TROPPE LAUREE BREVI, 400 SARANNO CANCELLATE ECCELLENZE ALL' UNIVERSITÀ, UN CENTRO «VIRTUALE» PER LA CURA DELLE MALATTIE L'ISTITUTO ISEF CHIUDE DOPO 25 ANNI ESAMI, UN GIOVANE SU 5 PRONTO A FARE USO DEL DOPING SE IL RICERCATORE UNIVERSITARIO DECIDE DI INVESTIRE NEL MONDO IMPRENDITORIALE POLITECNICO, LA FABBRICA DEI CERVELLI CAGLIARI: "INGEGNERIA MERITA PIÙ RISORSE" APPELLO DEL PRESIDE SCUOLE A RILENTO SULL'AUTONOMIA IGLESIAS: L’UNIVERSITÀ METTE RADICI CAGLIARI: RUSPE SULLA STORIA ANTICA DELLA CITTÀ =========================================================== LA SANITÀ MINA I BILANCI DELLE REGIONI SANITÀ, IL “BUCO NERO” DELLE REGIONI «NEWSWEEK»: LA SANITÀ PUBBLICA ITALIANA MERITA ZERO IN COMUNICAZIONE LA CORTE DEI CONTI: LA SPESA SANITARIA HA LA FEBBRE ALTA UN’AGENZIA REGIONALE PER RILANCIARE LA SANITÀ SANITÀ, LA REGIONE INASPRIRÀ I TICKET «SERVE UN CENTRO SPECIALIZZATO PER IL RECUPERO DEI TRAUMATIZZATI» PER I BAMBINI AMMALATI CI SONO LE VIDEO CONFERENZE CARDIOLOGIA,I RITARDI DELL'ISOLA MALATTIE DEL CUORE: LE NUOVE TERAPIE LE STAMINALI RIGENERANO I MUSCOLI UN NEMICO SILENZIOSO CHIAMATO OSTEOPOROSI I GRANDI PROGRESSI DELLA CHIRURGIA ROBOTICA =========================================================== _________________________________________ Corriere Della Sera 6 giu. ’02 TROPPE LAUREE BREVI, 400 SARANNO CANCELLATE Gli atenei non in regola perderanno i contributi ministeriali. Previsti accorpamenti. Su 2.900 corsi attivati esistono duemila denominazioni diverse Università: alcune verranno soppresse perché non hanno iscritti. Per molte mancano docenti o sono antieconomiche ROMA - In autunno, quando ricominceranno i corsi universitari dopo la pausa estiva, le lauree triennali, circa 2.900, potrebbero essere molte meno. In tutti gli atenei italiani è in corso un ripensamento dell’offerta formativa per il 2002-2003. In soldoni le università stanno per sottoporsi ad una robusta dieta dimagrante che potrebbe ridurre di almeno quattrocento il numero dei corsi. Dovrebbero sparire le lauree prive dei requisiti minimi previsti dal ministro dell’Istruzione, università e ricerca (Miur). Un elevato numero di corsi triennali attivati quest’anno hanno avuto pochissime o addirittura nessuna iscrizione, altri corsi sono in sofferenza per quanto riguarda i docenti. ACCORPAMENTI - La tendenza è di accorpare le lauree ad altre della stessa "classe". Le ragioni sono due. La prima è di ordine economico. Niente requisiti, niente fondi del Miur. La seconda riguarda la didattica: molte facoltà hanno attivato una pletora di corsi di laurea che si distinguono l’uno dall’altro più per la fantasia del nome che per i contenuti. E questo non aiuta certo gli studenti. Sull’abbondante produzione di proposte formative aveva ironizzato il ministro Letizia Moratti: "Scienze del fiore e del verde", "Informatica umanistica", "Tutela del territorio di interesse forestale" e via dicendo. Ma la cosa che ha sorpreso di più è stata l’inventiva dei cattedratici: su 2.900 corsi ben 2.000 hanno nomi diversi. Lo sforzo di originalità dei docenti però non ha sempre raggiunto il suo scopo. Gli studenti hanno declinato l’offerta, in apparenza così allettante. "Gli atenei hanno inventato dei progetti - dice Raffaele Simone, autore di un saggio sui mali dell’università - e nello slancio inventivo qualcuno ha passato il segno, offrendo più possibilità di quanto i giovani ne hanno scelte". "A giudicare da quanto si legge nelle liste dei corsi triennali - continua Simone -, nonostante le restrizioni, temo che sopravvivranno sempre delle denominazioni strampalate. Ma di queste gli studenti faranno via via giustizia". DECISIONE A LUGLIO - Secondo indiscrezioni provenienti dal Comitato nazionale di valutazione sarebbero almeno quattrocento le lauree triennali prive dei requisiti richiesti per ottenere il "bollino blu", una sorta di marchio di garanzia che il Miur ha istituito per tutelare gli utenti, e i finanziamenti. Le facoltà stanno decidendo che fare. Entro luglio, infatti, dovranno essere pronti i manifesti degli studi, con tutti i corsi del prossimo anno accademico. E tra gli studenti cominciano a trapelare le prime notizie. Al Politecnico di Bari, dice Alfredo Marra, del Coordinamento delle liste per il diritto allo studio, Ingegneria dell’automazione, che ha solo quattro iscritti, dovrebbe essere accorpata con Ingegneria elettronica. A Firenze il corso di Italianistica, con 20 iscritti, potrebbe confluire in quello di Lettere. Alla Statale di Milano dovrebbero fondersi Tecnologie fisiche, tre iscritti in tutto, con Fisica. Anche Matematica per le applicazioni, dieci studenti, potrebbe essere accorpata. A Pavia sono stati approvate decine di fusioni tra corsi di laurea. Nella maggior parte dei casi gli studenti non dovrebbero cambiare il piano di studi. I crediti acquisiti varranno anche nel nuovo percorso, che avrà un altro nome. E gli sbocchi professionali promessi? Questo è il punto più delicato. "Comunque vadano le cose - conclude Alfredo Marra - le aspettative dei ragazzi sono state tradite". Giulio Benedetti _________________________________________ Corriere della Sera 3 giu. ’02 ECCELLENZE ALL' UNIVERSITÀ, UN CENTRO «VIRTUALE» PER LA CURA DELLE MALATTIE Si cercano risposte a patologie che vanno dall' Alzheimer alle distrofie muscolari Vi lavorano più di 150 ricercatori che appartengono alle facoltà di medicina, farmacia e veterinaria Chi cerca il Cend, il Centro di Eccellenza per lo studio delle malattie neurodegenerative, all' Università di Milano, non riuscirà a trovarlo. Il Cend è un centro virtuale e i ricercatori che ne fanno parte sono sparsi un po' ovunque. «Il Cend - ci s piega Adriana Maggi che ne è vicepresidente - nasce come centro di eccellenza, riconosciuto e finanziato dal ministero dell' Università e della Ricerca scientifica. Quest' ultimo, dopo un bando promosso in tutte le università italiane, ha scelto in t otale 43 centri: 5 sono in Lombardia e interessano l' area biomedica e biotecnologica». La filosofia di base che ha dato vita ai centri di eccellenza è questa: se un' università ha ricercatori «eccellenti», riconosciuti sulla base delle loro pubblica zioni scientifiche, perché spostarli e creare un nuovo istituto che nella migliore delle ipotesi sarà pronto in dieci anni? Lasciamoli dove sono, potenziamo i laboratori che già esistono, permettiamo il libero accesso alle attrezzature e costruiamo p rogetti comuni di ricerca in una certa area. Nel caso del Cend l' area è quella delle malattie neurodegenerative, malattie del sistema nervoso che vanno dall' Alzheimer alla corea di Huntington, dal Parkinson alle distrofie muscolari, e la ricerca pa rte da quella di base e arriva alla clinica, cioè al paziente: il direttore del Centro è un clinico, Guglielmo Scarlato, neurologo al Policlinico. «Oggi per portare avanti una ricerca con i metodi della moderna biologia - continua Adriana Maggi - ser vono strutture, fondi, competenze multidisciplinari: occorre arrivare a una massa critica che soltanto un centro di eccellenza può raggiungere. Del resto è quello che sta succedendo in tutto il mondo». Il bando prevede un finanziamento di tre miliardi di lire per tre anni finalizzati all' acquisto di nuove strumentazioni e alla formazione, poi i centri dovranno camminare con le loro gambe. «Ogni gruppo - commenta la Maggi - proprio perché "eccellente" aveva già finanziamenti sia pubblici sia privati. Uniti, pensiamo di trovare più fondi: abbiamo già inviato domande alla Cariplo, al Ministero della ricerca e a quello della Salute, all' Unione Europea». Fondi che servono per ricerche di avanguardia, come quella sui topi transgenici. «S e vogliamo capire l' origine delle malattie nell' uomo - continua Adriana Maggi - dobbiamo prima studiarle sugli animali. Prendiamo la malattia di Duchenne, una forma di distrofia muscolare. Sappiamo che il trapianto di cellule staminali fallisce e v ogliamo capire perché non si trasformano in muscolo. Stiamo costruendo animali transgenici con la malattia di Duchenne e iniettiamo nei loro muscoli cellule staminali con geni fluorescenti: studiando la fluorescenza, potremmo capire che cosa succede e soprattutto sperimentare nuovi farmaci». Attualmente lavorano per il centro più di 150 ricercatori che appartengono alle facoltà di medicina, farmacia e veterinaria, idealmente uniti in un centro di ricerca «senza mura». Le altre puntate 5 MAGGIO 2 002 La prima puntata che il Corriere ha dedicato a Università e centri di ricerca in Lombardia è stata pubblicata domenica 5 maggio.In regione il settore si divide tra sei università con facoltà mediche e scientifiche (Milano, Pavia, Brescia e Varese ) due istituti del Cnr (a Milano e Pavia), 13 istituti di ricovero e cura di carattere scientifico nelle province di Milano, Lecco, Brescia e Pavia 20 MAGGIO 2002 Pubblicata lunedì 20 maggio, la seconda puntata sulla ricerca in Lombardia ha svelato c he sono numerose le donne che preferiscono la scienza alla famiglia: al Mario Negri di Bergamo, su 151 scienziati, gli uomini sono solo 44. In Italia la percentuale dei ricercatori ogni mille lavoratori è pari al 3,3 _________________________________________ L’Unione Sarda 5 giu. ’02 L'ISTITUTO ISEF CHIUDE DOPO 25 ANNI CAGLIARI. Dopo 25 anni chiude definitivamente i battenti l’Istituto superiore di educazione fisica. Il 31 maggio è stato l’ultimo giorno di attività nella sede di via dei Colombi: ora gli aspiranti professori potranno iscriversi solo al corso di laurea di Scienze motorie dell’Università di Cagliari, attivato già dall’anno accademico 1999-2000 (a luglio i primi otto laureati). Inaugurato nel 1976, l’Isef cagliaritano, sezione staccata di quello dell’Aquila, ha diplomato 1404 dei 1852 studenti iscritti Cagliari - Università La scuola per aspiranti professori ha ceduto il passo alla laurea in Scienze motorie L’ultima campanella per l’Isef Chiude dopo 25 anni l’Istituto superiore di educazione fisica Nessun addio ufficiale, nessun trasloco, ma la malinconia si taglia a fette, nella sede dell’Isef di via dei Colombi. «C’è in ogni cosa un inizio e una fine», scriveva Nando Monello, responsabile e fondatore della sezione cagliaritana, nella lettera rivolta agli ultimi diplomati: «L’Isef della Sardegna, dopo venticinque anni di vita, cessa la sua attività formativa». Nulla si distrugge, in questo caso: l’Istituto superiore di educazione fisica si trasforma, anzi si è già trasformato, in un corso di laurea. Però qualche lacrimuccia cade lo stesso. Il corso di laurea si chiama Scienze motorie ed esiste già da un po’, tanto che a luglio sfornerà i primi otto laureati. Ma per il primo periodo ha convissuto con il vecchio Istituto, che cercava di smaltire gli ultimi iscritti. Ora non più: il 23 maggio la sessione conclusiva dei diplomi, ma è il 31 la data che resterà agli atti come quella che ha segnato la fine della storia cagliaritana dell’Isef. Una storia fatta di 1852 iscritti, di cui 1404 diplomati: tolte le 352 rinunce, restano poco meno di cento studenti ancora in corso che potranno continuare col nuovo ordinamento. «Certo che c’è malinconia», sorride Monello, anche lui coinvolto nella trasformazione: attualmente è il responsabile delle discipline tecniche del nuovo corso di laurea, coordinato da Alessandro Mathieu. «Soprattutto se pensiamo a un quarto di secolo di storia di questa istituzione, e a quello che ha significato per i sardi». Utile per tanti motivi, l’Isef, ma uno più di tutti: «Prima per diventare insegnanti di educazione fisica era necessario andare a studiare fuori dall’isola. Oppure venivano dal resto d’Italia a colonizzare le cattedre delle scuole sarde. Dal 1976 non è più successo». Quell’anno ha visto la fine di una battaglia durata un decennio, da quando, agli inizi degli anni ’60, il boom della scuola dell’obbligo aveva creato una domanda di insegnanti che in Sardegna era decisamente superiore alle disponibilità. Non fu facile trovare una soluzione: assente la Regione, qualche progetto che sembrava destinato ad avere fortuna finì nel cestino del ministero della Pubblica istruzione, anche l’Isef di Roma disse no alla proposta di istituire una sede staccata a Cagliari. «Alla fine accettò l’Isef dell’Aquila», racconta Nando Monello, «ma fu decisivo l’aiuto del sottosegretario alla Pubblica istruzione che a quei tempi era un sardo, Giovanni Del Rio». Le foto ricordo degli esordi sono roba da album dei pionieri: «Non c’era una sede, dovevamo chiedere ospitalità alle varie scuole e gli allievi erano costretti a correre da una parte all’altra della città. Dal ministero arrivavano pochissime risorse». E gli iscritti erano considerati studenti di serie B dall’Opera universitaria: ci volle una battaglia per ottenere che fossero ammessi alla mensa. «Andai io stesso dal presidente per fargli vedere la legge (del 1958) che equiparava l’Isef alle altre istituzioni universitarie. Lui mi chiese scusa: sa, mi disse, di questo non eravamo al corrente». A creare problemi ci si metteva anche la “casa madre” dell’Aquila, che spesso pagava i docenti in ritardo. Difficoltà enormi fino al 1984: poi finalmente la Regione batte un colpo e stanzia 950 milioni all’anno per l’Istituto. «I nostri iscritti andavano a seguire le riunioni del Consiglio regionale con la maglietta Isef, tanto perché si ricordassero di loro. E il giorno dell’approvazione della legge in nostro favore hanno applaudito tutti, di qualsiasi colore politico». Nel frattempo arriva anche la sede di via dei Colombi, migliora la didattica, nasce la ricerca. Tra gli studenti passano parecchi nomi significativi dello sport sardo, da Tore Serra a Beppe Muscas, «ma sono troppi per ricordarli tutti. E molti altri sono diventati istruttori federali». Una storia gloriosa che non andrà dispersa: in buona parte il corso di laurea in Scienze motorie raccoglie anche il personale Isef (tutti gli amministrativi, quasi tutti i docenti). E via dei Colombi almeno per ora resta il quartier generale della parte “tecnica”: più avanti si vedrà. Nulla si distrugge, insomma. «Ma quel pizzico di malinconia - conclude Nando Monello - non me lo toglie nessuno». Giuseppe Meloni Isef di Cagliari DISCIPLINE TEORICHE MA NON SOLO Il debutto è stato nell’autunno del 1999: al primo “giro” il corso di laurea in Scienze motorie ha accolto 150 studenti, ora le matricole ogni anno sono solo 100 (numero chiuso). Si tratta di un corso interfacoltà, coordinato dalla facoltà di Medicina ma nato dalla collaborazione con quelle di Scienze della formazione e Scienze matematiche, fisiche e naturali. In origine il piano di studi era quadriennale, ma a partire dal 2001-2002 anche in questo settore è intervenuta la riforma generale dell’università, quella del cosiddetto “tre più due”: tre anni per la laurea, cinque per il diploma specialistico. L’ordinamento degli studi prevede discipline di diverso tipo, teoriche e tecniche. Tra gli esami del triennio compaiono fisica applicata e biochimica, anatomia e fisiologia umana, psicologia e pedagogia, igiene e alimentazione. E poi teoria e metodologia del movimento umano, tecniche dell’attività motoria (relativa alle varie età, alle attività di gruppo, all’attività preventiva e compensativa e così via), sport individuali e di squadra, sport natatori, teoria e metodologia dell’allenamento. «È un piano di studi equilibrato», commenta Nando Monello, responsabile tecnico del corso presieduto da Alessandro Mathieu, «mentre in altre università sono state privilegiate le materie teoriche. Un risultato ottenuto con la collaborazione di tanti, in particolare del rettore Pasquale Mistretta». Il corso di Scienze motorie è anche su internet, all’indirizzo http://pacs.unica.it/scienzemotorie/index.html. _________________________________________ Corriere della Sera 8 giu. ’02 ESAMI, UN GIOVANE SU 5 PRONTO A FARE USO DEL DOPING Sondaggio tra i candidati. Il farmacologo: può essere devastante ROMA - Allarme doping per gli studenti sotto esame. Dai dati di un sondaggio on- line ancora in corso nel sito Studenti.it, due maturandi su dieci, almeno a parole, sono «pronti a tutto» per superare stress e stanchezza. E se il 19% dei partecipanti clicca sulla risposta: «Non pongo limiti», ce n’è un 8,7% che si aiuterà con «quello che la medicina mette a disposizione, anche le cose più forti». E un 20,6% che opterà per «cose leggere e possibilmente naturali». Più di tre studenti su dieci, comunque, arriveranno all’esame di Stato contando sulla propria preparazione. E il 15,9% si farà aiutare solo da «un po’ di fame nervosa». Secondo il presidente dell’Osservatorio sui minori, Antonio Marziale, la tendenza a impasticcarsi prima delle interrogazioni sta diventando «una vera e propria devianza». Ma il professor Alessandro Tagliamonte, docente di Farmacologia all’Università di Siena, ridimensiona l’allarme: «Si è sempre fatto. L’importante è farsi consigliare da un medico e ricorrere a questi "aiuti" farmacologici solo in casi eccezionali. Altrimenti l’effetto può essere devastante». «I miei genitori - racconta il farmacologo - mi davano il "fosforo De Angelis". Nulla di nuovo». Ma non si corrono rischi? «Certo. L’abuso di anfetamino-simili può portare a psicosi paranoide», risponde il professor Tagliamonte. Ma se dosati da un medico, e mai assunti più di una volta al mese, possono dare una marcia in più. «Lo stesso Kennedy - ricorda - ne faceva uso prima dei discorsi. Danno un’assertività che può aumentare il carisma del candidato, se ne ha. E aiutano a non fare errori». Sbagliare dose, avverte, può portare alla fase «down» e a una sicura bocciatura. Guai anche ad alternare questi stimolatori a sonniferi. Contro la paura da esame meglio non pensare agli spinelli: secondo il farmacologo «rimbambiscono». «Pericolosissimi» i sedativi: «meglio - conclude - i beta-bloccanti, che diminuiscono le palpitazioni. O, al limite, mezzo bicchiere di vino prima dell’esame». _________________________________________________ La Nuova Sardegna 7 giu. ’02 SE IL RICERCATORE UNIVERSITARIO DECIDE DI INVESTIRE NEL MONDO IMPRENDITORIALE SASSARI. Un ricercatore può diventare imprenditore nel settore nel quale ha investito anni di studio? Sì, basterebbe avere l'idea giusta. In realtà i ricercatori spesso preferiscono investire nel rassicurante mondo universitario ed evitare così di confrontarsi con il mercato. Come aiutare quindi i giovani studiosi a superare gli ostacoli? Il seminario "Ricerca e creazione d'impresa" tenutosi nella sede della Porto Conte ricerche a Tramariglio ha affrontato il problema e, a giudicare dal numero dei giovani ricercatori accorsi, ha avuto molto successo. Organizzato dalla Porto Conte ricerche, il seminario ha avuto il contributo delle facoltà di Medicina, Agraria e Veterinaria, dell'istituto Zooprofilattico e della società Nurex, che si occupa di ricerca nel campio bio- medico. Ha aperto i lavori il presidente della Porto Conte Ricerche, Giovanni Antonio Farris, che ha toccato subito il punto dolente: "Il ricercatore è una figura professionale che spesso non riesce a intravedere un orizzonte diverso da quello del laboratorio in cui lavora". Ma il ricercatore può permettersi di non guardare al di là del proprio orticello? No, perchè oggi la ricerca "non è più di esclusiva competenza dell'università ma va ad inserirsi in tutti gli aspetti produttivi della società". Si devono però creare le occasioni e, anche se sembra ci siano ostacoli insormontabili, esistono gli strumenti per superarli. Per Mario Selis, ex amministratore delegato del Centro Ricerche scientifiche Crs4 di Cagliari, "in questi anni la Regione ha fatto tanto, ha investito in conoscenza e soprattutto in borse di studio". Adesso però è il momento di entrare in fase "che permette di creare una cultura aziendale e di organizzare un nuovo rapporto tra i ricercatori e i centir di ricerca". Secondo Selis, infatti "il ricercatore si deve sentire parte dell'azienda di ricerca senza però che venga mortificato il suo individualismo e la sua fantasia". Si deve poi, "trovare il giusto equilibrio tra i vincoli che il giovane studioso ha con il centro di ricerca e la sua libertà di movimento. Una libertà questa che deve essere stimolata visto che costituisce l'occasione per creare scambi di conoscenze con l'esterno". Secondo Daniele Congiu, consulente aziendale dell'area market, un balzo in avanti nella formazione si avrebbe se il ricercatore "comprendesse a fondo i bisogni dell'azienda". Per far questo però anche il centro di ricerca deve fare la sua parte "posizionandosi sul mercato in modo da mettere a disposizione la sua rete di contatti". Paolo Trudu e Mario Podda della società Sviluppo Italia Spa, oltre a fornire il quadro legislativo nel quale ci si deve muovere per ottenere i fondi necessari per creare un'azienda, hanno esposto i contenuti del programma Startech, rivolto a chi vuole concretizzare idee vincenti nell'ambito dell'innovazione tecnologica. Il programma Startech non impone limiti di età ed è aperto a qualunque progetto sviluppato nel settore della ricerca. "Sviluppo Italia - ha spiegato Trudu - partecipa attivamente alla costituzione del capitale dei progetti presentati fino ad un massimo del 49%". Il progetto viene valutato da un gruppo di esperti e se l'idea è valida ci occupiamo di creare il team imprenditoriale che deve occuparsi del potenziale business". Franca Mannu, ex ricercatrice e ora amministratore delegato della Nurex, società che si occupa di ricerca e sviluppo nel campio bio-medico, ha raccontato la sua esperienza imprenditoriale. "La nostra società è nata nel 1995 dopo qualche anno di collaborazione con l'università. Il settore che abbiamo scelto è quello della produzione di kit bio-medici. Inizialmente abbiamo cominciato con un piccolo laboratorio di tre dipendenti convenzionato con le università di Sassari e Torino e ci siamo finanziati con le anticipazioni dei soci. Dal '99 al 2001 abbiamo aumentato la produzione, siamo passati a 12 unità impiegate nell'azienda, abbiamo finanziato l'attività con le vendite e aperto una sede a Cagliari". Un'esperienza, quindi, vincente. _________________________________________ L’Unione Sarda 6 giu. ’02 CAGLIARI: "INGEGNERIA MERITA PIÙ RISORSE" APPELLO DEL PRESIDE Università di Cagliari. La Facoltà ha bisogno soprattutto di aule e laboratori attrezzati "Ingegneria merita più risorse" Appello del preside (confermato) Francesco Ginesu Una facoltà a misura di studente, dove la formazione si muova in sintonia con una struttura efficiente e con le prospettive occupazionali. È il sogno-progetto di Francesco Ginesu, appena rieletto con maggioranza assoluta alla carica di preside di Ingegneria. Chiede più aule per i nuovi corsi, applaude la riforma universitaria, rivendica la leadership della sua facoltà che è stata la prima a istituire le lauree brevi nell’ateneo cagliaritano. Ma soprattutto invoca il decentramento dell’autonomia e delle risorse. Il suo è un programma che guarda al futuro: "Siamo stati i primi a scommettere sulla riforma e sul nuovo ordinamento - spiega Ginesu- ora però tutti, dai docenti agli studenti, devono compiere uno sforzo per cambiare mentalità adeguandola a una realtà che è già diversa. Non è più possibile pensare che un giovane si laurei in dieci anni, come purtroppo è accaduto sino all’anno scorso anche da noi". La globalizzazione impone il confronto col resto d’Europa, "dove un ragazzo a 21 anni ha già in tasca la laurea di primo livello, e a 24 di secondo livello. Partiamo però da ottime basi: chi si laurea qui può contare su una formazione ottima, e raramente resta più di un anno senza lavoro". È proprio questo il fiore all’occhiello di Ingegneria: una laurea che è già una specializzazione, che offre scenari occupazionali che altre facoltà non possono vantare. Professor Ginesu indica in alcuni settori la strada ideale per gli aspiranti ingegneri, che ogni anno si iscrivono in 1100 per un totale di circa 7000 attuali iscritti. Ma come può crescere la facoltà di Ingegneria, per diventare realmente più moderna come il preside la vorrebbe nel suo secondo mandato? Per prima cosa dovrà risolvere il disagio comune a molte altre facoltà: la carenza di aule. "Oggi possiamo contare sul campus di piazza d’Armi, sul nuovo caseggiato di via Is Maglias e sui locali presi in prestito di Ponte Vittorio e della clinica medica. Troppo poco, gli studenti sono spesso disorientati, attendiamo perciò l’ampliamento del campus e almeno una nuova aula in via Is Maglias. Il primo passo per crescere sarà però la realizzazione di laboratori di sperimentazione più specializzati, dove poter simulare perfettamente i fenomeni industriali e chimici". Ciò potrà però accadere soprattutto se verrà accolto l’appello del preside di Ingegneria: avere una Università meno centralizzata, con più potere decisionale per le facoltà. "Il mio modello di amministrazione dell’ateneo è la creazione di poli decentrati - spiega Francesco Ginesu- con regole chiare che consentano una giusta ripartizione delle risorse. Una facoltà come la nostra deve sapere chiaramente su quali fondi può contare, e poterli amministrare in autonomia". Jacopo Norfo _________________________________________ Il Sole24Ore 5 giu. ’02 SCUOLE A RILENTO SULL'AUTONOMIA Per la Luiss realizzazione a metà strada (NOSTRO SERVIZIO) ROMA - Autonomia a metà per gli istituti scolastici. Un rapporto dell'università Luiss, che sarà presentato venerdì prossimo a Roma, mette in luce le numerose difficoltà - ma anche alcuni segnali positivi - di una riforma ancora da realizzare fino in fondo. Ieri, intanto, i sindacati hanno discusso con il ministero dell'Istruzione sui compensi per i commissari d'esame di maturità. Si apre, inoltre, un tavolo di confronto per il concorso presidi. Autonomia in mezzo al guado. La ricerca della Luiss, svolta su circa un migliaio di scuole, dimostra che le scelte consentite dall'autonomia sono state fatte solo dalla metà degli istituti. Il 56,97% ha adottato schemi di orario diversi da quelli ministeriali e il 51,91% ha fatto ricorso a gruppi-alunni differenti dal gruppo-classe tradizionale. Per quanto riguarda l'autonomia organizzativa e gestionale, nel 45,62% dei casi non viene utilizzato nessuno strumento di "ascolto" con funzioni di verifica: la "pratica della cultura dell'autovalutazione di istituto" è seguita solo dal 40% circa degli istituti, con questionari rivolti ai docenti, mentre soltanto attraverso sondaggi sono stati interpellati i genitori. Per quanto riguarda la gestione dei "costi del servizio", l'entrata in vigore dell'autonomia ha provocato per il 52% delle scuole variazioni parziali, e non sostanziali, nell'impiego del budget di istituto. La trattativa sui compensi ai commissari per la maturità. I sindacati, dopo l'incontro di ieri, si dichiarano «insoddisfatti» ed esprimono giudizi negativi, ma il ministero non molla. L'ultima proposta di Viale Trastevere ai sindacati prevede, per i presidenti di commissione, un incremento dell'1,7%, rispetto al compenso dell'anno scorso, e aumenti variabili in funzione del numero di classi che vanno dal 20 all'80% del compenso-base. Per i docenti stesso incremento percentuale (+1,7%) rispetto al 2001 e aumenti ulteriori che vanno dal 50 al 100% del compenso base, a seconda delle classi aggiuntive nello stesso istituto o in un'altra scuola. Oggi ci potrebbe essere un nuovo incontro e a Viale Trastevere non si esclude che si possa arrivare all'accordo. Ieri un gruppo di senatori Ds della commissione Istruzione (Maria Chiara Acciarini, Luigi Berlinguer, Vittoria Franco, Maria Grazia Pagano e Fulvio Tessitore) ha annunciato un'interrogazione parlamentare per protestare contro quella che definiscono una «situazione di vantaggio per i diplomifici» e per sollecitare «stanziamenti adeguati per le commissioni d'esame». Parte il confronto sul concorso presidi. Cgil, Cisl e Uil hanno fatto sapere che c'è «un formale impegno» del sottosegretario all'Istruzione, Valentina Aprea, per l'apertura di un tavolo sulla questione del concorso per i dirigenti scolastici. Il sottosegretario Aprea, si sottolinea nella nota, «ha condiviso le richieste sindacali, in modo particolare la richiesta di un unico globale provvedimento che riguardi contestualmente presidi incaricati e docenti e dia certezze sul numero dei posti e sui tempi del concorso». In grande movimento anche l'Anp (Associazione nazionale presidi), che ha tenuto lunedì scorso una manifestazione nazionale di protesta. Il presidente Giorgio Rembado, in una lettera ai vertici del ministero, sottolinea la necessità di reclutare «4.000 unità nel prossimo triennio, e non certo le 1.500 ipotizzate» da un'intesa di Viale Trastevere con il ministero dell'Economia che riguarda solo i presidi già "incaricati" ora di svolgere la funzione di capo di istituto. Marco Ludovico _________________________________________ Il Sole24Ore 4 giu. ’02 POLITECNICO, LA FABBRICA DEI CERVELLI di Luigi Paini «Fatto»: eccola la parola che piace di più al Politecnico di Milano. «Fatto, costruito, realizzato», al di là delle promesse, delle vuote parole, dei programmi che restano montagne di carta. Nell'atrio del Rettorato, in piazza Leonardo da Vinci (il nome è già un bel biglietto da visita...) nei giorni scorsi è rimasta esposta una piccola mostra dedicata ai laureati insigni dell'ateneo. Un pezzo di storia d'Italia, una parata di genii che culmina nel pannello riservato a Giulio Natta, premio Nobel per la Chimica nel 1963: «Fatto il polipropilene», questa la lapidaria frase da lui annotata sul suo diario, addì 11 marzo 1954. «Fatta» una cosa che avrebbe cambiato il mondo, la vita quotidiana delle persone, il modo di produrre un'infinità di oggetti. Il fare, dunque, ma sempre illuminato da un sapere che viene da lontano, che non recide mai il legame con un passato glorioso. «Quest'anno ci troviamo alla Bovisa - così iniziava la sua relazione il rettore uscente Adriano De Maio, inaugurando l'anno accademico - in una sede inusuale per una manifestazione come questa. La Galleria del vento è uno spazio destinato alla ricerca e un gioiello tecnologico di prestigio internazionale, di cui andiamo fieri, ma non è un'Aula magna. Nei nostri programmi però abbiamo preferito privilegiare spazi di studio e di ricerca: quando avremo terminato il necessario, costruiremo l'Aula magna». La cultura del fare. Parole che avrebbero un forte significato ovunque, ma che risuonano ancora più forti a Milano. Qui infatti per decenni il Politecnico, scuola d'eccellenza riconosciuta in tutto il mondo, è stato costretto a lottare con situazioni logistiche al limite della decenza: migliaia di studenti obbligati a "migrare" in vari luoghi della città affittati a caro prezzo, e addirittura in sale cinematografiche, lezioni tenute da eminenti cattedratici in spazi di fortuna. Uno scandalo che finalmente è finito. Il Politecnico che il rettore De Maio sta per lasciare dopo due mandati consecutivi - per statuto non si può andare oltre gli otto anni - ha cambiato pelle. Il primo giro di votazioni per nominare il successore è in programma oggi (si veda la scheda a lato). Uno dei problemi più gravi è la carenza drammatica di spazi. Nel 1964 l'ateneo poteva contare su 16 mq per studente: nel '94 l'indicatore era precipitato a 3,6, mentre in Europa, ricorda il rettore, le università tecniche d'eccellenza non scendono sotto i 18 mq per studente. La risposta dell'ateneo milanese è stata il "Politecnico rete". Dalla fine degli anni 80 si sono aperte nuove sedi sparse sul territorio: nel 1989 Como, Lecco e gli approcci iniziali al nuovo polo cittadino di Milano Bovisa, all'interno di un'imponente area industriale dismessa che proprio con l'insediamento universitario ha ricominciato a vivere, nel '91 Cremona, seguita da Mantova nel '94 e da Piacenza nel '97. Questa organizzazione, fatta propria da De Maio e novità assoluta in Italia, permette di usufruire dei vantaggi sia della grande dimensione - una massa critica di risorse adeguata ai più impegnativi e dispendiosi programmi di ricerca - sia delle piccole dimensioni: primi fra tutti un rapporto diretto tra insegnante e studente e una comunicazione più facile tra gli stessi allievi. Interazione con il territorio. Ma la terza ragione è forse la più importante. Un'università d'eccellenza resta tale solo se è capace di interagire con l'apparato produttivo presente sul territorio. Ed è questa la scommessa del Politecnico rete: essere parte attiva dello sviluppo, "sentire il polso" della realtà in cui è inserito, operare con continuità ai progetti di riqualificazione e rilancio, in un ambiente economico competitivo ed estremamente mobile come quello contemporaneo. Tornano alla mente i volti della mostra in Rettorato: i "quattro moschettieri" dell'architettura (Banfi, morto a Mauthausen, Belgiojoso, Peressutti e Rogers) dello studio BBPR, Aimone Jelmoni, padre dell'Autostrada del Sole («La proposta della doppia corsia fu giudicata da megalomani»...), Marco Zanuso, Gio Ponti, Piero Portaluppi, Giovanni Muzio, e via indietro nel tempo, fino a laureati illustri come Angelo Salmoiraghi, Giovanni Battista Pirelli, Alberto Riva, Enrico Forlanini. Il rapporto con la realtà produttiva - milanese, lombarda, italiana e internazionale - sempre al centro dell'attenzione ha reso il Politecnico altrettanto grande nella sezione ingegneri come in quella architetti, le due storiche divisioni dell'ateneo. I rapporti internazionali sono la nuova sfida ineludibile. Non è certo la lingua lo scoglio più grave («Possiamo organizzare corsi in inglese» sottolinea De Maio), ma le ridotte capacità di accoglienza e l'ancòra scarsa flessibilità organizzativa. Qualcosa però si sta muovendo. Un esempio concreto è il programma Time, dedicato a studenti di ingegneria che aspirano a conseguire una doppia laurea frequentando per due anni una delle 36 università tecniche europee d'eccellenza che aderiscono all'iniziativa. Nel giugno 2000 sono stati 100 i laureati che hanno conseguito il doppio titolo grazie al programma. Un secondo progetto d'eccellenza internazionale è Unitech, promosso dalle migliori università europee per la formazione di top manager. Il nodo dei costi. Tutto questo, ovviamente, costa molto. Punto dolente, come De Maio non si stanca di sottolineare. Pur raddoppiato in sei anni - da circa 65 a quasi 140 milioni di euro - il Fondo di finanziamento ordinario continua a rimanere ampiamente insufficiente, mentre le tasse e i contributi degli studenti «sono in costante diminuzione percentuale sul Fondo: dal 53% del '95 al 28% del 2001». E tutto questo anche a causa di una legislazione assurda, che impedisce di chiedere anche agli studenti "che possono" un contributo più adeguato ai servizi che ricevono. Intanto la "fabbrica dei cervelli" continua a muoversi. Per il prossimo anno accademico verrà attivato a Piacenza il nuovo corso in Architettura dei luoghi della mobilità e urbanistica dei tempi, che, aggiungendosi al corso già esistente in Ingegneria dei Trasporti, caratterizzerà sempre più la sede emiliana come polo nazionale per la formazione specialistica nel settore dei trasporti, una delle chiavi dello sviluppo. E Milano? Il futuro - in gran parte già presente - si chiama Bovisa. Nei luoghi di Rocco e i suoi fratelli, negli angiporti descritti da Testori, negli angoli segreti amati da Olmi, dopo la morte della chiusura delle fabbriche sta tornando la vita. Ogni giorno 10mila studenti affollano le nuove aule, le biblioteche e, perché no?, le caffetterie: divisi in tre facoltà - Architettura, Ingegneria e Disegno industriale - ospitate nei capannoni delle ex fucine Fmb e Ceretti & Tanfani sono la dimostrazione visiva di quella "cultura del fare" che resta il marchio di fabbrica del Politecnico di Milano. _________________________________________ L’Unione Sarda 3 giu. ’02 IGLESIAS: L’UNIVERSITÀ METTE RADICI Annuncio dell’assessore Italo Masala: «In città il quinto “polo” regionale» L’Ausi chiede corsi di lingue e ingegneria La città mineraria sarà uno dei cinque poli universitari dell’Isola. L’ha annunciato l’assessore regionale alla programmazione, Italo Masala, qualche giorno fa quando ha affrontato i diversi temi regionali, compresi quelli della scuola. «L’università diffusa - ha sostenuto l’assessore - non significa dislocare strutture didattiche su tutto il territorio isolano, ma mettere tutti nelle condizioni di studiare ritenendo che debbano essere cinque i poli che debbano funzionare nell’Isola». Insomma, lo studio può anche essere “diffuso”, ma senza strutture universitarie stabili. Italo Masala, per evitare equivoci, ha anche indicato i luoghi dove i “poli” dovranno nascere: «Devono stare - ha spiegato - nei capoluoghi delle quattro province e ad Iglesias». Un riconoscimento che ha riempito d’orgoglio l’amministrazione comunale iglesiente. Da cinque anni (quando ci fu lo storico accordo tra l’allora sindaco Mauro Pili e il rettore Pasquale Mistretta), l’Università iglesiente sta crescendo. «E noi - ha annunciato il sindaco, Paolo Collu - vogliamo continuare per questa strada». Un’anteprima è emersa dalla riunione dell’Ausi (il consorzio costituito per sostenere l’Università iglesiente), che si è svolta venerdì scorso. «Abbiamo pensato ad un corso d’ingegneria - ha osservato Paolo Collu -, in modo da dare continuità alla specializzazione Scienze dei materiali». Un’altra richiesta si trova già sul tavolo del rettore e riguarda un corso di lingue. Il consiglio di amministrazione ha accolto la proposta emersa dalla discussione e, dunque, la richiesta partirà presto alla volta del rettore. Quest’anno scolastico poi è ritenuto di grande importanza, dato che l’Università iglesiente assegnerà, per la prima volta, la laurea ai diplomati che avevano deciso di continuare il corso anche negli ultimi due anni. «Dovremo organizzare una cerimonia in grande stile nella sala compressori - annuncia Collu - dato che per Iglesias quel giorno rappresenterà il momento conclusivo di un percorso didattico cominciato cinque anni fa. Nello stesso tempo rappresenterà l’inizio di un altro percorso: quello del potenziamento, come abbiamo già cominciato a fare per creare quella cittadella, o “polo” universitario, indispensabile per far crescere il nostro territorio». Nella stessa riunione, il sindaco ha fatto sapere che la Giunta comunale ha assegnato all’Ausi un contributo di 50 milioni di vecchie lire perché possano essere effettuati una serie di lavori necessari nel primo piano della villa Bellavista, dove s’intende creare l’aula magna della stessa Università. Per il sindaco, infatti, non ci sono parchi geominerari che tengano: la storica palazzina, dove una volta si sistemò la direzione della società Monteponi-Montevecchio, dev’essere assegnata all’Università, mentre per la sede del parco ha proposto un’altra storica palazzina, quella di via Monteverdi, che fino a poco tempo fa ospitava la direzione dell’Ente minerario sardo. Antonio Martinelli _________________________________________ La Nuova Sardegna 7 giu. ’02 CAGLIARI: RUSPE SULLA STORIA ANTICA DELLA CITTÀ Archeologi in allarme per i lavori nell'area della caserma dei carabinieri di San Bartolomeo "Distruggono le tracce della nostra vita preistorica" Roberto Paracchini CAGLIARI. Scempio archeologoco? L'allarme parte dal livello più alto. Enrico Atzeni, già direttore del dipartimento di archeologia dell'università e professore ordinario di archeologia sarda, con una matita disegna il luogo dove ha visto "quella cosa" che l'ha "fortemente scosso". Al lato della strada che conduce al borgo Sant'Elia, alla fine del muro della caserma di San Bartolomeo vi sono lavori in corso, con terra portata da una cava che erode il colle e le grotte dei primi segni di vita preistorica della zona. "È molto grave che quella terra venga presa dal retro, dove ci sono cave non più utilizzate". E dove ci trovano segni evidenti di "celle artificiali", grotte create dall'uomo, testimonianze importanti della storia della città. Enrico Atzeni allarga le braccia. In qualità di ispettore onorario della sovrintendenza ai Beni archeologici, si chiede che cosa stia capitando e come è possibile che uno dei luoghi-testimonianza dei primi insediamenti umani del luogo, sia trattato con tanta superficialità: "Chiedo di sapere se sono stati dati tutti i permessi ed, eventualmente, chi li ha rilasciati? E perchè, con quali motivazioni? È possibile che i militari agiscano senza alcun controllo?". Enrico Atzeni è amareggiato, assieme a tanti altri studiosi, sa che in quella zona ci sono tracce archeologiche importantissime. Non lo afferma sulla base di ipotesi, bensì di studi già fatti e documentati, con tanto di reperti e pubblicazioni scientifiche. Anche perchè la parte più importante di questi scavi li ha condotti proprio lui, Atzeni, negli anni sessanta. Le prime esplorazioni archeologiche furono realizzate, addirittura, agli inizi del Novecento ("dal Taramelli"), poi da Atzeni. Gli scavi dicono che proprio in qualla zona esiste la grotta di San Bartolomeo, detta anche del Bagno penale che esisteva in quell'area sino agli anni Venti del Novecento. In quella grotta (d'abitazione e sepolcro) del neolitico medio (seimila anni fa) sono stati rilevati importanti reperti: armi, utensili, tra cui un vaso con decorazioni quasi intatto. Nelle cavità di Capo Sant'Elia, in pratica, sono satati trovati i primi e più antichi indizi di vita preistorica cagliaritana. Ora i militari stanno danneggiando proprio quell'area. Di fronte alle oper citate c'è un cartello che recita "Lavori di ampliamento per la realizzazione di un autoparco e di uno spazio per l'addestramento delle unità cinofile". Il tutto per il comando generale dell'arma dei carabinieri. Nelle settimane scorse il senatore Mariano Delogu (An) ha presentato un'interrogazione al ministro competente per sapere come mai la scelta di fare un autoparco e un centro addestramento per cani proprio in un'area così pregiata. Ma la risposta deve ancora arrivare. La decisione, di fatto, è stata presa nel Comitato paritetico Stato-Regione, che ha dato parere positivo all'intervento proposto dai militari. All'incontro era presente anche il comune di Cagliari ma solo - come previsto per legge - con parere consultivo. In quell'occasione, si rileva dagli atti, Cagliari domandò che si chiedesse il parere della soprintendenza. Il responsabile dei beni archeologici, Vincenzo Santoni, diede parere favorevole ai lavori, pur ammettendo che nell'area ci sono delle "celle artificiali". Poi la questione si è ulteriormente complicata. L'amministrazione comunale, già perplessa per "l'inopportunità di quegli interventi", oggi lo è ancora di più. Pare, infatti, che le opere che si stanno facendo, tra le altre cose, vadano ben oltre quello che era stato promesso in sede di Comitato pariterico. "Ma come si fa - lamenta Antonio Romagnino, presidente onorario di Italia nostra - a operare in una zona così delicata e archeologicamente ricca, senza sentire lo studioso, Andrea Atzeni, che più di ogni altro ha studiato quella zona. Possibile che Cagliari ripeta insistentemente gli stessi errori, prima con l'anfiteatro romano, poi con la bruttura degli ascensori, ora con questa nuovo intervento? Possibile che nessuno sappia difendere il paesaggio della città". Anche l'archeologo e accademico dei Lincei, Giovanni Lilliu, è sconcertato e rimanda all'autorità del settore, Andrea Atzeni. Perchè il comitato paritetico Stato-Regione non l'ha consultato? Allarme anche da parte di Legambiente: "Per molto tempo i militari - sottolinea il presidente regionale, Vincenzo Tiana - hanno protetto il territorio da lottizzazioni selvagge. Ora, però, vogliono espandere la loro attività. Mentre la sensibilità ambientale è tale che tutti devono rispettare il paesaggio, militari compresi: anche loro devono assoggettarsi alle norme di tutela territoriale che regolano questa materia". Andrea Atzeni e, come lui, tanti altri studiosi si sentono smarriti in una città che progetta mostri, "come quando si è parlato di una funivia da piazzare sulla Sella del Diavolo", (poi rientrata). "Che cosa sta capitando?". Anche il Centro culturale anziani di Sant'Elia è allarmato. "A nessuno - conclude Romagnino - deve essere permesso irridere e offendere la memoria e la storia della città". =========================================================== _________________________________________ Il Sole24Ore 8 giu. ’02 LA SANITÀ MINA I BILANCI DELLE REGIONI Corte dei conti - L'allarme lanciato dalla magistratura contabile nel rapporto sulla finanza locale depositato ieri in Parlamento Crescono i costi per farmaci e personale Ssn - Senza risorse aggiuntive in pericolo i livelli essenziali di assistenza ROMA - La spesa per farmaci che cresce con «inusitata effervescenza». I costi del personale Ssn che sotto la spinta dei contratti macinano aumenti da record. I tagli alle liste d'attesa che potrebbero riservare altre amare sorprese per i conti di Asl e ospedali. E quel patto di stabilità dell'agosto 2001 che rischia seriamente di non poter reggere l'onda d'urto di incrementi da primato, se non assestando un colpo d'accetta ai Lea (Livelli essenziali di assistenza) e dunque riducendo le cure oggi garantite agli italiani. La spesa sanitaria si conferma il capitolo più scottante per la tenuta dei bilanci regionali. È anzi un «allarme» in piena regola, ammonisce la Corte dei conti. Che sollecita il Governo, rispetto alla condizione nel suo complesso dei conti pubblici, a mettere in moto riforme strutturali e di largo respiro. Arriva dal rapporto della magistratura contabile sulla «finanza regionale 2000-2001», appena depositato in Parlamento, la nuova e più documentata analisi sull'andamento dei bilanci degli enti territoriali. Un'analisi che denuncia l'esistenza ancora di troppe zone d'ombra, soprattutto per quella "voce Sanità" che rappresenta la parte preponderante, se non decisiva, dei conti amministrati dai "governatori" all'epoca del federalismo. Con riflessi che si allungano in maniera preoccupante sul bilancio dello Stato. Non a caso il presidente della Corte dei conti, Francesco Staderini, non ha esitato ieri a sottoscrivere le «Considerazioni finali» del Governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio: «Sono pienamente d'accordo con le sue preoccupazioni e con le sue richieste d'intervento - ha dichiarato Staderini -. Noi auspichiamo riforme di carattere strutturale e non congiunturale». Una riflessione, quest'ultima, svolta in riferimento alla cartolarizzazione del patrimonio immobiliare avviata col Dl taglia-deficit. «Le cartolarizzazioni sono uno strumento moderno e utile - ha detto Staderini - ma non sono il modo per ripianare i disavanzi». Il baratro dei conti Ssn. «Allarmante»: questo il giudizio della Corte sull'ormai noto incremento di spesa del 2001: +6,3 per cento. A dispetto di un ripiano di 3,4 mld €, infatti - aggiunge il «rapporto Sanità» curato dal consigliere Rita Arrigoni - le Regioni hanno a che fare con un extradeficit da 2,8 mld € (si veda «Il Sole-24 Ore» del 5 giugno). E se nel quadriennio 1998-2001 il Pil è cresciuto del 4,3%, la spesa corrente sanitaria è lievitata del 6,7% nel 2000 e del 7,6% nel 2001. E se non bastasse, ecco le cattive avvisaglie del 2002 per il quale già le Regioni stimano un rosso da 2,8 mld €: nuvole nere si addensano per l'impennata della farmaceutica (+9,2% nel primo trimestre dopo un +15% in gennaio), ma anche per l'aumento del costo del personale e per «gli obiettivi del Governo per la riduzione delle liste d'attesa». Basteranno a questo punto le risorse del patto di stabilità dell'8 agosto 2001? La Corte non è affatto convinta. Anzi. Tanto che, senza iniezioni di liquidità, si può ragionevolmente pensare che se le Regioni verranno penalizzate con la sanzione prevista in caso di mancata tenuta degli obiettivi concordati, difficilmente potranno garantire i livelli di assistenza. Con tanto di possibili iniquità nell'accesso alle prestazioni. Emilia promossa, Lazio bocciato. Un quadro, quello descritto dalla Corte dei conti, da leggere entro le singole realtà regionali. Alle quali la magistratura contabile dedica un paragrafo ad hoc. Assegnando la promozione al modello dell'Emilia Romagna e un voto più basso a quello lombardo. Ma bocciando sonoramente conti e strategia del Lazio. Berlusconi: meno pillole nelle scatolette. Intanto il premier, Silvio Berlusconi, promette: «Interverremo presto per contenere la spesa sanitaria». Come? Riducendo le pillole nelle scatolette dei farmaci. E dà la colpa alla sinistra e all'eliminazione dei ticket per il boom dei farmaci. Sirchia e le Regioni: tutti «preoccupati». La Corte conferma la «grave preoccupazione» dei ministri della Salute e dell'Economia sulla tenuta della spesa e sull'applicazione uniforme dei Lea e sull'accesso alle cure, ha dichiarato Girolamo Sirchia. «Preoccupazione fortemente avvertita dalle Regioni», ha aggiunto il rappresentante dei "governatori", Enzo Ghigo. Mentre il suo "vice", Vasco Errani (Emilia Romagna), ha subito messo in guardia il Governo dalle tentazioni di ridurre i livelli d'assistenza. Come dire: servono più finanziamenti. Liste d'attesa: c'è il numero verde. Intanto Sirchia riapre con le Regioni la partita delle liste d'attesa. Giovedì ha convocato con il collega La Loggia gli assessori per una prima verifica delle iniziative che dovevano essere prese entro fine maggio. E le ha messe a sua volta in guardia: da lunedì sarà attivato al ministero un numero verde (800571661) che raccoglierà le lagnanze degli assistiti. Sperando che i centralini reggano. Roberto Turno _________________________________________ La Nuova Sardegna 3 giu. ’02 SANITÀ, LA REGIONE INASPRIRÀ I TICKET anche sulle ricette e i singoli farmaci La giunta è alla ricerca di nuove entrate: parla di tassare i turisti ma forse a pagare saranno solo i sardi di Simona Damiani CAGLIARI. Ritorna sui farmaci il ticket in grande stile: dopo il ripristino della tassa (50 o 20 per cento) sui medicinali considerati «non essenziali», ora la Regione sta ipotizzando di chiedere ai cittadini un «contributo» oscillante tra i due e i tre euro sulle ricette e sui singoli pezzi da ritirare in farmacia. Questa soluzione, messa a punto da un comitato di consulenti dell'assessorato alla Sanità nel confronto con Federfarma e col sindacato dei medici di famiglia, potrebbe essere ufficializzato nei prossimi giorni. Sono tre le ragioni che hanno spinto l'assessorato regionale alla Sanità a verificare una nuova ipotesi dopo quella decisa il mese scorso. La prima ragione va ricercata soprattutto nel fatto che il ticket sui farmaci «non essenziali» non avrebbe avuto ridotto neanche in minima parte la spesa farmaceutica in Sardegna. La seconda ragione è che il tetto del 13 per cento della spesa farmaceutica non può essere superato pena l'obbligo di mettere una tassa per coprire il buco di bilancio. La terza ragione è che la Regione è a corto di risorse finanziarie: non solo non arriveranno dallo Stato i fondi aggiuntivi per l'annualità in corso (lo scenario ottimistico era stata annunciato dalla giunta di Mauro Pili durante l'esame della manovra finanziaria), ma non ci sono neppure le risorse sufficienti per garantire il fabbisogno di denaro liquido. Tanto che si è ripreso a parlare della «tassa d'ingresso» per i turisti, un'ipotesi in campo da vent'anni e mai attuata: la stessa giunta Pili l'aveva proposta nell'ultima Finanziaria, per poi toglierla non appena il testo è arrivato all'esame della commissione Bilancio del consiglio regionale. Il ticket sui turisti, in ogni caso, potrebbe essere applicato solo a partire dall'anno prossimo. Nel frattempo, le tasse vengono messe sui sardi. Per il momento non ci sono decisioni ufficiali sull'inasprimento del ticket. Si è però appreso che il comitato di consulenza dell'assessorato guidato da Giorgio Oppi ha incontrato - attorno a un unico tavolo - sia i dirigenti di Federfarma sia quelli del sindacato dei medici di famiglia per ricercare una soluzione che risolva i problemi della riduzione della spesa farmaceutica e dell'insufficienza delle entrate finanziarie. Dati alla mano, il comitato avrebbe dimostrato che il ticket sui medicinali «non essenziali» non ha sortito alcun effetto e pertanto potrebbe essere sostituito con due tasse diverse: la prima (due o 3 euro) sulla ricetta, la seconda (sempre due o tre euro) sui singoli pezzi da ritirare in farmacia. Dovranno essere le autorità politiche (l'assessore e la giunta) a decidere quale ipotesi scegliere. Non viene escluso che possano essere scelte entrambe (ciascuno non supererebbe i due euro) perchè solo così i tecnici pensano che possa essere realmente ridotta la spesa farmaceutica. Si parla anche di ridurre le categorie esenti. Non mancheranno le polemiche politiche. Dopo gli attacchi del Centrosinistra, che i ticket sui farmaci li aveva aboliti, l'assessore Oppi aveva preferito ridurre il numero dei farmaci «non essenziali», venendo anche incontro alle richieste dei medici di famiglia. _________________________________________ L’Unione Sarda 8 giu. ’02 SANITÀ, IL “BUCO NERO” DELLE REGIONI L’allarme della Corte dei Conti: nel 2001 un indebitamento totale di 17 miliardi Spesa fuori controllo: pesano farmaci (+15%) e personale Roma La sanità si conferma, anche per il biennio 2001-2002, il “buco nero” della spesa delle regioni e l’obiettivo di risparmio e contenimento della spesa corrente sia ordinaria che sanitaria «non può dirsi realizzato». Lo afferma la Corte dei Conti nella relazione sulla gestione finanziaria delle Regioni, presentata ieri, che giudica «allarmante» il tasso di crescita del fabbisogno sanitario. Sul piano finanziario un peso «preoccupante» ce l’hanno però anche i disavanzi pregressi accumulati dalle aziende di trasporto locale che solo tra il 1994 e il 1996 sono stati di 5.245 miliardi di lire coperti dallo Stato per il 30%. Di migliaia di miliardi di lire i disavanzi residui a carico delle aziende «non ancora certificati». Per quanto riguarda gli equilibri di finanza pubblica i conti delle amministrazioni pubbliche hanno chiuso il 2001 in rosso. L’ indebitamento netto è stato di 34.105 miliardi di lire (17.614 milioni euro) pari ad un rapporto deficit/Pil dell’1,4%». Secondo le elaborazioni della Corte dei Coti «il rapporto debito/Pil è risultato pari al 109,4% con un calo dell’1,1%, variazione la più bassa dal 1996 e inferiore del 2,9% a quella registrata nel 2000. La crescita del Pil si è abbassata all’1,8% del 2,9% del 2000». Il fabbisogno del settore statale è stato pari a 55.089 miliardi di lire (28.451 euro), superiore per 5.954 miliardi (3.075 milioni euro) a quello del 2000. In compenso nel 2001 le operazioni finanziarie delle regioni «hanno positivamente inciso sulla gestione della tesoreria per oltre 12.270 miliardi di lire (6.340 milioni euro)». Per il 2002 a preoccupare i giudici di viale Mazzini sono soprattutto «l’inusitata effervescenza della spesa farmaceutica» già evidente nei primi tre mesi dell’anno (+14-15%), l’aumento del costo del personale del comparto e gli effetti che si determineranno per le scelte del governo «in tema di riduzione delle liste di attesa». Ma dall’analisi economica della spesa sanitaria emerge che «componenti di maggiore peso percentuale» sono: personale, beni e servizi, ospedaliera convenzionata che, nel 2000 e 2001 rappresentano rispettivamente il 37%, il 22,5% e l’11,4% del totale, mentre la farmaceutica pesa percentualmente del 12,5% nel 2000 ma assorbe maggiore margine di composizione nel 2001 con il 15,8%. Prevale la spesa ospedaliera (circa il 49% della spesa totale), segue il costo delle prestazioni in ambito distrettuale (40%) mentre resta al palo la prevenzione (3%). A rischio il «raggiungimento degli obiettivi di stabilità» previsti dall’ accordo governo-regioni dell’agosto 2001. A «rimettere in discussione gli obiettivi indicati» l’emergere di una «ulteriore lievitazione nei disavanzi 2001 per oltre 5.600 miliardi di lire (2.892,25 milioni euro) rispetto alla già avvenuta integrazione di 6.608 miliardi (3.412,74 milioni euro) come pure i risultati peggiorativi dell’anno 2000 (deficit di 10.001 miliardi a fronte di 7.080 previsti). L’anno nero della sanità rimane comunque il 2000 che ha segnato il picco più elevato (+9%) del tasso medio di crescita registrato nel quadriennio 1998-2001. ___________________________________________________________ Corriere della Sera 2 giu. ’02 «NEWSWEEK»: LA SANITÀ PUBBLICA ITALIANA MERITA ZERO IN COMUNICAZIONE Capponi Alessandro ROMA - Un voto inequivocabile. Zero. La pagella di Newsweek in edicola domani è per la «comunicazione» della sanità pubblica italiana: zero, come le risposte dei medici a una madre che implorava notizie del suo bambino, ricoverato in terapia intensiva in un ospedale romano. «Meglio pagare - scrive la donna, la giornalista Barbie Nadeau - che sopportare l' altissimo prezzo emotivo di un sistema sanitario incapace di dare informazioni ai pazienti e alle loro famiglie». Marzo, ospedale Fatebenefratelli, sull' Isola Tiberina, uno dei luoghi più suggestivi della Capitale: è qui che la giornalista ha portato il suo bambino di due settimane in preda a una crisi respiratoria. Qui, ha trascorso «una settimana infinita», «senza conoscere la diagnosi» , «con il piccolo trasferito senza spiegazioni da un reparto all' altro», «curato con antibiotici prima ancora di capire cosa avesse», «senza riuscire, per giorni, a parlare con un medico». E per sentirsi dire da quello di turno, l' ultimo giorno, «c he non era necessario far trascorrere al neonato una settimana in terapia intensiva». Qui, suo figlio ha perso la propria identità, «era diventato, semplicemente, il numero 9», e lei la stima nel sistema sanitario italiano, «che ha curato mio figlio con antibiotici inefficaci». L' articolo in edicola domani su Newsweek è il racconto dettagliato di questa «settimana infinita»: «Se il peso dei bambini dopo la poppata non era considerato soddisfacente - scrive Barbie Nedeau - veniva somministrato l oro del latte artificiale, nonostante l' opposizione delle madri». Per giorni, lei ha cercato di parlare con un medico: «Hanno portato mio figlio nel reparto dei casi più gravi senza avvisarmi, quando ho chiesto spiegazioni mi hanno detto che il medi co avrebbe ricevuto i genitori il giorno seguente». Ha passato ore così, senza capire perché suo figlio di due settimane fosse stato trasferito. Poi, finalmente, dopo l' angoscia di un' attesa senza risposte, è arrivato il momento del colloquio con i l medico: «Non c' è una diagnosi precisa e al piccolo, come misura precauzionale, venivano somministrati degli antibiotici». Il direttore sanitario del Fatebenefratelli, Marino Nonis, dice di «prendere atto della segnalazione» e che «approfondirà l' episodio. Ma - afferma - i nostri operatori sono sempre attenti nel curare il rapporto con le famiglie dei pazienti». Il neonato ha ancora problemi allo stomaco «causati dai medicinali»: dal ricovero, sono passati tre mesi. Alessandro Capponi LA PAGE LLA Il settimanale Newsweek, in edicola domani, ha assegnato uno zero in pagella alla sanità pubblica italiana, per la «comunicazione» LA STORIA Newsweek fa parlare una mamma americana che racconta il ricovero d' urgenza, durato una settimana, del su o bambino di due settimane al Fabenefratelli di Roma LA REPLICA Il Fatebenefratelli ha risposto con un comunicato: «Prendiamo atto della segnalazione, approfondiremo l' episodio per verificare se effettivamente ci siano stati disfunzioni o ritardi» _________________________________________ Il Manifesto 8 giu. ’02 LA CORTE DEI CONTI: LA SPESA SANITARIA HA LA FEBBRE ALTA La Corte lancia l'allarme sull'aumento globale della spesa pubblica regionale. Il ministro Sirchia s'arrabbia e dà la colpa ai precedenti governi. La regione Lazio è la peggiore, ma Storace tace R. T. La spesa sanitaria delle regioni è cresciuta in modo «allarmante»: a lanciare l'allarme è la Corte dei conti, la magistratura contabile che certifica i conti pubblici. La denuncia è contenuta nell'ultima «Relazione sulla gestione finanziaria delle Regioni, relativa agli anni 2000-2001». La Relazione, curata dalla Sezione autonomie della Corte dei conti, vede con pessimismo anche l'andamento del 2002. E rileva «ulteriori rischi che si addensano a causa di una inusitata effervescenza della spesa farmaceutica riscontrata nei primi tre mesi dell'anno (+14-15 per cento), per l'aumento del costo del personale della sanità proveniente dall'ultimo contratto nazionale di comparto, per gli effetti conseguenti degli obiettivi perseguiti dal governo in tema di riduzione delle liste di attesa». Non è la prima volta che la Corte dei conti lancia i suoi strali contro gli eccessi della spesa pubblica. Questa volta però, le affermazioni appaiono un po' sospette e sembrano inquadrarsi alla perfezione nel tentativo di «riforma» della sanità (gestita in quasi piena autonomia dalle regioni) ampliando gli spazi delle polizze sanitarie private a danno della copertura garantita dal sistema pubblico. A prendere male le accuse, però, è stato soprattutto Girolamo Sirchia. Il ministro della sanità, fedele alla linea del governo, ha scaricato tutte le colpe sul precedenti governi dai quali il suo governo ha ereditato «una grave situzione finanziaria». Sirchia, naturalmente mente, perché da anni sono le regioni a gestire la spesa sanitaria (che assrbe in media l'80% dei bilanci regionali) in piena autonomia. E non è un caso che Enzo Ghigo, presidente della regione Piemonte e della Conferenza delle Regioni abbia reagito in maniera più prudente, affermando di condividere «la preoccupazione per l'andamento della spesa sanitaria» e affermando che le regioni stanno facendo di tutto (lo ammette la stessa Corte dei conti) per «il rispetto del patto di stabilità». Chi invece, non ha ancora aperto bocca è stato Francesco Storace, il presidente della regione Lazio che ha fatto registrare la peggiore performance fra tutte le regioni, con un incremento della spesa tra il 1998 e il 2001 del 7%. Nei giorni scorsi, forse per cercare di prevenire le critiche della Corte dei conti, Vincenzo Saraceni, assessore alla sanita del Lazio, aveva criticato «le troppe prescrizioni inutili» dei medici di famiglia, che però appaiono in linea con quelle del resto dell'Italia. Forse per questo, alla regione Lazio, la Corte dei conti dedica particolare attenzione, sottolineando come «malgrado la integrazione di 664 miliardi dell'accordo di agosto espone nel 2001 un ulteriore disavanzo di 1.701 miliardi». E poi, si aggiunge, «il Lazio con speciale riguardo alla situazione del policlinico universitario, riceve dal bilancio dello stato altri 700 miliardi per gli anni 2000 e 2001». La situazione del Lazio, insomma, è del tutto particolare. Come è particolare la presenza di una miriade di ospedali privati (ma convenzionati) con una offerta enorme di posti letto, di poco inferiore a quelli delle strutture pubbliche (in linea con la media nazionale) che portano, però, i posti letto complessivi a una media nettamente superiore a quella nazionale. Quanto alla situazione generale, c'è da dire che la Corte dei conti tace sul fatto che la spesa sanitaria complessiva dell'Italia (in rapporto al Pil) non si discosta (e in molti casi è inferiore) a quella degli altri paesi Ue. Di più: sistematicamente è stato sottovalutato (anche dai precedenti governi) il fabbisogno finanziario (142.389 miliardi nel 2001, con un incremento del 6,3% rispetto all'anno precedente) per svolgere la missione sanitaria pubblica. Questo significa che altrettanto sitematicamente, sono stati registrati deficit rispetto agli stanziamenti insufficienti. E questo senza entrare sulla qualità del servizio pubblico. _________________________________________ L’Unione Sarda 5 giu. ’02 UN’AGENZIA REGIONALE PER RILANCIARE LA SANITÀ Un’Agenzia regionale per la Sanità come primo passo verso la devolution federalista del sistema sanitario nell’isola. La proposta di istituire l’organo di consulenza dell’assessorato regionale è stata rilanciata dai Riformatori nel corso di un dibattito a Cagliari. Lo strumento di raccolta dei dati, programmazione e controllo è oggetto di due iniziative legislative sostenute dal gruppo consiliare regionale dei Riformatori e dall’assessore regionale alla Sanità Giorgio Oppi. «Le precedenti amministrazioni - ha sostenuto Pierpaolo Vargiu, capogruppo dei Riformatori in Consiglio regionale - hanno lasciato la Sardegna priva per diciassette anni di un Piano sanitario regionale e non è più possibile continuare a fare della programmazione sanitaria affidata esclusivamente al buon senso e all’intuizione». Il progetto di costituzione dell’Agenzia prevede autonoma capacità organizzativa ed esclude il controllo sugli atti delle Asl regionali. Al direttore e ai quattro tecnici componenti dell’organo di gestione è affidato il funzionamento e gli oneri derivanti dall’applicazione della legge (stimati, all’inizio, in 2 milioni e 500 mila euro). _________________________________________ L’Unione Sarda 7 giu. ’02 «SERVE UN CENTRO SPECIALIZZATO PER IL RECUPERO DEI TRAUMATIZZATI» Dai medici un appello ai politici: Più che viaggi della speranza sono viaggi di disperazione, spesso destinati a durare a lungo. Sono i viaggi dei pazienti che hanno riportato gravi danni dopo un trauma cranico: quando finisce il ricovero in Rianimazione, non trovano in Sardegna centri di riabilitazione che li possano accogliere. Nel 2001 sono 25 le persone costrette a cercare altrove cure adeguate. Di questa grave carenza della sanità dell’isola si parlerà domani all’ospedale San Michele, in un convegno organizzato da Ordine dei medici di Cagliari, Lions Club, Azienda ospedaliera Brotzu e Associazione ritorno alla vita. «Vogliamo creare sensibilità verso un problema che riguarda molte famiglie, e portarlo al centro dell’attenzione dei politici», ha spiegato Raimondo Ibba, presidente dell’Ordine dei medici, presentando il convegno. «In Sardegna Ñ gli ha fatto eco Enrico Valdés, delegato di zona Lions Ñ le professionalità esistono: servono strutture». Paolo Castaldi, primario della Rianimazione al Brotzu, ha sintetizzato i numeri del fenomeno: «Nel 2001 in Sardegna sono stati ricoverati nei nostri reparti di rianimazione 250 persone affette da trauma cranico. Di questi, 25 hanno manifestato dei deficit gravissimi». Proprio per loro servirebbero quei centri di riabilitazione che in Sardegna mancano. Ma nel convegno di domani (l’inizio è fissato per le 9) si parlerà anche di prevenzione: «Bisogna ridurre il numero degli incidenti», sottolinea Mario Silvetti, fondatore dell’associazione Ritorno alla vita ed ex primario di Pediatria al Brotzu, «molti di quei traumi si potrebbero in realtà evitare». _________________________________________ L’Unione Sarda 3 giu. ’02 PER I BAMBINI AMMALATI CI SONO LE VIDEO CONFERENZE Seguire le lezioni scolastiche in videoconferenza da casa e poter interagire con l’insegnante e i propri compagni? Da oggi è possibile. La scuola ad essere dotata del servizio online è la media “Canelles-Lamarmora”. La Pranacerm-Onlus è un’associazione in difesa dei diritti socio-sanitari dei soggetti svantaggiati malati cronici di tumore, asma ed altro. L’organizzazione ha dato la possibilità ad una bambina, affetta da fibrosi cistica, di seguire le lezioni durante le lunghe terapie ospedaliere alle quali si deve sottoporre. La prima simulazione si è svolta nell’aula magna del Minerario. Durante il convegno “teleservizi online, sanità, scuola, lavoro”, Franco Noli presidente dell’associazione, si è collegato da Roma. «È stata l’associazione a contattarci - ha spiegato Angela Sanna, insegnante - c’era l’esigenza di offrire alla bambina la possibilità di partecipare attivamente alle lezioni. Anche i professori si sono mostrati disponibili». Quest’anno le lezioni venivano registrate con un comune registratore. Silvia Cossu _________________________________________ La Nuova Sardegna 7 giu. ’02 CARDIOLOGIA,I RITARDI DELL'ISOLA NAPOLI. La rete cardiologica ospedaliera in italiana è tra le più sicure ed efficienti d' Europa. Ma nel Sud - che pure primeggia sotto il profilo strutturale - è ancora molto grave il ritardo tecnologico e la Sardegna è tra le regioni penalizzate. Quindi nel Mezzogiorno solo uno su tre è in grado di fornire prestazioni specializzate. Sono questi i dati che emergono dalla prima giornata dei lavori del Convegno dell' Anmco (Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri). Più del 50 per cento degli ospedali italiani è oggi dotato di UTIC, cioè delle unità di terapia intensiva cardiologica, che servono ad affrontare le emergenze cardiovascolari. I dati sono dunque confortanti. Tuttavia - è stato rilevato - si potrebbe fare ancora di più. Il 70 per cento delle Utic, infatti, non è in grado di eseguire procedure interventistiche perchè manca "on site", nella stessa struttura cioè, un laboratorio di emodinamica. A essere penalizzato è soprattutto il Mezzogiorno. Se infatti al Nord il 40 per cento degli ospedali con UTIC esegue procedure interventistiche, questa percentuale scende al 22 per cento al Centro e addirittura al 19 per cento al Sud. Il confronto con i dati del 1992 evidenzia, peraltro, un incremento del 15 per cento del numero delle Utic (da 323 a 380), con un valore medio nazionale di abitanti per UTIC pari a una ogni 148 mila. Un incremento che riguarda soprattutto il Sud. Se alla Campania va il primato per il Mezzogiorno, con 38 unità coronariche, pienamente entro la media nazionale, il record negativo del rapporto abitanti/Utic spetta invece a tutto il Nord-Est, con in testa il Friuli Venezia Giulia. La media nazionale risulta disattesa al Centro, nel Lazio e in Sardegna, e al Sud, in Puglia e Basilicata. _________________________________________ L’Unione Sarda 5 giu. ’02 MALATTIE DEL CUORE: LE NUOVE TERAPIE Domani all’ospedale Brotzu incontro degli specialisti sardi con esperti americani Donazioni insufficienti, si cercano strade alternative al trapianto È il problema cardiovascolare più diffuso, quarta causa assoluta di ricoveri ospedalieri in Italia. Si stima che interessi oltre il 10 per cento della popolazione dopo i 65 anni di età, ed è una delle voci di spesa più rilevanti per il Sistema sanitario nazionale. Si tratta dello scompenso cardiaco: una sindrome caratterizzata da una riduzione della contrattilità del cuore che, a seguito dell’indebolimento del muscolo, non riesce più a pompare sangue in modo sufficiente alle esigenze dei vari organi e tessuti dell’organismo. La riduzione della funzione di pompa può verificarsi nelle fasi avanzate di quasi tutte le malattie del cuore. Di questa sindrome si parlerà domani (dalle15,30) nella sala conferenze dell’ospedale Brotzu in una giornata di studi con numerosi specialisti di livello internazionale. La riunione è organizzata dal Centro per lo scompenso ed il trapianto cardiaco del Dipartimento Cardio-toracico-vascolare del Brotzu (diretto da Valentino Martelli), in collaborazione con l’Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri (Anmco) e la Northwest University di Chicago. All’incontro parteciperà il professor Mihai Gheorghiade, della Nortwestern University di Chicago, una delle massime autorità mondiali nella terapia dello scompenso. «La terapia farmacologica ha migliorato molto la prognosi di questa malattia, che tuttavia mantiene una tendenza generalmente evolutiva», spiega Maurizio Porcu, che coordina il gruppo nazionale dell’Anmco che si occupa della sindrome: «La morte avviene per scompenso grave o per aritmie improvvise. Negli stadi più gravi l’unica possibilità di cura è il trapianto cardiaco, ma questa opzione è riservata ad una minoranza di pazienti, soprattutto perché il numero di donazioni è assolutamente insufficiente. Per questo motivo, si stanno studiando strade alternative, tutte ancora assolutamente sperimentali». _________________________________________ La Nuova Sardegna 5 giu. ’02 LE STAMINALI RIGENERANO I MUSCOLI ROMA. Rigenera nei topi muscoli scheletrici e muscolo cardiaco, la supercellula scoperta lo scorso anno dal gruppo dell'ematologo Cesare Peschle, dell'Istituto superiore di sanità. Oltre a sangue e vene, quindi, la cellula staminale isolata nel sangue periferico permette di ottenere anche i muscoli. Lo ha detto ieri a Roma lo stesso Peschle, nel convegno sulle cellule staminali organizzato a Roma dall'ospedale Sant'Andrea, per l'inaugurazione dell'unità di ricerca sulle cellule staminali e la nascita dell'Associazione donatori Sant'Andrea. Gli esperimenti sui topi basati sulla supercellula staminale (emoangioblasto) sono in corso in Sardegna, nell'università di Sassari, e negli Stati Uniti, nell'istituto Thomas Jefferson di Filadelfia, dove lavora lo stesso Peschle in collaborazione con Gianluigi Condorelli. Sia in Sardegna che negli Stati Uniti i modelli animali hanno dimostrato la possibilità di utilizzare queste cellule primitive per rigenerare i muscoli. In Sardegna l'emoangioblasto ha permesso di recuperare la funzionalità dei muscoli in seguito a ischemia degli arti. Nell'istituto di Filadelfia, invece, il cuore di topi colpiti da infarto ha cominciato a ripopolarsi di cellule muscolari. Nonostante l'ottimismo, secondo Peschle la prudenza è d'obbligo. "Stiamo programmando i primi test sull'uomo - ha detto - ma questi non saranno possibili prima di un anno. Prima vogliamo vedere che cosa succede nei modelli preclinici, in modo da immettere il numero giusto di cellule purificate al momento giusto. E per agire con questa precisione è indispensabile avere alle spalle risultati sperimentali sugli animali convincenti e riproducibili". _________________________________________ La Nuova Sardegna 8 giu. ’02 UN NEMICO SILENZIOSO CHIAMATO OSTEOPOROSI Una malattia ad alti costi sociali e sanitari che colpisce soprattutto le donne oltre i 50 anni a.re. SASSARI. Un nemico nascosto e silenzioso per la maggior parte delle donne. L'osteoporosi colpisce in Italia il quaranta per cento delle donne oltre i cinquant'anni e di queste il diciasette per cento circa subisce una frattura a un femore. Una malattia asintomatica per lungo tempo, che però compie un'azione degenerativa progressiva fino al momento in cui si manifesta, con danni a quel punto molto gravi per la persona colpita. Una patologia molto importante e spesso invalidante, che in alcuni casi conduce persino alla morte a causa delle complicanze delle fratture che provoca. Sono altissimi anche i costi sociali e sanitari per l'assistenza dei soggetti affetti dalla patologia e soprattutto da quelli che subiscono fratture: con settantamila nuovi casi che si registrano ogni anno, in Italia la situazione si aggrava sempre di più. E mentre l'Organizzazione mondiale per la sanità già dal 1994 ha riconosciuto l'osteoporosi come malattia sociale, sembra che i governi dei vari paesi non abbiano ancora recepito appieno la gravità del problema. Fondamentale è la prevenzione, che insieme a uno stile di vita regolare con una buona alimentazione e senza alcol e fumo, e a una assidua attività fisica molto possono nella lotta contro quel nemico nascosto. Intanto il campo della ricerca fa registrare ottimi risultati con l'utilizzo dei Serms-modulatori selettivi dei recettori estrogenaci, tra cui il raloxilene. Una nuova frontiera che vede la riduzione della recidiva di fratture, ma soprattutto ha dimostrato un'azione sulla qualità dell'osso stesso ricreando la microarchitettura della matrice ossea in modo del tutto simile a quella originaria, insieme al blocco del processo di perdita del tessuto osseo. Ieri è stato presentato uno studio su 1000 donne in tutta Italia e ha fotografato la situazione a Sassari, città che rappresenta anche la prima tappa della Campagna nazionale di informazione e prevenzione dell'osteoporosi. Delle problematiche legate all'osteoporosi si è discusso durante un convegno promosso dalla Fidapa, in occasione delle celebrazioni per il quarantennale della fondazione della sezione di Sassari, dall'Associazione italiana donne medico (Aidm), e con il patrocinio della commissione e del ministero per le Pari opportunità, che si è tenuto nell'aula magna dell'università. A illustrare cause e terapie sono stati il direttore della Clinica Ostetrica e Ginecologica dell'Università di Sassari Salvatore Dessole, la presidente della Fidapa-Sassari Maria Antonietta Lamberti, e la rappresentante Aidm Loretta Pinna Nossai. E' stato Dessole a tracciare un profilo della situazione sarda, che vede una situazione di privilegio per clima e per il tipo di dieta, ricca di calcio. Infatti i dati portano la Sardegna al di sotto della media nazionale, con un'incidenza inferiore al 40 per cento. «Sono a rischio soprattutto le donne in post-menopausa - ha spiegato -, quando si riduce la capacità di produrre estrogeni essenziali per fissare il calcio nello scheletro. E' comunque consigliata la prevenzione in età fertile e in quella fascia d'età considerata perimenopausale, dai 45 anni in su. Con l'utilizzo della nuova molecola, il raloxifene, oltre all'effetto benefico sull'osso e sul profilo lipidico, con la riduzione del rischio di malattie cardiovascolari, si è avuta una riduzione degli effetti collaterali tipici delle terapie a base di estrogeni, che provocavano l'aumento del rischio di carcinoma dell'utero e della mammella». _________________________________________ Le Scienze 4 giu. ’02 I GRANDI PROGRESSI DELLA CHIRURGIA ROBOTICA Sfida Stati Uniti-Germania in due interventi in diretta Il primo convegno mondiale sulla chirurgia robotica non si è tenuto a Boston o a Tokio, ma in due cittadine a pochi chilometri da Padova, Campodarsego, fornito di un moderno Centro congressi e Camposampiero, dotato di un ospedale che ospita sotto la direzione di Annibale D’Annibale uno dei più moderni centri di chirurgia mininvasiva di tutta Europa. Al convegno, che si è svolto il 31 maggio, hanno partecipato chirurghi provenienti dagli Stati Uniti, dal Giappone, dalla Francia e dalla Germania per confrontare le loro esperienze in questo innovativo settore della chirurgia. Un confronto più che mai necessario in quanto il robot-chirurgo è passato in pochi anni dall’ortopedia alla chirurgia generale e ora è in grado di eseguire interventi su intestino, fegato, colecisti, pancreas, reni e polmone, espianti di organi e by-pass. Per rendere ancora più efficace l’incontro, nella giornata del convegno due eminenti chirurghi, lo statunitense Garth Ballantyne e il tedesco Ernest Hanisch hanno usato il robot denominato Da Vinci, in dotazione all’Ospedale di Camposampiero, per eseguire due interventi, seguiti con grande interesse dai partecipanti attraverso le telecamere. Il robot Da Vinci, costruito negli Stati Uniti, è il più avanzato della categoria. Consente al chirurgo di dirigere le operazioni comodamente seduto vedendo attraverso un visore collegato a una telecamera quello che avviene nell’addome del paziente, il tutto in tre dimensioni e con un ingrandimento di sei volte. I due manipolatori di cui il chirurgo dispone consentono di comandare perfettamente i bracci e le tre dita del robot inseriti nel paziente attraverso piccoli fori. Essi possono compiere rotazioni di 360 gradi ed eseguire con la massima precisione tutto quello che il chirurgo richiede loro. Adriana Giannini