ALGHERO: UN SEMINARIO BATTEZZA LA FACOLTÀ DI ARCHITETTURA RITA LEVI MONTALCINI: CONTROLLO SOCIALE SULLA RICERCA SCIENTIFICA NOVANTASEI «CERVELLI» RIENTRANO IN ITALIA FALLIMETO EUROPEO: RICERCA? SÌ, MA DI SOLDI SCIENZA IN PERICOLO, DANNO PER L´EUROPA SCIENZA NO GRAZIE PER GLI STUDENTI EUROPEI MATURITA’: MA È QUESTA PROVA DA BOCCIARE DIRIGENTI PUBBLICI, IL POSTO MOBILE NON DIVENTI PRECARIO ATZENI::"NEL COLLE DI SANT’ELIA C'È LA NOSTRA STORIA" MEDICI SPECIALIZZANDI: PROTESTA CONTRO UNA NORMATIVA PENALIZZANTE LA SENTENZA DELLA CONSULTA CHE CONSENTE PIU’ SPECILIZZAZIONI MEDICHE =========================================================== SARDEGNA: SPESA SANITARIA ALLE STELLE: DEFICIT DI 550 MILIONI DI EURO "COMMISSIONE D'INCHIESTA SUL BUCO DELLA SANITÀ SARDA" IL DISAVANZO DELLA SANITÀ VIAGGIA VERSO I 2,5 MILIARDI SIRCHIA: TICKET E POLIZZE PRIVATE PER CURARE IL DEFICIT DELLA SANITÀ FARMACI SÌ, MA DI MARCA LA PRIVACY PESA SUI MEDICI PIÙ FACILE ARRIVARE AL POLICLINICO CON LA TERZA CORSIA APERTA SULLA 554 QUARTU: APRE LA PRIMA BANCA DEGLI OCCHI SARDA BROTZU: SILURATO IL CHIRURGO DEL FEGATO GLAUCOMA: IN SARDEGNA 13MILA MALATI LA DINAMICA DELL'ESPRESSIONE GENICA CANCRO, È ITALIANO IL VACCINO CHE POTRÀ PREVENIRLO UNA NUOVA ARMA CONTRO L’OSTEOARTRITE PER DISSALARE L´ACQUA VIENE IN AIUTO IL VENTO PIÙ SICURO RICONOSCERE UN DITO CHE UNA FACCIA L´EMICRANIA CRONICA SCATENATA DA UN GENE USA:«E´ POSSIBILE RIPROGRAMMARE LE CELLULE STAMINALI» =========================================================== ___________________________________________________________ L'Unione Sarda 20 giu. '02 ALGHERO: UN SEMINARIO BATTEZZA LA FACOLTÀ DI ARCHITETTURA SASSARI. La facoltà di Architettura dell'università di Sassari si presenta al debutto ufficiale con un seminario internazionale in programma domani al Porto Conte ricerche di Tramariglio. Relatori di fama internazionale si incontreranno per fare il punto in una due giorni ricca di interventi incentrati sul tema "La didattica del progetto, prospettive disciplinari". Sarà, di fatto, la presentazione ufficiale della facoltà al mondo accademico, politico e culturale. La nascita della facoltà di Architettura coincide con un periodo delicato in cui la riforma universitaria, la domanda di nuova professionalità e il cambiamento delle tecniche di apprendimento impongono una revisione della didattica, alla luce delle innovazioni tecnologiche. Il seminario è un'occasione per riflettere sulla trasformazione dei modelli della didattica universitaria, sulla cultura della progettualità e sulle discipline specifiche della formazione. L'obiettivo formativo e l'attività di ricerca della facoltà di Architettura convergono su un punto nodale: fornire allo studente una preparazione non più esclusivamente settoriale, ma interdisciplinare basata su una capacità di elaborazione e di impiego delle tecniche secondo logiche di rappresentazione adeguate ai problemi della progettualità. L'impostazione è di tipo multidisciplinare e prevede il coinvolgimento di settori culturali differenti da quelli che, per tradizione, concorrono alla formazione degli architetti. Ad aprire i lavori sarà il rettore Alessandro Maida, seguiranno gli interventi del presidente della Regione Mauro Pili, degli assessori regionali Italo Masala (Programmazione), Pietrino Fois (Affari Regionali), Beniamino Scarpa (Cultura e Istruzione), del sindaco di Alghero Mauro Tedde, del presidente della Provincia Franco Masala, del soprintendente regionale Paolo Scarpellini, di Giangiuliano Mossa, presidente dell'ordine degli architetti e Giancarlo Capitta presidente dell'ordine degli ingegneri, nonché dei componenti del comitato tecnico della facoltà di Architettura, Giovanni Lobrano, Gavino Del Rio, Bruno Corrias. Il direttore del dipartimento di Architettura e Pianficazione, Giovanni Maciocco, aprirà la sessione dedicata alle relazioni. I lavori proseguiranno il giorno successivo con la sessione dal titolo "La didattica e il futuro del progetto", nella quale sono previsti gli interventi di architetti, urbanisti e storici dell'architettura provenienti da oltre Tirreno. Il seminario è stato reso possibile grazie al patrocinio del ministero dell'Università, Ricerca Scientifica e Tecnologica dalla Regione Sardegna, dalle università di Sassari e Cagliari e dalla Fondazione Banco di Sardegna. a.m. ___________________________________________________________ Il Manifesto 22 giu. '02 RITA LEVI MONTALCINI: CONTROLLO SOCIALE SULLA RICERCA SCIENTIFICA Il nobel e gli ogm LUCA FAZIO MILANO Il premio nobel, con stile, frena sugli ogm. Rita Levi Montalcini ha sottoscritto l'auspicio che ha fatto da filo conduttore alla due giorni di convegno internazionale sulle biotecnologie organizzato a Milano da Verdi Ambiente e Società: la necessità del controllo sociale sulla ricerca scientifica, che deve sempre essere rivolta al benessere dell'individuo e dell'ambiente. Non è stato un convegno contro gli ogm - «in linea di principio non sono contro», ha precisato Marcello Buiatti, professore di biologia e genetica a Firenze - è stato il primo tentativo per stabilire un patto di reciprocità tra comunità scientifica e comunità civile. Un patto che deve tenere conto della complessità del vivente, prendendo tutte le precauzioni possibili ed evitando di spacciare per scienza la propaganda pubblicitaria: «Gli scienziati in alcuni casi si sono sottratti vergognosamente al controllo scientifico» (Vittorio Sgaramella, professore di biologia molecolare). Quale sia la realtà lo ammette la stessa Levi Montalcini: «Non sfugge che la tendenza alla privatizzazione delle caratteristiche genetiche, che sottende alla logica brevettale delle invenzioni biotecnologiche, propone una profonda modificazione del ruolo stesso della scienza: sempre meno indotta alla sua necessaria libertà di ricerca e sempre più orientata alla ricerca del risultato immediato e più remunerativo sotto il profilo commerciale». Il premio nobel, ovviamente, non intende mettere sotto processo il metodo scientifico, «semmai il prodotto che ne risulta». Mette però in riga le multinazionali agroalimentari, «le biotecnologie possono rappresentare una opportunità importante in campo biomedico e biofarmaceutico, nei cui ambiti i protocolli di sperimentazione e di valutazione di sicurezza d'uso sono ben più rigorosi di quelli applicati in campo agroalimentare». Quindi è vero, come ha detto Sabina Morandi, direttrice scientifica del Consiglio dei Diritti Genetici, che bisogna stare attenti a spacciare teorie troppo semplificate, «spesso gli slogan servono a nascondere che dei segreti della vita sappiamo ancora ben poco». L'aspetto puramente economico dell'affare ogm è stato riassunto da Claudio Malagoli, professore di economia agraria a Bologna, senza preconcetti contro la brevettabilità: «Stupisce, invece, l'utilizzazione del brevetto in ambito agricolo, soprattutto per piante e animali transgenici: l'agricoltore rischia di perdere ogni potere decisionale diventando semplicemente un fornitore di mezzi di produzione a favore del proprietario del brevetto». Soggetto potentissimo, si sa, e non bisogna stupirsi se mentre gli scienziati si riuniscono per esprimere prudenza sugli ogm, sui media filtrano notiziole curiose, come la melanzana senza semi "inventata" dall'università di Verona. «Nella melanzana i semi sono di gusto sgradevole e devono essere scartati: la loro assenza è dunque una caratteristica molto apprezzata dai consumatori». Buona questa. ___________________________________________________________ La Stampa 21 giu. '02 NOVANTASEI «CERVELLI» RIENTRANO IN ITALIA INCENTIVI DEL MINISTERO ALLE UNIVERSITÀ Un centinaio di studiosi italiani e stranieri residenti all'estero prenderanno servizio nelle università italiane grazie agli incentivi economici per la mobilità. Il ministero dell'istruzione, università e ricerca, ha precisato che il rientro è per ora scaglionato in due tornate e una terza in un futuro prossimo. Per la prima, sono state accettate 55 domande sulle 87 presentate, con un finanziamento accordato dalministero di 4.808.566 euro per l'attività didattica, e di 1.732.971 euro per la ricerca. Nella seconda tornata sono state valutate positivamente 41 domande su 76, mentre due sono tuttora in fase di valutazione; sono stati concessi finanziamenti per 3.944.743 euro per l'attività dididattica e 1.374.013 per la ricerca. Per la terza tornata sono state presentate 195 domande, gli esiti sono previsti per fine giugno. ___________________________________________________________ La Stampa 18 giu. '02 SCIENZA NO GRAZIE PER GLI STUDENTI EUROPEI MATEMATICA, FISICA, CHIMICA: I GIOVANI ITALIANI ED EUROPEI ABBANDONANO LE UNIVERSITÀ TRADIZIONALI. PRESIDI E AZIENDE LANCIANO L´ALLARME E´ diventato un ritornello in tutti i convegni, in tutte le relazioni, in tutti gli studi: senza innovazione fondata su una moderna ricerca scientifica non ci sarà più posto per l´Italia nella competizione internazionale sui mercati. Dopo l´allarme sollevato dai principali centri di indagine sulla nostra società, l´ultimo e più autorevole appello in tale direzione è venuto dal governatore Antonio Fazio, nelle «Considerazioni finali» all´assemblea della Banca d´Italia di qualche settimana fa. Anche il nostro governo ha accolto questa sollecitazione. Nelle «Linee guida per la politica scientifica e tecnologica» si pongono queste considerazioni alla base delle proposte ministeriali: «I sistemi economici, nel nuovo scenario, fondano la loro competitività sulla produzione, diffusione e utilizzazione di nuove conoscenze. Occorre realizzare un circuito virtuoso, che veda l´innovazione alimentata dalla ricerca e dalla disponibilità di capitale umano qualificato come fattore determinante per lo sviluppo». Diagnosi precise e convergenti, terapie collaudate e condivise, ottime intenzioni rischiano però di cozzare drammaticamente di fronte a una tendenza purtroppo ormai chiara: la scienza, in Italia, ma sarebbe meglio dire in tutta l´Europa, non attira più i giovani. Il calo di iscrizioni ai corsi di laurea nelle materie scientifiche di base, soprattutto matematica, fisica, chimica, è, da alcuni anni, costante e significativo. Se la tendenza non invertirà segno, corriamo il rischio di dover importare docenti di tali materie dai paesi del terzo mondo. Ma anche l´industria dovrà ricorrere all´estero, viste le ottime prospettive occupazionali che tali studi assicurano, ma che vengono incomprensibilmente trascurate dagli studenti di casa nostra. L´allarme è stato recentemente lanciato dalla Conferenza nazionale dei presidi delle facoltà di scienze. Il presidente di tale organismo, Enrico Predazzi, preside della facoltà di Torino, ha denunciato la gravità della situazione in una lettera apparsa sul mensile Le scienze a marzo di quest´anno. «Il calo delle vocazioni scientifiche, proporzionalmente molto maggiore della diminuzione demografica nelle generazioni che si affacciano ora all´Università - osserva - è ancora più preoccupante nel nostro paese, rispetto a quello che si verifica anche in altri stati europei, perché in una classifica internazionale gli studenti italiani sono in coda: arrivano al ventitreesimo posto per la fisica, cioè dopo tutti i paesi industrializzati e ancor più indietro, al ventiseiesimo, per la matematica». Una statistica relativa alle immatricolazioni nei tre corsi di laurea a Torino, un dato medio rispetto a quello che accade in tutt´Italia, rileva un decremento da tre a uno delle iscrizioni nel periodo 1993-2000. I motivi di questa disaffezione giovanile per vocazioni scientifiche, in curioso contrasto con il successo di alcuni film su matematici famosi o di alcuni libri su biografie più o meno romanzate di scienziati illustri, possono essere molteplici, anche se non del tutto dimostrabili. Una certa cultura, o subcultura sarebbe meglio dire, attribuisce alla scienza la colpa dei disastri ambientali che colpiscono il mondo moderno. I rapporti tra scienza ed etica sono spesso fonte di incomprensioni invece che di reciproca collaborazione. I guasti di un certo postmodernismo, molto alla moda, che pasticcia tra la medicina alternativa e il neo misticismo, tra il nichilismo antiglobalizzazione e le ingenuità del sentimentalismo ecologico, possono aver contribuito a questa tendenza. Senza addentrarci, però, in considerazioni socio-culturali così complesse e certamente discutibili perché senza dimostrazione inconfutabile, c´è invece una causa, molto più concreta, da tutti addotta per spiegare, almeno in parte, questo fenomeno: l´idea che le scienze portino a impieghi non adeguatamente remunerativi sotto il profilo economico e scarsamente prestigiosi sotto quello della considerazione civile e della gratificazione culturale. Almeno su questo punto, si possono riportare indagini e dati che fanno ritenere del tutto falso questo pregiudizio. In contrasto con tale «luogo comune», i risultati di una recente ricerca, quella di «Almalaurea», dimostrano che il grado occupazionale nei raggruppamenti scientifici segue immediatamente quello di ingegneria e precede tutti gli altri, inclusi farmacia, architettura, economia e tutte le discipline umanistiche e sanitarie. Non è vero, perciò, che «la scienza non paghi», come tradizionalmente si dice. Alcune volte, come per i laureati in matematica rincorsi dalle finanziarie di tutto il mondo per l´analisi dei dati sulla quale si fonda oggi lo studio sull´andamento dei corsi borsistici, la scienza paga e paga molto. Ma anche aldilà di questi impieghi, peraltro non percentualmente ridotti, l´industria tende ad assorbire tali competenze con ruoli di prestigio e con compiti di alta responsabilità manageriale. La medesima graduatoria, con qualche modesta differenza, si ritrova in una indagine più complessa che ha cercato di valutare l´efficacia della laurea nel lavoro svolto. Si tratta di uno studio, dello stesso consorzio interuniversitario «Almalaurea», che ha elaborato un indice, ottenuto chiedendo all´intervistato il giudizio sull´utilizzazione delle competenze apprese durante gli studi universitari per lo svolgimento dell´attività quotidiana. Subito dopo la professione del medico e quella dell´ingegnere, come è ovvio, la soddisfazione per gli studi effettuati vede in testa le scienze che precedono tutti gli altri settori, dall´economia alla giurisprudenza, alle materie letterarie. Come si è detto, questo calo di «appeal» scientifico sui giovani, a fronte di una necessaria e urgente crescita di tali vocazioni per lo sviluppo delle nostre economie, riguarda non solo l´Italia, ma tutta l´Europa. In Germania si è arrivati a concedere incentivi per gli studenti che scelgono materie scientifiche. In Inghilterra, sull´onda del più recente e autorevole rapporto al governo sulla questione, quello di sir Gareth Roberts, si stanno studiando misure analoghe. In Italia, il consigliere del ministro Moratti, professor Furlan, ha formulato una proposta simile. Provvedimenti probabilmente opportuni, ma forse basterebbero, su questi argomenti, un´attenzione maggiore e informazioni meno approssimative per chi, in questi anni, scommettendo sulla propria vita scommette anche sul suo paese. Luigi La Spina ___________________________________________________________ La Stampa 20 giu. '02 FALLIMETO EUROPEO: RICERCA? SÌ, MA DI SOLDI IL FALLIMENTO DELLA SCIENZA EUROPEA L´EUROPA non fa che stupire. E' noto che vi è un ritardo crescente nella sua capacità competitiva a livello tecnologico rispetto agli Stati Uniti. E' anche noto ai più che i precedenti programmi quadro della Commissione Europea hanno prodotto conoscenze che sono emigrate presso le imprese oltre oceano per una percentuale verosimile del 30-40%. Cosa ci si aspetterebbe dai vertici istituzionali europei per correggere la rotta? Che prendessero qualche spunto da ciò che consente agli Stati Uniti di essere così efficace a generare, ma soprattutto ad utilizzare, a livello tecnologico, la conoscenza scientifica prodotta nei suoi laboratori. Che si può riassumere in una parola: concorrenza fra università e centri di ricerca. La quale ha come effetto una forte selezione meritocratica del personale di ricerca; un efficace collegamento con le imprese; un coinvolgimento del mondo finanziario nelle iniziative imprenditoriali delle università. Il modello dell'innovazione americano viene, infatti, definito "centrato sull'università", in quanto le istituzioni accademiche sono il fulcro dei processi di trasferimento tecnologico. Le istituzioni europee della politica scientifica e tecnologica non sembrano avere compreso la portata del cambiamento di rotta derivante dall'insegnamento americano. Ad esempio la Commissione Europea insieme al Parlamento europeo dopo lo scarso successo di questi anni dei cinque programmi quadro per la ricerca e l'innovazione hanno introdotto dei profondi cambiamenti nel nuovo sesto programma. Il principale cerca di superare la frammentarietà del sistema della ricerca europea con lo scopo di creare dei poli con una massa critica competitiva a livello internazionale. Il fine è buono, ma il mezzo è pessimo. Infatti si crede di raggiungerlo non creando le condizioni di una maggiore competizione, ma all'opposto, obbligando i centri di ricerca ad aggregarsi forzatamente in cosiddette artificiali «Reti di Eccellenza», pena la esclusione dai contributi comunitari. In questo modo assistiamo alla formazione, in questi giorni, di variegate «ammucchiate» di 40 o più centri il cui principale obbiettivo comune non è la condivisione metodologica e teorica, ma la spartizione della torta finanziaria. In questo modo non si fa che accentuare un modello neocorporativo e dirigista della politica della ricerca ed innovazione che è una delle principali cause della debolezza europea odierna. In quanto non si ha fiducia nella competizione e nel mercato come principali forze selettive per la emersione dell'eccellenza scientifica e tecnologica si usa la scorciatoia dell'imposizione dall'alto di vincoli o schemi a priori che oltre a non aiutare il collegamento fra università ed impresa snaturano anche gli stessi valori della comunità scientifica. Presidente della Fondazione Rosselli Riccardo Viale ___________________________________________________________ La Stampa 21 giu. '02 SCIENZA IN PERICOLO, DANNO PER L´EUROPA APPELLO ALL´UNIONE DI RICERCATORI E NOBEL, PER UN PROGRAMMA DI RIFORMA IN CINQUE PUNTI DAL Rinascimento, la scienza è stata, e rimane, una forza decisiva per lo sviluppo della civiltà occidentale. E' del tutto logico, allora, che i dirigenti dell'Unione europea, al momento di definire, nella dichiarazione di Lisbona del 2000, l'obiettivo per i prossimi dieci anni, che consiste nel fare dell'Europa «l'economia più competitiva fondata sul sapere nel mondo da qui al 2010», abbiano rivolto la loro attenzione alla situazione della scienza. In concreto, il 6° programma-quadro mira a costruire uno «spazio europeo di ricerca» che mobiliterà dal 4 al 5% del bilancio dell'Unione. Durante la riunione di Barcellona nella primavera 2001, quando furono analizzati i progressi del programma di Lisbona, l'obiettivo posto era di portare dal 2% al 3% del PNL gli investimenti per lo sviluppo e la ricerca in Europa da qui al 2010. Quest'incremento, tuttavia, deve provenire per la maggior parte dal settore delle imprese, rimanendo la restante minore parte affidata al settore pubblico degli Stati membri e dell'Unione. Queste dichiarazioni d'intenti sono le benvenute, ma non saranno nemmeno in grado di porre un freno al declino della capacità scientifica europea, senza parlare di «raggiungere e sorpassare gli Stati Uniti». La realtà dei fatti, così come li presentano sia l'OCDE sia l'Unione europea è cruda: il fossato che divide la media dell'Europa dai suoi principali «concorrenti» non solo è profondo, ma aumenta rapidamente a giudicare dagli indici-chiave costituiti sia dalla parte occupata dalla ricerca e lo sviluppo nel PNL e nei bilanci nazionali, sia dal numero degli addetti e degli articoli scientifici pubblicati. La fuga di cervelli, giovani scienziati di talento che abbandonano il loro paese, è una realtà nella maggior parte dei paesi dell'Unione europea. Per invertire questa tendenza occorre agire in fretta e con decisione sia a livello degli Stati membri, dove si registra circa il 95% del totale delle spese per la ricerca e lo sviluppo, sia a quello dell'Unione. Proprio nel settore della ricerca e dello sviluppo la politica europea lascia molto a desiderare. Prima di tutto, la parte esigua che occupa la scienza nel bilancio complessivo dell'Unione - essa rappresenta circa un decimo delle spese destinate all'agricoltura - fornisce un quadro assai curioso del potenziale e dell'avvenire dell'Europa. In secondo luogo, una parte sproporzionata del 6° programma-quadro è riservata allo sviluppo industriale, vale a dire a mettere a disposizione delle esigenze della produzione un sapere esistente. Gli effetti reali dell'allocazione e della ripartizione di questi sussidi sono soggetti ad una grande incertezza. E' imperativo migliorare la situazione della ricerca di base. Appare sempre più evidente, infatti, che lo sviluppo industriale avanzato gravita attorno a centri scientifici che operano alle frontiere della scienza. Questo processo è ben illustrato dalla progressione degli investimenti da parte delle grandi società europee in prossimità dei centri americani di ricerca di base. Terzo punto, la necessità di creare un consorzio di reti europee per ottenere sovvenzioni porterebbe a una «diversione commerciale» del «mercato» degli intelletti e della scienza, dissuadendo gli scienziati di più alto livello che potrebbero scegliere altri modi di finanziamento dove la cooperazione può svilupparsi su basi puramente qualitative senza che intervengano considerazioni d'ordine geografico o nazionale. Quarto, il sistema di gestione dei programmi scientifici dell'Unione europea non è considerato efficace e dovrebbe essere reso più trasparente, evolvendo verso procedure aperte tipo esame collettivo tra pari universitari. Un programma di riforma a sostegno dell'idea della dichiarazione di Lisbona richiederebbe cinque condizioni: 1. Una consistente ridistribuzione del bilancio verso la ricerca e lo sviluppo tale da raddoppiare almeno i finanziamenti attuali. 2. Passaggio dallo sviluppo alla ricerca, in altre parole alla ricerca di base che produce un sapere nuovo. 3. Invece che la «creazione di una rete», un investimento in centri d'eccellenza aperti a tutte le nazionalità, in particolare nei paesi cosiddetti della «coesione» e presso i candidati all'adesione, essendo questi ultimi particolarmente esposti alla fuga di cervelli. 4. Uno sforzo speciale teso ad assicurare la formazione di giovani scienziati con l'obbligo di mobilità da un paese all'altro e la garanzia di un reddito competitivo. 5. Trasferimento della gestione dei programmi di ricerca scientifica dell'Unione europea che passerebbe dall'attuale sistema di pianificazione amministrativa a uno o due comitati per la scienza europea, struttura fondata sulla trasparenza e l'esame tra pari, come accade nel paese che resta ad oggi «l'economia più competitiva fondata sul sapere nel mondo». Si renderà ben presto indispensabile trovare a livello nazionale nuovi e cospicui finanziamenti per migliorare le dotazioni delle grandi università e consentire loro di accedere alla competizione internazionale. Ma l'aumento dei mezzi finanziari, sebbene necessario, non è sufficiente. Di capitale importanza saranno riforme strutturali tese a creare un ambiente universitario aperto, flessibile e trasparente, in grado di contribuire allo scambio e all'interazione sia a livello nazionale che internazionale. Etienne Baulieu è biochimico, professore onorario del Collège de France, membro dell'Accademia delle scienze. Christian De Duve, Premio Nobel per la medicina 1986. François Jacob è professore onorario del Collège de France, Premio Nobel per la medicina nel 1965. Aaron Klug (Regno Unito), Premio Nobel per la chimica nel 1982. Rita Levi Montalcini (Italia), Premio Nobel per la medicina 1986. Giorgio Parisi (Italia), professore di fisica teorica all'università di Roma-I - La Sapienza. Bengt Samuelsson (Svezia), Premio Nobel per la medicina nel 1982, presidente della Fondazione Nobel. Copyright Le Monde (traduzione del gruppo Logos) ___________________________________________________________ L'Unione Sarda 20 giu. '02 MATURITA’: MA È QUESTA PROVA DA BOCCIARE Chiamiamolo pure esame di stato, con la s minuscola per non confondere lo Stato nazione (suggerito dalla burocrazia ministeriale) con lo stato dello studente messo alla prova. Archiviato il termine "maturità", si dovrebbe ormai ammettere che maturi sono i tempi di abolire questa pomposa occasione di scontro generazionale che sistematicamente, anno dopo anno, si trasforma in questione di Stato. Polemiche prima, polemiche dopo, malumori a scuola, tensioni in famiglia, isteria a tutti i livelli, dalla strada fino al Parlamento passando per le chiese parrocchiali e le accademie universitarie. Se ancora qualche valore si vuol dare a quest'esame, guardiamolo come un banco di prova psicologica: un primo ansioso incontro- scontro con le difficoltà della vita, che non s'imparano a scuola. Per il resto, tutto è banale e inutile. Si può forse affermare che un giovane giunto all'ultimo anno di scuola superiore non sia preparato per l'università o per il mondo del lavoro? Lo si affermi pure, ma con una semplice bocciatura di fine stagione scolastica, senza Commissioni, Presidenti, Bustechiuse, Bolli e Controlli, Polizia-delle-comunicazioni, una pletora di ridicoli orpelli al posto del giudizio logico e sano degli insegnanti che hanno seguito il candidato attraverso anni d'esercizio. Tanto più che lo spauracchio della commissione esterna è ormai abolito per cause di ristretto bilancio statale e gli esaminatori sono adesso i professori-giudici naturali, benché accostati da un supermembro giunto da Chissaddove con l'incarico di aprire le buste alla Mike Buongiorno. La vera riforma, tutto sommato, è stata questa: riconoscere finalmente che non può essere un esame di Stato a qualificare lo stato dello studente. Tutto il resto è come prima, né più né meno: bastano gli argomenti della prova scritta d'italiano per constatare che niente di sostanziale è cambiato in tanti decenni di cervellotiche decisioni nelle stanze ministeriali. Questi ragazzi sono "uomini del nostro tempo", e non possiamo prendercela con i siti internet. Mauro Manunza __________________________________________________________ Il Sole 24Ore 22 giu. '02 DIRIGENTI PUBBLICI, IL POSTO MOBILE NON DIVENTI PRECARIO di Sabino Cassese Precarizzazione della dirigenza pubblica, accompagnata dall'introduzione della selezione in base al merito e dalla valorizzazione degli obiettivi assegnati ai dirigenti: così può essere riassunto il testo della nuova legge sulla dirigenza. Comincio dalla selezione e dalla valorizzazione degli obiettivi, che sono i due lati positivi della legge, il primo dei quali introdotto nell'ultimo passaggio parlamentare. D'ora in poi, al primo livello della dirigenza si potrà accedere in due modi: con un concorso gestito dalle singole amministrazioni e riservato ai dipendenti con cinque anni di servizio o con un corso-concorso gestito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione e aperto anche a esterni. Quest'ultimo durerà un anno e mezzo, di cui una parte (forse troppo breve) consisterà in un'esperienza fatta in amministrazioni pubbliche o private. ___________________________________________________________ L'Unione Sarda 20 giu. '02 ATZENI::"NEL COLLE DI SANT’ELIA C'È LA NOSTRA STORIA" La storia La protesta del celebre archeologo contro gli scavi dei carabinieri a S. Bartolomeo Il professor Atzeni: Capo Sant'Elia è una miniera d'oro Cagliari. Il professor Enrico Atzeni ha cambiato casa. Da San Benedetto, piazza, mercato, artigiani e botteghe, ha comprato a Sant'Elia, cuore del quartiere- ghetto, palazzoni e tunnel, giardini bruciati. Però è vicino al colle. E tutte le mattine, quando da viale Sant'Elia scende verso viale Poetto, alla nuova rotatoria rallenta la macchina, guarda il colle, cavità e ruspe, sospira, scuote la testa e arriva nel suo laboratorio alla Cittadella dei Musei ogni giorno più perplesso. Allora il professore scosta la sedia, si siede alla scrivania di legno scuro, a destra uno scaffale di tesi universitarie, la vasca di ceramica bianca per lavare pietra e argilla dalla terra degli scavi, i libri protetti dal vetro smerigliato di grandi librerie, e guarda una fotografia in bianco e nero del Poetto che fu. Ne ha fatto una gigantografia, il professore, e l'ha appesa a una parete del laboratorio, a sinistra della sua scrivania. Ci sono i casotti e il filobus, un bambino corre sulla sabbia, e la Sella del Diavolo che domina la baia. "Erano gli anni Cinquanta", dice. E negli anni Cinquanta il professor Enrico Atzeni, ordinario di Antichità Sarde, direttore sino a un paio di anni fa del Dipartimento di Scienze archeologiche e storico-artistiche dell'Università, era un giovane studente a qualche esame dalla laurea. Già studiava la grotta di San Bartolomeo, e Sant'Elia, Marina Piccola, il Bagno Penale: la Cagliari della preistoria. "Perché la grotta, scavata alla fine del secolo scorso, resta uno dei principali riferimenti archeologici per uno studio obiettivo degli avvicendamenti umani preistorici nell'Isola". Così la domus de janas di San Bartolomeo, "grotticella artificiale ubicata a una decina di metri a sud della grotta: la tomba si affacciava sullo sperone settentrionale del monte Sant'Elia prospiciente il quartiere di San Bartolomeo". Oggi quel monte, quel quartiere sono minacciati da un recinto di rete arancione, una ruspa e un escavatore. Signor ministro della Difesa chiarisca e, nel caso, blocchi i lavori, ha scritto un mese fa il senatore Mariano Delogu in un'interrogazione presentata a Palazzo Madama, proprio mentre il professore, una mattina come tante, scendeva da viale Sant'Elia e faceva inversione per arrivare in Cittadella. Un'occhiata al colle, come ogni giorno, e per poco il professore non esce fuori strada. "Ma guardate viale Sant'Elia, il roccioso pendio settentrionale che declina dalla dorsale del colle di Sant'Ignazio, guardate le cavità naturali, guardate la grotta del Bagno Penale: una bellezza da togliere il fiato". Ma le ruspe, proprio lì, tra le tombe e la zona archeologica - preziosissima, una rarità in tutto il bacino del Mediterraneo - che il professore studia da cinquant'anni, stanno spianando un terreno di San Bartolomeo a ridosso della caserma che ospita un battaglione dei carabinieri, a due passi dall'enorme palazzo di mattoni crudi che due anni fa aveva messo in allarme anche gli ambientalisti. Dove le fate avevano scavato le loro case, e i sardi della preistoria sepolto i loro morti, oggi verranno addestrati i cani. All'interrogazione di Delogu aveva risposto il comandante della caserma Cascino di San Bartolomeo, il colonnello Stefano Ortolani: "Nessun mistero, nessuno scempio paesaggistico: il progetto consiste nello spostamento del recinto della caserma per realizzare un campo, all'interno dell'area di nostra competenza, dove addestrare le unità cinofile". Di più: "Dobbiamo colmare il vuoto lasciato da una vecchia cava e questo può forse aver allarmato chi ha notato le ruspe e i lavori in corso". Insomma, tutto regolare. Ma il professore non ci sta: "Capo Sant'Elia è una miniera d'oro. Per i paletnologi, gli storici, gli antropologi che studiano il promontorio proteso nel mare delle antichissime rotte tra Oriente e Occidente". Per la città: "Quanta ricchezza è nascosta su quel colle, quanti itinerari, tra storia e natura, possiamo offrire ai turisti". E invece il colle è diviso tra i militari e i vandali, "stellette e immondezza". Dimenticato. "Ma sotto gli sterpi, e la terra indurita dal sole, è nascosta la nostra memoria". Francesca Figus ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 18 giu. '02 MEDICI SPECIALIZZANDI: PROTESTA CONTRO UNA NORMATIVA PENALIZZANTE Oggi l'assemblea plenaria dei medici specializzandi SASSARI. Sono medici a tutti gli effetti, ma vengono discriminati nella loro posizione di specializzandi. Sono coloro che svolgono attività a tempo pieno nei reparti ospedalieri, sopportando il più delle volte pesantissimi carichi di lavoro e vedendo negati i loro diritti ai trattamenti economico e previdenziale, alla fruizione delle ferie, alla malattia o alla maternità. Diritti riconosciuti negli altri paesi europei da oltre sei anni. Oggi, su iniziativa dell'Amsce (Associazione medici specialisti della Comunità europea e specialisti in formazione) tutti i medici delle scuole di specializzazione della facoltà di Medicina e Chirurgia dell'università di Sassari, come quelli delle scuole del resto d'Italia, si riuniscono in assemblea plenaria per richiamare l'attenzione delle istituzioni sul mancato riconoscimento del loro effettivo status di lavoratori e non di studenti, come di fatto vengono trattati. La riunione si terrà dalle 9 alle 13 nell'aula A del complesso didattico in viale San Pietro. La normativa li definisce "medici in formazione specialistica" e, in base al decreto legislativo 368/99, regola la loro posizione degli in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi e certificati ed altri titoli nell'ambito dei paesi dell'Unione europea. Con l'approvazione di questo decreto il parlamento ha sulla carta adeguato l'Italia alle regole Ue, che prevedono la stipula di un contratto annuale di formazione lavoro con l'università e con la Regione finalizzato all'acquisizione delle capacità professionali e rinnovabile ogni anno. Un contratto atipico che garantisce un trattamento economico e le coperture previdenziali e assicurative. Di fatto, però, questo decreto non è mai stato applicato e gli specializzandi continuano ancora a usufruire di borse di studio, che arrivano oltre tutto con ritardi ormai intollerabili (per questo gli allievi delle scuole di specializzazione della facoltà di Medicina di Sassari avevano anche scioperato per alcuni giorni lo scorso febbraio), oltre a farsi carico del pagamento delle tasse universitarie e del versamento della quota all'Ordine. "Una pratica discriminatoria - denuncia l'Amcse - nei confronti di professionisti che si vedono scippati della dignità di lavoratori, derubati della garanzia di ricevere una formazione di qualità e ampiamente penalizzati dai loro colleghi d'oltralpe". a.re. ___________________________________________________________ Cassazione 20 Mag. '02 LA SENTENZA DELLA CONSULTA CHE CONSETE PIU’ SPECILIZZAZIONI MEDICHE La sentenza della Corte Costituzionale n.219 del 2002 Specializzazione medica: la Consulta dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 34, comma 4, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368 , disposizione che non consente l'accesso ai corsi di formazione specialistica a chi sia già in possesso di un diploma di specializzazione e dell'articolo 24, comma 1, del medesimo d.lgs. 368/99, nella parte in cui esclude dall'accesso al corso di formazione specifica in medicina generale i possessori di diploma di specializzazione di cui all'articolo 20 del medesimo decreto, o di dottorato di ricerca. La Corte afferma che se il legislatore, può regolare l'accesso agli studi, anche orientandolo e variamente incentivandolo o limitandolo in relazione a requisiti di capacità e di merito, sempre in condizioni di eguaglianza, e anche in vista di obiettivi di utilità sociale, non può, invece, puramente e semplicemente impedire tale accesso sulla base di situazioni degli aspiranti che - come il possesso di precedenti titoli di studio o professionali - non siano in alcun modo riconducibili a requisiti negativi di capacità o di merito. A tale diritto si ricollega altresì quello di aspirare a svolgere, sulla base del possesso di requisiti di idoneità, qualsiasi lavoro o professione, in un sistema che non solo assicuri la "tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni" (art. 35, primo comma, della Costituzione), ma consenta a tutti i cittadini di svolgere, appunto "secondo le proprie possibilità e la propria scelta", un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società (art. 4, secondo comma, della Costituzione): ciò che a sua volta comporta, quando l'accesso alla professione sia condizionato al superamento di un curriculum formativo, il diritto di accedere a quest'ultimo in condizioni di eguaglianza. Il diritto di studiare, nelle strutture a ciò deputate, al fine di acquisire o di arricchire competenze anche in funzione di una mobilità sociale e professionale, è d'altra parte strumento essenziale perché sia assicurata a ciascuno, in una società aperta, la possibilità di sviluppare la propria personalità, secondo i principi espressi negli artt. 2, 3 e 4 della Costituzione. Per avere il testo della Corte Costituzionale SENTENZA 22-29 maggio 2002 n. 219 Potete scrivere a ef@pacs.unica.it casanova@pacs.unica.it =========================================================== ___________________________________________________________ L'Unione Sarda 22 giu. '02 SARDEGNA: SPESA SANITARIA ALLE STELLE: DEFICIT DI 550 MILIONI DI EURO Una commissione d'inchiesta sulla reale situazione della spesa sanitaria in Sardegna, sul rapporto tra spesa e livelli di qualità del sistema sanitario, sulla qualità delle prestazioni, sull'estensione dei servizi territoriali e sui motivi dell'incremento della spesa. È quanto chiedono venti consiglieri regionali, in grande parte del centrosinistra ma anche diversi del centrodestra, con una mozione illustrata ieri e sulla quale si chiederà che si pronunci in tempi brevi l'Aula. L'iniziativa - come hanno spiegato Ivana Dettori, dei Ds, e Antonangelo Liori, di An - non vuole avere una valenza politica in senso stretto ("non è una mozione di sfiducia nei confronti dell'assessore Oppi"), ma è la legittima richiesta di poter disporre di tutti i dati necessari per capire quale sia lo stato del settore sanitario nell'Isola. La commissione d'inchiesta è necessaria - è stato sottolineato - dopo i dati diffusi di recente dalla Corte dei Conti da cui risulta che il disavanzo del sistema sanitario colloca la Sardegna al quinto posto (dopo Lazio, Sicilia, Lombardia e Veneto) con un deficit di 257 milioni di euro (499 miliardi di lire). Somma destinata che potrebbe superare - ha ricordato Liori, citando stime del Sole 24 Ore - i 550 milioni di euro (poco meno di 1.100 miliardi di lire). In sostanza, i proponenti della mozione, molti dei quali fanno parte della commissione Sanità, hanno evidenziato l'esigenza di poter disporre di tutti i dati necessari prima di decidere qualsiasi tipo di intervento infrastrutturale (chiusura di ospedali) o tariffario (aumento ticket). La commissione d' inchiesta - la cui presidenza dovrebbe andare a un esponente dell'opposizione - dovrebbe servire per avere un quadro il più completo possibile del comparto sanitario, per quanto riguarda specialistica, ricoveri ospedalieri, ospedalità privata, servizi sul territorio, convenzioni e quant' altro. "Resta poi il dato di fondo - ha rilevato Nazzareno Pacifico, dei Ds - che non si può programmare nessun tipo di intervento se prima non si fissano gli obiettivi". ___________________________________________________________ L'Unione Sarda 21 giu. '02 "COMMISSIONE D'INCHIESTA SUL BUCO DELLA SANITÀ SARDA" Presentata da 25 consiglieri di maggioranza e opposizione Una commissione d'inchiesta sul buco della Sanità sarda. È stata chiesta da 25 consiglieri regionali di maggioranza e opposizione che ieri hanno presentato una mozione che impegna, tra l'altro, la Giunta a presentare il nuovo piano sanitario regionale entro la fine dell'anno. La mozione è stata firmata da Ivana Dettori (Ds) Nazareno Pacifico (Ds), Gianni Locci (An), presidente della commissione Sanità, Peppino Balia (Sdi), Cesare Corda (An), Luigi Cogodi (Prc), Luca Deiana (Democratici), Nino Demuru (Ds), Gianni Giovannelli (FI), Mondino Ibba (Sdi), Mimmo Licandro (FI), Antonello Liori (An), Pasqualino Manca (Psd'Az), Pierangelo Masia (Sdi), Velio Ortu (Prc), Mariella Pilo (FI), presidente della Seconda commissione, Giampiero Pinna (Ds), Giacomo Sanna (Psd'Az), Salvatore Sanna (Ds), Pier Sandro Scano (Ds), Valter Vassallo (Prc), Giambattista Orrù (Ds), Enzo Satta (FI) e Salvatore Granella (Democratici). La mozione prevede "l'esigenza di una immediata razionalizzazione della spesa sanitaria e l'accertamento delle cause che hanno portato all'ingente disavanzo accumulato dal sistema sanitario in Sardegna". ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 22 giu. '02 Destra e sinistra al capezzale della sanità chiedono una "Commissione d'inchiesta" CAGLIARI. Una commissione d'inchiesta sulla reale situazione della spesa sanitaria in Sardegna, sul rapporto tra spesa e livelli di qualità del sistema sanitario, sulla qualità delle prestazioni, sull'estensione dei servizi territoriali e sui motivi dell'incremento della spesa. È quanto chiedono venti consiglieri regionali, in grande parte del centrosinistra ma anche diversi del centrodestra, con una mozione illustrata ieri e sulla quale si chiederà che si pronunci in tempi brevi l'aula. L'iniziativa - come hanno spiegato Ivana Dettori, dei Ds, e Antonangelo Liori, di An - non vuole avere una valenza politica in senso stretto ("non è una mozione di sfiducia nei confronti dell'assessore Giorgio Oppi), ma è la legittima richiesta di poter disporre di tutti i dati necessari per capire quale sia lo stato del settore sanitario nell'isola. La commissione d'inchiesta è necessaria - è stato sottolineato - dopo i dati diffusi di recente dalla Corte dei Conti da cui risulta che il disavanzo del sistema sanitario colloca la Sardegna al quinto posto (dopo Lazio, Sicilia, Lombardia e Veneto) con un deficit di 257 milioni di euro (499 miliardi di lire). Somma destinata che potrebbe superare - ha ricordato Liori, citando stime riportati dai giornali - i 550 milioni di euro (poco meno di 1.100 miliardi di lire). In sostanza, i proponenti della mozione, molti dei quali fanno parte della commissione Sanità, hanno evidenziato l'esigenza di poter disporre di tutti i dati necessari prima di decidere qualsiasi tipo di intervento infrastrutturale (chiusura di ospedali) o tariffario (aumento ticket). La commissione d' inchiesta - la cui presidenza, hanno tutti convenuto, dovrebbe andare a un esponente dell'opposizione - dovrebbe servire per avere un quadro il più completo possibile del comparto sanitario, per quanto riguarda specialistica, ricoveri ospedalieri, ospedalità privata, servizi sul territorio, convenzioni e quant' altro. Resta poi il dato di fondo - ha rilevato Nazzareno Pacifico, dei Ds - che non si può programmare nessun tipo di intervento se prima non si fissano gli obiettivi e questo negli ultimi anni ("ecco perché questo è un argomento'trasversale' sul quale ci sono mugugni sia nel centrodestra sia nel centrosinistra", ha sostenuto Pier Sandro Scano) non sono stati mai indicati da chi aveva la responsabilità di governo del settore. La commissione "Sanità" del Consiglio regionale ha anche deciso di fare un sopralluogo in Toscana, regione dove il modello sanitario regionale ha raggiunto risultati significativi dal punto di vista del contenimento della spesa e della contemporanea garanzia di elevazione qualitativa e diffusione territoriale dei servizi. Insomma l'equilibrio ottimale cui mirano tutte le regioni. ___________________________________________________________ Corriere della Sera 21 giu. '02 IL DISAVANZO DELLA SANITÀ VIAGGIA VERSO I 2,5 MILIARDI Baccaro Antonella ROMA - Carte coperte sul buco sanitario nel primo incontro tra governo, Regioni e enti locali ieri a Palazzo Chigi sul Documento di programmazione economica e finanziaria. Nessun accenno a un' eventuale terapia a base di ticket e tagli alla spesa farmaceutica. Le cifre a disposizione del governo sarebbero quelle relative al disavanzo della sanità 2001, pari a 4-5 mila miliardi di vecchie lire (2-2,5 miliardi di euro). Cifre pesanti. Giusto per far percepire l' entità del problema. E chiarire le responsabilità. Ma che le Regioni contestano, affermando di essere in grado di coprire 2-3 mila miliardi (1-1,5 miliardi di euro), grazie alle misure straordinarie messe in atto nel 2001. Oggi i rappresentanti degli enti locali saranno ricevuti dai ministri della Salute, Girolamo Sirchia, e degli Affari regionali, Enrico La Loggia, prima e dal responsabile dell' Economia poi. Si parlerà di temi tecnici, come le liste d' attesa, nel primo incontro, e finalmente di bilanci nel secondo. "Faremo una verifica dei conti e cominceremo a ragionare sulle soluzioni - ha detto ieri il presidente della Regione Emilia Romagna, Vasco Errani (Ulivo) -. Su un punto, comunque le Regioni non trattano: la necessità di finanziamenti adeguati alla sanità, e la conferma di un sistema pubblico e universalistico". Intanto il presidente della Conferenza delle Regioni e governatore del Piemonte, Enzo Ghigo (Polo), ha sdrammatizzato il tema dei provvedimenti per il contenimento della spesa: "Nel Dpef non c' è alcun elemento che faccia presagire iniziative del governo per contenere la spesa sanitaria, come ticket o altre misure". Da parte sua Ghigo ha assicurato che "il controllo della spesa pubblica sarà rigoroso" e che nel futuro un ruolo importante sarà giocato anche da Infrastrutture e Patrimonio. L' impressione è che il governo ieri abbia voluto ricostruire un dialogo con gli enti locali dopo la forte denuncia di Tremonti sugli sforamenti dei bilanci. Di qui le rassicurazioni circa il ruolo delle Regioni. "Il ministro Tremonti ha sostenuto in maniera chiara e esplicita che l' attuazione del Titolo V della Costituzione (le norme sul federalismo, ndr) è parte integrante del Dpef - ha chiosato Ghigo -: è la dimostrazione della volontà di attuare l' articolo 119 della Costituzione". Critico Errani: "Questa Finanziaria deve decidere di allocare le risorse laddove sono le competenze, non come avvenne lo scorso anno quando le risorse sono rimaste in capo ai ministeri". Cresce la polemica tra gli schieramenti politici. Il segretario dei Ds, Piero Fassino, chiede "una correzione radicale della politica economica del governo" bocciando l' eventuale reintroduzione dei ticket: "Si possono evitare adottando altre soluzioni come nelle Regioni governate dal centrosinistra dove la spesa sanitaria è sotto controllo". "Fassino sbaglia - replica il presidente della Lombardia, Roberto Formigoni (Polo) - lo Stato versa a un cittadino lombardo 140 mila lire in meno che a un emiliano e 120 mila in meno che a un toscano, cittadini, questi ultimi, governati dall' Ulivo". Antonella Baccaro ___________________________________________________________ Corriere della Sera 18 giu. '02 SIRCHIA: TICKET E POLIZZE PRIVATE PER CURARE IL DEFICIT DELLA SANITÀ "Gli ospedali assorbono metà delle risorse, manca un servizio di medicina territoriale" Cremonese Antonella Ci saranno le Krankenkassen, cioè "casse malattia" sul modello tedesco? Il ministro della Salute, Girolamo Sirchia, intervenuto ieri mattina all' incontro organizzato dall' Istituto Europeo di Oncologia sulle ricerche scientifiche del team di Umberto Veronesi, non ha escluso nessun mezzo per raddrizzare i conti. D' accordo con il ministro dell' Economia, Giulio Tremonti, che da giorni invoca tagli e interventi, nei prossimi giorni esaminerà il problema con le Regioni. La reintroduzione del ticke t sui farmaci, che Sirchia non ha escluso, a questo punto della crisi presenta ormai l' efficacia di una vecchia carabina, mentre ci vuole come minimo il fucile a laser. L' analisi fatta dal ministro della Salute è stata quella di un amministratore d elegato che si prepara a chiedere agli azionisti pesanti sacrifici: "La spesa cresce perché crescono i bisogni sanitari, il costo delle tecnologie, l' età della popolazione. Gli ospedali assorbono il 50% dei 150 mila miliardi di vecchie lire cui è ar rivato il bilancio della sanità" Sirchia ha indicato le grosse fonti di uscita ("Le strutture inutili, le prestazioni improprie, gli sprechi nell' acquisto di beni e servizi"), e si è mostrato scoraggiato a proposito dell' assistenza a domicilio: "Do vremmo avere una medicina territoriale che non c' è, che non è coperta e non è copribile in questo momento" E allora? Per la prima volta, il ministro ha dato corpo alle voci ricorrenti: "Si può pensare anche a forme assicurative". Sirchia ha parlato poi delle "eccellenze di Milano, di cui lo Ieo è un esempio", ha riproposto una "rete" tra i migliori ospedali, e ha raccolto comunque l' eredità ideale di un Welfare State al tramonto: "Non ci devono essere differenze. Non deve succedere che ammalar si di tumore in un posto voglia dire vivere, e ammalarsi in un altro posto significhi morire". Umberto Veronesi ha sfiorato anche lui l' argomento della spesa ("A noi nessuno ripiana il deficit. Siamo arrivati a ridurre la degenza media a 4 giorni, p erché dobbiamo ridurre i costi per mantenere alta la qualità e ampliare l' attività clinica e di ricerca") e ha poi presentato, tra le altre, un' importante novità scientifica: "Grazie alla Tac spirale, un test economico (tra i 100 e i 200 euro) che abbiamo già provato su mille fumatori, sarà possibile riconoscere un tumore al polmone 4-5 anni prima, in fase precocissima. E guarire quindi 8 malati su 10". Il terremoto-sanità si è riaffacciato nel pomeriggio in un convegno all' Istituto dei Tumor i organizzato in collaborazione tra l' Istituto di via Venezian, il Besta e la Cgil cittadina. Su un tema caldissimo: la trasformazione degli Irccs in Fondazioni. Gianni Locatelli, Graziano Arbosti e Antonio Panzeri hanno chiesto garanzie sull' ident ità di questi Istituti di alto livello. Ma altri relatori hanno evocato una privatizzazione mascherata, che per di più non farebbe risparmiare: "Dopo la Thatcher, il servizio sanitario inglese costa di più ed è diventato pessimo". Antonella Cremonese ___________________________________________________________ Il Sole 24Ore 22 giu. '02 LA PRIVACY PESA SUI MEDICI Critiche all'ipotesi di consenso scritto (NOSTRO SERVIZIO) ROMA - Milioni di italiani in fila dal medico per dare il consenso al trattamento dei propri dati personali. È questo lo scenario che si prefigurerebbe, secondo la Fnom-ceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei medici, se fosse approvata la bozza di regolamento attuativa del Dlgs 282/1999, che disciplina la gestione dei dati sanitari sensibili. Un regolamento attesissimo (così come quello che dovrebbe rendere più sicure le ricette mediche, per il quale bisognerà ancora aspettare): la commissione ad hoc presso il ministero della Salute ci lavora da due anni. L'obiettivo è quello di individuare procedure semplificate per acquisire il "via libera" dei pazienti. E proprio di semplificazione si tratta, almeno in teoria. Infatti, lo schema di regolamento introduce il concetto di "catena del consenso": una volta che il paziente avrà dichiarato al proprio medico di famiglia il "sì" al trattamento dei dati, questo diventerà implicito per tutte le altre visite. Sulla procedura semplificata i medici Fnom-ceo sono d'accordo. Si battono però contro il meccanismo di raccolta del consenso, chiedendo innanzitutto che il trattamento dei dati sanitari ai fini di diagnosi e cura rientri tra i casi, previsti dall'articolo 12 della legge sulla privacy (la 675/96), che non necessitano di autorizzazione esplicita. Il "sì" scritto andrebbe, insomma, limitato a pochi casi: la partecipazione del paziente a programmi di sperimentazione e di ricerca, il trapianto di organi o la presenza di patologie particolarmente delicate. In ogni altra situazione - propone la Fnom - dovrebbe valere il principio del silenzio-assenso. Vale a dire che dovrebbero essere messi per iscritto soltanto i "no", così da evitare inutili lungaggini burocratiche. La bozza di regolamento prevede invece un modulo in duplice copia, più un tagliando adesivo da applicare sulla tessera sanitaria, mentre la registrazione del consenso andrà fatta sia presso il medico di base o il pediatra sia presso l'azienda sanitaria locale. Il consenso potrà essere successivo alla richiesta della prestazione solo in rari casi: emergenze sanitarie o di igiene pubblica, incapacità di agire permanente o temporanea, rischi imminenti e irreparabili per la salute del cittadino. Rigide, e da comunicare sempre per iscritto, anche le procedure di autorizzazione al trattamento dei dati da parte di operatori sanitari diversi dai medici. "Una procedura - spiega Nicolino d'Autilia, delegato del comitato centrale Fnom-ceo per la privacy - inutilmente macchinosa, che aggraverebbe il lavoro già molto burocratico dei medici. E che rischia di esporre a gravi pregiudizi la salute degli stessi cittadini. Questi devono sapere che, nel caso pongano il veto al trattamento dei dati sensibili, rischiano di ostacolare l'attività di diagnosi e cura. Un esempio? Facciamo l'esempio di un malato di Aids che deve fare un'analisi per un sintomo diverso dalla sua malattia: se avrà negato il consenso, la diagnosi dello specialista sarà falsata dall'incompletezza del quadro clinico complessivo". In ogni caso, secondo d'Autilia, l'applicazione di questo regolamento deve essere preceduta da un'efficace campagna d'informazione ai cittadini: "Devono conoscere i rischi che li aspettano in caso di rifiuto del consenso". La palla passa ora al ministro Girolamo Sirchia, al quale i medici italiani hanno già chiesto un incontro chiarificatore. Barbara Gobbi ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 17 giu. '02 FARMACI SÌ, MA DI MARCA Secondo Ims Health i generici in Italia coprono solo l'1% del mercato totale. Sta entrando a regime, invece, il sistema dei controlli Trend contraddittori per la spesa farmaceutica di metà anno che - appena licenziate le norme della legge taglia-deficit (Dl 63/2002, varato giovedì scorso dal Senato) e assimilata la notizia del nuovo rallentamento dei consumi registrato in aprile (-0,4% rispetto a marzo secondo Federfarma) - si trova a fare i conti anche con l'ennesima mini-bufera del "pianeta generici". Dopo gli attacchi dell'Antitrust all'eccessiva durata della copertura brevettuale garantita in Italia ad alcune molecole rispetto ai mercati europei, è stata la denuncia alla Procura della Repubblica da quattro associazioni di consumatori sulla carenza dei prodotti a riportare alla ribalta il problema della diffusione sul mercato nazionale dei farmaci non di marca. I generici. A confermare che il mercato dei generici, dopo otto mesi dal debutto, non matura sono i dati elaborati dall'Ims Health (pubblicati nel n. 23/2002 del settimanale «Il Sole-24 Ore Sanità»): a marzo i generici puri hanno rappresentato solo l'1% della spesa Ssn, mentre le specialità analoghe ("copie" di marca della specialità leader) hanno toccato quota 7%. Segno chiaro della scarsa tendenza da parte di medici prescrittori e pazienti ad affidarsi ai generici e allo stesso tempo indice della ridottissima movimentazione dei prodotti all'interno dei mercati locali. Sempre a marzo, infatti, solo in cinque Regioni (Valle d'Aosta, Trentino, Toscana, Marche e Sardegna) sono risultate presenti (una confezione venduta), almeno il 30% delle scatolette generiche teoricamente commercializzate sul territorio nazionale. A farne le spese oltre allo Stato - che risparmia meno di quanto potrebbe - sono i cittadini. Maglie nere della movimentazione dei generici sono risultate, sempre a marzo, la Campania e il Molise, Regioni in cui - forse non a caso - si registrano anche livelli elevati di copayment determinati dal versamento del differenziale tra rimborso Ssn (tarato sul generico a minor costo) e prezzo della specialità. Pur senza maturare un alto gradimento commerciale, tuttavia, i generici hanno avuto il merito di far crollare i prezzi di copie e specialità leader. Esempio classico la nimesulide: tra gennaio 2001 e marzo 2002 la specialità leader (Aulin in bustine) ha ridotto il listino del 60%. Tra i suggerimenti per far decollare il mercato figurano l'ipotesi di esentare dall'eventuale ticket ricetta introdotto in alcune Regioni le prescrizioni contenenti un generico ovvero l'introduzione di un prezzo di rimborso basato sulla media dei tre generici più economici presenti nella distribuzione locale, rendendo così più flessibile per le Regioni la gestione della clausola di salvaguardia, cioè la cessione gratuita della specialità se il generico è non c'è in farmacia. Guerra sui brevetti. Ma forse non sarà necessario ricorrere a queste strategie, visto che i rumori sulla nuova stretta ai consumi stanno già riportando in auge l'ipotesi di nuovi ritocchi ai brevetti con la Finanziaria per il 2003. L'obiettivo sarebbe quello di recuperare almeno in parte quei 1.800 milioni di euro di minori risparmi derivanti, secondo i produttori dei generici, dalla scelta di portare da 12 a sei mesi l'anno la riduzione della protezione che garantisce una maggiore longevità di mercato a molecole già off-patent nella Ue. Si tratta di princìpi attivi di ampio uso - tra cui un antiulcera e un paio di antiipertensivi che detengono quote vicine al 50% del mercato di categoria, e una statina che tocca quota 70% - in scadenza nella Ue nel 2004 e in Italia solo fra cinque anni. La partita è dunque destinata a riaprirsi, così come è pronta probabilmente ad estendersi a macchia d'olio la "riabilitazione" dei ticket moderatori, confermatisi mezzo d'eccellenza di contenimento della spesa. In aprile, infatti, segnala ancora Federfarma, a realizzare i maggiori risparmi sono state Liguria (-10,9% la spesa netta rispetto ad aprile 2001), il Piemonte (–6,2%), il Veneto (+0,3%), Regioni cioè che hanno introdotto il ticket per confezione. Meno efficaci si sarebbero rivelati invece ticket ricetta e delisting puro. Il primo induce la prescrizione del numero massimo di confezioni per ricetta. Il secondo - adottato in Puglia, Lombardia, Emilia Romagna - produce solo lo spostamento delle prescrizioni verso farmaci più costosi rimborsati dal Ssn. E la spesa è salita. Sara Todaro ___________________________________________________________ L'Unione Sarda 18 giu. '02 PIÙ FACILE ARRIVARE AL POLICLINICO CON LA TERZA CORSIA APERTA SULLA 554 Eliminata la strozzatura che paralizzava il traffico in uscita da Monserrato SESTU Addio code al semaforo. Aperta in tempi da record la terza corsia lungo la provinciale che collega Sestu con la statale 554. Eliminato il tappo che da anni strozzava la circolazione, già nel pomeriggio si sono visti gli effetti: dimezzati i tempi d'attesa per le auto in uscita dalla cittadella universitaria di Monserrato. Dopo appena 23 giorni dall'apertura del cantiere, un terzo del tempo previsto dalla gara d'appalto, la bretella è stata ultimata e la strada riaperta al traffico. Eliminate anche le barriere nella corsia di decelerazione ai bordi della statale. Da ieri, chi arriva dalla città diretto a Sestu o al Policlinico universitario, non deve più fermarsi al semaforo. Giudizi lusinghieri da parte degli automobilisti. "È stato come passare dalla notte al giorno commenta Lucia Marcis, 25 anni cagliaritana, studentessa in medicina al policlinico: c'erano giorni in cui impiegavo anche più di un'ora per superare l'incrocio della statale. Oggi, invece, allora di pranzo la fila era ridotta di molto". Soddisfatti anche i residenti che, passando per la nuova bretella, superano agevolmente l'incrocio a raso per Monserrato, dove il semaforo crea spesso file interminabili. Per completare l'intervento, la Provincia ha speso quasi 200 milioni di vecchie lire. "Siamo riusciti a concludere i lavori un mese prima del previsto" ha spiegato ieri mattina l'assessore ai Lavori pubblici della Provincia, Renzo Zirone "Questa nuova corsia garantirà una circolazione molto più fluida. Secondo i dati in nostro possesso, da oggi avremo il trenta per cento di traffico in meno. In settembre, poi, sarà pronto il progetto esecutivo del cavalcavia e potremo partire con le procedure d’appalto. Stando agli importi, ci basterà ricorrere a un bando nazionale". Un intervento da quasi 9 milioni di euro che risolverà definitivamente i problemi della circolazione nella nuova area universitaria. "Siamo partiti con il piede giusto ha commentato il sindaco di Sestu Luciano Taccori così diminuiscono i disagi". Tempi d'attesa dimezzati, ma ancora troppo lunghi nelle ore di punta. In attesa che si realizzi il cavalcavia, le proposte di Sestu puntano tutte sul semaforo della statale. Per Ignazio Perra, consigliere provinciale di FI, bisogna "regolarlo seguendo i blocchi di traffico in uscita, così le auto non si intralceranno". Di giudizio diverso Salvatore Pisu, vicesindaco, che invece propone i semafori intelligenti. Non ha dubbi l'assessore Zirone: "Non sarà facile intervenire sul semaforo. Nella statale funziona l'onda verde, per cui tutti i semafori sono sincronizzati per garantire il verde a chi mantiene i 60 chilometri orari". Francesco Pinna ___________________________________________________________ L'Unione Sarda 22 giu. '02 QUARTU: APRE LA PRIMA BANCA DEGLI OCCHI Un'iniziativa dell'Università e del Lions nei locali dell'ex Avis concessi dal Comune Un centro per il trapianto delle cornee, l'unico in Sardegna I trapianti di cornea, in Sardegna si fanno da cinquant'anni: sono semplici, i rischi di rigetto sono inferiori e in genere vanno a buon fine. Il problema è uno solo: non ci sono le cornee, perché malgrado tutti gli sforzi della Clinica oculistica dell'Università, non è mai stata creata una "banca degli occhi". Ecco perché, malgrado l'alto numero di specialisti sardi in grado di effettuare il trapianto, i pazienti che vivono nella nostra regione sono costretti a "emigrare" nella Penisola: manca la materia prima, e non certo per la carenza di donatori, visto che è possibile espiantare le cornee anche da persone decedute da qualche ora. Adesso è finita, anzi: sta per finire. Da sabato, Quartu ospiterà (anche se temporaneamente) la prima "banca degli occhi" sarda, collegata in rete con gli ospedali di tutta l'Isola. Le Asl potranno prelevare le cornee e la Sardegna sarà autosufficiente: niente più liste d'attesa nazionali. Accarezzato per otto anni dal direttore della Clinica oculistica universitaria dell'ospedale "San Giovanni di Dio", Antonina Serra, il sogno sta per diventare realtà. Merito del Lions club quartese, che già anni fa si era messo in moto per individuare una sede adatta, e della tenacia della professoressa Serra. Ora la sede c'è: è negli ex uffici dell'Avis, in via Trieste, di proprietà del Comune. Il primo sì era arrivato dall'ex sindaco Graziano Milia; il progetto è stato concluso ora, con la collaborazione dell'attuale primo cittadino Davide Galantuomo. La "banca degli occhi" resterà a Quartu fino a quando la Clinica oculistica non sarà trasferita al Policlinico di Monserrato: i tempi del trasloco si stanno prolungando, ma i motivi ancora sfuggono. Al "San Giovanni di Dio", la "banca" non aveva trovato spazio. "A dire il vero, l'avevamo individuato e attrezzato", spiega il direttore Antonina Serra, "ma poi non è stato ritenuto idoneo perché si trovava su un soppalco". Regolamenti alla mano, l'Asl ha dovuto dire di no al progetto. "Ho chiesto a tutti gli assessori regionali alla Sanità che si sono succeduti dal 1994 a oggi", aggiunge il direttore, "di poter approntare la "banca degli occhi", ma non è mai stato possibile". Nel frattempo, i tempi del trasferimento al Policlinico di Monserrato continuavano ad allungarsi. È stato così, che è nata la "soluzione Quartu". L'ex sede dell'Avis è stata adattata a ospitare la "banca", che raccoglie e studia le cornee da trapiantare. "Prima di dichiarare una cornea idonea al trapianto", chiarisce la professoressa Serra, "si devono condurre alcuni studi di compatibilità. Rispetto agli altri organi, è più facile ottenere dai familiari l'assenso all'espianto, perché non è necessario prelevare le cornee quando le funzioni vitali del donatore, nonostante la morte cerebrale, sono ancora tenute attive dai macchinari. Opportunamente conservata nella "banca degli occhi"", conclude il direttore della Clinica oculistica, "la cornea può essere trapiantata anche dopo un mese". In via Trieste è tutto pronto, compreso lo speciale frigorifero donato dall'associazione "Inner wheel". Manca una cosa, soltanto una cosa: l'autorizzazione per iniziare l'attività. All'Università, si augurano che sia questione di giorni. Luigi Almiento Sabato presentazione in via Trieste "È una grande conquista non solo per Quartu, ma per tutta la Sardegna". Raffaele Gallus Cardia, governatore del distretto 108 L del Lions club cittadino, è giustamente orgoglioso. È proprio grazie ai Lions che sabato mattina alle 9.45, con una cerimonia in programma nell'aula consiliare del Comune, sarà inaugurata la "banca degli occhi" nell'ex sede dell'Avis, in via Trieste 17/19. "Sarà il primo centro sardo e il secondo a livello nazionale supportato dai Lions", spiega il governatore, "il primo ha sede a Genova". Enea Beccu, presidente uscente del Lions Club cittadino, spiega: "L'iniziativa è stata intrapresa lo scorso anno dall'ex presidente Giuliano Santus, e portata avanti dal coordinatore e socio Marco Polo. Indispensabile è stato l'appoggio fornito sia dall'Università di Cagliari che dal Comune di Quartu. Entrambi hanno mostrato estrema sensibilità". La sede della "banca degli occhi" sarà gestita dalla Clinica oculistica dell'Università, sotto la supervisione della professoressa Antonina Serra. Alla presentazione di sabato al Municipio, interverranno l'officer distrettuale Marco Polo, il sindaco Davide Galantuomo, il rettore dell'Università Pasquale Mistretta, il presidente del Lions club cittadino Enea Beccu. Saranno presenti anche l'assessore regionale alla Sanità Giorgio Oppi, il coordinatore regionale del centro trapianti Licinio Contu, il direttore della Clinica oculistica universitaria Antonina Serra e il governatore del distretto 108 L Raffaele Gallus Cardia. Eleonora Bullegas ___________________________________________________________ L'Unione Sarda 19 giu. '02 BROTZU: SILURATO IL CHIRURGO DEL FEGATO La direzione dell'ospedale "Brotzu" blocca il contratto del professor Ambrosino Dossier sul "re dei trapianti" alla Procura della Repubblica Doveva eseguire i trapianti di fegato all'ospedale "Brotzu", ma è stato cacciato prima che mettesse piede in sala operatoria. Giovanni Ambrosino, 44 anni, allievo del professor Davide D'Amico, di Padova, aveva vinto il concorso per dirigere la divisione di "Chirurgia epatica" ma l'azienda sanitaria ha deciso di non dar corso alla nomina e di trasmettere la documentazione che lo riguarda alla Procura della Repubblica. All'origine della clamorosa iniziativa c'è proprio il concorso. Ambrosino era riuscito a vincerlo presentando un'imponente documentazione: trapianti eseguiti in Italia e negli Stati Uniti. Il verdetto era stato però impugnato da un altro concorrente, il professor Alberto Porcu, chirurgo all'università di Sassari, il quale, in un ricorso al Tar (presentato dagli avvocati Domenico Cordella e Gianfranco Benelli), sosteneva che parte di quella documentazione era falsa. In attesa della decisione dei giudici amministrativi, la direzione generale del "Brotzu" ha avviato per proprio conto una serie di accertamenti, in Italia e all'estero. I risultati non si conoscono, ma sono riportati nel documento spedito alla magistratura. E comunque hanno indotto l'ospedale a non stipulare il contratto col chirurgo napoletano. Decisione grave, "ma non avevamo altra scelta - spiega il direttore generale Franco Meloni -: abbiamo chiesto al professor Ambrosino una liberatoria per accertare, attraverso un esame di documenti, l'attività svolta negli Usa. Non ce l'ha permesso. Di conseguenza, non potevamo consentirgli di prendere possesso dell'incarico". "Licenziato" prima che iniziasse a operare, ma perché rivolgersi alla magistratura penale? C'era già un ricorso pendente al Tar. "E proprio in quel ricorso - precisa Meloni - il professor Porcu ha formulato accuse pesantissime nei confronti del professor Ambrosino, mettendo in dubbio l'autenticità della documentazione presentata per vincere il concorso. In questa situazione, la legge non ci lasciava altra scelta. Sarà ora il magistrato ad accertare se le accuse di Porcu sono fondate o se quanto riportato nei documenti di Ambrosino risponde a verità". Interpellato telefonicamente, il protagonista della vicenda non si scompone: "Credo sarebbe stato difficile per il Brotzu dare corso al mio contratto dopo che l'assessore alla Sanità ha deciso di non dare a Cagliari l'autorizzazione per seguire i trapianti di fegato. Io, comunque, continuo a dare tutta la mia disponibilità a un progetto che può riguardare i trapianto o solo la chirurgia generale". Ma il professor Porcu, in un ricorso al Tar, sostiene che lei avrebbe prosentato al concorso documenti falsi. "Ho dato un'importanza relativa a quanto scritto in quel ricorso - risponde Ambrosino -. Ma chi fa certe affermazioni si assume la responsabilità di eventuali denunce per calunnia. Se Porcu sostiene queste cose, si metta una mano sulla coscienza, sui suoi documenti e su quanto ha detto nei miei confronti". Lei ha querelato il professor Porcu? "Io sono una persona pacifica per natura. Se devo venire a lavorare in Sardegna, non vedo perché debbo alzare il tiro su persone che di trapianti non hanno alcuna esperienza. Porcu dice di averli fatti, ma, non avendo l'autorizzazione, penso non sia vero. In Italia per fare i trapianti ci vuole l'autorizzazione personale. Io ce l'ho. Certo, se non dovessi venire a lavorare a Cagliari per motivi che riguardano l'organizzazione dell'ospedale è un conto, se invece si dice che io ho presentato una documentazione insufficiente o falsa, allora chi fa queste affermazione deve assumersene la responsabilità". In realtà Porcu, nel ricorso amministrativo, parla proprio di documenti falsi. In particolare, quando si riferisce alla casistica sui trapianti che Ambrosino sostiene di aver eseguito all'estero. Contraffatti sarebbero - sempre secondo Porcu - alcuni certificati allegati da Ambrosino alla domanda di partecipazione al concorso. Uno firmato dal professor Thomas Starzl, già direttore del "Centro trapianti di Pittsburg" e altri due dal professor Esquivel, direttore del "Pacific medical center di San Francisco". Di fronte ad accuse di questa portata, la direzione del "Brotzu" ha deciso di svolgere una serie di accertamenti negli Stati Uniti, rivolgendosi allo studio legale Hunton e Williams di New York. Ma, nell'indagare, uno degli avvocati, Michael Marino, si sarebbe subito scontrato con le severe norme che negli Usa tutelano la privacy delle persone. Per dare notizie su Ambrosino, gli ospedali chiedevano infatti una sua autorizzazione. Che il chirurgo si sarebbe però rifiutato di rilasciare. Ed è proprio di fronte a questo atteggiamento che il "Brotzu" ha deciso di non dar corso al contratto e di rivolgersi alla Procura della Repubblica. Per fare i trapianti di fegato ora bisognerà trovare un altro chirurgo. Lucio Salis Parla il professor Ambrosino I miei documenti sono in regola Ieri abbiamo pubblicato un servizio sulla mancata nomina del primario nella divisione di Chirurgia epatica, al "Brotzu". Sull'argomento il prof . Giovanni Ambrosino, che doveva ricoprire quell'incarico, ci ha inviato questa lettera che volentieri pubblichiamo. Non ritengo assolutamente di essere una star o un mago del trapianto. La Sardegna ne ha uno, il prof. Antonio Pinna, che adesso capisco perché è altrove a svolgere la sua preziosissima opera. Io sono stato invitato a partecipare a questo concorso, di cui non conoscevo neanche l'esistenza, e ho dato la piena disponibilità, peraltro nulla sapendo che l'assessore regionale alla Sanità non aveva concesso al "Brotzu" le dovute autorizzazioni. Ho saputo solo dopo e per caso che tale autorizzazione era stata data a Sassari, al gruppo del prof. Dettori, persona che io stimo moltissimo e che a pieno titolo avrebbe potuto e potrà svolgere tale attività. Al tempo stesso non capisco chi, del giornale, pensa che questa storia possa considerarsi il mio tramonto. Quando i giudici faranno luce sulla vicenda, si vedrà di chi sarà stato veramente il tramonto. Io continuo a fare il mio lavoro, godendo anche la fiducia di molti, anche sardi, che continuano a rivolgersi a me, a Padova. Vorrei inoltre specificare che, indipendentemente dai miei documenti, il prof. Porcu è stato ritenuto non idoneo a dirigere una struttura di chirurgia generale ad impronta epatologica da una commissione di illustri chirurghi sardi. Questo, indipendentemente dal mio curriculum e dai miei titoli. Quando poi si parla dei miei titoli americani, ricordo che sono stati tutti ri-certificati a data febbraio 2002, a riprova che all'epoca erano stati veramente redatti. Comunque i vecchi certificati sono stati tutti presentati copia conforme all'originale certificato da notaio, come prevede la legge al Tar e all'Amministrazione ospedaliera. Se tramonto c'è stato, è il tramonto di un progetto per la gente sarda, che ancora oggi deve "emigrare in continente" per certe patologie. Io non avrei salvato nessuno, né apportato scienza che la Sardegna non ha. Sarei venuto con gioia a Cagliari e solo a portare un'esperienza perché "chiamato" a svolgere un'attività che ha poco a che fare con la mia documentazione, basata sui fatti e sul nome che mi sono costruito nel mondo dei trapianti, provenendo da una prestigiosissima scuola che è stata del prof. Cevese prima (che la gente di Sardegna dovrebbe ricordare) e del prof. D'Amico poi. La scuola diretta dal prof. Dettori potrà, in maniera egregia, svolgere questa attività: non c'è bisogno di andare a cercare chirurghi altrove. La mia sarebbe stata solo una semplice collaborazione vista in un'ottica proficua e costruttiva. Il resto è miseria di chi non ha altre armi che la calunnia. Io sono qui in attesa che mi si dica cosa fare e fiducioso che qualcosa di buono accada. Resta in me un grande rammarico: ho lasciato il mio cuore a Cagliari, tra quella gente che ho amato subito tra le vie nuove e vecchie di una città piena di luce e di colori; tra gli amici che ancora oggi mi telefonano con un calore davvero unico; in un ospedale, il "Brotzu" in cui ho trovato tantissimi professionisti di elevatissimo valore e con i quali spero di continuare una proficua collaborazione scientifica e un'amicizia sana e sincera. Giovanni Ambrosino ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 22 giu. '02 GLAUCOMA: IN SARDEGNA 13MILA MALATI Parte da lunedì una campagna di prevenzione con visite gratuite Dall'oculista per combattere il «ladro silenzioso della vista» Sabrina Zedda CAGLIARI. In Sardegna sono 13 mila le persone affette da glaucoma, una malattia oculare che colpisce prevalentemente dopo i 40 anni e ben il 47% della popolazione dell'isola non ha mai sentito parlare della malattia conosciuta come 'il ladro silenzioso della vista'. Se si considera la longevità dei sardi, è possibile affermare, sin d'ora, che tra vent'anni i casi relativi alla patologia potranno aumentare anche del 50 per cento. I dati sulla diffusione del glaucoma in Sardegna sono stati illustrati ieri, all'ospedale san Giovanni di Dio, da Maurizio Fossarello, dirigente medico della clinica oculistica, che ha presentato "Occhio all'occhio" la prima campagna nazionale di prevenzione al glaucoma, organizzata dalla Società oftalmologica italiana e dall'Associazione medici oculisti italiani. «Il glaucoma - ha spiegato il dottor Fossarello - è una malattia oculare consistente nell'aumento della pressione interna dell'occhio». Effetto di questo fenomeno è che viene seriamente danneggiato il nervo ottico, con graduale perdita della vista, sino a completa cecità. Attualmente, non si conoscono le cause della malattia, tantomeno è possibile prevenirla. Purtroppo, infatti, non esistono sintomi particolari che la contraddistinguano. L'unico rimedio per evitare situazioni preoccupanti è dunque la diagnosi precoce. «Per chi ha già superato i quarant'anni, buona norma sarebbe quella d'effettuare un esame specifico almeno ogni due anni», prosegue Fossarello. L'esame in questione, è la tonometria, che consente di misurare la pressione interna dell'occhio. Se da questo controllo i valori non risultassero normali, si procederà con l'esame del fondo oculare, per valutare lo stato di salute del nervo ottico, e col campo visivo, per mettere in evidenza eventuali zone in cui la visione è stata perduta. «Una volta diagnosticata, la malattia è curata con colliri e, nei casi in cui questi non portino agli effetti sperati, con una semplice operazione chirurgica». È bene però ricordare che le cure pur bloccando la malattia, non sono in grado di ripristinare la funzionalità che l'occhio ha già perso: per questo è importante la diagnosi precoce. A questo proposito, l'Associazione medici oculisti italiani ha indetto la settimana della prevenzione che dal 24 al 30 giugno permetterà, a chiunque si rivolga ai medici aderenti all'iniziativa, di fare un controllo gratuito. Per tutta la settimana sarà possibile contattare il proprio oculista, verificare se aderisce all'iniziativa e controllare gratuitamente il tono oculare. L'esame richiede pochi minuti, è semplice e indolore. Si calcola che siano almeno 500.000, in Italia, le persone colpite dal glaucoma. Notizie e informazioni sul glaucoma sono anche on-line, nel sito www.occhioallocchio.it. ___________________________________________________________ Le Scienze 20 giu. '02 LA DINAMICA DELL'ESPRESSIONE GENICA La ricerca suggerisce l'esistenza di meccanismi finora insospettati La teoria che spiega l'espressione dei geni, attraverso cui le proteine vengono prodotte a partire dalle istruzioni codificate nel DNA, sostiene che il processo è controllato rigorosamente, in modo che venga prodotta la giusta quantità di ogni proteina, al posto e al momento giusti. Una nuova ricerca, pubblicata sul “Journal of Biology”, guidata da Paul Spellman, dell'Howard Hughes Medical Institute, sembra contraddire questa teoria, mostrando che alcuni gruppi di circa 15 geni che si trovano adiacenti sugli stessi cromosomi vengono normalmente espressi insieme. I geni all'interno di ciascun blocco non sono in relazione, ne per quanto riguarda la struttura ne la funzione: essi sono semplicemente vicini nel genoma. Queste conclusioni sono state tratte studiando l'espressione dei geni del moscerino della frutta. L'analisi è stata condotta con la techica dei microchip di DNA, che permette di studiare l'espressione di un grande numero di geni in un singolo esperimento. Invece di ricercare nei dati dell'esperimento gruppi di geni che esibiscono lo stesso profilo di espressione, Spellman ha organizzato i dati dell'espressione nell'ordine in cui i geni si trovano nel cromosoma. In questo modo è stato possibile scoprire oltre 200 grandi gruppi di geni vicini che vengono espressi in modo simile. Ognuno di questi gruppi contiene da 10 a 30 geni, e insieme i gruppi costituiscono circa il 20 per cento del genoma del moscerino della frutta. Il risultato suggerisce che ci sono meccanismi finora insospettati che regolano l'espressione dei geni controllando interi gruppi vicini. Ovviamente, ora è necessario capire se questa espressione di gruppo è una caratteristica comune a molti organismi. ___________________________________________________________ Il Messaggero 22 giu. '02 CANCRO, È ITALIANO IL VACCINO CHE POTRÀ PREVENIRLO E’ destinato a chi rischia geneticamente la malattia Entro l’anno i test sull’uomo di CARLA MASSI ROMA — Sui topi ha funzionato. Entro l’anno si proverà sull’uomo. Comincerà tra qualche mese, infatti, la sperimentazione del primo vaccino al mondo che previene il tumore. Che agisce su persone fortemente a rischio, per motivi genetici, di essere colpite dalla malattia. L’ "arma" anti-cancro è tutta italiana. E’ stata presentata alla Conferenza Internazionale di San Marino dal professor Guido Forni, docente di Immunologia all’università di Torino. Alla ricerca partecipano anche équipe degli atenei di Bologna e Chieti (hanno lavorato sui topi), di Camerino (qui è stata preparato la scheda del DNA) e l’Istituto tumori di Milano. Professore, avete messo a punto questo vaccino per sconfiggere quali tipi di tumori? «Essenzialmente quattro: seno, prostata, collo e testa». Ma è destinato solo a chi, attraverso test genetici o particolari patologie che precedono il cancro, rischia concretamente la malattia? «Abbiamo lavorato su topi geneticamente predisposti a sviluppare il cancro ed ha funzionato in modo sorprendente. Gli animali sono stati tenuti sotto osservazione per un anno. In quello stesso periodo, una cavia non protetta dal vaccino, avrebbe sicuramente sviluppato la neoplasia. Per ora si pensa a chi rischia in modo provato attraverso test o segnali pre-neoplastici. Ci sono alcune lesioni che, si sa, insorgono prima di un tumore vero e proprio. Ma, per il futuro pensiamo ad una maggiore diffusione». Vuol dire ad una vaccinazione di massa? «Nei nostri sogni c’è una vaccinazione per chi ha compiuto 50 anni». Quindi, sia ora che in futuro la protezione sarà solo per le persone sane, assolutamente non toccate dalla malattia? «Su persone sane che, però, mostrino segnali anticipatori di un tumore». Esiste un’anomalia genetica che accumuna molti malati di tumore? «Tre tumori su dieci insorgono perché nel paziente c’è un difetto dell’oncogene ErbB-2. Abbiamo "costruito" il nostro vaccino con l’obiettivo di bloccare la proteina prodotta da questo. La sperimentazione è stata su un particolare tipo di topi che sviluppano il tumore in modo spontaneo, quindi non da noi indotto, perché nati con l’oncogene difettoso». Come viene somministrato il vaccino? «Attraverso un’iniezione intramuscolare si trasmette nell’organismo l’informazione della proteina, il suo DNA. Dopo l’inoculazione diamo una piccola scossa elettrica, agevola l’ingresso nella cellula». Una scossa elettrica anche all’uomo? «Si, ma si tratta di una pratica indolore fatta con aghini che appena entrano nel derma». ___________________________________________________________ Le Scienze 19 giu. '02 UNA NUOVA ARMA CONTRO L’OSTEOARTRITE Stessa efficacia e maggiore tollerabilità sono documentati da due studi di fase III Il trattamento dell’osteoartrite è attualmente monopolizzato dagli antinfiammatori non steroidei tradizionali (FANS) e agli inibitori selettivi della COX-2; ma presto il mercato potrebbe aprirsi a un nuovo farmaco: il licofelone. Questa molecola, scoperta da Stefan Laufer, docente di chimica farmaceutica dell’Università di Tubinga, in Germania, è stata sviluppata, fino alla sperimentazione di fase III appena conclusasi, da EuroAlliance, consorzio di industrie farmaceutiche europee che comprende Merckle, Lacer e l’italiana Alfa Wasserrmann. Secondo quanto riferito durante il Congresso europeo di reumatologia ”EULAR 2002”, tenutosi a Stoccolma nei giorni scorsi, il licofelone ha dimostrato un’efficacia simile o tendenzialmente superiore al naprossene, un FANS largamente utilizzato, e una tollerabilità decisamente migliore. Il trattamento farmacologico dell’osteoartrite presenta infatti un significativo rischio di reazioni avverse a carico dell’apparato gastrointestinale (nel caso dei FANS tradizionali) o dell’apparato circolatorio (nel caso degli inibitori selettivi della COX-2). Ciò è dovuto al meccanismo di azione di questi farmaci, che inibiscono la produzione di prostaglandine, implicate nei processi infiammatori che determinano l’artrite ma anche di processi fisiologici come la modulazione delle difese della mucosa gastrica, del flusso ematico renale e dell’aggregazione piastrinica. “L’inibizione combinata degli isoenzimi ciclossigenasi e 5-lipossigenasi – ha spiegato nel corso di EULAR 2002 Jean-Yves Reginster, epidemiologo dell’Università di Liegi, in Belgio – sembra evitare gli eventuali svantaggi degli inibitori COX-2, come il rischio di tromboembolie, risparmiando al contempo la mucosa gastrointestinale. In uno studio di fase III durato 12 settimane, 148 pazienti affetti da osteoartite del ginocchio sono stati trattati con licofelone, mentre il gruppo di controllo è stato trattato con naprossene. Grazie alla scala WOMAC, riconosciuta internazionalmente, è stata riscontrata una riduzione del dolore simile per le due molecole, mentre l’incidenza di ulcere gastroduodenali è stata dell’1,5 per cento per il licofelone e del 15,3 per cento per il naprossene.” Folco Claudi ___________________________________________________________ La Stampa 19 giu. '02 PER DISSALARE L´ACQUA VIENE IN AIUTO IL VENTO IMPIANTI PILOTA IN FUNZIONE NELLE ISOLE CANARIE L'EMERGENZA idrica in Sicilia sarà parzialmente risolta, secondo quanto ha dichiarato il governo, da alcuni impianti di desalinizzazione dell'acqua di mare che, montati a bordo di navi militari, saranno a disposizione delle città più colpite dalla siccità. In questo spazio vorremmo raccontare (e magari suggerire) una soluzione efficace e semplice per combattere la carenza idrica delle isole studiata in un centro di ricerca dell'arcipelago spagnolo delle Canarie. Situate nell'Oceano Atlantico, intorno al 28° parallelo a poco più di 100 chilometri dalla costa marocchina, le sette isole Canarie hanno un impellente bisogno di acqua dolce. Non solo per dissetare i milioni di turisti che durante tutto l'anno affollano le loro spiagge (e per innaffiare i giardini, i campi da golf, riempire le piscine), ma anche per i 2 milioni di abitanti e per sostenere una fiorente agricoltura. Tant'è che gli impianti di desalinizzazione dell'acqua marina dell'arcipelago producono più di 500 mila metri cubi d'acqua potabile al giorno e, per il loro funzionamento, assorbono quasi il 20 per cento dell'energia elettrica disponibile. In buona parte si tratta di impianti di desalinizzazione "a osmosi inversa": l'acqua di mare (prelevata a 800-900 metri dalla costa e a 15-20 metri di profondità) dopo esser stata filtrata per eliminare alghe e plancton viene immessa ad alta pressione (60 bar) in speciali filtri capaci di trattenere il sale. Tutto il sistema, dunque, si basa su condotte forzate dove agiscono numerose pompe elettriche. Ma i mulini a vento non hanno sempre svolto un lavoro simile? Perché allora non sfruttare l'energia eolica per il funzionamento delle pompe dei dissalatori? È ciò che hanno fatto i tecnici dell'Istituto tecnologico delle Canarie che, nel loro centro di ricerca di Porto Izquierdo hanno realizzato un prototipo di impianto di dissalazione dell'acqua di mare interamente alimentato dall'energia del vento. Costruito sul versante sud-est di Gran Canaria, qui è stata calcolata un'aspettativa media annuale di vento a 7,5 metri al secondo, più che sufficiente a far funzionare con profitto gli altissimi aerogeneratori a due pale che sono disseminati su questo lato dell'isola e che già producono energia elettrica per usi civili. «Nel 1995 due di questi aerogeneratori sono stati collegati direttamente al sistema di pompaggio dell'acqua - spiega Gonzalo Piernavieja Izquierdo, responsabile del Dipartimento energie rinnovabili e acqua dell'Istituto tecnologico delle Canarie - ottenendo un impianto di desalinizzazione a osmosi inversa che quasi non ha bisogno di elettricità per funzionare. Sfruttando l'energia del vento si producono così 24 mila litri al giorno di acqua dolce. L'impianto è, tecnicamente, ancora un prototipo, ma con pochissimi adeguamenti potrebbe diventare realizzabile dovunque ci sia vento e ci sia bisogno di acqua potabile». Andrea Vico ___________________________________________________________ La Stampa 19 giu. '02 PIÙ SICURO RICONOSCERE UN DITO CHE UNA FACCIA DERMATOGLIFI NELLA LOTTA AL CRIMINE NON PERDE EFFICACIA IL SISTEMA DELLE IMPRONTE DIGITALI PER IDENTIFICARE QUALSIASI PERSONA SUL palmo delle mani e sulla pianta dei piedi la superficie della pelle è caratterizzata da creste formate da papille allineate: sono quelle che, rivestite dall'epidermide, vediamo sui nostri polpastrelli a formare vortici, anse e archi, la cui disposizione è caratteristica di ciascun individuo e che prendono il nome di dermatoglifi. L'aspetto di questi rilievi, e quindi delle «impronte digitali» che lasciamo ogni volta che tocchiamo un oggetto dalla superficie sufficientemente liscia, è determinato geneticamente. Negli anni si sono fatti, con alterni successi, molti studi per mettere in relazione l'aspetto dei dermatoglifi con varie patologie determinate geneticamente o acquisite durante la vita intrauterina, ma l'applicazione più conosciuta riguarda l'identificazione personale: le caratteristiche della superficie dei polpastrelli rimangono infatti invariate per tutta la vita di una persona, a meno che non si sovrappongano vistose cicatrici. Le impronte digitali sono talmente caratteristiche di ciascun individuo che la moderna genetica forense ha mutuato il termine inglese «fingerprint» proprio per indicare il profilo genetico, irripetibile, di ciascun individuo. Alla fine dell´Ottocento l'inglese Francis Galton studiò il problema dal punto di vista anatomico; nel 1901 il capo della Polizia di La Plata, Juan Vucetich, creò una semplice classificazione applicabile all'identificazione di criminali. In Italia fu il Gasti nel 1907 a ideare un metodo classificativo che è utilizzato ancora oggi. Gli attuali sistemi di trasmissione dei dati permettono di attribuire in tempi rapidi un'impronta a un dato individuo, purché sia già stato segnalato (pregiudicati, immigrati clandestini). Non entriamo nel merito delle scelte politiche sulle quali in questi giorni si discute. L'uso delle impronte digitali per l'identificazione personale è in linea teorica senz'altro più affidabile di una fotografia: anche modificando il proprio aspetto esteriore, ciascuno di noi potrebbe essere riconosciuto senza incertezza in base a un semplice confronto di impronte, effettuabile in pochi secondi per via telematica. Questo procedimento intuitivamente vantaggioso è però oggi utilizzabile solo per alcune persone; estenderlo all'intera popolazione come sistema per il controllo dell'identità personale comporterebbe non pochi problemi pratici: occorrerebbe infatti dotare le Forze dell'ordine di apparecchiature portatili adeguate per ottenere le impronte da ciascun cittadino senza doverlo accompagnare in questura o presso una caserma di carabinieri; occorrerebbe anche adeguare gli archivi, perché possano contenere una gran mole di dati ed elaborarli rapidamente senza possibilità d'errore. Tutto ciò richiede una sapiente integrazione di provvedimenti legislativi e organizzativi e non può essere immediatamente applicato; se e quando lo sarà, potrà però dare un contributo importante al controllo della criminalità. [TSCOPY](*)Medico legale, Università di Torino ___________________________________________________________ La Stampa 19 giu. '02 L´EMICRANIA CRONICA SCATENATA DA UN GENE SCOPERTA A TORINO: COSI´ SI CREERANNO NUOVI FARMACI TORINO E´ un gene il responsabile delle emicranie più violente e precoci. Una sua trasformazione produce una «super-infiammazione» cerebrale localizzata: un polimorfismo che è ereditario e può condannare una persona non solo a un dolore terribile, ma scatenarlo fin dall´età giovanile. La scoperta, di portata mondiale, è stata fatta dall´équipe del professor Lorenzo Pinessi, direttore della terza clinica neurologica dell´Università di Torino, in collaborazione con due ricercatori dell´Istituto San Raffaele di Milano. Appena pubblicata sulla rivista internazionale Headache, la notizia sarà resa nota oggi in Italia: spalanca le porte all´introduzione di nuovi farmaci immuno-modulatori in grado non solo di bloccare una crisi, ma soprattutto di prevenirla con una terapia. Lo studio compiuto a Torino è durato un anno, ha coinvolto 269 pazienti in cura presso il centro Cefalee dell´ospedale Molinette. «Sappiamo dalla letteratura medica - spiega Pinessi - che diverse malattie del cervello possono avere una genesi legata a disordini del sistema immunitario. La sclerosi multipla ne è un tipico esempio. Noi abbiamo osservato che molte persone affette da emicrania grave sviluppavano anche allergie e asma bronchiale, e proprio da qui è partita la nostra indagine: abbiamo cercato il motivo per cui esistono diversi gradi della malattia e diversi momenti di insorgenza». Quello compiuto dall'Università di Torino è uno studio complesso: «Un gene può manifestarsi in forme diverse. Una forma particolare genera una produzione "esagerata" di citochina, una proteina, e di Interleukina 1A, che è la più potente citochina infiammatoria prodotta a livello cerebrale. Si possono citare diversi casi di polimorfismo genico. C´è tutta una serie di malattie da prioni, che in base al diverso polimorfismo scatenano una malattia piuttosto che un´altra. Il morbo di Creutzfeld-Jakob, ad esempio, o l´insonnia fatale familiare. Noi abbiamo scoperto che l´emicrania grave è una patologia del genere: nel nostro caso viene prodotta da un eccesso di Interleukina 1A». Un risultato destinato a cambiare le prospettive di vita a quasi cinque milioni di persone nel nostro Paese, il 12% degli italiani che soffre di attacchi ripetuti e invalidanti. Accanto al professor Pinessi hanno lavorato i suoi più stretti collaboratori, Innocenzo Rainero, Walter Valfrè, Chiara Rivoiro, Lidia Savi, Salvatore Gentile e Rossana Lo Giudice. Importante il contributo dei medici di Milano Giuliana Salani e Luigi Grimaldi. «Abbiamo dimostrato che un polimorfismo del gene dell´Interleuchina può modificare l´evoluzione clinica della malattia. In particolare, i pazienti portatori del genotipo Timina-Timina (T/T) presentano un esordio della malattia più precoce rispetto agli atri genotipi e una forma di emicrania più dolorosa». Marco Accossato ___________________________________________________________ La Stampa 21 giu. '02 USA:«E´ POSSIBILE RIPROGRAMMARE LE CELLULE STAMINALI» SCOPERTA NEGLI STATI UNITI: SONO CAPACI DI SVILUPPARE TUTTI I TIPI DI TESSUTO. SPERANZE CONTRO LE LESIONI NERVOSE ROMA Cellule staminali prelevate da tessuti adulti sono tornate indietro nel loro sviluppo, fino a ridiventare completamente indifferenziate e capaci di trasformarsi in tutti i tipi di tessuto, proprio come cellule di embrione. A riprogrammarle è stato un gruppo statunitense dell'università del Minnesota, che oggi ha annunciato il risultato, pubblicato su Nature. Nella stessa conferenza stampa è stata presentata un'altra ricerca, anche questa pubblicata su Nature, nella quale i ricercatori hanno fatto compiere alle cellule staminali il percorso inverso: cellule embrionali sono state fatte sviluppare fino a trasformarle in neuroni. Questi ultimi sono stati poi impiantati nel cervello di un ratto, dove si sono dimostrati efficaci nel trattare i sintomi del morbo di Parkinson. Le cellule embrionali sono considerate le «regine» delle cellule staminali per la loro capacità di moltiplicarsi e di differenziarsi in tutti i tipi di cellule e tessuti dell'organismo. Tuttavia la possibilità di utilizzarle pone molti problemi etici, dal momento che devono essere prelevate dagli embrioni ai primissimi stadi dello sviluppo: un'operazione che comporta inevitabilmente la distruzione dell'embrione. L'esperimento aggiunge un altro tassello importante alla possibilità di manipolare le cellule staminali presenti nei tessuti adulti. Riprogrammare le cellule e farle tornare simili a cellule embrionali è, attualmente, uno degli obiettivi più inseguiti dai ricercatori. La ricerca presentata oggi rappresenta un grande passo in avanti in questa direzione. Lo studio è stato condotto dal gruppo di Catherine Verfaillie, dell'università del Minnesota, che è riuscito a coltivare cellule del midollo osseo mesenchimali, ossia progenitrici non soltanto di tutte le cellule del sangue (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine), ma anche di ossa, cartilagine, tendini e tessuto adiposo. Nell'esperimento sono state utilizzate cellule sia di ratto sia umane. Dalle colture di entrambi questi tipi di cellule sono state isolate cellule staminali «multipotenti» capaci di proliferare indefinitamente in coltura. Queste cellule primitive sono state quindi iniettate in embrioni di ratto, dove si sono differenziate in tutti i tipi di cellule esistenti nell'organismo. Un risultato analogo si è ottenuto quando le cellule sono state iniettate nei ratti adulti per via endovenosa: le cellule primitive hanno cominciato a differenziarsi direttamente nei vari tessuti, a seconda dei «segnali» ricevuti. Anche il secondo lavoro pubblicato su «Nature» rende più vicino un altro traguardo importante della ricerca sulle staminali: la possibilità di utilizzare queste cellule per riparare le lesioni nervose provocate dal morbo di Parkinson. La ricerca, condotta sui topi, è stata coordinata da Ron McKay, dell'Istituto nazionale per le malattie neurologiche e l'ictus di Bethesda ed ha dimostrato l'efficacia della terapia cellulare per la cura del morbo di Parkinson. ___________________________________________________________ L’Espresso 19 giu. '02 CANCRO ALLA PROSTATA UOMINI, LA GRANDE PAURA Il cancro alla prostata colpisce dodicimila italiani l'anno. Ma più della metà guarisce. Grazie alla diagnosi precoce. E anche a nuovi bisturi, laser, raggi... di Agnese Codignola e Gian Galeazzo Riario Sforza La notizia è di pochi giorni fa, un comunicato del quartier generale di casa Fiat: «Giovanni Agnelli, presidente onorario del gruppo, è andato a New York per curare una malattia della prostata». Qualche dettaglio in più l'ha fornito l'interessato: «I medici mi hanno consigliato di fare ulteriori esami per trattare una condizione presente da lungo tempo». Agnelli non ha specificato la natura del disturbo, ma date le modalità della partenza, così precipitosa da costringerlo a disertare per la prima volta l'assemblea degli azionisti in piena crisi, è lecito pensare che la patologia in questione sia un cancro, malattia che ha già colpito altri personaggi famosi come Silvio Berlusconi, Indro Montanelli, Francesco Cossiga che ha raccontato di averla in comune con Carlo Azeglio Ciampi. Poi, Nelson Mandela e, negli Stati Uniti, l'ex sindaco di New York Rudolph Giuliani. Nella classifica dei tumori, il carcinoma prostatico è in aumento, al punto che è diventato il più diffuso tra gli uomini in Scandinavia e Stati Uniti, dove è responsabile del maggior numero di morti per cancro dopo quello del polmone, e al secondo posto nel resto d'Europa dove, ogni anno, su centomila uomini, se ne ammalano cinquanta e ne muoiono venti. Due sono le opzioni principali per gli oltre 12 mila italiani che hanno un tumore della prostata: quella chirurgica e quella radioterapica. La scelta dipende dal tipo di neoplasia, dalla sua localizzazione ed estensione e dalle condizioni del malato. Il bisturi agisce secondo una tecnica ormai codificata da molti anni e che ha salvato la vita a decine di migliaia di persone in tutto il mondo: l'asportazione radicale della ghiandola effettuata con un taglio nella parte posteriore del pube o nel perineo, la zona che unisce l'ano agli organi genitali esterni. «I progressi più significativi», chiarisce Giorgio Carmignani, direttore della Clinica urologica dell'Ospedale San Martino di Genova e presidente della Società italiana di urologia: «Riguardano le conseguenze dell'intervento: oggi, soprattutto nelle persone più giovani, si riesce a mantenere tanto la continenza urinaria (i casi di incontinenza non superano il dieci per cento dei pazienti non troppo anziani) quanto la potenza sessuale, preservata, nei soggetti più giovani, in un caso su due». Ma anche per quanto concerne il trattamento del tumore della prostata, l'approccio mininvasivo sta giocando le sue carte anche se resta in attesa di una promozione convincente. Spiega Carmignani: «Si tratta di interventi più lunghi di quelli tradizionali, in media durano quattro o cinque ore: non danno risultati significativamente migliori, non tutti i centri sono attrezzati per eseguirli ed è indispensabile che il personale sia qualificato». Osservazione, quest'ultima, tutt'altro che scontata, visto che a, tutt'oggi, in Italia non esistono scuole di specializzazione o corsi universitari specifici. «Se il tumore viene asportato quando è confinato alla ghiandola e non ha invaso la capsula che l'avvolge o gli organi vicini, nove pazienti su dieci sono ancora vivi a cinque anni dall'intervento» spiega Carlo Maria Borghi, primario urologo agli Istituti clinici di perfezionamento di Milano. Ma per rimuoverlo bisogna scoprirlo, e qui nascono i guai. «Oltre alla visita con esplorazione rettale manuale, per identificare la neoplasia basta un esame del sangue», ricorda l'urologo. Si tratta del dosaggio dell'antigene prostatico specifico, in gergo Psa, un marcatore tumorale che aumenta se nella ghiandola maschile si cela una formazione maligna, anche di dimensioni assai ridotte. Quello prostatico, tuttavia, è un cancro per certi versi strano, e il suo comportamento scardina due punti fermi dell'oncologia: il fatto che l'arma migliore sia la diagnosi precoce e, al tempo stesso, l'idea che convenga stare sotto osservazione anche dopo l'asportazione chirurgica. L'aggressività della malattia infatti varia tra una persona e l'altra: le autopsie fatte su uomini deceduti a cinquant'anni per cause accidentali svelano che metà di loro è affetta dal cancro prostatico; in sette casi su dieci il malato può convivere per anni con la malattia, non sapendo di averla e morendo a 90 anni per altre ragioni come un ictus o un infarto. I problemi iniziano quando il paziente, con un dosaggio del Psa, si accorge che c'è qualcosa che non rientra nella norma. L'esame, infatti, non distingue tra nodulo maligno e benigno, e costringe il chirurgo a toglierlo comunque, perché il tumore è tanto più curabile quanto prima si interviene. Condurre uno screening di massa misurando il Psa nella popolazione maschile tra i 50 e i 70 anni, cioè l'arco della vita di un uomo in cui è più alta la probabilità di ammalarsi, sembra quindi, considerando che l'esame costa poco e non è invasivo, una doverosa operazione di sanità pubblica. E molti, nella comunità medica (soprattutto i chirurghi), la pensano così. Ma il rischio d'impotenza e incontinenza dopo l'intervento resta comunque alto, specie con l'aumentare dell'età. E se da un lato l'anticipazione diagnostica consente ad alcuni di avere un trattamento efficace di formazioni che, non curate, si potrebbero sviluppare fino a uno stadio non più guaribile, dall'altro lo screening fa aumentare vertiginosamente l'incidenza del tumore e porta sul tavolo operatorio persone che, in realtà, non corrono alcun pericolo. Negli Usa, nei primi anni Novanta, a seguito della diffusione del test del Psa, l'incidenza del carcinoma della prostata è più che raddoppiata rispetto agli anni precedenti, dando luogo alla più drammatica epidemia di tumori mai verificatasi e duplicando anche la necessità di trattamento e gli effetti collaterali, primi fra tutti l'impotenza e la frequente incontinenza.Tutto ciò spiega perché lo screening di routine mediante esplorazione rettale, dosaggio del Psa o ecografia transrettale non sia raccomandato, o almeno non dalle istituzioni scientifiche più importanti del mondo. La stessa incertezza spiega perché anche il secondo punto fermo è scardinato dall'imprevedibilità del carcinoma prostatico. «Dopo l'intervento vale la pena, ogni sei mesi, sottoporsi a una visita con esplorazione rettale e fare un'ecografia per individuare eventuali riprese locali della malattia, che possono essere curate e guarite» aggiunge Borghi. Brutti scherzi, invece, può giocare l'eccesso di zelo nella ricerca di metastasi con esami sofisticati come la scintigrafia ossea, che può segnalare ombre sospette nello scheletro magari dovute all'artrosi o ad altre malattie non tumorali. Questo, oltre alle conseguenze psicologiche per l'interessato e la sua famiglia, fa scattare provvedimenti e terapie non solo inutili, ma spesso dannose. Per quanto riguarda la radioterapia, i raggi vengono ormai erogati con apparecchiature molto sofisticate che hanno ridotto drasticamente i danni delle radiazioni agli organi contigui, in particolare la vescica e il retto. In alternativa, le radiazioni vengono date con la cosiddetta brachiterapia, cioè l'infissione di piccoli semi di materiale radioattivo nella ghiandola malata attraverso appositi aghi messi nel perineo. «Il trattamento radiante, in particolare quello tradizionale», commenta Pier Paolo Graziotti, direttore dell'Unità di urologia dell'Istituto Humanitas di Milano «è accreditato dagli studi almeno quanto la chirurgia, ed è un'opzione che andrebbe sempre proposta a una persona affetta da carcinoma prostatico». Infine, la terapia ormonale: con ormoni o composti che bloccano i recettori per gli androgeni. Chiarisce Borghi: «Questo approccio è spesso usato nelle forme con metastasi: almeno due pazienti su tre rispondono alla cura, anche se il suo effetto benefico non dura quasi mai più di un anno e mezzo. L'effetto collaterale più temuto, spesso inevitabile, è l'impotenza».