aggiuntiva a carico del bilancio dello Stato ammonterebbe a 136 milioni di euro per il 2002, 144 nel 2003, 151 nel 2004 e 158 nel 2005. Le cifre tengono conto degli specializzandi di tutta l'area sanitaria. Però parlano da sole». L'applicazione dei contratti, in altre parole, farebbe più che raddoppiare gli oneri finanziari. «Dobbiamo studiare - aggiunge Cursi - come ripartirli tra Stato, Regioni e aziende sanitarie e sondare le disponibilità in bilancio». Pronta la replica di Marilena Celano, presidente dell'Associazione medici specialisti della Comunità europea (Amsce): «I fondi per gli specializzandi sono stati stanziati in due Finanziarie, ma sono stati "dirottati" altrove». Intanto, fioccano i ricorsi alla magistratura: sia degli specializzandi prima del 1991, che rivendicano il diritto alla borsa di studio; sia di quelli iscritti a una scuola a partire dal 1993, che chiedono il risarcimento dei danni per il ritardo nell'emanazione (prima) e la mancata applicazione (poi) del Dlgs 368. In entrambi i casi, la motivazione è la lentezza italiana nell'adeguamento alle direttive Ue in materia. Quale formazione? I contratti non sono l'unica parte del decreto non attuata. «Non ci consentono di imparare la professione - denuncia Mattia Altini, membro dell'Amsce -. Gli obiettivi formativi non vengono fissati. La didattica è spesso l'esito di un confuso assemblaggio di lezioni formali. Non ci sono verifiche sistematiche. La programmazione dei posti non risponde alle esigenze del Ssn. E i tutor sono spesso "virtuali"». Proteste e «fai da te». L'Amsce ha indetto per metà giugno un'assemblea in tutte le città universitarie. Il Comitato nazionale degli specializzandi (attivo soprattutto in Sicilia e Campania) ha gridato allo sciopero generale di categoria, proponendo la data del 13 giugno. I nodi riguardano anche il futuro professionale. «L'articolo 2 della legge 401/2000 - denuncia Marilena Celano - prevede che Asl e Ao riservino fino al 50% dei posti a concorso in tutte le strutture al medico sprovvisto di specializzazione che però abbia prestato servizio per un periodo complessivo non inferiore a 16 mesi e a titolo di incarico provvisorio per la disciplina richiesta. È uno scandalo». Se lo Stato latita, la speranza degli specializzandi è riposta nelle Regioni. Qualcuna, come l'Emilia Romagna, si sta impegnando per applicare in autonomia il Dlgs 368/99. ______________________________________________ La Stampa 28 Mag. ’02 E-LEARNING: CORSI E UNIVERSITÀ SULLA RETE MA ANCHE LEZIONI PER L´AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE A scuola, sui banchi del web I sistemi di apprendimento stanno diventando accessibili in ogni momento e da ogni posto Il «mercato dell´educazione», che detto così suona male ma in realtà comprende tutto ciò che tratta di scuola, apprendimento, istruzione e aggiornamento professionale, al World Education Market (www.wemex.com) che si è tenuto settimana scorsa a Lisbona ha dedicato molto spazio all´e-learning: cioè ai nuovi sistemi di apprendimento elettronico, una tecnologia attraente ma che stenta a decollare, mentre i bisogni ai quali dovrebbe rispondere sono sempre più sentiti. John Chambers della Cisco ha scommesso che l´e-learning sarà la vera «killer application» di Internet, e che al suo confronto l´invenzione dell´email sembrerà una bazzeccola. Gli esempi migliori vengono da paesi come Canada e Islanda, tra i più avanzati nell´e-learning perchè hanno dovuto attrezzarsi di fronte agli ostacoli fisici nelle loro comunicazioni (le grandi distanze, il clima impervio), fanno parte di UArctic, ovvero University of the Artic (www.urova.fi/home/uarctic/), un network di 31 università appartenenti ai Paesi delle parti più fredde del mondo attorno al Polo Nord che hanno dato vita a un progetto innovativo-modello per l'apprendimento a distanza. Ma anche in Italia ci sono i primi esempi: proprio questa settimana il Politecnico di Milano (www.polimi.it) ed EdisonTel (www.edisontel.com) inaugurano un progetto ad hoc di formazione aziendale. Con l´e-learning, i sistemi di apprendimento si trasformano in modo da essere accessibili in ogni momento e da ogni posto; i metodi educativi si innovano, grazie alle nuove tecnologie diffuse; l´interattività diventa un concetto basilare per l´ambiente di apprendimento; e l´approccio educativo non è più focalizzato sui docenti, ma sulle esigenze di chi deve imparare. «E-learning» significa in particolare apprendimento asincrono e personalizzato, cioè adattabile ai propri ritmi e tarato in base alle proprie esigenze. E´ quindi ideale nell´età adulta. Ma c´è un dato allarmante, emerso da una ricerca della società Forrester Research: finora, il 70 per cento di chi incomincia un corso di e-learning non lo completa. Come mai? Forse chi ha abbandonato il corso lo ha fatto perchè ha imparato tutto quello che c´era da imparare da quel corso, «just in time», e ne fruisce già sul lavoro? Barry Howard, un esperto della Qed Consulting (www.qeddata.com), sostiene che l´apprendimento online va male perchè chi disegna i corsi si limita a mettere online i libri di testo, e i programmi educativi sono datati. Secondo Howard, bisogna re-inventarsi un programma educativo basato sui bisogni del 21.mo secolo. E secondo Robert Zielinski di Arel (www.arel.net), un provider di soluzioni per l´aggiornamento professionale nelle aziende, si impara sbagliando. Per cui, se un corso online è disegnato in modo che gli studenti debbano affrontare un problema da risolvere, saranno motivati a completarlo. Il nocciolo del problema sta nel fatto che l´e-learning non cambia ancora il modo in cui gli esseri umani imparano, spiega un altro esperto, Bill Horton, autore del libro «Evaluating E-learning» (www.horton.com/evaluating). Secondo Kaliym Islam, direttore di un centro americano dedicato alle tecnologie educative (www.dtcc.com) e autore di un saggio sulla rivista specializzata Elearning Magazine (www.elearningmag.com), bisogna cambiare completamente i metodi di insegnamento. La pedagogia, incentrata sull´insegnante, focalizzata sulla comprensione del contenuto, orientata alla materia di studio, è il metodo utilizzato per insegnare ai bambini; ma non va bene per l´apprendimento della popolazione adulta. Per gli adulti, sostiene Islam, ci vuole l´«androgogia»: incentrata sull´allievo, focalizzata sull´acquisizione del contenuto e dei processi, e orientata a obiettivi specifici. L´androgogia permette agli studenti adulti di prendere il controllo delle loro esperienze di apprendimento. Così, non si spiega la materia all´allievo, ma gli si chiede cosa vuole sapere, come e quando vuole impararlo, e alla fine l´insegnante chiede se è stato abbastanza utile nell´aiutarlo a imparare. Una bella differenza. Provate a vedere come funziona il corso di management dell´International Institute for Learning (www.iil.com): incomincia con un´animazione di un insegnante virtuale che offre informazioni sul corso agli studenti, i quali poi hanno gli strumenti per scegliere cosa fare dopo. Altre società come Vuepoint (www.vuepoint.com), Blackboard (www.blackboard.com), e GeoLearning (www.geolearning.com) forniscono la possibilità di conferire con professori e studenti attraverso forum e chat. E i test - gli esami - non sono standard, ma personalizzati. Forse è questo il motivo per cui l´androgogia non prende ancora piede: richiede insegnanti preparati in maniera «nuova». Una risorsa ancora scarsa. Anna Masera Indietro STAMPA ______________________________________________ La Nuova Sardegna 30 Mag. ’02 E-GOVERNMENT: IMPRESE INFORMATICHE PRONTE AD AIUTARE LE AMMINISTRAZIONI CAGLIARI. Le imprese di informatica sono pronte in Europa, anche col partenariato pubblico-privato, a sostenere i governi locali e regionali nei loro sforzi per modernizzare l'amministrazione pubblica. Lo hanno confermato, nel corso dell'ultima giornata di lavori della conferenza Eisco 2002, i rappresentanti di Ibm, Compaq, Tiscali e Telecom. La società di Renato Soru, per esempio, ha confermato il suo impegno (Internet e fonia) anche per le imprese e per le pubbliche amministrazioni. Il rappresentante di Telecom Italia ha, dal canto suo, spiegato il lavoro nel quale è impegnata l'azienda che nel 1998 ha vinto la gara per la rete nazionale della pubblica amministrazione, ma anche i diversi progetti per la Pa. E ha reso noto che vi è un sempre maggior aumento non delle conversazioni in voce ma dello scambio di dati attraverso i byte della rete con un progresso di circa il 10% rispetto al mese precedente. Da qui la necessità di infrastrutturazioni che supportino l'ingente quantità di dati che con l' e- Government aumenteranno in modo esponenziale. E ancora. Aziende da sempre al vertice del settore, quali l'Ibm, si sono dette pronte a collaborare come già avviene da tempo. Mentre la Compaq (ora assieme a Hp), prima al mondo per i personal computer e per i server, è impegnata in diversi ambiti nel settore dell'e-Government. «Fra le varie realtà locali anche la Sardegna, che ha ospitato Eisco 2002 - ha spiegato il direttore del servizio del sistema informativo della Regione, Costantino Nuvoli - sta per dare il via all'e-Government con un bando pubblico (con fondi comunitari) per coinvolgere anche le aziende private che dovranno affiancare il lavoro della pubblica amministrazione. La conferenza si è conclusa con una 'dichiarazione' che riassume gli obiettivi dei lavori e indica le strategie per il futuro. 'Dichiarazione' nella quale tutti i partecipanti sollecitano una collaborazione crescente fra tutti i livelli o settori di governo nella definizione delle politiche e nella loro implementazione. Collaborazione che dovrebbe rientrare in un processo di 'governance' globale che dal livello locale, provinciale e regionale a quello nazionale ed europeo, accresca l'attuazione della strategia di Lisbona e rende l'Europa «l'economia più competitiva nel mondo basata sulla conoscenza». In modo specifico questo richiede: l'integrazione degli applicativi per ridurre la complessità dei processi innescati dall'insieme delle persone, dei livelli e delle istituzioni coinvolte, uno sforzo nella reingegnerizzazione e nella creazione di nuovi processi che facilitino la fornitura di servizi online, la fornitura di servizi più 'seamless', accordi di interoperabilità più articolati che incoraggino l'autogoverno locale e l'innovazione. Un maggiore supporto a tutti i livelli, dove le politiche siano rafforzate tramite strumenti efficienti. Una maggiore cooperazione con il settore privato, il miglioramento nel trasferimenti di esperienze in seno all'Unione europea e ai paesi candidati. Infine, un migliore scambio di informazioni e strumenti di misurazione per identificare ciò che è stato fatto e i risultati. E un impulso per avviare approcci 'citizen-centric' per una società inclusiva. ______________________________________________ La Nuova Sardegna 1 Giu. ’02 PSICHIATRIA: VIOLENZE IN FAMIGLIA, DUE SCUOLE A CONFRONTO AD ALGHERO ALGHERO, SECONDO GIORNO DEL CONGRESSO NAZIONALE ALGHERO. Minori, età media 2 anni, accoltellati, soffocati nel sonno, affogati, addirittura messi in lavatrice o gettati in un pozzo, per mano di madri e di padri, età media 35 anni, spesso in cura per depressione. E madri e padri uccisi, il più delle volte a coltellate, dai figli, spesso adolescenti. E' la triste realtà dei delitti familiari, passati dai 151 del 1998, ai 226 del 2001. Una esplosione di violenza tra le mura domestiche che chiama in causa la psichiatria, tanto da essere il tema del quinto Congresso di Psichiatria Forense in programma ad Alghero da ieri al 2 giugno, ma pure le istituzioni e non a caso il Ministro della Salute, Girolamo Sirchia ha fatto una serie di proposte - lo psichiatra di quartiere - sulle quali sta lavorando l'Osservatorio per la Salute Mentale. Siamo insomma all'emergenza sociale oppure il fenomeno è il riflesso dei mass media che se ne occupano di più rispetto al passato? Come e perchè possono accadere fatti simili e come si possono soprattutto prevenire? Sono due, in sintesi, le scuole di pensiero, ossia gli psichiatri, che si confrontano: una dà colpa allo stress, ai ritmi di vita e lavoro sempre più alti e incalzanti, al bombardamento di stimoli; l'altra al venir meno se non all'assenza di rapporti interumani, di affetti, passioni, emozioni e sensibilità. "Sì i delitti familiari sono in aumento e non sono un effetto dei mass media che se ne occupano di più rispetto al passato" spiega lo psichiatra Vincenzo Mastronardi docente di Psichiatria Forense all'Università di Roma. Relativamente al movente del delitto con connessione a un disturbo psichiatrico si evince che nel 43% dei 151 casi del'98, si tratta di depressione, nel 29% si tratta di deliri probabilmente schizofrenici. Non è detto che chi uccide un minore o al contrario un genitore - avverte Mastronardi - sia schizofrenico: è molto improbabile". E su questo punto iniziano le divergenze. "Attenti: non c'è il pazzo che uccide, come non c'è il sano che non uccide", è l'opinione di Filippo Bogetto, psichiatra della Clinica Psichiatrica di Torino. E lo stesso è per Paolo Pancheri, dell'Università di Roma: "lo schizofrenico non è un violento, semmai è oggetto delle violenze altrui". Ed in merito ai delitti in aumento, "certamente angosciano ma - è sempre l'opinione di Pancheri - non è il caso di preoccuparsi". L'altra scuola di pensiero punta l'indice sul dramma e la tragedia della psichiatria che "non esiste". Oggi i lavori inzieranno con una tavola rotonda su prevenzione, diagnosi e terapia del destino ed è previsto l'intervento del professor Gianluigi Gessa sulle molecole delle passioni. Saranno presenti anche il presidente della Regione Mauro Pili, l'assessore alla Sanità, Giorgio Oppi e Beniamino Scarpa, assessore alla Pubblica istruzione. ========================================================= ______________________________________________ L’Unione Sarda 01 giu. ’02 LANUSEI: «LA SANITÀ DEVE ESSERE A MISURA D’UOMO» Il consiglio provinciale incontra i sindaci e gli addetti ai lavori Lanusei La Sanità ogliastrina stretta tra i bisogni dell’utenza nei paesi più periferici e la cronica inadeguatezza delle risorse assegnate alla Asl è a un bivio. Nella sua veste di coordinatore della conferenza dell’Azienda sanitaria il presidente della Provincia Francesco Licheri ha voluto sottolineare la delicatezza della situazione convocando ieri nel municipio di Lanusei una riunione straordinaria del consiglio provinciale tutta dedicata alla sanità. L’assemblea ha costituito un’occasione di dibattito ma anche di confronto con le esigenze dei cittadini, degli amministratori e degli operatori sanitari che operano nel territorio. Il grido d’allarme è giunto dalla associazione dei cardiopatici, ancora in attesa che l’ospedale di Lanusei venga dotato di una unità coronarica. Dolore e rabbia hanno caratterizzato gli interventi di Anna Mameli, Rosella Massa e Aurelia Orecchioni che hanno testimoniato la drammatica situazione in cui si sono venuti a trovare alcuni pazienti di Perdasdefogu a seguito del mancato rinnovo della convenzione alla struttura privata dell’Aias per il servizio di fisioterapia. La necessità di gestire la Asl evitando gli sprechi e facendo quadrare i bilanci si pone spesso in conflitto con l’esigenza di non considerare i pazienti alla stregua di semplici numeri o voci di spesa. «La gestione della salute deve porre - ha sottolineato nella sua relazione introduttiva Giusy Nioi, assessore provinciale alla Sanità - accanto al necessario sviluppo tecnologico una grande attenzione all’aspetto umano, con la valorizzazione della persona nella sua interezza e nel suo contesto ambientale». Incalza il consigliere Sandro Ruju, medico di Villagrande: «La sanità non deve essere lasciata in mano ai soli addetti. Occorre trovare soluzioni unitarie, al di fuori degli schieramenti politici, con il coinvolgimento dei cittadini e degli amministratori». Per il consigliere Peppino Arangini invece: «Resta prioritaria l’abolizione dei ticket» mentre il sindaco di Lanusei, Enrico Lai, ha sollecitato l’approvazione di due mozioni del consiglio comunale e sottoscritte anche da un gruppo di consiglieri provinciali ogliastrini: l’istituzione di un servizio di elisoccorso per il 118 e il riconoscimento all’Ogliastra e dell’Asl 4 come polo provinciale per i progetti pilota sulla ricerca genetica. Carlo Balloi, presidente della Conferenza dei sindaci ha posto l’accento sull’esigenza di una migliore organizzazione territoriale per i servizi di emergenza sanitaria. Italo Fancello , manager della Asl di Lanusei ha rassicurato sullo stato di salute finanziaria dell’Azienda ed ha illustrato gli interventi strutturali in corso di realizzazione, nell’ospedale e nei tre Poliambulatori di Tortolì, Jerzu e Lanusei. «Ma occorre combattere i ricoveri impropri e l’emigrazione sanitaria - ha sottolineato Fancello - se si vogliono liberare risorse aggiuntive per migliorare i servizi sanitari per i cittadini». Il presidente Francesco Licheri ha tratto le conclusioni garantendo l’impegno della Provincia ed invitando il governo regionale a dotarsi finalmente di un piano per la Sanità. Nino Melis ______________________________________________ L’Unione Sarda 26 Mag. ’02 MEDICI: «PIÙ ATTENZIONE NELLE NOTIZIE DELLE CORSIE» La guerra mediatica dei medici: «Più attenzione nelle notizie che arrivano dalle corsie» Ahi ahi, fra i tre pilastri della organizzazione sociale, sanità, stampa e magistratura, due sembrano soffrire di disturbi di comunicazione: medici e giornalisti. Al convegno su “Mass media e informazione sanitaria”, organizzato dall’Ordine provinciale dei medici, c’è posto per tante accuse a carta stampata e tivù, leggeri, pressappochisti e incompetenti. Eppure il dibattito era cominciato con toni soft, imprevedibili dopo l’ultimo episodio di cronaca, la morte di un giornalista per broncopolmonite. I due relatori Ruggeri e Fioravanti hanno parlato dell’informazione scientifica, per riviste specializzate: altri utenti, altri linguaggi. E neanche lì il pubblicato è verbo: «Dietro la maggior parte dei giudizi positivi su un farmaco si nascondono i grossi sponsor». L’onere di difendere la categoria è toccato al giornalista Fioravanti, penna di Viversani e belli e di Man’s health. Più che di salute di bellezza si tratta, e di palestra. Doveroso, dice il cronista alla platea scontenta, scrivere “malattia” al posto di “cancro”, trasformare il “grave” in “serio”, e la “patologia” in “problema”. La parola morte non è proprio prevista. Giornalisticamente, una battaglia perdente, la cronaca quotidiana dà già del suo. E poi i lettori che vogliono essere sani e felici, se la svignano. Ci pensa il primario del Pronto soccorso Michele Poddighe a ridiscendere sulla terra. Di errori medici si deve scrivere, dice, ma si devono fare anche le battaglie civili: quelle per un defibrillatore, per una preparazione specifica nella medicina d’emergenza. Si parta dal presupposto che nella Sanità c’è poco oro che luccica: «Altro che strutture con giardino e piscina, come suggerisce Veronesi. Nei nostri ospedali manca un gabinetto per il pubblico». Replica Fiorentino Pironti, vicedirettore della Nuova, moderatore di un dibattito poco amico: «Ben vengano le battaglie, soprattutto se troviamo qualcuno disposto a raccontarcele - sbotta - Dove sono i medici quando chiediamo di raccontare cosa succede in reparto?». Ci pensa Agostino Sussarellu, presidente dell’Ordine dei medici, a riportare la serenità, suggerendo la soluzione: una collaborazione che preveda accuratezza nei riscontri ma anche disponibilità nelle corsie. Patrizia Canu ______________________________________________ L’Unione Sarda 29 Mag. ’02 TICKET, FARMACI GRATIS NELL’ISOLA PER POVERI, ANZIANI E PENSIONATI La Regione stabilisce nuove esenzioni in favore delle categorie più deboli Con la legge “405” del 16 novembre 2001 il governo ha sancito la scomparsa definitiva del fondo sanitario nazionale. Infatti mentre fino al 2004 il fondo opererà con finanziamenti nazionali (per il 2001: 138 mila miliardi delle vecchie lire, per il 2002: 75 miliardi di euro, per il 2003: 78 miliardi di euro e infine per una parte del 2004: 81 miliardi di euro), da quell’anno ogni regione sarà completamente autonoma dal punto di vista finanziario. Le stesse regioni conquistano il federalismo sanitario nel senso che ogni sforamento rispetto ai fondi statali destinati alle regioni sarà addebitato alle stesse. La stessa legge introduce l’urgenza di porre in essere degli interventi di contenimento della spesa sanitaria per cui le regioni sono autorizzate ad adottare provvedimenti organizzativi e finanziari con il chiaro scopo di realizzare economie di gestione. Il patto di stabilità interno stipulato tra Stato e regioni - e che prevede tra due anni l’eliminazione del fondo sanitario nazionale - comporta necessariamente che le regioni non solo siano autonome dal punto di vista finanziario ma anche sull’intera organizzazione della sanità. Organizzazione che potrà essere diversificata tra regione e regione. La legge 405/2001 sancisce, per quanto riguarda l’assistenza farmaceutica territoriale, che a decorrere dal 2002 l’onere a carico del servizio sanitario nazionale in materia non può superare, a livello nazionale e in ogni singola regione il 13 per cento della spesa sanitaria complessiva. Il rispetto della disposizione di legge viene assicurato dalle regioni con opportuni provvedimenti d’intesa con le associazioni di categoria interessate. Da qui si giustifica il provvedimento della commissione unica del farmaco che ha individuato i medicinali che possono essere totalmente o parzialmente esclusi dalla rimborsabilità. A tal proposito gli interessati potranno consultare il decreto del 4 dicembre 2001 pubblicato nella gazzetta ufficiale serie generale n.33 del 8 febbraio 2002. Per quanto riguarda la regione Sardegna, questa ha deciso il 16 aprile 2002 di reintrodurre il ticket sui farmaci. In pratica ha aggiornato i prezzi massimi di rimborso dei medicinali non coperti da brevetto prevedendo da parte dell’assistito una partecipazione alla spesa che varia, a seconda dei casi, dal 20 al 50 per cento del prezzo di vendita al pubblico dei medicinali. A seguito della contestazione non solo da parte delle forze politiche di opposizione ma anche da membri della stessa maggioranza la giunta regionale martedì 14 maggio ha opportunamente approvato una delibera assessoriale che introduce importanti novità: alcune categorie di farmaci saranno gratuite per le fasce sociali più deboli; i farmaci antibiotici, quelli per il sistema respiratorio e gli antiasmatici saranno riportati in categoria A e saranno, dunque, totalmente gratuiti; i farmaci contro l’ipertrofia prostatica, considerata l’incidenza epidemiologica della malattia, avranno un costo di 3 euro per confezione ma saranno gratuiti per le categorie esenti. In pratica in Sardegna non pagheranno i farmaci i pensionati sociali, i titolari di pensione minima, gli invalidi di guerra, gli invalidi civili, i grandi invalidi per servizio o per lavoro, le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, i titolari di esenzione per patologie e i soggetti danneggiati da vaccinazioni, trasfusioni, eccetera. Decisamente più drastiche le limitazioni per le prestazioni specialistiche. Infatti per le prestazioni attualmente erogate dal servizio sanitario nazionale, non avendo la regione Sardegna legiferato in merito, la situazione attuale è la seguente: sono esenti i cittadini fino ai 6 anni ed oltre il sessantacinquesimo anno di età se non superano i 36.151,98 di reddito; coloro che hanno un’età compresa tra i 60 e i 65 anni che non superano un reddito di 11.362,05 euro se coniugati o 8.263,31 euro se singoli; i disoccupati; cittadini affetti da particolari patologie; gli invalidi. Per quanto riguarda, infine, le prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio e per tutte le specializzazioni specialistiche ambulatoriali gli assistiti di età compresa tra i 6 ed i 65 anni di età pagano il ticket fino ad un importo massimo di 36,15 euro. Per le visite specialistiche l’importo per la prima visita è di 17,04 euro mentre per la visita di controllo l’esborso richiesto è di 11,36 euro. Giuseppe Foti ______________________________________________ La Nuova Sardegna 31 Mag. ’02 MONSERRATO, IL POLICLINICO PARTE VENTI POSTI LETTO DI CHIRURGIA e l'offerta diventa completa La Regione delibera di trasformare i «letti» di Clinica medica CAGLIARI. Venti posti letto di chirurgia e il Policlinico universitario può finalmente aprire le sale operatorie e, nel giro di un anno, fare la sua parte anche nel circuito delle emergenze ospedaliere. I venti posti sono stati accordati dall'assessore regionale alla sanità (martedì 21 maggio) con una delibera che ha trasformato in chirurgici 20 dei 282 letti assegnati alla Clinica medica nel piano sanitario regionale. Gli interventi e l'assistenza saranno assicurati da medici universitari e da infermieri che verranno assunti apposta dall'azienda Policlinico. Attenzione: questo non significa che la Asl 8 è tagliata fuori, che le chirurgie del San Giovanni resteranno al San Giovanni e che il progettone del Policlinico diviso in tre poli si sta concentrando in un polo soltanto, quello di Monserrato. I venti posti letto di chirurgia segnano una svolta nella vita del Policlinico di Monserrato, certo, ma, soprattutto, sono la conferma pratica che, ormai, se ostacoli c'erano all'apertura di Monserrato e all'allestimento del Policlinico universitario, adesso non ci sono quasi più. Un breve riepilogo: il Policlinico di Monserrato è stato costruito solo in parte e funziona da due anni con vari servizi al cittadino (sanitari e di assistenza), centri di ricerca universitaria, attività didattiche per gli studenti e, con un lungo lavorìo condotto dal rettorato assieme alla Usl, alla Regione e alla facoltà di Medicina si sta tentando di realizzare il Policlinico universitario che, a Monserrato, ha una struttura studiata per l'assistenza al paziente inserita nella ricerca e nella didattica cioè le attività istituzionali (spiegano gli universitari) di una facoltà di Medicina. Se non è stato facile costruire e finire anche soltanto la prima parte della struttura di Monserrato, resta tuttora molto complesso elaborare il protocollo Regione-Università documento fondamentale per mettere in moto davvero il Policlinico universitario. Così, l'assessore (Oppi) e il rettore (Mistretta) hanno deciso di lavorare su due binari: quello politico-giuridico- amministrativo della stesura del protocollo che coinvolge le due università sarde, Cagliari e Sassari, quello pratico dell'organizzazione materiale della cittadella della medicina universitaria cagliaritana. E arriviamo ai 20 posti di chirurgia. Le chirurgie della facoltà devono essere trasferite in parte a Monserrato e questo succederà attraverso (anche) l'accordo con la Asl 8, ma intanto, con la delibera della Regione della settimana scorsa, si aggiunge un'attività che rende più completa l'«offerta» di assistenza dell'ospedale universitario di Monserrato. In parole povere: se un ricoverato del day hospital di diabetologia (esempio) ha un attacco di appendicite non dovrà più essere trasportato d'urgenza da qualche altra parte. L'argomento protocollo è ancora in alto mare. Così come non risulta essere vicinissimo l'accordo con la Usl per la riorganizzazione del complesso San Giovanni di Dio-Monserrato. Impossibile stabilire se sono gli universitari o gli ospedalieri, stavolta, a frenare l'operazione. I tecnici spiegano che la stesura del protocollo d'intesa Regione-Università è lunga perché le università sono due e, con una (Sassari), in questo momento l'assessore ha il dialogo difficile. Ma per restare a Cagliari anche l'accordo con la Asl 8 non sembra tutto in discesa. In questo caso per questioni che sono molto pratiche, molto numerose e molto complicate da regolamentare quando bisogna mettere nero su bianco. Intanto arriva una nota sindacale. Cgil, Cisl e Uil rendono noto che due giorni fa «si è svolto l'incontro tra il rettore e le organizzazioni sindacali a seguito dello stato di agitazione proclamato. Il rettore ha esposto le prospettive e le politiche per lo sviluppo dell'azienda Policlinico. Si sono affrontati quinidi i problemi urgenti segnalati da tempo dalle organizzazioni sindacali. Il rettore ha assicurato che con lo stipendio di maggio al personale universitario saranno corrisposte le equiparazioni economiche in base al nuovo contratto nazionale di lavoro della sanità...». Insomma: il dialogo è ricominciato. a. s. ___________________________________________________________ Il Manifesto 1 giu. ’02 SANITA?: TROPPE FILE SEI MESI PER UN'ECOGRAFIA La sanità di Sirchia Troppe file Promosse Toscana, Lombardia, Emilia Romagna. Maglia nera alla Puglia. Un rapporto del Tribunale per i diritti del malato TIZIANA BARRUCCI ROMA Federalismo strumentale e quasi per nulla a vantaggio dei cittadini. Almeno per quanto riguarda la sanità, il modello che si sta delineando non pare stia dando buoni risultati. Parola del Tribunale per i diritti del malato, che ieri in occasione della XXII giornata nazionale dei diritti del malato ha fornito i dati di un monitoraggio nazionale sulle liste d'attesa, sia negli ospedali. Promosse Lombardia, Toscana ed Emilia Romagna, bocciate Piemonte e al Sud la Puglia. Volendo riassumere al massimo si può dire che nella maggior parte dei casi per un'ecografia addominale, per una mammografia o per un elettrocardiogramma in molte realtà la media d'attesa è di ben due mesi. Il quadro che emerge, comunque, è quello di quattro modelli differenti adottati dalle diverse realtà locali, tanto che esistono Regioni, come Toscana ed Emilia Romagna in grado di mettere in campo programmazione e controllo; Regioni, come la Lombardia, che fanno dell'allargamento del mercato e della libera scelta la strategia per combattere le liste d'attesa; Regioni, come il Lazio, che mettono in campo interventi congiunturali che rispondono a emergenze del momento ma che nel lungo periodo non incideranno sul problema, lasciandolo pressocché immutato e Regioni, come alcune amministrazioni del Sud in cui non esiste una precisa strategia e che appaiono anche disinteressate ad affrontare il problema. «Il ricorso alle prestazioni di intramoenia - commenta Stefano A. Inglese, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato - non ha risolto il problema delle liste d'attesa, ma non per questo i medici non possono svolgere attività privata. L'intramoenia non va abolita ma organizzata onestamente, definendo in maniera unitaria i tetti massimi di monte orario che i medici vi devono dedicare». Secondo Inglese sarebbero due i punti della ricetta per il futuro: «Chiediamo che vengano valutati i livelli minimi di assistenza (Lea) - dice - e che venga garantita la caratteristica pubblica e unica dell'assicuratore. I Lea non devono essere visti solo come un elenco di prestazioni, ma vanno analizzati nel loro rapporto con la qualità: mettiamo, ad esempio, che si debba garantire l'erogazione attraverso il servizio pubblico di un'ecografia, se i tempi d'attesa sfiorano i sei mesi di certo non si può affermare che quell'obbligo sia stato rispettato. Credo inoltre che i diversi micro provvedimenti del governo, se presi singolarmente non rivelano nessuna strategia complessiva, guardati nel complesso tradiscono un progetto ben chiaro: il depotenziamento e la disarticolazione quasi irreversibile del carattere pubblico della sanità. Ricordo quando in prima bozza i Lea erano stati chiamati "livelli unitari d'assistenza": quel nome presto venne modificato e oggi quella decisione trova una tragica conferma nella realtà, visto che di "uniforme" ormai non c'è quasi più nulla. Anche prima esisteva un forte squilibrio tra le offerte sanitarie nelle varie Regioni ma quello squilibrio era considerato una distorsione da correggere, mentre ora viene preso come un dato di fatto in nome di bilanci da far quadrare e conti da saldare». ______________________________________________ L’Unione Sarda 29 Mag. ’02 BRONCOPATIE: “BINAGHI” PROMOSSO CON OTTO Tra i pazienti dell’ospedale di Monte Urpinu alla vigilia della Giornata mondiale senza fumo Viaggio nell’ex sanatorio trasformato in clinica svizzera Più di tremilacinquecento ricoveri l’anno, quasi undicimila in day hospital. È da queste parti, lungo le corsie dell’ospedale Binaghi, tra un asfittico monte Urpinu e il mare, che si colgono gli effetti collaterali, pesanti e concreti, del tabacco. Impossibile stabilire con precisione quanti e quali casi siano direttamente legati alla sigaretta. Ma i numeri, per quanto generici, parlano chiaro. Dicono, orientativamente, che il fumo sta dietro il 90 per cento dei tumori e l’85 per cento delle broncopatie croniche. Il Binaghi, che molti cagliaritani continuano a chiamare “sanatorio”, è in fase di ristrutturazione da cinque anni, mancano ancora da completare Radiologia e Rianimazione. Il corpo centrale ingoia ogni giorno oltre cento medici e 170 infermieri. Si marcia a ritmo sostenuto. Maria Teresa Orano, direttore sanitario da cinque mesi appena, ha imposto la marcia dell’efficienza con uno stile che mescola garbo e rigore. In “accettazione”, due computer tengono in memoria tutti i pazienti: dati, indirizzi, diagnosi, terapie. Non c’è, o almeno non risulta, quello che l’altro giorno ha involontariamente suggerito una drammatica telefonata all’Unione Sarda: per denunciare un inferno. Parlava di pessima assistenza, ausiliari più o meno fantasmi, condizione critica (per non dire di peggio) soprattutto al reparto dei “terminali”, insomma di quelli che stanno morendo. Puntualizzando che vivacchia e ingrassa, una categoria ufficialmente inesistente: infermieri a pagamento, professionisti della veglia che per una notte di lavorano spuntano tariffe fra ottanta e cento euro. Una voce arrabbiata e anonima (visto che ci ha fornito un nome falso) ci ha proposto una visita: «Andate a verificare, vedere coi vostri occhi cos’è una pattumiera umana. Se non paghi, neppure si accorgono che ci sei». Pagare chi, cosa? Ore 10 del mattino di ieri: sortita, non prevista e non annunciata, con penna e taccuino. Alla sbarra d’ingresso non si passa, senza autorizzazione. Basta però aspettare il primo gruppetto nutrito e infilarsi dentro. Domanda a bruciapelo: scusi, dov’è il reparto-terminali? Non esiste un reparto-terminali, ovviamente. I 25 letti di cui si parlava nella telefonata- denuncia al giornale appartengono a una fantasia sofferente, e di delirio. Alla fine uno dei portantini, tenta di risolvere il mistero: non sarà che chiamano “terminali” la divisione dove si trovano (in prevalenza) i malati di tumore? Piano terra, a destra. Piccola folla in attesa di essere ammessa negli ambulatori. Pneumologia I, avverte una scritta. Un medico conferma: sì, dicono che qui ricoveriamo quelli che non possono più sperare. È vero? «In parte». I letti sono trenta, soltanto uno è vuoto (qualcuno che, con tutta probabilità, ha smesso d’essere terminale). La pulizia, nei cameroni a otto letti, ma anche nelle stanze più piccole, è esemplare. Stesso discorso per i bagni, per le medicherie. Con un po’ di spocchia, si potrebbe dire d’esser finiti in una corsia d’eccellenza. A prova di Tg nazionale per mostrare a un popolo incredulo e diffidente che la sanità pubblica funziona. Certo, guardandosi intorno viene da chiedersi se questo è l’inferno segnalato al giornale. Ha un primario e cinque medici, quindici infermieri, quattro letti per i ricoveri giornalieri. Davanti a ogni stanza, etichette nuove di zecca segnalano che è vietato usare i telefonini. Poi c’è un’altra targa col nome del medico responsabile di quell’area. Un discretissimo passaparola fa sapere che recentemente c’è stato un po’ di baccano: a protestare, con una certa vivacità, era un detenuto. Lamentava problemi di assistenza. E poi? Poi basta. All’ufficio dove si raccolgono reclami e proteste (rigorosamente anonime) mostrano i moduli riempiti dai pazienti: i mugugni, pochi in verità, riguardano in genere i tempi d’attesa. Il resto lo spifferano volentieri i ricoverati del primo stanzone: otto brande, molta luce, squarci di disperazione. Inutile chiedere come va. Va male, e si vede, sul fronte della salute. E i medici? «Sono gentili», dice uno. Un altro - che respira con la sonda dell’ossigeno piantata nel naso - fa sapere che «ci vorrebbe più dialogo». Per quel che riguarda gli infermieri, niente o quasi da dire. «Succede che quando chiamiamo, ritardino». Voto? Otto, all’unanimità. Un pensionato, gli occhi asciutti e lucidi, rivela che quando uscirà dall’ospedale dovrà andare a farsi curare lo stomaco. «La roba che ci danno da mangiare non è buona. La carne, la carne è una suola di scarpa. Dura e senza sapore». Altro camerone, altro giro, stesse domande per mettere a fuoco una realtà evidente: la divisione Pneumologia I è serena, linda, vigilata. In fondo, nelle stanze a due letti, la situazione è identica: il pavimento è pulito, i pazienti (che spesso sono inchiodati al letto) sembrano ben assistiti. Intercettato durante il giro delle visite quotidiane, il primario (Alberto Pischedda) spalanca le braccia: «Guardate dove vi pare e giudicate». L’inferno deve aver cambiato indirizzo. G. Pi. ______________________________________________ L’Unione Sarda 31 Mag. ’02 GESSA: LE DONNE STREGATE DALLE SIGARETTE Cagliari. In città il tabagismo aumenta soprattutto tra le donne. Negli ultimi 25 anni le morti per tumore ai polmoni si sono quasi triplicate. Se il numero degli uomini è "solo" raddoppiato, quello delle donne è cresciuto in maniera abnorme. Segno che il gentil sesso si affida sempre più alla lusinga delle sigarette. È il dato che emerge alla vigilia della Giornata senza tabacco, che si celebrerà domani in tutto il mondo. La manifestazione, promossa dall’Organizzazione mondiale della sanità, ha avuto un prologo con una conferenza organizzata martedì scorso al Banco di Sardegna, dalla Lega italiana contro i tumori. "La nicotina è la più terribile delle droghe", afferma Gianluigi Gessa, direttore del dipartimento di Neuroscienze e docente di Neuropsicofarmacologia all’Università, che ha ricordato lo sciopero dei tabaccai (1994), in cui la sindrome da astinenza da nicotina si è manifestata in tutta la sua evidenza. I fumatori sono un miliardo, 14 milioni solo in Italia. Un business enorme, per la gioia delle multinazionali che "cercano di combattere l’idea che il fumatore sia un tossicodipendente. Invece", aggiunge Gessa, "l’assuefazione da nicotina è peggiore di quella determinata dalle altre droghe". A fumare si inizia da ragazzi, ma come si smette? Lo scienziato esclude terapie di gruppo, ipnosi e agopuntura, bollate come "pratiche magiche". Meglio ricorrere alla stessa nicotina, sotto forma di cerotti, gomme da masticare, inalatori e spray nasali: una sorta di "metadone" per sopravvivere nel periodo cruciale della disintossicazione. Ha poi menzionato i farmaci antidepressivi e un nuovo vaccino (una proteina che stimola gli anticorpi della nicotina), "sperimentato negli animali ma con poco successo nell’uomo". La cura migliore resta la prevenzione. "La maggior parte dei fumatori che smette", spiega lo scienziato, "riesce a farlo perché ha ricevuto un messaggio convincente dal proprio medico". Nel nostro Paese la situazione non è confortante: "I pochi medici che conoscono il problema sono autodidatti". L’ideale sarebbe seguire l’esempio delle Università americane: la formazione dei medici prevede un corso per aiutare i fumatori a smettere. Fino a poco tempo fa la farmacologia considerava il fumo come un vizio dipendente dalla volontà. Oggi invece si conoscono i meccanismi con cui le droghe agiscono nel cervello. "Tendono a sostituire gli stimoli fisiologici", spiega Gessa, "e agiscono al posto delle droghe naturali prodotte dall’organismo". La prossima frontiera della scienza sarà stabilire le eventuali cause genetiche del tabagismo. Durante l’incontro (in cui la Lega ha premiato le persone che hanno agevolato la sua attività) sono intervenuti anche il sindaco di Cagliari Emilio Floris, (fumatore pentito), che ha sottolineato la necessità di una maggiore informazione tra i ragazzi, e il presidente dell’Ordine dei medici e consigliere regionale Raimondo Ibba, che ha elogiato l’opera della Lega antifumo. ______________________________________________ La Nuova Sardegna 30 Mag. ’02 GESSA: NICOTINA, LA DROGA PIÙ PESANTE" Gian Luigi Gessa illustra la tragica casistica di un vizio antico Aumentano i tumori al polmone che spesso colpiscono i tabagisti più inveterati Sabrina Zedda CAGLIARI. Nel 2000 solamente a Cagliari, sono morti per cancro ai polmoni 98 uomini e 27 donne. Un triste balzo in avanti rispetto al 1956 quando, tra i morti per la stessa patologia, si registrarono 47 uomini e una donna. Sono questi alcuni dei tristi dati illustrati nei giorni scorsi dal neurofarmacologo Gian Luigi Gessa, che a poche ore dalla Giornata mondiale contro il fumo, ha parlato, in un convegno al Banco di Sardegna, di "Nicotina la più pesante delle droghe". "Ogni anno in Italia, 100 mila persone muoiono in seguito a patologie legate al fumo di sigarette", ha spiegato il professore: "Di hashish o marijuana, invece, non muore nessuno, per eroina si contano non più di mille casi l'anno". Proprio per l'altissimo numero di vittime seminate in più, rispetto alle altre sostanze, Gessa ritiene dunque che la nicotina possa essere considerata"a ragione", la droga più pesante. Il tumore ai polmoni, tra le conseguenze del tabagismo, è l'evento più diffuso, perché chi fuma rischia di ammalarsi 25 volte di più rispetto ad un non fumatore. Tra le ripercussioni provocate dalla nicotina ci sono poi quelle a carico dell'apparato cardiocircolatorio, come l'infarto. E' stato calcolato, infatti, che nel 50 per cento dei casi la causa è da attribuire al fumo. Non solo: i fumatori sono soggetti 10 volte di più anche ad altri tumori come quello allo stomaco, al cavo orale o all'esofago. Negli ultimi anni, a livello mondiale, si è assistito ad un lieve calo dei fumatori di sesso maschile. Le fumatrici invece sono aumentate, "perché - dice Gessa - con l'emancipazione, le donne hanno cambiato stile di vita e soprattutto, si sono ispirate a nuovi modelli di comportamento, mutuati in molti casi dall'universo maschile". Prima o poi, arriva comunque il momento in cui si decide di smettere."Chi lo fa, con successo, entro i quarant'anni elimina ogni rischio malattia derivante dal fumo- precisa il professore- se invece si fa entro i 50 anni i rischi si riducono di due terzi". Tra i diversi rimedi esistenti per liberarsi dalla "schiavitù" del fumo, Gessa ne individua alcuni di tipo "magico". Sono, ad esempio, l'ipnosi, l'omeopatia, la terapia di gruppo che però, secondo il neurofarmacologo, hanno solo un effetto "placebo" privo dunque di risultati reali. Più apprezzabili, sono invece i risultati offerti da altri sistemi come i famosi cerotti da applicare sul braccio, gli spray nasali, le compresse sub- linguali: ognuno di questi rilascia nicotina e porta, dopo qualche tempo, alla perdita del vizio del fumo. C'è poi un'altra sostanza che ha già fatto riscontrare risultati positivi: il "bupropione" una molecola che, agendo da antidepressivo, aiuta contro l'astinenza, particolarmente forte soprattutto nelle prime settimane in cui si abbandona la sigaretta. Il sistema più recente, ma ancora da sperimentare in modo più approfondito, è poi il vaccino. "In quest'ultimo caso - prosegue Gessa - s'introducono nell'organismo anticorpi in grado di catturare la nicotina presente nel sangue, impedendole così di raggiungere il cervello". Ognuno di questi metodi assicura piccole percentuali di successo."Sommando però le piccole cifre si scopre che ogni anno in tutto il mondo aumenta il numero delle persone che riescono ad abbandonare questo vizio, guadagnandone in salute". Interessante appare un altro dato fornito da Gessa: le terapie anti- fumo sarebbero più efficaci se supportate da una forte azione del medico. "Negli Usa, è stato osservato che i pazienti per uscire dalla dipendenza del fumo, vorrebbero il conforto del proprio medico". Per questo, di recente, sono stati avviati dei programmi attraverso cui i medici insegnano ai propri pazienti a smettere di fumare. O addirittura a non iniziare. ______________________________________________ Repubblica 30 Mag.’02 "DA FUMO" UN RICOVERO SU 5 Costo sanitario di miliardi di euro QUASI un ricovero su cinque di quelli che si fanno nei nostri ospedali avviene per malattie conseguenti al fumo di sigaretta. Questo il "peso" sanitario del sempre più discusso vizio. Un peso che ha anche molti "zeri". Vediamoli. Tenuto conto che il costo medio per ricovero, riferito alla spesa sanitaria totale per assistenza ospedaliera del ‘99, era pari a 5.277.176 lire, e che la quota di ricoveri attribuibili al fumo è il 14,9 per cento, il costo "imputabile" al fumo era stimabile in 10.007,580 miliardi di lire. Vale a dire l’8.3 per cento della spesa sanitaria pubblica totale che si è avuta nel 1999 (lo 0,4 % del PIL). Si tratta ovviamente di una stima grezza media, che non tiene conto della possibilità reale che le differenti cause di malattie possano avere un costo medio differente. Per giungere ad un costo disaggregato, precisano all’Osservatorio Fumo, Alcol, e Droga, occorrerebbe disporre del costo totale per ricoveri di ciascun singolo raggruppamento omogeneo di ricoverati, dato di cui sarà possibile disporre in futuro, grazie all’elaborazione specifica che è stata richiesta al ministero della Salute. Ma intanto questi dati incominciano a rendere bene l’idea di quanto costi caro, alle casse del Servizio sanitario, il vizio del fumo. Una curiosità: come è stato trovato il numero dei ricoveri attribuibili al fumo? «Semplice», spiegano sempre all’Istituto superiore di sanità, «questo calcolo è stato determinato moltiplicando il numero totale delle degenze per il coefficiente di rischio imputabile al tabacco». Infine si è cercato d’arrivare ad una quantificazione più precisa dei costi determinati da questo problema, moltiplicando la quota di ricoveri imputabile al consumo di tabacco per il costo medio di ricovero. (d. d.) ___________________________________________________________ Corriere della Sera 31 Mag. «PRONTO IL PRIMO FEGATO ARTIFICIALE» Klinkmann, padre degli organi biotech: è già in sperimentazione sui malati gravi Il ricercatore tedesco a Bologna: «In questo campo l’Italia è il Paese più all’avanguardia» BOLOGNA - «Il primo fegato bioartificiale del mondo è quasi pronto. Stiamo cominciando con i test clinici con i malati epatici molto gravi». A parlare è Horst Klinkmann, lo scienziato tedesco considerato uno dei padri della medicina rigenerativa: «Ci vorranno ancora almeno 8 anni però - spiega - prima che sia disponibile a livello di massa». Professore, qual è il Paese più all’avanguardia nel mondo in tema di trapianti e organi artificiali? «Assolutamente l’Italia. Forse non lo sanno neanche gli italiani, ma l’Italia è davanti anche agli Stati Uniti». Come funziona un fegato artificiale? «A vederlo è una cartuccia di plastica trasparente di una quarantina centimetri piena di filamenti di cellule vive. Stiamo iniziando con i test clinici su alcuni pazienti. Il dispositivo si usa grosso modo come quello per la dialisi, ma la novità è che è costituito anche da cellule vive». Può spiegare? «Quando si parla di sostituzione di organi lesi le strade sono due: o i dispositivi artificiali o i trapianti di organi veri. Oggi il passo successivo è quello di combinare le due scuole. Quindi noi abbiamo preso una matrice, cioè una piccola struttura in materiale artificiale, e dentro abbiamo inserito lungo migliaia di fili sottilissimi, i capillari, alcune cellule di fegato prese dal paziente. Le cellule vengono coltivate e sviluppate. Così si ottiene il fegato bioartificiale». Salverà molte vite? «Be’, ricordiamo che per il fegato artificiale la pressione mondiale è fortissima: non esiste nulla oggi che possa sostituire il fegato al di là del trapianto. E ricordiamo che purtroppo le malattie epatiche sono la prima causa di morte nel mondo. In Cina per esempio ne è affetto il 25% della popolazione, un numero enorme di persone, più di tutti gli abitanti messi insieme dell’Europa». Cellule staminali, un argomento per molti tabù. «Invece il messaggio che vorrei fosse chiaro è che non bisogna generalizzare. Non ci sono solo le cellule staminali prese dagli embrioni, che sono in effetti le più efficaci per ricostruire qualsiasi tipo di organo, ma ci sono anche le cellule staminali prese da un particolare organo e che coltivate ricostruiscono proprio e soltanto quell’organo. Per esempio il fegato o la cartilagine del menisco. Oppure le cellule prese dal midollo osseo del paziente e che abbiamo visto sono in grado di attecchire anche in organi diversi». Daniela Camboni ______________________________________________ Repubblica 30 Mag. ’02 IL PROBLEMA DELL’IPOVISIONE E GLI STRUMENTI TECNICI Dal monocolo agli ingranditori digitali. E una telecamera che si mette dentro al mouse gli strumenti Il problema dell’ipovisione è stato a lungo trascurato dalle strutture sanitarie locali, nonostante dal 1978 esista una legge sulla riabilitazione sensoriale. «Solo ora si comincia a parlarne ma già da 40 anni ci sono soluzioni, dal cannocchiale tascabile (serve anche a leggere il numero del bus che arriva) alla lente "killer", piccolo cannocchiale di plastica che si monta su occhiali e permette di leggere», commenta Giulio Romani, amministratore unico di Ottica Romani, la prima azienda italiana ad affrontare addirittura negli anni 30 il problema ipovisione con la progettazione e la vendita di ausili specifici, attiva sul fronte della ricerca in tandem con Università e Istituti scientifici, oggi con oltre 50 negozi in Italia e servizio a domicilio. Nel ‘58 a Roma il primo centro specializzato in sinergia con medici oculisti per una cultura di prevenzione e riabilitazione visiva, «anticipando di 40 anni la legge del ‘99 che ha istituito i centri pubblici di ipovisione negli ospedali». Altro aspetto che merita soluzioni, aggiunge Adriano Romani, «i costi che sanità pubblica e cittadini devono affrontare, dalla visita oftalmica al riconoscimento dell’invalidità, all’acquisto dell’ausilio. Un centro di ipovisione, pubblico e privato, prima che ausili deve saper offrire consulenza e indirizzare in tempo al medico». La "scarpetta" che evita il contatto con la parte calda del ferro da stiro, il fischietto che suona avvisando che esce il caffè, oggetti parlanti, paraschizzi per frittura, dosatori, sono alcuni degli accessori per ipovedenti: si trovano in supermercati e negozi di casalinghi. Gli ausili di ottica tradizionale, costano 200 euro o più: tra questi, lenti ingrandenti, piccoli monocoli tascabili, cannocchiali, telescopi con lenti oftalmiche operano sui recettori della retina per ingrandire l’immagine. Lenti di particolare colorazione aumentano la percezione nelle maculopatie per retinite pigmentosa, retinopatia diabetica, degenerazione maculare senile. Altre colorazioni per cataratte, glaucoma o discromatopsie. Gli ausili elettronici costano da 1500 euro. Possono ingrandire fino a 40 diottrie e sono normalmente consigliati a chi ha un residuo visivo così basso (1/10) che ne ha diritto gratis. Si va dal videoingranditore alla telecamera nel mouse che scorre sul testo e lo proietta in occhiali tridimensionali, caschi elettronici con telecamera palmare per vedere testi, immagini e supporti multimediali. Il sistema, facilmente trasportabile, si interfaccia a monitor collegati ai Pc o ai televisori. (a. mes.) ______________________________________________ Le Scienze 30 Mag.’02 SCHIZOFRENIA: UNA PASTIGLIA IMPIANTABILE SOTTOCUTE Il semplice intervento in anestesia locale dura 15 minuti Una delle difficoltà maggiori nel curare i pazienti affetti da schizofrenia è quella di assicurarsi che prendano i loro medicinali. Ora il problema potrebbe essere stato risolto dai ricercatori della Scuola di Medicina dell'Università della Pennsylvania, che hanno progettato un dispositivo impiantabile in grado di somministrare psicofarmaci per un periodo di cinque mesi, prolungabile fino a un anno. Il dispositivo ha funzionato molto bene nelle prime prove di laboratorio e la ricerca prosegue, nella speranza di arrivare a svolgere test clinici. I risultati degli esperimenti, svolti su piccoli mammiferi, sono stati descritti sulla rivista "Neuropsychopharmacology". Il dispositivo ha le dimensioni di una moneta e può essere impiantato sottocute con un semplice intervento in anestesia locale della durata di 15 minuti. Negli esperimenti è stato usato un farmaco antipsicotico tradizionale, l'aloperidolo, contenuto in una matrice polimerica. Se il dispositivo dovesse funzionare efficacemente anche negli esseri umani, offrirebbe un'alternativa medica che potrebbe ridurre, per molti pazienti, la minaccia delle psicosi e dell'instabilità sociale cronica. I pazienti che hanno bisogno di farmaci anti-psicotici spesso non riescono a capire la serietà della loro malattia e smettono di prendere assumerli nei periodi in cui la loro capacità di giudizio è temporaneamente ridotta. ______________________________________________ Il Messaggero 30 Mag. ’02 CANCRO, AL SUD MENO MALATI MA SI MUORE PIÙ CHE AL NORD di CARLA MASSI ROMA - Ammalarsi di tumore al Sud significa ammalarsi due volte. E avere una probabilità di morire, entro un anno dall’insorgenza del male, del 26% superiore al paziente che abita al Nord. Anche questa è l’Italia 2002. Fatta, dalla Campania in giù, di liste d’attesa più lunghe che nel resto del paese, di viaggi della speranza, di poche campagne informative per la prevenzione del cancro. I numeri non lasciano spazio al dubbio: al Sud ci si ammala di meno di tumore, ma si muore di più. Nel Nord ogni mille persone 11,5 sono malati oncologici, mentre al Sud la percentuale scende al 4,5 per mille. Ma il tasso di mortalità nel Meridione supera del 50% quello del Settentrione. Per questo, gli oncologi del Mezzogiorno insieme ad associazioni di volontari e testimonial vari (da Schumacher, a Pippo Baudo, a Serena Dandini, a Sabrina Ferilli, Gigi Proietti e Pino Daniele) hanno deciso di dar voce a chi non ce l’ha. Dando vita ad una "Campagna per i diritti dei malati oncologici del Mezzogiorno". Con lo scopo, come dice Piero Marrazzo giornalista conduttore della trasmissione "Mi manda Rai Tre" e anima del movimento, «di sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere iniziative per superare questa inaccettabile disparità». Primo appuntamento scientifico a settembre: dal 18 al 21 a Napoli un congresso "Oncologia 2002, il futuro oggi" organizzato dall’università Federico II con la partecipazione di esperti da tutto il mondo. Il 20, al teatro San Carlo, una serata di solidarietà: per ricordare che una parte del paese ha deciso di invertire la rotta e fare del Sud un nuovo polo di salute. Dietro questa "parte" d’Italia, c’è un progetto di lavoro vero e strutturato. Si vede la Confindustria, si vede il progetto del presidente della Regione Antonio Bassolino («Un primo passo in questo percorso, non certo facile, ma indispensabile, può e deve essere la nascita di un "Centro di eccellenza" in Campania che veda riunite le grandi potenzialità dei nostri ricercatori per potere offrire le maggiori possibilità di ricerca, di prevenzione e cura ai nostri cittadini»), quella del sindaco di Napoli Rosa Russo Jervolino, dei 260 oncologi campani, dei volontari, dei malati. E’il ministro della Salute Girolamo Sirchia, in un video insieme all’oncologo Umberto Veronesi, a "tenere a battesimo" la campagna: «Occorre intervenire affinché vi siano trattamenti uguali in tutta Italia, anche a domicilio». Ancora numeri per raccontare quanto possa essere diverso ammalarsi da Bologna in su o da Napoli in giù: nel quinquennio ’93-’98, il tasso di mortalità per tumore negli uomini a livello nazionale è risultato uguale a 258 casi per 100 mila abitanti, 272 al Nord, 252 al Centro e 221 al Sud. Una cifra altissima questa rispetto a quanti sono i malati. Non cambia molto la situazione sull’altro fronte, quello femminile. Nello stesso periodo, a livello nazionale, è stato registrato un tasso di mortalità per cancro di 175 casi per 100mila abitanti: al Nord ne sono stati contati 176, 174 al Centro e 147 al Sud. «Già, le donne - commenta Giuseppe Petrella presidente del congresso e vice presidente della commissione Affari - molte di quelle più anziane come quelle più povere qui al Sud non conoscono le regole base della prevenzione. Penso alla mammografia e al Pap test, per non parlare del fumo. Per evitare che i malati di cancro del Mezzogiorno si curino nel Centro-Nord occorre creare centri di eccellenza oncologici grazie anche a fondi pubblici e privati».