NON C'È INNOVAZIONE SENZA LA CULTURA L’"ANNO SABBATICO" CONTAGIA L’ITALIA CAGLIARI: NUOVO CORSO DI LAUREA IN SCIENZE SOCIALI ALGHERO: ARCHITETTURA, LA FACOLTÀ INIZIA A PRENDERE CORPO PER GLI INSEGNANTI BANDO DI CONCORSO INTERUNIVERSITARIO CAGLIARI: PER LETTERE, È L’ANNO DEL RILANCIO PIOGGE ARTIFICIALI, PRONTO A SESTU UN PROGETTO APPOGGIATO DAGLI USA CNR CONTRO LA PIOGGIA ARTIFICIALE IL MIRACOLO DEL DESERTO FIORITO? IN ISRAELE È SOLO UN RICORDO SERVIZI IN RETE, PARTE LA SFIDA NELL’ISOLA =========================================================== A MEDICINA LAUREE RECORD LE RICETTE DIFFICILI DELLA SANITÀ SUL PRONTUARIO FARMACEUTICO SI RIAPRE LO SCONTRO P. MORITTU: «PRESIDENTE PILI, CI DIA UN ASSESSORE MIGLIORE ALLA SANITÀ» L’ULIVO SARDO CONTRO LA RIFORMA SIRCHIA ACCORDO UE SUL TELELAVORO L´ISOLA DI ATLANTIDE? ESISTE, È LA SARDEGNA LA PROTEINA DELLO SVILUPPO DEL CERVELLO IL PERICOLO DEI CAMPI ELETTROMAGNETICI INTERFERIRE CON L'ENERGIA DEI TUMORI PROTEINA PLC-ZETA: ECCO LA “SCINTILLA DELLA VITA” =========================================================== ______________________________________________________________________ Il Sole24Ore 16 lug. ’02 NON C'È INNOVAZIONE SENZA LA CULTURA di Carlo Mario Guerci È ben noto che uno dei maggiori problemi della nostra impresa piccola e media è rappresentato dalla loro generalizzata incapacità di crescere oltre certe dimensioni di nicchia. Vari fattori, spesso discussi anche in passato, limitano la crescita delle nostre aziende: la scarsità di grandi imprese che svolgano un effetto di trascinamento sulla crescita delle imprese minori; la pressione fiscale; la flessibilità del lavoro; la carenza di scuole e di centri di formazione in diverse specializzazioni tecniche; l'eccesso di burocrazia; l'incertezza che domina i processi amministrativi. E come ulteriore motivo di freno si cita spesso la numerosità di imprese familiari anche se una generalizzazione su questo limite è pericolosa. Imprese "familiari" quali Benetton, Luxottica, Mapei, Marcegaglia, Safilo, Scm e Tecnogym hanno mostrato una formidabile propensione alla crescita mentre imprese manageriali pure hanno fatto meno bene. Tutti i fattori di freno ricordati non bastano a spiegare la perdita di competitività della nostra industria: il fattore troppo spesso trascurato è quello dell'innovazione tecnologica, perché questa è la prima forza che spinge la crescita e sostiene la competitività. I diversi aspetti. "Innovazione" è un concetto molto ampio e presenta aspetti molteplici. Fino a oggi le innovazioni che hanno sostenuto lo sviluppo italiano sono state prevalentemente le innovazioni basate sul concetto di novità (innovazione di stile), quelle architetturali (che utilizzano in modo originale tecnologie e componenti già disponibili per creare nuovi prodotti o processi, soprattutto prodotti) e l'innovazione custom (che personalizza prodotti e processi), affiancate da sforzi sulla qualità e sul miglioramento continuo, mentre è stata decisamente scarsa l'innovazione tecnologica su base organizzata. Il grafico qui a lato riporta un elenco di imprese che hanno prodotto innovazione e si nota che la creatività è più presente della tecnologia. Il posizionamento risente ovviamente anche di nostre valutazioni soggettive. Nella tabella, invece, proponiamo una esemplificazione di alcuni fattori fondamentali che penalizzano la nostra attività di ricerca. Tutti gli indicatori utilizzati mostrano una grande distanza dell'Italia dai maggiori Paesi industriali, in particolare la propensione alla cooperazione, l'interazione università-industria e l'intensità di ricerca nelle imprese high tech. La ricerca sommersa. Come avviene per il lavoro - dove l'Italia è tra i Paesi che sviluppano una grande quantità di lavoro sommerso, che non viene rilevato nelle statistiche - così è per la ricerca. Le imprese italiane, in particolare quelle piccole, sviluppano una quantità di ricerca che non compare, cioè di ricerca che definiamo "sommersa". Può essere trattata come attualmente si sta facendo per il lavoro nero? Può essere fatta emergere? Riteniamo che la risposta sia sostanzialmente negativa. Una parte rilevante della nostra ricerca "sommersa" non può essere fatta emergere, perché è connaturata al modello organizzativo della maggior parte delle nostre imprese minori. Se si condivide questa diagnosi allora la quota di R&S per parte privata può crescere a)aumentando la quantità di ricerca della impresa minore; b)aumentando la presenza di imprese high tech. Impensabile un rilancio delle grandi imprese, se non moltiplicando gli sforzi al Sud per attrarre investimenti stranieri. Vi sono certamente spazi per accrescere gli orientamenti alla tecnologia, anche accrescendo la quantità di ricerca organizzata, ma è indispensabile evitare di interferire con il funzionamento della macchina. Infatti il sistema produttivo presenta una capacità di utilizzo delle spese di ricerca che è limitata dalla sua stessa struttura: è solo operando sull'insieme dei fattori che influenzano la capacità delle imprese di assorbire e utilizzare la ricerca a fini produttivi che l'aumento della spesa supera favorevolmente un giudizio di costi/benefici. Elevare la ricerca nelle imprese minori significa elevare la cultura delle risorse umane presenti, a ogni livello, e ciò evidentemente richiede un formidabile riorientamento della politica scolastica e universitaria. Si ricorda spesso che l'Italia è ricca di imprenditori, che si caratterizza anche per l'elevato numero di nuove imprese che compaiono ogni anno. Ma un elemento negativo emerge quando si compara il grado di istruzione dei nuovi imprenditori con quello presente in altri Paesi. La quota di imprenditori nuovi in possesso di laurea o di corsi post laurea è decisamente più bassa, particolarmente nelle start up high tech. Che fare? Conviene sviluppare le osservazioni conclusive suddividendole, solo per convenienza espositiva, in quattro blocchi: il contesto, il ruolo delle università e del capitale umano nella ricerca pubblica, l'innalzamento della ricerca privata ad ogni livello, l'attivazione di misure per aumentare la presenza di imprese high tech. Il contesto. Tutte le analisi recenti in materia di ricerca e innovazione convergono nel mostrare che l'ambiente esterno, in tutta la sua complessità, è fondamentale nell'influenzare i risultati. È velleitario immaginare di potere agire attraverso la politica della ricerca se contestualmente non si opera per il raggiungimento di un Paese più fluido ed efficiente in ogni aspetto della vita economia e sociale. Sottolineiamo che gli sforzi per accrescere la quota di ricerca nel Pil devono essere graduati in funzione della capacità di assorbimento e utilizzo delle imprese. Altrimenti vi è il rischio che quella spesa possa essere dirottata verso impieghi diversi o meno efficienti. In particolare, il tema dell'efficienza dovrebbe costituire una priorità di intervento nei centri di ricerca pubblici. Università e capitale umano. Una nostra analisi sui distretti industriali tecnologici nel mondo (svolta per conto della Fondazione Bnc) mostra il ruolo determinante delle università e dei centri di ricerca per la creazione e lo sviluppo di tali distretti. Non a caso i distretti industriali italiani, che non si sono sviluppati attorno alle università, non presentano vocazioni high tech. È indispensabile creare un flusso permanente di ricercatori dall'università all'industria sia rifondando l'istituto del dottorato, sia rivedendo i percorsi di carriera con obiettivi di ringiovanimento. Va rivisto il valore legale del titolo di laurea. Innalzare il livello della ricerca privata. Il modello architetturale, prevalente nelle nostre imprese, ha retto la competitività nazionale dal dopoguerra ad oggi ma adesso richiede l'innesto di modelli nuovi anche nei settori tradizionali. Incrementare le attività di ricerca delle imprese, a ogni livello, ma soprattutto nelle imprese minori è quindi sempre più una necessità. Questo innalzamento deve avvenire con diversi meccanismi concorrenti, che tengano conto delle specificità del nostro modello di innovazione: creare una condizione di necessità della relazione tra imprese e università agganciando almeno parte della valutazione del personale docente alla capacità di attrarre ricerca di impresa con il risultato di generare nuove leve di laureati, dottori e ricercatori già formati alla ricerca applicata; creare una maggiore diffusione della cultura della ricerca nelle imprese attraverso la mobilità dei ricercatori, soprattutto dalle università; puntare più decisamente sulla ricerca di innovazioni radicali, creando, con un iniziale supporto pubblico, centri privati specializzati in grado di formare quella massa critica che le imprese minori non potrebbero attivare. È necessario partire dalle aree distrettuali più importanti. Aumentare la presenza di imprese high tech. È l'operazione necessariamente più a lungo termine perché presuppone il cambiamento culturale più profondo. La creazione di imprese high tech deve avvenire in quel contesto sofisticato e complesso che è il distretto tecnologico. È indispensabile prevedere la costituzione di una serie di poli di ricerca di base specializzati in tecnologie emergenti (nanotecnologie, meccatronica, bioelettronica). Questo centri dovranno attrarre talenti italiani e internazionali dall'estero (brain drain inverso) per progetti di ricerca di base su tematiche che avranno impatto, prevedibilmente su una scala dei tempi di lungo periodo, 10-15 anni. (La versione integrale dello studio di cui si è parlato può essere richiesta a Evidenze Srl, corso Venezia 36, Milano, o reperita a partire da fine luglio sul sito di AtKearney). ______________________________________________________________________ Corriere della Sera 16 lug. ’02 L’"ANNO SABBATICO" CONTAGIA L’ITALIA Una legge del 2000 concede fino a 11 mesi ma senza stipendio. Scoperto da studenti e manager La tradizione anglosassone della pausa per studio o riflessione. Elkann: l’ho consigliato ai miei figli La vacanza non basta più. Troppo breve, convenzionale e scontata. Per chi ha bisogno di rigenerarsi con esperienze ed emozioni nuove ci vuole ben altro. Sei mesi da dedicare a un viaggio intorno al mondo. Un anno da volontario in un villaggio nel terzo mondo. O un periodo di riflessione per coltivare un hobby o frequentare un corso. "Poco importa quello che si andrà a fare - commenta il sociologo del lavoro Domenico De Masi -. L’importante è trovare un tempo per sé. Un’abitudine diffusa nei paesi anglosassoni, da noi siamo agli inizi". BENEFIT - La "voglia di sabbatico" deve scendere a compromessi con una normativa che non aiuta. L’aspettativa per scopi formativi, istituita nel 2000, è ancora poco utilizzata. "Si tratta di undici mesi senza stipendio, e già questo è un notevole deterrente - commenta Donata Gottardi, docente di diritto del Lavoro a Verona, esperta che ha seguito l’attuazione della nuova norma -. E poi le aziende si privano poco volentieri dei propri collaboratori per periodi lunghi". Certo, esistono le eccezioni. Intel, Hewlett Pakard, Xerox sono alcune delle multinazionali che ai dipendenti delle loro sedi in giro per il mondo offrono, tra i vari benefit, anche il sabbatico. "Già da un paio d’anni è in atto un cambiamento culturale - sostiene Mario Mazzoleni, docente alla Scuola di direzione aziendale dell’università Bocconi -. Le aziende sono sempre più disponibili a valorizzare le risorse umane, utilizzando anche il sabbatico. Se non altro perché certi professionisti difficili da trovare sul mercato vanno tenuti ben stretti. La crisi, poi, non ha invertito la tendenza. Anzi, la produzione che rallenta talvolta è un motivo in più per concedere il distacco". Tra quelli che stanno per partire c’è Daniele Iannotti, direttore generale della filiale italiana di Text100, multinazionale delle pubbliche relazioni con sede a San Francisco. "Sto pensando all’Australia - racconta -. A chi resta fedele all’azienda per almeno sei anni vengono concessi tre mesi per andare in giro per il mondo". Alla Intel, invece, i mesi a disposizione sono due. "Dopo cinque anni si ha diritto a due mesi retribuiti lontano dalla propria scrivania", spiega Dario Bucci, il country manager dell’azienda. NEL TERZO SETTORE - Viaggi a parte, sono sempre più numerosi coloro che si candidano a un sabbatico nel mondo del volontariato. "Dopo la Francia, l’Italia è il secondo paese nel mondo per numero di curriculum inviati", dice Philippe Berneau, responsabile risorse umane di "Medicins sans frontières". Concorda Teresa Sarti, presidente di Emergency: "I candidati sono moltissimi. Il punto è che molti hanno difficoltà ad ottenere un periodo di aspettativa dalla propria azienda". Nonostante una legge del ’97 abbia predisposto sgravi fiscali per le aziende che "prestano" personale al mondo del volontariato. GAP YEAR - Tra i grandi sostenitori del sabbatico c’è lo scrittore e giornalista Alain Elkann: "Mi è accaduto spesso di fare lunghi viaggi. In particolare, ne ricordo uno molti anni fa, in Vietnam, con mia sorella: il paese era in guerra. E poi un giro intorno al mondo. Trovo anche fondamentale il gap year , l’anno sabbatico per gli studenti che terminano un percorso di studi. Due dei miei figli l’hanno fatto. Così i giovani, abituati alla solitudine delle biblioteche e alla comodità della vita borghese, scoprono finalmente la vita".   Rita Querzè ______________________________________________________________________ L’Unione Sarda 19 lug. ’02 NUOVO CORSO DI LAUREA IN SCIENZE SOCIALI I giovani di Cagliari potranno scegliere un nuovo corso di studi. Lo ha istituito la Facoltà di Scienze politiche che, nell’ambito della riforma universitaria, propone una laurea breve in Scienze sociali per lo sviluppo. Dovrà formare i futuri professionisti dello sviluppo culturale e sociale, ancor prima che economico. L’altro obiettivo è accrescere la percentuale dei laureati, appena il 20 per cento degli iscritti. A partire dal primo ottobre, sessanta iscritti alla Facoltà di Scienze politiche di Cagliari potranno tentare di entrare a far parte del corso partecipando all’esame di ammissione. «Niente di preoccupante - assicura Anna Oppo, docente di Sociologia generale e presidente del corso - la prova è molto semplice e serve a selezionare gli studenti più motivati, con i quali cercheremo di instaurare un rapporto di reciproca fiducia e collaborazione». Per l’ammissione al corso saranno valutati anche i titoli acquisiti dagli studenti sino a quel momento, mentre chi è già iscritto a un altro corso potrà chiedere il trasferimento. Far raggiungere la laurea per tempo agli allievi è la scommessa dei 23 docenti che accompagneranno gli studenti nei tre anni di corso. Ventitré materie, appunto, che spaziano dal diritto pubblico alla geografia, passando attraverso l’economia, l’antropologia e l’informatica. Non sarà la solita «didattica ammuffita», assicura Anna Oppo: «La forza del corso sarà l’interdisciplinarietà, attraverso la quale insegneremo a capire come gira il mondo e a valutare le realtà che identificano un Paese, come ad esempio il livello di sviluppo, l’assetto politico e gli indirizzi economici». Nicola Perrotti ______________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 18 lug. ’02 ALGHERO: ARCHITETTURA, LA FACOLTÀ INIZIA A PRENDERE CORPO Fra gli insegnanti, nomi di fama internazionale SASSARI. Architettura è la nuova ricchezza di Alghero, ma anche della Sardegna che ha finalmente la sua facoltà di architettura. Il 23 settembre di quest'anno inizieranno le lezioni della facoltà di architettura dell'università di Sassari con sede ad Alghero con il corso di laurea in architettura e il corso di laurea in pianificazione territoriale, urbanistica e ambientale. Gli studenti hanno tempo per iscriversi, fino al 19 di agosto. La nascita della nuova facoltà, che non è stata condizionata da realtà preesistenti e non è la gemmazione di un corso di laurea simile, si basa su un progetto formativo innovativo, che ha permesso di raccogliere intorno alla nuova facoltà di architettura personalità internazionali. Insegneranno infatti già da quest'anno nella nuova facoltà, oltre ai dieci professori chiamati dall'università di Sassari, architetti di fama internazionale autori di opere prestigiose come Luigi Snozzi, ticinese, già professore nei Politecnici federali di Zurigo, Ginevra e Losanna; l'inglese David Chipperfield, professore ad Harvard, a Graz e a Stoccarda, con studi a Londra, Tokyo, Berlino e New York; la catalana Carme Pinos, professore a Dusseldorf e a Barcellona; Pierre Pinon, uno dei più importanti storici francesi della città e del territorio e professore alla Sorbona; il grafico inglese Alan Fletcher, uno dei fondatori della mitica "Pentagram". Come preludio all'inizio delle lezioni, si terrà dal 20 luglio al 5 agosto 2002, presso la sede della Porto Conte Ricerche a Tramariglio, la scuola estiva internazionale sul progetto ambientale e la pianificazione territoriale, organizzata dal Dipartimento di architettura e pianificazione della facoltà di architettura dell'università di Sassari. La scuola estiva, diretta dai professori Giovanni Macciocco e Dario Cecchini, si inquadra nelle attività di ricerca promosse dalla facoltà e ha la finalità di approfondire alcuni temi di progetto che mirano a studiare il rapporto tra ambiente, insediamento, infrastrutture e attività economiche del territorio. La scuola estiva è organizzata in attività di seminario e di laboratorio e si propone di definire linee di intervento progettuale, sviluppate alla scala territoriale e urbana. I progetti interpreteranno secondo differenti punti di vista le specificità insediative e ambientali del territorio di Alghero: la città turistica, la città della bonifica, la città delle infrastrutture e dei servizi sovralocali. È previsto un programma di conferenze aperte al pubblico cui parteciperanno: Ignasì Perez Arnal (Spagna), Stefano Boeri (Italia), Carlos Castanheira (Portogallo), Valérie Ortlieb (Svizzera), Ignacio Rubiño (Spagna), Luigi Snozzi (Svizzera), Frederick Steiner (Texas). La scuola estiva prelude all'attività didattica dei corsi di laurea della facoltà. ______________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 lug. ’02 PER GLI INSEGNANTI BANDO DI CONCORSO INTERUNIVERSITARIO SASSARI. Le università di Sassari e Cagliari hanno bandito la selezione per l'ammissione alla scuola di specializzazione regionale interuniversitaria per la formazione degli insegnanti della scuola secondaria per l'anno accademico 2002/2003, di durata biennale. I moduli sono disponibili nella segreteria studenti di palazzo Zirulia, in piazza Università, e nella segreteria organizzazione e didattica in via Delle Croci. ______________________________________________________________________ L’Unione Sarda 21 lug. ’02 CAGLIARI: PER LETTERE, È L’ANNO DEL RILANCIO Giulio Paulis, linguista cagliaritano, guiderà da ottobre la Facoltà di “Sa Duchessa” «Con la riforma corsi in aumento e calo dei fuoricorso» Sarà preside dal primo ottobre ma è già dentro la nuova missione: dare ali alla riforma-Berlinguer, rendere più interessante per vecchi e nuovi studenti la Facoltà di Lettere e Filosofia, far comprendere alle matricole che nuovi corsi di laurea come “Lingua e letteratura e cultura della Sardegna” (all’interno della laurea in Lettere) possono creare occupazione. Sfida (sfide) che Giulio Paulis - 55 anni, cagliaritano, dal ’97 professore ordinario di Glottologia a Sa Duchessa dov’è stato presidente del corso di laurea - spera di vincere con l’appoggio dei docenti che, a largissima maggioranza, lo hanno eletto nei giorni scorsi a capo della Facoltà. Prenderà il posto di Paolo Cugusi, ordinario di Letteratura latina. Paulis, prestigio indiscusso di studioso di linguista sarda (percorso accademico da predestinato con approdo naturale: preside nell’Università dove s’è laureato a soli 22 anni), sa bene di dover traghettare verso la “modernità” una Facoltà in affanno. Riconosce: «Fare il preside in questo momento, con l’università coinvolta e sconvolta dalla riforma non è compito facile». La novità, lamentano i detrattori, starebbe distruggendo Lettere e filosofia. «La riforma è dettata da esigenze difficilmente contestabili». Quali? «La durata media degli studi per una laurea in Lettere, secondo un’indagine compiuta all’interno del nostro Ateneo, è di nove anni, di sette anni e sette mesi in Filosofia: siamo ben al di là dei quattro anni previsti». L’età media dei laureati? «In Lettere 28-29 anni per i maschi, 28-26 anni per le femmine. Degli immatricolati a Lettere nel 1990, dopo dieci anni si è laureato il 32,7 per cento». Media bassa? «No, se confrontata con quella dell’Ateneo che è del 27,5. Degli studenti immatricolati nel 1990, il 19 per cento ha abbandonato dopo un anno, il 26,3 dopo due anni, il 31,3 dopo tre anni e il 36,4 dopo quattro: dopo dieci anni il 43,4 per cento». Le cause? «Una ha motivazioni socio-economiche su cui la didattica non può intervenire. La probabilità di abbandono è direttamente proporzionale all’età in cui lo studente si immatricola, motivato spesso da un percorso stentato nella scuola secondaria». Le colpe dell’Università. «Nei dati. Nel 1990 nessuno si è laureato in corso, neppure gli studenti che si sono immatricolati a 18 anni e che si sono diplomati con 60 sessantesimi». La riforma propone due corsi di tre e cinque anni. Per i critici quello breve è un liceo prolungato. «Dipende dalle facoltà. La riforma è stata pensata tenendo conto in particolare delle facoltà di tipo scientifico, dove trasformare in laurea triennale diplomi o corsi che già esistevano è stata un’operazione quasi automatica: si tratta di diplomi universitari che mirano a insegnare a saper fare una cosa. Il caso delle facoltà umanistiche e della facoltà di Lettere e filosofia in modo particolare è diverso: queste hanno tradizionalmente come obiettivo insegnare a saper pensare, danno una formazione aperta in modo che il laureato applichi il metodo di studio anche ad altri settori in modo critico». I fuoricorso. «Numero in diminuzione. Nel 1999-2000 era del 57.6 per cento, nel 2000-01 del 56.7, nel 2001-2002 del 52.3. Nel giro di tre anni sono stati guadagnati cinque punti. Incremento anche del numero di laureati: nel 98-99 sono stati 140 in Lettere, nel ’99-00, 276». La base sociale degli iscritti è cambiata, la facoltà e i docenti ne hanno tenuto conto? «Così come è accaduto nelle altre facoltà, bisogna evitare che ci siano esami che blocchino gli studenti addirittura per anni». Come il Latino? «È stato uno scoglio per molti iscritti, ora in parte superato». Cosa può convincere oggi uno studente di 18 anni a scegliere Lettere o Filosofia? «Chi si iscrive in una facoltà avendo un reale interesse per la materia ha maggiori probabilità di concludere regolamente gli studi». Un diplomato in Ragioneria appassionato di storia o di linguistica sarda può iscriversi con speranze di successo? «Certo, se è veramente motivato. Il 40.4 per cento degli studenti proviene dal classico, il 25.9 dallo scientifico, l’8.9 dalla ragioneria, il 6,7 dall’artistico, il 6,2 dalle magistrali, il 5,1 dal tecnico. L’università deve mettere queste persone nelle condizioni di poter apprendere una disciplina nuova». Lo stato di salute della linguistica sarda «In questo momento è una componente importante degli studi in Sardegna, anche se molti non hanno ancora capito che offre molto anche sotto il profilo occupazionale. Bisogna tener presente un particolare: in ogni caso la laurea in lingua letteratura e cultura della Sardegna è una laurea in lettere che dà gli stessi titoli, le stesse possibilità e gli stessi sbocchi occupazionali. Lo studente laureato in lingua letteratura e cultura della Sardegna ha le stesse opportunità di lavoro di un laureato in lettere moderne e contemporanee». Il sardo a scuola. «Una legge nazionale del 1999 sancisce l’utilizzo nelle scuole materne della lingua sarda, accanto all’italiano, per lo svolgimento delle funzioni educative, e nelle scuole elementari e medie come strumento d’insegnamento». Lingua sarda e lavoro: in quali settori? «Nell’insegnamento ma anche negli enti pubblici, culturali e gestione dei beni ambientali». Pietro Picciau ______________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 21 lug. ’02 PIOGGE ARTIFICIALI, PRONTO A SESTU UN PROGETTO APPOGGIATO DAGLI USA Messo a punto da un ex colonnello dell'Aeronautica militare, affida l'addestramento del personale a uno sponsor americano. Si attende il sì della Regione Luciano Pirroni SESTU. C'è un gruppo di imprenditori dell'isola impegnati da tempo in un progetto «concreto» destinato a combattere la siccità. Può partire dalla Sardegna la stimolazione delle nuvole con inseminazione di cristalli di ioduro d'argento che funziona anche in atmosfera senza nubi. Per provocare la pioggia, i cristalli agiscono come nuclei sui quali si forma il ghiaccio: ingrossandosi, cadono catturando altro vapore. A bassa quota il ghiaccio si scioglie e forma la pioggia. Ora, il via libera del governo spiana la strada. Il programma è ideato e proposto da Renato Iorio, un ex tenente-colonnello dell'Aeronautica militare di 58 anni esperto in meteorologia. Il lavoro, portato avanti dalla "Thor" (Thunder Cloud Office Research), avrà l'appoggio di partner americani: «Le condizioni climatiche e meteorologiche dell'isola consentono di attuare il progetto - spiega Iorio -. Con l'intervento sul Gennargentu saremo in grado di alimentare il bacino del Flumendosa. La postazione radar è già localizzata in una zona collinare di Sestu». Costi stimati in 15 milioni di euro in cinque anni, tra 15 e 20 gli addetti alla équipe operativa. «Con il sì della Regione - afferma l'esperto - potremo cominciare in pochi mesi. La tecnica della stimolazione artificiale può fornire un grande contributo contro la desertificazione dell'Isola». «Non sempre le formazioni cariche d'acqua provocano precipitazioni, anzi spesso si dissolvono. Il sistema prevede che le nubi si tramutino in pioggia per un incremento ipotizzato del 20%». Servono un aereo, radar e personale di alta professionalità. «Il metodo - elenca Iorio - è stato adottato in alcuni Stati degli Usa, Israele e Australia. Il nostro obiettivo è l'estensione del progetto in tutta la regione. Dopo la sperimentazione sul Gennargentu, saremo in condizioni di farlo con l'aumento delle risorse». Il progetto è stato presentato nei giorni scorsi in un convegno su agricoltura ed emergenza idrica a San Sperate. Il metodo è stato promosso. Il sindaco Gesuino Mattana è stato uno dei primi a sollecitare il provvedimento della pioggia artificiale: «Mi auguro - ha detto - che si possa cominciare presto, lo richiedono le condizioni drammatiche in cui versano le campagne, fondamentale risorsa dell'economia dell'isola. Sarà importante che la base del sistema operi in Sardegna». La situazione ambientale è disastrosa e il rischio della desertificazione incombe. È spiegato nel programma: «La Sardegna, in particolare la parte meridionale, soffre sempre di crisi idriche pluriennali, le precipitazioni sono progressivamente diminuite negli ultimi decenni, mentre i consumi sono aumentati in maniera esponenziale sia per le migliori condizioni di vita, sia a causa dell'accresciuto fabbisogno dell'industria, dell'agricoltura e del turismo. A questo si aggiunga la deforestazione e gli invasi sempre più a livelli di guardia». Da queste considerazioni nasce il progetto, che si avvale del sostegno di una società americana: «Il compito del partner d'Oltreoceano - spiega Renato Iorio - sarà la preparazione e l'addestramento del personale, una garanzia per la riuscita del sistema». ______________________________________________________________________ Il Sole24Ore 21 lug. ’02 CNR CONTRO LA PIOGGIA ARTIFICIALE Siccità - I meteorologi del Cnr dubitano sull'efficacia del piano del Governo per le precipitazioni In vista il riutilizzo irriguo delle acque di scarico, a giorni sbloccati i finanziamenti per i dissalatori ROMA - È polemica sulla realizzazione del progetto Pioggia artificiale che il Governo vuole finanziare con 9 milioni di euro per aumentare la piovosità in Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna. A prendere le distanze sferrando attacchi sulla validità del progetto sono i ricercatori dell'Istituto di biometeorologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), secondo i quali gli effetti positivi della pioggia artificiale sono tutti da dimostrare. Riferendosi in particolare al progetto Pioggia sperimentato a Bari e Canosa dalla Tecnagro dal 1988 al 1994, i ricercatori hanno sostenuto che v'è «assoluta assenza di qualsiasi effetto riconoscibile». Nel dettaglio il direttore dell'istituto, Giampiero Maracchi, ha precisato che «esiste una lunga esperienza scientifica, soprattutto con esperimenti condotti in Israele, che hanno portato a conclusioni contrastanti», aggiungendo che «anche nelle migliori delle ipotesi, gli stessi sperimentatori hanno riconosciuto il carattere episodico e circoscritto degli effetti». Insomma, poiché «molti ricercatori e meteorologi italiani - sostiene Maracchi - ritengono che i risultati non siano ancora maturi per il trasferimento, impulso e risorse dovrebbero essere investiti nella valutazione rigorosa degli effetti prima che su piani operativi». Ma non solo i tecnici hanno mostrato perplessità sulla validità del progetto. Anche Luca Marcora, responsabile agricolo della Margherita, ricorda che riserve in tal senso erano state avanzate da studiosi delle Università di Toronto, Rochester, Salonicco e Tel Aviv; per cui, al momento, sarebbe forse più conveniente - afferma Marcora - che il Governo utilizzasse le risorse per far produrre acqua dissalata (che certamente arriverà alle popolazioni), mentre col Progetto pioggia si potrebbe correre il rischio di non farla arrivare. Il Programma acqua - elaborato dal ministro dell'Ambiente, Altero Matteoli, e valutato positivamente dal Consiglio dei ministri venerdì scorso con la promessa di immediato finanziamento di 9 milioni - spiega al capitolo "stimolazione della pioggia" che il ciclo di sperimentazione effettuata in Puglia nel periodo 1993-97 ha evidenziato un incremento di circa il 40% delle precipitazioni sulle zone oggetto di intervento. Un risultato non trascurabile - ha sempre sostenuto la Tecnagro - visto che in Israele, dove sono state messe a punto le tecnologie, l'incremento medio della piovosità è stato del 10-15 per cento. Il che giustifica, secondo Matteoli, non solo l'avvio di tale attività in Puglia, Sicilia, Sardegna e Basilicata ma anche il proseguimento nel tempo fino a far diventare "permanenti" gli interventi. Ma accanto a tale soluzione e agli eco-incentivi per i dissalatori (che diventeranno operativi dalla settimana prossima con un'ordinanza di Protezione civile), il pacchetto delle misure suggerite da Matteoli prevede, tra l'altro, il riutilizzo irriguo delle acque di scarico depurate, l'individuazione di falde profonde, la realizzazione dell'acquedotto Abruzzo-Puglia, la razionalizzazione dell'uso irriguo e l'ammodernamento delle reti. Ieri il presidente della Basilicata, Filippo Bubbico, ha chiesto al Governo di modificare la parte del decreto "omnibus" che attiene all'agricoltura. Maria Rita Lorenzetti, presidente della Regione Umbria, ha invece espresso delusione per gli interventi adottati, perché difformi da quelli concordati con le Regioni. Michele Menichella ______________________________________________________________________ Il Messaggero 15 lug. ’02 IL MIRACOLO DEL DESERTO FIORITO? IN ISRAELE È SOLO UN RICORDO A Tel Aviv si corre ai ripari: un piano per la costruzione di desalinizzatori e nuove tecniche per catturare l’acqua piovana di ERIC SALERNO GERUSALEMME - Ricordate quelle storie su Israele che faceva fiorire il deserto, sulla straordinaria agricoltura senz'acqua? Tutte vere, tutte superate. L'acqua manca in Israele, colpa, almeno in parte, della sua gestione da parte della autorità. E' vero che la popolazione della Palestina - quella terra che comprende Israele, Cisgiordania e Gaza - si è moltiplicata negli ultimi settant'anni anni passando da 700 mila a quasi 10 milioni. Ed è vero che la crescita delle due società, israeliana e palestinese, ha messo a dura prova le falde acquifere e ciò che arriva con il fiume Giordano e i suoi tributari ma è vero anche che manca da sempre un piano di conservazione e di ottimizzazione delle riserve. Se ne parla da anni perchè la vicenda rientra nel conflitto tra le due comunità. Israele occupando la Cisgiordania e le alture del Golan dirotta enormi quantità di acqua verso le sue città "prosciugando" le fonti e limitando le disponibilità per gli arabi. Nel dicembre scorso un gruppo di parlamentari israeliani in rappresentanza di quasi tutti i partiti si sono riuniti all'Università di Bar Ilan a Tel Aviv per mettere a punto un piano per risolvere i problemi idrici. Non si sono occupati della questione palestinese anche se altri ricercatori dell'Università, noti per le loro posizioni di destra, hanno messo in guardia i vari governi dal restituire i territori occupati e con essi le falde. Queste e altre considerazioni fanno parte di un progetto di studio intitolato: "Utilizzazione efficiente di risorse idriche: trasformare Israele in un paese modello". Come migliorare la situazione? Il piano suggerito dai parlamentari è ancora solo uno dei tanti documenti pubblicati in questi anni e rimasti lettera morta ma vale la pena di elencarne i sei punti: mettere in pratica misure d'urgenza costruendo impianti di desalinizzazione e con l'importazione di acqua dalla Turchia; mettere fine alla politica di fornire acqua a prezzi bassi all'agricoltura e fornire, invece, incentivi ai contadini perchè facciano un consumo più accorto delle risorse; adottare le tecnologie più moderne per utilizzare acqua riciclata e per "catturare" l'acqua piovana; far pagare l'acqua a prezzi di mercato per incoraggiare la conservazione delle risorse e incoraggiare l'uso di acque riciclate a costo più basso; preservare le risorse idriche del paese utilizzando sempre più quelle importate e prodotte con gli impianti di desalinizzazione; lanciare una seria campagna per educare il pubblico nella conservazione dell'acqua. Vanno creati incentivi per favorire la conservazione da parte di individui, industrie, comunità agricole e città. ______________________________________________________________________ L’Unione Sarda 19 lug. ’02 SERVIZI IN RETE, PARTE LA SFIDA NELL’ISOLA Il piano per l’informatizzazione è al vaglio del Governo Le imprese vincitrici realizzeranno il progetto entro 2 anni La Sardegna cammina veloce lungo la strada dell’informatizzazione. Riuniti in un unico tavolo, esperti, enti, imprenditori, artigiani, stanno mettendo a punto il piano dell’e-government regionale. Entro due anni il consorzio di imprese che ha vinto la gara (Accenture, Tiscali, L’Unione editoriale e Bps Riscossioni) realizzerà il progetto, ora al vaglio del Governo. L’obiettivo è quello di semplificare la vita dei cittadini nei rapporti con le amministrazioni. Cioè, ad esempio: pagare l’Ici on line, sapere a che punto è la domanda per il mutuo della casa, firmare gli atti elettronicamente, avere rapporti virtuali con i funzionari degli Enti, ottenere certificati stando a casa davanti al computer, consultare l’anagrafe della popolazione, delle imprese, del territorio, e così via. Per questa prima fase ci sono 6 milioni di euro di fondi della Regione. Una seconda fase, per la quale saranno utilizzati altri 90 milioni di euro del Por 2000-2006, riguarda una serie di progetti di nicchia, presentati dalle associazioni di aziende che hanno partecipato alla gara: Telecom, Krenesiel e Finsiel; Ericsson; Ap System e Arionline; Sidi; Ibm, Atlantis, Athena, Sistemi informativi e Selfin; Roland Berger, Quim, e I&T; KSolutions, Kataweb, Infocamere, Sun Microsistem e Sinergie; Eds Italia, Fst e Vox. «Il processo di innovazione nella Pubblica amministrazione è partito nel ’98, con il Piano telematico, che prevedeva interventi iniziali ridotti, mirati in linea di massima soltanto all’amministrazione regionale», ha spiegato Pietrino Fois, assessore degli Affari generali. «La Società dell’informazione si propone di proiettare su tutto il territorio e a tutti i livelli il Piano. A questi due momenti si aggiunge l’attuazione dei progetti di e-government proposti dal Dipartimento per l’innovazione e la tecnologia». Una tappa che vede coinvolti Regione, Province, Comuni, Comunità montane, Università, imprese. Le fondamenta sono state gettate nell’aprile scorso ad Alghero, durante un Forum che ha dato vita al disegno complessivo e alle proposte sugli intreventi da realizzare. La rielaborazione di tutto quel materiale, a cura dell’assessorato, sta per essere inviato alla Giunta per la scelta degli indirizzi tecnico-politici e l’approvazione finale. La terza e ultima fase si concluderà quando l’Isola sarà finalmente informatizzata, in Rete, dalle città alle campagne, dalle coste ai monti, con una pubblica amministrazione «radicalmente nuova», integrata con le analoghe iniziative del resto d’Italia e d’Europa. Per completare questa fase sono previsti finanziamenti dei progetti (fino al 50%) del Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie. Uil-dipendenti regionali. Il sindacato sollecita un incontro al presidente della Giunta regionale e al direttore generale per fare il punto sulla situazione del servizio informatico. La Uil denuncia «la forte preoccupazione che le effettive potenzialità operative del servizio e dei dipendenti vengano sottovalutate», e propone che le organizzazioni sindacali della Regione «vengano coinvolte nelle riunioni tenute in questo periodo dal direttore del Servizio con i funzionari della società Accenture, per assicurare trasparenza e qualità del lavoro». =========================================================== ______________________________________________________________________ L’Unione Sarda 19 lug. ’02 A MEDICINA LAUREE RECORD Eccezionale sessione di laurea in medicina e chirurgia Cagliari. Laureati in medicina a tempo di record e col massimo dei voti. Ieri l'ula magna della clinica Aresu ha ospitato la prima sessione di laurea in medicina e chirurgia per l'anno accademico 2001-2002. Otto laureati in corso nella prima sessione di esami. Per la facoltà di medicina è un record. Di questi “fuori classe” due, Simona Campus e Ferdinando Pinna, ieri hanno preso la lode, la menzione, l'abbraccio accademico e una medaglia per coronare un successo fuori dal comune. Gli altri due laureati in corso di ieri sono Valeria Piredda (110) e Daniela Podda (110 e lode).Oggi si laureano in corso anche Valeria Matta, Diana Angius, Valeria Laconi e Marcello Campagna. Il segreto di questo successo secondo i neo dottori è semplice: impegno, studio e passione. «Con la riforma alcune materie sono state raggruppate e il numero di esami è diminuito», spiega il presidente della commissione di laurea Amedeo Columbano. (a.g.) ______________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 19 lug. ’02 Una laurea a tempo di record CAGLIARI. Laureati in medicina a tempo di record e col massimo dei voti. L'aula magna della clinica Aresu ha ospitato la prima sessione di laurea in medicina per l'anno accademico 2001-2002. E tra i nuovi 61 medici alcune straordinarie performance. In otto si sono laureati nei sei anni previsti e fra loro due (Simona Campus e Ferdinando Pinna) hanno hanno ottenuto 110/110 con lode, menzione speciale e abbraccio accademico. Per l’eccezionale risultato hanno ricevuto anche una medaglia e una pergamena dal Rettore pasquale Mistretta e dal presidente del corso di aurea Amedeo Columbano. ”Dedico la laurea a mio padre morto due anni fa. Il segreto? Solo tanta forza di volontà” ha detto commossa Simona Campus, 24 anni, di Lanusei. “E’ stata dura ma ora la gioia è tanta e devo ringraziare il reparto di chirurgia del Binagli” ha commentato Ferdinando Pinna. “Laurearsi in sei anni con queste votazioni è come correre i 100 metri in meno di 10 secondi: un record. Questi ragazzi sfatano le leggende sui laureati in dodici anni e sui professori che non riescono a gestire degnamente corsi e attività di ricerca”, è stata la conclusione di Pasquale Mistretta. ______________________________________________________________________ Il Messaggero 16 lug. ’02 LE RICETTE DIFFICILI DELLA SANITÀ di ALESSANDRO BARBANO DOPO il ticket sui farmaci, ecco la vendita degli ospedali ai potenziali pazienti, attraverso l’emissione di obbligazioni: la Regione le sta tentando tutte per rimettere in sesto i bilanci in rosso della Sanità laziale. Ma la partita è in salita, poiché le riforme, nel passaggio complesso dalle parole ai fatti, si assottigliano come la portata di una condotta idrica piena di buchi, per fare un esempio di stagione. Il motivo è presto detto: la Sanità pubblica è bifronte: per metà amministrazione a caccia di efficienza, per metà politica abituata a dare risposte sociali con il proprio portafoglio. Così, a distanza di due anni, il deficit è ancora pesante e molti progetti annunciati stentano a decollare. Pensiamo, per esempio, al ridimensionamento del Policlinico, con i suoi 150 primari giudicati inutili dal direttore generale Longhi, e altrettanti reparti con tre o quattro posti letto, la cui produttività è vicina allo zero: l’intesa firmata tra Regione, Università e sindacati per guarire il gigante malato è ancora un quaderno di buone intenzioni. Non sarà un caso che l’assessore al ramo, Saraceni, lasci già intendere di voler "dimissionare" gran parte dei manager da lui scelti appena due anni fa. Ma ci sono altri due ostacoli alle cure dimagranti imposte dai governi nazionali e locali: da una parte l’invecchiamento della popolazione e la sua crescente morbilità; dall’altra l’introduzione massiccia delle tecniche più sofisticate nella diagnosi e nella terapia di molte malattie. Quest’ultimo fenomeno ha avuto l’effetto di proiettare la Sanità in un futuro sempre più carico di aspettative di guarigione e, nello stesso tempo, di vanificare qualunque economia studiata sullo "statu quo“. La storia della Sanità pubblica laziale di questi ultimi due anni lo dimostra: aumentando l’efficienza non sempre si risparmia, poiché la domanda di salute, che il servizio pubblico copre, cresce insieme con le speranze e i bisogni che la diffusione della cultura tecnologica progressivamente accredita e legittima. Non sarà un caso che il ministro della Sanità francese, Mattei, in un’intervista di due giorni fa a Le Monde, abbia pensato di proporre, di fronte ai conti in rosso del suo Dicastero, una rivoluzione culturale di sapore socialista: «La Salute non si tocca», ha detto, lasciando intendere che la borsa non si stringe ma piuttosto si allarga l’indulgenza della politica. Almeno finché Maastricht chiuderà un occhio... ______________________________________________________________________ Il Messaggero 19 lug. ’02 SUL PRONTUARIO FARMACEUTICO SI RIAPRE LO SCONTRO ROMA - Di Sanità, nel decreto Omnibus, si parla all’articolo 9. In particolare, di farmaci. Dei sistemi previsti a tempi brevi per razionalizzare la spesa. La strada scelta, come annunciato anche nel Dpef, è quella di una rivisitazione del prontuario farmaceutico. Della lista, cioè, dei medicinali che vengono "passati" dal servizio sanitario nazionale. La Cuf, commissione unica del farmaco, entro il prossimo 30 settembre dovrà redigere una nuova lista dei prodotti rimborsabili. Questa, come si legge nel Dpef, sarà fatta «sulla base di citeri di costo-efficacia in modo di assicurare, su base annua, il rispetto dei livelli di spesa programmata nei documenti contabili vigenti di finanaza pubblica, nel rispetto dei livelli di spesa definiti nell’accordo tra governo, Regioni e Province autonome». A parità di efficacia sarà quindi garantito gratuitamente (o solo con il pagamento del ticket dove la piccola tassa è prevista) che costerà meno. Rompendo così l’ammissione diretta alla rimborsabilità sul criterio delle categorie omogenee. Dure le critiche di Farmindustria. E ieri anche dei Verdi. Luana Zanella, componente della commissione Affari sociali, definisce l’articolo 9 del decreto Omnibus «un altro colpo contro il sistema sanitario nazionale». «Segnando - aggiunge Zanella - il definitivo abbandono dei malati cronici, degli oncologici, di chi è affetto da malattie rare e degli anziani non autosufficienti. I criteri di salute vengono sostituiti con quelli più specificatamente ragionieristici». Le stime degli esperti del ministero della Salute prevedono per i taglio dei medicinali più costosi (la spesa farmaceutica non potrà superare il 13% degli stanziamenti destinati alla salute) un risparmio di tre mila miliardi di vecchie lire all’anno. La Corte dei Conti proprio nei giorni scorsi ha tirato fuori le cifre: la farmaceutica nel 2001 è arrivata al 15,8% della spesa sanitaria globale (anziché fermarsi, appunto, al 13%) e il personale ha assorbito il 35,6% delle risorse, confermandosi come la voce di maggior peso percentuale nella composizione delle uscite per la salute. ______________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 21 lug. ’02 P. MORITTU: «PRESIDENTE PILI, CI DIA UN ASSESSORE MIGLIORE ALLA SANITÀ» l.a. CAGLIARI. Dacci oggi il nostro pane quotidiano. E, possibilmente, un nuovo assessore regionale alla Sanità. Suona più o meno così l'invocazione che Padre Salvatore Morittu - frate francescano da oltre vent'anni impegnato nel sociale - da qualche tempo a questa parte sta elevando al Padreterno. Un altro genere di invocazione (più politica per i contenuti ma, conoscendo il sacerdote di Bonorva, senza fini personali) l'ha fatta al presidente della Regione, Mauro Pili, dalla prima pagina dell'ultimo numero di "MappaMondo X", il bimestrale che da tre anni porta in tremila copie le notizie sull'attività delle comunità dell'associazione "Mondo X Sardegna" (da lui fondata nel 1980) e ragiona sulle problematiche legate alle tossicodipendenze. Padre Morittu, dopo aver ricordato le recenti celebrazioni del ventennale della fondazione della comunità di S'Aspru (Siligo), rivolge un appello al capo dell'esecutivo: «Si dice che ci sarà un rimpasto nel governo regionale: al presidente Mauro Pili non chiedo che stanzi soldi per i tossicodipendenti. Chiedo un ennesimo gesto di coraggio: dacci un assessore alla Sanità che sappia ascoltare i bisogni del mondo delle tossicodipendenze, che sappia attivare risorse umane dal suo assessorato e che sia di stimolo a tutto il governo regionale. Non basterà per risolvere il problema, ma intanto basta per cominciare a fare la propria parte». In otto righe, Padre Morittu lancia una bordata all'assessore Giorgio Oppi, da molti ipotizzato alla guida dell'assessorato all'Ambiente, nel caso di un rimpasto in giunta. Il frate, stimato - e non solo in Sardegna - per la sua trasparenza, ma anche per la serietà e la sobrietà negli interventi, certamente non ha alcunché di personale nei confronti di Oppi. Il quale, probabilmente, è soltanto l'ultimo di una lunga lista di politici sardi che non ha affrontato in maniera energica il problema delle tossicodipendenze. E men che meno lo ha risolto. Il settore attraversa un periodo estremamente delicato. Al punto che, nello stesso editoriale, Padre Morittu ragiona così: «Ci si affida alla generosità di pochi "samaritani" sia del pubblico che del volontariato, ma si sommerge sotto un colpevole silenzio la mancanza di progettazione circa il futuro. I morti per la droga, i detenuti per la droga, i ricoverati in ospedale per la droga, gli sbandati per la droga, le famiglie frantumate per la droga: non hanno peso, non hanno potere, ci commuovono ma non muovono a porre rimedio». E ancora: «Manca la riflessione politica e la conseguente stesura di linee programmatiche idonee per la nostra realtà sarda. Abbiamo un patrimonio di esperienza ventennale maturato sia dagli operatori delle strutture pubbliche che del privato-sociale, ma lo si sta sterilizzando con un colpevole processo di rimozione. Ne parleremo. Ma quando? Decideremo. Ma quando?». È un'analisi spietata ma pragmatica, frutto di un'approfondita conoscenza dell'argomento e di un dato inconfutabile, che parla a favore del frate di Bonorva: Padre Morittu non ha mai voluto legarsi ai politici e alle loro prebende. Dunque non deve niente a nessuno e può parlare liberamente ______________________________________________________________________ L’Unione Sarda 17 lug. ’02 L’ULIVO SARDO CONTRO LA RIFORMA SIRCHIA e gli “esclusi” protestano Netta opposizione alle iniziative del Governo in materia sanitaria definite la «controriforma Sirchia». L’Ulivo, anche in Sardegna, si è schierato compatto contro la reintroduzione dei ticket, la privatizzazione dei servizi e la riproposizione delle mutue che creeranno - è stato sottolineato lunedì a Cagliari, nell’ambito della giornata nazionale di mobilitazione - nuove sperequazioni tra cittadini ricchi e poveri mettendo a rischio i principi di universalità e di globalità che devono caratterizzare gli interventi in difesa della salute pubblica. È stato auspicato con forza l’istituzione di un fondo speciale destinato ad eliminare il gap esistente che in caso contrario sarà destinato ad aumentare tra Regioni forti e deboli con particolare riferimento a quelle del Mezzogiorno. I parlamentari dell’Ulivo si faranno promotori di un’apposita iniziativa in Parlamento. Ma l’incontro di lunedì - al quale hanno partecipato il responsabile regionale del Dipartimento Sanità dei Ds Massimo Dadea, i consiglieri regionali Paolo Fadda (Ppi), Carlo Dore (Democratici), Mondino Ibba (Su) ed Emanuele Sanna (Ds), Umberto Siccardo, presidente del Tribunale del malato e rappresentanti delle associazioni dei medici - ha suscitato la protesta del vice presidente della commissione consiliare Sanità Ivana Dettori e del componente della commissione Nazareno Pacifico. «L’Ulivo - è scritto in una nota firmata anche dal segretario regionale del Pdci Antonio Zidda, dal coordinatore regionale dei Verdi Paolo Rossetti e dalla responsabile provinciale dell’Italia dei Valori Rina Salis - non si esaurisce nella ristretta cerchia presente alla conferenza stampa. Le iniziative che si assumo in suo nome non possono essere segnate da una logica particolaristica e di esclusione. Nel precisare che l’iniziativa è giustificata perché il governo di centrodestra sta smantellando il sistema sanitario nazionale, nella nota si sottolinea che «la sanità non è materia di discussione riservata a pochi ma riguarda partiti non presenti alla conferenza stampa, cittadini, associazioni e movimenti». ______________________________________________________________________ Il Sole24Ore 17 lug. ’02 ACCORDO UE SUL TELELAVORO Intesa-pilota tra le parti sociali (DAL NOSTRO INVIATO) BRUXELLES - Via libera a una cornice di regole comuni per circa 4,5 milioni di lavoratori europei che svolgono la loro attività da casa o da uffici periferici con mezzi elettronici. I rappresentanti delle organizzazioni confindustriali e sindacali europee hanno siglato ieri a Bruxelles l'accordo-quadro sul telelavoro, alla presenza del commissario europeo agli Affari sociali, Anna Diamantopoulou. Punto chiave dell'accordo è il riconoscimento che il televoratore deve beneficiare della stesse forme di protezione del dipendente che svolga la sua attività nella sede principale. Vengono, tuttavia, presi in considerazione adattamenti e specificità del lavoratore distaccato riguardanti protezione dati, privacy, sicurezza, organizzazione del lavoro e formazione. L'intesa dovrà essere recepita entro tre anni nelle varie realtà nazionali. In linea di principio, i partner sociali europei si sono impegnati a incoraggiare lo sviluppo del telelavoro in modo da garantire congiuntamente flessibilità e sicurezza, cercando di migliorare la qualità dell'attività lavorativa. Il nuovo regime si applicherà a tutti i lavoratori dipendenti - a prescindere dalla durata del contratto - che svolgono la loro attività fuori dalla sede dell'impresa per via telematica. Un esercito in continua espansione. Alcune stime prevedono che i telelavoratori in Europa siano destinati ad aumentare dagli attuali 4,5 milioni a circa 17 milioni entro il 2010. Ma già adesso se al numero complessivo del lavoratori salariati si aggiungono anche i telelavoratori indipendenti(impegnati in attività free-lance o di consulenza) si superano i 10 milioni. Nei Paesi scandinavi un lavoratore su dieci svolge attività a distanza, mentre in Italia uno su 25. «Abbiamo adottato uno strumento flessibile e adeguato - ha osservato il presidentedell'Unice (l'associazione delle Confindustrie europee), Georges Jacobs - che tutela sia coloro che vengono assunti direttamente per svolgere attività di telelavoro, sia i dipendenti che nel corso della loro carriera sceglieranno o saranno chiamati ad adeguarsi a questa importante nuova area del mondo del lavoro». L'accordo prevede che un lavoratore possa rifiutare di passare al telelavoro, se questo non è incluso nella descrizione originaria della sua attività, ma anche il datore di lavoro mantiene il diritto di rifiutare la richiesta di un dipendente di passare al teleworking. Il segretario generale del Ces (l'organizzazione sindacale europea), Emilio Gabaglio, ha osservato che «ogni Paese ora si affiderà al dialogo sociale nazionale per concretizzare l'intesa» e ha ricordato che l'Italia è uno dei pochi Paese a sviluppare già un accordo quadro nazionale. È la quarta volta che le parti sociali raggiungono un accordo-quadro, dopo le intese su congedo parentale, part-time e lavoro a tempo determinato, ma è la prima volta che l'applicazione sarà volontaria e non demandata a una direttiva. «Si tratta di un accordo storico - ha osservato la Diamantopoulou - che avvantaggerà sia i lavoratori che le imprese. È il primo accordo che sarà realizzato dalle stesse parti sociali e segna l'avvento di una nuova era nel dialogo sociale europeo». Enrico Brivio ______________________________________________________________________ La Stampa 15 lug. ’02 L´ISOLA DI ATLANTIDE? ESISTE, È LA SARDEGNA TRA SCIENZA E MITOLOGIA LA CONFERMA POTREBBE VENIRE DA UN SONDAGGIO DI TIPO GEOLOGICO NELLA VALLE DEL CAMPIDANO SONO secoli che studiosi, filosofi, scienziati e letterati tentano invano di ricollocare il mitico continente di Atlantide nella geografia interpretando ora Platone ora le leggende mediterranee che ne hanno fatto il proprio fulcro, e sono secoli che ogni tentativo viene frustrato da mancanza di prove concrete o anche solo di indizi, testimonianze, idee. Sembra che oggi una nuova luce possa essere gettata su questo mito e sulla nostra stessa genesi come popolo italico. In questa svolta giocano un ruolo da protagoniste l'archeologia e la geologia - oltre alla rivisitazione storica e filologica - in un recupero del metodo scientifico come approccio risolutivo anche per le questioni apparentemente solo umanistiche o sociali. Di volta in volta l'isola di Santorini, le isole britanniche, le Azzorre e le Canarie (e di recente persino l'arcipelago nipponico o le coste turche) sono stati i luoghi indicati come gli ultimi retaggi del continente perduto di cui parla Platone nel «Crizia» e nel «Timeo». Protetta da mura circolari di metallo e dotata di grande disponibilità di beni naturali, beneficiata da raccolti tre volte all'anno e da minerali preziosi del sottosuolo, Atlantide era una terra promessa situata al di là delle Colonne d'Ercole. Già, ma dove erano quelle mitiche colonne 2000 anni fa? Oggi tutti le collocano a Gibilterra, ma le analisi dei testi che precedettero la nuova geografia di Eratostene - il primo a destinarle fra Spagna e Marocco - dimostrano che c'era molta confusione su dove piazzare i limiti del mondo quando la geografia non la facevano ancora i greci, ma i fenici e i cartaginesi, eredi di quegli antichi popoli del mare di cui si erano perdute le tracce dopo un avvenimento catastrofico (Atlantide non si è a un certo punto clamorosamente inabissata?). La geologia dei fondali del Mediterraneo a questo proposito parla tanto chiaro che anche un non geologo, ma giornalista e archeologo come Sergio Frau - autore del libro «Le colonne d'Ercole, un'inchiesta», appena pubblicato da NUR-Neon di Roma - ha potuto notare che c'è una sola zona che poteva fungere da confine del mondo conosciuto prima che i commerci si spingessero più a Occidente, la sola che possedesse quei fondali insidiosi, e soprattutto limacciosi e costellati di secche, che gli antichi indicavano come Colonne d'Ercole, il Canale di Sicilia. Lo stretto di Gibilterra ha fondali profondi più di 300 metri e non c'è mai stato fango laggiù: come potevano sbagliarsi i tanti che avevano chiaramente descritto il canale di mare fra Sicilia e Tunisia? E se le Colonne d'Ercole erano davvero al largo della Sicilia quando Platone scriveva, perché Atlantide avrebbe dovuto essere alle Canarie o a Santorini? I geologi avevano già escluso da tempo l'isola cicladica per via delle prove paleomagnetiche: i manufatti in terracotta dell'antica Thira (Akrothiri) si comportano come argille naturali in cui i granuli magnetici normalmente presenti si riorientano parallelamente al campo magnetico terrestre se riscaldati al di sopra di una certa temperatura (come quella dei forni in cui venivano cotti o di incendi). Confrontando quei dati con quelli provenienti dell'eruzione spaventosa di Santorini (XVI secolo prima di Cristo) si è escluso che la distruzione della civiltà minoica potesse essere contemporanea ai maremoti conseguenti a quella catastrofe, e dunque che Atlantide potesse coincidere con la Creta dei palazzi di Cnosso. Ma al di là di quelle Colonne ora ricollocate c'è un'isola che ha un clima straordinario - capace di dare più raccolti in un anno -, che è ricchissima di metalli e che è stata abitata per lungo tempo da un popolo che costruiva torri (i nuraghes dei Tirreni) e che forse è fortemente imparentato con gli Etruschi e con i Fenici e i Cartaginesi. Un'isola che poteva costituire un forziere naturale molto più vicino della lontana Spagna cui, chissà perché, dovevano preferire arrivare i naviganti del Libano e della Libya. Un'isola da tenere tanto segreta da farla quasi sparire dalle rotte, una specie di riserva naturale da oscurare nella notte del mito, un'idea di terra promessa che avrebbe potuto chiamarsi Atlantide. Quell'isola si chiama Sardegna e numerosi riscontri archeologici mostrano come sia stata repentinamente abbandonata attorno al 1178-1175. I nuraghes della costa sarda meridionale e occidentale, quelli a quote basse, sono tutti distrutti, capitozzati, con le grandi pietre gettate a terra, mentre quelli contemporanei della Sardegna settentrionale sono ancora oggi in piedi: sono possibili terremoti o maremoti in un'isola da sempre ritenuta tranquilla da un punto di vista tettonico? La geologia potrebbe tentare una risposta decisiva attraverso sondaggi opportuni nella valle del Campidano, vicino ai nuraghes ricoperti da una melma fangosa che ha tutta l'aria di essere un residuo di un'inodazione, o, addirittura, di un maremoto. In tutto il mondo le rocce di maremoto (tsunamiti) permettono di riconoscere le catastrofi del passato. Se tutto ciò trovasse ulteriori conferme, molte idee andrebbero cambiate: la storia e l'archeologia del Mediterraneo rischiano di essere stravolte in una nuova visione del mondo antico, la cui origine sarebbe più vicina di quanto si pensava. [TSCOPY](*)Centro di Studio per il Quaternario, Cnr, Roma Mario Tozzi (*) ______________________________________________________________________ Le Scienze 19 lug. ’02 LA PROTEINA DELLO SVILUPPO DEL CERVELLO Potrebbe funzionare come un interruttore che indica alle cellule se devono continuare a dividersi o fermarsi Alcuni ricercatori del Beth Israel Deaconess Medical Center hanno identificato una proteina che potrebbe spiegare la notevole differenza di estensione che sussiste fra la corteccia cerebrale degli esseri umani e quella delle altre specie animali. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sull'ultimo numero di "Science". "In questo studio abbiamo analizzato lo sviluppo della corteccia cerebrale, la sede del nostro intelletto, e il ruolo che vi svolge la proteina beta catenina" spiega Christopher A. Walsh, che ha diretto ilgruppo di ricerca. E aggiunge: "La corteccia è la più grande struttura del cervello": in uno strato appena più spesso della buccia di un'arancia essa ospita infatti i due terzi dei 100 miliardi di neuroni del cervello. Per poter essere ospitata nel cervello, la corteccia è ripiegata su se stessa in una serie di circonvoluzioni, che danno al cervello il suo caratteristico aspetto. Lo sviluppo della corteccia è stimolato dalla divisione di cellule che sono precursori dei neuroni. A differenza delle cellule di altri tessuti, quelle del cervello smettono però di dividersi prima della nascita. Lo studio israeliano ha esaminato il ruolo, in questo processo, della beta catenina, una proteina presente in vari tessuti del corpo - e che appare attivata anche nei tumori - la cui funzione non è mai stata chiarita. Per capire se l'attivazione della beta catenina può regolare i segnali fra i neuroni del cervello, i ricercatori hanno creato un gruppo di topi transgenici in cui si ha una sovraproduzione della proteina nelle cellule precursori dei neuroni. Il risultato è stato impressionante: questi topi hanno una corteccia cerebrale particolarmente estesa e ripiegata su se stessa, molto simile a quella degli esseri umani. Secondo i ricercatori, la proteina potrebbe funzionare come un interruttore, che segnala alle cellule se devono continuare a dividersi o fermarsi, regolando così la crescita della corteccia. Lo stesso meccanismo potrebbe spiegare il collegamento fra la proteina e i tumori. ______________________________________________________________________ Le Scienze 18 lug. ’02 IL PERICOLO DEI CAMPI ELETTROMAGNETICI Alcuni studi avevano già suggerito un'associazione fra esposizione ai ELF-EMF e prevalenza della leucemia In Italia, come nel mondo, è in atto un'accesa controversia sugli effetti sulla salute dei campi elettromagnetici a frequenza estremamente bassa (ELF-EMF), come quelli emessi dalle linee ad alta tensione. Alcuni studi suggeriscono un'associazione fra esposizione ai ELF-EMF e prevalenza della leucemia, anche se ci sono pochissime prove che i campi possano causare un danno alle molecole biologiche. Un nuovo studio, pubblicato sulla rivista "Cancer Cell" International, ha però ora presentato prove sperimentali che mostrano che gli ELF-EMF hanno effetti pericolosi sul processo di divisione cellulare, almeno in cellule già danneggiate dalle radiazioni. La divisione cellulare e il ciclo di crescita dipendono da due eventi. Il primo è la duplicazione del materiale genetico della cellula, mentre il secondo è la separazione in due cellule figlie. Questi passaggi sono separati da due pause, la prima avviene prima della fase di sintesi del DNA (G1) e la seconda prima della divisione vera e propria delle cellule (G2). L'attesa in G1 impedisce ale cellule di duplicare il DNA se le condizioni non sono favorevoli, mentre la seconda ferma la divisione se si è verificato un danno ai cromosomi. Quando le molecole coinvolte nella divisione cellulare vengono danneggiate da una radiazione ionizzante, per esempio, si può avere una crescita incontrollata e lo sviluppo di un tumore. In cellule normali, l'esposizione ai soli ELF-EMF non provoca danni. Quando però le cellule vengono prima esposte a radiazione ionizzante, la situazione cambia. In queste cellule si verificano infatti danni genetici, che risultano in una maggiore attesa allo stadio G2. I ricercatori pensavano che i ELF-EMF avrebbero rallentato ulteriormente il processo, che invece è risultato più rapido in 12 esperimenti su 20. Di fatto, i campi elettrici sembrano quindi in grado di accellerare il processo di divisione in celule già danneggiate, aumentando le probabilità che avvengano errori e mutazioni pericolose. ______________________________________________________________________ Il Messaggero 19 lug. ’02 PROTEINA PLC-ZETA: ECCO LA “SCINTILLA DELLA VITA” Scoperta a Londra La proteina LONDRA - La lunga caccia alla scintilla della vita potrebbe essere finita: con una scoperta che promette di rivoluzionare la terapia contro l'infertilità, un'equipe di scienziati in Gran Bretagna ha scoperto un gene nello spermatozoo che è responsabile della fecondazione dell'ovulo. Dopo 10 anni di ricerche, gli scienziati dell'Università del Galles e dell'University College di Londra sono riusciti a isolare il cosiddetto gene "sperm factor", che produce una proteina fondamentale allo sviluppo della vita. La proteina in questione, battezzata "PLC-zeta", fa scattare nell'organismo della donna il processo cruciale secondo cui un ovulo inizia a suddividersi per formare l'embrione. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica Developpement ed è riportata oggi in prima pagina dal quotidiano britannico The Times, secondo cui è stato «risolto un mistero che ha sconcertato la scienza medica per due secoli». La fusione di uno spermatozoo con un ovulo, ricorda da parte sua il College di medicina dell'Università del Galles, provoca un incremento spettacolare del livello di calcio, ma fino ad oggi -sottolinea l'ateneo in un comunicato- le cause di questo fenomeno erano uno dei «misteri centrali ancora irrisolti della biologia». Un'equipe di scienziati dell'Università del Galles guidata dal professor Tony Lai in collaborazione con un gruppo dell'University College di Londra guidato dal dottor Karl Swann, ha dimostrato che la proteina "PLC-zeta" provoca i forti incrementi dei livelli di calcio osservati negli ovuli durante la fecondazione in vitro. Ma c'è di più: questa sorta di proteina "magica" fa scattare anche lo sviluppo iniziale dell'embrione.Secondo Lai, i risultati dello studio implicano che l'assenza della proteina nello spermatozoo sarebbe all'origine dell'infertilità maschile. Se così fosse, la ricerca futura sulla proteina "magica" potrebbe fornire un aiuto vitale ai soggetti affetti da questo handicap. ______________________________________________________________________ Le Scienze 17 lug. ’02 INTERFERIRE CON L'ENERGIA DEI TUMORI Iniettato nella regione del fegato interessata dal tumore, il farmaco si è dimostrato in grado di bloccarne la proliferazione Un gruppo della Johns Hopkins University ha identificato e sperimentato con successo sugli animali una nuova potenziale cura per il tumore al fegato. In un articolo pubblicato sul "Cancer Research", i ricercatori hanno riferito che il 3-bromopiruvato, sperimentato sui conigli, uccide solo le cellule tumorali. "È molto interessante, perché ci aspettavamo che il composto fosse molto tossico, ma in qualche modo le cellule normali del coniglio si proteggono da esso" dice Peter Pedersen, che ha studiato per vent'anni la produzione di energia nelle cellule e la sua relazione con la crescita dei tumori. "Lo abbiamo anche iniettato in una vena, così che fosse distribuito in tutto il coniglio, e ancora non abbiamo visto alcuna apparente tossicità." Una sola iniezione del composto, direttamente nell'arteria che nutre il tumore, ha ucciso molte cellule tumorali, ma ha lasciato in pace i tessuti del fegato ancora sani. I ricercatori hanno confrontato il 3-bromopiruvato con una cura comunemente usata negli esseri umani, chiamata chemioembolizzazione, in cui viene somministrata una dose di farmaci chemioterapici direttamente nella regione interessata dal tumore e viene bloccata l'arteria che lo nutre. "Con il 3-bromopiruvato nei conigli, il fegato sano sembra essere risparmiato, mentre sezioni di fegato vengono danneggiate dalla chemioembolizzazione," dice Jeff Geschwind, "la differenza è piuttosto importante." Due anni fa, frustrato dal fatto che molti pazienti muoiono entro sei mesi, Geschwind si rivolse a Pedersen con l'idea di trovare un nuovo metodo per curare il tumore al fegato. Il tempismo fu perfetto, perché Pedersen aveva appena scoperto il ruolo della produzione di energia nel tumore al fegato. La sostanza è stata selezionata dopo aver verificato il funzionamento di una dozzina di molecole che fermano la produzione di energia. Nel 2001, i ricercatori riferirono che il 3-bromopiruvato era il più efficiente, in parte perché blocca entrambe le vie attraverso le quali le cellule producono energia. "Il 3-bromopiruvato assomiglia a un composto che si trova nel nostro corpo," dice Young Ko. In un altro esperimento, i ricercatori hanno scoperto che piccole metastasi ai polmoni, originatesi dal tumore originale al fegato, non erano influenzate dalla somministrazione arteriosa del medicinale, ma lo erano da quella endovenosa. "Potrebbe essere logico curare i tumori al fegato con un'iniezione intra-arteriosa e poi usare un'endovenosa per uccidere le cellule tumorali che possono essersi già diffuse" suggerisce Pedersen.