CAGLIARI: METÀ DEGLI ISCRITTI HA LASCIATO GLI STUDI SOLO UNO STUDENTE SU QUATTRO CE LA FA INGEGNERIA, NUOVO CORSO DI ARCIHTETTURA LE UNIVERSITÀ SI MOSTRANO NEL WEB STRADE NUOVE PER LA CURA DELLE MALATTIE ROMA-MADRID: PATTO TECNOLOGICO CORSI-CONCORSI, DIPENDENTI AL PALO =========================================================== MEDICI, LA RIFORMA DIVIDE I SINDACATI SIRCHIA: «COSÌ PROTEGGEREMO GLI ANZIANI» CORO DI ”NO” AL RITORNO DELLE MUTUE MAURA COSSUTTA: «IL GOVERNO STA DEVASTANDO LA SANITÀ» DETTORI: SMANTELLATO IL SISTEMA SANITARIO DALLA CORSIA AL SATELLITE "CANCRO, UNA LUNGA STRADA PER BATTERLO" GENETICA E TUMORE DEL POLMONE PERICOLOSI BATTERI DELL'ULCERA VIRUS DEL POLIO: LA SEQUENZA MOLECOLARE ERA SUL WEB IL SEGNALE DELLA NECROSI CELLULARE ARRIVA IL SUCCO D’AGLIO CHE METTE KO ANCHE PULCI E ZANZARE «I VIDEOGAME DISTRUGGONO IL CERVELLO, ANZI NO” «INGENUO CREDERE AL VACCINO PER L’AIDS» =========================================================== _____________________________________________ L’Unione Sarda 10 lug. ’02 CAGLIARI: METÀ DEGLI ISCRITTI HA LASCIATO GLI STUDI Dati del Dipartimento economico Negli ultimi dieci anni metà degli iscritti ha lasciato gli studi Cagliari. La strada verso la laurea è sempre più lunga, sempre più in salita. E i corsi universitari si trasformano spesso per gli studenti in una corsa ad ostacoli, nella quale sono in tanti ad abbandonare prima del traguardo. Ora sul profilo e sul curriculum dello studente-tipo che frequenta l’ateneo cagliaritano c’è una indagine che è stata realizzata dal Dipartimento di Ricerche economiche e sociali della facoltà di Scienze Politiche. Un occhio vigile e discreto ha seguito per dieci anni il percorso universitario di seimila studenti immatricolati nell’anno accademico 1991-1992. Dal check up emerge un quadro allarmante: uno studente su due ha lasciato la sua facoltà, e gli abbandoni crescono in particolare tra il decimo e il ventesimo anno di corso. E non è confortante neppure lo scenario per chi decide di proseguire il percorso formativo: il venti per cento degli studenti al centro dell’indagine infatti risulta ancora iscritto all’università, mentre il cinque per cento ha addirittura scelto di trasferirsi in un ateneo di un’altra città. Il calcolo è presto fatto: appena uno studente su quattro centra il bersaglio della laurea, e lo fa quasi sempre con enorme fatica. La durata legale dei corsi si rivela spesso un optional: in Giurisprudenza il ritardo medio di un laureato è di quattro anni. Va meglio in Medicina e in Chirurgia, dove per conquistare il titolo di dottore bastano in media due anni in più dei sei previsti. Giurisprudenza si rivela in assoluto la facoltà più ostica, perché appena il 18 per cento degli iscritti raggiunge il traguardo. Va meglio invece nei corsi a numero chiuso dove si registrano punte di laureati che oscillano tra il 52 e il 99 per cento. In generale però i tempi di attesa per la laurea sono estenuanti. "Queste problematiche subiranno un ridimensionamento grazie alla riforma Ñ dice Giuseppe Puggioni, direttore del Dres Ñ ma resteranno dei validi indicatori per le future strategie universitarie. Servono da subito test obbligatori d’ingresso alle facoltà, per valutare le lacune formative di chi accede ai corsi". _____________________________________________ La Nuova Sardegna 10 lug. ’02 SOLO UNO STUDENTE SU QUATTRO CE LA FA Allarmanti i dati sui tassi di abbandono nell'ultimo decennio CAGLIARI. Uno su quattro arriva alla laurea, spesso fuori corso, e il 50% abbandona nei primi due anni. Questo l'allarmante quadro degli studenti universitari cagliaritani. Il dato emerge da un'indagine condotta dal Dipartimento di Ricerche Economiche e Sociali (Dres) dell'Ateneo di Cagliari su una coorte di immatricolati nell'anno accademico 1991/1992. Dalla ricerca emergono alti tassi di abbandono, poche lauree e tempi lunghissimi di permanenza all'Università. Su circa 6.000 studenti, osservati per un periodo di dieci anni, il 50% ha scelto, infatti, di non proseguire la carriera abbandonando gli studi soprattutto tra il 1 ed il 2 anno di corso. Appare critica, tra l'altro, anche la situazione di coloro che, invece, decidono di continuare il percorso formativo: a distanza di dieci anni dall'ingresso all'Università il 20% risulta ancora iscritto mentre il 5% ha preferito trasferirsi in un altro Ateneo. Alla fine dei conti, solo il 25% intravede il traguardo laurea seppur con grande fatica e con un ritardo medio che, rispetto alla durata legale degli studi, oscilla tra i 2 anni nella Facoltà di Medicina e Chirurgia ed i 4 anni necessari, invece, per conquistare il titolo di dottore in Giurisprudenza. Le uniche note confortanti arrivano dalle facoltà a numero chiuso, el'accesso a numero programmato si rivela un utile strumento per valutare l'efficacia della didattica. Tra i medici e tra quanti hanno frequentato i diplomi universitari a numero chiuso si registrano, infatti, le più alte percentuali di laureati (rispettivamente 52% e 99%) a fronte del dato minimo (18%) riferito alla Facoltà di Giurisprudenza. Le problematiche evidenziate dall'indagine - ha sottolineato il prof. Giuseppe Puggioni, direttore del Dres - subiranno un sicuro ridimensionamento con l'avvio a regime della riforma sebbene queste risultanze possano, comunque, esser lette come validi indicatori per le future politiche e strategie universitarie quali una maggior attenzione alla continuità dei percorsi formativi scuola-università, all'incisività delle azioni di orientamento ed all'obbligatorietà dei test d'ingresso non selettivi ma necessari per valutare eventuali debiti e lacune formative. Il successo negli studi appare poi garantito da alcune condizioni ovvero il sesso femminile, la provenienza liceale rispetto agli istituti tecnici e professionali, l'elevato voto alla maturità, il curriculum scolastico regolare ed il superamento di almeno un esame durante il primo anno di corso. A parità di requisiti, infatti, il 71% delle studentesse iscritte nell'Ateneo cagliaritano termina positivamente il percorso universitario distaccandosi di quasi 10 lunghezze (61,5%) dai loro colleghi maschi. _____________________________________________ L’Unione Sarda 13 lug. ’02 INGEGNERIA, NUOVO CORSO DI ARCIHTETTURA Alghero ha la facoltà di Architettura e Cagliari risponde con un corso universitario di Ingegneria edile con specializzazione in architettura. Non si tratta di una vera e propria facoltà, ma di una laurea a numero programmato approvata dal ministero dell’Istruzione. Il corso darà la possibilità agli studenti sardi di conseguire un titolo professionale riconosciuto in tutta l’Unione europea. La presentazione è stata fatta ieri mattina (foto di Elisabetta Messina) nell’aula magna di Architettura dell’Università , in via Corte d’Appello, dal direttore del dipartimento, Enrico Corti e dal preside di Ingegneria, Francesco Ginesu. Ai lavori, coordinati da Carlo Aymerich, rappresentante dell’area di Ingegneria civile edile e ambientale, hanno preso parte anche il rettore Pasquale Mistretta e il presidente della Giunta regionale Mauro Pili. Sono inoltre intervenuti docenti locali e di altre facoltà italiane che hanno presentato delle relazioni sugli obiettivi e sulla struttura del progetto. «Il nuovo corso, strutturato in conformità alla direttiva Cee 384 dell’’85» spiega Ginesu «è il frutto dell’intenso lavoro di sperimentazione, svolto da un gruppo di docenti e ha il vantaggio, per le risorse presenti, di innestarsi sul robusto corpo della facoltà di ingegneria». Bianca Maria Saccheri CAGLIARI. Sono aperte le iscrizioni alle prove di orientamento e di accesso alla facoltà di Ingegneria per il prossimo anno accademico. Dovranno sostenere la prova di orientamentogli studenti che intendono iscriversi ai corsi di laurea a numero aperto di Ingegneria per l'ambiente e il territorio, Ingegneria civile, edile, elettrica, elettronica e meccanica. La prova si terrà il 3 settembre alle 10 nella facoltà di Ingegneria in piazza d'Armi. Per l'iscrizione ai corsi di laurea a numero programmato in Ingegneria edile-architettura (150 posti) e Tecnologie per la conservazione e restauro dei beni culturali (60 posti) la prova d'accesso si terrà il 4 settembre alle 10 nella facoltà di Ingegneria. _____________________________________________ Il MAttino 13 lug. ’02 LE UNIVERSITÀ SI MOSTRANO NEL WEB Moltissimi i servizi offerti, sono già nate le guide che aiutano a orientarsi tra tanti indirizzi e pagine Ogni ateneo ha un proprio sito per attirare gli studenti di Andrea Carli Tour virtuale negli atenei italiani, che hanno finalmente scelto il Web come strumento di comunicazione con gli studenti. Un processo favorito dall'autonomia che mette i singoli atenei nelle condizioni di promuovere corsi di laurea e attrezzarsi come meglio ritengono per attirare iscritti. Navigare in Rete può essere però abbastanza lungo, perché ormai non esiste ateneo senza sito Web. In aiuto arrivano le guide; una delle più aggiornate è consultabile all'indirizzo http: //www.quipo.it/orientanet/home.htm, molto utile è anche la banca-dati dei 77 atenei italiani consultabile sul sito del ministero dell'Istruzione (www.miur.it) con una panoramica di tutti i corsi di laurea a disposizione nel nostro Paese. Interessante www.univerisity.it, sito start up nato nel 1996 dall'iniziativa di due studenti che vuole offrire informazioni e servizi alla comunità degli universitari. Un contributo alla navigazione può arrivare anche dall'offline, dal rapporto del Censis sulle dieci migliori università italiane in termini di servizi offerti agli studenti, la qualità della vita delle città e il rapporto studenti, docenti e residenti: si tratta del Politecnico di Torino (www.polito.it), degli atenei di Siena (www.unisi.it) Ancona (www.unian.it), Trento (www.unitn.it) Ferrara (www.unife.it), Bologna (www.unibo.it), Politecnico di Milano (www.polimi.it) Cosenza (www.unical.it) Padova (www.unipd.it) e Pavia (www.unipv.it). Accanto alle visite ai migliori atenei italiani il Web è utilissimo per le preiscrizioni (solo orientative, e quindi non vincolanti ai fini dell'immatricolazione vera e propria): la maggior parte delle università italiane rimanda direttamente al sito del ministero www.universo.miur.it.. Con alcune eccezioni di rilievo, come quella della Bocconi di Milano, che prevede la possibilità di presentare anche via Web la domanda di partecipazione alle prove di ammissione: per il test attitudinale del 5-6 settembre 2002, le iscrizioni sono aperte da metà luglio a fine agosto prossimo anche in Rete all'indirizzo www.uni-bocconi.it. A numero chiuso anche la Facoltà di Economia dell'Università Tor Vergata di Roma, dove per accedere è obbligatorio sostenere una selezione di orientamento previa iscrizione all'indirizzo www.economia.uniroma2.it.. L'immatricolazione on line è possibile anche all'università di Padova, www.unipd.it: dove dopo la compilazione di una scheda anagrafica, si può procedere all'inserimento della domanda. Il Web serve anche per effettuare i test di autovalutazione che sono messi a disposizione da diverse università italiane, dalla Cattolica di Milano, Roma e Brescia (www.unicatt.it), alle statali di Bologna, Milano e Genova (www.unibo.it, www.unimi.it e www.unige.it), la Federico II di Napoli (www.unina.it) e il Politecnico di Milano (www.polimi.it). Lol, www.lol.it, è invece un indirizzo per delegare le pratiche ed essere sostenuti (a pagamento) nello svolgimento dei corsi. _____________________________________________ La Stampa 10 lug. ’02 STRADE NUOVE PER LA CURA DELLE MALATTIE DOVE va la medicina terapeutica? Esistono tre tipi di approccio alla cura delle malattie. Il primo e il più antico è quello che fa uso di farmaci, cioè di sostanze chimiche che interferiscono con funzioni biologiche e lo fanno in maniera sempre più guidata dalle informazioni che si ricavano dalle ricerca biomedica di base. Tutti noi ne facciamo uso e, davanti al bancone del farmacista, siamo nelle stesse condizioni psicologiche dell'uomo che si rivolge allo stregone per ottenere un infuso di erbe magiche. Ora tuttavia la ricerca biomedica sta esplorando due nuovi approcci che permettono di pensare, solo pensare per ora, di curare malattie fino a ora incurabili: la terapia genica e le terapie cellulari. La terapia genica, risolutiva per un gran numero di malattie, si basa sulla conoscenza dell'intero patrimonio genetico umano che teoricamente possediamo dopo la decifrazione del genoma ma che richiede ancora molto tempo per diventare una vera prospettiva terapeutica. Le terapie cellulari, basate sulle cellule staminali, sono forse più vicine dal punto di vista applicativo ma richiedono anch'esse molto e approfondito lavoro. Su «Nature» di recente sono usciti fianco a fianco i risultati di due ricerche che avvicinano un po' alcune prospettive di terapia farmacologica e terapia cellulare applicate a malattie del sistema nervoso. La prima descrive le proprietà di una molecola, la minociclina, che in un modello di malattia nel topo rallenta la progressione della sclerosi laterale amiotrofica, grave malattia che devasta il sistema nervoso e conduce a paralisi e morte. Il farmaco ha un effetto potente sulle cellule nervose e agisce su un meccanismo di controllo della morte cellulare rallentandolo fortemente. E' un tipico farmaco «tradizionale», che agisce su un meccanismo biologico fondamentale che la ricerca biomedica ha studiato e che è alla base della sclerosi amiotrofica. Non si chieda quando la minociclina verrà applicata all'uomo perché la prudenza insegna che può essere necessaria una lunga attesa. L'altra ricerca viene dal laboratorio di Fred Gage negli Stati Uniti e indica che le cellule della glia possono aprire una nuova strada nella terapia cellulare. Gage e il suo gruppo dimostrano che l'astroglia, finora la cenerentola del sistema nervoso relegata nel suo ruolo ancellare di supporto, in realtà è in grado di condizionare e controllare la nascita di nuove cellule nervose in modo diverso e definito in molte regioni del cervello. Si sa che questo fenomeno che porta al differenziamento di nuove cellule esiste anche nel sistema nervoso dell'adulto e alla definizione di questo fenomeno molto ha contribuito Angelo Vescovi qui al San Raffaele. Io, che sono cresciuto nel dogma dei neuroni come cellule perenni e immutabili, trovo affascinante che ora si trovi nel cervello un meccanismo che ne controlla la plasticità e la capacità di rigenerazione molto aldilà di quanto non si credesse prima. Ciò induce a pensare che tra qualche anno si riuscirà a correggere in modo selettivo la perdita di cellule nervose in zone ben delimitate del cervello, fenomeno che ora provoca due flagelli tristemente comuni come il morbo di Alzheimer e la malattia di Parkinson. Conclusioni? Se questo paese aspira a rimanere tra le potenze industriali del mondo, un appello a considerare la ricerca come forza propulsiva. In medicina e in ogni altro campo. [TSCOPY](*)Università Vita- Salute, San Raffaele, Milano[/TSCOPY] _____________________________________________ La Stampa 12 lug. ’02 ROMA-MADRID: PATTO TECNOLOGICO LA FIRMA IERI A ROMA TRA CIAMPI E RE JUAN CARLOS ROMA Creare uno strumento per «migliorare la competitività del nostro Paese», come garantisce Carlo Azeglio Ciampi, e per aumentare gli investimenti in ricerca e sviluppo, come assicura Silvio Berlusconi. Ma soprattutto, dar vita a un «asse mediterraneo» fra Italia e Spagna per favorire e sviluppare l´innovazione tecnologica: sono questi gli obiettivi dell´accordo di collaborazione fra le Fondazioni «Cotec» (Conoscenza tecnologica) dei due Paesi firmato ieri sera a Villa Madama alla presenza del presidente della Repubblica, del presidente del Consiglio e di Re Juan Carlos, presidente della «Cotec» spagnola nata dieci anni fa. Un´intesa che ha il senso della sfida: l´Italia, ha ricordato Berlusconi, è soltanto al trentesimo posto nel mondo quanto a competitività. Sia le imprese sia il governo devono dunque fare di più per colmare il divario con partner e concorrenti: il governo, promette il presidente del Consiglio, si impegna a adottare «provvedimenti opportuni» affinché le imprese investano di più nella ricerca e nello sviluppo (oggi il loro ammontare è pari soltanto allo 0,4 per cento del pil). Quanto agli investimenti pubblici, l´obiettivo del governo è portarne la quota dallo 0,6 all´1 per cento entro il 2006. «Tutto ciò non è facile ma è possibile», ha osservato il presidente del Consiglio, e potrà essere facilitato dall´intesa firmata ieri a Villa Madama: «Insieme potremo fare meglio per trasformare la ricerca attuale in una ricerca più forte, aggressiva, avanzata e connessa con il mondo della produzione». L´accordo prevede la creazione di gruppi di lavoro congiunti, incontri fra gli imprenditori e un rapporto annuale sulle conseguenze delle politiche comunitarie nel campo dell´innovazione tecnologica nei due Paesi. L'intesa è aperta ad altri Paesi dell´Europa meridionale (il Portogallo sta per aderirvi») e intende migliorare la collaborazione in settori nei quali l´economia italiana e spagnola sono spesso in ritardo rispetto ai concorrenti del Nord Europa. Uno sforzo comune: Re Juan Carlos ha invitato ad unire intelligenze ed energie «per creare un´occupazione stabile e di qualità». Ciampi ha sottolineato che «nello spirito dei nostri popoli c´è il desiderio di approfondire la conoscenza e scoprire l'ignoto»: «Questo impulso naturale deve essere indirizzato alla ricerca e alla diffusione delle nuove conoscenze», per aumentare la produttività dei sistemi economici. La «Cotec» italiana, presieduta da Gian Maria Gros-Pietro e con i maggiori gruppi industriali e finanziari (dall´Eni alla Fiat, da Finmeccanica a Banca di Roma) fra i soci fondatori, è stata costituita il 24 aprile dell´anno scorso ma soltanto la firma di ieri l´ha resa operativa. I suoi obiettivi ricalcano quelli della consorella spagnola: stimolare un´economia fondata sulla conoscenza, competitiva e dinamica, alimentata da una continua innovazione tecnologica. Berlusconi, presidente onorario della «Cotec» italiana, ha lamentato la «scarsa propensione all´investimento nella ricerca scientifica e tecnologica» in Italia: il Cotec, ha auspicato, diventerà «il luogo per sviluppare il dialogo sulla ricerca fra governo, mondo universitario e imprese». Spesso, ha notato Gros- Pietro, le imprese italiane sono state penalizzate dal mancato investimento nella ricerca e dal semplice «adeguamento di tecnologie sviluppate dai fornitori». Un limite, quest´ultimo, legato soprattutto alla struttura del sistema industriale italiano nel quale dominano le piccole e medie imprese: potremo superarlo, secondo Gros-Pietro, se le imprese metteranno in comune le conoscenze e uniranno sforzi e investimenti. e.n. _____________________________________________ Il Sole24Ore 11 lug. ’02 CORSI-CONCORSI, DIPENDENTI AL PALO Pubblica amministrazione - L'Avvocatura dello Stato conferma: necessario rivedere i passaggi di qualifica Ma l'Economia potrà evitare di chiedere la restituzione delle maggiori retribuzioni - «Promossa» la Giustizia Giovanni Negri ROMA - Il bastone e la carota. L'Avvocatura dello Stato ha reso all'amministrazione finanziaria un parere che fa il punto della situazione venutasi a creare dopo la sentenza della Corte costituzionale (la n. 194 del 2002) che bocciato la procedura dei corsi di riqualificazione per il personale del Fisco. Il parere, che era stato sollecitato dallo stesso ministero dell'Economia alle prese con una difficile trattativa con i sindacati, si muove su due piani: da una parte le conseguenze della pronuncia di illegittimità costituzionale e, dall'altro, il profilo delle possibili azioni che l'amministrazione potrebbe mettere in atto per non compromettere l'efficienza di una buona parte della macchina tributaria. Sul primo fronte, il parere distingue l'aspetto economico da quello normativo. Con una premessa: quando le circa 15mila persone coinvolte vennero ufficialmente immesse nelle nuove funzioni, nell'autunno scorso, il contratto da loro sottoscritto contemplava anche una clausola risolutiva, dal momento che una sentenza avversa da parte della Consulta non era già allora così imprevedibili; la Corte si era infatti già in passato espressa nel senso di considerare illegittimi i corsi-concorsi con una selezione considerata fittizia e comunque riservata in parte eccessiva ai dipendenti interni delle varie amministrazioni. La clausola prevedeva il reintegro nelle funzioni originarie e la restituzione di quanto percepito nel frattempo. Ora, l'Avvocatura dello Stato, su quest'ultimo punto, facendo appello all'articolo 2126 del Codice civile e alla privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, osserva che la sentenza non pone comunque nel nulla quanto si sia prodotto fino alla pronuncia stessa e, quindi, non andrebbero restituite le maggiori retribuzioni corrisposte ai dipendenti fino al momento della cessazione delle mansioni superiori svolte. Questa soluzione non può comunque essere considerata svincolata dalla necessità di assicurare un adeguato livello di efficienza alla pubblica amministrazione ed è quindi da considerarsi "a tempo". Discorso diverso, invece, per quanto riguarda le posizioni giuridiche che, a giudizio dell'Avvocatura, sono state «travolte» dalla sentenza. La conseguenza immediata è che i dipendenti dovranno essere ricollocati nelle qualifiche originarie, meno elevate, dal momento che l'avvenuto collocamento a mansioni superiori deve e essere considerato avvenuto di fatto, ma non in diritto e, quindi, senza alcuna rilevanza giuridica. Lineare fino a questo punto, il parere diventa più intricato nell'individuare una via d'uscita praticabile. I consigli all'amministrazione finanziaria sono quelli di evitare una pura e semplice convalida delle operazioni annullata (decisione che si esporrebbe a sua volta a una successiva censura da parte della stessa Corte o anche solo del Tar). Meglio sarebbe pensare a una soluzione concordata con le parti sociali, come potrebbe essere una diversa articolazione organizzativa, diversa da quella attuale che tenesse insieme le osservazioni ribadite dalla Corte con l'efficienza dell'amministrazione e la salvaguardia delle posizioni acquisite. In questo senso l'iter suggerito è quello di ricollocare tutti per aree e posizioni economiche e non per qualifiche e, a quel punto, avviare procedure di riqualificazione, riservate solo in una quota minoritaria ai dipendenti interni e che permettano un avanzamento economico all'interno della stessa area di inquadramento. L'Avvocatura dello Stato è poi intervenuta, investita dal ministero della Giustizia, in una situazione analoga che coinvolge corsi di riqualificazione avviati dall'amministrazione penitenziaria per circa quattromila persone. In questo caso il parere è stato positivo, anche tenendo conto delle osservazioni della Consulta che, sia pure riservate a un caso diverso, non possono comunque essere ignorate. A motivare il semaforo verde c'è la presenza di una notevole percentuale di posti riservati al concorso esterno, il rispetto dell'interesse pubblico nella scelta dei migliori anche tra gli interni, visto che non si fatto un uso «abnorme» dell'anzianità e la tutela della professionalità interna con la necessità di un titolo di studio analogo tra interni ed esterni. Infine, alla stessa Avvocatura è stata ancora sottoposta la necessità di un parere su una prassi simile a quelle descritte anche dal Cnel. =========================================================== _____________________________________________ Il Sole24Ore 09 lug. ’02 MEDICI, LA RIFORMA DIVIDE I SINDACATI Scontro su carriera ospedaliera e intramoenia ROMA - Medici contro medici. La riforma della professione, varata venerdì dal Consiglio dei ministri e trasmessa al parere della Stato-Regioni, divide i sindacati dei camici bianchi. Su due punti, in particolare: la possibilità concessa a tutti di fare carriera all'interno dell'ospedale, assumendo la direzione di strutture semplici e complesse. E la subordinazione della libera professione intramuraria al problema delle liste d'attesa: l'intramoenia potrà infatti essere esercitata solo dopo aver assicurato prestazioni e ore-lavoro sufficienti a coprire quelle previste per tagliare le "code". "Comincia lo smantellamento della riforma Bindi e delle sue norme illiberali", esulta Stefano Biasioli, presidente della Cimo-Asmd, che con l'Anpo e Cisl medici è riunita in "Intesa medica". "Seguiremo il percorso del Ddl - promette Biasioli - con lo stesso amore e la stessa cura che si ha verso un bimbo nato dopo tanta attesa e trepidazione". Soddisfatto Raffaele Perrone Donnorso, segretario dei primari dell'Anpo: "Molti medici a tempo pieno opteranno per un rapporto non esclusivo, perché non perderanno più la possibilità di diventare primari". È proprio quest'opportunità che fa invece sussultare le altre sigle. Serafino Zucchelli, segretario dell'Anaao-Assomed, parla di un "vero cambiamento di rotta". "Mentre tutta la normativa precedente - spiega - incentivava il medico a restare all'interno dell'ospedale, ora si sollecita il lavoro extramoenia, cioè il costituirsi di interessi professionali ed economici al di fuori dell'azienda". Per Zucchelli, "il problema delle attese ricade solo sui medici a tempo pieno con esclusività di rapporto, eliminando la possibilità di fare intramoenia". La norma lascia perplesso anche Salvo Calì, di Federazione medici-Uil: "Paradossalmente l'esclusività è vista come una scelta da punire". Duro il giudizio di Roberto Polillo, segretario della Cgil medici: "Vengono brutalmente cancellati i princìpi di aziendalizzazione delle strutture pubbliche: i primari potranno lavorare anche per la concorrenza, con un'intollerabile commistione di ruoli". Polillo critica la "pesante invasione del testo nelle materie contrattuali". E snocciola le cifre di quello che, a suo avviso, sarà il danno economico del Ddl: "Un aggravio di 258,23 milioni € per lo Stato: circa 87 milioni per il passaggio di almeno 10mila medici al rapporto esclusivo; oltre 155 milioni per le mancate penalizzazioni nei confronti degli ex extramoenisti". Il "fronte del no" - l'"Intersindacale medica", di cui fanno parte Anaao, Cgil medici, Umsped, Femsped, Civemp e Snabi - si incontrerà il prossimo 17 luglio per decidere la strategia di contrasto. E non è escluso che una controproposta venga formulata già venerdì prossimo, in occasione del Consiglio nazionale dell'Anaao. Manuela Perrone _____________________________________________ Il Messaggero 11 lug. ’02 SIRCHIA: «COSÌ PROTEGGEREMO GLI ANZIANI» «Faremo come in Germania, contributi da versare calcolati sulla base del reddito dei lavoratori» di CARLA MASSI ROMA - Dopo venticinque anni tornano le mutue, riviste e corrette. Per il governo, infatti, nel passato, "hanno prodotto effetti straordinari di efficienza e sicurezza". La Sanità, a conti fatti, ha bisogno di un’ulteriore stretta. Due le strade indicate dal documento: la riduzione del consumo pro- capite e l’entrata di nuove risorse "per evitare un peggioramento progressivo del livello di benessere sanitario raggiunto". Che significa una sorta di assicurazione obbligatoria e un’ennesima sterzata al mercato dei farmaci. Sarà rivisto il prontuario delle medicine "passate" dal servizio sanitario: verranno rimborsate solo quelle che, a parità di principio attivo, avranno il prezzo più contenuto. Nel progetto, anche confezioni di farmaci con meno pasticche per ridurre gli sprechi e il poteziamento reparto carabinieri dei Nas. Ministro, questo ritorno al passato fa pensare a qualcosa che viene tolto al servizio sanitario e non qualcosa che viene aggiunto «Le mutue, come già previsto dal piano sanitario, proteggeranno dal rischio della non-autosufficienza. Il futuro è degli anziani. Oggi nel Nord Italia quasi il 10% della popolazione ha più di 75 anni, poco meno nel Sud, e sappiamo che la disabilità in questa fascia di popolazione raggiunge il 30%. La maggior parte ha e avrà bisogno di cure domiciliari, assistenza continua. E con loro, i malati cronici e i disabili di tutte le età. Il governo assicura che "verrà salvaguardato il rispetto dei fondamentali principi universalistici e solidaristici del servizio pubblico". Eppure, la gestione di queste mutue sarà in forma privata .«L’introduzione di queste mutue sarà fatta in via sperimentale dal prossimo anno. Si avrà il tempo di giudicare. Il modello è già ben collaudato in Germania. Qui tutti i lavoratori, ma anche gli apprendisti, gli studenti e i pensionati, devono versare una quota per un fondo "a sostegno dell’autosufficienza delle persone anziane e disabili"». Lei prende a modello la Germania, lì quanto si versa per questo fondo? «I contributi sono calcolati sulla base del reddito imponibile lordo del lavoratore: l’1,7% è versato in modo paritetico dai datori e dagli stessi lavoratori» Questa sorta di assicurazione obbligatori a la useremo per le visite e i ricoveri? «Saranno destinate ai servizi socio-assistenziali. Quelli, appunto per anziani, malati cronici e disabili. A fronte di un fabbisogno stimato in circa 30mila miliardi di lire ogni anno oggi l’Italia spende per l’assistenza sociale circa 13.000 miliardi. Questa forma di finanziamento permetterà di superare il divario». Le priorità? «La terapia domiciliare rispetto al ricovero,la cura familiare rispetto a quelle esterne, la prevenzione e la riabilitazione più che l’assistenza, gli erogatori privati di servizi rispetto ai servizi pubblici». Che ne sarà degli aiuti finanziari di oggi come l’indennità di accompagno? «Oggi gran parte dell’assistenza a chi non è autosufficiente si traduce nella distribuzione di sostegni monetari, spesso non controllati. Un sistema che, tutto sommato, si affida alla cura delle famiglie. Con questo piano puntiamo ad aumentare le risorse finanziarie in tutto il paese sperimentando nuove modalità di organizzazione dei servizi. Anche ricorrendo a collaborazioni con il privato». _____________________________________________ Il Messaggero 12 lug. ’02 CORO DI ”NO” AL RITORNO DELLE MUTUE L’ex ministro Bindi: così si escludono dal servizio pubblico proprio i cittadini più bisognosi, come gli anziani Rutelli: «Faremo una dura battaglia». Contrari anche medici e pazienti di CARLA MASSI ROMA - Il ritorno delle mutue, previsto dal documento di programmazione economica e finanziaria presentato dal governo, non va giù all’opposizione. E neppure agli addetti ai lavori, come i medici e i "portavoce" dei malati. «Faremo una dura battaglia - annuncia il leader della Margherita Francesco Rutelli - voteremo contro la legge che recepirà il Patto per l’Italia. Su questo, non ci devono essere dubbi. E’ chiaro che si sta smantellando il servizio sanitario pubblico nazionale. Il Documento Tre documenti sul Dpef sono stati approvati ieri sera al termine di una lunga riunione della Direzione federale della Margherita. Tre testi su lavoro e sanità elaborati rispettivamente da Enrico Letta, Tiziano Treu e Rosy Bindi. Per i prossimi giorni è programmato il "contrattacco", un’iniziativa unitaria dell’Ulivo: una proposta di legge per far fronte al problema della non autosufficienza degli anziani, con la costituzione di un fondo pubblico a carico della fiscalità generale per assicurare servizi sociali alle famiglie. L’ex Ministro Rosy Bindi, ex ministro della Sanità, responsabile delle politiche sociali della Margherita lancia l’allarme e dice che «il documento di programmazione economica va letto nell’insieme per capire in che direzione sta andando il governo». Due, secondo la Bindi, i punti critici da attaccare del testo di programmazione: i finanziamenti e la penalizzazione che, dalle novità, riceveranno le classi meno abbienti. «E’ chiaro, l’hanno detto esplicitamente - sottolinea l’ex ministro - le risorse destinate alla sanità saranno sempre di meno. E, per poter far fronte senza mezzi adeguati questo governo dovrà, obbligatoriamente, far ricorso alle mutue sostitutive. Si affiderà a queste la gestione dei servizi socio-sanitari». Quelli destinati agli anziani non autosufficienti, ai malati cronici e ai disabili. «Questo significa - continua Rosy Bindi - che la fetta più bisognosa della popolazione verrà fatta uscire dal servizio sanitario nazionale. Non si può pretendere di far stare gli anziani al di fuori del sistema sostenuti, però, dai contributi delle famiglie giovani». Infine, una previsione: «Vuol dire che i nonni di domani saranno assistiti non secondo i bisogni ma secondo quello che hanno versato». I Sindacati Applaudono la battaglia dell’opposizione Cgil, Cisl e Uil. Gli anziani, secondo il ministro della Salute Sirchia "protetti" dalle novità sanitarie, sono, in realtà, in rivolta. «Si vuole introdurre il sistema delle assicurazioni - sostiene Spi-Cgil - per l’erogazione delle prestazioni pubbliche scegliendo la strada di una mutualità sostitutiva che dividerà i lavoratori e penalizzerà gli anziani e i pensionati che non potranno accedere a questo sistema». Stigmatizza Savino Pezzotta, Cisl,: «Forme sostitutive del servizio sanitario nazionale non rientrano nel nostro apprezzamento». Sergio Cofferati, Cgil, disegna neri scenari: «Tutto questo avrà effetti particolarmente pesanti sulla parte più debole della popolazione». Medici e Pazienti Stanno dalla stessa parte medici e pazienti. Da loro arriva un "no" secco ai programmi sanitari contenuti nel Dpef. Se le mutue saranno "integrative", chiariscono gli Ordini dei medici, il sì dei camici bianchi potrebbe anche essere ipotizzato ma se queste, invece, saranno alternative al sistema sanitario nazionale, allora l’opposizione sarà netta. «Quest’ultimo - interviene Giuseppe Del Barone, presidente della Federazione degli Ordini dei medici - sarebbe del tutto inaccettabile. Finirebbe per penalizzare le fasce sociali meno abbienti a cui verrebbe garantita solo un’assistenza di serie B. Qualora questo ritorno si traducesse in un primo passo per introdurre le assicurazioni nel sistema sanitario, allora il giudizio dei medici italiani sarebbe di pieno dissenso». A fianco dei camici bianchi, i pazienti. «L’impressione è quella di un progetto che verrà rivelato all’opinione pubblica un poco alla volta - commenta Stefano Inglese coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato - . Si spera così che la gente si abitui lentamente all’idea. Certo, non si sentiva proprio la necessità di questo ritorno al passato. E’ chiaro che si avranno due sistemi sanitari, uno per chi potrà pagarsi servizi di qualità e un altro per chi dovrà accontentarsi». _____________________________________________ L’Unione Sarda 14 lug. ’02 MAURA COSSUTTA: «IL GOVERNO STA DEVASTANDO LA SANITÀ» Convegno a Cagliari È necessario un processo di riforma per la Sanità ma non una controriforma con un modello che stravolga l’assistenza pubblica. Lo ha detto Maura Cossutta, responsabile nazionale delle politiche sociali del Partito dei comunisti italiani, a Cagliari per partecipare a un incontro “Contro la mercificazione della sanità, per il diritto alla salute”. «Da un anno incalziamo il Ministro Sirchia, ma oggi il Governo col Dpef ha scoperto le carte: intende smantellare l’impianto del servizio sanitario nazionale. Con le mutue, le assicurazioni, si torna indietro con disuguaglianze e i cittadini pagheranno di nuovo. Il modello Formigoni in Lombardia ha portato all’aumento delle liste di attesa e delle spese delle famiglie». «Riteniamo che da parte del Governo di destra vi sia un progetto di attacco al sistema sociale - ha aggiunto Cossutta - viene rimossa la tassazione progressiva con la conseguenza che mancherà del danaro per il sistema solidaristico. È un progetto che rompe il patto sociale che era dentro la nostra Costituzione». Fra i punti di una riforma che deve essere contrastata vi è «il micidiale accordo Stato-Regioni che ha fissato il Fondo sanitario al 5,8% del Pil mentre in Europa siamo al 7% - ha detto Maura Cossutta - inoltre sono stati venduti i gioielli quali gli Istituti di ricerca ai privati. Sirchia ha detto che senza esclusività si ridurranno le liste di attesa ma ciò non è vero. L’esclusività della prestazione medica era, invece, un vantaggio per le persone». Cossutta ha anche affermato che «la legge sulla fecondazione artificiale è sbagliata, inefficace e pericolosa». _____________________________________________ L’Unione Sarda 12 lug. ’02 DETTORI: SMANTELLATO IL SISTEMA SANITARIO «Il sistema sanitario che si va delineando nel Dpef, approvato dal Consiglio dei ministri e che arriverà per la discussione alla Camera il 22 luglio, è molto preoccupante». Lo sostiene la vicepresidente della commissione Sanità in Consiglio regionale Ivana Dettori, secondo la quale «ci avviamo allo smantellamento del sistema sanitario nazionale, della sua universalità e solidarietà». «Il nuovo sistema - afferma Ivana Dettori - propone un nuovo prontuario farmaceutico, le mutue facoltative e un controllo, certo non perequativo, dell’erogazione dei Lea, i livelli essenziali di assistenza». Di fatto, prosegue il vice presidente della commissione Sanità, «si riapre la strada alla concorrenza di mercato che porterà ad un fortissimo aumento della spesa». In questa ipotesi, si chiede la vicepresidente della commissione, come si comporterà la Regione Sarda? «Certo - si legge nel documento dell’esponente di Democratzi - non lo si può evincere dal Dpef che stiamo discutendo in questi giorni in Consiglio regionale, perché niente si dice, se non enunciazioni di principio, talvolta incomplete, che non modificano lo stato attuale della sanità in Sardegna». «Per i sardi - conclude la vicepresidente - sarà una doppia beffa: l’unica speranza è restare sani, la prevenzione può attendere. _____________________________________________ Il Sole24Ore 12 lug. ’02 DALLA CORSIA AL SATELLITE La medicina sperimenta la formazione a distanza grazie al satellite e rende possibile la didattica e la partecipazione a interventi chirurgici in diretta. Il progetto si chiama SkyMed ed è finanziato dall'Esa con la partecipazione di Consorzio Padova ricerche, Alenia Spazio, Consorzio Telbios, Information technology services (Its), Sudler & Hennesey. E alla base di tutto ci sono Desnet e SkyplexNet, due piattaforme satellitari già utilizzate per la telemedicina e il teleconsulto. Destinatari. Per l'Italia, a partire da settembre, a testare l'utilizzo delle tecnologie satellitari applicate all'e- learning sone le Asl del Veneto (Verona, Padova, Vicenza, Treviso, Rovigo, Venezia e Bassano del Grappa). Le Asl disporranno di un sistema di ricezione collegato tramite una Lan (Local Area Network), in modo tale che più utenti possano usufruire del collegamento contemporaneamente. Nel caso in cui l'Asl non disponesse di un'aula attrezzata con più pc connessi tramite rete locale, poi, saranno gli stessi promotori del progetto ad attrezzarla con almeno quattro postazioni di lavoro. Materie di studio. I corsi inseriti nel progetto SkyMed riguarderanno le tecniche della chirurgia e dell'anestesia, il trattamento pre e post-operatorio, l'attività infermieristica e l'organizzazione e la qualità dei servizi di day surgery, cioè della chirurgia ambulatoriale, attualmente molto utilizzata nelle strutture ospedaliere. Soprattutto su quest'ultima si concentreranno gli sforzi di Skymed, anche perchè dal punto di vista della valutazione economica delle prestazioni, il day surgery non lascia dubbi sui vantaggi finanziari derivanti dal suo utilizzo. Ed è proprio per questa ragione che è sorta l'esigenza di potenziare i corsi di formazione e renderli disponibili a una moltitudine di utenti. Più pazienti giornalieri. SkyMed rappresenta un notevole passo avanti per favorire una prassi fondamentale per incrementare ulteriormente il numero di pazienti curati in day surgery: «Si stima - spiega Stefano Merigliano, docente di Chirurgia generale presso la facoltà di Medicina dell'Università di Padova e coordinatore del progetto SkyMed - che oltre il 60% dell'attività chirurgica potrebbe essere convertita in chirurgia ambulatoriale, ma si registrano ancora troppi ostacoli allo sviluppo e alla diffusione della day surgery, dovuti prevalentemente alla scarsità di informazione e di formazione dei medici specialistici e del personale infermieristico». L'architettura. Oltre a contenuti specifici, per i corsi di Skymed è stata definita un'architettura ad hoc: «La struttura del sistema di e- learning di SkyMed - precisa Merigliano - implica la definizione nel dettaglio di menu, videate di utilizzo, metodi di navigazione e assistenza per le esercitazioni e le simulazioni, meccanismi per la raccolta dei dati di fruizione del corso. SkyMed, infine - conclude Merigliano - mette a disposizione una lavagna elettronica condivisa tra docente e discenti che permette lo scambio di messaggi in tempo reale (chat), la visualizzazione di contenuti video pre- registrati, l'accesso guidato dal docente a immagini e presentazioni, la navigazione di siti Web e la possibilità di scaricare il materiale didattico». Antonella Benanzato _____________________________________________ La Stampa 11 lug. ’02 FRANCIA: SANITÀ IN CURA SI RITORNA AL PUBBLICO LA FRANCIA TORNA A SCOMMETTERE SUL SERVIZIO PUBBLICO LA sanità francese è malata, i francesi si sentono generalmente poco bene (la mortalità prima dei sessant'anni è la più elevata d'Europa) e il nuovo governo di destra ha deciso di puntare sugli ospedali pubblici: subito settecento milioni di euro in più; di qui al 2007 un piano di investimenti per altri sei miliardi di euro. Per quanto la Francia abbia enormi problemi di deficit pubblico, «la salute non ha prezzo», ha dichiarato ieri il ministro Jean- François Mattei in un'intervista a le Monde. La situazione, dice il ministro, è «esplosiva»: la sicurezza sociale registra un deficit di 2,4 miliardi di euro; l'«assurance maladie» un buco di 5,6 miliardi. Colpa della sinistra che ha governato per cinque anni e non ha saputo capitalizzare un lungo periodo di crescita e di benessere, ma colpa anche della destra che nel '95 con il governo Juppé lanciò un piano di contenimento delle spese che è stato uno «smacco» totale. E fin qui la situazione è paragonabile a quella di molti paesi europei. Ma la soluzione proposta da Mattei e dal governo di Jean-Pierre Raffarin non è quella che ci si potrebbe aspettare secondo lo schema convenzionale destra- privato/sinistra-statale, è piuttosto una soluzione alla «francese» con la difesa del servizio pubblico elevato a religione repubblicana, quella stessa «attitude» che aveva tenuto insieme due uomini agli antipodi come Jacques Chirac e Lionel Jospin fino all'ultimo vertice europeo di Barcellona, celebrato in piena e cruenta campagna presidenziale. Ma la soluzione Mattei va ancora oltre questo schema e affronta il problema della spesa pubblica sanitaria in modo opposto, per esempio, a quello del centro destra italiano: no alle privatizzazioni, ma investimento su quel che c'è che è il «bene comune di tutti». Il livello di spesa, dice Mattei, non deve più essere calcolato unicamente con criteri di bilancio, ma con criteri sanitari. E la crescita delle spese, in sanità è «ineluttabile» perché la popolazione invecchia e aumenta il costo delle nuove tecnologie mediche e la ricerca del benessere. Questo significa che la spesa sanitaria è destinata ad aumentare all'infinito? Falliti tutti i tentativi di tagliarla e scartata l'ipotesi di disinvestire sul servizio pubblico, Mattei dice che l'ultimo tentativo va fatto contando sulla fiducia nei medici che, per esempio, un mese fa hanno firmato un accordo per aumentare gli onorari impegnandosi a diminuire le spese sui farmaci. E anche nella prevenzione medica e sociale: in Francia ogni giorno muoiono 50 persone a causa del tabacco, trenta per incidenti domestici, venticinque sulle strade, trenta per suicidio. Ogni settimana undici per Aids. Migliorando la vita della gente, effettivamente, si risparmierebbe parecchio. Cesare Martinetti _____________________________________________ Il Sole24Ore 10 lug. ’02 "CANCRO, UNA LUNGA STRADA PER BATTERLO" Marco Magrini (DAL NOSTRO INVIATO) PASADENA - "La battaglia al cancro è entrata in una nuova era che promette, se non miracoli, successi un tempo impensabili. Eppure ci vorranno ancora venti o trent'anni per raccoglierne i frutti". Il biologo David Baltimore, rettore del California Institute of Technology, premio Nobel nel 1975 - all'età di 37 anni - per la scoperta dell'enzima della trascriptasi inversa, smorza gli entusiasmi di chi profila successi scientifici e trionfi economici alle porte. Ma ammette: "Per fare passi da gigante, la ricerca non può prescindere dal sistema capitalistico". Negli ultimi due anni, sull'onda dell'infatuazione tecnologica alimentata anche dalla mappatura del genoma, gli analisti di Wall Street avevano prospettato successi roboanti. Li condivide? Nel 1979 il mio laboratorio fece le scoperte di base che hanno portato alla nascita del Glivec, un farmaco molto efficace che la Novartis ha commercializzato solo nel 2001, quasi vent'anni più tardi. I tempi sono più o meno questi. Fra ricerca di base, sperimentazione sui composti, test clinici e procedure di approvazione ci vogliono come minimo quindici anni. La ricerca è molto promettente, ma non nel brevissimo periodo. Resta il fatto che il Glivec è efficace contro due soli tipi di cancro. Quanti altri ce ne sono? Fondamentalmente centinaia. Ma è difficile dirlo con precisione, perché gli strumenti usati per stabilire le categorie tumorali erano in origine molto rozzi. Più di recente, grazie all'osservazione a livello molecolare, ci siamo imbattuti in casi dove, tanto per fare un'esempio, tre patologie diverse - che rispondono ai farmaci in modo diverso - vengono abitualmente chiamate con lo stesso nome. Dunque è esagerato dire che una nuova èra sta arrivando? Una nuova èra sta arrivando, ma non è dietro l'angolo. Nel 1979, ai tempi di quel progetto di ricerca, la comunità scientifica già conosceva un centinaio di geni legati al cancro, eppure il Progetto Genoma ancora non era ancora nato. È ovvio che questa conoscenza aggiuntiva sta per innescare una rivoluzione, ma ci sono altri campi d'indagine, oltre alla genomica. Le aziende puntano su numerosi cavalli: anticorpi monoclonali, farmaci capaci di arginare il "nutrimento" delle cellule tumorali e c'è anche chi, come Genentech, sta cavalcando i vaccini. Qual è il più promettente? Forse gli anticorpi monoclonali: ce ne sono già un paio sul mercato e pochi altri in fase di test. Il loro problema è che possono agire solo sulle molecole che si trovano nei fluidi, come il sangue, o sulla superficie: non possono "entrare" nelle cellule. Per quanto riguarda i vaccini anticancro, da anni sono al centro del dibattito, ma non è ancora stato dimostrato che si possa indurre l'organismo a produrre anticorpi protettivi. Personalmente sono abbastanza scettico. L'industria è a caccia di molecole e tecnologie capaci di fatturare miliardi di dollari. Non c'è una sorta di contraddizione etica fra ricerca del profitto e cura delle malattie? La domanda è: la ricerca dev'essere per forza condotta secondo i canoni capitalistici o c'è una via "socialista" alternativa? Il mio sogno sarebbe trovare una soluzione alternativa, ma la mia esperienza mi dice che non è possibile. La ricerca ha bisogno del sistema capitalista, perché i Governi non sono affatto bravi nella ricerca farmacologica. Eppure lei, che ha sempre lavorato nella ricerca indipendente, ha scelto di non entrare nell'industria... Apprezzo molto la mia libertà di accademico. Guadagno meno, ma faccio quel che desidero. Quando mi è stato offerto di dirigere il Caltech ho accettato di venire solo a una condizione: poter trasferire il mio laboratorio dal Mit a qui, con tanto di strutture e ricercatori. Ha brevettato le sue scoperte? Le dico la verità: nel 1980 non mi venne neppure in mente. Ma non importa granché: a quest'ora il brevetto sarebbe già scaduto... Neppure nel caso della trascriptasi inversa avrei fatto in tempo a raccoglierne i frutti. L'industria lamenta che 20 anni di brevetto, a partire dalla fase preclinica e non dal via libera alla commercializzazione, siano troppo pochi. Più o meno credo sia giusto così. E badi bene: dico questo anche se sono consigliere di amministrazione della Amgen (la prima società biotecnologica del mondo, ndr). Lei ha criticato le decisioni dell'amministrazione Bush in merito alle cellule staminali... Il Governo ha scelto di revocare i finanziamenti pubblici alla ricerca su quel fronte, ma i privati possono andare avanti. Ora però il Congresso vorrebbe impedire la clonazione tout court: sarebbe la prima volta che alla ricerca viene proibito qualcosa per legge. Posso essere d'accordo con una normativa contro la clonazione riproduttiva, ma sono del tutto contrario a impedire la clonazione terapeutica. Nel primo caso si ottiene (in teoria) un nuovo essere umano. Nel secondo si ottengono cellule staminali utilissime per fini terapeutici o di ricerca. La genetica potrà riuscire a interrompere la catena di trasmissione dei geni "difettosi" che inducono le malattie? Se quei geni ce l'hai non c'è più nulla da fare, è troppo tardi. Non si può tornare indietro. Eppure Hollywood ha già immaginato casi di "cosmetica genetica" in cui i genitori scelgono il quoziente d'intelligenza e il colore degli occhi del figlio... Ogni bambino nasce da una cellula che si divide esponenzialmente. Se vuoi cambiare la genetica di quel bambino devi manipolare i suoi geni partendo da una cellula, non quando sono ormai milioni. Un giorno, non so dire quando, saremo in grado di applicare tecnologie per la modificazione genetica. Sarà un'impresa monumentale. Potremo riuscire a vedere i problemi in anticipo (che so, la predisposizione alla fibrosi cistica) e poi cambiare la genetica di una cellula attraverso una terapia genica. Ma le terapie geniche sono già in sperimentazione, no? Sì, in laboratorio, sugli animali, si è già sperimentato l'inserimento di un gene "buono" per sopraffare gli effetti di uno cattivo. Ma quando un bambino nato così avesse dei figli, sarebbe ancora in grado di trasmettere i geni "cattivi" dei nonni: il problema originario non sarebbe risolto. Senza contare che nessuno può predire gli effetti di questo inserimento genetico casuale sulla pelle dei propri discendenti. Tutt'altra cosa sarebbe sostituire i geni... Certo: se riuscissimo a togliere il gene cattivo e rimpiazzarlo con uno buono, non ci sarebbero problemi. È possibile che fra trenta o quarant'anni riusciremo a fare anche questo. Ma credo che nessuno lo farà mai per dare al figlio gli occhi blu. Francamente non capisco tutto questo baccano sulla clonazione. Qualcuno potrà anche arrivare a farla, ma non sarà mai una cosa desiderabile. Senza contare che vengono spesso dette delle sciocchezze: anche se un bambino venisse clonato da una mia cellula, nascerà comunque in un mondo completamente diverso da quello in cui sono vissuto io, sarà un essere umano diverso da me. Per assurdo, la cosa migliore sarebbe usare i geni di un pluricentenario. Regalaremmo al nuovo nato una grande libertà: la libertà dal cancro e dalle patologie cardiache. Che cosa intende? Nel mondo c'è un piccolo numero di persone che vive oltre i cento anni: non si ammalano di tumore, né di malattie cardiache, non sono obesi. Statisticamente la probabilità di ammalarsi di cancro diventa molto alta dopo i 60 anni, ma dopo i 90-100 si abbassa drasticamente. Le persone longeve devono avere un gene che le protegge dal cancro, oppure non hanno il gene che favorisce il tumore. Non credo molto all'ipotesi di un gene della longevità. Insomma: la ricerca ha fatto passi da gigante ma ha ancora una prateria davanti a sé. Non c'è dubbio. Ci sono tumori dei quali non sappiamo assolutamente nulla. _____________________________________________ Le Scienze 12 lug. ’02 GENETICA E TUMORE DEL POLMONE Il tabagismo resta comunque la principale causa di morte Il fumo è un grande fattore di rischio per il tumore del polmone, ma i fumatori che ereditano un particolare gene difettoso hanno una probabilità tre volte superiore di sviluppare questa malattia, spesso mortale. Questa è la conclusione di uno studio pubblicato sull'ultimo numero della rivista "British Jounal of Cancer". Il tabagismo rappresenta la più comune causa di tumore del polmone, ma il rischio corso dai fumatori sembra variare da individuo a individuo. Proprio per questo i ricercatori hanno iniziato a credere che la genetica potesse svolgere un ruolo nel decidere chi è più suscettibile alla malattia. Medici tedeschi hanno scoperto che un quarto dei pazienti affetti dalla forma più comune di tumore del polmoni hanno una versione particolare di un gene coinvolto nel mantenimento della pulizia delle vie respiratorie. Nelle persone sane, la prevalenza di questo gene è pari solo al nove per cento. Per questo studio, i ricercatori hanno preso in considerazione 117 pazienti affetti da tumore del polmone, quasi tutti fumatori. Questi pazienti sono stati confrontati con un numero simile di individui sani e con un altro gruppo di fumatori che soffrivano di problemi alle vie respiratorie diversi dal tumore. Lo studio ha mostrato che una versione difettosa del gene per la proteina B del surfattante, essenziale per il funzionamento dei polmoni, era molto più comune nei pazienti affetti da tumore che negli altri gruppi. _____________________________________________ Le Scienze 11 lug. ’02 PERICOLOSI BATTERI DELL'ULCERA H. pylori produce una citotossina in grado di attaccare le cellule delle pareti dei vasi Alcuni potenti ceppi batterici che causano l'ulcera sembrano svolgere un ruolo importante anche in certi tipi di ictus, come ha riferito Antonio Pietrogiusti, dell'Università di Tor Vergata, sull'ultimo numero della rivista "Circulation". Per la prima volta, i medici hanno scoperto che alcuni ceppi di Helicobacter pylori erano molto più numerosi nel sangue di persone che hanno subito un ictus. H. pylori provoca ulcera allo stomaco, ma nelle grandi arterie che conducono al cervello alcuni ceppi del batterio produttori di citotossine sono in grado di aggravare la situazione di vasi già compromessi. A rendere particolarmente pericolosi alcuni ceppi è il gene associato alla citotossina (CagA), che conferisce ai batteri la capacità di danneggiare le arterie. Le citotossine attaccano infatti le cellule delle pareti dei vasi, provocando infiammazioni e gonfiori, che riducono il flusso sanguigno aumentando le probabilità di un ictus. I ricercatori hanno confrontato i diversi ceppi di H. pylori nel sangue di 138 pazienti affetti da ictus arteriosclerotico, gruppo A, 61 affetti da ictus cardioembolico e 151 volontari sani. Si è visto così che la presenza di ceppi del batterio positivi al gene CagA era significativamente più alta nei pazienti del gruppo A, 42,8 per cento contro il 19,7 dei pazienti affetti da ictus cardioembolico. In entrambi i gruppi, comunque, i batteri sono risultati più numerosi che nel sangue dei volontari sani. _____________________________________________ Il MAttino 12 lug. ’02 VIRUS DEL POLIO: LA SEQUENZA MOLECOLARE ERA SUL WEB LORENZO MONACO Il mondo scientifico mondiale è stato messo in allarme da una notizia comparsa ieri sulle prime pagine dei giornali americani: un gruppo di ricercatori ha annunciato di aver assemblato in modo artificiale e senza utilizzare cellule, il virus della polio. Il tutto usando le sequenze geniche di un banca dati accessibile a chiunque attraverso Internet. Ai ricercatori è bastata una telefonata per procurarsi gli ingredienti: un azienda chimica dello Iowa li ha subito inviati per posta. Il virus funziona benissimo: ha ucciso i topi nei quali era stato inoculato. L’esperimento è stato finanziato per 300 mila dollari dal Pentagono all’interno di un programma sulle contromisure per una guerra biologica. «Rifare il virus della poliomelite è stato molto facile - ha spiegato Jeronimo Cello, uno degli autori della ricerca avvenuta alla State University di New York a Stony Brook - Probabilmente tra poco tempo sarà possibile anche assemblare virus più complessi, come ad esempio il vaiolo». Facile ed economico, dunque, costruirsi il proprio virus letale. «È giunta l’era delle bioarmi sintetiche», ha commentato Edward Hammond, del Sunshine Project, organizzazione non-profit statunitense che controlla l’attuazione della Convenzione internazionale sulle armi tossiche e biologiche. Per il direttore scientifico dello Spallanzani (e coordinatore della task force sul bioterrorismo) Giuseppe Ippolito, «i risultati di questo studio - se confermati - mettono a dura prova tutti i concetti di eradicazione delle malattie infettive. E questo a meno di un mese dalla dichiarazione dell’Europa come zona libera dalla poliomielite». «Non mi sembra però - continua Ippolito - che questi risultati siano direttamente trasferibili a malattie come il vaiolo, per le quali esisterebbe effettivamente un rischio di utilizzo a fini terroristici. Ma è vero che un lavoro come questo crea una ulteriore possibilità per la messa a punto di virus potenzialmente letali anche in grandi quantità». Ma era giusto pubblicare queste informazioni? «È stata un operazione irresponsabile - tuona il manager delle genetica Craig Venter - così si provoca allarmismo nell’opinione pubblica e i legislatori si convincono ad aumentare i controlli sulla prima ricerca di base». Anche Ippolito non se la sente di appoggiare l’amplificazione mediatica di quello che a molti esperti del settore appare una scoperta scientifica minore: «Io credo che prima della pubblicazione, questi studi dovrebbero essere valutati dai comitati etici indipendenti per il loro impatto potenziale su un utilizzo a fini terroristici». L’esperimento americano ha raggiunto comunque un suo record. La costruzione di un agente virale è stato infatti l’operazione più vicina alla creazione della vita mai eseguito in laboratorio, anche se molti scienziati storcono il naso davanti al un concetto di «vita» applicato ad un semplice virus. _____________________________________________ Le Scienze 10 lug. ’02 IL SEGNALE DELLA NECROSI CELLULARE Lo studio potrebbe aprire le porte alla cura dell'infarto o delle malattie autoimmuni Che differenza c’è per l’organismo tra necrosi e apoptosi delle cellule? Perché nel primo caso mette in atto una vigorosa reazione mentre nel secondo avviene una semplice rimozione? A questo interrogativo è riuscita a rispondere una ricerca dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano in collaborazione con il National Cancer Institute di Bethesda, nel Maryland, pubblicata sulla rivista "Nature". Grazie a tale ricerca è stato possibile individuare una proteina, HMGB1, che viene rilasciata in grande quantità da una cellula che va incontro a necrosi. Poiché questa proteina fa parte solitamente dei cromosomi, la sua presenza al di fuori di una cellula ha la funzione di avvertire le altre di una trauma avvenuto o in corso. In tal modo, l’organismo è in grado di reagire: alcune cellule si dividono, altre prendono il posto di quelle perse, altre ancora iniziano una risposta infiammatoria. Secondo i ricercatori che hanno partecipato allo studio - Paola Scaffidi e Marco Bianchi del San Raffaele, Tom Misteli del National Cancer Institute - questo potrebbe essere il rimo passo per individuare uno strategia di diagnosi precoce o di cura. In caso di infarto, per esempio, il segnale potrebbe essere utilizzato per richiamare cellule staminali che possano riparare il danno ai tessuti del cuore. Se si riuscisse a sopprimerlo, viceversa, si potrebbero diminuire gli effetti di uno shock tossico o di una risposta autoimmune. _____________________________________________ Il Messaggero 11 lug. ’02 ARRIVA IL SUCCO D’AGLIO CHE METTE KO ANCHE PULCI E ZANZARE Dai laboratori di ricerca statunitensi dal nostro corrispondente ANNA GUAITA NEW YORK - E’ delizioso nella panzanella, nel pesto, nella fettunta. Fa bene alle vie respiratorie ed è un potente antinfettivo e fungicida. Ma sapevate che è anche uno straordinario antiparassitario, che tiene alla larga zanzare, pulci e zecche, e che lo fa senza inquinare? L’aglio, questo antico fenomenale bulbo puzzolente, promette di diventare una arma preziosa per tutti coloro che vogliono tenere a bada gli insetti nocivi senza avvelenare l’aria, la terra, le falde acquifere. Che l’aglio avesse qualche potere anti zanzare è cosa da tempo risaputa. Ma oggi non è più solo la scienza alternativa a vantarne i meriti. La scienza ufficiale, istituzionale, lo ha promosso in serie A. Dopo uno studio dell’Università del Michigan, in America sono nati vari laboratori che lo producono all’ingrosso e i cui affari vanno a gonfie vele. Il Garlic Research Laboratory (Laboratorio di ricerca sull’aglio) a Los Angeles produce il più famoso di questi prodotti, il Garlic Barrier, un succo che viene utilizzato nei campi di golf e nei giardini comunali. In concentrazione più potente viene adottato sempre più spesso anche dagli agricoltori. I produttori lo raccomandano in modo particolare per le colture in serra, per le piantagioni di cotone, lattuga, mais. Dai campi e dai raccolti, l’aglio sta dilagando adesso anche nei giardini privati dell’America "bene". Nel Connecticut, ricco Stato costiero con la più alta concentrazione di laghi, zone palustri e miliardari con ville di sogno, è arrivato in forze quest’estate, e non è raro passeggiare lungo le strade di ridenti cittadine di mare, come Guilford o Madison, e annusare nell’aria un profumino pungente. I consigli comunali di questi paesi dall’antico pedigree storico hanno avuto un momento di dubbio: l’odore d’aglio è sempre stato associato ai quartieri poveri, di immigrati europei, non alle vaste vedute di campi da golf e prati pettinati dell’America bianca ed anglosassone. Ma il dubbio è presto rientrato: per l’essere umano, l’effluvio va perdendo potenza nell’arco di qualche ora, per le zanzare rimane insopportabile per varie settimane. Il segreto, spiegano al Garlic Research Laboratory, sta nei composti sulfurei del bulbo, che hanno il potere di cancellare per gli insetti l’odore di anidride carbonica emanato dagli uomini. E comunque, puzzare un po’ d’aglio è sempre più elegante che avere un bozzo rosso che prude sulla fronte. _____________________________________________ Il Messaggero 09 lug. ’02 «I VIDEOGAME DISTRUGGONO IL CERVELLO» Uno studio giapponese: TOKYO - Sony con la Playstation, Microsoft e XBox, Nintendo e i vari SuperMario e GameCube, non ne saranno affatto contenti. Ma il professore giapponese Akiyo Mori potrebbe passare alla storia come il Davide che abbatte il Golia dei videogame: ha dimostrato che la loro overdose distrugge la sede cereberale delle emozioni e della creatività. In uno studio scientifico condotto per quasi un anno su un campione di 240 ragazzi e ragazze dai 6 ai 29 anni di età, Mori, specialista di neurologia dell'Università Nihon, rivela il quotidiano Mainichi, ha riscontrato che quei pochi, ormai, refrattari del tutto ai videogame mantengono un'attività normale del lobo frontale del cervello, che presiede appunto alle attività emotive creative degli esseri umani. «Sono cervelli umani», sentenzia Mori. Chi invece per tre o quattro giorni alla settimana smanetta la sua Playstation da una a tre ore per volta, vede diminuire considerevolmente, allo spettro dell'elettroencefalogramma, il livello di queste attività, tanto da trasformarsi in «mezzo cervello umano e mezzo cervello da videogame». Il peggio capita agli schiavi videogame-dipendenti, che si dedicano al gioco elettronico tutti i santi giorni, da due a sette ore per volta. Hanno, spiega il professore, un elettroencefalogramma praticamente piatto per quanto riguarda le onde emotive, e la situazione non migliora affatto anche quando spengono le loro consolle. «È il cervello da videogame totale - dice Mori - tipi del genere denunciano estrema irritabilità, assenza di capacità di concentrazione, impossibilità di coltivare amicizie e avere normali rapporti con gli altri. Fosse per me, butterei al macero tutte queste diavolerie elettroniche e direi ai ragazzi: Fuori di casa e andate a giocare all'aperto con gli amici». I VIDEOGIOCHI FANNO MALE ANZI, FANNO BENE di FRANCESCO ANTINUCCI* UN NEUROLOGO giapponese, Akiyo Mori, dell'Università di Nihon, ha reso noto (ahimé, ad un quotidiano del suo paese e non su una rivista scientifica accreditata) uno studio a dir poco apocalittico sui videogiochi. Sostiene di averlo condotto su 240 bambini e ragazzi di ambo i sessi, tra i 6 e i 29 anni di età. Non è chiaro con quali strumenti abbia operato, ma, a suo dire, chi non gioca con le varie Playstation, Xbox eccetera manterrebbe un'attività normale del lobo frontale del cervello, quello che presiede alle attività emotive e creative. «Sono cervelli umani», ha detto. Per tutti gli altri, invece, c'è la trasformazione già evocata dal vecchio horror "La mosca": il cervello diventa «mezzo umano e mezzo da videogame», per non parlare di chi dedica sette ore al giorno a questi giochi elettronici. Questi ultimi infatti diventano «cervelli da videogioco totale» e «denunciano estrema irritabilità, assenza di capacità di concentrazione, impossibilità di coltivare amicizie e di avere normali rapporti con gli altri». Soluzione finale: «Fosse per me, butterei al macero tutte queste diavolerie elettroniche e direi ai ragazzi: "Fuori di casa e andate a giocare all'aperto"». E bravo il professor Mori. Probabilmente, è una di quelle persone convinte che gli incidenti stradali siano causati dalle automobili e l'obesità dai frigoriferi. E' facile, nella nostra epoca, dare la colpa alla macchina e sorvolare su come la usiamo. Eppure, utilizzando bene l'automobile possiamo esplorare il mondo, aiutare le persone, arricchire e arricchirci. Ma se mentre guidiamo beviamo alcol, parliamo al cellulare, acceleriamo oltre i limiti di velocità, sterziamo o freniamo di colpo, è probabile che ci si faccia male. Allo stesso modo i videogiochi. Come mai un ragazzino o un giovane sta sette ore davanti al videogioco? Non è che per caso è solo in casa, ha difficoltà a trovare amici, ha genitori ossessivi? E' semplice confondere la causa con l'effetto. Come quando scoprirono il "cromosoma della criminalità" nelle carceri americane. Ci credettero tutti, fino a quando qualcuno spiegò che la popolazione carceraria aveva sì in maggioranza quella struttura di cromosomi, ma perché è quella che fa nascere persone alte e goffe. Cioè quelle che, in caso di rapina o scippo, vengono prese più facilmente. Il videogioco, in realtà, non è diverso da un gioco qualsiasi. Piace tanto perché potenzia il gioco, così come la tecnologia in generale potenzia le nostre capacità: con una gru posso sollevare pesi che non potrei sollevare con le braccia. Con un videogioco di abilità posso sfidare al calcio Maradona e non il ragazzino della porta accanto, o posso pilotare un aereo, cosa che non potrei mai fare nella realtà. Posso anche giocare complessi e affascinanti giochi di strategia, dove il computer simula la realtà in maniera non molto diversa da quanto si fa nei laboratori di ricerca. Il gioco, come è sempre stato e sempre sarà, prepara all'attività adulta. Chi oggi impara a usare bene un joystick domani potrà usare questa abilità in un intervento di chirurgia a distanza. Chi impara a gestire una città simulata sviluppa strategie di analisi e decisione che sono fondamentali in decine di situazioni reali. Certo, ci sono anche i rischi. Se io ho la tendenza ad isolarmi, a sviluppare delle manie, a disperdermi, allora il videogioco con la sua tecnologia può potenziare questi problemi, amplificarli, renderli cronici. Ma se togliessi il videogioco ad un ragazzo con problemi di questo tipo, resterebbero pur sempre i problemi. * psicologo del Cnr _____________________________________________ Il Messaggero 10 lug. ’02 «INGENUO CREDERE AL VACCINO PER L’AIDS» Lo scienziato Gallo: «Unica speranza i farmaci inibitori». Allarme per i casi sommersi dal nostro inviato GUIDO ALFERJ BARCELLONA - In Italia un sieropositivo su due non sa di esserlo. Conduce una vita tranquilla, ha regolarmente rapporti eterosessuali con la sua partner e ignora che il suo sangue è infetto dal virus dell’Aids. Un dato sconcertante che ormai nessun ricercatore mette più in dubbio. E le cifre - secondo i sondaggi - parlano chiaro: il «sommerso» nell’Aids in Italia riguarda almeno 55.000 persone, altrettanti sono invece i casi noti. «Dobbiamo fare di tutto e presto per portare alla luce i casi di sieropositività "nascosta" - ha detto ieri, nel corso di una delle tante tavole rotonde del Congresso mondiale sull’Aids di Barcellona, il professor Giampiero Carosi, uno dei più noti studiosi italiani di malattie infettive - sia perché, ignorando la loro infezione, molti sieropositivi possono trasmettere ad altri soggetti il virus Hiv, sia perché, oggi, le proposte terapeutiche che possiamo mettere a loro disposizione sono molte ed efficaci». La sopravvivenza oggi arriva a 30 anni. Non sapeva nulla della sua malattia neppure Mario M., quarantenne romano che solo da pochi anni ha appreso di essere affetto da Hiv. E’ uno dei venti italiani sottoposti alle cure col nuovo farmaco T20. «Quando ho scoperto di essere sieropositivo la mia malattia era già molto avanzata. Spero in questa nuova cura». E un’altra cura «rivoluzionaria» potrebbe essere sicuramente quella di cui si è parlato ieri a lungo nel Congresso, la terapia della «doppia spinta», costituita da una serie di medicinali già noti, affiancati ad un inibitore della proteasi. Il farmaco si somministra a dosi molto basse e, dopo aver dato buoni risultati, è stato già messo in commercio a prezzi accessibili. Anche lo scienziato americano Robert Gallo, uno degli autori dell’identificazione del virus dell’Aids, è intervenuto alla Conferenza, ma si è rifiutato avventurarsi in previsioni di una data per la scoperta di un vaccino che potrà estirpare la pandemia. Secondo Gallo, comunque, la strada per sconfiggere il morbo è quella dei farmaci inibitori della penetrazione del virus nelle cellule, mentre chiunque vada annunciando di avere scoperto il vaccino contro l'Aids, a suo giudizio, «è un bugiardo o uno stupido». Un tema molto dibattuto durante i lavori di ieri (è stata una giornata movimentata dall’occupazione da parte di attivisti italiani del Gita - Gruppo italiano trattamenti antretrovitali - dello stand dell’azienda farmaceutica Gilead e da una manifestazione di giovani contro il segretario alla sanità americano Tommy Thompson), è quello dei trapianti su sieropositivi. La percentuale di sopravvivenza - per trapianti di rene e fegato - sfiorando il 75% a tre anni dall’intervento, è ormai identica a quella dei trapianti in generale. E anche in Italia i primi risultati sono soddisfacenti: ma per il momento solo nei centri Ismet di Palermo e al Policlinico di Modena è possibile effettuare trapianti su sieropositivi. «E’ assurdo - hanno commentato ieri alcuni rappresentanti della Commissione nazionale Aids - esiste un protocollo che autorizza i trapianti ed è grave che alcuni medici si rifiutino di effettuarli». E per la prima volta, ieri, è stato affrontato il problema della guerra come «motore» dell’Aids, con numerose cifre fornite dall’associazione «Save the children» e dalla Ong inglese «Panos». Si è parlato del Ruanda, dell’Uganda, ma anche della Bosnia, dove il virus dell’Aids ha mietuto numerose vittime tra donne stuprate dai soldati serbi. E anche in Afghanistan il fenomeno si sta facendo allarmante.