R.NELSON: NON FATE DELL’UNIVERSITÀ UN ENTE COMMERCIALE UNIVERSITÀ: SI BREVETTA MA NON SI INNOVA SCIENZE, PASSAPORTO PER IL FUTURO CON CALO DI ISCRIZIONI RICERCA: I "CERVELLI" TORNANO CAGLIARI: NASCE LA "CITTÀ DEI MESTIERI E DELLE PROFESSIONI" CAGLIARI: SUMMIT PER LE FACOLTÀ DEL TERZO MILLENNIO «BARONI SENZA MERITI SCIENTIFICI» UNA PROF IN TRINCEA E LA SUA GUERRA CONTRO BARONI E MULTINAZIONALI =========================================================== CAGLIARI: FAA È IL NUOVO PRESIDE DI MEDICINA POLICLINICO: AI RICOVERI IN CHIRURGIA LA DEVOLUTION È UNA LISTA D’ATTESA IN OSPEDALE LA CORTE DEI CONTI CHIEDE I TICKET PER PAGARE LA SANITÀ PRESTO LA SANITÀ ANCHE PRIVATA SIRCHIA CONTRO LA CORTE DEI CONTI: «NIENTE TICKET NELLA SANITÀ» INSANITÀ LOMBARDA, ACCORPA E IMPERA FORMAZIONE E LAVORO DEI MEDICI QUARTU: INAUGURATO LA BANCA CHE FORNISCE LA VISTA ALGHERO, UN CONVEGNO I BAMBINI E LA MALATTIE CARDIOLOGICHE BROTZU: MERAVIGLIE PER I PICCOLI PAZIENTI OPPI E CONTU A ROMA LA COMUNICAZIONE DEI BATTERI UNA NUOVA PROPRIETÀ DELL'ASPIRINA TERAPIA D´AVANGUARDIA AL SAN RAFFAELE DI MILANO OMEOPATIA, PRIMI SÌ DAI TEST SUI TOPI APPELLO PER UNA NORMATIVA EQUILIBRATA IN TEMA DI ONDE ELETTROMAGNETICHE =========================================================== _____________________________________________________________________ Corriere della Sera 24 giu. ’02 R.NELSON: NON FATE DELL’UNIVERSITÀ UN ENTE COMMERCIALE «Un conto è la collaborazione tra l’Università e ... «Un conto è la collaborazione tra l’Università e l’industria, che è un fatto molto positivo. Un altro conto è la commercializzazione dell’Università, che invece è una tendenza negativa. Perciò mi permetto di dare un consiglio: non copiate l’America nei suoi errori, non trasformate l’Università in un apparato commerciale che punta a fare soldi coi brevetti. Anche perché tra l’altro non li fa». Il monito, rivolto con un certo humour ai ricercatori italiani, arriva dal settantaduenne Richard R. Nelson, della Columbia University di New York, ritenuto uno dei maggiori economisti dell’innovazione, invitato a Milano dall’Università Bocconi e dalla Fondazione Giannino Bassetti. Insomma, proprio mentre in Italia da più parti si invoca una corsa dell’Università ai brevetti, come forma alternativa al finanziamento pubblico, negli Stati Uniti, dove con il copyright ci si finanzia da vent’anni, oggi se ne denunciano gli svantaggi. E si misurano più in particolare gli inconvenienti della legge Bayh-Dole, che nel 1980 ha permesso alle università americane di brevettare anche le invenzioni derivate da ricerche finanziate con i fondi pubblici. In Italia si è fatto addirittura di più, dando al singolo ricercatore la possibilità di sfruttare commercialmente la propria invenzione, con una legge che ha fatto discutere e potrebbe essere modificata. Che cosa insegna l’esperienza americana? «Che i brevetti universitari, lanciati negli Stati Uniti dal Bayh-Dole Act, non sono una buona soluzione. Prima di tutto non è certo che siano lo strumento migliore per trasferire all’industria i risultati della ricerca accademica. Inoltre creano tensioni tra le due parti. Infine introducono costi supplementari e sottraggono risorse alla ricerca scientifica vera e propria. Che è la vera missione dell’Università. Per giunta, se si esamina l’attività dei Technology Transfer Offices (gli uffici che danno in licenza esclusiva alle aziende i brevetti universitari, ndr) , si vede che meno del 10% è in attivo. Dunque i milioni di dollari che dovrebbero arrivare alle università dalla vendita delle licenze sono solo teorici». Qual era la logica della legge? «L’idea che, essendo le invenzioni universitarie allo stato embrionale, almeno di solito, per stimolare l’interesse dei privati a svilupparle fosse necessario dare alle imprese la garanzia della licenza esclusiva. Il ricavato delle licenze inoltre sarebbe stato, per le università, uno stimolo a diffondere quelle invenzioni. E a questo scopo le Università hanno dovuto organizzare i Technology Transfer Offices, affrontando i relativi costi». E non ha funzionato? «In una certa misura e in un certo periodo storico sì, può anche aver avuto un ruolo di stimolo. Ma ai fini della trasmissione delle conoscenze si sono rivelati più efficaci altri strumenti. Per cominciare, la diffusione degli articoli scientifici. E, soprattutto, la mobilità dei ricercatori dall’università all’impresa, che è uno dei punti di forza tipici del sistema americano. Che dà, a chi vuole, la possibilità andarsene e poi tornare al campus. Non è un caso che quasi tutti i direttori di ricerca delle aziende importanti provengano dall’Università. Questa sì, potrebbe essere una buona cosa da copiare». _____________________________________________________________________ Corriere della Sera 24 giu. ’02 UNIVERSITÀ: SI BREVETTA MA NON SI INNOVA «Non è vero che le università e le imprese collaborino poco. ... «Non è vero che le università e le imprese collaborino poco. Né che l’accademia sia chiusa in una torre d’avorio. E non è vero neppure che i professori non brevettino le loro invenzioni. I brevetti firmati dagli accademici sono molti di più di quanto non si creda». L’economista Franco Malerba critica quella che a parer suo è diventata una «moda»: l’idea che, per sviluppare l’innovazione, le priorità siano quelle di trasferire le conoscenze dall’università all’impresa e di incentivare i singoli professori. «In Italia - afferma il direttore del Cespri-Bocconi di Milano - i docenti brevettano già molto, però lo fanno non all’università ma nelle imprese. Il punto semmai è un altro: da un lato le università con la loro ricerca scientifica non generano conoscenze avanzate che poi possono essere utilizzate e trasferite alle imprese. Dall’altro, con le dovute eccezioni, le aziende sono poco interessate a investire in innovazione. Quindi non ci sono da un lato avanzate competenze scientifiche da trasferire e dall’altro avanzate competenze tecnologiche per assorbire quanto viene dall’università. Non è dunque una semplice questione di incentivi, ma di ricerca scientifica e di competenze tecnologiche. Senza le quali gli incentivi non funzionano. E’ noto infatti che in Italia si spende in ricerca l’1% del pil contro il 3,8% della Svezia, il 2,7% degli Stati Uniti e il 2,9% del Giappone». Il tema è di grande attualità. L’Italia progetta e produce poca hi-tech, anche se ne consuma moltissima. E una delle cure, secondo la legge Tremonti attualmente in vigore, approvata nell’ottobre del 2001, è quella di concedere ai singoli ricercatori la possibilità di sfruttare economicamente i propri brevetti, dando il 30% dei proventi all’università. La legge ha suscitato, oltre che consensi, anche opposizioni, in primo luogo da parte degli atenei. Un disegno di legge del ministro della Pubblica istruzione Letizia Moratti, attualmente in discussione alla Camera, ricapovolge le cose: se sarà approvato, restituirà il primato alle università e darà il 30% all’inventore. Uno studio della Bocconi, dell’Università di Pavia e dell’Università di Brescia, curato da Stefano Breschi, Margherita Balconi e Francesco Lissoni, mostra comunque che nei vent’anni tra il ’79 e il ’99 l’attività di brevettazione dei professori italiani è stata molto intensa e non inferiore a quella degli altri Paesi europei. Nelle biotecnologie - dice Breschi - il 30% dei brevetti è stato registrato da docenti, anche se a volte la titolarità è di società private. La percentuale è molto elevata anche nella chimica (12%), nell’ingegneria nucleare (13,3%) e nella farmaceutica (17%). Il problema - dice Malerba - non è dunque di creare incentivi ma piuttosto di aumentare i finanziamenti e le competenze scientifiche e di rendere più efficiente e selettivo il sistema. «Purtroppo - aggiunge Breschi - nel sistema industriale con cui interagisce l’università italiana, le imprese a caccia di talenti sono un’eccezione, come pure quelle capaci di assorbire conoscenze scientifiche di frontiera». Non a caso, le aziende italiane investono in ricerca lo 0,45% del pil contro l’1,88% di quelle americane. Peraltro, se si confrontano i finanziamenti agli studi universitari da parte delle società private, il divario tra l’Italia e gli States si riduce. Ma questo è dovuto al fatto che molte aziende, nel nostro Paese, danno semplicemente in outsourcing agli istituti una parte del lavoro di laboratorio. Tutto male, dunque? No, ci sono importanti eccezioni. Pavia, per esempio, è un caso di collaborazione molto positiva tra un’università che funziona e aziende hi-tech specializzate in microelettronica. Gruppi come la Mikron tedesca, la Acco francese, la Irci e la Maxim americane hanno già avviato la collaborazione con l’Università. Un colosso americano dei chip - National Semiconductor - ha in progetto di sbarcare da queste parti. O almeno lo aveva prima della crisi delle borse e dei titoli hi-tech. Ma la sinergia che viene considerata più rilevante è quella con la StMicroelectronics. L’azienda diretta da Pasquale Pistorio, terzo produttore mondiale di semiconduttori nel 2001, in Italia ha già installato laboratori in collaborazione con varie università, tra cui Pavia, Bologna, Napoli e Catania. A dirigere lo Studio di Microelettronica di Pavia è stato chiamato Rinaldo Castello, uno scienziato quarantanovenne che è tornato in Italia dopo aver passato otto anni all’Università di Berkeley. Il ricercatore dirige un gruppo misto di una ventina di persone, metà di StM e metà dell’ateneo sul Ticino. L’azienda, secondo un contratto triennale, finanzia direttamente con circa mezzo milione di euro l’anno, fornisce le attrezzature e paga i ricercatori. «I vantaggi della partnership - dice Castello - sono reciproci. Per l’Università di Pavia cooperazione significa fondi, accesso a tecnologie avanzate, possibilità di contare su dottori di ricerca pagati dall’azienda. Per StM significa accesso ai finanziamenti pubblici, un vivaio di giovani talenti in cui pescare, la competenza di professori affermati». Molto importante, in particolare, l’opportunità di sviluppare anche in Italia il dottorato di ricerca, chiave di volta del sistema americano. «Quando hai la certezza di poter contare su ricercatori pagati dalle aziende, che lavoreranno con te per cinque anni dopo la prima laurea - dice Castello - puoi mettere in cantiere un programma di ricerca vero, sviluppato nel medio e lungo termine. Perché l’esperienza insegna che non c’è scienza senza stabilità». Ma a chi spettano le decisioni cruciali quando lo scienziato lavora fianco a fianco con il manager? E si può evitare il conflitto di interessi tra la missione dell’azienda e quella dell’università? Ecco i punti più delicati quando si lavora insieme. E una ricetta definitiva non c’è, neppure negli Stati Uniti che sono il Paese più avanzato. «Nel nostro caso - dice Castello - gli obiettivi sono fissati di comune accordo dal consiglio scientifico, ma la diversità degli interessi emerge soprattutto nella differente visione dei tempi in cui realizzarli. L’università ragiona a cinque anni, l’azienda a uno o a due, come è logico che sia». L’elemento che contribuisce a creare una buona collaborazione è l’equilibrio delle forze. A Berkeley, per esempio, nei semiconduttori, le aziende importanti che lavorano nel campus sono diverse. In questo modo si riduce il rischio che l’università venga condizionata da un unico, ingombrante interlocutore. Edoardo Segantini _____________________________________________________________________ La Stampa 27 giu. ’02 SCIENZE, PASSAPORTO PER IL FUTURO CON CALO DI ISCRIZIONI IL CALO DI ISCRIZIONI FRUTTO DI UN DEFICIT «CULTURALE» DEL NOSTRO PAESE Stefano Molina IL declino delle immatricolazioni ai corsi di laurea in matematica, fisica e chimica - commentato su La Stampa da Luigi La Spina - è in effetti un fenomeno impressionante. A Torino, in meno di un decennio, le immatricolazioni si sono ridotte di due terzi. La tendenza si colloca nella media nazionale e trova riscontri anche in altri paesi europei, ma suscita maggiore inquietudine in una città abituata a occupare posizioni alte nella ricerca e che fa dello sviluppo scientifico-tecnologico uno degli assi del proprio rilancio economico - e della sua identità. Anche alla luce dei temi discussi in un recente seminario della Fondazione Agnelli sull'economia dell'innovazione e della scienza, proponiamo due ordini di ragionamenti, che vanno a integrare analisi e rimedi contenuti nell'articolo citato. In primo luogo, il diradarsi delle vocazioni scientifiche e la palese disaffezione dei giovani per i relativi corsi di laurea dovrebbero essere interpretati come sintomi di un più generale «deficit di cultura scientifica» di tutta la società italiana. La scarsa familiarità con le scienze e con la forma mentis matematica sembra essere un tratto distintivo nazionale rispetto ad altri paesi europei, agli Stati Uniti e al Giappone. Il recente studio Pisa 2000 dell'Ocse lo conferma: per competenze matematiche, i ragazzi italiani di 15 anni si collocano al 26° posto su un totale di 32 paesi considerati. Dal medesimo studio si evince peraltro che tali competenze, deludenti nel confronto internazionale, risultano in linea con le aspettative - evidentemente più modeste - degli insegnanti italiani. Di fronte a questi risultati, dobbiamo riconoscere che la scarsa propensione dei giovani a iscriversi alle facoltà scientifiche forse non è semplicemente il risultato di una mancata folgorazione a 18 anni, ma più probabilmente il punto di arrivo di un percorso scolastico non sempre capace di assicurare, soprattutto con riferimento alle materie scientifiche, adeguati stimoli intellettuali, sana curiosità e interesse. Queste carenze del sistema scolastico non solo riducono il numero di aspiranti matematici, fisici e chimici, ma fanno sì che le competenze scientifiche e matematiche di un laureato in legge oppure in medicina siano decisamente modeste, con tutte le conseguenze del caso. Il secondo ragionamento riguarda la transizione del sistema universitario italiano, oggi impegnato, in una vera e propria rivoluzione su più fronti: l'autonomia, la ridefinizione dell'impianto didattico, l'adattamento alle trasformazioni demografiche. L'insieme di questi cambiamenti può rendere più difficile una serena scelta universitaria. Per la grande maggioranza degli studenti attualmente impegnati nel nuovo esame di Stato, la prova più ardua inizierà subito dopo, allorché occorrerà districarsi in una giungla di informazioni sui nuovi corsi, sui crediti/contenuti che li caratterizzano, sulle prospettive occupazionali dischiuse dai nuovi titoli. Mai in passato questi segnali sono stati così numerosi e insieme così aleatori, anche perché la loro maggiore visibilità non necessariamente dipende dal reale valore dei corsi pubblicizzati, ma talvolta da un efficace marketing universitario. In tale contesto di disorientamento da eccesso di orientamento o, ahimè, pseudorientamento, sarebbe opportuno non trascurare, tra gli altri, due criteri di scelta. Il primo può essere sintetizzato nel consiglio: diffidate delle mode. Nelle attuali condizioni di incertezza, molti giovani si sentono rassicurati dal fatto che altri condividano la propria scelta. Alcuni corsi e alcune facoltà vengono così letteralmente sommersi da ondate di immatricolazioni, con le prevedibili conseguenze negative sulla qualità dell'insegnamento e sulle prospettive occupazionali. Al contrario, scegliere corsi di solida tradizione, come quelle facoltà scientifiche che negli ultimi anni hanno conosciuto uno scarso affollamento, potrebbe rivelarsi una scelta intelligente: durante i tre o più anni di permanenza i giovani potranno godere delle maggiori risorse pro- capite disponibili, di un rapporto docenti/studenti più elevato che favorisce il diretto contatto con i professori, di un accesso agevole alle aule, alle biblioteche e ai laboratori, con conseguente miglioramento non solo della didattica, ma anche della qualità della vita dello studente. Inoltre, una volta usciti dall'Università, si possiederà una preparazione relativamente rara e quindi potenzialmente più ricercata. Un secondo criterio suggerisce invece di valorizzare i saperi acquisiti in un contesto più cosmopolita e internazionale. I mercati delle professioni si estendono ormai ben oltre i confini regionali o nazionali. Il fenomeno è globale, ma nei prossimi anni potrebbe manifestarsi con particolare intensità all'interno dell'Unione Europea, dove c'è una precisa volontà politica di rimozione degli ostacoli all'integrazione dei mercati del lavoro. In questa prospettiva, quando si pensa al proprio futuro profilo professionale e al titolo universitario più coerente, ci si dovrebbe chiedere quale sia la loro concreta spendibilità non solo «sotto casa», ma anche in ambiti più lontani. Anche da questo punto di vista, le lauree scientifiche presentano indubbiamente vari vantaggi comparati. Fondazione Giovanni Agnelli Marco Demarie _____________________________________________________________________ Galileo 27 giu. ’02 RICERCA: I "CERVELLI" TORNANO Il ministero della Ricerca ha invogliato gli studiosi residenti all'estero a fare ricerca in Italia. I "cervelli" sono contenti, ma temono che sia "la solita cosa all'italiana". MILANO – I “cervelli” tornano a casa. A richiamarli è l’ultima scommessa firmata dal ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca. L’operazione, che si chiama appunto “rientro dei cervelli”, sta per decollare. Sul piatto ci sono oltre 20 milioni e mezzo di euro (40 miliardi di vecchie lire) per un centinaio di studiosi, italiani residenti all’estero e stranieri,. Tutti sono pronti a rinvigorire la ricerca nel bel Paese. Tutti sono attratti dal progetto calamita, ma molti temono che sia la “solita cosa all’italiana”: senza un futuro. Finora sono 96 le domande accolte (55 su 87 nella prima delle 3 tornate in cui si divide il progetto, e 41 su 76 del secondo scaglione), ma altre 195 verranno valutate entro fine giugno. Trenta Atenei, da Camerino a Trieste, sono già pronti ad accoglierli a braccia aperte. Un contratto che può andare da 6 mesi a 3 anni, 75mila euro (al massimo) per un anno di didattica, quasi 2 milioni di euro nella prima tornata e poco meno di un milione e mezzo di euro nella seconda come finanziamento per l’attività di ricerca (per il 10% a carico dell’Ateneo). E’ questa la formula che ha irretito gli studiosi con almeno 3 anni di esperienza all’estero nella ricerca. La maggior parte di loro farà il biglietto di sola andata dagli stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. E alcuni anche dal Sudafrica, Armenia e Ecuador. Insomma il Governo inverte la rotta. Dopo che gli sono piovute addosso le critiche per i pochi fondi investiti nella ricerca, e dopo il fallimento dell'operazione “Mindbuster, promossa dal Cnr, vuole riconquistare gli studiosi. Loro apprezzano ma rimangono scettici. “Sull’operazione aleggia lo spettro della “solita cosa all’italiana”. Così la definisce Massimo Pasqualetti, ricercatore in neurobiologia molecolare. “Dare un assegno per 3 anni non serve a niente se non c’è una continuità. Il ministero deve trovare un modo per far restare il cervello, altrimenti a perderci è sia lo stato che lo studioso. ”Non usa mezzi termini la “mente” che presto approderà al laboratorio di Biologia Cellulare e dello Sviluppo della Facoltà di Scienza Matematiche Fisiche e Naturali di Pisa, dove si è laureato e ha iniziato il dottorato di ricerca. Ora è Post Doc, lo step che dà inizio alla vera carriera da ricercatore, presso l’Istituto “Louis Pasteur” di Strasburgo, la stessa Università dove Pasqualetti ha conseguito il dottorato. E subito arriva anche la metafora da clima mondiali. “Disporre – afferma – di un grande potenziale umano è come avere un grande calciatore che gioca in serie B: mettiamolo in serie A”. I toni pacati non nascondono le preoccupazioni. “Un vero rientro di cervelli non c’è – continua Pasqualetti –. Un ricercatore passa un terzo del suo tempo a cercare soldi. E per fortuna ci sono Telethon e la Comunità Europea. Temo, infatti, che il metodo italiano non premi le eccellenze”. Su posizioni simili è anche Alfonso Scaramazza, docente di neuropsicologia. “Venire in Italia – afferma – è una scommessa, se non si può lavorare me ne vado”. Scaramazza si è laureato a Montreal in Psicologia, è diventato ricercatore all’Istituto “Johns Hoptkins” di Baltimora, e ha insegnato per 19 anni a Harward. Fino a quando, l’anno scorso, non è sbarcato al Sissa ( Scuola Internazionale Superiore per gli Studi Avanzati) di Trieste, un’Università simile alla Normale di Pisa. Ed è proprio a Trieste che proseguirà la sua attività di ricercatore. “Gli investimenti – continua Caramazza – le strutture, gli aiuti ministeriali ci devono essere. Questo finanziamento se non ha un seguito non ha valore”. Il motivo di tanta sfiducia affonda le sue radici in anni di disinteresse verso il settore della ricerca. “Siamo la settima potenza mondiale, ma per la ricerca siamo nel Terzo Mondo”. La bacchettata arriva da Laura Capponi, ricercatrice in Genetica e Biologia Molecolare che ha trovato asilo presso la facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali a “La Sapienza” di Roma. ”Il trattamento economico per i ricercatori non è incentivante”, afferma la dottorata e post dottorata che si è formata tra Heilberg (Germania) e Rochester, New York. “All’estero – continua – è il doppio rispetto a quello italiano”. Ma il problema non è solo lo stipendio. Mancano le strutture. E chi all’estero c’è stato il confronto lo può fare. “Tra Harward e l’Italia – afferma Caramazza c’è differenza in termini di spazi di biblioteche, riviste. Ma ci sono spunti interessanti anche in Italia, come la Sissa”. “I laboratori stranieri – sostiene Pasqualetti – disponendo di grandi fondi, sono all’ultimo grido. Ci sono le tecnologie più avanzate che in Italia arrivano quando all’estero sono passate di moda”. “L’estero è altamente competitivo – afferma la Ciapponi – E’ migliore per livello scientifico e insegnanti”. Insomma all’unisono i “cervelli” ritengono che l’estero sia una tappa fondamentale dove è possibile scontrarsi anche con premi Nobel. Ma allora perché tornano a casa? “Per provare a fare in Italia quello che ho visto all’estero”, risponde Pasqualetti. “L’Italia è un Paese bellissimo dove vivere e vorrei costruire qui un laboratorio dove si faccia ricerca a buon livello”. Pasqualetti ritiene il finanziamento ministeriale una buona occasione. Lui “non sarebbe tornato se non con un posto qualificante: all’università e con dei fondi”. La Capponi risponde dicendo che “l’Italia è il mio Paese, e qualcosa si sta muovano anche qui. A Milano, Torino, Bari ci sono piccoli gruppi che stanno facendo qualcosa di significativo”. Caramazzi, poi, è invogliato dal desiderio di poter contribuire allo sviluppo della ricerca “formando studenti”. Insomma i “cervelli” si dividono tra speranza e paura. Ma il ministero ha vinto una battaglia. E sullo sfondo rimane il biglietto di sola andata, per ora, delle “menti in fuga”. _____________________________________________________________________ L’Unione Sarda 26 giu. ’02 CAGLIARI: NASCE LA "CITTÀ DEI MESTIERI E DELLE PROFESSIONI" Inaugurato a Cagliari: il centro di orientamento offrirà suggerimenti anche sui percorsi di studi Aiuterà giovani e adulti a orientarsi nel mondo del lavoro Navigare con un computer, consultare libri e riviste e ricevere i consigli di un tutor per scoprire le proprie attitudini scolastiche o professionali. È questa la Città dei mestieri e delle professioni, inaugurata ieri a Cagliari nella sede dell’Agenzia regionale del Lavoro in via Is Mirrionis. Offre un servizio gratuito e accessibile a tutti (senza limiti di età) che supera le tradizionali distinzioni tra orientamento scolastico e professionale. La struttura cagliaritana è la terza in Italia (le altre si trovano a Milano e Genova) e fa parte di una rete internazionale che ha come capofila la Cité des Metiers di Parigi. Realizzata da un consorzio di enti di formazione isolani (Enaip, Anap e Tecnofor) con il patrocinio della Regione, della Provincia e del Comune di Cagliari e di tutti gli enti che operano sul territorio (Direzione scolastica, Camera di Commercio, Università, parti sociali ed istituti di formazione), la Città dei mestieri è stata presentata ieri in un convegno tenutosi a Cagliari. "L’obiettivo", ha spiegato Alda Salomone, rappresentante dell’Istituto formazione e orientamento nel lavoro (Isfol), ente che fornisce l’assistenza tecnica al Ministero del Lavoro, "è quello di fornire un servizio che integri tutte le esperienze che in maniera parcellizzata si trovano già nel territorio. La Città dei Mestieri unisce la volontà politica alle necessarie competenze tecniche", ha aggiunto la Salomone evidenziando l’importanza di una struttura del genere in una regione come la Sardegna, afflitta dalla disoccupazione e della dispersione scolastica. Alla base della Città dei mestieri vi è un elementare principio di democrazia: dare a ciascuno la possibilità di scegliere il proprio futuro. Peculiarità rispetto alle altre strutture del genere è la preminenza data al rapporto umano con il consigliere e l’accesso possibile anche per gli adulti. Un plauso all’iniziativa è giunto dal Provveditore agli studi Gianbattista Porrà, dall’assessore provinciale alla Programmazione Gianfranco Fara e dall’assessore comunale alle Politiche giovanili Carlo Sanjust (che ha sottolineato come non si sovrapponga affatto allo Sportello di orientamento predisposto dal Comune). Il responsabile Gianfranco Manca ha ripercorso le tappe del progetto nato nel ‘99 e ha illustrato le caratteristiche tecniche della struttura, sottolineando la preziosa collaborazione degli studenti che oggi seguono il centro di orientamento come consiglieri. "L’esperienza sarda è un modello particolarmente riuscito", ha sottolineato Oliver Las Vergnas, direttore della Citè des Metiers di Parigi. Anche per questo non sarà la sola nell’isola: l’assessore regionale al Lavoro Matteo Luridiana ha anticipato la prossima apertura di un analogo centro a Sassari. "Stiamo cercando i colmare una delle nostre più grandi carenze, cioè quella dell’informazione dei ragazzi che spesso viene imposta dai grandi. Navigando e leggendo i giovani potranno scoprire quale sarà il loro futuro. È un altro tassello - ha concluso l’assessore - per la costituzione di una Regione amica che ha a cuore lo sviluppo e la crescita dei sardi, non più un ente astratto e lontano dai cittadini. Ma per fare questo dobbiamo lavorare uniti". Alessandro Zorco _____________________________________________________________________ L’Unione Sarda 26 giu. ’02 CAGLIARI: SUMMIT PER LE FACOLTÀ DEL TERZO MILLENNIO Docenti e politici cercano nuove ricette per un’istituzione che impegna nell’Isola 60 mila studenti A confronto i vertici degli atenei: "Siamo in ritardo, serve un rilancio" Un gigante in crisi, che vede cambiare il mondo attorno a sé e non sa reagire. L’università ha tagliato il traguardo del terzo millennio mostrando molte rughe, ma ora avverte la necessità di trasformarsi. Domani, nel salone delle conferenze del Banco di Sardegna in viale Bonaria, saranno in molti al capezzale del gigante, per trovare le ricette adatte a riportarlo in salute. Presidi e professori, ma non solo. L’appello è diretto anche agli amministratori, perché contribuiscano al rilancio dell’istituzione accademica. Quel rilancio è atteso da 40mila studenti e circa 1500 docenti di dieci facoltà, giusto per restare all’ateneo cagliaritano. Se poi si aggiunge Sassari, gli studenti diventano più di 60mila, i docenti 2500, e le facoltà raddoppiano. Una popolazione notevole, quasi il 4 per cento dei sardi. E soprattutto un patrimonio di competenze che rischia di disperdersi in mille rivoli disorganici, senza portare un serio apporto allo sviluppo del territorio. "L’università non è un vero interlocutore delle amministrazioni", protesta Alberto Granese, preside di Scienze della formazione: "Siamo considerati come un serbatoio di competenze, una macchina del caffè pronta all’uso". Tagliati fuori, di conseguenza, dalle scelte che contano. "Certo, e non perché gli accademici siano ancora nella famosa torre d’avorio, come si diceva un tempo. Quella condizione almeno implicava rispetto per dei pensatori puri. Oggi neppure quello: l’istituzione si presenta, per così dire, alquanto compromessa". Secondo Granese, è il "governo della cultura" la qualità che manca, oggi, al pianeta università. "Nel Senato accademico - dice ad esempio - ci occupiamo semmai del governo delle risorse. Spesso gli interessi della struttura si piegano a quelli delle persone, determinando una proliferazione delle cattedre e degli iperspecialismi, slegati dalle esigenze degli studenti e della società. Una sorta di realpolitik che ci vede continuamente impegnati ad "aggiustare". Siamo in enorme ritardo". Ecco di che cosa si discuterà domani, nel dibattito aperto dagli interventi dello stesso Granese, del rettore di Cagliari Pasquale Mistretta e del prorettore di Sassari Attilio Mastino. Ma sarà solo il primo passo di un lavoro che proseguirà in autunno: "Prepareremo una convention regionale universitaria", spiega il preside, "per porre le premesse per il governo culturale dell’università sarda come fattore determinante per lo sviluppo sociale ed economico". _____________________________________________________________________ L’Unione Sarda 29 giu. ’02 «BARONI SENZA MERITI SCIENTIFICI» I malanni e le carenze del mondo accademico nella “convention” degli atenei sardi Faccia a faccia tra docenti: o si cambia o si muore Si è parlato di università, ma senza fare accademia. Anzi: alla convention regionale degli atenei, giovedì nella sala convegni del Banco di Sardegna, sono piovute bordate sul mondo accademico di Cagliari e non solo. Solo un antipasto (un incontro preparatorio per la convention vera e propria, in novembre), ma assai sostanzioso. Con affondi tutt’altro che timidi nel denunciare i mali delle università sarde. A partire dai concetti introduttivi di Alberto Granese, preside di Scienze della formazione a Cagliari, che ha coniato un’immagine eloquente: se prima l’università era vista come una torre d’avorio, oggi è forse soprattutto una torre di Babele. La confusione, la rincorsa di interessi particolari, hanno preso il posto del «governo della cultura». Proprio sulla base di questa carenza il preside ha ideato l’iniziativa di due giorni fa: una riflessione sul futuro di un’istituzione che faticare a tenere il passo dei tempi. Il bilancio dei guai non ha fatto sconti. «Per le nostre carriere abbiamo tralasciato i meriti scientifici Ñ ha ricordato ai colleghi Paolo Pani, docente di Patologia generale Ñ utilizzando i criteri delle cordate accademiche, delle amicizie, persino delle parentele. Ormai essere amici del rettore di turno, magari a insaputa del rettore stesso, è un titolo da inserire nel curriculum». Un atto di accusa che arriva dall’alto di una cattedra, dall’interno di un sistema che evidentemente sente la necessità di cambiare. L’appuntamento di due giorni fa, però, è in parte un appuntamento mancato: è mancato il confronto con la classe politica regionale, nessuno degli invitati si è fatto vivo. «Non può non esserci la Regione», ha protestato Enrico Ginesu, preside di Ingegneria: «Dovrebbe figurare tra gli organizzatori, in un momento così delicato». Da Ginesu un avvertimento quasi lugubre: «L’università può percorrere una parabola simile ad ogni esperienza umana, che nasce, si sviluppa e muore. Le tecnologie telematiche annullano le distanze: presto, se non offriremo un servizio di alto livello, perché uno studente dovrebbe iscriversi a Cagliari o a Sassari, anziché a Milano, Zurigo, Boston?». Tra i tanti contributi di peso, quelli di Gianfranco Bottazzi, preside di Scienze politiche («siamo slegati dal mercato del lavoro, continuiamo a formare certe figure professionali solo perché abbiamo le relative cattedre»), di Paolo Fois, docente di Diritto internazionale a Sassari («dobbiamo chiederci come sta funzionando il nostro mondo da quando è in vigore il regime dell’autonomia») e di Gianluigi Gessa, direttore del Dipartimento di Neuroscienze («è necessario puntare all’alta formazione: serve una pulizia etnica delle troppe offerte formative parcellizzate e inutili»). Spunti per i vertici dei due atenei isolani, rappresentati giovedì da Pasquale Mistretta, rettore di Cagliari, e Attilio Mastino, prorettore di Sassari. I loro interventi hanno battuto strade magari più diplomatiche ma senza tacere la verità, e le mille difficoltà del mondo universitario. Per l’ateneo cagliaritano, oggi frequentato da quarantamila studenti, si pone per Mistretta «un obiettivo ambizioso ma realistico: conciliare la realtà di un’università di massa con la garanzia di una formazione di alto livello». Mastino, dopo aver fatto notare alcune delle lacune delle facoltà sassaresi, ha sottolineato la necessità di «creare un sistema universitario regionale», idea che piace a molti. Per esempio a Giuseppe Contini, docente di Diritto costituzionale, che ha anche fatto cenno alla fusione degli atenei di Modena e Reggio Emilia. «A Cagliari facciamo scambi di docenti con tutto il mondo ma non con Sassari», ha fatto notare Contini, anche lui molto severo rispetto ai criteri di reclutamento dei docenti: «Abbiamo moltiplicato i corsi e ora non sappiamo chi mettere in cattedra, sta diventando più facile ottenere una supplenza all’università che alla scuola materna». Quasi un’invettiva, la sua: «Siamo liberi di far diventare senatori i cavalli come fece l’imperatore Caligola, il problema è che facciamo diventare senatori anche gli asini. Più che un’offerta di formazione, garantiamo un’offerta di ignoranza». E siamo solo all’antipasto. Giuseppe Meloni _____________________________________________________________________ L’Unione Sarda 27 giu. ’02 UNA PROF IN TRINCEA E LA SUA GUERRA CONTRO BARONI E MULTINAZIONALI Una prof in trincea. Cattedratica mai omologata all’establishment, la medicina per vocazione ma non l’arroganza dell’appartenenza (vorrebbe essere “baronessa” ma non può), agnostica con l’imprinting dell’educazione cattolica, femminista oltre le mode, detesta l’Italia dell’appiattimento generale, un’esperienza politica ad alto livello le è scivolata addosso senza lasciar tracce, la incuriosiscono i no global, è contro la scienza spettacolo degli uteri in affitto, della ricerca sponsorizzata conosce vantaggi e oneri (dalle borse di studio ai prezzi da pagare), non crede alle favole della genetica, con le multinazionali che inondano di dollari la Sardegna. Questa è Marisa Marrosu, docente di Neurofisiopatologia, direttrice del Centro per lo studio e la cura della sclerosi multipla, uno dei pochi al mondo dove si affronta col trapianto di midollo una malattia diffusissima nell’isola. Presidente della Società italiana di neuroimmunologia, dirige un’équipe in contatto coi più accreditati gruppi di ricerca in Italia e all’estero, come quello, inglese, del prof. Compston, dell’Adenbrook Hospital. I suoi studi sulla predisposizione genetica alla sclerosi sono pubblicati nelle riviste scientifiche più prestigiose, come l’americana “Neurology”. Ora è arrivata anche la consacrazione di “The Lancet”. Tra gli obiettivi, individuare i fattori che consentano il riformarsi della mielina nei pazienti in fase avanzata e ottenere farmaci più potenti per bloccare l’infezione nei malati allo stadio iniziale. Nata a Olbia, (sposata, due figli medici) Marisa Marrosu a 18 anni si trasferisce a Cagliari per motivi di studio. Della famiglia, di estrazione medio borghese, ricorda il clima allegramente maschilista in cui ha dovuto confrontarsi con quattro fratelli e un’educazione cattolica stemperatasi col tempo in un atteggiamento agnostico permeato da un’impronta sociale: «Ognuno nella vita ha un compito, soprattutto fare il più possibile per gli altri». Da scienziata, deve fare i conti sempre più spesso con le parole del Papa e ritiene che «quando parla di vita ed embrione non fa che svolgere il proprio ruolo. Diverso è il caso di certi politici, la cui vita non è certo improntata alle regole della morale cattolica, che prendono a prestito le parole del Pontefice per portare avanti un loro disegno». Dal suo punto di vista invece, «sì alla fecondazione assistita, ma non se hai l’età per essere nonna» e no agli uteri in affitto «perché non stiamo parlando di un contenitore ma dell’organo di una persona che non può restare estranea rispetto alla sua creatura». Una solida morale laica si sposa in Marisa Marrosu con un passato femminista di cui non rinnega nulla. «Mi hanno avvicinata al femminismo alcune letture di antropologia culturale e una studiosa, Clara Gallini, che mi ha aperto nuovi orizzonti». Quella passione civile si è inserita in un carattere già in grado di confrontarsi con un mondo prevalentemente al maschile. «Mi sono resa conto presto di quanto sia difficile essere donna. All’università ho dovuto affrontare episodi di molestie sessuali da parte di docenti, ma non ho mai pensato di denunciarli: dovevo cavarmela da sola. Ho dato anche sane lezioni, un fatto che mi inorgogliva e forse mi ha consentito di non restare traumatizzata». Non si tira mai indietro, la professoressa, sotto la spinta di una vivacità intellettuale, di una voglia di misurarsi sempre con nuove esperienze. Così nel ’92 accetta l’incarico di assessore regionale alla Sanità. Pochi mesi e via. «È un mondo che non fa per me, mi ha dato poco, preferisco la ricerca. Mi diverto di più. D’altro canto, qualcuno ha detto che da adulti ci sono due modi per giocare: fare ricerca e fare politica». Studia, ma non si considera un topo di laboratorio. Si guarda intorno e trova assurda l’omologazione diffusa «nella politica, ma soprattutto tra i giovani, tutti uguali, tutti a fare le stesse cose, senza fantasia, senza il desiderio di impegnarsi per qualcosa di serio, di grande». Per questo le interessano i no global, forse perché pongono il problema «dell’iniquità, dell’ingiustizia, di una parte del mondo che spreca, inquina, distrugge, mentre l’altra muore di fame e Aids». Alla medicina arriva per vocazione infantile. «Mi vergogno quasi a dirlo, ma decisiva è stata la lettura dei libri di Cronin». Poi, al liceo, la scoperta di Freud. Voleva diventare una strizzacervelli, invece è approdata subito in Clinica Neuro. «Allora la chiamavano “Neurodeliri”, un universo disperato di alcolizzati, prostitute, gente senza presente né futuro, ho capito subito che era il mio mondo». In Neurologia scala rapidamente la piramide accademica, «ma non sono una baronessa, anche se mi piacerebbe, mi fa pensare a Karen Blixen, la mia scrittrice preferita. Credo, però, che l’unica e ultima baronessa dell’università di Cagliari sia Nereide Rudas». Non è stato facile arrivare al vertice, perché «l’università, Medicina, in particolare, fa parte di un mondo al maschile. E anche quando raggiungi certi risultati, c’è sempre intorno a te l’ombra di una protezione, come se avessi bisogno di stampelle maschili. Particolare banale ma significativo, i colleghi che ti chiamano signora, non professoressa». Miserie. L’unica cosa che conta, per Marisa Marrosu, è la sclerosi multipla. La chiama l’ospite inattesa «perché quando arriva è davvero una tragedia, colpisce soprattutto i giovani e sconvolge la vita. Non esiste una cura definitiva, si può solo imparare a conviverci». Ma è anche un enigma scientifico «perché non sappiamo da quali geni derivi la predisposizione ad ammalarsi, cosa provochi gli attacchi e cosa causi la disabilità». Alla malattia la prof dedica la sua vita, forte di un’équipe affiatata e di un centro di ricerca finalmente dignitoso, dove arrivano malati da tutta l’isola. Ma non basta, le risorse sono poche, si potrebbe fare di più. «Sarebbe bello che i gruppi impegnati in ricerche analoghe disponessero di spazi in comune, dove concentrare tutte le attrezzature, collaborare». Sogni, ancora una volta la “signora” vorrebbe rompere gli schemi di un mondo ingessato da secoli nei suoi riti accademici. Eppure, non si può dire che scarseggino le risorse. Ultimamente, sulla ricerca genetica piovono milioni di dollari. Proliferano i consorzi, «nessuno ti regala niente - mastica amaro - queste company di biotecnologie offrono soldi, posti di lavoro, ma quando mai hanno fatto qualcosa che non fosse per il loro tornaconto? Ammettiamo che in seguito a questi studi si arrivi a un farmaco importante per la salute della gente. Che beneficio ne avrebbero i sardi? In altre regioni del mondo ci sono leggi per imporre che i brevetti restino in loco. Da noi nessuno avrà mai il coraggio di farlo, perché i posti di lavoro fanno gola. E allora si dice sì, senza pensare al futuro». Lucio Salis =========================================================== _____________________________________________________________________ L’Unione Sarda 26 giu. ’02 CAGLIARI: FAA È IL NUOVO PRESIDE DI MEDICINA Cagliari. Dopo ventun anni va in soffitta l’era Balestrieri e Medicina volta pagina. Con un voto che sfiora l’unanimità (229 i sì su 250 votanti, appena 14 bianche e 7 nulle) Gavino Faa viene incoronato preside di facoltà da ordinari e associati, ricercatori, rappresentanti di lavoratori e studenti. Massiccia l’affluenza ai seggi per sottolineare la volontà di svolta di una facoltà centrale per numero di docenti e ricercatori (270), studenti (oltre mille) e per quanti attendono dal Policlinico anche un’assistenza d’avanguardia. Proprio Monserrato è al centro del programma del professor Faa, non ancora cinquantenne (è nato a Masullas il 29 giugno del ’52), allievo e successore nella cattedra di Anatomia patologica del professor Virgilio Costa. "Dobbiamo far diventare il Policlinico - dice - l’ospedale più moderno e avanzato della Sardegna, portando lì le varie chirurgie, l’anestesia, la rianimazione, la radiologia, il pronto soccorso. Se c’erano resistenza dentro la facoltà, le abbiamo superate, grazie anche all’intesa con il rettore, l’assessore regionale alla sanità e l’Asl 8". Né il progetto si ferma all’assistenza. "Dobbiamo anche realizzare - spiega il professor Faa - quella che in gergo si chiama "spina didattica": studi, biblioteche e aule per docenti e allievi. Sono già disponibili oltre dieci milioni di euro, ma soprattutto un bel clima di collaborazione. Sono felice per il voto perché ho visto tanti clinici e ricercatori da anni assenti dalla vita della facoltà. Insieme potremo fare cose utili per l’Università, i malati, la ricerca, e la didattica: c’è totale consonanza fra le idee mie e quelle del professor Amedeo Columbano, rieletto presidente del corso di laurea. Dovremo consentire agli studenti di studiare sul campo, facendo del Policlinico quello che dev’essere, il luogo d’incontro fra ricerca scientifica, cura e insegnamento. Non credo che i tre anni del mio mandato siano sufficienti per realizzare tutto, ma l’importante è cambiare la mentalità. Spero di riuscire a trasferire nella vita concreta della facoltà quell’unione fra anima biologica e anima clinica essenziale per fare interagire i docenti dei primi tre anni e quelli del secondo triennio". Ottimista per temperamento, Gavino Faa si avventura dunque in una nuova frontiera, ma intanto non rinuncia al suo microscopio e ai suoi studi, che hanno un punto di riferimento nel professor Valeer Desmet, dell’Università cattolica di Lovanio: studi sul fegato e sulle malattie metaboliche, in particolare la carenza congenita di alfa-1-antitripsina, oltre che malattie da accumulo di metalli, come il morbo di Wilson. E qui il professor Faa si è imbattuto anche in affascinanti questioni irrisolte, quale la diversità genetica dei sardi dagli italiani e dagli europei. "La nostra origine - conferma - è un vero mistero irrisolto. Mi piacerebbe saperne di più, studiando con archeologici, antropologi, genetisti, archeobotanici, in un centro interdipartimentale e interfacoltà. Sarebbe straordinario, approfondire le nostre conoscenze su una questione che affascina studiosi di tutto il mondo: qualche settimana fa ho trovato una grande attenzione a Monaco di Baviera, dove sono stato invitato dal professor Heinz Hofler, direttore del più grande istituto di Anatomia patologica della Germania". Giancarlo Ghirra _____________________________________________________________________ L’Unione Sarda 30 giu. ’02 POLICLINICO: AI RICOVERI IN CHIRURGIA Via ai ricoveri in Chirurgia ma c’è ancora qualche intoppo burocratico Ecco le nuove sale operatorie Il primo intervento entro la prossima settimana Per centinaia di volte, nella loro carriera, hanno teso la mano verso la ferrista e pronunciato la parola fatidica: «Bisturi». Eppure questa volta sarà diverso, perché i chirurghi del dipartimento universitario di Chirurgia potranno finalmente eseguire un intervento in una sala operatoria dell’Ateneo. Non era mai accaduto prima. È questione di poco tempo, forse addirittura di giorni: se sarà risolto qualche intoppo burocratico che ancora crea qualche difficoltà, già la prossima settimana le sei sale operatorie del Policlinico di Monserrato entreranno in funzione. Per i chirurghi universitari, costretti da sempre a operare in ospedali o cliniche private convenzionate, sarà una rivoluzione, ma il discorso vale anche per i pazienti, che guadagneranno in sicurezza. Assieme al dipartimento di Chirurgia diretto da Giovanni Brotzu, che ha iniziato l’attività giovedì scorso con il ricovero dei primi quattro pazienti, entrerà in funzione anche la terapia intensiva post-chirurgica. In pratica, considerato che è dotata del personale adeguato e di attrezzature all’avanguardia, può funzionare come reparto di rianimazione. Potranno farvi ricorso tutti i pazienti del Policlinico universitario, non solo quelli sottoposti a un intervento chirurgico: ancora oggi, in caso di urgenza come ad esempio un’ischemia, quei pazienti sono costretti a raggiungere gli ospedali cittadini con una disperata corsa in ambulanza. «Noi siamo pronti, quattro sale operatorie sono già in grado di funzionare, mentre per le altre due è questione di giorni», spiega Roberto Montisci, professore di chirurgia vascolare e aiuto di Giovanni Brotzu. A ritardare l’avvenimento, certamente storico per l’Università, potrebbe essere qualche lungaggine burocratica legata proprio alla terapia intensiva post-chirurgica. Una questione di poco conto, visto che l’assessorato regionale alla Sanità ha autorizzato l’avvio dell’attività del Dipartimento, consentendo i ricoveri per 20 dei 52 posti letto disponibili. «Ovviamente», commenta Montisci, «l’entrata in funzione della Divisione deve essere graduale». La mappa della chirurgia universitaria, proprio per la mancanza in passato di una struttura all’avanguardia come il Policlinico di Monserrato, è piuttosto disordinata. L’Università conta infatti 120 posti letto al San Giovanni di Dio, 30 al Binaghi, altrettanti al SS. Trinità, qualcuno di più al Marino e una ventina presso la casa di cura Sant’Elena di Quartu. Con l’avvio dell’attività di chirurgia nelle sale operatorie dell’Ateneo, che riunirà finalmente le équipe chirurgiche sparse in tutta la città, parte una rivoluzione ben più ampia: «Sarà la creazione della decima Asl sarda», spiega Andrea Corrias, direttore sanitario del Policlinico di Monserrato, «che comprenderà l’Università, il San Giovanni di Dio e la Clinica pediatrica Macciotta». Se ne parla da due anni, ma ancora il protocollo d’intesa non è stato firmato. La struttura medica dell’Ateneo, (in prospettiva) sarà dotata anche di un pronto soccorso e funzionerà come un vero e proprio ospedale, ma con una marcia in più: lì, infatti, si formeranno anche i medici del futuro. Luigi Almiento _ _____________________________________________________________________ Corriere della Sera 24 giu. ’02 LA DEVOLUTION È UNA LISTA D’ATTESA IN OSPEDALE I tempi per ricoveri e analisi si allungano ovunque. Ma al Nord il decentramento piace, al Sud no. Modello lombardo contro modello tosco-emiliano S e partorisci a Napoli, hai una probabilità su due di essere sottoposta a un cesareo, a Bolzano una su sei. A Roma prima di farti entrare in sala operatoria ti tengono lì tre giorni, a Trieste uno. Se stai a Milano o a Venezia puoi permetterti di mandare i tuoi figli alla scuola privata che preferisci, se stai a Roma no. In un Paese variegato come l'Italia, la devolution porta con sé grandi opportunità per le regioni che riusciranno a coglierle, ma anche il rischio di un ritorno ai tempi dei Borboni e degli Asburgo, con le conseguenze del caso per i cittadini che si trovano a vivere alle latitudini sbagliate. Prova ne sia che il giudizio degli italiani sul federalismo sanitario, capitolo centrale che pesa per oltre due terzi sui bilanci regionali, è nettamente divergente a seconda della ripartizione geografica: al Nord quasi due terzi dei cittadini interpellati dal Censis sono convinti che una maggiore autonomia delle regioni produca esiti positivi, mentre al Centro, Sud e Isole al percentuale si dimezza. E non c'è da stupirsi, se si considera che il tasso di autofinanziamento della Lombardia di Roberto Formigoni è del 98%, mentre quello della Calabria di Giuseppe Chiaravalloti è del 55%. Ma la posta in gioco nei prossimi mesi sarà ancora più alta: per coprire le nuove competenze in fatto di scuola, sanità e polizia locale, infatti, le Regioni attingeranno a circa un sesto della spesa pubblica complessiva, tra i 40 e i 50 miliardi di euro, secondo due distinti studi della Bocconi e della Cattolica. Nel dettaglio, per l'istruzione occorrono almeno 33 miliardi di euro, 6 miliardi per la sicurezza e oltre un miliardo per le competenze sanitarie non ancora regionalizzate. Ecco perché il ministro Moratti si è rivolto direttamente ai padroni di casa per concordare le prove generali della riforma in Lombardia e nella provincia di Trento, dove la nuova scuola partirà già in settembre, malgrado le polemiche. E' proprio la scelta dei criteri in base ai quali verrà realizzata l'autonomia finanziaria e garantita la solidarietà il tavolo principale su cui si gioca la devolution. Dopo il grido d'allarme della Corte dei Conti e l'altolà intimato da Antonio Fazio, il patto di stabilità firmato lo scorso agosto assomiglia sempre di più a uno dei soliti «buh» che lo Stato rivolge periodicamente alle Regioni perché rimettano a posto i bilanci, poi regolarmente sforati e ripianati con grandi proclami di contrizione: dal '92 a oggi sarebbe la quarta volta. «Se la scelta di trasferire alle Regioni la competenza esclusiva su sanità, scuola e polizia locale è stata fatta nella speranza di risparmiare - commenta Stefano Inglese, responsabile nazionale del Tribunale dei diritti del malato - allora non ci siamo proprio. La devolution non è destinata a tagliare i costi, ma a farli lievitare se si vuole mantenere lo stesso livello di prestazioni, perché trasferire competenze da una macchina amministrativa a un'altra costa e non è detto che la responsabilizzazione dei governatori porti automaticamente con sé una razionalizzazione delle spese e un taglio degli sprechi. Anzi. In alcune regioni, soprattutto al Sud e nelle Isole, la spinta a esercitare un maggiore controllo sulle uscite sta scatenando una corsa disordinata all'aumento dei balzelli a carico dei cittadini, che si trovano a dover pagare costi aggiuntivi senza nessuna contropartita. Turano una falla qui e una là, ma non seguono una strategia precisa». Ripristino del ticket, delisting dei farmaci, aumento dell'addizionale Irpef e addirittura un'ipotesi di ticket sull'assistenza domiciliare sono i sistemi più praticati. Tra ticket e prezzi di rimborso, in questo primo semestre dell'anno gli italiani hanno pagato di tasca propria quasi 51 milioni di euro, ma i bilanci regionali restano dissestati. «Il modello lombardo e quello tosco- emiliano sono gli unici che seguano una logica precisa e una programmazione rigorosa, anche se vanno in direzioni completamente diverse. Non a caso è verso questi due poli di aggregazione che si sposta la maggioranza dei cittadini delle altre regioni in cerca di prestazioni sanitarie migliori. Il Veneto di Giancarlo Galan, invece, è un caso a sé, perché non segue nessuno dei due modelli ma mantiene lo stesso standard abbastanza soddisfacente: lì i distretti funzionano sul serio e il trasferimento della spesa dagli ospedali al territorio è già in atto da molti anni», spiega Inglese. Paradossalmente è proprio la sanità spicciola, quella che la gente normale usa di più, a fare acqua da tutte le parti. Prendiamo il caso banale di un quarantenne mediamente sano che si frattura il menisco giocando a calcio con i colleghi. Di solito l'appuntamento con il chirurgo lo mette di fronte a un bivio: aspettare sei mesi per arrivare in una sala operatoria pubblica, restando rigorosamente a riposo nel frattempo, oppure farsi operare dallo stesso chirurgo in una struttura privata. Costo: oltre tremila euro. Rimborso dell'Asl: neanche 80 euro. Per non parlare della successiva fisioterapia, dove le liste d'attesa arrivano anche a dodici mesi. Ma si può considerare ragionevole cominciare la rieducazione a un anno dall'intervento? No, infatti le liste d'attesa sono definite dagli italiani il principale scandalo della sanità pubblica. E anche qui saltano all'occhio le differenze geografiche: per fare un'ecografia nel primo mese di gravidanza o un'amniocentesi in tempo utile in molte regioni meridionali bisogna avere doti divinatorie e prenotarle prima ancora del concepimento. E tempi di attesa di sei mesi per una mammografia, un ecocardiogramma, un'ecografia addominale sono normali. Naturalmente non si può incolpare il federalismo di tutti i mali della sanità italiana, ma è un fatto che la posizione delle Regioni, fra l'incudine di una spesa sanitaria ferma al 5,4% del Pil (la Germania è al 10%) e il martello dell'azzeramento del deficit promesso in sede europea, non è delle più comode. Su questa coperta sempre più corta, infatti, s'innestano le differenze ideologiche tra i singoli governatori: da un lato c'è chi, come Roberto Formigoni o Claudio Martini, punta con tutte le proprie forze al pareggio di bilancio per avere maggiore autonomia decisionale, dall'altro chi, come Francesco Storace, non disdegna l'ala protettrice dello Stato. «Non a caso le Regioni più preparate, come la Toscana di Martini o la Lombardia di Formigoni, hanno già presentato un piano sanitario che si discosta radicalmente dall'impianto tradizionale del sistema sanitario nazionale», conferma Francesco Longo, vicedirettore del centro di ricerca sulla sanità della Bocconi (Cergas). «I toscani - spiega Longo - vogliono rafforzare le competenze comunali e quindi il controllo politico sulla produzione sanitaria, i lombardi invece vogliono spogliare completamente il servizio pubblico dalle funzioni di produzione per farlo diventare solo un veicolo finanziario, lasciando la produzione ai privati. Tutti e due si allontanano parecchio dall'ortodossia, gli uni sottraendo competenze alla Regione e gli altri puntando tutto sul privato». Certo, prima di trasformare il Policlinico di Milano in fondazione ci vorrà un bel po' di tempo. Ma la direzione è quella. Elena Comelli _____________________________________________________________________ La Stampa 27 giu. ’02 PRESTO LA SANITÀ ANCHE PRIVATA SI RIUNISCE IL CONSIGLIO DEI MINISTRI. MANCANO 2 MILIARDI DI EURO NEI CONTI 2001 DELLE REGIONI Oggi la nuova stretta alla spesa farmaceutica ROMA Il governo conta di risparmiare «qualche migliaio di miliardi di vecchie lire» sulla spesa sanitaria con il decrero che sarà approvato oggi dal Consiglio dei Ministri. Lo si è appreso al termine della riunione informale di ieri tra il ministero del Tesoro e le regioni sul monitoraggio della spesa sanitaria. Secondo il responsabile del dipartimento farmaceutico di Forza Italia, Fabio Minoli, solo la revisione del prontuario delegata alla Commissione Unica del Farmaco dovrebbe comportare un risparmio di 2 mila miliardi di lire. Nel decreto, tuttavia, dovrebbero trovare spazio anche altre misure di contenimento della spesa, a cominciare dall´estensione del meccanismo di rimborso dei farmaci al prezzo più basso sul mercato, per finire, forse, con una nuova misura sulla copertura temporale dei brevetti. Le misure che saranno varate oggi rappresentano qualcosa di più di un tampone all´emorragia della spesa, ma non ancora la soluzione definitiva del problema. Le regioni, cui l´accordo dell´8 agosto 2001 ha delegato la gestione della sanità, non riescono a far quadrare i conti, e lo Stato non è disponibile a concedere nuove risorse oltre a quelle già in preventivo. Esclusa la reintroduzione del ticket nazionale, è quasi scontato, e il governo lo ha confermato ieri, che si arrivi a una revisione delle prestazioni garantite dal Servizio Sanitario Nazionale in funzione del reddito dei cittadini. «Per la sanità bisognerà passare a un sistema misto, con una parte pubblica i cui livelli di finanziamento siano compatibili con il bilancio dello Stato, affiancato da meccanismi che consentano la ripresa dei sistemi mutuo-assicurativi» ha detto ieri in Senato il sottosegretario all´Economia, Giuseppe Vegas. Il decreto di domani potrà agire in modo consistente sulla dinamica della spesa, ma «per il futuro devono essere assunti ulteriori interventi» ha detto Vegas. «Non si tratta di smantellare il sistema pubblico, ma di renderlo efficiente. Il sistema pubblico deve restare il cardine della sanità, ma è messo in competizione con un sistema privato, dove i cittadini possono assicurarsi ed eventualmente detrarre l´onere delle polizze». Oltre ad aumentare il grado di deducibilità delle assicurazioni dalle dichiarazioni dei redditi, in questo caso, il governo potrebbe ampliare anche il ventaglio delle prestazioni sanitarie accessibili alle mutue private. Una revisione più profonda del sistema sembra inevitabile. La verifica sui conti sanitari delle regioni del 2001, in corso al Tesoro, ha confermato l´esistenza di squilibri consistenti. La spesa ha sforato il tetto di 4 miliardi di euro, quasi 8 mila miliardi di vecchie lire. «Doveva fermarsi a 71,2 miliardi di euro ed è arrivata a 75,6» ha detto Vegas, spiegando che «una parte della spesa è stata coperta dalle misure delle regioni», come ticket, addizionali Irpef ed Irap, «per 1,54 miliardi di euro, che sommati ai risparmi garantiti dal governo con il decreto sulla spesa farmaceutica, portano l´entità della correzione a 1,9 miliardi di euro». La discussione in corso tra il governo e le regioni verte proprio sui 2,1 miliardi mancanti all´appello. Chi ha coperto con le manovre regionali il proprio buco sanitario può star tranquillo, ma con chi si è rivelato inadempiente il Tesoro è intenzionato a usare la linea dura. Una delle ipotesi esplicitamente prevista dall´accordo del 2001, è che queste regioni vengano penalizzate dalla mancata distribuzione dell´integrazione dei fondi 2001, ma non si escludono interventi di altro tipo. In ogni caso la conclusione della verifica sui conti, prevista per il 4 luglio, è stata rinviata di qualche giorno. Inutile dire che l´idea del sistema sanitario misto non piace all´opposizione parlamentare e preoccupa i sindacati. «Il sistema misto è quello della doppia sanità - ha detto ieri Rosy Bindi, responsabile delle politiche sociali della Margherita - e a farne le spese sono i ceti medi costretti a sobbarcarsi i costi assai onerosi di una assicurazione privata per tutelare la salute, un diritto garantito dalla costituzione. Si pensa di far pagare direttamente l'assistenza a chi ha redditi medio alti, magari con l´attrattiva di forti sconti fiscali, lasciando il servizio nazionale come un servizio di serie B per i più bisognosi». m. sen. _____________________________________________________________________ La Stampa 27 giu. ’02 LA CORTE DEI CONTI CHIEDE I TICKET PER PAGARE LA SANITÀ Sirchia: non è una mossa prevista. Domani arrivano i tagli sul prontuario farmaci ROMA Spesa sanitaria fuori controllo. E´ la sanità il buco nero più difficile da colmare. La Corte dei Conti lancia l´allarme: vanno chiesti ai cittadini sacrifici immediati, bisogna reintrodurre i ticket sui medicinali, escludendo le fasce deboli (anziani, minori e malati cronici). Una soluzione, comunque, non condivisa dal ministro Sirchia. La situazione della spesa sanitaria «è dolorosissima», secondo il procuratore generale della Corte dei Conti Vincenzo Apicella che ieri ha presentato la requisitoria sul rendiconto generale dello Stato. Una voragine insidiosa, una condizione insostenibile che mettono in pericolo l´equilibrio dei conti pubblici. «Il progresso della sanità che noi tutti vogliamo è molto costoso- ha spiegato Apicella- ciò comporta che alcuni accertamenti e macchinari, e certi tipi di assistenza debbano essere pagati. Le somme che i bilanci delle regioni e dello Stato possono dedicarvi non sono più sufficienti. Bisognerà far sì che il cittadino rinunci a qualcosa. Se vogliamo avere i servizi salvavita dobbiamo fare a meno di quelli marginali e bisognerà pure ricorrere al ticket». Per la Corte dei Conti, dunque, la spesa sanitaria, al pari di quella previdenziale, richiede «un´azione di contenimento che non può essere rinviata». La spesa sanitaria, infatti, costituisce «uno degli aspetti più critici e controversi» della finanza pubblica. I dati, secondo la Corte, sono allarmanti «sia per l´entità economica che esprimono sia per la dinamica di crescita». Immediata la replica del governo. «Non abbiamo previsto nuovi ticket», ribatte il ministro della Salute, Girolamo Sirchia dalla riunione Ue in Lussemburgo. Niente nuovi ticket, ma un contenimento della spesa sanitaria secondo modalità che non pesano sui cittadini. A giudizio di Sirchia il decreto- legge all´ordine del giorno del Consiglio dei ministri di domani conterrà disposizioni urgenti in materia tributaria e di spesa farmaceutica. Sull´entità dei tagli,però, il ministro della Salute non si sbilancia. Mentre si rincorrono le stime di tagli fino al 30% del prontuario dei farmaci, il ministro osserva che non è possibile fare percentuali in questo momento. «Il prontuario può essere disegnato nel modo più conveniente per i malati, e questo verrà fatto- spiega Sirchia- rispettiamo la convenienza dell´ industria, ma rispettiamo altrettanto e più quella dei pazienti. Un contenimento della spesa è necessario pure dal punto di vista dell´evoluzione scientifica, perché servirà per assicurare farmaci innovativi. Dobbiamo saper tagliare i medicinali inutili per lasciare spazio a quelli innovativi, altrimenti avremmo una farmacologia del passato e non del futuro». L´esecutivo cercherà insomma di apprestare un prontuario farmaceutico «più efficace che non consenta escamotage per aumentare i prezzi o di mantenere prezzi troppo elevati per le finanze pubbliche». Il governo sta pensando a misure strutturali in materia di spesa sanitaria però «l´allarme sui ticket è ingiustificato», concorda il sottosegretario all´Economia, Giuseppe Vegas, secondo cui tra le misure allo studio dell´esecutivo c´è proprio una revisione del prontuario. Per Vegas il nodo della spesa sanitaria è una questione di riorganizzazione delle strutture: posti letto, acquisti, uso razionale del personale, ossia «le questioni già contenute nell´accordo con le regioni». Il sottosegretario sottolinea come la Corte dei Conti abbia puntato eccessivamente sulla spesa farmaceutica, «come se non ci fosse altro», mentre «non è così: basta guardare com´è andata nel 2001». Nell´evidenziare come la riorganizzazione delle strutture spetti soprattutto alle regioni, Vegas aggiunge che «l´appuntamento con le regioni sarà giovedì della prossima settimana per chiudere il tavolo sul monitoraggio della spesa 2001 per l´assegnazione definitiva della maggiore quota del patto dell´8 agosto». Pure il ministro per gli Affari Regionali, Enrico La Loggia si augura che si riesca a trovare una soluzione congrua per evitare il ticket sui medicinali. Davanti alla crescita eccessiva della spesa sanitaria, secondo La Loggia, l´esecutivo «sta studiando diverse ipotesi alternative al ticket. Intanto sul rapporto tra sanità e regioni fanno breccia le critiche di Umberto Bossi. «Per quanto riguarda il Federalismo, Bossi ha ragione- afferma il presidente del Veneto, Giancarlo Galan- serve qualcosa di più. Per fare una riforma non basta scrivere un pezzo di carta e applicarvi i sigilli dello Stato. Per la devolution non è sufficiente dire che le Regioni sono competenti in materia di sanità, istruzione e sicurezza. Occorre specificare quali sono i compiti e le responsabilità connesse a ciò». L´allarme-sanità della Corte dei Conti infiamma il dibattito politico. «È una bocciatura netta verso la politica del governo- sostiene il presidente dei Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio. La gestione della sanità è disastrosa. C´è solo da capire se è finalizzata a favorire una maggiore privatizzazione del settore o se è semplicemente il segno di una inefficienza sconcertante. L´esecutivo ha scaricato la responsabilità del proprio fallimento sulle regioni, ha di fatto reintrodotto molti ticket e aumentato vertiginosamente le spese». Giacomo Galeazzi _____________________________________________________________________ L’Unione Sarda 27 giu. ’02 SIRCHIA CONTRO LA CORTE DEI CONTI: «NIENTE TICKET NELLA SANITÀ» La magistratura contabile analizza il bilancio e sostiene che i dati sono allarmanti Roma I dati sulla sanità «sono allarmanti» e diventa inevitabile la reintroduzione di ticket; la spesa previdenziale è il «buco nero» meno facilmente colmabile; le riforme fiscali e previdenziali rischiano di pesare sui conti pubblici e per il calo delle tasse bisogna trovare una adeguata copertura che «non può essere rinviata a futuri equilibri di bilancio». La Corte dei Conti ha fatto il check up ai conti pubblici e subito è arrivata la replica del ministro Sirchia: niente ticket sulla sanità. La sintesi del giudizio di parificazione sui conti - che hanno avuto l’ok, anche se con alcune eccezioni relative ad Anas, Fs e Monopoli - è stata illustrata in una cerimonia solenne dal procuratore generale Vincenzo Apicella e dal presidente delle sezioni di controllo Manin Carabba. «Le misure messe in opera dal governo - ha detto il presidente delle sezioni di controllo Manin Carabba - si affidano a strumenti una tantum o di finanza straordinaria, e quindi lasciano intatti alcuni interrogativi sul 2003 e ancor di più sul medio periodo». Ma ieri da Lussemburgo ha replicato il ministro della Sanità Gerolamo Sirchia: «La reintroduzione dei ticket non è prevista nel provvedimento che sarà discusso in settimana». E ancora: «Ognuno ha la facoltà e la libertà di dire quello che pensa, ma anche noi quello di agire come crediamo più opportuno». Poi Sirchia ha spiegato cheNiente si andrà verso tagli alla spesa «che non peseranno sui cittadini». Al ministro è stato chiesto se per il contenimento della spesa sanitaria, che sta gravando sui conti pubblici, si andrà verso una forte riduzione del prontuario dei farmaci. «Sono previste delle modalità di contenimento della spesa (sanitaria) che non pesano sui cittadini. Questa è la politica che abbiamo sempre seguito finora», ha risposto Sirchia, interpellato in margine del Consiglio sanità della Ue. «Il cittadino non si accorge che è in corso una manovra di contenimento. Manovra che peraltro è necessaria perché - ha spiegato - se vogliamo assicurare i farmaci innovativi, che sono la speranza di vita per tutti noi, dobbiamo saper tagliare delle cose che non sono utili: ridurre delle prestazioni e dei farmaci che non sono utili per lasciare spazio a farmaci innovativi. Diversamente avremmo una farmacologia del passato e non del futuro. E questa non è la volontà dei cittadini italiani». Rispetto alle ipotesi fatte sulla stampa sul fatto che i tagli al prontuario farmaceutico potrebbero arrivare fino al 30%, Sirchia ha commentato: «Non sono in grado di fare percentuali di tagli. Il prontuario può essere disegnato e asciugato in modo più conveniente per i malati e per le persone. E questo verrà fatto». Sirchia ha proseguito: «La convenienza delle industrie noi la rispettiamo, ma francamente rispettiamo altrettanto o più quella dei pazienti. Non vogliamo che gravi sui pazienti alcun sacrificio: cercheremo di fare una procedura equa che dia un prontuario efficace, che non consenta, con escamotage o con regole non del tutto da noi condivise, di aumentare i prezzi o di sostenere dei prezzi troppo elevati per la finanza pubblica». _____________________________________________________________________ Il Manifesto 29 giu. ’02 INSANITÀ LOMBARDA, ACCORPA E IMPERA Impoverita la medicina preventiva, abbandonata la psichiatria e la cura del disagio mentale. In Lombardia è cresciuta la spesa sanitaria gestita dai privati, è cresciuto il deficit, aumentano gli accorpamenti. Cioè il taglio di almeno migliaia di posti letto. E' il resistibile piano di Formigoni. Contestarlo è possibile, cominciando dalla difesa dei grandi ospedali pubblici milanesi VIRGILIO CRUCCU Nel 1995 il bilancio sanitario della Regione Lombardia era in sostanziale pareggio. La giunta Formigoni iniziava allora un periodo di grandi cambiamenti, sotto il segno di un modello iperliberista che ha come cardine la privatizzazione e la conseguente negazione del diritto universale alla salute, come parametro il mercato, come visione generale la salute considerata merce, mezzo per ricavare denaro. Sono gli anni dell'accreditamento di numerose strutture private, aventi per unico obiettivo i bilanci in attivo, per metodo di gestione l'attenzione all'immagine e al comfort alberghiero, per risultato un livello di assistenza mediocre e, talvolta, indecoroso. Nel frattempo, sotto la guida dei direttori generali tanto autocratici quanto incompetenti, una gestione da lista della spesa ha scientemente cercato di devastare un patrimonio culturale ricco e articolato, ha svalorizzato competenze e professionalità, ha frantumato équipes di lavoro consolidate. Le scelte di risparmio (nel pubblico) hanno demotivato medici e non medici, messi sovente nell'impossibilità di svolgere un'attività coerente con una concezione della salute come indicatore della civiltà di un paese. La situazione sanitaria lombarda si è caratterizzata per almeno altri due aspetti. La medicina preventiva, pubblica per antonomasia, è stata impoverita; la regione che conta più infortuni e omicidi bianchi ha consegnato la prevenzione nei luoghi di lavoro ai medici aziendali. La psichiatria, poco remunerativa, è stata anch'essa depauperata: sono sguarnite di personale e risorse le strutture intermedie (Centri diurni, Centri psicosociali, Centri di residenza territoriale). Il disagio mentale trova spesso risposte - per chi ne ha la possibilità economica - nelle cliniche private; quando non è gestibile in esse torna a essere sequestrato nei Servizi psichiatrici di diagnosi e cura degli ospedali (a loro volta lasciati carenti di personale e strumenti di intervento). In entrambi i casi ricompare il fantasma dei vecchi manicomi, riemergono trattamenti solo farmacologici e di contenzione, antitetici al reiserimento dei pazienti nella società. Ciò nonostante, energie intellettuali e professionali hanno resistito al modello formigoniano e, oltre a garantire la sostanziale tenuta del servizio sanitario nazionale, costituiscono i punti di forza per la ripresa dell'affermazione del diritto alla salute. L'accreditamento selvaggio delle strutture private, l'aumento scriteriato dell'offerta sanitaria, una domanda non basata sui bisogni reali ma gonfiata con metodi da imbonitori da fiera hanno causato il collasso economico. Nel giro di pochi anni la fetta della spesa ospedaliera gestita dal privato è cresciuta dal 20% al 30% del totale. La spesa sanitaria regionale è aumentata dai 15 mila miliardi del 1998 agli attuali 22 mila, con un tasso di crescita dell'8% annuo, quattro volte superiore alla crescita del pil. Di qui, l'incremento dell'addizionale Irpef per recuperare 477 miliardi (in lire) con cui coprire la parte disavanzo del 2001 non ripianata dallo stato. Ma il deficit reale supera, dal 1996 in avanti, i mille miliardi l'anno. Un dato significativo sia di per sé, sia confrontato con le Regioni (Toscana, Friuli, Umbria, Veneto, Emilia) che hanno attuato politiche sanitarie centrate in parte sulla razionalizzazione della gestione ospedaliera, in parte sulla costruzione di reti territoriali (centri di assistenza, servizi domiciliari, relazioni adeguate tra medicina di base e strutture di ricovero). Il Piano socio-sanitario della regione Lombardia accentua - se possibile - gli aspetti negativi già rilevati. Nell'ambito di un progetto che prevede in un triennio il taglio di 5000 posti letto (tutti pubblici), ora sono presi di mira i grandi ospedali milanesi. Il Policlinico diventa Fondazione, passaggio intermedio per privatizzarlo. L'accorpamento di Niguarda e Fatebenefratelli chiude di fatto il secondo, residuando solo il Dipartimento emergenza accettazione (Dea). Sono scelte sciagurate che avrebbero queste conseguenze. Azzeramento del diritto d'accesso al ricovero per centinaia di migliaia di cittadini. Al Fatebenefratelli si rivolgono almeno 250.000 utenti/anno. Il suo bacino d'utenza comprende, oltre all'ampia popolazione residente nel centro storico e alle persone provenienti da altre province e regioni, migliaia di extracomunitari e di lavoratori pendolari. L'accorpamento Niguarda- Fatebenefratelli cancellerebbe almeno 600 posti-letto per acuti, ai quali si aggiungono 500 posti-letto persi nell'operazione Policlinico-Fondazione. Il tutto in assenza, comunque, di apertura di letti di lungodegenza e riabilitazione. Distruzione di segmenti interi di risorse umane e strutturali, cresciuti in anni di lavoro ed esperienza. Aspetto non del tutto secondario, sarebbero in pericolo almeno 300 posti di lavoro per medici e altrettanti per biologi-tecnici- amministrativi. Accenno solo di sfuggita alle conseguenze delle Fondazioni, soggetti di diritto privato, sulla contrattazione. Nate per far quadrare i bilanci, useranno come parametri pseudo efficienza e ricavi, non la qualità/appropriatezza di ricoveri e cure. E' evidente l'irrazionalità di un Dea (Pronto Soccorso) senza letti di degenza come retroterra di riferimento: i pazienti, come pacchi postali, dopo 24-48 ore dovrebbero essere trasportati dal Fatebenefratelli a Niguarda, con disagi inaccettabili e con buona pace della «continuità terapeutica». E' chiara l'ignoranza, sul piano epidemiologico, della ricaduta pratica della scomparsa di letti per acuti. Ogni operatore, e ogni utente che ne abbia fatto esperienza diretta, conosce l'inadeguatezza del numero di letti che ogni inverno - con le usuali epidemie influenzali - costringe al ricovero in ambienti specialistici e al passaggio da una divisione all'altra prima d'approdare alle Unità operative di medicina interna. Il disegno, tanto delirante quanto arrogante, della giunta regionale lombarda non è ineluttabile. E' però essenziale la consapevolezza, in primis da parte degli operatori sanitari, della sua gravità. L'imperativo categorico è non accettare passivamente le idee di Formigoni-Berlusconi-Sirchia e spiegarle alla cittadinanza. Dobbiamo inventare nuove forme di mobilitazione/comunicazione; le assemblee delle scorse settimane a Niguarda e al Fatebenefratelli - tra le più partecipate negli ultimi vent'anni - sono state le prime tappe di un persorso che proseguirà con volantinaggi negli ospedali, apertura di servizi e ambulatori al sabato (sciopero al contrario), raccolte di firme, momenti di confronto con forze politiche e sindacali, incontri nei quartieri, rapporti non effimeri con i colleghi della medicina di base. In questo percorso vedrei schematicamente quattro fronti d'iniziativa. 1. Riaffermazione del ruolo insostituibile degli ospedali pubblici milanesi. Sono pezzi costitutivi dell'identità della citta, cellule del servizio sanitario nazionale ricche di competenze individuali e collettive, di biotecnologie all'avanguardia in Italia. Non vanno chiusi, ma rilanciati. 2. Riappropriazione di un ruolo professionale da parte degli operatori e di un codice etico per medici e non medici. 3. Saldatura tra bisogni reali della popolazione e capacità dei lavoratori ospedalieri. 4. Creazione di un tavolo cittadino, con una presenza qualificata di operatori sul campo, per affrontare in modo trasparente e argomentato il nodo della sanità milanese. Per realizzare lo sconquasso che hanno in mente Regione e Comune non avranno bisogno di anni; in compenso, i danni che ne conseguiranno saranno irreversibili. Non abbiamo tempo da perdere. E non dobbiamo fidarci delle promesse verbali dell'assessore regionale alla sanità Borsani (An). Giovedì scorso, quando abbiamo manifestato sotto l'assessorato, ci ha fatto sapere che la fusione tra Fatebenefratelli e Niguarda è congelata. Non è lui, ma Formigoni, il dominus della sanità lombarda. *Virgilio Cruccu è medico dell'ospedale Fatebenefratelli _____________________________________________________________________ Il Denaro 27 giu. ’02 FORMAZIONE E LAVORO DEI MEDICI a risposta in commissione al ministro della Salute paolo santulli, deputato Forza Italia Nel 1999 il Governo italiano ha dato attuazione alla direttiva 93/16/Cee in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli, nonché alle direttive 97/50/Ce, 98/21/Ce, 98/63/Ce e 99/46/Ce, che modificano la direttiva 93/16/Cee. Con il Decreto legislativo 17 agosto 1999, numero 368, di attuazione della direttiva 93/16/Cee, sono state introdotte significative novità soprattutto in materia di specializzazione medica, la quale sembrava aver trovato in tal modo il proprio definitivo e puntuale regime contrattuale e previdenziale, specificamente per quanto riguarda la disciplina relativa alla formazione del medico specialista e la definizione del rapporto che lo lega alla struttura sanitaria dove presta l'attività finalizzata alla sua formazione. Con la nuova normativa sono state soppresse le borse di studio e le altre forme di retribuzione dei medici specializzandi ed è stato introdotto l'utilizzo del contratto di formazione e lavoro, in base al quale il medico instaura un vero e proprio rapporto di lavoro - con la correlata copertura previdenziale ed assicurativa - finalizzato a garantire la sua formazione professionale oltreché le indispensabili attività di tipo assistenziale. Certamente rilevante è l'offerta della possibilità allo specializzando di trasformare una fase incerta e nebulosa della sua vita lavorativa di medico in un momento di preparazione e di aggiornamento delle proprie conoscenze professionali, così come di assoluto rilievo è la previsione contenuta all'articolo 41 del Decreto legislativo numero 368 del 1999, dove si dispone che siano dovuti dall'Università di sede al medico in formazione i contributi di legge ai fini assistenziali e previdenziali. Il Decreto legislativo numero 368 del 1999 ha subordinato la realizzazione dell'intera previsione legislativa de qua all'accantonamento di riserve economiche a valersi sulle risorse del fondo Sanitario nazionale, annualmente integrato per i corrispondenti importi mediante utilizzo delle disponibilità del fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile 1987, numero 183, istituito presso il ministero del Tesoro. A tre anni dalla sua approvazione nessuna delle novità previste ha trovato applicazione, in quanto finora è sempre mancata la copertura finanziaria. Si chiede di sapere quali provvedimenti il ministro intenda prendere al fine di assegnare l'adeguata copertura finanziaria e realizzare il cambiamento di forma giuridica del rapporto di lavoro degli specializzandi - con tanto di contratto di formazione - e la correlata copertura assistenziale e previdenziale, così come previsto dal Decreto legislativo numero 368 del 1999. _____________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 29 giu. ’02 ALGHERO, UN CONVEGNO I BAMBINI E LA MALATTIE CARDIOLOGICHE a.r. SASSARI. Si aprono stamane i lavori del "Secondo Convegno regionale di Cardiologia Pediatrica", organizzato dall'Istituto di Clinica Medica dell'Università di Sassari diretto dal professor Giuseppe Realdi, dalle Società italiane di Cardiologia e di Cardiologia Pediatrica in collaborazione con il Dipartimento di Cardiologia Pediatrica dell'Università di Cagliari e l'omologo reparto del Brotzu di Cagliari. Le sale della "Porto Conte Ricerche", a Tramariglio, riuniranno i maggiori studiosi e ricercatori sardi e della penisola. Molto atteso è l'intervento del professor Peter J. Schwartz, Direttore del Dipartimento di Cardiologia del Policlinico San Matteo di Pavia, che terrà una lettura magistrale su "La morte improvvisa aritmica in età pediatrica". Sarà Mario Pala, del Servizio di Cardiologia della Clinica Medica di Sassari, ad aprire i lavori con l'illustrazione dei dati epidemiologici raccolti dal 1996 al 2001. Roberto Tumbarello (Ospedale Brotzu), parlerà di diagnosi e terapia delle aritmie in epoca perinatale, mentre Massimo Ruscazio (Ospedale San Giovanni di Dio) parlerà dello scompenso cardiaco nei bambini. Si proseguirà con la relazione del professor Picchio (Bologna), che tratterà i problemi legati all'idoneità sportiva nei cardiopatici congeniti operati, e con Luigi Cassisa (Cardiologia Sassari) che parlerà delle cardiopatie congenite in età adulta, mentre di Malattia reumatica tratterà Cristiana Denurra (Clinica Medica Sassari). Gli aspetti chirurgici della stenosi valvolare aortica della nascita all'adolescenza verranno illustrati da Luciano Zannini, primario dell'Ospedale Gaslini di Genova che cederà poi la parola a Raffaele Calabrò (Ospedale Monaldi di Napoli), che parlerà di ipertensione arteriosa in età pediatrica, e ad Andrea Marras (Ospedale San Giovanni di Dio) che affronterà il tema dell'organizzazione della cardiologia pediatrica in Sardegna. _____________________________________________________________________ L’Unione Sarda 30 giu. ’02 QUARTU: INAUGURATO LA BANCA CHE FORNISCE LA VISTA Inaugurato ieri mattina in città il primo centro di conservazione delle cornee Finalmente il trapianto sarà possibile anche in Sardegna Il sogno si è realizzato per tanti sardi con problemi di vista e per Quartu: la città ospiterà la prima sede sarda della “Banca degli occhi”. Nel centro saranno conservate le cornee espiantate dai donatori. In questo modo i pazienti sardi non saranno più costretti a varcare il mare per riuscire ad avere un trapianto di cornee. L’iniziativa è stata presentata ufficialmente ieri nell’aula consiliare del Municipio davanti a un pubblico attento e numeroso, alla presenza del sindaco Davide Galantuomo, del rettore dell’università Pasquale Mistretta, delle massime autorità politiche, scientifiche e dei soci del Lions club. Per Quartu - e soprattutto per tutta l’Isola - il centro è una conquista. Sarà il secondo in tutta Italia aperto grazie ai Lions che ne hanno reso possibile, attraverso l’indispensabile e prezioso contributo, la realizzazione. «Per la nostra città - ha sottolineato il sindaco Davide Galantuomo, durante la presentazione - è un gran motivo di orgoglio. Grazie ai Lions abbiamo l’opportunità di vivere a Quartu un evento storico. Realizzare la Banca delle cornee non è stata un’impresa semplice, ma finalmente ci si è riusciti». Il centro di raccolta e conservazione sarà una appendice dell’Università. Pasquale Mistretta, rettore dell’Ateneo cagliaritano ha spiegato: «Questa iniziativa, maturata in ambito universitario, ora è stata concretizzata. Non si può che essere soddisfatti». Il Lions club ha sostenuto il progetto e l’ha portato avanti. «Oggi per noi Lions - ha affermato il presidente uscente del club cittadino Enea Beccu - si conclude un service iniziato due anni fa, sotto la presidenza di Giuliano Santus, e sostenuto dal nostro socio Marco Polo. Siamo orgogliosi perché non ci siamo arresi nonostante numerose difficoltà. Se il centro è stato realizzato è grazie all’impegno della direttrice della Clinica oculistica Antonina Serra, del coordinatore regionale del Centro Trapianti Licinio Contu, del rettore dell’Università di Cagliari Pasquale Mistretta, al prezioso supporto e alla sensibilità dimostrati dall’amministrazione comunale». Ma perché far nascere in città una Banca degli occhi? Licinio Contu, attraverso l’ausilio e la proiezione di alcuni lucidi, ha illustrato ai presenti la situazione a livello nazionale e regionale. «Al Brotzu - ha detto Contu - sono stati effettuati, dal 1991 a oggi, 193 trapianti. Nel 2000 in Sardegna se ne sono realizzati in totale 42, di cui 20 a Cagliari, 9 a Nuoro e 13 a Sassari. In due anni, tra il 2000 e il 2002, i trapianti di cornea sono stati 70 a Cagliari, 24 a Nuoro e 38 a Sassari. Ovviamente fino a oggi si è operato senza che nella nostra Isola esistesse una Banca. Le cornee prelevate dai donatori d’organi sono purtroppo insufficienti rispetto alle attuali esigenze. Le Regioni promuovono e coordinano le donazioni, i prelievi e i trapianti dei tessuti attraverso i Centri regionali di trapianti». Raffaele Gallus Cardia, governatore del distretto 108 dei Lions club ha sottolineato l’impegno del club: «Alla base del risultato ci sono anni di lavoro. I Lions hanno creduto con forza e determinazione nella realizzazione del primo centro dell’Isola. La società ha bisogno di noi, e noi abbiamo, come per altre iniziative, risposto all’appello. Avere raggiunto un ennesimo traguardo ci riempie il cuore d’orgoglio e di soddisfazione». Eleonora Bullegas _____________________________________________________________________ L’Unione Sarda 25 giu. ’02 BROTZU: MERAVIGLIE PER I PICCOLI PAZIENTI Interventi all’avanguardia e giochi in corsia: questa mattina l’inaugurazione del reparto Tecniche rivoluzionarie nella nuova Cardiologia pediatrica Fuori, sulla salita in cemento armato, la mamma del sole brucia l’erba del prato e la lamiera bianca delle ambulanze. Ma dentro, sulla parete pitturata di fresco, la mamma del sole illumina i sorrisi dei bambini. Un bruco millepiedi dorme sul letto, Mastringanna sghignazza sotto un albero, la capra bela e la playstation è accesa. È un ospedale, ma non è un ospedale. È il paese delle meraviglie, dove le meraviglie sono i burattini di Mauro Sarzi e gli interventi al cuore a torace chiuso. Al primo piano del Brotzu, reparto di Pediatria, divisione Cardiologia pediatrica, meraviglia è il teatro con il sipario in raso blu, meraviglia sono i dondoli in legno giallo, le sedie che poggiano su matitoni colorati, le panche come nuvole e la corsia come un viale alberato. Ma meraviglia della tecnica, incanto della scienza, sono le operazioni di chiusura del difetto interatriale e la dilatazione delle valvole stenotiche, la diagnosi e il trattamento e la cura, la ricerca delle cardiopatie in utero, lo studio psicologico che le malattie e le malformazioni del cuore hanno sui bambini, l’impatto, devastante, sulle loro vite. Non stupitevi. Già dodici anni fa, era il 1990, nella corsia del reparto sono arrivati i cani. «Pet terapy», annuisce Roberto Tumbarello, cardiologo alla guida del paese delle meraviglie, una specializzazione maturata all’Hospital for Sick Children di Toronto, uno dei più efficienti, prestigiosi ospedali pediatrici del mondo. «Un cane per amico, un cane per regalare un sorriso ai nostri piccoli pazienti». Che lì, in Cardiologia pediatrica sono tremila. Tre sono i medici, tre gli infermieri, novemila gli interventi in un anno. Perché il reparto è il primo centro di cardiochirurgia pediatrica in Sardegna. La delibera regionale che nel ’99 ne ha sancito il riconoscimento certifica che è un centro di terzo livello. Dettagli per addetti ai lavori: ai genitori basta entrare per accorgersi che una targhetta burocratica è ben poca cosa. Provateci questa mattina: alle 11 Roberto Tumbarello e la sua equipe, il direttore generale del Brotzu Franco Meloni, il primario di Pediatria Efisio Angius apriranno la porta dipinta di azzurro per inaugurare il reparto delle meraviglie. La creatività l’ha messa Mauro Sarzi, abile burattinaio di antica famiglia, e la tecnica medica è quella di Tumbarello: a coniugare arte e scienza Maria Sias, ingegnere, che ha curato la realizzazione del reparto. I fondi arrivano dall’Assessorato alla Sanità guidato da Giorgio Oppi e dall’Associazione bambini cardiopatici sardi, più tante donazioni, commercianti e imprenditori, che i piccoli pazienti ringraziano in una bacheca dipinta a mano all’inizio della corsia. E sono nati allora gli alberi di legno blu, passeggiata che quasi profuma di pino, gli uccelli volano sul soffitto che diventa cielo, la fatina buona ha gli occhi azzurri di una dottoressa, Giovanna Fele, l’anfiteatro ha una gradinata, il palco e il sipario, e i personaggi sono quelli della mitologia sarda, il pastore e la capra, la mamma del sole, la ragazza che torna dalla fonte. Tutti alti quanto un bambino, intagliati e dipinti da Eraclio Masala, che fa il pittore per passione e l’infermiere per lavoro, e le panche, gli alberi, i giochi sono opera dei ragazzi dell’Istituto Minorile di Quartucciu. «Abbiamo dato vita a un ospedale che non è un ospedale ma con una base medica di grande specializzazione», spiega Tumbarello, «un guscio di colori, musica, teatro che racchiude la tecnologia più innovativa». Stamattina, a passeggiare tra gli alberi e a dondolare sui giochi arriveranno anche i bambini nomadi che vivono nel campo sosta sulla 554. Nel paese delle meraviglie c’è posto per tutti. Francesca Figus _____________________________________________________________________ L’Unione Sarda 26 giu. ’02 OPPI E CONTU A ROMA Oggi vertice al ministero della Salute Vertice, oggi al ministero della Salute, sul lingua blu. Il ministro Girolamo Sirchia, con un telegramma inviato ieri, ha convocato gli assessori alla Sanità e all’Agricoltura della Sardegna e del Lazio. Con Giorgio Oppi e Felicetto Contu ci sarà anche una delegazione di allevatori. L’incontro è convocato per le 18.30. Lo sblocco della movimentazione degli animali vivi sensibili al morbo della “blue tongue” è subordinato alla vaccinazione dei capi (almeno l’80 per cento) e all’assenza del virus (trasmesso da un insetto) per almeno 100 giorni. Nell’isola ci sono una quarantina di Comuni che rispondono a questi requisiti, ma il numero cresce ogni giorno. Il blocco della movimentazione penalizza soprattutto gli allevatori di bovini, che non hanno ottenuto alcun risarcimento. I bovini, infatti, non muoiono a causa del virus ma, per il rischio di contagio, non possono varcare il mare. Sino all’estate del 2000 ogni anno circa 50 mila vitelli lasciavano la Sardegna diretti verso i centri di ingrasso della penisola, dietro corrispettivo di un milione di lire a capo. Facile quantificare il danno. Domani alle 14, alla commissione Agricoltura della Camera, ci sarà un’audizione sul problema lingua blu con le organizzazioni agricole. La Coldiretti nazionale ha delegato Aldo Mattia, direttore dell’organizzazione in Sardegna. _____________________________________________________________________ Le Scienze 28 giu. ’02 LA COMUNICAZIONE DEI BATTERI Avverrebbe in modo simile a quella esistente tra gli insetti Un decennio dopo che i microbiologi hanno iniziato a sospettare che molti gruppi di batteri possono comunicare, rilasciando feromoni che controllano la densità delle popolazioni, è stata risolta la struttura molecolare di una proteina fondamentale in queste comunicazioni. Questa scoperta potrebbe essere il primo passo verso un intervento umano in questi segnali, sia per controllare le attività di batteri nocivi sia per facilitare quelle dei batteri benefici. Il lavoro è stato svolto da ricercatori della Cornell University, che hanno pubblicato i loro risultati sulla rivista "Nature". "Ci sono molti esempi di processi batterici che sono efficaci solo quando vengono svolti da un grande numero di batteri che agiscono in modo coordinati, e il comportamento coordinato richiede un sistema di comunicazione," spiega Stephen C. Winans, ricercatore della Cornell. "Un esempio di comportamento coordinato è la formazione di biofilm, che sono strati di cellule immobili attaccate a una superficie solida. I biofilm si trovano ovunque in natura e possono essere pericolosi in alcuni casi e utili in altri. Una più profonda comprensione dei segnali potrebbe migliorare la nostra capacità di intervenire in questi e altri processi." Il batterio preso in considerazione dai ricercatori è un patogeno agricolo noto come Agrobacterium tumefaciens, che causa tumori in una grande varietà di piante. "Abbiamo iniziato con l'Agrobacterium tumefaciens perché è un organismo molto studiato e ben compreso," spiega Winans, che ha isolato la proteina TraR e l'ha inviata all'Argonne National Laboratory, dove è stata analizzata mediante diffrattometria a raggi X. I microbiologi hanno preso in prestito il termine feromone dagli entomologi, perché credono che una comunicazione simile a quella fra gli insetti possa avere luogo fra i batteri. _____________________________________________________________________ La Stampa 28 giu. ’02 TERAPIA D´AVANGUARDIA AL SAN RAFFAELE DI MILANO Bimbe senza difese immunitarie MILANO Avevano una malattia rarissima e fino a ieri incurabile. Erano nate senza difese immunitarie e per «vivere» dovevano rimanere 24 ore al giorno in un ambiente asettico, sterilizzato da germi e batteri. Due anni dopo, grazie ad una terapia made in Italy finita anche sulla prestigiosa rivista medica «Science», sono perfettamente guarite. Il loro sistema immunitario è stato riscostruito e fanno una vita normale, una in Colombia, la piccola palestinese a Gerusalemme. Il più emozionato per la terapia nata nei laboratori della fondazione Tiget-San Raffaele, è il presidente dell´ospedale milanese don Luigi Verzè: «La vita di un bimbo vale tutto il mondo. Di fronte alle tragedie che seminano sangue e morte, c´è chi va contro e decide di donare la vita». La stessa soddisfazione, nelle parole di Susanna Agnelli, presidente di Telethon che ha finanziato il progetto: «Siamo stati lungimiranti nel sostenere questa ricerca e nel creare a Milano il Centro di terapia genica». Lo stesso orgoglio di Maria Grazia Roncarolo, immunologa e a capo del centro: «Le due bambine oggi sono in grado di condurre una vita normale, potranno vivere anche 80 anni, saranno monitorate ma non dovranno fare alcuna terapia». E´ bastata una sola trasfusione - «One shot, un colpo solo», dice Claudio Bordignon del San Raffaele - per guarire le due bambine. La prima, la piccola palestinese di Gerusalemme ha oggi due anni e mezzo. Quando è nata, i suoi genitori sono musulmani, per motivi religiosi non erano state possibili diagnosi prenatali, le sue difese immunitarie erano a zero. Fino a ieri l´unica speranza per i bambini colpiti dalla Scid-Ada, ne nasce uno ogni 50 mila, era il trapianto di midollo osseo: difficile trovare un donatore compatibile, pesante la terapia, non sempre certo il risultato. A Shimon Slavin dell´Hadassah University di Gerusalemme che l´aveva in cura, si deve la prima intuizione. Sapeva che al San Raffaele di Milano erano in corso degli studi su questo tipo di malattie del sistema immunitario: «E poi in Israele queste terapie sono considerate sperimentali e lo Stato non paga né rimborsa i trattamenti». Alessandro Aiuti, immunologo dell´ospedale milanese, ci lavorava da cinque anni. Con la sua equipe si è trasferito a Gerusalemme per l´intervento. Dal midollo osseo della bambina palestinese sono state prelevate cellule primitive, le cellule staminali sono state messe a contatto con un retrovirus portatore del gene sano, geneticamente corrette sono state poi reintrodotte nell´organismo della bambina, dopo un intervento di «condizionamento non-mielo ablativo», per «fare spazio» nel midollo. «One shot», una sola trasfuzione e molto lentamente le difese immunitarie hanno iniziato a rigenerarsi. Lo stesso tipo di tecnologia è stata adottata a Milano per una bambina colombiana che oggi ha quattro anni. Una bambina che dal suo Paese d´origine era finita a Miami negli Stati Uniti, dove un primo intervento chirurgico non aveva dato i risultati sperati. Spiega Bordignon: «Sono stati i medici americani a mandarla da noi, è anche questo un segno del riconoscimento del nostro lavoro». Operata con la stessa tecnologia, la bambina sta bene: «Con questa terapia si ha una tossicità di molto inferiore rispetto al trapianto di midollo osseo». Adesso al San Raffaele stanno aspettando che il ministero della Sanità concluda l´iter burocratico per il riconoscimento della terapia. Ma si guarda già avanti, alle altre malattie del sistema immunitario come l´Aids o la talassemia. Claudio Bordignon del San Raffaele invita però a non correre troppo: «Ci vuole molta prudenza in questo campo...». Ma la strada è questa, come dice la direttrice del Tiget Maria Grazia Roncarolo. Non basta applicare la stessa terapia agli altri bambini malati di Scid-Ada, anche a quelli in attesa di trapianto di midollo osseo: «Il nostro obiettivo è arrivare a colpire tutte le immunodeficienze». Fabio Poletti _____________________________________________________________________ Le Scienze 27 giu. ’02 UNA NUOVA PROPRIETÀ DELL'ASPIRINA Avrebbe un effetto antinfiammatorio e di protezione nei confronti di una sostanza presente nel tabacco Secondo una ricerca condotta a New York, l'utilizzo regolare di aspirina da parte delle donne che fumano riduce della metà il rischio di tumore del polmone. Alcuni esperti di cancro avvertono però che la ricerca ha preso in considerazione un gruppo di persone troppo piccolo e, comunque, i fumatori farebbero meglio a rinunciare al proprio vizio, piuttosto che prendere dell'aspirina. Lo studio ha riguardato 889 donne, fumatrici e non, che sono state seguite per 12 anni. Nel periodo in questione 81 donne hanno effettivamente sviluppato tumori ai polmoni, ma l'incidenza è risultata pari a circa un terzo nelle donne che hanno preso l'aspirina tre volte alla settimana almeno per sei mesi. "Crediamo - spiega Paolo Toniolo, dell'Università di New York - che l'aspirina abbia un effetto antinfiammatorio e di protezione nei confronti di una sostanza presente nel tabacco. Purtroppo, la sostanza in questione è ancora sconosciuta. Ma i risultati sono piuttosto evidenti e suggeriscono che l'aspirina dovrebbe essere prescritta come metodo di prevenzione dei tumori, specialmente negli ex- fumatori che mantengono un'infiammazione cronica dei polmoni anche decenni dopo aver smesso. Nessuno sa con sicurezza perché, ma un certo numero di tumori è accompagnato da un'infiammazione cronica. L'esposizione al fumo del tabacco produce infatti muco e tosse, che sono segni di costante irritazione della trachea e dei bronchi. L'aspirina potrebbe avere altri effetti benefici, perché accelera l'apoptosi, la morte cellulare, che viene sensibilmente rallentata nelle cellule tumorali.” _____________________________________________________________________ Repubblica 27 giu. ’02 OMEOPATIA, PRIMI SÌ DAI TEST SUI TOPI Anticipiamo i risultati delle indagini svolte dall’Istituto superiore di sanità e dall’Università di Verona DI PAOLO BELLAVITE E ANITA CONFORTI * Negli ultimi anni sono aumentati gli studi di laboratorio e sull’animale con l’obiettivo di valutare l’attività farmacologica di prodotti omeopatici e, di fronte ad alcuni risultati interessanti, sono state anche evidenziate molteplici difficoltà metodologiche. Il nostro gruppo di ricerca ha svolto varie ricerche sugli effetti di medicinali omeopatici su modelli sperimentali. Questi studi, di cui molti con risultati positivi in favore dell’efficacia dell’omeopatia, si aggiungono a quelli condotti da altri gruppi di ricercatori in vari laboratori di tutto il mondo. Non è questa la sede di una completa rassegna scientifica sull’argomento, per cui si rimanda ad esempio al sito dell’Osservatorio Medicine Complementari di Verona (http://chimclin.univr.it/omc) ed in particolare a un recente CDROM (http://chimclin.univr.it/omc/mnc.htm). Qui citiamo la ricerca condotta recentemente nell’ambito del programmaquadro "Terapie non convenzionali" dell’Istituto Superiore di Sanità e cui abbiamo partecipato come unità operativa per gli studi sperimentali sul ratto. Infatti, indiscrezioni di stampa hanno anticipato che il programma dell’ISS avrebbe dato risultati del tutto negativi. Ciò non corrisponde al vero. In quest’ultima ricerca, si è voluto testare sei rimedi omeopatici largamente utilizzati in condizioni cliniche con manifestazioni infiammatorie e valutarne l’efficacia sull’animale, secondo una metodologia sperimentale ben collaudata nella farmacologia sperimentale. Arnica montana, Atropa belladonna e Hamamelis virginiana sono rimedi omeopatici di origine vegetale, tradizionalmente indicati dall’omeopatia in un’ampia gamma di condizioni cliniche caratterizzate da focolai infiammatori e/o fenomeni emorragici (es. edemi, contusioni, ematomi, nevralgie, emorroidi). Non esistono attualmente solide evidenze sulla efficacia clinica di questi composti, anche se in piccoli studi e in condizioni selezionate è stata osservata, da altri autori, un’attività regolatrice dell’infiammazione. Apis mellifica e Lachesis mutus sono rimedi di origine animale che, alla luce della cosiddetta "legge dei simili" (per cui il medicinale omeopatico curerebbe nel malato quel quadro sintomatologico che è in grado di provocare nel sano), potrebbero svolgere un’azione antiinfiammatoria. Gli effetti di inibizione della degranulazione dei basofili ad opera di alte diluizioni di Apis sono noti da oltre 15 anni. Il sesto composto è rappresentato dal Phosphorus indicato nelle materie mediche omeopatiche in patologie con tendenza all’emorragia. L’attività dei medicinali omeopatici, somministrati in dose singola (0,1 cc) alle diluizioni D4 o D6 per via orale e per via subplantare è stata valutata nel ratto con metodi che misurano l’édema, cioè il gonfiore causato da una iniezione sottocutanea di due sostanze: la carragenina (una sostanza vegetale con potere di indurre irritazione nei tessuti, comunemente usata nello screening dei farmaci antinfiammatori), e lo stesso sangue dell’animale, modello che prevede l’iniezione di una piccola quantità di sangue e che pertanto mima una condizione traumatica con versamento di sangue. I gruppi di controllo sono stati trattati con una dose singola (0,1 cc) di soluzione fisiologica (come «placebo», in quanto le diluizioni omeopatiche erano in soluzione fisiologica) o indometacina (un ben noto antinfiammatorio, usato per vedere la risposta a un farmaco «convenzionale»). Il gonfiore della zampa è stato misurato, a vari intervalli di tempo, da un operatore tecnico "in cieco" cioè senza sapere il trattamento cui era stato sottoposto il gruppo di ratti mediante pletismometro ad acqua, uno strumento che fornisce una misurazione obiettiva del gonfiore della zampa. Ogni esperimento è stato ripetuto 3 volte su gruppi di 6 ratti per ciascun trattamento. Sull’edema da carragenina, la somministrazione per via subplantare di Arnica, Apis, Atropa, ed Hamamelis ha ridotto in maniera significativa il volume dell’edema alla prima ora, mentre alle ore successive l’efficacia non si è mantenuta costante. La somministrazione per via orale si è dimostrata efficace per tutti i farmaci alla prima ora, mentre alla 3º ora l’efficacia si è mantenuta per Hamamelis, Lachesis e Phosphorus. Alla 5º ed alla 7º ora la significatività ritorna anche per Apis. Le inibizioni corrispondevano a circa il 2050% di quelle osservate con l’indometacina ed erano statisticamente significative (test ANOVA). Usando come modello l’edema da sangue, l’efficacia dei farmaci somministrati per via subplantare nell’edema da sangue non si è ripetuta per tutti i tempi considerati, e solamente Arnica ed Apis hanno mostrato una certa efficacia per tutti i tempi considerati (esclusa la 2º ora). La via di somministrazione orale nell’edema da sangue non ha dato risultati significativi, eccetto che per Arnica alla prima ora. In conclusione, i risultati sono tutt’altro che negativi, soprattutto se si considera il trattamento orale dell’edema da carragenina. Complessivamente Apis, Lachesis e Phosporus sono risultati i medicinali omeopatici più attivi su questo modello sperimentale. I risultati sono già stati presentati ad un simposio internazionale in aprile a Boston ed è in corso la stesura del lavoro per una rivista scientifica internazionale. Vi sarebbe in programma la ripetizione delle prove, ma per ora questo filone di ricerca è fermo per mancanza di finanziamenti e di collaboratori. * Università di Verona _____________________________________________________________________ Le Scienze 26 giu. ’02 APPELLO PER UNA NORMATIVA EQUILIBRATA IN TEMA DI ONDE ELETTROMAGNETICHE Un appello al Presidente della Repubblica Continua la battaglia del Movimento Galileo 2001 per una normativa equilibrata in tema di onde elettromagnetiche Metto volentieri in rete questo messaggio di Galileo 2001 al Presidente della Repubblica, sia perché ne condivido la tematica, sia perché ritengo utile che da questi argomenti si sviluppi, nella società civile, una discussione basata su fatti controllabili e non solo desiderosa di fabbricare facili consensi su paure irrazionali. Enrico Bellone Ill.mo Sig. Presidente della Repubblica Giugno 7, 2002 Ill.mo Sig. Presidente del Consiglio Ill.mi Sig.i Ministri della Salute, dell’Ambiente, e delle Comunicazioni Nel marzo 2001, oltre 200 scienziati, per lo più oncologi, pediatri, fisici, radioprotezionisti, inviarono un appello affinché per la protezione dai campi elettromagnetici (Cem) si predisponessero anche in Italia, come già negli altri 14 Paesi dell’Unione Europea, norme in armonia con le raccomandazioni della Commissione Europea, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), della Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non-Ionizzanti (Icnirp), e di altre istituzioni ufficialmente riconosciute al di fuori di ogni diretto interessamento. Le ragioni di quell’appello sono oggi ancora più forti, visto che: 1. nel giugno 2001 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro ha classificato i Cem a frequenza industriale, rispetto al loro eventuale potere cancerogeno, nella stessa classe ove vi sono caffè e verdure sottaceto; 2. la Commissione Internazionale istituita di concerto dai Ministri della Salute, dell’Ambiente, e delle Comunicazioni, ha concluso i propri lavori dichiarando che "le leggi italiane sono intrinsecamente incoerenti, scientificamente deboli e di difficile attuazione e non forniscono alcuna aggiuntiva tutela alla salute dei cittadini". Apprendiamo che, in ambito ministeriale, si stanno predisponendo linee guida per la protezione dai Cem ancora molto restrittive rispetto alle raccomandazioni internazionali. Comprendiamo il senso politico di certe proposte intese ad affrontare un problema che ha indebitamente assunto carattere sociale. Tuttavia, sentiamo il dovere di segnalare i rischi reali che deriverebbero dall’applicazione di limiti immotivatamente restrittivi. Ci preoccupano, in particolare, le difficoltà d’uso della telefonia mobile in conseguenza di limiti che vorrebbero proteggere da rischi sanitari inesistenti: in casi di emergenza, quelle difficoltà potrebbero rivelarsi fatali. E ci preoccupano anche i notevoli impegni finanziari per i piani di risanamento degli elettrodotti allo scopo di preservare dalla leucemia un ipotetico bambino ogni due anni: sarebbero, queste, risorse sottratte alla lotta accreditata contro il cancro e, in particolare, contro la leucemia infantile, contratta ogni anno in Italia da circa 400 bambini per cause certamente diverse dall’esposizione ai Cem. Sappiamo che la scienza non dà risposte né certe né infallibili ma, sulle questioni indagabili con il metodo scientifico, ogni altra risposta è più incerta e più fallibile. Reiteriamo pertanto la richiesta già avanzata un anno fa: che anche il nostro Paese, anziché dare ascolto a interessati propagatori di allarmi ingiustificati, adegui le proprie linee guida a quelle raccomandate dall’Oms e dall’Icnirp, semmai intensificando i propri sforzi e aumentando le risorse nella ricerca e nella cura di emergenze sanitarie ed ambientali accertate. È chiedere troppo? Umberto Tirelli Direttore Divisione di Oncologia Medica Istituto Nazionale Tumori di Aviano Portavoce del Movimento Galileo 2001 Sergio Santomo Presidente AMBALT - Associazione Marchigiana per l’Assistenza e la Cura dei Bambini Affetti da Leucemia e Tumori =========================================================== ===========================================================