AN: LAUREA A 5 ANNI INSIEME AL 3+2 CONTRO L’ABBASAMENTO DELLA PREPARAZIONE ZECCHINO: BOCCIA LE MODIFICHE DI AN "NON HO AGITO DA SOLO MA CON TUTTA L’EUROPA" IL RETTORE "NO AGLI SCHEMI RIGIDI CI VUOLE FLESSIBILITÀ" STUDENTI:"PIÙ APPROFONDIMENTI E MENO NOZIONISMO" "SOLO QUALCHE RITOCCO LA RIFORMA È CORRETTA" NON HA SENSO TENERE IL CNR UNIVERSITA’: I NUMERI, I SOLDI E IL DILEMMA DELLA QUALITÀ UNIVERSITÀ, CACCIA AGLI STUDENTI A COLPI DI SPOT LE ISCRIZIONI ALL’UNIVERSITÀ ENTRO LUNEDÌ 30 SETTEMBRE AL MEETING DELL’AEGEE 250 STUDENTI STRANIERI =========================================================== LA PAURA DI PERDERE LA SANITÀ CHE ABBIAMO L'AIDS SCONFITTO GRAZIE AL DNA OGLIASTRINO? UN CODICE IMMUNITARIO UNICO DIVENTATO UN CASO MONDIALE LA SCUOLA INTERNAZIONALE DI TALASSEMIA A CAGLIARI? SASSARI:LA ZANZARA DELLA PESTE DEL NILO MINACCIA PER CAVALLI E UOMINI CAGLIARI: ALLERGIA AL NICKEL, IL PERICOLO È NASCOSTO IN PIERCING ARRIVA L'INSULINA SPRAY: IL MASCHILISMO DEI TRIALS CLINICI MICROBI PRODUTTORI DI ENERGIA IL MITO DELLO STRETCHING: NESSUN BENEFICIO, FORSE DANNOSO BERLINO, NUOVE LINEE GUIDA ANTI-INFARTO =========================================================== _______________________________________________________________________ Il Tempo 5 set. 02 AN: LAUREA A 5 ANNI INSIEME AL 3+2 CONTRO L’ABBASAMENTO DELLA PREPARAZIONE Accanto al 3+2 ci vuole un quinquennio unitario di approfondimento teorico Alleanza Nazionale vuole rivedere la riforma universitaria voluta da Ortensio Zecchino e per settembre è pronto un ddl che prevede una laurea avanzata di cinque anni a percorso unico, cambiando caratterizzazione al 3+2, che verrebbe tenuto in vita con un contenuto più professionalizzato. A proporre questo «doppio canale» è il senatore Giuseppe Valditara, responsabile università di An. Prof. Valditara, An ha detto chiaramente di voler modificare la riforma Zecchino. Quali sono le vostre perplessità sulla riforma entrata in vigore un anno fa? «La riforma Zecchino non funziona. Il dato più preoccupante riguarda la Facoltà di Giurisprudenza a "La Sapienza". Su 20.000 iscritti soltanto 8 hanno optato per il 3+2. Dal ministero mi hanno spiegato che dati analoghi riguardano anche altre facoltà come lettere. Ci sono due rischi in questa riforma. Il primo riguarda l'abbassamento della preparazione. L'esame di Diritto privato era di 1000 pagine, oggi è sceso a 400. Questo vuol dire che se devo formare un operatore di Marketing nel triennio con la stessa preparazione di base di chi vorrà fare il magistrato è chiaro che questa sarà tarata verso il basso. L'altro rischio è che c'è un allungamento del percorso perché tutti fanno il 3+2 e nessuno il triennio». Il ministro Moratti presentando le linee programmatiche del suo ministero mi pare che non abbia parlato di ritoccare così profondamente la riforma. Non è così? «Il ministro si è reso conto in questi mesi di rendere più flessibile il 3+2. Noi di An rivendichiamo il merito di aver sottolineato per primi che questa riforma non andava, poi si sono detti d'accordo con noi 500 professori che hanno firmato un appello su "Il Sole 24 Ore". Dall'avvocato generale dello Stato fino al Vicepresidente del Csm, Verde, si sono pronunciati a favore della riforma. Aspettiamo che il ministro ci faccia sapere come intende procedere. Noi vogliamo un 3+2 che può essere spendibile con il mercato e con le imprese». Che opinione vi siete fatti della Commissione ministeriale sorta per proporre eventuali correttivi alla riforma che è presieduta dal prof. De Maio? «Devo dire che ho la massima stima delle persone che fanno parte di questa commissione. Loro avanzeranno una proposta e poi le forze politiche la vaglieranno. Certo, il lavoro della Commissione dovrà essere valutato dal Parlamento. Dopo aver sentito questi 13 saggi, il dibattito si sposterà». È vero che nell'area delle facoltà scientifiche questa riforma è stata unanimemente accettata? «È falso. Ci sono molti ingegneri che hanno firmato l'appello di cui le ho parlato. Anche loro lamentano che il 3+2 non va bene per ingegneria edile e rimpiangono il quinquiennio». La commissione ministeriale sta escogitando la proposta del 4+1. È una proposta che sta incontrando consensi? «Il 4+1 non una risposta adeguata. È un passo avanti, ma non è abbastanza. Bisogna capire a cosa serva un anno di specializzazione. È meglio immaginare il "doppio canale": il 3+2 spendile sul mercato del lavoro; 4 o 5 anni approfonditi con una forte preparazione sulle materie caratterizzanti». Quando presenterete il ddl o aspettate di approfondire il confronto con il ministro? «Il ddl è pronto. Lo presenteremo alla ripresa dei lavori parlamentari. Il ministro ha ben presente le nostre richieste e abbiamo sempre avuto con lei un buon rapporto. Il ministro è sostanzialmente d'accordo con noi». Chi osteggia la vostra riforma oltre ad Ortensio Zecchino e i Ds? «La riforma in realtà è stata fatta dal sottosegretario diessino Guerzoni. Zecchino aveva molte perplessità su questa riforma. Mi auguro che in Forza Italia, Udc e Lega si possano determinare sensibilità che vadano in questa direzione. Anche la Margherita potrebbe concordare con noi. I Ds sono chiaramente contro, loro sono per i percorsi unitari nella scuola e non si rendono conto che non ha senso massificare ed eguagliare tutto a dispetto delle singole aspirazioni». Lanfranco Palazzolo _________________________________________________________________________ Il Tempo 2 set. 02 ZECCHINO: BOCCIA LE MODIFICHE DI AN "NON HO AGITO DA SOLO MA CON TUTTA L’EUROPA" L'EX ministro dell'Università Ortensio Zecchino boccia le modifiche che An sta per proporre in Senato sulla sua riforma e chiede di aspettare ancora prima di avanzare una nuova proposta sui due cicli, che in ogni caso debbono restare in vita. Ecco perché. Prof. Zecchino, come giudica i tentativi di modifica della sua riforma che sta per proporre An? "Voglio rilevare che non sarebbe male che ci fosse un tempo adeguato di verifica dei risultati. Questa ansia riformista ci fa vivere da decenni in un'università sostanzialmente inalterata. Non si fa in tempo ad ipotizzare una soluzione che questa viene subito cambiata. La proposta non tiene conto che l'Italia non ha agito in questo senso da sola, ma lo ha fatto con molti altri paesi. Infatti, il 19 giugno del 1999, come ministro dell'Università, ho firmato a Bologna insieme ad altri 28 colleghi un documento in cui ci siamo impegnati a fondare l'università su due cicli, l'accesso al secondo ciclo richiede il completamento del primo. Per stracciare questa proposta bisogna pensarci due volte". Perché tutti si concentrano sul 3+2. Lo trova riduttivo? "Si, molto. Questa attenzione deve essere calibrata. La riforma per funzionare deve essere vista globalmente. Il Presidente di An Fini scrisse una lettera al Corriere della Sera (vedi Corsera del 10 luglio 1999, "An è per il numero chiuso", ndr) dove chiedeva di applicare il numero chiuso alla scuola. Io questa scelta non l'ho fatta, ma ho introdotto l'obbligo dei filtri d'accesso che puntualmente non sono messi in azione. Allora cerchiamo di mettere a regime questa riforma e poi vediamo. Tutti parlano della dequalificazione degli studi che è legata alla massificazione di questi anni. Questo è vero. L'Unesco ha lanciato la sfida dell'istruzione universitaria obbligatoria. Oggi vorrei che An in qualità di partito di governo verifichi l'effettività dei filtri di accesso". La Moratti sembra intenzionata a rispettare rigorosamente i due cicli, forse introducendo qualche correttivo. Cosa farà il ministro? "Berlusconi annunciò che la riforma universitaria andava salvata, mentre diede un giudizio liquidatorio di quella della scuola. Ma è bene che ci si ricordi dell'accordo del 1999 firmato a Bologna". Lei ha bocciato la possibilità dell'introduzione del 3+1 come scrisse su "Il Sol 24 Ore" del 4 novembre del 2001. Che giudizio ha del lavoro che sta svolgendo la Commissione Di Maio che vorrebbe introdurre il doppio ciclo 4+1? "Rimodulare la durata dei due cicli si può fare, ma il punto fermo è che rimangano i due cicli. Dobbiamo porci il problema di creare l'omogeneità degli studi a livello europeo e creare il primo ciclo di 4 anni creerebbe ai nostri giovani dei problemi". Perché le facoltà umanistiche non hanno gradito il 3+2? "La protesta delle facoltà di Giurisprudenza si annunciava travolgente, ma questo non si è verificato. La conferenza dei presidi delle facoltà di Giurisprudenza ha varato un documento in cui dice di voler sperimentare questa riforma. C'era un "manipolo di estremisti" che avrebbe voluto cambiare tutto, ma ben presto è stato messo in minoranza. Per poter far funzionare il giocattolo (la riforma, ndr) manca un atto importante: la definizione degli sbocchi dei titoli. Per Giurisprudenza questo è stato fatto, ma non per altre facoltà come lettere e matematica. Da questo punto di vista alcune proteste sono giuste". L.P. IL RETTORE "NO AGLI SCHEMI RIGIDI CI VUOLE FLESSIBILITÀ" IPOTESI di ritocchi alla riforma universitaria. Qual è il suo parere? "Io sono favorevole - afferma il magnifico rettore di Tor Vergata, Alessandro Finazzi Agrò - all'ipotesi che sta emergendo di conservare una certa flessibilità. Gli schemi troppo rigidi non vanno bene. Il nostro ateneo, ad esempio, quest'anno ha scelto di mantenere il corso di laurea quadriennale in giurisprudenza, pur non escludendo di offrire in seguito il corso triennale". Cosa pensa del disegno di legge annunciato da An? "Per quanto riguarda la proposta di An, Giuseppe Valditara ha maturato questa idea partecipando ad un convegno organizzato qui da noi alla facoltà di Giurisprudenza cui ero presente anche io. Personalmente, non credo sia opportuno levare alla laurea triennale la funzione di base polivalente perché sarebbe una lesione di un diritto di ciascuno studente: quello di cambiare idea nel corso del percorso universitario. Si può partire con ambizioni ridotte e voler passare poi ad una formazione più impegnativa". La riforma suscita polemiche soprattutto tra giuristi e umanisti. "Per giurisprudenza, come dicevo prima, il nostro Ateneo si mostra flessibile pur avendo mantenuto per quest'anno il corso quadriennale. Dall'altro lato, la facoltà di lettere non può formare solo umanisti perché purtroppo la richiesta di questi ultimi sul mercato del lavoro è limitata. La facoltà di lettere ha invece l'opportunità e l'obbligo di formare tutta una serie di professionalità che non richiedono un approfondimento umanistico del livello che adesso viene preteso. Sono favorevole ai due canali. Sono preoccupato solo del fatto di non creare soluzioni di serie A e di serie B". G.B. STUDENTI:"PIÙ APPROFONDIMENTI E MENO NOZIONISMO" di ANTONELLA ALDRIGHETTI CORSI di laurea più ricchi di approfondimenti, meno nozionistici e spendibili nell'ambito lavorativo. Che sappiano dotare di conoscenza critica tale da progettare e ottimizzare un prodotto. A patto che si rispetti la tradizione e l'identità culturale nazionale. È questo che chiedono gli studenti ad un'ipotesi di riforma universitaria e al nuovo disegno di legge del senatore Giuseppe Valditara. I consensi al 4+1 ovvero alla "laurea avanzata", arrivano dagli iscritti nelle tre università romane che, conti alla mano, raccolgono oltre 200 mila presenze. Malgrado la maggior parte dei giovanissimi abbia sperimentato esclusivamente il modello cosiddetto 3+2 e del vecchio ordinamento conosca le differenze per bocca dei docenti, sembrerebbero tutti concordi nel sostenere che la riforma Zecchino ha decretato la nascita di un sapere superficiale e "tuttologico" dove, il "presunto" scopo sarebbe stato quello di fornire un sapere sommario. "Fermarsi al triennio è inutile sia per lavorare che per la carriera accademica bisogna proseguire con la specializzazione - afferma Paola Vitelli al II anno di Lettere alla Sapienza - tanto vale approfondire e seguire il 4+1 che somiglia al vecchio modello". Nelle facoltà scientifiche le posizioni diventano ancora più estreme. "Le discipline matematiche hanno perso tanto con il 3+2 - continua Riccardo Coratella di Fisica della Sapienza - non sono un conservatore ma a sentire i docenti il corso di laurea non ha più il valore di prima". "La riforma è costata in termini di spazi che di organizzazione ma la maggior parte di noi non l'ha considerata - dicono Gessica Saponiero e Pino Rossi di Scienze politiche, entrambi fuori corso a La Sapienza - avremmo potuto cambiare, ma non l'abbiamo fatto". A Tor Vergata la maggioranza ritiene che si potrebbero almeno mantenere i due titoli, uno applicativo e professionalizzante, l'altro più approfondito ai fini della ricerca. "Il gap riguarderà noi del periodo intemedio, varato il ritocco sulla riforma universitaria - spiegano Vincenzo Ghini e Piero Todini di Ingegneria entrambi al primo anno di specializzazione biennale - ci chiediamo che tipo di tecnici saremo col disegno di Valditara. Rinascerà di nuovo la polemica tra laurea di serie A e B?". A Roma 3, le posizioni degli studenti non cambiano. "Il triennio è riduttivo, dà solo qualche chance lavorativa in più rispetto alle superiori - dicono Renato Pecoraro e Luigi D'Angelis di Giurisprudenza - se la riforma Valditara prevedesse, nell'anno di specializzazione, una sorta di praticantato istruttivo sugli atti giuridici, e commerciali sarebbe al passo con le attuali necessità del mercato". "Il 3+2 lo vedo dall'esterno, avrei potuto cambiare ordinamento ma ho scelto di mantenere il vecchio - sostiene Jacopo Serafini di Ingegneria - lo sappiamo tutti che un 26 di prima vale di più che quello con lo "Zecchino. I programmi riformati sono ridotti". "ANCHE I PROFESSORI CAMBINO MENTALITÀ" di GIORGIA BLANDINO SI ACCENDE il dibattito sulle ipotesi di ritocco alla riforma universitaria. I Magnifici Rettori dei 3 maggiori Atenei della Capitale si pronunciano al riguardo con toni cauti e leggermente differenti tra loro. Univoca la richiesta di autonomia nella scelta per le singole università. Riaperto il dibattito sui possibili ritocchi alla riforma universitaria. "Il dibattito - spiega il Magnifico Rettore de La Sapienza, Giuseppe D’Ascenzo - si è riaperto su una proposta fatta dal comitato dei saggi del ministero dell'Istruzione. Io ritengo che il fatto di poter dare più possibilità agli studenti sia positivo. Vedo positivamente la proposta di De Maio di affiancare al 3+2 un 4+1 ed una laurea ad altissima specializzazione. Sarebbe un ritorno alle vecchie lauree proiettato ancora più avanti. Cominciare a discutere sul 3+2 e sul 4+1 o su lauree ad altissima specializzazione è molto interessante ma ci vogliono i tempi giusti per farlo". Come giudica la proposta di AN di levare alla laurea triennale la funzione di formazione di base polivalente? "Il tre più due crea indubbiamente una serie di problemi. Innanzitutto è necessario che cambi la mentalità dei professori. Non si può pensare che con la laurea triennale si possa avere il bagaglio culturale che fornisce un tipo di laurea quinquennale. Ci sono alcune facoltà, ed è il caso di giurisprudenza, che hanno bisogno di una certa sequenza didattica che la formula del 3+2 comprime, riducendo gli apporti di base a favore di quelli professionalizzanti". "SOLO QUALCHE RITOCCO LA RIFORMA È CORRETTA" "RITENGO che la riforma debba essere portata avanti, perché l'impostazione della riforma è corretta". È il pensiero di Guido Fabiani, magnifico rettore di Roma 3 che aggiunge: "Certo, ci sono una serie di miglioramenti da attuare. Si deve rendere meno rigido il meccanismo ma non ritengo opportuno che si intacchi il collegamento univoco tra laurea triennale e laurea specialistica. Si può far in modo che si possa accedere ad una laurea specialistica anche provenendo da più lauree triennali ovviamente valutando i crediti che si sono guadagnati e tenendo conto dei debiti formativi nel caso fosse necessario. Tutto questo però deve essere fatto rispettando l'autonomia delle singole università nell'attuare la riforma. Il 4+1 mi suona come un mandare all'aria la riforma per la quale si è fatto un grande lavoro. La laurea triennale collega al mercato del lavoro. Se torniamo ai 4 anni torniamo alla vecchia situazione, con tutti i suoi limiti e prolungamenti figuriamoci se aggiungiamo un altro anno. Con il quadriennio, i ragazzi si laureavano dopo 6 o 7 anni scendendo. Con il triennio si dà la possibilità a coloro che si perdevano di guadagnarsi in ogni caso un titolo universitario". Manterrebbe dunque per il 3+2 una funzione di base polivalente? "Assolutamente sì. Il triennio dà la base e il biennio consente a chi vuole di approfondire i propri studi". Questa riforma suscita proteste da parte di giuristi e umanisti "Ci sono effettivamente dei ritocchi da fare. Ma passare al 4+1 sarebbe un tornare indietro sulla riforma e porterebbe ad un disorientamento. Abbiamo ancora in mente la vecchia università. Sono per l'aggiustare questa riforma in cammino, per verificarne i limiti proponendo aggiustamenti ma manterrei la struttura del 3+2 per verificarla a meno che non si verifichino casi di incompatibilità assoluta". G.B. _________________________________________________________________________ La Stampa 4 set. 02 NON HA SENSO TENERE IL CNR SONO apparsi sui giornali, durante l'estate, vari articoli sulla riforma del Consiglio nazionale delle ricerche. Non vi è dubbio che l'ente ha bisogno di una nuova più snella organizzazione con pochi e ben mirati progetti di ricerca di grande prestigio, ben finanziati e che possano presentarsi dignitosamente nella competizione internazionale. Ha bisogno di riforma, quindi, perché ha bisogno di idee e di una gestione meno opaca e burocratizzata. Ma il Cnr ha anche bisogno di dotazioni finanziarie maggiori. Nella ricerca sta la qualità del futuro del paese, economico e culturale. Non è scandaloso che si trovino facilmente fondi per aumentare gli stipendi dei politici, per finanziare i partiti, che ci sia un'escalation per le spese militari e che non si trovi qualche centinaio di milioni di euro per la cenerentola ricerca? Si parla da mesi dell'imminenza della riforma senza che i ricercatori ne siano stati informati, come se la scienza si potesse fare senza i suoi operatori; il personale si sente quasi colpevole di appartenere a questo settore, così vituperato e trascurato. Corrono voci di accorpamenti degli istituti del Cnr in poche strutture, finanziate dallo Stato solo per le spese di funzionamento, mentre i fondi della ricerca dovrebbero essere trovati su un ipotetico mercato senza rendersi conto che questo significherebbe abbandonare la ricerca di base, la ricerca pura, piattaforma indispensabile per l'avanzare delle conoscenze e per tutta la ricerca applicata. Corrono voci che a dirigere il Cnr sarà messo un politico o un manager. Voci confuse che si susseguono creando malumore e sfiducia. Non si possono tenere i ricercatori in un limbo che annuncia catastrofi. Si vocifera anche che questa potrebbe essere una strategia per distruggere dall'interno il Cnr nelle sue potenzialità e ambizioni di fare ricerca, che significa idee, impegno morale, entusiasmo. In passato il Cnr ha avuto illustri scienziati al suo vertice: tra gli altri, Volterra, Marconi, Polvani. In tutte le istituzioni di ricerca più prestigiose del mondo a capo si trovano famosi scienziati che, pur nelle loro convinzioni politiche, almeno conoscono i problemi della scienza e dei ricercatori. Noi vogliamo essere diversi e lasciare la ricerca in mano a politici o manager? Non si può ridurre un ente di ricerca a una fabbrica o alla succursale di un partito. Piuttosto che lasciare il Cnr in un'agonia infinita, si abbia il coraggio di chiuderlo, con decenza e con dignità! *)Istituto di Neuroscienze, Cnr, Pisa Lamberto Maffei (*) _________________________________________________________________________ Corriere della Sera 6 set. 02 UNIVERSITA’: I NUMERI, I SOLDI E IL DILEMMA DELLA QUALITÀ La riforma dell’università si fonda sull’autonomia: nobile principio. Lo Stato provvede a un finanziamento solo parziale e bloccato. Il resto dei fondi viene dalle tasse pagate dagli studenti e dagli incentivi che il ministero assegna agli atenei che dimostrano efficienza. Il criterio d’efficienza è stato stabilito, nella sostanza, in questi termini: più alta sarà la percentuale dei laureati negli anni previsti dai singoli corsi, più cospicuo sarà il "premio" per ogni facoltà. La qualità rischia di coincidere con la quantità: criterio pericoloso. Le università infatti si organizzano. Prima fase d’azione già ampiamente praticata: chiamare gli studenti a raccolta con specchietti per le allodole. Proliferano così proposte di curricula alla moda: qualcuno ha contato, per esempio, quanti corsi di Scienze delle Comunicazioni e Beni culturali sono nati in questi ultimi due anni? Partono di conseguenza campagne pubblicitarie con promesse per un futuro sicuro di lavoro, che sicuro non è. Seconda fase d’azione praticabile: promuovere con indulgenza potrà rivelarsi redditizio per ottenere incentivi di Stato e attirare, in una spirale perversa, ancora più studenti. Credo che anche questa strategia di marketing sarà applicata soprattutto dalle università di provincia senza grandi tradizioni, dove alto è il turnover dei docenti e attenuato il senso di responsabilità. Il danno per l’intero sistema d’istruzione è evidente. Il rimedio contro le possibili tentazioni a giochi di spregiudicata furbizia può essere uno solo. Se proprio si deve accettare fino in fondo una logica di mercato, andrebbe abolito il valore legale delle lauree. Soltanto così, alla lunga, saranno premiate le università che non s’imbarcano in disinvolte avventure. _________________________________________________________________________ Corriere della Sera 6 set. 02 UNIVERSITÀ, CACCIA AGLI STUDENTI A COLPI DI SPOT In quattro anni l’investimento è passato da 2 a 22 milioni di euro. Pubblicità sui giornali, testimonial in tv e messaggi sms MILANO - Le porte del tempio sono state profanate? La casa della sapienza è stata invasa dai mercanti? Mai come quest’anno le ex inviolabili "torri d’avorio" delle università italiane sono alla mercé dei "comunicatori" che, con informative o seducenti campagne pubblicitarie, a colpi di spot o di testimonial, invitano gli studenti a iscriversi in un ateneo piuttosto che in un altro. E’ la concorrenza, bellezza! Ma è anche ciò che spacca in due il corpo accademico; perché, se dai dipartimenti di Lettere antiche sembra echeggiare un laconico " O tempora o mores ", in quelli di Comunicazione o Sociologia sembra farsi strada l’idea che "la pubblicità sia l’anima del progresso", anche culturale e scientifico. E non si tratta di una novità: già Ugo Foscolo, quando il rettore di Pavia lo richiamava a una maggiore presenza nell’ateneo in cui insegnava, rispondeva: "Ma sa quanti studenti vengono qui solo perché sanno che insegno io?". DATI - Nel 1997 le università private italiane investivano oltre un milione e mezzo di euro in pubblicità e quelle pubbliche quasi 600 mila. Il consuntivo dell’anno scorso dice che le università private hanno investito 11.558.821,86 euro e quelle pubbliche 10.385.948,24. In quattro anni si è passati da un investimento complessivo di oltre due milioni di euro a quasi 22 milioni e il pubblico investe come il privato (sono escluse dal conteggio le università straniere). Su 74 università, 42 atenei pubblici fanno pubblicità sui giornali. Nel 2001 il maggior investimento tra gli atenei statali risulta quello di Siena con circa 750.000 euro. Seguono Teramo e Macerata. La Statale di Milano era tra i fanalini di coda, superata da Roma, Parma, Pavia, Pisa. L’università di Firenze e la Cattolica di Milano (che è privata) sono state le uniche a far ricorso anche allo spot televisivo. Difficilissimo è capire se far pubblicità giovi. Per l’università di Siena, che ha investito la maggior somma, l’incremento degli studenti nell’anno passato è stato di circa il 7 per cento; per quella di Firenze, 490 mila euro investiti, l’incremento è stato del 17,2 per cento; a Catania, dove l’investimento è stato ridotto, l’incremento studentesco è risultato del 35 per cento. Ma non esiste diretta proporzione tra investimento pubblicitario e incremento degli studenti. Tant’è che la Statale di Bologna e La Sapienza di Roma dichiarano di voler rimanere estranee al "piatto" dell’investimento pubblicitario, sebbene anch’esse abbiano investito qualcosa e La Sapienza abbia anche vinto un premio per la migliore affissione. Escluse le università private milanesi (Bocconi, Cattolica e Iulm), alle quali va attribuito l’investimento maggiore, Firenze e Padova sono le "statali" che più credono nella pubblicità. Che vuol dire anche assicurarsi maggiori introiti: il ministero valuta anche il numero di studenti nell’attribuzione dei fondi agli atenei. I MESSAGGI - "Dante, presente. Giotto, presente. Leonardo, presente. A Firenze, la qualità del sapere parte da lontano": lo dice la radio. L’università di Firenze, poi, ti manda 140 mila sms sul telefonino per dirti: "Iscriviti all’Università di Firenze". E se la sera accendi la tv (Rai, Mediaset, la 7 o Mtv) non sfuggi al messaggio di sette secondi: "Università di Firenze. L’università che costruisce il tuo futuro oggi". Qualche annuncio è stato lanciato anche dagli schermi del cinema e da quelli degli aerei. Anche Pisa ricorda che "Da sette secoli costruiamo il tuo futuro". Ma se in Toscana i testimonial sono i grandi del passato, a Padova si punta su Sergio Zavoli, il quale dalle pagine dei quotidiani ricorda ai giovani di scegliere Padova dove "vi hanno studiato, con buon profitto, Copernico, Guicciardini, Tasso". IL MARKETING - Se Firenze è stata la prima ad avere un ufficio marketing, Padova eccelle nell’attivismo. Al Bo’, simbolo dell’Università e sede di Giurisprudenza, nel marzo scorso è stato inaugurato il nuovo "Up store", un negozio che vende abbigliamento e oggettistica col marchio dell’università. Tra i "testimonial" figura anche Michele Cortelazzo, presidente del corso di laurea in Scienze della Comunicazione. Nel sito ( www.upstore.it ) c’è un fotomontaggio con John Malkovich vestito da studente patavino. Nell’"Up store" si vendono collezioni di abbigliamento e oggetti per casa o ufficio griffate dall’ateneo. Scandalo? No per Oliviero Toscani, che per l’univesità di Pisa ha firmato una campagna pubblicitaria: "Ha fatto pubblicità persino la Chiesa usando Michelangelo e Raffaello. Fa pubblicità il presidente del Consiglio - afferma Toscani -; la fanno pure i mendicanti, quando scrivono sui loro cartelli "cieco", oppure "senza lavoro": perché non dovrebbero farla le università?". _________________________________________________________________________ L’Unione Sarda 2 set. 02 LE ISCRIZIONI ALL’UNIVERSITÀ ENTRO LUNEDÌ 30 SETTEMBRE Tra bollette, tasse e scadenze Settembre tempo di scadenze, controlli, revisioni, bollette, tasse universitarie, sanatorie. Il ritorno dalla vacanze estive spesso coincide con una serie di impegni "burocratici" che se non rispettati rischiano di riservare brutte sorprese. Per esempio, chi dimentica di revisionare l’auto rischia una multa compresa tra 131 e 524 euro. Chi possiede un’utilitaria o una berlina immatricolate nel 1998 deve recarsi al centro revisioni. Il controllo, infatti, va effettuato ogni quattro anni per quanto riguarda le auto nuove, ogni ventiquattro mesi dopo l’ultima verifica. La revisione può essere fatta alla Motorizzazione o in una delle tante officine autorizzate. Entro il mese di settembre bisogna pagare anche il bollo delle auto scaduto il 31 agosto. La tassa si può pagare negli uffici postali, nelle agenzie Aci e nelle tabaccherie con la ricevitoria della Lottomatica. Da qualche tempo per conoscere l’importo corretto da pagare si può consultare il sito Internet www.aci.it.. Inserendo targa e tipo di veicolo si potrà conoscere la cifra. In caso di ritardo bisogna aggiungere il 3,75 in più per cento rispetto all’importo originario se il pagamento avviene ne trenta giorni successivi alla data di scadenza. Per chi non rispetta questi termini la mora è destinata a cresce ulteriormente. Scadenze in arrivo anche per gli studenti universitari. Per iscriversi ai corsi di laurea "ad accesso libero" bisogna presentare la richiesta entro il 30 settembre nelle segreterie studenti della facoltà scelte il modulo di domanda. La copia del documento è disponibile anche su Internet nel sito dell’ateneo www.unica.it. Ci sono infine pochi giorni di tempo per gli studenti che devono sostenere il test valido per l’ammissione alle facoltà a numero chiuso. Il 4 sono in programma le prove per gli accessi al corso di Tecnologia per la conservazione e il restauro dei beni culturali e alla laurea specialistica in Ingegneria edile-architettura. Gli altri test sono in programma il 6 (laurea in odontoiatria), il 10 (Igienista dentale, diploma universitario in Fisioterapia, diploma universitario di infermiere, ortottista, ostetrica, tecnico di radiologia medica) e l’undici settembre per la laurea in scienze della formazione e scienze motorie. ________________________________________________________________________ L’Unione Sarda 7 set. 02 AL MEETING DELL’AEGEE 250 STUDENTI STRANIERI Grandi zaini, sacco a pelo e un bagaglio di conoscenze da arricchire: sono 250 (la foto è di Italo Orrù) gli universitari ventenni dell’associazione europea Aegee giunti in città. Si conoscono perché hanno vissuto e condiviso le stesse esperienze in Olanda, Spagna, Ungheria, Lettonia, Turchia e Italia. Li accomuna lo spirito Aegee: l’integrazione e la cooperazione a livello giovanile. «I punti fondamentali del nostro lavoro - spiega il presidente di Aegee Europe Tomek Hebin - sono l’educazione universitaria in collaborazione col Parlamento europeo, la stabilità politica nelle regioni balcaniche, la cittadinanza attiva dei giovani europei e gli scambi culturali tra ragazzi di tutta l’Europa». Concetti ribaditi da Koen Berden, moderatore del meeting: «È una rete di amici, che mi hanno arricchito dal punto di vista culturale». «I sardi», afferma convinta Svetlana Sypchenko, 25enne russa, «sono gentili e disponibili anche nelle situazioni più difficili». Le fa eco la polacca Ewa Romankiewicz: «Ho viaggiato molto in Italia e in tutta Europa, ma qui ho trovato mare, sole, cultura e bella gente. Tornerò». Tutti soddisfatti gli ospiti stranieri, così come gli organizzatori, per il successo ottenuto dopo anni di duro lavoro. «Lo scopo era creare un gruppo diverso tra culture diverse», spiega soddisfatto Giorgio Puddu, responsabile dell’evento estivo appena concluso. «Obiettivo raggiunto», aggiunge sorridendo l’attuale presidente della sede cagliaritana, Giovanni Soffietti. Anche lui con lo zaino pronto per una nuova esperienza, in viaggio con l’Aegee. Barbara Soddu =========================================================== _________________________________________________________________________ La Repubblica 5 set. 02 LA PAURA DI PERDERE LA SANITÀ CHE ABBIAMO DI GUGLIELMO PEPE La battaglia d’autunno sulla sanità (ed altro) tra l’opposizione e il governo è stata preannunciata da qualche "schermaglia" agostana. Nelle prossime settimane assisteremo ad uno scontro a tutto campo. Mutue integrative e/o sostitutive, nuovi vincoli per i medici ospedalieri, riforma degli istituti di ricovero, revisione del prontuario farmaceutico sono alcuni dei "territori" sui quali si misureranno le forze in campo. Che non sono rappresentate solo dai partiti: numerose associazioni di categoria e di malati sono già sul piede di guerra. Perché ci sia tanta partecipazione sui problemi della salute è semplice da spiegare: è un bene individuale e collettivo irrinunciabile. Negli ultimi 25 anni ogni italiano ne ha usufruito gratuitamente per merito del Servizio Sanitario Nazionale che, grazie alla fiscalità universale, garantisce cure e assistenza alla totalità dei cittadini. Saremmo però ipocriti a non riconoscere che si tratta di un principio che spesso resta sulla carta: in troppe situazioni la qualità del servizio è di basso livello. Tuttavia il pensiero, anzi il sospetto (diffuso e abbastanza giustificato), che un diritto acquisito possa essere sottratto o ridimensionato, scatena ampie reazioni di rifiuto di tale ipotesi. La paura è che le innovazioni promesse dal Polo e dal ministro della Salute peggiorino i rapporti tra utente e Ssn. Prendiamo come esempio l’ipotesi di lavoro del prontuario che dovrebbe essere cambiato entro il mese dalla Cuf (Commissione unica del farmaco). L’obiettivo dichiarato è il contenimento della spesa (che comunque è tra le più basse in Europa). Il progetto prevede l’introduzione del criterio costoefficacia per la rimborsabilità del farmaco. Ebbene, qualsiasi esperto sa che la parità di risultato terapeutico tra principi attivi diversi non è dimostrabile. Le molecole, pur se simili, hanno poi un’azione variabile in base a chi le assume. Non a caso è sempre il medico a scegliere la miglior cura per il proprio paziente. Cosa farà in futuro il medico di famiglia? Prescriverà in base al reddito del cittadino? Con il criterio costoefficacia si potrà razionalizzare il prontuario (sul quale nel passato si è largheggiato, favorendo le multinazionali del farmaco). Tuttavia un passaggio drastico dalla classe A alla C escludendo così dal rimborso un certo numero di medicine potrebbe avere conseguenze serie per una moltitudine di pazienti: il pagamento delle cure o il cambiamento di una terapia che sta funzionando. E poi, quanto risparmierebbe lo Stato? Una goccia rispetto al mare degli sprechi sanitari. Un governo quale esso sia si regge sul consenso dei cittadini. Talvolta la gravità della situazione economica di un paese obbliga a scelte impopolari. Chi amministra la cosa pubblica ha il dirittodovere di applicare la sua politica, nonostante le critiche e le proteste. Ma se le decisioni appaiono inutili e peggio inique, il conflitto rischia di diventare inevitabile. E il timore di perdere quel che si ha è perfino più forte del voto di appartenenza. Quanto è accaduto in agosto in Puglia è emblematico: il "governatore" del Polo, dopo aver detto di voler chiudere i piccoli ospedali e di ridurre i posti letto per i malati acuti, è stato violentemente contestato da sinistra e da destra. Proprio i consigli comunali governati dalla stessa maggioranza di governo sono stati i più "duri" nei confronti del presidente regionale Raffaele Fitto. Questo è un segnale che fa venire in mente una vecchia battuta: "Meditate gente, meditate". g.pepe@repubblica.it _________________________________________________________________________ LA NUOVA SARDEGNA 6 set. 02 L'AIDS SCONFITTO GRAZIE AL DNA OGLIASTRINO? Pensionato di 80 anni è sieropositivo sin dal 1985 ma produce anticorpi che tengono a bada il virus Da quando si è sparsa la notizia l'uomo è in preda alla depressione e non esce più di casa JERZU. Fino a qualche tempo fa si pensava che l'Ogliastra fosse terra di uomini e donne molto anziani, di ultracentenari che riescono a vivere a lungo grazie all'aria sana, al mangiare in un certo modo naturale, e al buon vino Cannonau che accompagna da tutta la vita ogni loro pasto. Diverse equipe mediche, a livello genetico, stanno studiando da qualche tempo questi arzilli vecchietti per cercare di carpirne i segreti della loro lunga vita. Ma ora, si è scoperto che ad Jerzu, un ottantunenne ex agricoltore, sieropositivo da circa 17 anni, ha al suo interno gli anticorpi all'Aids. In paese, dopo il clamore dell'articolo comparso ieri su Repubblica, hanno capito tutti di chi si tratta, ma nessuno intende dare un giudizio o quant'altro sulla sua vicenda, vicenda che potrebbe anche avere dei risvolti di notorietà. Ma l'anziano agricoltore, pochi mesi fa, forse perché qualcuno gli ha detto di avere saputo della sua sieropositività, se l'è presa a male. E per questo motivo l'anziano non esce più e trascorre molto del suo tempo a letto in casa di un suo familiare. Scapolo, per decenni ha lavorato in agricoltura, prima di tentare l'avventura come operaio nella ricca Italia settentrionale e poi il rientro al paese natio. Il suo caso venne scoperto una decina di anni fa (già da sette anni era stato infettato dall'Hiv), quando venne ricoverato per altri motivi in un ospedale sardo, facendo vedere ai medici tutta una lunga serie di esami. Da quel giorno, due volte l'anno, per l'ottantunenne hanno luogo dei chek-up completi, con lo stesso identico risultato: nonostante la sua sieropositività, l'anziano jerzese, nel suo corpo, ha sviluppato delle incrollabili difese immunitarie contro l'Aids. Questo emerge anche dalle costanti osservazioni cui sarebbe sottoposto da parte dei sanitari della locale Casa di cura Tommasini e, naturalmente, dal suo medico di famiglia. La sua storia è comparsa anche sulla più autorevole rivisita di medicina a livello mondiale, il "New England Journal of Medicine". A livello mondiale, i portatori sani dell'Aids pare siano al 5 per cento, ma il caso dell'ottantunenne jerzese ha sorpeso tutti per alcune peculiarità: la sua età; il fatto che non sia mai stato sottoposto ad alcune terapia relativa agli infettati dall'Hiv; e per la durata: è da ben 17 anni che l'anziano agricoltore convive con la sieropositività. A essere sorpreso da tanta pubblicità, nonostante si sia cercato di tutelare l'identità dell'uomo in tutti i modi (ma in una piccolo paese bastano pochissimi indizi per risalire al protagonista di qualsiasi vicenda), è il sindaco Luciano Mereu. "Mi auguro - ha dichiarato il primo cittadino del centro del Pardu - che il clamore sia dovuto soltanto a questa scoperta che vede un nostro compaesano salire alla ribalta della cronmaca per avere in sé, da tanti anni, gli anticorpi dell'Aids. Spero che quanto si sta verificando, a livello scientifico, possa servire a produrre risultati per milioni di altri sieropositivi. Per il resto, sappiamo che l'uomo è in uno stato di depressione, per cui tutti noi speriamo che il sipario si abbassi quanto prima su questa vicenda". LA SCOPERTA Un codice immunitario unico diventato un caso mondiale di Roberto Paracchini CAGLIARI. Venne conosciuto prima in Sud Africa che in Italia e in Sardegna. Il caso del nonno ogliastrino fu illustrato per la prima volta al tredicesimo congresso mondiale sull'Aids, tenuto nel 2000 in Sud Africa. In quell'occasione Licinio Contu (professore di genetica medica all'università di Cagliari, nella foto) spiegò che in un paese dell'Ogliastra, esiste un signore di quasi ottantanni, sieropositivo all'Hiv (il virus dell'Aids) dal 1985, che non ha mai avuto alcun sintomo e che sta benissimo. Licino Contu precisò anche che quel paziente che si trovava a settemila chilometri dal congresso internazionale, non aveva mai preso alcun farmaco antivirale per la profilassi dell'Aids. Ma stava, e sta, bene. Sì, quel signore così lontano, figlio di una terra sconosciuta ai più, era diventato un caso. Non che fosse l'unica persona al mondo sieropositiva senza malattia, ma certamente era (ed è) uno dei pochi che, dopo tanti anni dall'infezione Hiv, non ha avuto alcun sintomo. Licino Contu chiarì che ziu Gavinu (ma potrebbe chiamarsi in altro modo) non apparteneva alla casistica più "semplice": a quei sieropositivi in cui mancano due recettori (il Ccr5 e il Cd4), ovvero due "chiavi" che permettono al virus di entrare nella cellula. Senza, l'Hiv resta fuori dalla porta. No, per quel signore ogliastrino, le cose sono diverse: il suo organismo ha tutto in ordine, comprese le chiavi di ingresso per il virus Hiv (Ccr5 e Cd4). Da qui il mistero: perché l'Hiv non riesce a espugnare la cellula? Il ricercatore diventa una sorta di Sherlock Holmes. Gli indizi farebbero pensare ad altre difese. Come se ziu Gavinu avesse capacità innate tali da rendere il suo organismo una fortezza inespugnabile per l'Hiv. Gli scienziati sanno che c'è un certo numero di sieropositivi considerati lungo progressori: che da lungo termine convivono col virus ma senza la malattia conclamata. Pochi di questi non hanno il Ccr5, gli altri restano un rebus. Il nonno ogliastrino è uno di questi misteri: tra i maggiori perché, a oggi, è da 17 anni che convive col virus. Il caso è stato individuato dal medico patologo Efisio Sulis (primario al Tomasini di Jerzu) che ne ha poi parlato con Licinio Contu. Dopo la relazione al congresso sull'Aids, il caso fu descritto anche in una delle più autorevoli pubblicazioni mediche del settore, la New England Journal of Medicine. La prima considerazione farebbe pensare che l'organismo di ziu Gavinu abbia prodotto al suo interno anticorpi in grado di neutralizzare il virus (una specie di vaccino). Ma Licinio Contu scarta quest'ipotesi: gli anticorpi del nonno ogliastrino lasciano il virus intatto, tanto che questo, se messo alla prova in vitro, diventa infettivo. Secondo il professor Contu la spiegazione è un'altra. In ziu Gavinu, da un lato, c'è il buono stato del Timo, la ghiandola che produce i linfociti T, ovvero quei soldati dell'organismo che predispongono le difese immunitarie. Dall'altro c'è l'esistenza di un carattere genetico particolare - l'Hla-B57 - che una recente pubblicazione scientifica Usa individua come molecola che protegge dall'infezione Hiv. Ziu Gavino un'occasione per la lotta contro l'Aids? Probabile. Di certo il caso del nonno ogliastrino ha fatto il giro del mondo. Jerzu: Con la genetica notorietà internazionale Jerzu La vicenda clinica di Alfredo B conferma l’alta professionalità raggiunta dalla casa di cura Tommasini. Fondata nei primi anni ’50 dal dottor Gianni Lai come Sanatorio per i malati di tubercolosi, la clinica jerzese ha conosciuto i riflettori della notorietà internazionale con l’adesione al progetto Shar Dna sulla ricerca genetica, promosso dal professor Mario Pirastu, ogliastrino alla guida del Centro di genetica del Cnr di Alghero. A prendere la decisione sono stati i nuovi gestori della casa di cura, i fratelli medici Giorgio, Luciano e Marco Pisu (quest’ultimo scomparso prematuramente pochi mesi fa). I Pisu avevano anche installato nella clinica il primo Tac operante in Ogliastra. Ora con l’ottantenne Alfredo B, forse depositario del segreto per combattere l’Aids, la clinica jerzese è approdata sulle pagine del New England Journale of Medicine ed è al centro delle osservazioni di eminenti studiosi isolani come il patologo Efisio Sulis e il professor Licinio Contu ma anche del professor Paolo Lusso, responsabile del laboratorio di virologia umana al San Raffaele di Milano. (ni. me.) "Ne uccide di più la lingua, per favore lasciatelo in pace" Jerzu Ne uccide più la lingua che la malattia: anche quando questa si chiama Aids, la peste del secolo. Lo conferma la vicenda sconcertante di Alfredo B., un nome di pura invenzione per nascondere la vera identità di un uomo di 80 anni originario da un paese dell’interno. Un gene misterioso sembra proteggere il nonnino dalle conseguenze del virus Hiv ma non dall’emarginazione, assolutamente ingiustificata, in cui è stato costretto nel suo paese d’origine. Ora Alfredo B. vive in uno stato di grave depressione e i parenti temono per qualche gesto inconsulto. "Lasciatelo in pace", è l’invocazione di un familiare. Ora ha bisogno di serenità per continuare a vivere quello che gli resta". Come la lingua, anche il baccano rischia di provocare danni. A rimanere sconcertati sulle modalità e i luoghi della misteriosa intervista al nonnino apparsa su un quotidano nazionale sono in primo luogo i medici della casa di cura Tommasini dove Alfredo B si reca ogni tre mesi per i prelievi del sangue e i controlli sullo stato dell’Aids, rimasta ai livelli di dieci anni fa quando fu diagnosticata dall’équipe della casa di cura, allora diretta dal professor Efisio Sulis . Ora la Tommasini è guidata da uno dei proprietari, il dottor Giorgio Pisu, figura di medico illuminato che ha affiliato la clinica al progetto di ricerca genetica Shar Dna. Il caso stupefacente di Alfredo B è ancora seguito dal patologo Efisio Sulis con la supervisione del genetista Licinio Contu. La genetica sembra far sempre di più capolino in questa intricata vicenda clinica, approdata da ultimo anche sulle pagine prestigiose del New England Journal of Medicine. Anche altri specialisti a livello nazionale si stanno interessando del caso che si configura con caratteristiche assolutamente uniche nella casistica pur rara di soggetti che manifestano "resistenza" al virus dell’Hiv. La spiegazione scientifica affonda le radici, forse, nelle malattie endemiche della stirpe ogliastrina che avrebbero creato una specie di scudo all’avanzare del male. Una conseguenza benefica sedimentata dalle febbri malariche oppure dall’ atavica carenza dell’enzima G6PDH, conosciuta volgarmente come "favismo"? Gli specialisti discutono ancora mentre Alfredo B, il nonnino dell’Aids, si dimostra sempre più sguarnito di fronte al bombardamento psicologico e ai pregiudizi cui è sottoposto nel suo paese d’origine. Prima lo si vedeva in giro con i coetanei o a parlare con qualche compaesano seduto al tavolino di un bar. Difficile sapere cosa abbia spezzato questa "normalità" di relazioni sociali. Forse qualche episodio di intolleranza dettato dall’ ignoranza: il contagio dell’Aids avviene solo in circostanze "particolari" e presuppone il contatto del sangue e dello sperma. "Non ce la faccio più", continua a ripetere Alfredo B ai suoi compagni di degenza. A quanto pare la scoperta dell’antidoto contro i pregiudizi incontra ostacoli maggiori rispetto a quello contro l’Aids. Nino Melis _________________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 6 set. 02 UN CODICE IMMUNITARIO UNICO DIVENTATO UN CASO MONDIALE di Roberto Paracchini CAGLIARI. Venne conosciuto prima in Sud Africa che in Italia e in Sardegna. Il caso del nonno ogliastrino fu illustrato per la prima volta al tredicesimo congresso mondiale sull'Aids, tenuto nel 2000 in Sud Africa. In quell'occasione Licinio Contu (professore di genetica medica all'università di Cagliari, nella foto) spiegò che in un paese dell'Ogliastra, esiste un signore di quasi ottantanni, sieropositivo all'Hiv (il virus dell'Aids) dal 1985, che non ha mai avuto alcun sintomo e che sta benissimo. Licino Contu precisò anche che quel paziente che si trovava a settemila chilometri dal congresso internazionale, non aveva mai preso alcun farmaco antivirale per la profilassi dell'Aids. Ma stava, e sta, bene. Sì, quel signore così lontano, figlio di una terra sconosciuta ai più, era diventato un caso. Non che fosse l'unica persona al mondo sieropositiva senza malattia, ma certamente era (ed è) uno dei pochi che, dopo tanti anni dall'infezione Hiv, non ha avuto alcun sintomo. Licino Contu chiarì che ziu Gavinu (ma potrebbe chiamarsi in altro modo) non apparteneva alla casistica più "semplice": a quei sieropositivi in cui mancano due recettori (il Ccr5 e il Cd4), ovvero due "chiavi" che permettono al virus di entrare nella cellula. Senza, l'Hiv resta fuori dalla porta. No, per quel signore ogliastrino, le cose sono diverse: il suo organismo ha tutto in ordine, comprese le chiavi di ingresso per il virus Hiv (Ccr5 e Cd4). Da qui il mistero: perché l'Hiv non riesce a espugnare la cellula? Il ricercatore diventa una sorta di Sherlock Holmes. Gli indizi farebbero pensare ad altre difese. Come se ziu Gavinu avesse capacità innate tali da rendere il suo organismo una fortezza inespugnabile per l'Hiv. Gli scienziati sanno che c'è un certo numero di sieropositivi considerati lungo progressori: che da lungo termine convivono col virus ma senza la malattia conclamata. Pochi di questi non hanno il Ccr5, gli altri restano un rebus. Il nonno ogliastrino è uno di questi misteri: tra i maggiori perché, a oggi, è da 17 anni che convive col virus. Il caso è stato individuato dal medico patologo Efisio Sulis (primario al Tomasini di Jerzu) che ne ha poi parlato con Licinio Contu. Dopo la relazione al congresso sull'Aids, il caso fu descritto anche in una delle più autorevoli pubblicazioni mediche del settore, la New England Journal of Medicine. La prima considerazione farebbe pensare che l'organismo di ziu Gavinu abbia prodotto al suo interno anticorpi in grado di neutralizzare il virus (una specie di vaccino). Ma Licinio Contu scarta quest'ipotesi: gli anticorpi del nonno ogliastrino lasciano il virus intatto, tanto che questo, se messo alla prova in vitro, diventa infettivo. Secondo il professor Contu la spiegazione è un'altra. In ziu Gavinu, da un lato, c'è il buono stato del Timo, la ghiandola che produce i linfociti T, ovvero quei soldati dell'organismo che predispongono le difese immunitarie. Dall'altro c'è l'esistenza di un carattere genetico particolare - l'Hla-B57 - che una recente pubblicazione scientifica Usa individua come molecola che protegge dall'infezione Hiv. Ziu Gavino un'occasione per la lotta contro l'Aids? Probabile. Di certo il caso del nonno ogliastrino ha fatto il giro del mondo. _________________________________________________________________________ L’Unione Sarda 6 set. 02 LA SCUOLA INTERNAZIONALE DI TALASSEMIA A CAGLIARI? Polemica nelle Marche La Scuola internazionale di talassemia a Cagliari? Ci sarebbero "forti pressioni" per collocare a Cagliari, invece che a Pesaro, la Scuola Internazionale di Talassemia, diretta dal professor Guido Lucarelli. Lo segnala in una interrogazione al ministro Sirchia Claudio Conti di An, secondo il quale "il capogruppo di Forza Italia (Elio Vito) nella dodicesima Commissione si interessò al problema, annunciando la presentazione di un’ interrogazione parlamentare", di cui diede notizia con grande risalto la stampa cagliaritana. Conti chiede se sia vero che il ministro "non è più d’ accordo con l’ ubicazione della Scuola a Pesaro, avendo legato il progetto alla trasformazione dell’ azienda ospedaliera San Salvatore in un Irccs". Un’ ipotesi contrastata dalla Regione Marche e dal Comune di Pesaro - ricorda - che ieri ha approvato una mozione, "con l’ opposizione di An e della Casa della libertà", per trasformare in istituto a carattere scientifico il solo dipartimento oncoematologico pesarese. Il deputato di An sollecita anche un incontro tra Sirchia e il presidente della Regione Marche D’ Ambrosio "affinché in accordo con il sindaco di Pesaro rivedano le loro posizioni. Infatti - rileva - con la costituzione di un Istituto di ricerca nella struttura del San Salvatore si creerebbero ben due aziende nella sola città di Pesaro, senza alcun beneficio medico, ma con un forte aggravio della spesa sanitaria regionale e con un grave, ulteriore squilibrio nei confronti delle altre due province- Cenerentola delle Marche: Macerata e Ascoli Piceno". Secondo l’ esponente di Alleanza nazionale, il presidente della giunta regionale marchigiana D’ Ambrosio "ha sempre creato ostacoli al progetto ministeriale della Scuola, sia per l’ ubicazione sia per la scelta della persona cui affidare la direzione". E lo stesso D’ Ambrosio "solo nei giorni scorsi avrebbe accettato la candidatura di Lucarelli in seguito alle pressioni dei Ds pesarese e del senatore Giueppe Mascioni" anche lui della Quercia. _________________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 1 set. 02 LA SCUOLA DI TALASSEMIA IN CITTÀ? "I medici dell'isola comunque coinvolti nel progetto" Nelle Marche si discute ormai da mesi sul tipo di gestione Alessandra Sallemi Sanità. In dissidio con le autorità di Pesaro, l'ematologo Lucarelli deciso a venire in Sardegna CAGLIARI. Basta che l'assessore regionale alla sanità alzi la mano e in Sardegna potrebbe arrivare l'ematologo Guido Lucarelli con un progetto inserito nella finanziaria 2002 per avviare una Scuola di Talassemia, nome improprio per definire un Irccs, istituto di ricovero e cura di carattere scientifico. Succede infatti che a Pesaro, dove Lucarelli dirige il centro trapianti, non vogliano allestire l'Irccs secondo le indicazioni del governo e preferiscano affidare la Scuola di Talassemia a una fondazione. L'istituto di Lucarelli è legato a Cagliari da continui scambi di medici e ricercatori oltre che di pazienti (in passato). Ma ora è in corso una gran polemica tra Regione, sindaco di Pesaro, direzione dell'azienda San Salvatore (l'ospedale da trasformare in Irccs). Lucarelli è appena tornato dalla ferie e al telefono dice: "Andrei ovunque il progetto venisse accolto, ma in Sardegna potrei anche cambiarmi il cognome in Lucarellu. Qui, a Pesaro, si sono cominciati i trapianti, ma i talassemologi noti in tutto il mondo sono da voi e, infatti, nella Scuola alcuni docenti saranno di Cagliari". La vicenda, in breve, è questa. Durante il G8 di Genova i rappresentanti di stati dove la talassemia è diffusa hanno chiesto ufficialmente al governo italiano di creare un rapporto stabile con il centro trapianti di Lucarelli dove negli anni tanti bambini stranieri sono stati guariti dalla talassemia. E' nato così il "Progetto internazionale per i trapianti di midollo nella talassemia" finanziato già quest'anno e proposto dal ministro della sanità alla Regione Marche per il San Salvatore di Pesaro. Da quel momento è successo di tutto, come si ricava dalla rassegna stampa del Resto del Carlino e di altre testate: ad alcuni è venuto in mente che l'idea di trasformare l'intero ospedale in Irccs non fosse la migliore e che, invece, sarebbe stato bene affidare la Scuola e i fondi a una fondazione che assorbisse il solo reparto di ematologia del San Salvatore. Lucarelli, appena tornato da un mese di vacanza a Portobello di Gallura dove la sua famiglia ha una casa, racconta di aver trovato un braccio di ferro in corso: tra i medici del San Salvatore ben contenti di lavorare in un Irccs e l'apparato politico molto lontano dall'idea di accettare così com'è la proposta del ministro. Lucarelli sa benissimo di aver acquistato ancora più peso, in queste ultime settimane, perché all'incontro Regione Marche-governo, Sirchia ha detto: faremo l'Irccs così come l'abbiamo proposto dove il professor Lucarelli vorrà. E lui? Probabilmente conosce l'arte del saper vivere e tace su un'eventuale preferenza geografica. Dice ogni bene dei medici e dei ricercatori sardi e poi spiega in che cosa consista il progetto internazionale, da promuovere attraverso un Irccs: "Vari stati non soltanto quelli affacciati sul Mediterraneo si sono rivolti al governo perché molti dei loro medici, così come i bambini, sono venuti da noi negli anni. In sostanza - continua Lucarelli - noi abbiamo messo a punto un protocollo per i trapianti di midollo e possiamo fare tre cose: una è insegnare ai medici e agli infermieri dei paesi stranieri dove è molto diffusa la talassemia a intervenire su questa malattia come facciamo noi, la seconda è curare i loro bambini gratuitamente grazie al finanziamento che ce lo permetterebbe ed evitare così di trovarci di fronte a casi resi impossibili dalle difficoltà economiche delle famiglie, la terza è dare impulso alla ricerca scientifica. Cagliari, comunque, sarà coinvolta in questa Scuola di Talassemia perché gli esperti sardi non possono non essere chiamati in questo progetto internazionale. E, d'altronde, già abbiamo in corso un coinvolgimento didattico con la Asl 8". Cosa dicono alla Asl 8? Che sono pronti a ricevere Lucarelli e il suo progetto se la Regione Sardegna vorrà. La parola ora passa inevitabilmente all'assessore. _________________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 3 set. 02 SASSARI:LA ZANZARA DELLA PESTE DEL NILO MINACCIA PER CAVALLI E UOMINI Preallarme al ministero della Salute per il virus comparso negli Usa (18 persone morte) e in Toscana, dove ha colpito solo gli animali. Piano di sorveglianza di Francesco Vacca SASSARI. Per ora è soltanto un pre-allarme, ma tanto basta per indurre il ministero della Salute a piazzare immediatamente dei paletti per scongiurare sconquassi dal recente arrivo in Italia della West Nile Disease, un tempo conosciuta come peste del Nilo. Si tratta di una malattia esotica a sviluppo virale trasmessa ai cavalli e all'uomo attraverso artropodi (zanzare del genere Culex) dagli uccelli migratori o stanziali. Per capire meglio la preoccupazione del governo, basterà ricordare subito che nel 1998, a Padule di Fucecchio in Toscana, si erano verificati alcuni casi circoscritti ai cavalli, mentre nel 1999-2000 negli Stati Uniti, nella zona di New York, oltre agli equini erano stati registrati episodi letali in diciotto persone anziane. La patologia di origine virale è trasmessa da un flavivirus che causa romboencefalite (infiammazione dell'encefalo) e mielite con emorragie. Gli animali colpiti in Toscana presentavano atassia (paralisi totale dovuta al coinvolgimento del sistema nervoso), paralisi degli arti posteriori e, in certi casi, paraparesi progredita in tetraplegia e decubito in due-nove giorni. In Usa, al contrario, si notava grave compromissione del sistema sensorio non riscontrata in Italia, dove invece apparivano anche lesioni meno gravi di quelli statunitensi e prevalentemente a livello spinale. Non sono ancora disponibili vaccini contro il flavivirus West Nile. E questo la dice lunga sull'assoluta necessità della prevenzione. «Sugli episodi verificatisi in America e in Toscana - fa osservare il direttore dell'Istituto zooprofilattico di Sassari, Salvatore Depalmas - considerata la loro gravità, non si poteva sorvolare. Tanto meno poteva fare lo gnorri il responsabile del ministero della Salute, che in un'ordinanza del 4 aprile, divenuta esecutiva con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale del 16 maggio, ha tracciato le linee del «Piano di sorveglianza nazionale della West Nile Disease». Vi sono elencati gli interventi necessari per individuare l'eventuale circolazione del virus nelle aree a rischio. «La sollecitudine del ministro - spiega Depalmas - è motivata anche dal fatto che in Italia continuano a esistere aree con caratteristiche ecologiche adatte alla propagazione del virus. Per esempio, le zone umide e la presenza sia pure stagionale di sostenute quantità di uccelli acquatici migratori, ritenuti i maggiori responsabili della veicolazione del virus. Per quanto riguarda la Sardegna, non dobbiamo sottovalutare la vicinanza e i rapporti commerciali con l'Africa, serbatoio certo della malattia». Il Piano, articolato in quattro fasi, raccomanda in primo luogo di individuare le aree che per le loro caratteristiche possono agevolare l'incubazione del male. Nell'isola, la zona di studio verrà concentrata nello stagno di Cabras. Si dovrà, quindi, attuare un sistema di allerta rapido costituito da una rete di polli sentinella, perché animali più sensibili e più a portata dell'uomo. Questa fase prevedeva il prelievo quindicinale di campioni di sangue da giugno a settembre, ma è saltata ed è certamente superfluo stigmatizzare i ritardi nel decollo del piano. Segue la sorveglianza sulle cause di mortalità negli uccelli selvatici. La procedura prevede la raccolta degli esemplari morti nelle aree di studio con particolare riferimento alla razza dei corvidi: ghiandaia, gazza, taccola e cornacchia grigia. Infine, la dislocazione di un sistema di sorveglianza entomologica. Si dovrà effettuare il censimento dei siti di riproduzione delle zanzare, la campionatura di larve in abbeveratoi, pozze, vasche, canali di irrigazione e delle zanzare adulte catturate con trappole. Il prelievo di tutti i campioni e l'identificazione dei casi di morti sospette vengono affidati ai veterinari delle Asl, che devono poi inoltrarli agli Zooprofilattici regionali. Gli Istituti eseguiranno gli esami anatomo-patologici e trasmetteranno i casi sospetti al Centro di referenza nazionale per le malattie esotiche di Teramo per l'isolamento virale. Ora, si tratta di recuperare i ritardi. Lo Zooprofilattico di Sassari sta per inviare il progetto, perché venga finanziato, all'assessorato alla Sanità. I tempi stringono: in una riunione tenutasi a Teramo il 30 luglio è risultato che le regioni in regola sono finora quattro: Marche, Toscana, Molise e Veneto. Per loro l'estate non è trascorsa invano. PREVENIRE È MEGLIO Ma la Sardegna non ha ancora l'osservatorio epidemiologico f.v. SASSARI. Prima la Peste suina africana, poi nel 2000 la Blue Tongue. Le due bufere sanitarie abbattutesi su cospicui comparti del patrimonio animale dell'isola hanno dimostrato, ma se ne sarebbe fatto volentieri a meno, che in Sardegna possono verificarsi emergenze scatenate da malattie esotiche provenienti da Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo. L'isola, con buona pace di quanti hanno sponsorizzato negli ultimi 40 anni il dissennato avvento dell'industria, è una terra sopravvissuta con l'agricoltura e la pastorizia. Il suo patrimonio legato alla terra, dunque, è una ricchezza che mai e poi mai sarebbe dovuta essere barattata a nessun prezzo. Tant'è che oggi l'industria ha quasi totalmente preso il volo per altri lidi e le campagne sono spopolate. Si dirà che il numero di capi allevati, piuttosto consistente sebbene esistano gli spazi per altrettanti, rende (o fa apparire) più disastrosa l'entità dei danni. Tuttavia, la maniera per circoscrivere (se proprio non per evitarla) la diffusione delle malattie esiste da tempo, ma l'isola non ne dispone ancora. C'è svogliatezza, non burocrazia. Sta il fatto che l'Osservatorio epidemiologico veterinario regionale appare sempre più per la Sardegna un oggetto misterioso e irraggiungibile, mentre è già una realtà nella maggior parte delle regioni italiane, regolato da leggi locali. Predispone il supporto tecnico, informatico e informativo necessario ai servizi veterinari periferici e a quello regionale che devono gestire e governare le attività del settore. Numerose le sue attivitè, ma compito prioritario è il monitoraggio delle situazioni favorevoli alla diffusione delle patologie, come eventi climatici, spostamenti di persone o animali, habitat e altro ancora. Ora, non è per diffondere allarmismi fuori luogo, ma continuare con la politica dello struzzo equivale a esporsi nuovamente, prima o poi, a costi salati. «Meglio prevenire che curare» è un adagio coniato per le malattie infettive. Del resto, i precedenti che hanno funestato l'isola sono argomento inoppugnabile a favore della prevenzione, che resta in tutti i casi l'arma più efficace contro le epidemie. Purtroppo, in questa regione (sarà colpa dell'autonomia, nel senso che «qui facciamo ciò che ci piace senza che Roma possa interferire»?) la realtà è diversa: i meccanismi di difesa vengono attivati dopo che le malattie sono esplose. E così l'analisi serena, lucida e razionale delle decisioni da adottare cede all'affannosa rincorsa di soluzioni che nell'emergenza si rivelano inevitabilmente pasticciate, approssimative e comunque non adatte. Forse, sarebbe ora che l'amministrazione regionale pensasse davvero a tutelare la zootecnia e dimenticasse le promesse inutili. _________________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 3 set. 02 CAGLIARI: ALLERGIA AL NICKEL, IL PERICOLO È NASCOSTO IN PIERCING , orecchini e diversi alimenti Progetto di prevenzione gratuita il 16 ottobre a Cagliari in occasione della Giornata mondiale Come accedere al test CAGLIARI. Gli orecchini, i piercing ma anche gli oggetti metallici in genere che contengono nickel possono far scatenare una frequente allergia, sempre più in aumento in Europa, che causa in diversi soggetti manifestazioni cutanee, dermatiti da contatto, ma anche episodi di asma bronchiale. Per conoscere i pazienti affetti dall'allergia e quelli predisposti verrà attuato un "progetto mirato", curato dall'allergologo Giovanni Piu, che gratuitamente consentirà di essere sottoposti al test per la verifica di una possibile allergia al solfato di nickel (NiSO4), in occasione della prossima Giornata mondiale delle allergie. L'importante assise si terrà il 16 ottobre. Le persone interessate dovranno compilare (dal 9 e entro il 20 settembre) una scheda nell'ambulatorio di via Zagabria 51 a Cagliari per chiedere di essere sottoposti al test. "Il nickel in forma metallica è altamente sensibilizzante come pure alcuni suoi ossidi e idrossidi - ha spiegato Piu - ma soprattutto i suoi sali e fra essi il solfato di nickel". La sostanza si trova in un largo numero di oggetti metallici da bigiotteria e in orecchini, piercing, collane, ganci, chiusure lampo, bracciali a cassa di orologio, chiavi, accendini, parti metalliche di occhiali, fibbie, fermagli, bottoni, cinture, forbici, ma anche in oggetti metallici per arredamento, cosmetici, matite per gli occhi, coloranti e arriccianti per ciglia e capelli, soluzioni per lenti a contatto, monete, protesi, recipienti metallici che si usano in cucina, nei detersivi, nelle stoviglie di terracotta e porcellana, come mordente in certi tessuti, nei lavelli e in vari oggetti professionali. Ma la sua presenza diventa preoccupante quando interessa alimenti che possono scatenare allergie come quelli in scatola o cucinati in recipienti metallici, ma è contenuto anche nelle aringhe, ostriche, asparagi, lenticchie, fagioli, piselli, lattuga, cavoli, pomodori, cipolle, funghi, spinaci, carote, nocciole, pere, uva passa, farina di mais, lievito in polvere, vino, birra, liquirizia, cacao, cioccolato, tè. "Per difenderci dall'aggressione del solfato di nickel - ha aggiunto Piu - è necessaria una valutazione del problema. A esempio si consiglia di cucinare in recipienti di vetro o alluminio. Mentre quando si hanno manifestazioni cliniche sospette per allergia al nickel, dermatiti pruriginose localizzate nei punti di contatto, a esempio con orologi, collane, bracciali, orecchini, o in seguito all'assunzione di alimenti sospetti è bene rivolgersi allo specialista". Negli ultimi anni in Europa vi è stato un aumento dell' allergia: in Finlandia la percentuale di sensibilizzazione è fra il 27 e il 31%, in Italia nelle professioni sanitarie l'incidenza è fra il 9,4 e il 25%. L'incidenza dell'allergia è maggiore (in rapporto dieci a uno) nelle donne anche per il sempre crescente uso di orecchini e piercing. _________________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 3 set. 02 ARRIVA L'INSULINA SPRAY: Un semaforo indicherà la somministrazione giusta la siringa va in soffitta? ROMA. Via libera al primo dispositivo per l'insulina polmonare (nella foto, il prodotto esposto in farmacia): è regolato da un sistema elettronico e migliorerà la vita ai milioni di diabetici in tutto il mondo costretti a sottoporsi quotidianamente alle iniezioni sottocutanee per tenere sotto controllo il diabete. Si chiama Aerx iDMS ed è stato presentato ieri nell'ambito del Congresso europeo sul diabete che si svolge in questi giorni a Budapest. Il meccanismo che lo regola è come una sorta di semaforo che avverte, con luce verde, gialla o rossa, se la quantità assimilata è quella necessaria sul momento. Superfluo dire che sin dal 1922, anno d'inizio del suo impiego clinico, i ricercatori hanno provato a mettere a punto un sistema di somministrazione dell'insulina che fosse meno invasivo. Con questo sistema, quindi, la possibilità di abbandonare la siringa per assumere insulina si fa adesso molto più concreta. E tanto per fugare dubbi è bene aggiungere che non si tratta di un prototipo, ma di un prodotto definitivo che ha già superato le prime fasi di sperimentazione. Lo studio clinico di AERx iDMS (questo il nome del dispositivo), multicentrico e multinazionale, ha arruolato 107 non fumatori con diabete di tipo II. I partecipanti sono stati successivamente divisi in due gruppi: al primo sono state somministrate tre inalazioni di insulina polmonare tramite AERx iDMS, il secondo gruppo, invece, ha assunto insulina umana solubile per via sottocutanea. A entrambi i gruppi, infine, è stata somministrata una dose notturna di insulina basale (NPH). Al termine dello studio-coordinato dall'University Hospital di Aarhus, in Danimarca, e durato 12 settimane-entrambi i gruppi hanno fatto registrare un significativo decremento di emoglobina glicata, ma il gruppo che si era sottoposto all'insulina polmonare ha mostrato un decremento ancora più netto. Inoltre, il gruppo trattato con insulina polmonare ha fatto registrare un numero minore di crisi ipoglicemiche: 151 contro i 211 dell'altro gruppo. I buoni risultati di Aerx aprono al dispositivo le porte della fase III, necessaria per ottenere l'approvazione alla messa in commercio. Aerx iDMs è dotato di un sistema di controllo elettronico, denominato Breath Check, che permette un assorbimento corretto della dose di insulina, inserita nel dispositivo con una striscia preselezionata dal paziente. Questo dispositivo, un vero e proprio 'semaforo', fornisce al paziente la risposta su come ha assunto l'insulina polmonare: una luce rossa indicherà un'assunzione di insulina troppo rapida, il giallo una assunzione troppo lenta, il verde infine indicherà un'assunzione corretta. _________________________________________________________________________ La Repubblica 5 set. 02 IL MASCHILISMO DEI TRIALS CLINICI Medicine, se la donna è esclusa dai test Un falso problema etico, un risparmio per le aziende produttrici. Parla l’esperta Emea e docente di farmacologia a Bari, Adriana Ceci. Le differenze tra Europa e Usa DI TINA SIMONIELLO «Le donne ogni giorno assumono farmaci, come e più degli uomini: antidolorifici, ansiolitici, antitrombotici e quant’altro. Tuttavia, la maggior parte delle molecole sul mercato, non sono state testate su di loro, perché il modello su cui tradizionalmente lavora la sperimentazione clinica è quello maschile. Questa scarsità di dati specifici relativi all’azione della maggioranza dei farmaci sull’organismo femminile può comportare un rischio per la salute delle donne». A parlare è Adriana Ceci, docente di Farmacologia e fisiologia umana all’Università di Bari, esperta dell’Emea, l’Agenzia europea per la valutazione dei farmaci e membro storico del gruppo di lavoro "Una salute a misura di donna", nato qualche anno fa sotto l’ala del ministero delle Pari opportunità. «Questa esclusione delle donne dai test», spiega la farmacologa, «non riguarda solo la fase I della sperimentazione clinica, quella che viene condotta su volontari sani di età compresa tra i 18 e i 40 anni. La discriminazione riguarda anche le fasi successive, vale a dire quando di una nuova molecola si va a valutare la dose terapeutica e la tossicità: l’8085 per cento degli studi di fase II e III non prevedono la partecipazione delle donne, e nei casi in cui pazienti di sesso femminile vengono reclutate, i dati ottenuti non vengono disaggregati in base al genere, ma interpretati nella loro globalità: i risultati relativi alle donne insieme a quelli ottenuti sugli uomini». Dunque, anche nella ricerca clinica ci sarebbe discriminazione sessuale. E non sembra trattarsi di una ipotesi veterofemminista visto che l’Fda statunitense ha sentito la necessità di istituire nel 1994 un Office of women’s health tra i cui obiettivi c’è quello di promuovere e "incoraggiare la partecipazione delle donne ai trials clinici", come cita testualmente il sito web dell’organismo federale Usa. Ma ci si chiede: in che modo il genere, l’identità maschile e femminile, può modificare l’effetto di un farmaco e quindi influenzarne l’efficacia e la sicurezza? Risponde l’esperta: «Tutto il corpo femminile è diverso da quello maschile e le differenze non riguardano solo gli apparati riproduttivi. Ci sono differenze a livello renale, o cardiorespiratorio: le donne pompano il sangue e respirano in modo diverso dagli uomini e diverso è il volume dei loro reni. Se quando andiamo a sviluppare e valutare un farmaco non teniamo conto di queste e di altre diversità rischiamo di immettere sul mercato prodotti segnati in partenza da un vuoto di conoscenze, che discrimina le donne sul piano della salute. Come con le statine. I loro dosaggi dovrebbero essere ritagliati anche sulle donne, visto che nel loro plasma si accumulano in quantità più elevata e che, di conseguenza, nell’organismo femminile esercitano maggiore tossicità. O come negli antidepressivi. Sappiamo che nelle donne questi farmaci sono più efficaci. Si potrebbero quindi utilizzare in dosi più basse. Di tutte queste considerazioni non c’è menzione nei foglietti illustrativi». E quale sarebbe la ragione dell’esclusione delle donne dai test? «Sperimentare anche sulle donne farebbe lievitare sensibilmente i costi di sviluppo di un farmaco», risponde Adriana Ceci, «occorrerebbe allestire test paralleli o investire in analisi dei dati più complesse. Sul piano etico poi c’è un pregiudizio che nasce dalla figura femminile intesa essenzialmente come madre. Su questa posizione si è radicalizzata l’idea che è più etico non sperimentare sulle donne per non esporre il feto a rischio. Anche quando il feto non c’è ancora: una donna potrebbe non essere incinta all’inizio del test ma entrare in gravidanza durante la sperimentazione. Un principio sacrosanto. Che però, paradossalmente, finisce per nuocere alle donne e agli embrioni. Sono tante quelle che in gravidanza si ammalano e che devono assumono farmaci, o le malate che vogliono avere figli. E le donne che hanno seguito una terapia e che, una volta finita la cura, danno alla luce figli con problemi provocati da un farmaco di cui non erano noti gli effetti fetotossici e teratogeni». Un aspetto fondamentale è quello relativo alle legge, quelle europee ma anche quelle USA, dalle quali poi per una certa misura dipendiamo, visto che utilizziamo gli stessi prodotti. «La norma del ’77 che negli Stati Uniti impediva alle donne in età fertile di partecipare alle fasi I e II della sperimentazione clinica è stata modificata», racconta la docente, «Dal 1993, purché ci sia consenso informato e parere etico favorevole, le giovani donne possono prendere parte ai test. Rispetto alla sovrapposizione del mercato, è vero che per oltre il 90 per cento in Europa utilizziamo gli stessi farmaci degli americani, solo che non esiste una legge europea che costringa le farmaceutiche a utilizzare da noi gli stessi foglietti illustrativi degli americani. Le nostre leggi, insomma, prevedono studi di fetotossicità, ma non costringono a informare in maniera adeguata». Nelle confezioni dei medicinali però è sempre riportata la formula: "prodotto controindicato in gravidanza", ma, afferma l’esperta, «si tratta di diciture che in realtà deresponsabilizzano i produttori più che tutelare le consumatrici o informare i medici prescrittori. È come dire: noi non sappiamo, quindi è preferibile che se sei incinta non assumi questo farmaco. Negli Stati Uniti il rischio fetale viene indicato a chiare lettere sul foglietto che accompagna il prodotto, e categorizzato in quattro livelli. La realtà è che quello etico è un falso problema: la donna fertile si può tutelare, visto che altrove si fa. Semplicemente è più facile e più comodo saltare questa parte della messa sul mercato del farmaco». _________________________________________________________________________ Le Scienze 5 set. 02 MICROBI PRODUTTORI DI ENERGIA Aumentano i finanziamenti alla ricerca dell’energia biologica Saranno i microbi a risolvere alcuni dei più gravi problemi che minacciano la nostra sopravvivenza, come il riscaldamento globale? Alcuni ricercatori sembrano suggerirlo. Il Methanococcus jannaschii, per esempio, un batterio produttore di metano scoperto all'Institute for Genomics Research, potrebbe avere tutte le carte in regola per diventare un filtro naturale per i gas di scarico. Anche se il metano è un potente gas serra, il M. jannaschii potrebbe essere usato per catturare le emissioni di anidride carbonica dai grandi impianti di generazione di elettricità. Il metano prodotto verrebbe poi utilizzato in diversi modi, convertendolo in biomassa utile o in fertilizzanti. L’energia pulita del futuro, però, dipende dall'idrogeno: su questo sono tutti d'accordo. Per questo motivo all’Institute for Biological Energy Alternatives (IBEA) , un ente non-profit specificamente fondato dallo scienziato J. Craig Venter per indagare il potenziale dei microbi nella produzione di energia pulita, sono in corso vari studi per "mettere a punto" un organismo che possa catturare anidride carbonica per produrre idrogeno. In effetti, anche il M. jannaschii è in grado di svolgere questo compito e i ricercatori stanno cercando di ottimizzare il canale metabolico per la produzione dell'idrogeno. Proprio di recente il Department of Energy statunitense ha annunciato di voler finanziare cinque progetti che possano portare a energia pulita e alla rimozione dell'anidride carbonica. I finanziamenti, per un totale di 103 milioni di dollari in cinque anni, sono i primi di un programma chiamato “Genomes to Life”. _________________________________________________________________________ Le Scienze 3 set. 02 IL MITO DELLO STRETCHING: NESSUN BENEFICIO, FORSE DANNOSO Scaldare i muscoli non serve a evitare guai durante l'attività sportiva Secondo uno studio pubblicato sul “British Medical Journal”, scaldare i muscoli con lo stretching prima di qualsiasi attività sportiva potrebbe essere una perdita di tempo, perché non serve a prevenire gli stiramenti o a ridurre i dolori. Questa tecnica fu introdotta negli anni sessanta, quando la pratica di fare ginnastica divenne popolare. Allora si pensava che in questo modo fosse possibile ridurre il rischio che muscoli inutilizzati avessero dolorosi spasmi. La teoria degli spasmi si dimostrò poi errata, ma l'abitudine dello stretching rimase. “E’ una delle nostre superstizioni a proposito di come prevenire le ferite e migliorare le prestazioni" commenta Rob Herbert, fisioterapista dell'Università di Sydney. Herbert e i suoi colleghi hanno infatti recentemente riconsiderato la letteratura riguardante l'argomento, trovando cinque studi pubblicati con un numero di campioni sufficiente da renderli affidabili. Tutti i lavori riguardavano la misura degli effetti dello stretching sui dolori muscolari che spesso seguono l'attività sportiva (i dolori del giorno dopo) e due anche il rischio di danni muscolari. Nessuno degli studi ha mostrato alcun beneficio significativo dello stretching. "Possiamo dire con un alto grado di sicurezza che lo stretching non previene i dolori muscolari" continua Herbert. "Non possiamo escludere che riduca il rischio di danni, ma il peso delle prove sembra dimostrare il contrario." Anche gli esperimenti sui topi hanno dato gli stessi risultati, dice Thomas Best, dell'Università del Wisconsin. "Pensiamo che quando allunghiamo i muscoli stiamo cambiando i tessuti in qualche modo che prevenga i danni" dice. "Ma in un modello animale, lo stretching non sembra avere effetto sui danni muscolari." Lo stretching potrebbe però essere utile per alcuni gruppi, dice Best, fra cui gli anziani. Ma allora, che cosa si può fare per proteggere i muscoli? Qualcuno raccomanda una leggera corsetta prima degli esercizi più impegnativi ma, conclude Herbert, "potrebbe essere perfettamente inutile.” _________________________________________________________________________ Il Messaggero 2 set. 02 BERLINO, NUOVE LINEE GUIDA ANTI-INFARTO Cuore, dai maiali obesi il segreto del vino rosso BERLINO - Che un po’ di vino rosso ogni giorno (al massimo due bicchieri) sia un toccasana per il cuore si sa. Ma soltanto adesso si comincia a capire il perché. E a rivelare il segreto sono dei maiali "mangioni", tenuti ad una dieta molto ricca di grassi tipica del mondo occidentale. Insieme a questo studio, condotto in Spagna e presentato al congresso europeo di cardiologia a Berlino, una ricerca italiana dell’università di Brescia è riuscita ad osservare direttamente il vino rosso "all’opera" nel dilatare i piccoli vasi sanguigni dell’uomo. Si deve ai maiali il primo passo alla scoperta del segreto del vino rosso grazie alla grande somiglianza tra il loro sistema cardiovascolare e quello dell’uomo. Di qui la decisione del dipartimento di Patologia molecolare del centro ricerche cardiovascolari di Barcellona di utilizzare proprio questi animali. Dopo essere stati alimentati con cibi ricchi di acidi grassi saturi e avere riportato in poco tempo danni alle arterie, i maiali sono stati fatti bere un paio di bicchieri di vino rosso al giorno. Si è così osservata una riduzione nei depositi di placche all’interno dei vasi sanguigni pari al 30-40%. «Abbiamo osservato in laboratorio le proprietà vasodilatatorie del vino rosso sulle piccole arterie», ha detto il coordinatore dello studio italiano Enrico Agabiti Rosei. E gli effetti sono stati visti utilizzando vini rossi di tipo diverso, da quelli prodotti "in barrique" a quelli maturati nelle grandi botti di legno, a quelli ottenuti nelle moderne botti d’acciaio. «I nostri risultati - dicono i ricercatori - suggeriscono che i vini rossi possono avere proprietà vasodilatatorie sia nei pazienti con una pressione normale sia negli ipertesi». Dal pianeta cuore arrivano, dal summit degli specialisti, notizie confortanti. L’infarto ha cambiato volto. In oltre 6 casi su 10 non uccide, ma si manifesta con angina e attacchi meno violenti: una nuova strategia che gli esperti hanno chiamato "sindrome coronarica acuta". Secondo i dati italiani dell’Associazione nazionale dei cardiologi ospedalieri (Anmco), circa 65.000 per attacchi di angina, nel 2000 la situazione si era ribaltata, con circa 77.000 angine (con un aumento del 18,5%) contro 71mila infarti (ridotti del 5,3%). Il nuovo volto dell’infarto colpisce soprattutto tra i 65 e i 70 anni con un buon 40% di donne (contro il 30% delle vittime al femminile del "vecchio" infarto). Si calcola inoltre che, sempre nel 200, in Italia la sindrome coronarica acuta abbia provocato 70mila decessi e 150mila ricoveri, con un costo stimato di circa 484 milioni di euro.