UNIVERSITA’: LE SCELTE DEI GIOVANI ECCO 14 MILIONI DI EURO PER LA SARDEGNA (UNIVERSITA’ E RICERCA) L’ATENEO NON SA SPENDERE MORATTI: SARANNO RIDOTTI I FONDI ALLE FACOLTÀ «NON ADEGUATE» FACOLTÀ BOCCIATE DAL “BOLLINO ROSSO” MISTRETTA «MA NOI SIAMO UN OTTIMO ATENEO> UNIVERSITÀ, A RISCHIO LA RIFORMA DELLE LAUREE MASTER DOPO L’UNIVERSITÀ: RECORD DI CORSI IN ITALIA MILANO: "BIBLIOTECA EUROPEA SENZA FONDI, ORA TOCCA AL GOVERNO" PERCHÉ DEVE NASCERE LA BIBLIOTECA EUROPEA NIENTE PIÙ CATTEDRE "A VITA" PER I PROFESSORI UNIVERSITARI DEL DOMANI DOCENTI UNIVERSITARI VECCHI? CAMBIAMO I CORSI DI DOTTORATO CAGLIARI: STUDENTI DA TUTTA EUROPA PER UN MEETING DELL’ASSOCIAZIONE AEGEE MISTRETTA PRESENTA IL “MANIFESTO” DELLO STUDENTE UNIVERSITÀ, MISTRETTA AUMENTA LE TASSE INFORMATICI, PARTE L'ATTACCO ALL'ALBO L' ITALIA, UNA REPUBBLICA FONDATA SULLE SENTENZE DEL TAR =========================================================== SANITÀ, SCONTRO SUI TAGLI I CAMBIAMENTI DELLA SANITA' SANLURI: LA TALASSEMIA NON FA PIÙ PAURA BROTZU: TUTTI I COLORI DELLE MALATTIE «BIMBI LEUCEMICI, È BRUXELLES CHE IMPEDISCE LE AGEVOLAZIONI» DNA, ECCO I PUNTI DEBOLI CHE CAUSANO MALATTIE SABIN ADDIO, CAMBIA IL VACCINO DELLA POLIO UN MODELLO AL COMPUTER DELL’ESCHERICHIA COLI =========================================================== ______________________________________________ Corriere della Sera 30agosto ’02 UNIVERSITA’: LE SCELTE DEI GIOVANI Invernizzi Emanuele Questi sono gli ultimi giorni che rimangono ai maturati che hanno deciso di proseguire gli studi, e alle loro famiglie, per scegliere a quale corso di laurea iscriversi. Oppure per riflettere se sono davvero convinti della scelta fatta: che è particolarmente difficile quest'anno perché l' avvio della riforma del cosiddetto «tre più due» (tre gli anni della laurea di primo livello e due quelli della laurea specialistica), assieme all' aumentata competizione tra gli atenei milanesi, ha portato al proliferare dell' offerta di corsi di laurea. La scelta non è facile anche perché all' aumento dei corsi non sembra corrispondere un adeguato sforzo di informazione da parte delle università. Sembra piuttosto, come ha opportunamente sottolineato Guido Martinotti (Corriere del 24 luglio), che sia prevalsa tra le università una proposta pubblicitaria d' immagine piuttosto che una comunicazione di informazioni utili per scelte consapevoli. Cosa si può fare di più per facilitare l' incontro tra la domanda e l' offerta di formazione al fine di ridurre i veri rischi che corre chi deve scegliere un percorso di studi universitario? I rischi cioè di abbandonare gli studi (più di due su tre in Lombardia) oppure, una volta conclusi, di non riuscire a entrare nel mercato del lavoro? Ciò che può fare l' università lo ha già indicato lo stesso Martinotti, per esempio con le indagini sulle carriere dei laureati (Alma Laurea), con il potenziamento dei sistemi di orientamento regionali (Aladino e Vulcano per la Lombardia) e di quelli delle singole università, anche attraverso i loro nuclei di valutazione. E intanto cosa possono fare i giovani e le loro famiglie per aumentare le probabilità di prendere la decisione giusta e poi di mantenerla con successo? La prima cosa è certamente quella di essere attivi nel reperire e nel valutare le informazioni sostanziali, sulle università e sui corsi di laurea, cercando di non farsi influenzare da immagini effimere. Ma non basta: l' istruzione universitaria è un percorso verso una professione, che va scelta e poi perseguita. Prima del corso di laurea bisogna quindi pensare alle professioni che interessano, a quali offrono maggiori opportunità: si può parlare con qualcuno che a Milano già le svolge, farsi un' idea e poi scegliere. Si tratta, in altre parole, di trovare il corso di laurea in funzione della professione che interessa e non solo delle materie che piacciono. Ma dopo aver individuato il corso di laurea si pone allo studente una scelta ancor più difficile. Si può optare fin da subito per due sbocchi. Uno è quello dei «ricercatori di posto», l' altro quello dei «professionisti in sviluppo». Se si opta per il primo, si può tirare a campare, fare gli esami senza badare al voto e arrivare appena possibile alla laurea. Se si opta per il secondo, bisogna disegnare fin dall' inizio un proprio percorso, fatto, oltre che di esami da sostenere, di competenze tecnologiche da sviluppare, di lingue da imparare a scrivere e a parlare, di periodi presso università straniere dove seguire corsi e dare esami sostitutivi, di stage da svolgere presso studi, imprese o enti. Sono scelte difficili? Sì, molto difficili: ma che valgono la pena di essere fatte e perseguite con impegno. A Milano l' offerta, per fortuna, è ampia. *Università Iulm ______________________________________________ La Nuova Sardegna 31 agosto ’02 ECCO 14 MILIONI DI EURO PER LA SARDEGNA (UNIVERSITA’ E RICERCA) FONDO EUROPEO DI SVILUPPO REGIONALE CAGLIARI. Il ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha approvato, con un apposito decreto, le graduatorie relative ai progetti per gli interventi strutturali e il potenziamento della dotazione di attrezzature tecnico-scientifiche presentate da soggetti pubblici e privati in base all'avviso pubblico n. 68 del 23 gennaio scorso. Questa la graduatoria progetti da cofinanziare. Come primo dato titolo e argomento del progetto, segue il soggetto o l'ente proponente; infine il costo globale e l'importo del cofinanziamento richiesto. I progetti ammessi sono immediatamente cofinanziabili. Progetti ammessi Tecnologie radioastronomiche ottiche attive per Srt; Cnr; importo 4.170.000,00; cofinanziamento 2.919.000,00. Sviluppo tecnologico e potenziamento di attrezzature diagnostiche nell'ambito del centro regionale per la diagnosi e la cura della sclerosi multipla; Università di Sassari; euro 1.394.433,00; euro 1.045.824,75. Potenziamento di un centro per la realizzazione di studi e ricerche sulla filiera delle carni fresche e trasformate; Università di Sassari; euro 650.000,00; euro 480.000,00. Adeguamento dell'offerta formativa della Facoltà di medicina veterinaria alle nuove tecnologie: Università di Sassari; euro 485.409,00; euro 340.486,00. Progetto d'ateneo di learning e training linguistico: poli periferici e laboratori regionali del centro linguistico università di Sassari; 1.520.000,00; 1.185.600,00. Ingegneria e scienze ambientali in Sardegna; Università di Cagliari - Cinsa; 549.714,00; 384.250,10. Limina - laboratorio interdisciplinare di microscopie e nanoscopie; Università di Cagliari; euro 3.612.413,00; euro 2.986.000,00. Graduatoria di riserva Larca - laboratorio di analisi e ricerca sulle catene di attività; Università di Cagliari - Cirem; euro 637.500,00; euro 500.000,00. Potenziamento delle attrezzature scientifico-tecnologiche del laboratorio ufficiale del dipartimento di ingegneria strutturale; Università di Cagliari - dip. Ingegneria del territorio; euro 2.180.630,53; euro 1.777.213,88. Sostanze naturali di interesse agroalimentare e farmacologico; Università di Cagliari-dip. tossicologia; 3.000.000,00; 2.550.000,00. Pulsar - Un intervento strategico di avvicinamento dell'osservatorio astronomico agli standard nazionali ed europei; Inaf - Osservatorio astronomico di Cagliari; euro 600.000,00; euro 480.000,00. Graduatoria progetti esclusi Studio delle basi molecolari delle patologie umane attraverso l'utilizzo delle tecnologie genomiche e postgenomiche; Università di Cagliari - Dip. Scienze biomediche;; 1.800.000,00; 1.500.000,00. Graduatoria di riserva Interdi - Implementazione di un network territoriale per la diffusione dell'Ict; Università di Cagliari; 1.000.000,00; 850.000,00. Adeguamento tecnologico e formazione giuridica; Università di Sassari; euro 499.698,50; euro 713.855,00. Recupero del complesso mauriziano nel centro storico di Cagliari, già collegio gesuitico; Università di Cagliari; euro 2.604.490,00; euro 1.822.813,00. Elenco progetti non idonei Tutela e valorizzazione delle risorse ambientali e dei beni culturali e sviluppo sostenibile; Università di Cagliari - Neting; euro 3.750.000,00; euro 3.000.000,00. Centro di eccellenza neurobiologia della dipendenza - laboratorio polifunzionale; Università di Cagliari; euro 2.898.485,00; euro 2.318.788,00. Tecnologie informatiche avanzate nel settore biomedico; Università di Cagliari - dip. Scienze neurologiche; euro 1.800.000,00; euro 1.200.000,00. Graduatoria progetti esclusi Completamento e innovazione delle apparecchiature informatiche multimediali per la diffusione della conoscenza dell'Ict all'interno dell'ateneo; Università di Sassari; 1.985.000,00; 1.488.750,00. ______________________________________________ Il Sole24Ore 24 agosto ’02 L’ATENEO NON SA SPENDERE Inutilizzata la gran parte dei fondi per migliorare la didattica Roma – Gli incentivi per innovare la didattica restano nei cassetti delle università. Sono stai, infatti, finoa utilizzati solo 17 milioni di euro sui 130 messi a disposizione nel triennio 1999-2001 dalla legge 370/1999. I finanziamenti sono destinati a pagare i docenti che svolgono lezioni, seminari e attività al di là dell’impegno di 120 ore annue. O i professori che hanno messo a punto progetti per migliorare la didattica e iniziative formative propedeutiche e di recupero, che riscuotano il giudizio positivo degli studenti. I risultati sul destino dei finanziamenti al 31 dicembre 2001 sono stati raccolti dal Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario. I dati disaggregati, in milioni di lire, sono riportati nella tabella a fianco. Se si considerano gli impegni risulta “prenotato” meno del 50% delle risorse disponibili. Insomma, non c’e’ stata nessuna corsa per accaparrarsi i finanziamenti, nonostante l’avvio della riforma dell’autonomia. L’articolo 4 della legge 370/99, a partire dal 2001, ha stanziato 47 milioni di euro per premiare i docenti più impegnati. La norma era stata concepita come un “antipasto” della futura riforma dei professori universitari, regolato dal DPR 382/1982. Attualmente i doveri didattici dei professori sono quantificati in 350 ore annue, comprese le attività di ricevimento degli studenti e il tempo per preparare le lezioni, che possono ridursi a 60 ore annue. Si tratta di un sistema ormai inadeguato, soprattutto tenendo conto del moltiplicarsi delle esigenze nel quadro della riforma universitaria. L’autonomia didattica, infatti, aumenta l’offerta formale degli atenei dalla laurea alla laurea specialistica, dai master ai corsi di dottorato. Tuttavia lo strumento affidato alle università per incentivare i docenti più impegnati ha dato, per ora, risultati deludenti. Maria Carla de Cesari ______________________________________________ Corriere della Sera 27 agosto ’02 MORATTI: SARANNO RIDOTTI I FONDI ALLE FACOLTÀ «NON ADEGUATE» Il ministro Moratti ha annunciato che saranno ridotti i fondi alle facoltà «non adeguate» per numero di studenti o docenti Da Ingegneria a Medicina, tutti i corsi che rischiano il «bollino rosso» Milano. L'allarme lanciato il 20 agosto a Rimini dal ministro dell’Università Letizia Moratti, che ha annunciato l’arrivo di un «bollino rosso» per i corsi di laurea che non rispettano i criteri stabiliti dal Comitato di valutazione universitario, è più un richiamo agli atenei a registrare i corsi da adeguare che un vero e proprio «cartellino rosso». Il ministero, infatti, scriverà ai rettori con corsi non adeguati per numero insufficiente di studenti o di docenti chiedendo di metterli in regola attraverso il trasferimento di professori o l'accorpamento dei corsi. Cosa che già le università stanno facendo. Solo nel caso in cui non si procedesse alla messa a punto, scatterebbe il bollino rosso e il taglio dei fondi. Ma quali sono, per il Comitato di valutazione, i corsi degli atenei milanesi che vanno messi a punto perché non hanno un numero adeguato di docenti? Con sorpresa troviamo quelli della seconda facoltà di Ingegneria del Politecnico, il più importante ateneo d'ingegneria del Paese. «Naturalmente - fanno sapere dal ministero - il Politecnico ha tutte le carte per metterli in regola attraverso un trasferimento di docenti». La Statale ha un solo corso da adeguare, Scienze motorie. Sta peggio la Bicocca: il comitato segnala carenze nei corsi di Economia, Medicina e Sociologia. Tutto a posto per la Bocconi, alla Iulm non sono conformi ai «dettati morattiani» i corsi in Scienze della comunicazione e spettacolo. Anche le quattro Medicine del San Raffaele sono fuori norma e, per la Cattolica, i corsi delle Facoltà di Lingue straniere, Scienze matematiche e Sociologia. Il bollino rosso può scattare anche per quei corsi che hanno meno di 20 iscritti. Qui ce ne sono parecchi; ma i rettori li stanno già accorpando. Alla Statale non hanno raggiunto i venti iscritti Scienze dei servizi giuridici, Produzione vegetale, Chimica applicata e ambientale e Tecnologie Fisiche. Alla Bicocca Scienze e Tecnologie orafe ha fatto registrare 15 iscritti ed Economia e gestione delle amministrazioni pubbliche 17; sono stati 18 quelli di Economia dell'informazione in Cattolica. Comunque, spiega il professor Guido Fiegna, membro del Comitato di valutazione, «non è che tutti i corsi oggi non adeguati avranno il bollino rosso: molte università ne stanno cancellando alcuni e mettendone in regola altri. E' una fase interlocutoria. Se una facoltà ha docenza per 10 corsi e ne ha attivati 11, il Ministero chiede alla facoltà se intende adeguarli oppure a quale corso attribuire il bollino. Gli altri diventano regolari. Sulle università lombarde - conclude - il giudizio del Comitato è positivo». Pierluigi Panza ______________________________________________ L’Unione Sarda 21 agosto ’02 FACOLTÀ BOCCIATE DAL “BOLLINO ROSSO” Il ministero: pochi docenti e corsi quasi senza iscritti Pollice verso per Scienze politiche, Farmacia e Scienze della formazione Tutta colpa dei bollini, se ora l’Università cagliaritana non fa una bella figura a livello nazionale. I bollini, sono quelli rossi della Commissione di valutazione, cioè del ministero dell’Istruzione, che nell’Ateneo cittadino ha individuato alcuni corsi di laurea triennali carenti: di docenti, soprattutto, ma perfino di studenti iscritti. È il caso della facoltà di Farmacia, ma a ritrovarsi un bollino rosso sulla fronte sono anche Scienze della formazione e Scienze politiche: spesso i professori sono pochi, non bastano per coprire le esigenze di tutti i corsi, alcuni dei quali restano così “al palo”. Dopo aver letto le valutazioni negative del ministero, nessuno si nasconde dietro un dito. Non lo fa, ad esempio, Alberto Granese, preside di Scienze della formazione, cioè di una delle facoltà “incriminate”. Più che un commento, il suo è un epitaffio: «Siamo al collasso: non sulla qualità dell’insegnamento, perché abbiamo ottimi docenti, ma sulla quantità, che solo in seconda battuta abbassa la qualità». Mentre ammette il deficit della sua facoltà, Granese è combattuto tra l’imbarazzo e il compiacimento: «Il primo è per il buon nome di Scienze della formazione, che rimane comunque di ottimo livello, però sono compiaciuto che il ministero confermi ciò che ho sempre detto». E cioè: la facoltà è come un autobus da 50 posti che deve servire una popolazione di migliaia di persone: non ci stanno, anche se l’autobus è dell’ultima generazione. «Siamo stati costretti a reintrodurre il numero programmato in Psicologia», sospira Granese, «abbiamo necessità di docenti di prima e seconda fascia, ma non ci sono i soldi. Se anche arrivassero, non potremmo crearli da un giorno all’altro». Non ce l’ha col rettore, il preside di Scienze della formazione: «Ha un budget basso e fa quello che può, pressato da tutte le facoltà che giustamente reclamano fondi. Magari, Mistretta è stato troppo ottimista per quanto riguarda i nuovi corsi triennali, per i quali mancano i docenti». L’emergenza c’è e si sente, «ma a questo punto le scelte sono politiche, senza dimenticare che per la formazione dei quadri alti della società non esiste alternativa all’Università». Tra le facoltà trafitte dai bollini c’è anche quella di Farmacia, e il suo preside ritiene di sapere perché: «Per considerare le esigenze di docenti da parte delle singole facoltà», premette Gaetano Di Chiara, «il rettore ha ritenuto corretta una valutazione che invece era squilibrata. Ha insomma preso per buoni i dati del 1998, secondo i quali Farmacia aveva troppi docenti e Medicina ne era carente. Invece era vero il contrario, e soltanto da poco Mistretta sta intervenendo per rimettere le cose a posto». Il bollino rosso ha colpito, tra gli altri, anche il corso triennale per informatori farmaceutici: ha soltanto nove iscritti, contro il minimo di venti richiesto del ministero. Risultato: «Nel prossimo anno accademico non lo attiveremo», annuncia Di Chiara, e aggiunge: «Per rimettere in sesto la facoltà di Farmacia basterebbe poco, cioè un po’ di buona volontà nei prossimi concorsi, per aumentare il numero dei docenti ed eliminare così le carenze d’organico». Povera Università, martoriata dalla cronica mancanza di denaro, ma a volte anche da una velocità troppo bassa rispetto a quella del cosiddetto “mondo reale”. I concorsi, per esempio, sono una vera piaga, almeno secondo l’ordinario di Storia medievale, Francesco Cesare Casula: «Li chiamano concorsi, ma sono tutt’altra cosa, perché il vincitore è già deciso in anticipo. Il problema è quello dei budget: chi riesce a strapparlo al Consiglio di facoltà, automaticamente passa il concorso, anche se non è preparato». Casula spiega anche perché: «Creare un professore di seconda o di prima fascia costa troppo, così per la prima si pesca tra chi è in seconda, e per quest’ultima si ricorre ai ricercatori. In questo modo», aggiunge l’ordinario di Storia medievale, «l’Università deve sborsare solo la differenza tra il vecchio e il nuovo stipendio, ma così va avanti solo chi, nell’Ateneo cagliaritano, c’era già. Finiti i tempi degli scambi con l’esterno, finiti i concorsi dei miei tempi, in cui si giudicavano i meriti». Per Francesco Cesare Casula, che ora dirige l’Istituto internazionale per la Storia dell’Europa mediterranea al Cnr, l’Università è «un mondo nel quale non mi riconosco più, che mi disgusta. Bisogna avere il coraggio di affermare che vogliono farne un grosso liceo. Non dico che sia diventata una fabbrica di asini, ma certo non sforna scienziati, non c’è dubbio». Sostiene, Casula, che senza soldi non ci sia sviluppo e non esista ricerca, «così l’Ateneo cagliaritano si chiude sempre più in se stesso. Lo testimoniano le tesi di laurea su temi incredibili: ormai gli studenti arrivano a discutere di “Pompu nell’Ottocento”». Luigi Almiento ______________________________________________ L’Unione Sarda 21 agosto ’02 MISTRETTA «MA NOI SIAMO UN OTTIMO ATENEO> Mistretta non si scompone: «Siamo un ottimo Ateneo con professori all’avanguardia» «La formazione universitaria non è questione di bollini rossi e blu: abbiamo i nostri limiti, molti dei quali dovuti all’insularità, ma possiamo vantare facoltà e docenti di élite». Pasquale Mistretta, rettore dell’Ateneo cittadino, non è affatto preoccupato per la classifica redatta dal Comitato di valutazione del ministero per l’Istruzione. «Quelle graduatorie», spiega, «sono preparate tenendo conto di una serie di parametri legati ai costi, alla quantità di servizi e alla rapidità con cui gli studenti si laureano». Sul piano dei numeri, insomma, l’Università cagliaritana non eccelle a livello nazionale, ma secondo il rettore c’è un rovescio della medaglia: «Gli altri Atenei tendono a istituire sempre più il numero chiuso e a privilegiare soltanto i servizi che rendono di più. Qui da noi, invece, l’università è ancora di massa, grazie alle tasse bassissime, e poi non abbiamo soltanto la missione di formare: con l’insegnamento di alto livello, dobbiamo anche favorire l’indotto che possa garantire lo sviluppo della nostra economia». Tenuto conto di tutto questo, Pasquale Mistretta certo non si aspettava di ricevere solo bollini blu, e infatti qualcuno rosso è arrivato. «È però il frutto di una scelta precisa», ribatte, «che paghiamo a prezzo altissimo sul piano della competitività universitaria». Premesso questo, il rettore afferma con convinzione che «il nostro Ateneo ha riscontri positivi sui laureati, che s’inseriscono nei mercati italiano ed europeo senza alcun disagio per quanto riguarda l’impatto». Tra i problemi che lo stesso Mistretta sottolinea, sono certamente importanti quelli logistici: «Il polo scientifico di Monserrato è all’avanguardia, il polo umanistico soffre tantissimo, eppure anche in quest’ultimo abbiamo luminari e settori di altissimo livello». L. A. ______________________________________________ Corriere della Sera 26 agosto ’02 UNIVERSITÀ, A RISCHIO LA RIFORMA DELLE LAUREE Gli esperti: gli atenei tendono a eliminare l’esame dal triennio al biennio specialistico ROMA - Il tre più due, ovvero l’organizzazione degli studi scandita da un primo ciclo di durata triennale per il conseguimento della laurea e un secondo di durata biennale per la laurea specialistica, rischia di trasformarsi in un quinquennio secco. Esattamente il contrario di ciò che si era prefissa la riforma dell’Università: offrire agli studenti un percorso più breve e flessibile. La tendenza che si sta profilando all’orizzonte - in questi giorni si stanno approvando i piani di studio delle lauree di secondo livello - è infatti quella di istituire per ogni laurea triennale una specialistica che ne rappresenta lo sbocco naturale e in qualche modo obbligato nella stessa sede, grazie al riconoscimento automatico di tutti i 180 crediti. In estrema sintesi, lo studente che consegue una laurea di primo livello in una certa facoltà di un ateneo verrebbe sostanzialmente indotto a proseguire la sua carriera nella stessa università accedendo, col vantaggio di non doversi sottoporre ad alcuna verifica sui crediti, alla laurea specialistica che si propone, anche nel nome, come il naturale proseguimento di quella appena conseguita. Tutto questo alla faccia della mobilità dei giovani nel territorio nazionale, per non parlare di quella tra le discipline. La carriera universitaria verrebbe così definita dalla scelta di primo livello. Un’ingessatura che potrebbe riportare il sistema universitario alla situazione precedente la riforma, con l’aggravante che i quattro anni in molti casi diventerebbero cinque, allungando ancora di più l’età già elevata dei nostri laureati. L’allarme è sul tavolo della commissione ministeriale incaricata dal ministro Moratti di proporre eventuali correttivi alla riforma universitaria. Secondo gli esperti, presieduti dal rettore del Politecnico di Milano, Adriano De Maio, per contrastare la tendenza delle università a bloccare la mobilità in un ambito provinciale, anche per non perdere gli studenti, occorre imporre l’accertamento delle conoscenze e delle competenze a tutti gli universitari che si iscrivono alla specialistica. Non è necessario, insomma, che a ogni laurea triennale corrisponda una laurea specialistica. Secondo il rettore del Politecnico e gli altri esperti, gli universitari devono avere la possibilità di muoversi su tutto il territorio nazionale, senza limitazioni nel passaggio da una disciplina all’altra. I piani di studio delle specialistiche dovrebbero prescindere dai contenuti delle lauree di primo livello. Tanto per fare un esempio un laureato in Matematica che intendesse proseguire gli studi occupandosi di Statistica dovrebbe poterlo fare senza essere penalizzato. Invece, a giudicare dai primi regolamenti didattici delle lauree specialistiche presentati dalle facoltà e approvati dal Comitato nazionale universitario (Cnu), non sarà così. I regolamenti, infatti, rimettono in discussione anche i crediti della laurea normale al fine di creare un unico percorso. Giulio Benedetti ______________________________________________ L’Unione Sarda 27 agosto ’02 MASTER DOPO L’UNIVERSITÀ: RECORD DI CORSI IN ITALIA Sulla riforma critiche da An Ricerca del Cnr, in testa economia e politica Roma. Si riaccende il dibattito sulle ipotesi di ritocco della riforma universitaria varata dall’ex ministro Zecchino e avviata in via sperimentale lo scorso anno. Per Alleanza nazionale, che ha annunciato un disegno di legge per settembre, la riforma non funziona. La proposta di An è introdurre una «laurea avanzata» di quattro o cinque anni, a percorso unico. Il sistema del tre più due (laurea triennale e laurea specialistica biennale) verrebbe mantenuto con una caratterizzazione più professionalizzante. La laurea triennale non avrebbe più la funzione di formazione di base polivalente. QUATTRO PIU’ UNO - Il rettore del Politecnico di Milano, Adriano De Maio, presidente della commissione ministeriale incaricata dal ministro Moratti di proporre eventuali correttivi, dopo essere rimasto in silenzio per diversi mesi ha annunciato che la formula delle lauree di primo e secondo livello potrà essere rivista all’insegna della flessibilità. Le università, ha detto De Maio, potranno introdurre accanto al «tre più due» anche il «quattro più uno»: laurea quadriennale più un anno di specializzazione. Una scelta facoltativa che sembra andare incontro alle proteste avanzate dalle facoltà umanistiche e in particolare dai giuristi. Nell’area scientifica il «tre più due» sembra infatti universalmente accettato. LA PROPOSTA DI AN - L’obiettivo è quello di creare nell’università un doppio canale. Da una parte lauree avanzate, piuttosto selettive, della durata di 4 o 5 anni, pensate per i giovani che puntano a sbocchi professionali di alto livello. Dall’altra il sistema del «tre più due» per gli studenti che hanno un’esigenza professionale più immediata, pensate insieme alle imprese. Alla base di questa distinzione c’è la considerazione che il triennio non può dare una formazione per un’elevata qualificazione e, al tempo stesso, professionalizzante. «Un giovane che intende fare il magistrato - spiega Giuseppe Valditara, responsabile scuola e università di An - si iscriverà a una laurea avanzata in Giurisprudenza, della durata di 4-5 anni, che prevede uno studio più approfondito e selettivo delle materie caratterizzanti. Un giovane che invece punta alla professione di operatore di marketing può indirizzarsi verso la laurea triennale, che offre una preparazione meno dettagliata e più immediatamente spendibile sotto il profilo professionale». La proposta di An ha suscitato le proteste dell’opposizione. «Voler rifare tutto di nuovo, cambiando completamente l’impianto della riforma è sbagliato e inutile - ha affermato Mariagrazia Pagano, responsabile scuola e università dei Ds -. Ciò che si può fare è monitorare il sistema operando degli aggiustamenti». MASTER - Fino a qualche anno fa per un buon Master occorreva andare all’estero. Oggi non è più così. Una buona offerta di Master si è sviluppata anche nel nostro Paese. Lo testimonia una ricerca del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche) che analizzando l’anno accademico appena concluso ha registrato un vero e proprio boom di questo particolare segmento dell’offerta formativa. Sono stati circa 538 i corsi di specializzazione - più di 500 messi a disposizione dei giovani laureati - che diventano 600 se si considerano i master più brevi. Fra i più gettonati quelli di economia, politica, sociologia e diritto. Ma grande interesse suscitano anche i corsi di specializzazione in comunicazione e in ingegneria. C’è una sostanziale uniformità tra Nord, Centro e Sud. E non si manifestano più squilibri tra atenei statali e non statali. «Il risultato è eclatante - spiegano gli autori della ricerca Stefano Boffo e Francesco Gagliardi - tenuto conto che l’istituzione dei Master è recentissima». G. Ben. ______________________________________________ Corriere della Sera 28 agosto ’02 MILANO: "BIBLIOTECA EUROPEA SENZA FONDI, ORA TOCCA AL GOVERNO" Il comitato che promuove l’opera di Porta Vittoria ha i finanziamenti per il progetto esecutivo ma non per la costruzione e la gestione Appello dei promotori. E Albertini "convoca" a Palazzo Marino i ministri e i parlamentari lombardi Mancano i soldi. E nell’elenco delle opere che Milano deve chiedere al governo di finanziare, oltre al restauro del Teatro alla Scala e alla quarta linea della metropolitana, si deve aggiungere la "Biblioteca europea d’informazione e cultura", che dovrebbe sorgere entro il 2008 sull’ex scalo ferroviario di Porta Vittoria. E’ quanto auspica il promotore del comitato che sostiene la nascita della biblioteca, Antonio Padoa Schioppa. Perché se non saranno stanziati al più presto i fondi per la costruzione, non si darà il via al progetto esecutivo e, di conseguenza, l’intero piano per la nascita della Biblioteca europea rischierebbe di arenarsi. "Mi aspetto - afferma Padoa Schioppa - che il sindaco Gabriele Albertini e il presidente della Regione, Roberto Formigoni, vadano al più presto a Roma per chiedere al governo di stanziare i finanziamenti necessari alla costruzione e alla gestione dell’opera". Opera che dovrebbe risultare una delle più grandi, fornite e moderne biblioteche europee, il cui progetto è stato già attribuito per concorso al tedesco d’adozione (nato a Melbourne nel 1950) Peter Wilson, già autore della biblioteca di Münster. "A settembre - spiega Padoa Schioppa - potremmo già affidare a lui l’incarico per realizzare i progetti esecutivi. I soldi ci sono, perché lo Stato nel dicembre del 2000 ha approvato una legge speciale, che ha consentito di stanziare nel triennio 2000- 2002, 16 miliardi di vecchie lire (circa 8 milioni di euro). Ma che senso avrebbe dare il via alla progettazione esecutiva, che costa 12 miliardi (6 milioni di euro), se non siamo certi che seguiranno i finanziamenti per la costruzione e gestione della Biblioteca?". Per ora il Comune ha sostenuto le spese per il concorso d’architettura e ha ceduto gratuitamente l’area su cui la biblioteca dovrà sorgere, mentre la Regione ha sostenuto i costi del progetto di fattibilità, che è stato presentato lo scorso 24 giugno al comitato promotore. Ora, 12 dei 16 miliardi statali verrebbero spesi per realizzare il progetto esecutivo. "Ma prima dev’esserci lo stanziamento per la costruzione dell’opera", insiste Padoa Schioppa. E i costi per la costruzione dell’opera e l’acquisto delle dotazioni si aggirano intorno a 450 miliardi di vecchie lire (225 milioni di euro), a cui si devono aggiungere, dal 2008, circa 17,5 milioni di euro per i costi di gestione annui. Un impegno oneroso: da qui la necessità che Albertini e Formigoni bussino cassa a Roma. "Siamo di fronte alla decisione fondamentale - continua Padoa Schioppa - Ora è determinante sapere se ci saranno le risorse per costruire la biblioteca e farla funzionare. Ora bisogna capire e ottenere l’impegno del governo e del Parlamento per inserire questo progetto nel pacchetto delle cose che il governo vuole fare per la Lombardia in questa legislatura. Questo progetto è coerente con un investimento nazionale. Senza queste assicurazioni, è inutile affidare il progetto esecutivo. Speriamo che già nella finanziaria di fine 2002 venga inserito lo stanziamento. Sulla carta - ricorda il professore - il Parlamento ha già sposato il progetto con la legge speciale, votata nel 2000 sia dalla destra che dalla sinistra. Il progetto è stato sposato anche da Comune e Regione: quindi sono ottimista". Anche il ministro Tremonti, del resto, è a conoscenza dell’iniziativa. "Conosce questa cosa bene e ha dato una mano per varare nel 2000 la legge speciale. C’è un atteggiamento positivo, ma bisogna passare dall’atteggiamento alla previsione. Perché se è vero che ci sono anche altri progetti da sostenere, come il restauro della Scala - spiega Padoa Schioppa - è anche vero che Milano e Lombardia assicurano una quota alta di fiscalità nazionale e quindi possono anche chiedere". Ma per ora, l’unico finanziamento dal governo, ricco di ministri lombardi (Berlusconi, Bossi, Castelli, Maroni, Moratti, Sirchia, Tremaglia, Tremonti, più Urbani milanese di adozione) e in teoria "amico" del sindaco e del governatore Formigoni, è arrivato per un tratto del metrò che servirà il nuovo polo fieristico di Rho-Pero. E proprio per questa "reticenza", Albertini ha deciso, a settembre, di riunire a Palazzo Marino tutti i deputati e i senatori residenti o eletti in città, e ovviamente tutti i ministri meneghini. Il senso dell’incontro è chiaro: batter cassa. Anche per la Biblioteca europea, se si vuole davvero realizzarla. ______________________________________________ Corriere della Sera 30 agosto ’02 PERCHÉ DEVE NASCERE LA BIBLIOTECA EUROPEA La lettera del presidente del Comitato promotore: la struttura studiata per i cittadini ma anche per universita' e mondo economico Padoa Schioppa Antonio Caro direttore, il momento della decisione si avvicina per la Biblioteca europea. Il Corriere, che ha seguìto sin dalla nascita l' iniziativa, ha sollevato una questione centrale: per un' opera di livello internazionale di tale portata occorre il sos tegno fattivo del governo e del Parlamento. Vorremmo richiamare, qui, le ragioni che giustificano la richiesta della Lombardia e di Milano di veder realizzato questo grande progetto. Una struttura dotata di circa un milione di volumi e di opere consu ltabili liberamente a scaffale aperto e relative a tutti i rami del sapere. Una stretta integrazione tra moduli digitali e libri di carta. Connessioni agevolate con le grandi banche dati internazionali. Digitalizzazione full text delle opere più impo rtanti della cultura mondiale non ancora disponibili in rete. Convenzioni di cooperazione con alcune grandi biblioteche straniere. Servizi di reference per i lettori e operatori economici. Strumenti integrati di ricerca al servizio delle università. Spazi per biblioteche speciali e per depositi. Mai come in questi anni di esplosione dell' informatica si sono progettate nel mondo tante nuove biblioteche. L' Italia è il solo grande Paese occidentale che ancora non si è dotato di una Biblioteca di questa natura. Va sottolineato che l' esperienza degli altri Paesi ha dimostrato come a questo fine sia indispensabile la progettazione di un edificio nuovo, con caratteristiche particolari. Il progetto è stato messo a punto da un' équipe di esperti e comprende 2000 pagine di testi, tabelle, grafici concernenti i profili organizzativi e funzionali della Biblioteca, nonché la previsione dei costi. Il concorso internazionale per il progetto architettonico, bandito dal Comune, è stato vinto da Pete r Wilson. A lui dovrà entro novembre venir conferito l' incarico per la progettazione esecutiva, già finanziata dal Parlamento. Ci auguriamo vivamente che questa scadenza possa venire rispettata. I giudizi formulati e le valutazioni autorevolmente es presse in questi giorni ci indurrebbero a bene sperare. Lo studio di fattibilità ha posto in evidenza che il bacino d' utenza della Biblioteca comporterà una frequentazione di almeno 2500 presenze al giorno, determinata anche dalle tante nuove opport unità offerte dalla Biblioteca. Inoltre, i colloqui avuti di recente con il ministro Moratti hanno dischiuso la possibilità che la futura Biblioteca possa venir messa in rete con le università e con le scuole, assolvendo a funzioni di interfaccia dig itale per la ricerca e per l' insegnamento. Questa è dunque l' occasione per colmare una lacuna del sistema bibliotecario nazionale. La Lombardia e Milano (e l' Italia) meritano quest' opera, che si qualifica come un progetto di eccellenza a livello internazionale, nel solco di una tradizione milanese e lombarda che è davvero ormai tempo di rinnovare. Certo sono auspicabili e prevedibili anche finanziamenti da parte dei privati e delle grandi Fondazioni, a cominciare dalla Cariplo che ha già dat o un contributo significativo. Certo una parte dei servizi potrà essere fornita a pagamento, assicurando un parziale rientro di risorse. Ma ovunque nel mondo la creazione e la gestione di opere di questa natura sono coperte principalmente con finanzi amento pubblico. La Biblioteca non potrà nascere senza il supporto del Governo e del Parlamento, da troppi anni sordi alle esigenze di una regione e di una città cui la comunità nazionale deve tanta parte del proprio benessere e lo Stato tanta parte delle proprie risorse. E' essenziale la garanzia dello Stato riguardo ai futuri costi di gestione, che sono equivalenti a circa un quinto del costo medio per il personale di una delle 70 università italiane. E' tanto o è poco? Data l' importanza dell ' opera si tratta senza alcun dubbio di un impegno non esorbitante, che comunque non dovrà sottrarre neppure un euro alle risorse destinate alle altre biblioteche statali. Il Governo ha giustamente programmato di concentrare gli sforzi sulle spese pe r investimento per infrastrutture. La Biblioteca europea di Milano è per l' appunto una grande infrastruttura. Come è giusto per tutte le opere pubbliche di rilievo, la decisione sarà una decisione politica. Siamo convinti che quando il presidente de lla Regione e il sindaco di Milano rinnoveranno al Governo la richiesta di includere la Biblioteca nel programma di legislatura, la risposta non potrà che essere positiva. Antonio Padoa Schioppa ______________________________________________ Il Tempo 28 agosto ’02 NIENTE PIÙ CATTEDRE "A VITA" PER I PROFESSORI UNIVERSITARI DEL DOMANI Docenti, contratto a tempo "Cattedra a vita" prevista solo dopo due rinnovi NIENTE più cattedre "a vita" per i professori universitari del domani. In futuro, per accedere alla carriera accademica potrebbero infatti essere previsti concorsi a carattere nazionale, superati i quali i docenti di prima e seconda fascia si vedrebbero riconoscere dalle università contratti di lavoro a tempo determinato. Sarebbe questa l' ipotesi prevista nella bozza di documento sulla riforma dello stato giuridico dei docenti universitari, attualmente allo studio. Si tratta di una bozza ancora non definitiva, e dunque suscettibile di modifiche e aggiustamenti, ma se il nuovo percorso delineato fosse confermato segnerebbe una svolta nello stato giuridico della categoria. La novità maggiore riguarderebbe i professori di prima e seconda fascia, per i quali la stabilità del posto, oggi garantita, potrebbe aversi solo a seguito dei primi contratti a tempo determinato. I concorsi avrebbero un carattere nazionale, mentre oggi i bandi sono a carattere locale e le commissioni prevedono un membro interno, con l'obiettivo di garantire maggiore trasparenza nelle procedure e maggiore qualità nella selezione. Superato il concorso, il docente universitario avrebbe però, stando all' ipotesi allo studio, una posizione "a contratto", vale a dire a tempo determinato. Dopo due contratti "a tempo", l'università potrebbe decidere se riconoscere al docente un contratto a tempo indeterminato. In questo modo, dunque, le posizioni di ruolo tenderebbero a diminuire. La conseguenza, rispetto alla situazione attuale, sarebbe una riduzione della stabilità del posto, con la prevalenza di posizioni a contratto. Anche per la fascia d'ingresso dei ricercatori, secondo quanto si è appreso, sarebbe previsto un contratto quinquennale rinnovabile per un secondo quinquennio, terminato il quale se il ricercatore non riesce ad accedere alla fascia di professore associato perde la possibilità di ulteriori contratti. Un'altra novità rilevante riguarderebbe poi la retribuzione dei docenti universitari. L'ipotesi sarebbe quella di prevedere due voci di retribuzione: una quota nazionale di base comune a tutti ed una seconda quota variabile, da contrattare con i singoli atenei o facoltà, sulla base degli impegni aggiuntivi svolti dai singoli docenti. In discussione, infine, anche l' eventuale possibilità di prevedere delle valutazioni di merito periodiche ai fini di un'accelerazione del percorso di carriera. Il ministero dell'Istruzione, da parte sua, sottolinea comunque che non esiste, al momento, un documento ufficiale relativo allo stato giuridico dei docenti universitari ______________________________________________ Corriere della Sera 23 agosto ’02 DOCENTI UNIVERSITARI VECCHI? CAMBIAMO I CORSI DI DOTTORATO In questa maniera sarà possibile frenare la fuga dei cervelli all’estero e favorirne il rientro L’INTERVENTO / Per migliorare la qualità dell’insegnamento occorre che la gestione sia affidata agli accademici migliori Il rapporto del Comitato Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario, presieduto da Giuseppe De Rita, ha messo in luce un problema: l’invecchiamento dei docenti universitari italiani e degli stessi ricercatori che li dovranno sostituire. In altri Paesi europei e negli Stati Uniti l’età media dei docenti è decisamente inferiore. Nel 2017, anno in cui sembra che dovremmo sostituire il 45% dei docenti attuali, potremmo trovarci impreparati. La Conferenza dei Rettori (Crui) mette in guardia di fronte a due rischi: l’importazione di docenti dall’estero e l’immissione di nuovi docenti senza garanzie di qualità. Che fare? Qui noi vogliamo sottolineare con forza la strada percorsa dai Paesi che, per quanto riguarda la formazione post-laurea, hanno un sistema accademico più evoluto. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna non si diventa oggi docente universitario se non si ha conseguito il dottorato di ricerca, ossia un training post laurea di almeno 4 anni in cui gli studenti vengono iniziati non solo all’esperienza di ricerca, ma anche allo spirito più profondo del mondo accademico, basato su regole di dibattito aperto e di discussione scientifica, sul rigore delle affermazioni, sullo sforzo personale alla ricerca dei risultati di successo. A prima vista sembrerebbe che in Italia si stia andando in questa direzione. Sono nati i dottorati di ricerca e sempre più studenti vi accedono. Peccato che ci sia un dettaglio importante: non basta chiamare qualcosa con lo stesso nome perché sia la stessa cosa! La stragrande maggioranza dei dottorati italiani è infatti molto lontana dai dottorati internazionali che preparano alla ricerca, all’insegnamento e allo spirito "scientifico". A differenza di questi ultimi, non prevedono un sistema strutturato di corsi e di esami, e spesso le tesi non sono parte di progetti di ricerca di più ampio respiro perché mancano professori in grado di lanciare e di aggiudicarsi progetti del genere. Non è difficile immaginare ciò che si potrebbe fare. Sarebbe abbastanza naturale affidare la gestione dei dottorati agli accademici italiani con esperienza di dottorati esteri e con un buon riconoscimento dalla comunità scientifica internazionale. Oggi in Italia queste sono le persone più preparate per organizzare dei dottorati di alto livello, promuovere relazioni con docenti ed atenei esteri, creare un sistema che anche da noi possa diventare una fucina di docenti universitari con buone garanzie di qualità. I dottorati seri servono a produrre docenti seri e dunque a risolvere il problema più generale della qualità dei docenti per le lauree e i diplomi di laurea, dove accedono le grandi masse di studenti. I dottorati di alto livello sono cioè una pre-condizione anche per la qualità del sistema universitario in generale. Due considerazioni conclusive. La prima è che dottorati fatti in questo modo hanno una funzione ulteriore: quella di frenare la fuga dei cervelli e di aiutarne il rientro, quanto meno dei giovani che studiano oggi negli Stati Uniti o in Gran Bretagna e che tendono a rimanerci, spesso come docenti nelle loro università. Alcuni di questi giovani restano fuori in gran parte perché gli stipendi, specie nelle università Usa, sono più alti. Ma molti restano anche perché l’esistenza di un programma di dottorato valido è una garanzia di una buona attività di ricerca, consente attività di insegnamento adeguate alle competenze raggiunte ed è una base per buoni studenti e assistenti con cui discutere e dare vita ad una atmosfera stimolante sotto il profilo scientifico. Un amico del dipartimento di economia di Harvard, Ariel Pakes, ci diceva pochi giorni fa che uno dei motivi per cui oggi Israele riesce a far ritornare parecchi cervelli è proprio il fatto di aver lanciato dei buoni programmi di dottorato, che attirano il ritorno di docenti e studenti israeliani all’estero. L’altra considerazione è di carattere più politico. Si è detto che i dottorati seri vanno affidati a chi li sa fare. Ma è proprio questo che incontra resistenze in alcune sacche del mondo accademico italiano dando vita ad un meccanismo involutivo. Chi è nato, è cresciuto ed è protetto dal sistema esistente, teme il nuovo. Si controllano perciò gli ingressi e si danno pochi spazi ai giovani o più in generale a chi potrebbe essere più bravo e mettere in difficoltà gli equilibri esistenti. Meglio allora i dottorati attuali che sono più facilmente controllabili e che non mettono a nudo la pochezza di alcuni nostri dipartimenti universitari e di alcuni nostri docenti. Il sistema invecchia e al tempo stesso resiste al suo "svecchiamento", così come allo sviluppo di dottorati veri e all’innalzamento della qualità delle strutture universitarie e dei docenti. Ciò di cui avrebbe bisogno soprattutto il sistema universitario italiano è dunque di alcuni policy- maker coraggiosi, siano essi a livello di governo nazionale, o di governo delle strutture accademiche, che rompano questa spirale involutiva, affidando almeno le cose nuove, come i dottorati, a persone in grado di farle funzionare, all’interno di entità organizzative almeno parzialmente autonome - in qualche modo simili alle "Graduate Schools" anglosassoni -. Solo così, crediamo, è possibile formare una classe di docenti universitari all’altezza delle esigenze di un Paese che ha bisogno di accedere in maniera molto maggiore alla "frontiera delle conoscenze", scientifiche e tecnologiche. * Professore Ordinario, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa ** Professore Straordinario, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa ______________________________________________ L’Unione Sarda 29 agosto ’02 CAGLIARI: STUDENTI DA TUTTA EUROPA PER UN MEETING DELL’ASSOCIAZIONE AEGEE Più di 250 studenti universitari provenienti da 32 nazioni stanno per sbarcare in Sardegna. Il loro compito è quello di programmare le attività dell’ Aegee, la più grande associazione studentesca d’Europa. Nata nel 1985 a Parigi da una conferenza organizzata con la cooperazione delle cinque Grand Ecoles, l’associazione aveva lo scopo di creare una grande tribuna di giovani per discutere i problemi europei e per presentare le loro idee alle istituzioni. Presto alcuni studenti iniziarono a fondare delle sedi locali nelle loro città. «Nell’Aegee non esiste un livello nazionale - spiega Enrico Lai, uno dei soci fondatori della sede cagliaritana - e le singole sedi sono coordinate da una centrale che si trova a Bruxelles. La nostra associazione è aperta agli studenti di tutte le facoltà». Cagliari ha già ospitato quattro anni fa un meeting internazionale dell’Aegee. Questa volta i partecipanti saranno ricevuti dal sindaco venerdì 6 e resteranno in città fino al 12 settembre, ospiti della Casa dello studente di via Trentino. Barbara Soddu ______________________________________________ L’Unione Sarda 7 agosto ’02 MISTRETTA PRESENTA IL “MANIFESTO” DELLO STUDENTE Oggi il rettore presenta il programma per l’anno accademico 2002-2003 Nuovi corsi di laurea, tasse e numero chiuso Si apre all’insegna delle novità l’anno accademico 2002-2003 nell’ateneo cagliaritano. L’offerta formativa dell’Università si arricchisce con l’istituzione di cinque nuovi corsi di laurea. Questa mattina il rettore Pasquale Mistretta presenta alla stampa (nella Sala Consiglio del rettorato alle 10,30) il “Manifesto degli studi 2002-2003”. Il documento contiene tutte le informazioni riguardanti l’attività dell’ateneo: piani di facoltà, corsi di laurea e di diploma, le modalità di iscrizione, i test di orientamento e gli accessi a numero chiuso. Stamane si parlerà anche dei problemi riguardanti la didattica, delle risorse finanziarie, del bilancio dell’anno 2001-2001 e delle strategie per il futuro. C’è molta attesa ovviamente per le novità che riguarda le tasse universitarie. Ma gli studenti guardano con attenzione e interesse ai corsi istituiti in vista del nuovo anno accademico. Le novità riguardano Economia, Ingegneria, e la laurea specialistica in Scienze e tecnica dello sport. Nella facoltà di Economia l’offerta formativa nel 2002-2003 comprenderà cinque corsi di laurea. La novità è rappresentata dal corso di “Economia dell’ambiente e del territorio”. La durata è stata fissata in tre anni e l’accesso è libero. In questo caso non c’è il numero chiuso, una soluzione adottata invece in due dei tre nuovi corsi istituiti nella facoltà di Ingegneria. Solo sessanta studenti saranno ammessi a frequentare “Tecnologie per la conservazione e il restauro dei beni culturali”. La prova di ammissione è prevista per il 4 settembre. Nello stesso giorno è in programma il test per gli studenti che intendono frequentare il corso di laurea denominato “Ingegneria edile-architettura” della durata di cinque anni. Anche in questo caso c’è il “numero chiuso” con centocinquanta posti. Nessuna prova di ammissione per gli studenti che sceglieranno il corso di Ingegneria elettrica (durata di due anni). Test obbligatorio, invece, per chi vuole iscriversi in Scienze motorie (tre anni di corso, prova di ammissione l’11 settembre, 100 posti disponibili) e Scienze e tecnica dello sport, dove l’ingresso è riservato a soli sessanta studenti. Per questo corso di laurea non è stato ancora fissata la data del test. Anche quest’anno l’ateneo cagliaritano conferma il suo impegno nelle tanti sedi periferiche, dove sono stati sperimentati con successo anche i corsi di informatica. È il caso di Iglesias, Ilbono e Sorgono, che nel 2002-2003 mettono a disposizione novanta posti (trenta per sede), ma anche di Oristano (Biotecnologie industriali, 30 posti) e con la laurea in Servizio sociale a Nuoro (legata alla facoltà di Scienze politiche). ______________________________________________ L’Unione Sarda 7 agosto ’02 UNIVERSITÀ, MISTRETTA AUMENTA LE TASSE Il contributo minimo passerà da 100 e 150 euro, ma a settembre si pagherà solo un bollo da 10,3 euro Mistretta: «È inevitabile, dallo Stato arrivano pochi fondi» Dal prossimo anno studiare all’Università di Cagliari costerà di più. L’ateneo, vista l’insufficienza dei finanziamenti statali, delibererà entro il prossimo novembre il temuto aumento delle tasse per rimpinguare il suo bilancio. Lo ha annunciato ieri il Rettore Pasquale Mistretta nel corso di una conferenza stampa in cui ha esposto i risultati dell’anno accademico appena concluso e ha presentato il Manifesto degli studi per il 2002-2003. Per ora di sicuro c’è già l’aumento del contributo minimo per l’iscrizione, che passerà da 100 a 150 euro. A settembre, però (quando partono le iscrizioni) gli studenti dovranno pagare solo un bollo di 10,3 euro. Solo in seguito si conoscerà l’ammontare effettivo della nuove tasse. Guardando al lato economico, le condizioni dell’Università cagliaritana sono tutt’altro che esaltanti. Attualmente il Fondo del finanziamento ordinario dello Stato ammonta a 243 miliardi di lire che se ne vanno interamente per gli stipendi e la gestione della macchina universitaria. «Il fondo è fermo al ‘94», ha spiegato Mistretta, critico sul decreto del maggio scorso che ha aumentato gli stipendi ai docenti universitari senza prevedere un corrispondente aumento del fondo. Insomma, visto il disinteresse dello Stato, l’Ateneo si deve sostentare con le sue risorse: l’anno scorso 15 miliardi di vecchie lire sono arrivati dalla Regione, 2 miliardi dalle prestazioni verso Comuni ed altri enti, il resto dagli studenti. «Le tasse universitarie ammontano a 17,5 miliardi di lire, pari al 6,5 per cento del Ffo», ha detto Mistretta: «Poco, se si pensa che nelle altre Università sono pari al 20 per cento». Ecco la necessità di un ritocco anche per le fasce di reddito medie, quelle che arrivano fino a 20 mila euro e rappresentano la maggioranza (il 71 per cento) degli studenti cagliaritani. Di certo, in base ad una recente legge statale, il contributo minimo passerà obbligatoriamente da 100 a 150 euro, ma l’entità precisa dell’aumento sarà decisa dopo settembre: nel frattempo, per iscriversi, gli studenti dovranno versare solo il bollo da 10,3 euro. «Nonostante le difficoltà, quello di Cagliari è uno dei pochi atenei che non sono in rosso», ha assicurato il rettore elencando i risultati ottenuti nel campo dell’edilizia universitaria (Sa Duchessa, Palazzo delle Scienze, Cittadella universitaria e Policlinico di Monserrato, solo per fare qualche esempio) e dell’offerta formativa (tra le ultime biblioteche realizzate c’è quella della Facoltà di Giurisprudenza). Ma il futuro dell’ateneo passa attraverso un drastico riordino di corsi e programmi in sintonia con la riforma. «Per questo», ha avvertito il rettore, «occorrerà vincere la resistenza culturale di molti docenti». Qualche esempio di eccellenza c’è già: alcuni corsi di medicina, economia e ingegneria in cui il 50 per cento degli studenti supera gli esami con cadenza regolare. In altri casi, invece, solo il 5 per cento degli studenti è in regola. Proprio per vincere la piaga dei fuori corso, molto costosi per l’Università, Mistretta ha annunciato che da ottobre ci saranno maggiori controlli. Tra le direttive per il futuro c’è anche quella di revisionare gli organici mantenendo in vita solo i corsi che effettivamente abbiano un numero minimo di matricole (come è noto l’anno prossimo ne saranno attivati alcuni completamente nuovi). «Fermo restando che certe nicchie pur costando tanto non si possono cancellare», ha ribadito Mistretta riferendosi al corso di Lettere classiche, che l’anno scorso ha avuto appena 15 iscritti su 7300 matricole. Oltre che dall’aumento delle tasse, l’Università potrebbe avere una boccata d’ossigeno anche da una maggiore attenzione da parte della Regione. Il rischio, immeritato per l’Ateneo cagliaritano, è quello di confermarsi ancora all’ultimo posto nelle graduatorie nazionali. Alessandro Zorco ______________________________________________ Il Sole24Ore 24 agosto ’02 INFORMATICI, PARTE L'ATTACCO ALL'ALBO Puccio Lai (NOSTRO SERVIZIO) ROMA - Cambia il direttivo Alsi, l'Associazione laureati in Scienze dell'informazione e Informatica. Alessandro Labonia subentra al presidente uscente Enrico Bocci. Il nuovo vertice ha ripreso la battaglia per consentire l'iscrizione degli informatici all'Albo degli ingegneri, settore dell'informazione, promuovendo il ricorso al Tar contro la circolare interpretativa del ministero dell'Istruzione che impedisce ai "vecchi" laureati in Scienze dell'informazione e in Informatica di sostenere l'esame di Stato. È consentita l'abilitazione solo ai laureati e ai laureati specialisti secondo il nuovo ordinamento. La circolare di fine maggio, secondo i legali dell'Alsi, ha mal interpretato il Dpr 328/2001 (che ha modificato le modalità di accesso agli albi professionali), il quale non escluderebbe i dottori in scienze informatiche del vecchio ordinamento. Con l'esclusione dall'Albo, viene preclusa ai 25mila laureati in scienze informatiche la possibilità di continuare a svolgere la professione per la quale hanno competenza specifica. "Vengono poste - contesta Labonia - a esclusivo favore degli iscritti all'Albo le riserve relative alla progettazione di strutture, sistemi e processi di tipo informatico e sistemi di trasmissione ed elaborazione delle informazioni e di realizzazioni informatiche in generale: praticamente tutta l'informatica!". Tutte queste attività sono state svolte dai dottori informatici sin da quando la "specializzazione" è nata in Italia nel 1969 (affiancata solo nel 1992 da un corso di laurea della facoltà di ingegneria), senza necessità di alcuna abilitazione, visto che non esisteva alcun Albo che poneva esclusive sulle loro attività professionali. "Con l'istituzione della sezione dell'informazione nell'Albo degli ingegneri - aggiunge Labonia - siamo giunti al paradosso che un dottore informatico non può più fare l'informatico". Aggiunge Stefano Pilia, delegato sardo dell'Alsi: "Non si capisce davvero come mai il ministero non ritenga possibile "ammettere i laureati in scienza dell'informazione a sostenere l'esame di Stato senza prima aver verificato le effettive idoneità dei titoli", giacché la differenza formativa tra un ingegnere informatico e un dottore informatico è nulla, rispetto alla differenza formativa tra un ingegnere informatico e un ingegnere di un'altra specializzazione. Eppure nel settore dell'informazione sono entrati tutti gli ingegneri". ______________________________________________ Corriere della Sera 27 agosto ’02 L' ITALIA, UNA REPUBBLICA FONDATA SULLE SENTENZE DEL TAR Già nel maggio 2001 un ricorso dei docenti aveva messo in subbuglio il mondo dell' istruzione La durata media dei processi esclusi dalla «corsia preferenziale» è di 2 anni per ogni grado di giudizio Bianconi Giovanni ROMA - Il titolo di giornale è allarmante: «Scuola, il ministero sospende le nomine dei precari. Almeno ventimila insegnanti rischiano di restare senza cattedra». Dietro la decisione c' era il ricorso al Tar di un gruppo di docenti, contro i criteri di compilazione delle graduatorie. A parte la differenza del numero delle cattedre scoperte, ventimila anziché quarantamila, quel titolo sembra ripreso dai quotidiani di ieri. Invece è del 30 maggio 2001. Allora come oggi, il «contenzioso amministrativo» avviato dai supplenti mise in subbuglio il mondo della scuola. Pochi giorni dopo un' altra ordinanza del Tar bloccò l' efficacia della riforma dei cicli scolastici. Ma il problema non riguarda solo l' istruzione. Dalla sanità alla gestione dei comuni, dallo sport all' economia, dagli appalti ai servizi pubblici, il proliferare di pronunce amministrative contrastate e contrastanti sta facendo assomigliare l' Italia a una Repubblica fondata sui verdetti del Tar. O del Consiglio di Stato, giudice d' appello. Otto anni fa, nel 1994, proprio il Consiglio di Stato ribaltò la decisione del Tar e accolse i ricorsi contro la nomina del procuratore di Roma stabilita dal Csm, provocando un cambio alla guida dell' ufficio giudiziario più importante d' Italia. E il dirigente della squadra mobile di un' importante città, trasferito per ordine del Viminale, è tornato al suo posto dopo aver vinto la causa amministrativa. Meno di un anno fa, invece, il Tar del Friuli Venezia Giulia ha reintegrato in servizio due poliziotti destituiti perché accusati e condannati per stupro; un errore procedurale commesso dal ministero nella procedura di «licenziamento» ha restituito loro il posto e gli arretrati di stipendio. I cittadini di Olbia che nel maggio 2001 scelsero il consiglio comunale, sette mesi dopo hanno visto vanificare il loro voto dal Tar della Sardegna che ha annullato le elezioni, accogliendo i ricorsi di tre liste escluse dalla competizione per motivi formali, mentre nel marzo scorso il Tar della Lombardia ha rimesso al suo posto il sindaco di Vailate - paese di 3.500 anime in provincia di Cremona - sospendendo l' efficacia del decreto firmato dal presidente della Repubblica che aveva commissariato il comune. A Roma, nel gennaio ' 99, il Tar destituì il comandante dei vigili urbani nominato dal sindaco Rutelli, e contemporaneamente il Consiglio di Stato stabilì che il manager dell' ospedale San Camillo, uno dei più grandi d' Europa, non aveva più i titoli per ricoprire quel l' incarico. Le lamentele arrivano da tutti i settori della pubblica amministrazione: ogni atto che serva a governare una città come qualunque altro ufficio, ha sulla testa la spada di Damocle di un ricorso che troppo spesso, secondo gli amministrato ri, porta con sé la sospensione del provvedimento in attesa della decisione di merito su chi ha ragione e chi ha torto. Una riforma del 1998 ha allargato di molto le competenze dei giudici amministrativi, estendendole ai «diritti soggettivi» oltre ch e agli «interessi legittimi»; un' altra del 2000 ha cercato di porre riparo alle disfunzioni con alcune correzioni. Per esempio introducendo l' obbligo di motivare la sospensione dei provvedimenti, o cercando di accelerare l' iter di alcuni processi. Grazie a quelle norme oggi, in alcuni settori, si può arrivare alla sentenza di secondo grado nel giro di un anno. Ma la durata media dei processi esclusi dalla «corsia preferenziale», rimane di almeno due anni per ogni grado di giudizio. Anche la riforma della Sanità del ' 97 finì nella rete dei tribunali amministrativi, come la fusione tra Seat e Telemontecarlo del 2001, o la gara per l' assegnazione delle licenze dei telefonini Umts. Questioni di grande interesse pubblico e rilevanza economica, che si mescolano a curiosità come la decisione con cui il Consiglio di Stato ribaltò un' ordinanza del Tar dichiarando che l' apertura a strappo delle lattine di Coca Cola è sufficientemente igienica (1999), oppure la restituzione del passaporto italiano al calciatore argentino del Napoli Quiroga, ritiratogli dal consolato di Buenos Aires (2001). «Il problema esiste - ammette il giudice Filippo Patroni Griffi, del direttivo dell' Associazione magistrati amministrativi -, ma se s' invocano le garanzie per i cittadini non ci si può lamentare dell' intervento del giudice. E se il giudice presume che l' atto contro il quale è stato presentato il ricorso sia illegittimo, quasi sempre scatta la sospensione del provvedimento prima della decisi one». Di soluzioni tecniche allo studio per limitare i danni all' amministrazione ce ne sono diverse: restringere al massimo i tempi tra la sospensiva e il provvedimento oppure, in materia di appalti, evitare il blocco dei lavori con il pagamento di una cauzione in favore del ricorrente qualora ne venissero riconosciute le ragioni. Ma al di là di questi rimedi, dice Patroni Griffi, «la strada maestra resta il buon senso del giudice, che deve saper contemperare i diritti del cittadino con le esigenze dell' amministrazione». Perché di ricorsi ne arriveranno comunque in quantità. Come quello della studentessa umbra che nel ' 96 cercò di ottenere la maturità chiedendo al Tar di bocciare la sua bocciatura: non ce l' ha fatta. Giovanni Bianconi L ' ISTITUZIONE I Tar, tribunali amministrativi regionali, ufficialmente sono nati nel 1974 con una legge, la 1034, emanata però già nel 1971. Questo divario di tre anni ha contribuito ad accrescere il numero delle pendenze LA RIFORMA Una riforma del 1 998 ha ampliato le competenze: dall' amministrazione pubblica ai «diritti soggettivi» e agli «interessi legittimi». Reintrodotto nel 2000 l' obbligo di motivare le sospensione dei provvedimenti =========================================================== ______________________________________________ Corriere della Sera 30 agosto ’02 SANITÀ, SCONTRO SUI TAGLI Cento: sarà contestazione dura. Storace: istigazione alla violenza Angelilli (An): «Anziché protestare, la sinistra si prepari a giocare a Monopoli, viste le montagne di debiti che ci ha lasciato in eredità» Di Frischia Francesco I tagli in sanità fanno alzare il termometro dello scontro politico e innescano un duro botta e risposta tra destra e sinistra. Il deputato Paolo Cento (Verdi) annuncia: se la giunta regionale «proseguirà con il progetto di chiudere ospedali e ridurr e i posti letto, avrà lo stesso trattamento che in queste settimane ha avuto il presidente della giunta pugliese Fitto». Manifestazioni «popolari e pacifiche ovunque andranno in difesa della sanità pubblica - aggiunge Cento -. La maggioranza degli italiani non è disponibile a subire tagli sul diritto della salute, magari a vantaggio delle mutue private». La replica di Francesco Storace, presidente della Regione, non si fa attendere: «È molto grave che un deputato della Repubblica, peraltro fatto si eleggere a Bologna e non nel Lazio, si faccia promotore di una vera e propria istigazione a commettere violenze». Storace chiede anche alla sinistra se sul tema della sanità «ci attende una stagione di violenza o di dibattito». Una protesta annunciata anche dai Comunisti italiani: Maura Cossutta (deputata Pdci) «per difendere lo stato sociale» annuncia «girotondi intorno agli ospedali» dopo quelli per la giustizia e l' informazione. «Riteniamo che l' idea possa essere buona - spiega Cossutta - e vorremmo scegliere dei centri simbolici». I dettagli sulle future manifestazioni verranno stabiliti alla ripresa dei lavori parlamentari. «Con Rosy Bindi (ex ministro della Sanità ndr) - precisa - ne abbiamo già parlato da tempo». Intanto nel Lazio il gruppo regionale del Pdci sta mettendo a punto varie iniziative nei prossimi giorni intorno agli ospedali di Palestrina e Tivoli (vicino a Roma) e in alcune strutture capitoline in cui si prevede il taglio di letti. «È prioritario difendere lo stato sociale e la salute dei cittadini - spiega il capogruppo Pdci alla Regione, Alessio D' Amato - e occorre la massima indignazione contro la riduzione di servizi, che nel Lazio riguardano ben 3.500 posti pubblici. Vanno bene, quindi, i girotondi per giustizia e informazione, ma ampliamoli anche alla sanità». Roberta Angelilli, coordinatrice di An nel Lazio e europarlamentare, respinge le proteste: «Anziché girotondi gli esponenti dei Comunisti italiani si preparino a giocare a Monopoli, viste le montagne di debiti che ci hanno lasciato in eredità». F. D. F. ______________________________________________ Corriere della Sera 12 agosto ’02 I CAMBIAMENTI DELLA SANITA' Cosmacini Giorgio Italia dei comuni, delle parrocchie, dei gonfaloni, dei campanili. La tradizione del nostro «bel Paese» è espressa dalle tante culture di cui siamo eredi. Questa eredità composita però non giustifica i municipalismi e i campanilismi. Dal 1861, cioè d a quando la penisola (con le sue isole), per libera scelta dei suoi abitanti, cessò d' essere l' «Italia arlecchinesca» che riproduceva la multicolore «espressione geografica» stigmatizzata dal barone di Metternich, i tanti problemi - legislativi, economici, monetari, linguistici, scolastici e così via - posti dalla raggiunta unificazione politico-territoriale furono affrontati e risolti con orientamento verso quella che Federico Chabod ha chiamato «l' idea di nazione». Anche la «questione sanitaria» lo fu. Essa era il problema dei problemi, se è vero che la salute di un popolo è il primo indicatore del suo grado di civiltà e il principale referente della qualità ed equità delle sue istituzioni. La pellagra era un problema del Nord, la mala ria del Sud; ma le malattie legate all' arretratezza economica o al progresso industriale erano ubiquitarie, così come lo erano la tubercolosi e il colera. Contro di esse la strategia doveva essere globale, unitaria, volta alla tutela delle salute di tutti. Questo impegno «nazionale» venne recepito dalla legge sanitaria varata da Francesco Crispi nel 1888. Tuttavia, se la strategia fu «nazionale», la sua promozione fu in gran parte «milanese»: non solo perché a promuoverla fu, come riconobbe lo stesso Crispi, il medico e uomo politico milanese Agostino Bertani, ma soprattutto perché vivaio di quella «medicina politica» fu la Società italiana d' igiene, attiva a Milano nel 1879. Milano fu in ciò città-guida. Ma fu anche matrice di modelli or ganizzativi d' avanguardia, del «perfezionamento della clinica» realizzato da Mangiagalli alla «clinicizzazione del lavoro» realizzata da Devoto. Fu precorritrice nel campo di esperienze assistenziali peculiari, dall' «albergo dei vecchi» in via Baggina all' ospedale dei «bambini» in via Castelvetro. Fu l' «Atene lombarda» della ricerca e della didattica alla «Città degli Studi» e al «Policlinico». Fu l' area di sviluppo di una originale «via milanese» alla lotta antitubercolare e la sede dell' antesignano «Istituto del cancro». Tutto questo a favore d' iniziative esemplari durò fin verso la metà del Novecento. Poi il ruolo sostenuto da Milano, quale privilegiato deposito di cultura sanitaria, cambiò: c' è chi dice per fattori positivi, quali una più generalizzata presa di coscienza e partecipazione sociale; c' è chi dice per fattori negativi, quali una meno propulsiva azione sia di base che di vertice. Probabilmente i fattori predetti, e altri, contribuirono al cambiamento. Ma recentemente il potenziamento in più sedi cittadine del ruolo trainante della ricerca (epidemiologica, biomedica) ha delineato una tendenza che prefigura un recupero e un ripristino; e d' altra parte la realtà odierna ha visto e vede insediati ai vertici istituzionali della sanità pubblica il clinico oncologo milanese Umberto Veronesi, ministro della Sanità in un governo dell' Ulivo, e l' immunologo clinico milanese Girolamo Sirchia, ministro della Salute in un governo del Polo. Pur nel mutar de i governi, un che di Milano sta dunque nel lievito della sanità del Paese. Il punto è che, nel mutar dei governi, si proceda spediti nell' azione promozionale e nella ricerca della qualità ed equità delle cure, nelle quali consiste la loro efficacia. Se l' «efficienza» della produzione sanitaria è in cima ai pensieri dei tecnici, l' «efficacia» del prodotto, cioè la salute, sta a cuore dei malati e di ogni cittadino. *storico della medicina e della sanità ______________________________________________ L’Unione Sarda 27 agosto ’02 SANLURI: LA TALASSEMIA NON FA PIÙ PAURA Interessanti risultati di un’indagine nelle scuole compiuta dall’Azienda sanitaria n.6 Un risultato ottenuto con un programma di prevenzione Sanluri C’era una volta la talassemia? È probabile che in un domani non molto lontano si possa dare una risposta affermativa. Nel territorio del Medio Campidano si è registrata una notevole diminuzione dei casi di malattia, sino ad arrivare a valori assolutamente rassicuranti. Pur registrandosi una delle più alte presenze di portatori di talassemia in Sardegna, nel territorio di competenza della Asl n. 6 di Sanluri dal 1983 ad oggi sono nati solo dieci bambini affetti da microcitemia. «Quest’anno appena due - afferma Salvatore Leanza, responsabile del servizio prevenzione talassemia - ma in famiglie comunque coscienti di questa scelta, quindi da genitori informati». Un risultato dovuto ai piani di prevenzione, messi in atto dal Centro trasfusionale dell’ospedale di San Gavino, diretto dal primario Maria Grazia Batzella, che da circa vent’anni attua un progetto di prevenzione dell’anemia mediterranea nelle scuole dell’obbligo. Il centro da tre anni è inserito anche nel progetto regionale elaborato dalla facoltà di Clinica e biologia dell’età evolutiva dell’Università di Cagliari per la prevenzione della Beta Talassemia nella scuola dell’obbligo. L’anno scorso il servizio preventivo talassemia, di cui fanno parte anche Stefania Caredda, Alessandra Cherchi, Anna Setzu, Gabriella Porru, Efisio Lai, Cristiana Porcedda, Ginetta Desogus e Ofelia Limongelli, ha avviato un’indagine che coinvolge gli alunni delle terze classi delle scuole medie inferiori. Su una popolazione scolastica di 1.615 alunni, ne sono stati esaminati 1.252, mentre 363 non hanno consentito di essere sottoposti all’esame o erano assenti dalle lezioni. I risultati hanno evidenziato una incidenza del tratto beta (tratto major, maggiormente invasivo) pari all’11,25 per cento, mentre il tratto alfa, meno aggressivo ed evidente, ha raggiunto il 27,81 per cento; il 59,42 per cento degli esaminati non sono portatori di talassemia. Da due anni lo screening ha coinvolto anche alcune scuole superiori del territorio. Ai test di prevenzione sono stati sottoposti 468 studenti delle ultime classi delle magistrali e del liceo scientifico di San Gavino, il liceo classico di Villacidro, l’istituto tecnico e Scolopi di Sanluri, l’Ipsia di Arbus, il tecnico e l’Ipsia di Guspini e gli istituti tecnici di Serramanna e Senorbì. Questa fase di indagine ha evidenziato un’incidenza pari al 12,8 per cento di portatori sani di beta talassemia e del 25 per cento di talassemia alfa. Il personale del Centro trasfusionale è sottoposto ogni anno scolastico ad un grosso impegno. L’indagine segue varie fasi operative: contattare gli insegnanti per la raccolta nominativa degli alunni, ottenere il consenso dei genitori e la calendarizzazione degli interventi. Inizia poi l’attività di educazione sanitaria che viene condotta tramite conferenze e la presentazione di diapositive e filmati. Gian Paolo Pusceddu ______________________________________________ L’Unione Sarda 11 agosto ’02 BROTZU: TUTTI I COLORI DELLE MALATTIE Medici e infermieri del pronto soccorso costretti a fare una graduatoria delle patologie Codici e sigle per stabilire chi deve pagare il ticket Per l’amputazione di un dito si paga il ticket, per l’amputazione di una gamba non è prevista la tassa regionale di 15 euro. Nei pronto soccorso non c’è stata la “fuga dei pazienti” ma un calo sì. Da da una settimana medici e infermieri devono stabilire chi paga il ticket e chi invece ha diritto all’esenzione. Non è un’operazione semplice. Gli operatori dei quattro ospedali cittadini devono districarsi tra codici colorati e sigle alfanumeriche per stabilire chi deve essere visitato con urgenza e chi no. La vicenda del ticket ha creato un po’ di confusione tra i pazienti che si rivolgono al pronto soccorso. Ieri un turista romano, Ennio Astolfi, arrivato al “Brotzu” con la pelle arrossata e un fastidioso prurito alle gambe ha scoperto che curare quel bruciore sarebbe costato quindici euro. Ha provato a chiedere informazioni ma l’ufficio era chiuso. Poi ha notato un manifesto affisso nella bacheca. «Ecco. Dopo la visita dovrò lasciare i miei dati e mi manderanno il bollettino di conto corrente per pagare il ticket». «Il pagamento dei quindici euro è determinato dall’urgenza del caso e non dalla gravità della patologia», dice Franco Meloni, direttore generale dell’azienda sanitaria “Brotzu”. Nel pronto soccorso degli ospedali cittadini la prima settimana di lavoro con i ticket è trascorsa all’insegna della normalità. I carichi di lavoro, stando a quanto affermato da medici e infermieri, non sono granché cambiati. «Per quando ci riguarda Ñ dice la dottoressa Antonella Saliu dell’ospedale Marino Ñ il numero di persone che si rivolgono al pronto soccorso è rimasto sostanzialmente stabile». Nella sala d’attesa dell’ospedale di viale Poetto ci sono una ventina di persone. Nessuno rientra nel “Codice rosso”, nessuno rischia la vita. Ma tutti pagheranno i 15 euro del ticket. Di volta in volta i medici e gli infermieri controllano il paziente. «Nei nostri ospedali non c’è uno schema rigido e le valutazioni le facciamo caso per caso», commenta Roberto Sequi, direttore sanitario del “Brotzu”. «Spesso la stessa patologia Ñ aggiunge il medico Ñ assume diversi significati. Posso fare un esempio. Se una ragazzo accusa fastidi al petto potrebbe trattarsi di semplici dolori intercostali, nel caso di una persona anziana si potrebbe pensare a un infarto. E poi bisogna sempre distinguere tra segni e sintomi della malattia». Spesso i medici si affidano all’esperienza e non badano ai codici. «Il nostro personale è in grado di giudicare la gravità e l’urgenza Ñ dice Franco Meloni Ñ certo ci sono le classificazioni delle patologie e bisogna tenerne conto». Rosanna Laconi, medico dell’ospedale San Giovanni di Dio è attenta ai colori dei codici. «Sappiano che il “codice rosso” non deve pagare il ticket. Ma sappiamo soprattutto che il paziente è in grave pericolo e bisogna fare di tutto per salvarlo». Una vita umana vale più di 15 euro. Molto di più. Francesco Pintore ______________________________________________ Corriere della Sera 30 agosto ’02 «BIMBI LEUCEMICI, È BRUXELLES CHE IMPEDISCE LE AGEVOLAZIONI» Il direttore delle Entrate Ferrara: «Il nuovo regolamento sta per essere varato» Ferrara Raffaele Ieri il Corriere ha raccontato la storia della fondazione Città della Speranza di Padova che dal ' 97, con donazioni di privati, ha costruito un ospedale, un pronto soccorso e un centro di ricerca per bambini malati di leucemia. La fondazione non ha scopi di lucro ma, non essendo non-profit, non può scaricare l' Iva del 20% sulle macchine donate all' ospedale. In Italia, se si fa ricerca, farsi riconoscere la qualifica non-profit è impossibile: il regolamento per stabilire chi ne ha diritto, scritto nel 1988, attende l' emanazione Gentile Direttore, ho letto con estremo interesse l' articolo «Salvano i bimbi leucemici, ma non si salvano dal Fisco» a firma di Gian Antonio Stella, pubblicato ieri dal Corriere della Sera. Tale articolo opportunamente fa rilevare delle ingiustizie sia sul campo delle imposte dirette che indirette, sulle quali vorrei fare le seguenti precisazioni: a) Imposte indirette. Il caso «oscenamente strepitoso» relativo alla non detraibilità dell' Iva sui macchinari che la Fondazione «Città della Speranza» ha destinato a finalità di beneficenza deriva dalla normativa comunitaria in materia. Come è noto l' Iva è un' imposta comunitaria e la normativa italiana deve rispettare gli standard europei secondo i quali a i soggetti che non svolgono attività commerciali e a quelli che le svolgono ma in regime di esenzione da Iva (l' una e l' altra ipotesi potrebbero ricorrere nel caso della Fondazione) non è consentito «scaricare» l' Iva pagata ai propri fornitori per l' acquisto di beni e servizi. Giusto o sbagliato (sbagliato, se non tecnicamente, almeno moralmente) questa è comunque una normativa da rispettare. Insieme con altre amministrazioni è in atto il tentativo di modificarla passando attraverso le complesse procedure comunitarie. b) Imposte dirette. La qualifica di Onlus per gli Enti che operano nel settore della ricerca (con i conseguenti benefici fiscali) può essere concessa solo in caso di attività di «ricerca scientifica di particolare interesse sociale», attività individuabile sulla base di un regolamento governativo, ai sensi del decreto legislativo n. 460 del 4/12/1997. Tale regolamento avrebbe dovuto essere emanato nel 1998. Il che non è stato. Per colmare questo vuoto normativo l' attuale ministro dell' Istruzione, dell' Università e della Ricerca ha lavorato con tempestività alla redazione della bozza di regolamento. Lo scorso luglio la bozza è arrivata al ministero dell' Economia e delle Finanze che, dopo pochi giorni, ha dato il suo via libera. Ora il regolamento è in corso di emanazione. Sulla base di questo regolamento anche l' attività di ricerca scientifica della Fondazione «Città della Speranza» rientrerà nel regime agevolativo delle Onlus. Pertanto la Fondazione resterà iscritta (ma nelle more non è mai stata cancellata) nell' anagrafe delle Onlus. Cordialmente Raffaele Ferrara Direttore dell' Agenzia delle Entrate ______________________________________________ Corriere della Sera 9 agosto ’02 DNA, ECCO I PUNTI DEBOLI CHE CAUSANO MALATTIE L' annuncio degli scienziati Usa: il segreto in 170 zone del genoma. Gli esperti: ma per trovare le cure ci vorrà tempo. Queste aree danneggiate potrebbero essere la causa di almeno una cinquantina di patologie, tra cui alcune rarissime De Bac Margherita ROMA - Piccole sequenze del Dna che si duplicano e vanno a collocarsi in punti precisi del genoma per costituire «zone calde» all' interno dei cromosomi. E' qui, in queste regioni caratterizzate da copie di materiale genetico, che può aver origine un a vasta gamma di malattie umane, almeno una cinquantina. Spesso rare, a volte irriconoscibili, tanto che i medici non riescono a diagnosticarle in modo preventivo e tempestivo. Come la sindrome di Williams dei bambini elfi, con gli inconfondibili occ hi a stella. O alcune gravi forme di sterilità maschile determinate dall' assenza di spermatozoi. A RISCHIO - Le zone a rischio del nostro codice biologico sono state identificate e contate, circa 170. Gli investigatori di geni sapranno dove andare a cercare, quando si troveranno al cospetto di disturbi sconosciuti o non attribuibili ad altre cause. L' esistenza dei punti critici del genoma è stata annunciata dalla rivista Science. La conferma, prove in mano, di quanto gli addetti ai lavori in p arte sapevano. Per la prima volta, però, sono state messe a confronto le mappature di genoma umano di cui oggi la scienza dispone. Quella ottenuta dalla società privata Celera e quella compiuta dal consorzio pubblico internazionale. Il risultato: la definizione di aree d' ombra dei cromosomi, sedi dei cosiddetti «dupliconi», ovvero i bastoncini reduci da eventi di copiatura. Se la copiatura riesce male è origine di malattie. Le hanno chiamate zone calde perché suscettibili a rompersi, a determin are scambi imperfetti. «Immaginiamo un' asticella che si dovrebbe spezzare in due parti uguali - esemplifica Giuseppe Novelli, dipartimento di biopatologia e diagnostica dell' Università di Tor Vergata -. Per uno sbaglio avviene che, una volta divisa , una delle due metà, anzichè appaiarsi alla seconda, si sistema in un diverso punto del genoma o assume una configurazione differente, ad esempio si riaggomitola su se stessa. Oppure succede che, invece di due segmenti, ne vengono tre. Da qui la spi egazione di molti disturbi genetici». CURE LONTANE - Applicazioni cliniche possibili? Secondo Novelli sarebbe un azzardo affermare che la scoperta possa condurre, in tempi brevi, a una ricaduta terapeutica. Le copiature mal riuscite possono influenza re i geni presenti nell' area dove si sistemano in modo da alterarli e provocare la malattia. Il lavoro è stato compiuto da un gruppo statunitense dell' Università di Cleveland, coordinato dal genetista Jeffrey Bailey. EVOLUZIONE - Il fenomeno della duplicazione genomica venne scoperto nel 1970 dal giapponese Susumu Ohno che la giudicò «uno dei più importanti meccanismi dell' evoluzione genica dei vertebrati», quella che in pratica ci distingue dai topi. I difetti di copiatura nella maggior part e dei casi il bambino non li eredita dai genitori. Brutti scherzi che la natura riserva al momento della formazione di spermatozoi e ovuli. «Almeno il 5-10% del nostro genoma è costituito da materiale duplicato in segmenti che ha avuto origine negli ultimi 30 milioni di anni - spiega Novelli -. Alcuni cromosomi sono particolarmente ricchi di dupliconi, ad esempio il numero 22 ne contiene almeno il 10,8%». Fra i punti caldi anche quelli del cromosoma 11, 7 e 17. Margherita De Bac mdebac@corriere. it LA MAPPA CHE CI GUARIRA' IL LIBRO DELLA VITA Il genoma di un organismo vivente è l' insieme dei suoi geni, il suo patrimonio ereditario che si tramanda di generazione in generazione. Il genoma è distribuito su 22 coppie di cromosomi e 2 cromosomi sessuali PRIMA MAPPA CELERA Il 6 aprile 2000, annuncia la scoperta del genoma la Celera Genomics, azienda privata fondata dal guru della genetica, americano, Craig Venter. Con 800 computer la Celera è riuscita a leggere l' intera sequenza di caratter i che formano il Dna all' interno di ogni cellula L' ANNUNCIO IN MONDOVISIONE Il 26 giugno 2000, con Craig Venter, presidente della Celera Genomics, Francis Collins, direttore del consorzio pubblico Human Genome Project (10 anni di studi per gli scie nziati di 18 Paesi), annuncia la decrittazione del genoma umano, compiuta fino al 97% LA SCOPERTA I ricercatori dell' Università di Cleveland annunciano in un articolo su Science (agosto 2002) di aver confrontato i due genomi e di aver identificato c irca 170 «zone calde», che sono la sede di materiale genetico duplicato, quindi suscettibili a difetti. La ricerca DUPLICATO Almeno il 5-10% del genoma umano consiste in materiale duplicato che si è formato negli ultimi 30 milioni di anni I PROBLEMI Non sempre la «copiatura» riesce bene. E se riesce male è origine di malattie. Le hanno chiamate «zone calde» perché suscettibili a rompersi, a determinare scambi imperfetti I pericoli LE MALATTIE Tra le malattie determinate da un difetto di duplicaz ione e quindi originate nelle zone calde del cromosoma, la sindrome di Williams (i bambini hanno caratteristici occhi a stella) e alcune forme di sterilità maschile grave A RISCHIO Alcuni cromosomi sono ricchi di dupliconi: in particolare il 22, l' 1 1, il 7 e 17 ______________________________________________ Corriere della Sera 13 agosto ’02 SABIN ADDIO, CAMBIA IL VACCINO DELLA POLIO Basta zuccherino, un' iniezione ed è più sicuro. Ma le aziende stanno abbandonando i farmaci di prevenzione Invariato il calendario degli interventi «E' stata una tappa fondamentale e ora il virus è scomparso dall' Europa» De Bac Margherita ROMA - Va in soffitta per sempre il vecchio Sabin, il vaccino fatto di virus vivo attenuato che ha permesso di eliminare da quasi tutti i continenti la minaccia della poliomelite lasciando però dietro sé lo strascico di drammatici, sia pur rarissimi, effetti collaterali. La paralisi. Ieri in Italia è entrato in vigore il nuovo calendario delle vaccinazioni. Tutte e 4 le dosi di antipolio saranno a base di Salk, l' iniezione con virus ucciso, più sicuro. Via le dosi orali, con lo zuccherino. La s volta dell' Italia cade nella settimana di pubblicazione sulla rivista Science di un editoriale-allarme. Le industrie farmaceutiche stanno abbandonando la produzione di farmaci preventivi: non conviene più. Una politica industriale che non tiene conto dell' «intangibile valore delle vaccinazioni». Per le multinazionali è meglio curare la gente malata anziché evitare che si ammali. Il fenomeno crea svantaggi pratici. Negli Stati Uniti si sono verificati problemi di approvvigionamento dell' antidi fterite-tetano-pertosse dopo che una grande azienda ha interrotto le forniture. CALENDARIO - L' appuntamento con l' antipolio resta invariato: quattro dosi al terzo, quinto e undicesimo mese e al terzo anno d' età. Ma lo zuccherino, che veniva dato alla terza e quarta dose per addolcire il sapore amaro della fialetta orale, è sostituito dall' iniezione a base di Salk, fino a ieri previsto nelle due dosi iniziali in combinazione. Secondo gli esperti verranno azzerati i casi di danneggiamento associati all' antipolio, che sono in calo da quando, nel ' 99, era stata introdotta la formula due Sabin più due Salk. Il passaggio alla nuova fase è stato possibile grazie alla scomparsa dall' Europa della poliomielite. «Con il Sabin potevano verificar si un caso di paralisi ogni 500 mila vaccinati - spiega Donato Greco, Istituto superiore di sanità -. Se negli anni ' 60 il rischio era accettabile perché sull' altro piatto della bilancia c' erano migliaia di bambini sottratti al contagio, oggi non più. Il Sabin è stato fondamentale, ora possiamo farne a meno». Le associazioni italiane contrarie alle vaccinazioni reclamano di cancellare l' obbligatorietà dell' antipoliomielite. Ma ciò sarà possibile solo dopo che la malattia sarà scomparsa dal resto del mondo. Oggi restano alcuni focolai in Africa e Asia. Il passaggio al Salk è una conquista del mondo ricco. Costa di più, prepararlo richiede più tempo. I Paesi sottosviluppati non se lo potranno permettere. INTANGIBILE - L' articolo di Science è firmato da Rino Rappuoli, della Chiron di Siena, da Henry Miller, Stanford University, e da Stanley Falkow, microbiologo della stessa università. Rappuoli esemplifica con convinzione la sua teoria: «Proponiamo un piano rivoluzionario, cambiare il sistema economico in modo da dare più valore alla prevenzione che non alla terapia, secondo il principio del costo beneficio. Il valore di non ammalarsi è intangibile. Se calcoliamo in 16 mila dollari il prezzo della qualità della vita, la spesa p er ottenerla con un vaccino è di 1 dollaro». I vaccini hanno prezzi bassi perché considerati socialmente utili. Le aziende, su pressione di governi e opinione pubblica, non si azzardano a tentare il rincaro. Piuttosto rinunciano, specie quelle di piccole dimensioni. Sono 5 le multinazionali che ancora reggono, in Italia, Belgio e Francia e due in Usa. Margherita De Bac mdebac@corriere.it IL NUOVO VACCINO È in vigore da ieri in Italia il nuovo calendario vaccinale. La novità è la scomparsa del vaccino antipolio Sabin (con virus vivo attenuato) che viene sostituito in tutte e 4 le dosi dal Salk (virus ucciso), più sicuro. Verrà azzerato il rischio di danni alla salute dei bambini legati all' antipolio LE MODALITA' L' antipolio verrà somministrato come sempre al terzo, quinto e undicesimo mese e al terzo anno d' età. Saranno tutte iniezioni, a volte abbinate ad altri vaccini. Prima con il Sabin due dosi venivano date per via orale con uno zuccherino che addolciva il sapore amaro della fialetta. L' AFFARE Le industrie farmaceutiche stanno abbandonando la produzione di vaccini, perché non assicurano profitti. Alle aziende, secondo un articolo di Science, conviene puntare sulle terapie. I vaccini occupano uno spazio sul mercato mondiale pari appena al 2% LA PRODUZIONE Negli Stati Uniti il ritiro dalla produzione di vaccini di grandi aziende ha creato problemi di rifornimento. Mantengono la produzione ancora 5 multinazionali, una in Italia, Belgio e Francia, due in Usa. Chiusure anche in Gran Bretagna lo scopritore Rinunciò a tutti i diritti Albert Sabin, scienziato americano di origine polacca, con il suo vaccino sconfisse la poliomelite. Pochi sanno, però, che il suo vaccino si diffuse in tutto il mondo grazie a una su a rinuncia: Sabin non volle mai brevettare la sua scoperta. Fu così che il prezzo del farmaco rimase contenuto e, quindi, accessibile a tutti. ______________________________________________ Le Scienze 29 agosto ’02 UN MODELLO AL COMPUTER DELL’ESCHERICHIA COLI Permetterà di eseguire studi attraverso simulazioni digitali “Tutti i biologi cellulari – scrisse nel 1996 Frederick Neidhardt, dell'Università del Michigan – hanno almeno due interessi: la cellula che stanno studiando e l’Escherichia coli". Il batterio che vive nel basso intestino è in effetti uno strumento indispensabile alla biologia da almeno 50 anni. Ora diventa l'oggetto di una modellizzazione digitale che terrà occupati, in uno sforzo senza precedenti, centinaia di ricercatori per dieci anni, con un costo totale non inferiore ai 100 milioni di dollari. “Scienziati di tutto il mondo – dice Barry Wanner, della Purdue University di West Lafayette, nell’Indiana – stanno realizzando al computer modelli di parti di cellule, ma non esiste ancora un modello di intera cellula vivente e di tutte le sue funzioni”. Questo mese, però, un gruppo di ricercatori guidato dallo stesso Wanner ha lanciato un'alleanza internazionale con lo scopo di unire gli sforzi di modellizzazione dell'Escherichia coli. “Se avremo successo anche con una sola cellula, – spiega Wanner – sarà un progresso di fondamentale importanza". Altri, come il biologo Hans Westerhoff, della Vrije Universiteit di Amsterdam, sostengono che il progetto fa sembrare piccola cosa l’Human Genome Project: “È almeno 10 volte più ambizioso e cento volte più importante per l'umanità”. Westerhoff paragona il genoma a un catalogo delle parti di una macchina, mentre il progetto riguardante l'E. coli è come un manuale di istruzioni: indicherà come i pezzi si incastrano tra di loro. “Se il lavoro dovesse procedere secondo le attese, – afferma Igor Goryanin, responsabile dei modelli cellulari alla GlaxoSmithKline di Stevenage, in Inghilterra – verranno rivelate tutte le interazioni fra geni, proteine e piccole molecole e verrà ricostruita l'intera rete cellulare”. Un modello digitale di questo tipo permetterà di simulare studi che richiederebbero centinaia di anni in laboratorio.