GLI ATENEI CHE NON FUNZIONANO SCIENZA A PERDERE: ALLARME PER IL FUTURO DELLA RICERCA IN ITALIA "A RISCHIO L'AUTONOMIA DELLA RICERCA" TAGLIAGAMBE: “LA RIFORMA E LE POLEMICHE” I PARADOSSI DEL TRE PIÙ DUE CAGLIARI: ACCORDO UNIVERSITÀ-COMUNE PER MIGLIORARE L’AMMINISTRAZIONE SCUOLA, VITTIMA DI BUCHI E STERILI POLEMICHE DESTRA, GLI STATI GENERALI DELLA CULTURA =========================================================== CASSAZIONE: MEDICI, LA COLPA VA PROVATA I MEDICI: "ORA LE LINEE-GUIDA" TROPPI MEDICI, SOLO 172 PAZIENTI A TESTA LICHERI GUIDA L'ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ LICHERI: LA MIA NOMINA NON È LEGATA A FORZA ITALIA RAGIONE E FEDE, CONFRONTO SULL'EUTANASIA NUOVO PRONTUARIO: LA RIVOLUZIONE DEI MEDICINALI UDINE: SCARSI FINANZIAMENTI PER POLICLINICO GENETICA E MIGRAZIONE DEL NEOLITICO PRODURRE FARMACI GRAZIE AI POLMONI UN VACCINO CONTRO L'ICTUS RISCHI L'INFARTO NEI PROSSIMI 10 ANNI? TEST DEL CNR LO SVELA SCOPERTO IL PENE PIÙ ANTICO: APPARTIENE A UN CROSTACEO CHIROPRATICA PERICOLOSA TUTTI "NUOVI" CON BISTURI E CHIP OCCHI ELETTRONICI, E I CIECHI VEDRANNO =========================================================== _________________________________________________________ L'Espresso 13 set. '02 GLI ATENEI CHE NON FUNZIONANO Università col bollino rosso Facoltà dove gli studenti non hanno da sedersi. Corsi con pochi docenti o con un numero irrisorio di iscritti. Un'indagine ministeriale indica gli atenei da evitare. Ecco i nomi. In esclusiva di Andrea Benvenuti È scattata la caccia allo studente. Settantaquattro università italiane - 60 statali e 14 private - sono partite all'arrembaggio del popolo delle matricole: trecentomila studenti, freschi di maturità, che si iscriveranno a uno dei 2.665 corsi, vecchi, nuovi o trasformati, introdotti dalla riforma universitaria. Quella più nota come "3+2" (laurea triennale di primo livello e biennio di specializzazione) partita tra luci e ombre giusto un anno fa. È una vera e propria guerra commerciale quella che gli atenei si stanno combattendo a colpi di spot radiofonici, affissioni cittadine e spazi pubblicitari sulle pagine dei giornali. Ma non sarà una campagna acquisti tutta rosa e fiori. Infatti, 538 corsi triennali (oltre il 21 per cento del totale) proposti dalle università italiane nell'ultimo anno accademico e distribuiti un po' su tutto il territorio nazionale, non hanno le carte in regola. L'allarme è lanciato dal Comitato di valutazione del sistema universitario del ministero dell'Istruzione che ha stilato, corso per corso, le pagelle dei peggiori a un anno di distanza dal loro inizio. Sono centinaia di pagine per scandagliare l'offerta formativa del Belpaese e che "L'Espresso" è in grado di anticipare. Con tanto di "bollino rosso" per mettere sull'attenti le scelte delle future matricole. In sostanza, è stato chiesto alle facoltà degli atenei di indicare i requisiti minimi in base ai quali, nell'anno accademico 2001-2002, è stato attivato ogni singolo corso di laurea triennale: il numero di docenti, gli studenti iscritti, la disponibilità di aule, laboratori e biblioteche. Il risultato è a fosche tinte. Pur valutando positivamente l'avvio della riforma, il Comitato ministeriale sostiene che la moltiplicazione dell'offerta formativa ha provocato un'eccessiva frammentazione didattica e una di-spersione delle risorse. Il nuovo impianto viene promosso sul campo: ma i corsi - si afferma - sono troppi, non soddisfano gli standard di qualità e vanno ridotti. Rispetto al 2000-2001, infatti, l'offerta formativa è aumentata del 9 per cento senza che tutti i corsi producessero risultati positivi. Una conclusione che non piacerà ai Consigli di facoltà degli atenei chiamati in causa. Eppure, i dati parlano chiaro. Si va dall'eccellenza dell'università di Trento, dove la biblioteca rimane aperta fino all'una di notte e ci sono i primi corsi in lingua inglese con docenti stranieri, alla situazione limite dell'università di Catanzaro dove molti corsi sono senza professori e Giurisprudenza ha settecento iscritti con strutture del tutto inadeguate. Fino al Politecnico di Torino che ad Architettura prevede due corsi fotocopia: una scelta effettuata - dicono i docenti - "per non far litigare i professori". Ci sono anche 79 corsi (vedi tabella) che non superano i cinque iscritti; ma tredici ne hanno uno solo: tra questi citiamo Manager dei flussi migratori (a Scienze politiche), Tecnologie fisiche innovative (Scienze matematiche, fisiche e naturali) ed Economia e gestione delle risorse culturali, ambientali e turistiche (Economia). Trentadue, invece, sono gli atenei che presentano facoltà con posti aula alla settimana per studente al di sotto della soglia minima delle 20 ore settimanali: la maglia nera va a Scienze della formazione (Urbino) con 4,9 ore/posto. Infine, 538 sono i corsi attivati senza il numero sufficiente di docenti (vedi tabella). Il caso limite è Catanzaro, dove a Medicina e Chirurgia sono 25 i corsi da "bollino rosso". Secondo gli esperti del ministero, bisogna rimboccarsi le maniche e far capire a presidi e docenti che sarà sempre più la qualità del corso e dei servizi a premiare gli atenei in termini di iscritti e bilanci in attivo. Per il futuro, dunque, non saranno più i professori il punto di riferimento del sistema universitario bensì gli utenti: quegli studenti troppo spesso bistrattati e ammucchiati in aule e laboratori striminziti, senza servizi adeguati. E, soprattutto, senza un numero di professori sufficiente allo svolgimento della didattica. Più che di cambiamento e trasformazione, si tratta di un vero e proprio terremoto. Chi dirà ai baroni e baronetti universitari che il loro corso può essere cancellato? Che ogni docente non può pretendere di avere un territorio esclusivo e che i risultati dell'insegnamento verranno valutati in base alla percentuale di successo, e quindi di laureati di ogni singolo corso di laurea? E chi, ancora, riuscirà a far passare l'idea, ventilata dal Comitato, di ridurre l'offerta formativa delle lauree di primo livello mantenendo invece la possibilità di una maggiore scelta per il biennio di specializzazione? Per non parlare dell'ipotesi di far svolgere i corsi di primo livello in ogni provincia, accorpando i bienni specialistici in pochi poli macroregionali. Così sembra avviarsi al tramonto l'epoca del piccolo ma bello. Le università di Macerata, Camerino, Ancona e Ascoli Piceno, per fare l'esempio delle Marche, sarebbero destinate a offrire corsi triennali di primo livello, lasciando quelli di specializzazione a città come Bologna, Milano, Torino e Pavia. Attualmente, l'Italia rappresenta una profonda anomalia rispetto ai paesi dell'Unione europea: la popolazione studentesca si laurea molto più tardi. Soltanto quattro iscritti su dieci portano a termine gli studi. Gli esperti del comitato sostengono che abbiamo bisogno di un dieci per cento in più di laureati. Comunque, con l'avvio della riforma, si è registrato un aumento degli immatricolati: dai 280 mila di due anni fa ai 320 mila dell'anno scorso. E, per i prossimi tre anni, si prevede un flusso di 300 mila nuovi immatricolati l'anno. I saggi del Comitato di valutazione chiedono di costruire un'anagrafe nazionale degli studenti e di potenziare la Banca dati dell'offerta formativa. Il rapporto sul futuro dell'Università è stato consegnato al ministro Letizia Moratti. Ma né il ministro né il suo staff hanno mandato segnali di fumo. Troppo impegnati a far quadrare conti della scuola. L'università può aspettare. In versione integrale, il testo del "Primo Rapporto di Valutazione dei corsi di laurea di primo livello". _________________________________________________________ La Stampa 11 set. '02 SCIENZA A PERDERE: ALLARME PER IL FUTURO DELLA RICERCA IN ITALIA Rivolta in laboratorio. Di solito gli scienziati chiedono soldi per la ricerca e fanno bene perché l´Italia è al livello più basso tra i paesi sviluppati. Questa volta invece chiedono, prima ancora, una cosa diversa, a costo zero: vogliono essere ascoltati e, se la parola non sembra troppo grossa, rispettati. Gira dal 10 agosto la voce di una riforma degli istituti scientifici italiani. Il governo Berlusconi progetterebbe un accorpamento: più o meno 35 istituti invece dei cento e più oggi in vita. Si può essere d´accordo. Non è questione astratta di numeri ma di sostanza, e se si arrivasse a una organizzazione più snella e razionale, tanto meglio. Le altre voci sono più inquietanti. Gli istituti superstiti dovrebbero autofinanziarsi andando a caccia di contratti nell´industria privata. Inoltre a gestirli arriverebbero dei commissari di estrazione politica. Qui le cose cambiano. I contratti con i privati in sé vanno benissimo: già si fanno. Ma la ricerca fondamentale, che produce conoscenza pura, poco interessa alle industrie, giustamente a caccia di applicazioni redditizie. Invece proprio dalla conoscenza pura, che vive solo di denaro pubblico, escono i risultati più importanti per tutti, industrie comprese, talvolta anche a distanza di decenni: si pensi a Watson e Crick, che nel 1953 scoprirono la forma a doppia elica della molecola del Dna, e alle applicazioni solo oggi in arrivo. Quanto ai commissari politici, nei laboratori non servono proprio. Se c´è un campo che ha bisogno di assoluta autonomia, è proprio la scienza. Per darsi una linea riguardo al progetto, ieri i ricercatori italiani si sono riuniti a Roma nella sede centrale del Cnr. In duemila hanno sottoscritto un documento che lancia l´allarme. Non sono contrari a riforme. Vogliono però democraticamente partecipare, o almeno essere consultati. Forse presto avremo un girotondo attorno al palazzone del Consiglio nazionale delle ricerche. La partecipazione farebbe notizia: i premi Nobel Rita Levi Montalcini e Carlo Rubbia accanto a Carlo Bernardini, Tullio Regge, Margherita Hack, Franco Pacini, Giorgio Parisi, Giuliano Toraldo di Francia... Moretti potrebbe girare un bel cortometraggio. Piero Bianucci _________________________________________________________ Il Tempo 11 set. '02 "A RISCHIO L'AUTONOMIA DELLA RICERCA" Scienziati e ricercatori sul piede di guerra per il riordino degli enti GLI scienziati e i ricercatori italiani sono sul piede di guerra. Colpa della cosiddetta "bozza fantasma" uscita ufficiosamente dalle stanze del Ministero dell'Università e della Ricerca, che prevede un riordino degli enti e del Cnr tale da mettere a rischio l'autonomia della ricerca. La proposta di riforma, infatti, prevede un meccanismo che renderebbe possibile, tra l'altro, una nomina politica dei direttori di dipartimento del consiglio nazionale delle ricerche, che oggi sono nominati tramite concorso. Il problema è stato affrontato ieri dai ricercatori del Cnr (2.400 le adesioni) che si sono riuniti in assemblea generale, dando vita ad una carta dei principi contro la privatizzazione e lo smantellamento degli enti di ricerca. Un documento che nasce per "individuare i confini entro i quali la politica possa muovere i suoi giusti passi per riformare e orientare". Molti i nomi illustri che hanno aderito all'iniziativa, dal premio Nobel Rita Levi Montalcini, all'astrofisica Margherita Hack, all'ex ministro della pubblica istruzione Tullio De Mauro. Ma c'era anche il segretario dei Ds Piero Fassino che ha definito inaccettabile il fatto che il governo stia "cercando di trasformare un'attività essenziale per il paese e per la sua competitività, in un'impresa economica e commerciale sacrificando la ricerca di base". A scendere in campo anche il Presidente del Cnr Lucio Bianco che non pensa che il testo sia condiviso dal ministro ("si tratta di uno studio fatto probabilmente da qualcuno all'interno del ministero") e si augura che la Moratti prenda atto che "l'impianto complessivo" non è piace alla comunità scientifica. Secondo il presidente bisogna operare nella continuità della riforma già fatta, modificando quello che non va, primo tra tutto il sottofinanziamento dell'ente. "Le risorse governative annuali a noi destinate", ha concluso Bianco, "bastano appena al sostentamento strutturale; i fondi per i progetti bisogna trovarli altrove". Tre i punti fondamentali della Carta dei principi della ricerca: maggiori finanziamenti, una ricerca finalizzata a obiettivi prioritari e strategici e un'ottica di lungo periodo che sfugga a logiche di aziendalizzazione. S. L. _________________________________________________________ L'Unione Sarda 8 set. '02 TAGLIAGAMBE: LA RIFORMA E LE POLEMICHE Sulla scuola inutili veleni Ho citato, non a caso, articoli usciti in riviste che fanno riferimento, rispettivamente, a Giuliano Amato e Massimo D'Alema e ad ambienti vicino a Romano Prodi per sottolineare che, se ci si fosse misurati sui contenuti effettivi, anziché alimentare un'atmosfera reciproca di sospetti e caccia alle streghe, sarebbe forse stato possibile anche da noi ripetere l'esempio di un presidente certamente poco bipartisan e poco incline a seguire la linea della pacificazione, come George Bush jr,, che lo scorso 8 gennaio ha solennemente sottoscritto, sotto lo sguardo compiaciuto di Ted Kennedy, leader storico dell'opposizione, il No Child Left Behind Act, con il quale viene modificato profondamente l'assetto dell'istruzione negli Usa sia per quanto riguarda il livello federale che per le conseguenze sui singoli Stati. Il motto "No child left behind" ("Nessun ragazzo resti indietro") non è poi così lontano dal "Non uno di meno" propugnato da Tullio De Mauro (e che oggi dà il nome al sito che raccoglie la bandiera di quella stagione scolastica: www.nonunodimeno.it) a riprova del fatto che i problemi da affrontare per quanto riguarda il sistema scolastica sono un po' gli stessi in tutti i paesi del mondo industrializzato. Questi problemi sono talmente gravosi e complessi da meritare un serio sforzo di analisi ed esigere un'onesta ricerca di soluzioni praticabili, che prenda le mosse da un bilancio disinteressato sul recente passato e da una corretta valutazione della "mole" di innovazioni prodotte: dall'autonomia delle scuole alla riforma dell'amministrazione, dall'obbligo formativo a 18 anni alla formazione universitaria dei docenti. Assistiamo invece a un'assurda guerra di slogan contrapposti e alla presunzione, a volte grottesca, di poter sciogliere nodi reali con qualche colpo ad effetto mediatico. Ne scaturisce un clima di confusione e disinformazione che certo non aiuta il processo di riforma e rischia di confermare gli studenti in una situazione di crescente disagio e disaffezione, e i docenti in un'area di marginalità sociale e politica. In questa battaglia, assai poco incisiva, che si svolge tutta all'interno del mondo di carta dei mass media, anziché nel mondo reale delle aule spesso fatiscenti e dei laboratori e palestre che troppe volte non ci sono, rimane offuscato il vero dato di fondo del quale tutti dovrebbero preoccuparsi, impegnandosi seriamente a contrastarlo: la consistente riduzione delle risorse destinate al sistema scolastico, come anticipato dalla legge finanziaria per il 2002, e il fatto che ad essere spese in abbondanza, per l'istruzione e la formazione, finora sono state solo le parole. Silvano Tagliagambe _________________________________________________________ La Stampa 14 set. '02 I PARADOSSI DEL TRE PIÙ DUE ERAVAMO un paese di dottori, diventeremo un paese di scienziati. La previsione, sarcastica quanto amara, irride il camuffamento propagandistico operato dalla più recente riforma universitaria che battezza le nuove lauree, ma anche le vecchie, con un dilagare del termine "scienza". Una parola che dovrebbe convincere gli scettici e intimorire i critici e che, invece, servirà alla legittimazione di un sostanziale abbassamento del livello qualitativo dell´università. Un nuovo paradosso italiano. L´infausto pronostico è tratto dal Rapporto sull´istruzione universitaria in Italia, un pamphlet per il suo carattere polemico, ma anche un documento per la ricchezza informativa che lo completa. Il saggio iniziale è di Alessandro Monti, il quale scrive una vera e propria requisitoria contro la cosiddetta "3 più 2", così, nel gergo accademico, viene definita la radicale riforma voluta dagli ultimi governi di centrosinistra e in applicazione praticamente solo da quest´anno nei nostri atenei. Il libro, però, viene corredato dalla pubblicazione dei lavori della Giornata di studio, tenutasi a Roma un anno fa, proprio su uno dei temi di maggior controversia tra gli specialisti del settore: la riforma dell´università nel quadro dell´integrazione europea. E´ stata questa necessità, infatti, a costituire forse il principale argomento a sostegno del radicale cambiamento operato nelle nostre università dalla riforma. Ed è soprattutto contro questa tesi che sia il curatore del libro sia alcuni relatori, come Massimo Luciani, si scagliano, dimostrando non solo che non esiste il benchè minimo obbligo internazionale a uniformarci a una presunta direttiva comunitaria, ma neanche un suggerimento politico che, dall´estero, possa confortare la scelta fatta in Italia. Alessandro Monti, anzi, osserva come i principali paesi europei, dalla Francia alla Germania, all´Inghilterra, si apprestino, al contrario di quanto ha fatto l´Italia, ad allungare e a rafforzare i tempi della preparazione superiore, proprio per far fronte all´accresciuta competizione internazionale. Al di là delle opinioni a confronto, la pubblicazione del libro ha un indubbio merito, quello di rinfocolare la discussione sulle conseguenze dell´applicazione della riforma nelle nostre università. Un dibattito frenato dall´attuale governo che, alle prese con questioni apparentemente più urgenti e spinose, non vuole aprire un altro fronte polemico, cancellando una riforma che pur non condivide. Ma che trova ostili anche i poteri accademici, allarmati dall´ipotesi di dover di nuovo cambiare programmi e organizzazione degli atenei, dopo il faticoso lavoro di trasformazione dei corsi imposto dalla riforma e, del resto, non ancora concluso. Preoccupazioni comprensibili, ma che potrebbero compromettere il futuro di tanti giovani, inconsapevoli cavie di una scommessa azzardata. Luigi La Spina _________________________________________________________ La Nuova Sardegna 13 set. '02 CAGLIARI: ACCORDO UNIVERSITÀ-COMUNE PER MIGLIORARE L’AMMINISTRAZIONE Accordo per migliorare l'amministrazione CAGLIARI. "In Sardegna si paga un prezzo alto anche per la mancanza di una cultura adeguata. Spesso si hanno buone idee ma queste sono difficili da realizzare", ha affermato Giuseppe Usai (docente di economia e gestione delle imprese, e amministrazione del Crs4) durante la stesura dell'accordo sul miglioramento della qualità della macchina amministrativa, tra università, Comune e Provincia. L'accordo-progetto, firmato due giorni fa, è stato elaborato e presentato da Giuseppe Usai che ha sostenuto "l'inderogabilità di iniziative concrete (seminari, tirocini e stage formativi) che coinvolgano l'università, le aziende, gli enti di formazione, gli studenti e gli insegnanti delle scuole superiori". L'accordo si basa sulla constatazione "della forte correlazione tra livello e sviluppo socioeconomico e le culture organizzative, e le professionalità del territorio". Il rettore Pasquale Mistretta ha precisato che "il progetto è agli antipodi dell'astrattezza didattica ed è costruito per calarsi immediatamente nelle realtà locali. Gli studenti, infatti, possono maturare crediti formativi con un duplice risultato: essere motivati e capire meglio le proprie predisposizioni al fine di scegliere con padronanza la facoltà". L'accordo siglato, inoltre, ha continuato Mistretta, "può far guadagnare terreno alla municipalità e costruire un riferimento ineludibile per i criteri da seguire nella qualità della gestione e nell'organizzazione degli uffici". _________________________________________________________ Il Resto del Carlino 13 set. '02 SCUOLA, VITTIMA DI BUCHI E STERILI POLEMICHE La scuola ha riaperto le aule fra i... buchi. Il presidente del Consiglio riconduce a difficoltà finanziarie il rallentamento dell'approvazione della riforma del sistema formativo. Ma accanto alle carenze economiche di oggi la scuola ha da pagare i debiti di ieri. L'ex ministro Visco si arrabbia a parlare di buchi nella sua gestione, ma chi per esempio lavora nelle Università sa che il Tesoro, dal 1996 al 2001, non ha mai onorato l'obbligo stabilito dalla legge di aggiornare il contributo ordinario agli atenei in rapporto agli oneri derivanti dai rinnovi contrattuali del personale universitario e dagli effetti prodotti dall'anzianità maturata. Le Università rivendicano 750 miliardi che il Parlamento, con un provvedimento in esame, intende pareggiare scaglionando la copertura in un quinquennio. E ancora. Approssimandosi la consultazione elettorale, i ministri dell'Istruzione dell'epoca organizzarono, a iosa, corsi di abilitazione per insegnanti precari e non precari senza la copertura finanziaria. Sono trascorsi quasi due anni ma i commissari ed i docenti devono ancora riscuotere le competenze arretrate. Significativa un'altra partita da mille miliardi da colmare. Il centro-sinistra, con una legge del maggio '99, 'nazionalizzò' i bidelli già dipendenti dai Comuni e dalle Province. Lo Stato subentrò altresì, come stazione appaltante, nei confronti delle ditte e cooperative che gestivano per conto degli enti locali il servizio di pulizia degli edifici scolastici. Gli appalti sarebbero dovuti cessare al 30 giugno 2000, ma, privi di copertura finanziaria, furono prorogati per evitare il licenziamento di circa 20mila addetti. Sta di fatto che le ditte appaltatrici rivendicano un credito che si aggira oggi sui 1000 miliardi. E' in corso di elaborazione un altro disegno di legge che in un triennio dovrebbe scaglionare il pareggio del debito e dei relativi interessi moratori che ha prodotto. Risultato: fra i vecchi buchi non ancora coperti ed i finanziamenti che mancano per affrontare le emergenze correnti, il futuro della scuola non appare roseo. Sarebbe allora opportuno che maggioranza e opposizione parlamentare, anziché proseguire in sterili polemiche sui buchi passati e presenti, elaborassero qualche comune strategia per offrire ai giovani un sistema formativo più qualificato corrispondente alle attese delle loro famiglie. Enzo Martinelli _________________________________________________________ La Stampa 14 set. '02 DESTRA, GLI STATI GENERALI DELLA CULTURA FILOSOFI, STORICI, POLITOLOGI, TEOLOGI PER UN´ALTERNATIVA INTELLETTUALE ALLA SINISTRA C´È un progetto nel centrodestra per individuare reti di intellettuali, filoni di pensiero, temi di aggregazione politica. Se durante la "traversata del deserto" dell'opposizione prevalevano i laboratori di ricerca economica, ora che gli economisti vanno al governo sono politologi, filosofi e storici a tentare di dare sistematicità e omogeneità a un pensiero di centrodestra che coniughi liberalismo e cattolicesimo, che tenga insieme i moderati delle varie confessioni, compresi centristi e liberisti che l'omogeneità dentro l'esecutivo sono lontani dal trovarla. "La libertà francese e la libertà americana", "l'antiamericanismo in Europa", "Dimenticare Parigi"; basta scorrere in anteprima le relazioni che gli intellettuali riuniti a Trieste la prossima settimana dalla fondazione Liberal presieduta da Ferdinando Adornato, per individuare il tema forte della seconda edizione delle Giornate internazionali del pensiero filosofico: la crescente frattura tra Europa e America, interpretata non solo alla luce delle diverse letture strategiche e politiche della crisi mediorientale e della lotta al terrorismo, ma prima ancora nella chiave dei diversi fondamenti filosofici della Rivoluzione francese e quella americana, delle due diverse idee di democrazia e di libertà. Il premio che l'anno scorso era andato ad André Glucksmann sarà assegnato al cardinale Joseph Ratzinger, che si esprimerà in sostegno della tesi, cara anche ad alcuni rappresentanti italiani nella Convenzione come Fini e Follini, della menzione delle radici cristiane dell'Europa nel testo (e nello spirito) della futura Costituzione. La filosofia politica della nuova Costituzione europea sarà appunto il tema del dibattito tra il vicepresidente del Senato Domenico Fisichella, l'ex direttore dell'Unità Renzo Foa, Rino Fisichella rettore dell'università lateranense e il leader dell'Udc Follini. Sono attesi interventi di Angelo Panebianco, Ernst Nolte, Angelo Maria Petroni, e anche di personaggi vicini al centrosinistra come Gianfranco Pasquino. Il superamento dell'endiade laici-cattolici è una delle premesse del progetto di Liberal, a cominciare dal superamento di un lessico che, sostiene Adornato, "appartiene in esclusiva alla politica italiana. Soltanto da noi la parola "laico" non indica semplicemente una persona che non fa parte del clero, ma è segno di un'identità politica. E coniugare cattolicesimo e liberalismo è stato più difficile anche perché non è prevalsa la tradizione di De Gasperi e di don Sturzo, bensì quella filomarxista di Dossetti". Tra Parigi e Filadelfia, tra le due rivoluzioni e le due idee della libertà Adornato indica al centrodestra italiano la seconda. Un'idea che ha i suoi ovvi riferimenti storici in Tocqueville e nella Arendt, e che nella dimensione più modesta dello scontro politico e culturale italiano ha trovato referenti, con toni e accenti diversi, nel pamphlet di Oriana Fallaci e negli interventi pubblici del presidente del Senato Marcello Pera. "Dimenticare Parigi", è l'indicazione di Adornato: "Parigi sostiene, con Rousseau, che l'uomo lasciato a se stesso può diventare cattivo, e per perseguire il bene comune occorre privilegiare il collettivo sull'individuale. La volontà generale di Rousseau è il dominio della sintesi centralistica sulla libertà di movimento e sullo spazio dell'individuo. Il potere dell'Assemblea nazionale è un potere a se stante, estraneo al cittadino. Anche i rivoluzionari americani si pongono come obiettivo il bene comune, ma sulla scorta di Locke non si muovono nella sfera del potere, collegano il potere all'individuo. E il riconoscimento di un'entità superiore relativizza l'uomo, che il pensiero rivoluzionario francese, innalzando la ragione a Essere supremo, equipara a Dio. Il secolo contro Dio e contro l'uomo, il terribile Novecento europeo, da Hitler a Stalin, è la dimostrazione che in Europa ha prevalso questa seconda lettura. L'Ente supremo è divenuto di volta in volta la classe, la razza, lo Stato. Di questa lettura la sinistra italiana è ancora prigioniera. E' tempo di uscirne. Di fissare il criterio della storia e della politica nell'individuo". Ma davvero, nonostante la tendenza degli ultimi anni con l'approdo al centrodestra di intellettuali formatisi nel Pci e nella sinistra parlamentare, nonostante i segnali dell'attualità politica e culturale con il nuovo corso della Rai e la svolta militante della Mondadori, l'egemonia culturale in Italia è ancora della sinistra? "Non parlerei di egemonia culturale - risponde Adornato -, perché a sinistra vedo qualunquismo culturale piuttosto che cultura. Parlerei di un tic: sei intellettuale solo se sei di sinistra. Di una mitologia: centrodestra uguale incultura; una banda di selvaggi senza vocabolario che non sanno tenere la penna in mano. Non è così, e lo dimostra anche il fatto che incontri come quello di Trieste una volta li organizzava la sinistra, e ora li facciamo noi". =========================================================== _________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 set. '02 CASSAZIONE: MEDICI, LA COLPA VA PROVATA Chiara Bannella (NOSTRO SERVIZIO) ROMA - È sufficiente un "ragionevole dubbio" per scagionare il medico dall'accusa di aver danneggiato, o addirittura provocato la morte, di un paziente. Il principio, che farà tirare un sospiro di sollievo ai camici bianchi di tutta Italia, è contenuto in una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione depositata ieri (n. 27/2002) e destinata a diventare una pietra miliare della giurisprudenza in materia di responsabilità professionale dei sanitari. Le Sezioni Unite hanno infatti fissato una volta per tutte i criteri cui i giudici si devono ispirare nel valutare i casi - sempre più frequenti anche nel nostro Paese - di medici chiamati in giudizio da pazienti e familiari che si ritengono danneggiati da errori nella diagnosi e nella cura, oppure da un mancato intervento sanitario. I metodi per valutare se un diverso comportamento del medico avrebbe potuto garantire la guarigione o salvare la vita al paziente sono da anni al centro di un acceso dibattito giurisprudenziale: la quarta sezione della Cassazione (che si occupa della materia) ha adottato criteri spesso in contrasto tra loro (si veda il box qui sopra). Per mettere ordine in tanto caos, della questione sono state investite le Sezioni Unite, che - giudicando un caso specifico - hanno colto l'occasione per fissare alcuni principi guida. Principi che sembrano orientati a un certo equilibrio tra gli estremi di severità e garantismo per i camici bianchi toccati negli ultimi vent'anni. La Suprema Corte ha prima di tutto stabilito che in una scienza delicata e non retta da leggi "certe", qual è la medicina, non ci si può appellare rigidamente a criteri statistici e probabilistici. Spazzata via la scorciatoia di ridurre la valutazione della responsabilità medica a una questione di percentuali e probabilità di sopravvivenza desunte dai libri di medicina, la Corte afferma che in questo tipo di procedimenti spetta al giudice valutare, di volta in volta, le circostanze specifiche e raccogliere tutte le prove per arrivare a una verità processuale che deve essere dotata di "un elevato grado di credibilità razionale". Si tratta, insomma, di stabilire caso per caso se il danno al malato era ineluttabile, se è stato provocato da circostanze non controllabili dal medico o se poteva essere da quest'ultimo evitato. In sostanza - sembrano affermare ancora i magistrati - se è vero che la salute è un bene primario e un diritto inviolabile, la delicatezza dell'argomento non deve indurre a tentazioni "giustizialiste" nei confronti dei medici: in tutti i casi in cui si riscontrerà l'insufficienza, la contraddittorietà o l'incertezza delle prove della responsabilità del professionista, quando cioè esista anche solo un "ragionevole dubbio" circa il ruolo determinante della condotta del sanitario ai fini del decesso o del danno provocato al paziente, allora il processo dovrà concludersi con un'assoluzione. La decisione porterà, forse, serenità anche tra le compagnie di assicurazione che ormai da tempo denunciano il "boom" di richieste di risarcimento dei danni avanzate dai pazienti: gli importi liquidati ai cittadini vittime della "malasanità" si aggirano ormai intorno ai 413 milioni di euro. Una cifra che è oltre il doppio della raccolta del ramo, e che ha portato spesso gli assicuratori a minacciare una "ritirata" dal settore della responsabilità medica, e anche a consistenti aumenti delle polizze a carico di professionisti e aziende sanitarie. _________________________________________________________ Il Sole24Ore 14 set. '02 I MEDICI: "ORA LE LINEE-GUIDA" Chiara Bannella (NOSTRO SERVIZIO) ROMA - I medici plaudono, le associazioni dei malati sono molto perplesse e le compagnie di assicurazione ci vanno caute. Così è stata accolta dalle diverse categorie interessate la sentenza 27/2002 delle Sezioni unite della Corte di cassazione che ha fissato precisi paletti per valutare la responsabilità professionale dei medici (si veda "Il Sole-24 Ore" di ieri), stabilendo che ogni volta che ci sia anche solo un "ragionevole dubbio" circa la colpevolezza del camice bianco, il giudice dovrà optare per un'assoluzione. Una decisione che punta a trovare un'equilibrio tra i diversi orientamenti espressi negli anni dai magistrati chiamati a giudicare i sempre più frequenti processi intentati contro i camici bianchi da pazienti e familiari che si ritengono vittime di errori diagnostici e terapeutici. La voce dei medici. "Finalmente una sentenza che rende giustizia ai camici bianchi - afferma il presidente della Federazione degli Ordini dei medici (Fnom), Giuseppe Del Barone - che troppo spesso pagano per colpe non loro, mentre è in continua crescita il numero di contenziosi promossi dai pazienti per veri, ma il più delle volte presunti, errori professionali". "Il principio fissato dalla Cassazione non porterà a una deresponsabilizzazione dei professionisti - assicura Serafino Zucchelli, segretario dell'Anaao, il maggiore sindacato di medici ospedalieri -. La sentenza offre un'iterpretazione mediana tra le tentazioni "giustizialiste" nei confronti dei professionisti e gli eccessi di indulgenza. Ora - aggiunge Zucchelli - puntiamo all'approvazione in Stato-Regioni delle linee guida messe a punto da un'apposita commissione per la stipula delle assicurazioni sui rischi professionali". "Si è preso atto del fatto che la medicina non è una scienza esatta - gli fa eco Roberto Polillo della Cgil-Medici -. I risultati di terapie e interventi dipendono dalla risposta dei singoli pazienti e non si può fare riferimento a rigidi criteri statistici". Esprime soddisfazione anche il segretario della Cimo, Stefano Biasioli, secondo cui, però, il principio sancito dalla Cassazione da solo non basta: "Occorre una revisione dei codici di procedura penale e civile sul tema della responsabilità professionale". Mentre Domizio Antonelli (Coas) chiede che "i medici siano tutelati legislativamente tramite un meccanismo di rivalsa automatico". Il mondo assicurativo. "Bisognerà vedere se questa sentenza non porterà semplicemente a scaricare la responsabilità da un soggetto all'altro", sostiene Francesco Paparella, presidente dell'Associazione italiana broker (Aiba). "Se il medico non verrà considerato punibile - spiega - il paziente che si ritiene danneggiato potrebbe tentare di rivalersi sulla struttura che l'ha autorizzato ad operare". Per Paparella, in altre parole, il pronunciamento in sé non determina automaticamente un miglioramento delle condizioni del settore assicurativo in area sanitaria. Districarsi nel dedalo della responsabilità civile di medici e aziende sanitarie (compresa nel ramo "Rc generale" delle assicurazioni danni) è impresa ardua. L'andamento del rapporto tra premi e sinistri in questo campo è comunque pesante: per ogni 100 lire di premio, si paga quasi il doppio di risarcimento sinistri. Secondo Michele Miniello, consulente dell'Ania, i premi sono stimati in circa 175 milioni di euro, pari al 9% del totale della raccolta. Ma nel 1999 - ultimo dato disponibile - i risarcimenti sono stati di 413 milioni di euro. Possibili soluzioni per il riequilibrio? "I nostri medici - suggerisce Paparella - dovranno accollarsi franchigie consistenti. Aumentare continuamente i premi non serve. Occorre un'opera di corresponsabilizzazione". Le preoccupazioni dei pazienti. "Siamo molto perplessi", afferma Stefano Inglese, segretario nazionale del Tribunale dei diritti del malato. "La sentenza è doppiamente problematica. Da un lato si preoccupa più di tutelare gli operatori che i cittadini vittime di malpractice. E dall'altro elimina il riferimento agli indicatori di risultato con precise soglie statistiche, che invece rappresentano gli unici strumenti per valutare la performance di un medico. Un vero passo indietro". Le segnalazioni dei cittadini, intanto, sono in continuo aumento: ai centralini del Tribunale le chiamate per denunciare errori in corsia sono passate dal 24% del totale del 1997 al 30,3% del 2001. Per Inglese, comunque, la strada giusta per risolvere l'impasse è quella della prevenzione del rischio, attraverso l'istituzione di apposite unità di risk management negli ospedali: in via sperimentale, finora, ne sono state attivate 23 in altrettante strutture italiane. Manuela Perrone _________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 set. '02 TROPPI MEDICI, SOLO 172 PAZIENTI A TESTA I pazienti rischiano di diventare un "bene scarso" e la concorrenza tra medici sempre più accanita. Mentre continua a crescere (anche se con ritmi un po' ridotti) il numero di medici che esercitano in Italia, peggiora vistosamente il rapporto numerico tra popolazione e camici bianchi. Se nel 1998 si contavano 178 cittadini per ogni dottore, oggi siamo scesi ad appena 172. Il quadro emerge dal censimento della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnom), che ha monitorato i dati medi degli iscritti agli Albi provinciali aggiornati a giugno 2002. L'ultima indagine di questo tipo risaliva al 1998 e già allora era stato lanciato l'allarme. In soli 12 mesi i medici avevano "perso" due pazienti a testa e il rapporto cittadini/camici era passato dai 180 del 1997 ai 178 del 1998. Il trend è andato avanti inesorabile, mentre tutti gli altri Paesi Ue si collocano al di sopra di un rapporto di 200 abitanti per ogni medico. Non hanno grossi problemi di clientela, invece, gli odontoiatri: ciascuno di loro può contare - in media - su 1.143 cittadini di cui prendersi cura. Una cifra di tutto rispetto ma pur sempre in calo rispetto al 1998, quando per ogni dentista si contavano 1.524 cittadini. L'eccesso di medici raggiunge il top nel Lazio dove si contano appena 135 cittadini per ogni dottore; al secondo posto c'è la Liguria con 139 abitanti per medico. Le regioni in cui le cose vanno meglio sono, invece, la Valle d'Aosta e il Trentino Alto Adige, dove si contano 234 e 231 abitanti per camice bianco. L'attrazione degli italiani per l'esercizio della professione medica - a dispetto della disoccupazione e dei lunghi anni di studio - è un fatto noto anche a livello internazionale: l'Ocse ha messo in luce come nella Penisola si contano 5,9 dottori per milione di abitanti, mentre gli Stati Uniti - ad esempio - ne hanno 2,7 e il Giappone 1,9. Se il quadro complessivo rappresenta una pletora di professionisti, l'analisi dei dati FnomCeo registra una mini-frenata dell'esubero tra il 1998 e oggi. Gli iscritti alla Federazione erano lievitati infatti di ben 4mila unità tra il 1997 e l'anno successivo, registrando un tasso di crescita del 1,19%, mentre negli ultimi quattro anni i "maghi dello stetoscopio" sono aumentati con una media annua pari a +0,9 per cento. Intanto, nella classifica delle Regioni che hanno registrato il maggior aumento di medici e dentisti spicca la Lombardia (con rispettivamente 2.500 medici e 500 dentisti in più), mentre sul fronte opposto si piazza la Valle d'Aosta: 16 camici bianchi in più e addirittura un odontoiatra in meno, negli ultimi quattro anni. Chiara Bannella Barbara Gobbi _________________________________________________________ La Nuova Sardegna 10 set. '02 LICHERI GUIDA L'ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ Il medico cagliaritano Sergio Licheri nominato direttore generale CAGLIARI. Sergio Licheri medico cagliaritano dal 6 settembre è il direttore generale dell'Istituto superiore di sanità. Spiega lui stesso che l'ha chiamato il presidente dell'Istituto, Enrico Garacci, ex rettore dell'università romana di Tor Vergata perché, lo dice sempre il neo top manager, da tempo collaborava con l'Istituto. D'altronde, Licheri s'era fatto conoscere perché è stato "consulente esperto di due ministri, Sirchia e Frattini, sui problemi della sanità" aggiunge. Il compito del direttore generale dell'Istituto equivale a quello di amministratore delegato di una società: "Mi muovo su mandato del consiglio di amministrazione dell'istituto, eseguo le delibere. Ma dovrei parlare al futuro perché mi insedierò il 23 settembre". Come è arrivato all'organo tecnico della sanità italiana? Licheri era il responsabile nazionale per la sanità di Forza Italia: "Ma questa è storia passata. Avevo i requisiti di legge, ho presentato un curriculum e mi hanno nominato. Il curriculum me lo chiese il presidente dell'Istituto". La frequentazione con l'Istituto superiore di sanità Licheri l'ha cominciata grazie a Internet: "Ho fatto il progetto per sviluppare la presenza su Internet dell'Istituto". Quali sono i compiti dell'Istituto? Moltissimi, "ma per parlarne aspettiamo il 23..." dice al telefono il neo manager. Tra i compiti dell'Iss c'è anche quello di fare da consulente alle Regioni sui piani sanitari: non è un mistero che la Sardegna rimesti lo stesso piano da 17 anni, cosa potrà fare il direttore generale? "Sarò in carica dal 23... ma siccome sono sardo baderò alle questioni dell'isola con un occhio di riguardo". Se vorrà, potrà fare molto. L'Istituto ha compiti vasti ed è un organo tecnico scientifico del servizio sanitario nazionale di cui possono avvalersi, fra gli altri, le Regioni. Per fare cosa? Praticamente tutto quello che è utile alla salute dei cittadini: dai controlli negli ospedali alle ricerche a vasto raggio, dalla formazione del personale alla promozione della sicurezza sul lavoro, dai test sui farmaci prima che vengano provati sull'uomo ai controlli ambientali sulla qualità di aria, acqua ecc, Tutte le azioni condotte in seguito ai casi di Mucca Pazza vennero coordinate dall'Istituto, così come per la Lingua Blu. O per la terapia antitumorale del dottor Di Bella. _________________________________________________________ L'Unione Sarda 11 set. '02 ISTITUTO SUPERIORE SANITÀ: LICHERI: LA MIA NOMINA NON È LEGATA A FORZA ITALIA Parla il neo-direttore dell'Istituto superiore della sanità: un incarico professionale e non lottizzato "Sono soltanto uno studioso" Ha conquistato una delle poltrone più importanti nel campo scientifico- sanitario: direttore generale dell'Istituto superiore di sanità, l'ente che suggerisce al ministro della salute le linee della programmazione sanitaria, della ricerca farmaceutica e che gestisce un gruppo di ricercatori tra i più importanti a livello internazionale. Un top manager, insomma. Ma non ditegli che la sua è una carica politica. Vi risponderà che lui ha tutti i requisiti. Quanto e più di altri. Certo è che Sergio Licheri, 59 anni, nato a Santulussurgiu ma cagliaritano di adozione, ottiene l'incarico proprio nel momento in cui il governo applica lo spoils system per 1050 manager della pubblica amministrazione rivoluzionando gli organigrammi di enti e ministeri. "Ma non c'è nessun legame", garantisce. "É tutto sudato". Laurea in medicina, specializzazione in fisiatria, uno studio professionale di fisioterapia e riabilitazione creato 22 anni fa, Licheri è stato vicino a Forza Italia fin da quando, nel '93, i manager berlusconiani cercavano referenti nelle regioni per organizzare il partito. Degli azzurri diventò presto responsabile sanitario. Poi, nel '94, Frattini, anche allora ministro della funzione pubblica, lo chiamò al suo fianco come consulente sulle tematiche sanitarie. Negli anni successivi le prime consulenze per l'istituto superiore della sanità, di cui - da esperto di informatica - ha creato il portale Internet, la direzione scientifica del Policlinico Italia. Allora, la politica c'entra o no? "Assolutamente no. È un incarico scientifico che viene assegnato a chi ha i requisiti, e io li ho tutti". Quali? "Innanzitutto ho diretto per 22 anni uno studio professionale prima convenzionato poi accreditato con il servizio sanitario nazionale. La legge equipara la direzione di un'attività privata a quella pubblica. Basterebbero cinque anni di direzione, io ne ho 22. Poi ho scritto, nel '95 su incarico del ministro Frattini, la carta dei servizi sanitari che ancora oggi è in vigore, sono stato e sono ancora suo consulente, sono stato consulente esterno del ministero della salute, membro della segreteria strategica del ministro Sirchia, sono direttore scientifico del Policlinico Italia di Roma e da anni consulente dell'Istituto che ora sono stato chiamato a dirigere. Ce n'è abbastanza". Forza Italia non c'entra? "No, anche perché l'incarico è quinquennale, gli incarichi politici non durano tanto". Lei assume questa carica in un momento di svolta della sanità pubblica: tagli alla spesa farmaceutica, chiusura di ospedali, anche in Sardegna. Pensa di poter in qualche modo modificare il corso delle cose, anche nella sua Isola? "L'istituto superiore di sanità ha un ruolo scientifico non politico". Beh, almeno potrà fermare l'emorragia di cervelli che lasciano l'Isola per andare a lavorare altrove. "Questo rientra tra i miei compiti e le mie priorità. Ho intenzione di incentivare innanzitutto il lavoro dei nostri ricercatori, che sono straordinari ma oggi poco motivati. Introdurrò la meritocrazia, poi farò in modo che il Governo destini più soldi alla ricerca in generale e naturalmente sarò attento a ciò che avviene in Sardegna. Faremo contratti a gruppi di ricercatori e se ci saranno programmi meritevoli li finanzieremo. In questo modo credo che ridurremo il fenomeno dell'emigrazione di cervelli". Lei ha sostenuto di recente che l'Istituto va riformato, riorganizzato. Come? "È vero. L'istituto è, come dire, addormentato da almeno un anno, da quando è stato trasformato in ente. Per questo tutto ha bisogno essere riorganizzato. I ricercatori avranno compiti precisi, più soldi per fare bene il loro lavoro. Inoltre ci proporremo ancora di più nel nostro ruolo di consulenti delle regioni per l'elaborazione dei loro piani sanitari. Del resto è anche così che ci finanziamo". Chi si sente di ringraziare? "Il presidente dell'istituto, professor Enrico Garaci, ex rettore dell'università romana di Tor Vergata, che mi ha scelto. E naturalmente i ministri Sirchia e Frattini. In tanti anni di collaborazione hanno valutato le mie capacità e mi hanno premiato". Fabio Manca _________________________________________________________ L'Unione Sarda 9 set. '02 RAGIONE E FEDE, CONFRONTO SULL'EUTANASIA Il recente coinvolgimento della Corte europea nel problema dell'impunità per chi "aiuta a morire" e la depenalizzazione dell'eutanasia approvata dal Parlamento belga (dopo quello dell'Olanda) hanno riacceso il dibattito sulla "dolce morte" e contribuito ad indebolire le barriere di resistenza al diffondersi della mentalità eutanasica. L'eutanasia e il valore della vita (Edizioni Cusl) è il titolo di un libro, ancora fresco di stampa, scritto a quattro mani da tre medici e un teologo, specialisti in questioni di morale e di bioetica, i quali offrono uno spaccato, sotto diverse prospettive, del medesimo problema, invitando ad affrancarsi dalla diffusa tentazione di affrontarlo con il solo strumento dell'istinto sentimentale. Il primo capitolo, firmato da Salvatore Pisu, si preoccupa di inquadrare la questione eutanasia all'interno delle più recenti prospettive della bioetica. Dopo un breve excursus storico sull'origine della scienza della bioeticaâ l'autore passa ad esporre gli aspetti più rilevanti che le ruotano intorno e le domande più significative che devono essere tenute presenti da chiunque si accosti alla problematica. Innanzitutto la rivoluzione introdotta dalla comparsa delle nuove tecnologie in campo medico, che consentono di mantenere in vita, teoricamente all'infinito, pazienti che in tempi passati non sarebbero sopravvissuti a lungo, modificando o rendendo più problematica la relazione medico-paziente. Al medico moderno, infatti, non basta più riferirsi, quasi naturalmente, al giuramento di Ippocrate che impone di votarsi alla salvaguardia della vita, ma è necessario fondare filosoficamente le ragioni etiche della sua azione a favore della salute dei sofferenti. Contro la prospettiva derivante dal filosofo scettico inglese Hume, per il quale non è possibile, né lecito dedurre una concezione etica da una ontologica (cioè collegare l'azione morale all'acquisizione di una concezione di valore e di verità attorno all'uomo), Pisu sostiene che non potrebbe esistere un vero impegno a favore dell'umanità se non partendo da una chiara affermazione del bene, da cui scaturisce il fondamento della morale. È a partire da questa certezza che le questioni più delicate attorno al morire vanno affrontate, tenendo sempre bene in vista la domanda centrale: che cos'è o chi è l'uomo verso cui ci si piega in amorevole dedizione nel momento più decadente della sua vita, e qual è il confine tra la morte e la vita, in modo che la cura non si trasformi in "accanimento terapeutico". Ma ancora di più occorre porrsi la domanda non sulla qualità della vita (il cui giudizio sarebbe legato a troppi fattori contingenti e fuorvianti), ma sul senso della vita, cui è legata la dignità dell'essere umano. La parola senso, nella sua duplice accezione di direzione e di significato, fa da collegamento tra il primo e il secondo articolo, scritto dal docente di filosofia e teologia dogmatica della Facoltà teologica di Cagliari, don Felice Nuvoli, il quale presenta le sue Riflessioni sul senso della morte partendo dalla necessità di riconoscere la morte e di guardarla decisamente in faccia pur senza darle la confidenza di farla sedere alla nostra tavola, senza tentare di ignorarla, di ritardarla, o di utilizzare arguzie filosofiche per attenuare gli esiti devastanti della sua apparizione nell'orizzonte umano, come Epicuro vuole insegnare: "Quando ci siamo noi non c'è la morte, quando c'è la morte noi non siamo più". È preferibile l'assunzione di responsabilità personale (che Jaspers definisce con l'immagine del "morire da soli e in solitudine") al tentativo di ingannare la morte con manovre dilatorie sempre provvisorie, o all'auto-inganno del vivere nelle gozzoviglie e nello stordimento, godendo delle gioie del momento presente senza preoccuparsi del futuro e del pensiero sconveniente della morte. Solo l'esperienza diretta del dolore provocato dalla perdita di una persona cara può, forse, risvegliarci dall'inutilità di una vita condotta senza senso e senza ricerca di pienezza, come insegna l'esperienza personale di Sant'Agostino ricordata nella riflessione di Nuvoli. Chi invece non ha paura di parlare della morte, ma la assume come condizione e possibilità stessa dell'esistenza (dell'esserci di Dasein) è il filosofo tedesco Martin Heidegger, per il quale la morte deve essere anticipata all'interno della riflessione umana perché costituisca motivo di autenticità dell'esistere. L'angoscia che deriva all'uomo dall'essere-per-la-morte costituisce un antidoto contro la sempre ricorrente tentazione del "divertimento", della distrazione da ciò che è essenziale per l'uomo, ma non è sufficiente a riscattare l'esperienza del morire dal suo destino di nullità. È la critica che il docente di teologia fa alla riflessione esistenzialista: incapace, a suo parere, di far uscire l'uomo dalle secche della sua impotenza a vivificare l'esperienza annichilente della morte e incapace di riconoscere la positività insita nella stessa esperienza della vita, di cui la morte fa parte. Paradossalmente è proprio il padre dell'esistenzialismo, Kierkegaard, a indicare il sentiero positivo della fede come possibilità insita nell'esistenza: "fede" che equivale a "speranza"â di cui l'esistere stesso è portatore nella sua costituzione originaria: la speraranza viene prima, l'angoscia in qualche modo ne deriva. Non ci può essere bisogno e desiderio di vivere senza che ci sia, come corrispettivo, anche una realtà che lo soddisfi, senza cioè la certezza che tutto lo sforzo di esistenza si avveri e si confermi in un esito di compimento e di eternità. Tutta la resistenza dell'essere umano alla sua estinzione trova come risposta la speranza paolina (in spem contra spem) che vince contro ogni opposizione e contro ogni tentativo di annullamento, rendendo la fede nell'immortalità dell'anima non una semplice ipotesi o illusione, ma quasi una ragione insita nella stessa vita biologica. Il giudizio negativo dell'autore riguardo alla capacità della ragione, e perciò della filosofia, a spiegare il significato della morte, fa leva sulla teologia cattolica, derivante dalla filosofia di San Tommaso, secondo cui la ragione è necessaria, ma non sufficiente: svolto il suo onesto compito, deve ritirarsi per lasciare il posto alle acquisizioni derivate dalla fede. La filosofia ha il compito e la forza di sollevare domande a proposito della morte, ma non anche la capacità di indicare le soluzioni; perché se da un lato non deve pretendere di spiegare tutto, dall'altro non deve neppure trincerarsi dietro l'affermazione dell'irrazionalità e dell'assurdità della sua spiegazione. Ma dallo scetticismo si può uscire solamente, secondo Nuvoli, guardando all'unico uomo che ha saputo passare dentro la morte, che l'ha vissuta da uomo fino in fondo accettandone la sua crudezza e la sua paura, che non l'ha subita come una condanna, ma l'ha saputa assumere su di sé caricandosi il dolore e la disperazione di ogni uomo per cambiarli in gioia, pace e speranza. Solo nella morte di Cristo è la risposta al bisogno dell'uomo di vivere e la sua risurrezione, pur non attenuando la verità della violenza della morte, pone dentro la vita umana un germe di salvezza e di liberazione. Il compito di esaminare la cultura contemporanea di fronte all'eutanasia lo assume Dario Sacchini, medico e ricercatore che, dopo aver illustrato le accezioni odierne del termine "eutanasia", analizza le posizioni culturali che svolgono un ruolo nel dibattito, a partire dalla concezione dell'esistenza "secolarizzata", che libera l'uomo da ogni possibile legame responsabilizzante (Dio, gli altri, se stessi) e produce due atteggiamenti contrapposti nei confronti della morte: da una parte la si fugge, dall'altra la si anticipa per evitare il dolore. Si percorrono, di seguito, le posizioni dello scientismo razionalista e umanitarista, le tensioni tra la tecnologia che impone una spersonalizzazione della professione e la richiesta di umanizzazione della medicina, e infine si dà ampio spazio alle ragioni dell'opposizione all'eutanasia, in tutte le sue gradazioni. Conclude l'agile libretto una riflessione di Enzo Usai, ordinario di urologia nella facoltà di Medicina dellUniversità di Cagliari, sul compito del medico di fronte alla sofferenza e al morente, riflessione tutta ispirata alla competenza medica, all'esperienza personale e all'attenzione umana e cristiana per la dignità dell'uomo che soffre e che muore. Adriano Usai _________________________________________________________ Repubblica 12 set. '02 NUOVO PRONTUARIO: LA RIVOLUZIONE DEI MEDICINALI Nuovo prontuario, ci rimetterà il cittadino? Entro la fine del mese sarà revisionato il meccanismo che garantisce la gratuità. Un glossario per capire DI EUGENIO E. MÜLLER * Continua a tappe forzate l'elaborazione del nuovo Prontuario farmaceutico nazionale. Il 30 settembre sarà illustrata al pubblico la versione definitiva che dovrebbe diventare operativa a novembre mentre per oggi è prevista una presentazione alle parti in causa (industrie farmaceutiche, società medico scientifiche, ecc). Facile prevedere quindi l'inasprimento delle polemiche che hanno accompagnato il lavoro della commissione, finalizzato ad ottenere un risparmio del 20 cento della spesa (vedi tabella). Lo scontro maggiore è sui criteri di ammissione alla rimborsabilità dei farmaci, con argomentazioni e termini tecnici di difficile comprensione. Per questo ci sembra utile fornire in queste pagine un glossario (scritto dal farmacologo Eugenio Müller) delle parole chiave del dibattito con particolare attenzione a quelle riguardanti i criteri di costoefficacia e costobeneficio. Difficile fare previsioni su quelle sarà il nuovo elenco di medicine a cui gli italiani potranno accedere gratuitamente. Anche perché ogni Regione, come già avvenuto col prontuario precedente, potrà apportare le sue modifiche. Intanto, in quelle dove è stato reintrodotto il ticket si è subito registrata una riduzione della spesa (12,9 per cento a Bolzano; 11,6 in Piemonte) mentre dove è stato applicato il "delisting" portando alcune confezioni a rimborso parziale nella fascia C, a carico totale dell'assistito, la spesa ha continuato a salire come in Umbria o Lombardia. Le preoccupazioni maggiori per l'imminente rivoluzione le manifesta la Farmindustria. "Non ci sono i tempi tecnici per ridefinire il prontuario in base al criterio costoefficacia", osserva il presidente Gianpietro Leoni, "si rischia una riclassificazione economico e non scientifico. Meglio sarebbero ticket di lieve entità e l'elaborazione di linee guida per eliminare gli abusi nei consumi". L'aumento della vita media ha determinato l'esplosione delle patologie croniche correlate all'età: arteriosclerosi, demenze, insufficienza renale, malattie osteoarticolari, per le quali sono più lunghe e difficoltose le ricerche precliniche (nell'animale) e nell'uomo. Così che, mentre disponiamo ormai di un numero considerevole di farmaci efficaci per le patologie acute, altrettanto non si può dire per quelle croniche. Un'altra ragione per la crescente importanza che il farmaco ha assunto nella nostra vita è che si tende a "medicalizzare" tutto, così un'insonnia lieve e occasionale non verrà affrontata come dovuto, con "norme di buona igiene del sonno" ma ricorrendo a una benzodiazepina; un aumento di peso, affrontabile con esercizio fisico e dieta appropriata, verrà invece combattuto con farmaci antifame, inutili quando non dannosi. Ma la maggiore familiarità con i farmaci non evita che il cittadino spesso si trovi disorientato nel mutevole scenario della Sanità pubblica, soggetto a modificazioni profonde per motivi economici e sociali. Sembra pertanto utile al lettore per comprendere la natura della rivoluzione prevista per il 30 settembre un glossario delle più frequenti "voci" utilizzate nella discussione sul nuovo prontuario. Evoluzione naturale della malattia: è il punto di partenza della valutazione dei farmaci, specie quelli destinati alle malattie croniche. Della patologia bisogna conoscere non solo sintomi e i danni che provoca, ma anche come evolve nel tempo (è progressiva oppure con alternanza di peggioramenti e miglioramenti spontanei) e quanto dura. Sono informazioni che richiedono anni e anni di osservazione di migliaia di pazienti e assorbono molto tempo e danaro. Con queste conoscenze poi si può stabilire se una sostanza modifica l'evoluzione naturale della malattia e merita quindi la definizione di farmaco. E si possono mettere a confronto diversi farmaci contro una stessa malattia. Analisi costi - efficacia (ACE): comprende il calcolo dei rapporti costo/efficacia e costo/beneficio. L'analisi costi efficacia (Ace) tiene conto, da una parte della disponibilità di spesa (il totale del costo sostenibile) e dall'altra delle conseguenze del trattamento in questione sulla evoluzione naturale della malattia. Le conseguenze di un trattamento farmacologico si valutano in un primo, semplice, parametro di efficacia ed in un secondo più complesso ed esaustivo di beneficio. L'efficacia è il potere del farmaco di eliminare, ridurre o contrastare i sintomi e i danni della patologia per la quale viene prescritto. Il beneficio invece è il potere della cura farmacologica di migliorare la qualità della vita del paziente nel suo complesso. Il calcolo del beneficio di un farmaco questione che riguarda soprattutto le malattie croniche richiede quindi la valutazione, dopo almeno dieci anni di terapia, della capacità lavorativa del paziente, del livello di autosufficienza, delle capacità relazionale e quanto altro riguarda appunto la qualità della vita. La distinzione tra i due parametri è resa necessaria dal fatto che non sempre un farmaco efficace è anche benefico. Ad esempio: il cortisone è un farmaco efficacissimo, eliminando in pochi giorni, a volte ore, tantissime malattie e sintomi invalidanti. Ma la breve durata di azione e la gravità degli effetti collaterali che si cumulano con l'uso a lungo termine ne fanno un farmaco di nessun beneficio, anzi a volte dannoso per il paziente. Classificazione dei farmaci per categorie terapeutiche omogenee: i criteri utilizzati per individuare categorie omogenee di farmaci (es. farmaci dell'apparato gastrointestinale e del metabolismo, farmaci del sangue e organi emopoietici, ecc.) sono: 1) il rapporto beneficirischi dei farmaci; 2) la utilizzazione dei farmaci da parte degli ammalati, cioè l'accettabilità del trattamento; 3)l'economicità del ciclo terapeutico. Classificazione dei farmaci ATC (Anatomica, Terapeutica, Chimica): si basa sui Gruppi Anatomici Principali (organi bersaglio), suddivisi in 14 categorie, dall'apparato gastrointestinale agli organi di senso, sui Gruppi Terapeutici Principali (modalità di azione dei farmaci) e sui Gruppi Chimici (molecole con caratteristiche chimiche simili). Si basa sulla Atc la classificazione i A, B e C del prontuario. Gruppo A = Farmaci essenziali e farmaci per malattie croniche, destinati al trattamento di gravi patologie con soddisfacente e accreditata efficacia. Gruppo B = Farmaci per patologie meno gravi di quelle del gruppo A, per i quali le ricerche presentate forniscono dati significativamente favorevoli per parametri funzionali e clinici. Gruppo C = Farmaci privi di efficacia clinica certa e non destinati a malattie croniche essenziali. Nota CUF: è uno strumento introdotto dalla Commissione unica del Farmaco (CUF) che precisa le indicazioni nelle quali è stata dimostrata l'efficacia del farmaco, e rappresenta così un mezzo utile al medico per migliorare l'appropriatezza delle prescrizioni. Nel corso del tempo le Note hanno subito una evoluzione nei contenuti e nelle finalità, per tenere conto delle novità emerse sull'efficacia dei singoli farmaci in questa o quella malattia, o della presenza e frequenza di reazioni avverse. Una Nota può essere introdotta in tre circostanze: 1) quando un farmaco è indicato sia per una malattia grave che per disturbi di minor conto; in questo caso, la gratuità del farmaco è limitata alla prima indicazione; 2) quando la gratuità è indirizzata a gruppi di popolazione per i quali appare prioritario destinare le risorse del Ssn, per la maggior incidenza di una malattia, o per la reazione avversa a un altro farmaco di pari efficacia; 3) quando si vogliono evitare usi impropri di un farmaco, oppure non esistano sufficienti convalide da studi clinici. Un esempio di Nota è quello che sottolinea l'uso improprio dei nuovi antinfiammatori non steroidei (celecoxib) che è stato rilevato. A differenza dei Fans tradizionali, quelli nuovi non sono dannosi per lo stomaco quando presi a lungo. La prescrizione dei nuovi (molto più costosi) non si giustifica quindi, specifica la Cuf, per il trattamento di disturbi lievi e transitori, né tantomeno si giustifica la loro prescrizione in associazione con farmaci gastroprotettivi. Farmaco innovativo: sostanza che per le sue caratteristiche farmacocinetiche (assorbimento, metabolismo, escrezione), meccanismo d'azione, migliore capacità di incidere sul decorso clinico della malattia, assenza o esiguità delle reazioni avverse o di dannose interazioni con altri farmaci, si differenzia nettamente da quelli già esistenti per la medesima indicazione. Esso va tenuto distinto dai cosiddetti metoo drugs (farmaci copia), che poco si differenziano da quelli esistenti e che in Italia rappresentano la maggioranza del mercato. Un esempio recente sono appunto i nuovi antinfiammatori non steroidei (Fans), apparentemente privi della gastrolesività dei Fans tradizionali - anche se non privi di tossicità renale - ma di pari efficacia. Farmaco generico: medicinale fatto con una sostanza non più coperta da diritto di esclusiva per cessazione del brevetto. Chiunque quindi lo può vendere, e con costi di produzione molto ridotti perché limitati alle sole spese vive della materia prima e di confezionamento. Negli Usa i prezzi sono mediamente la metà della specialità originale ed in alcune classi terapeutiche (antibiotici, antipertensivi e antidepressivi) arrivano ad essere i più venduti. In Italia, la percentuale di farmaci sostituibili da un generico si aggira attorno al 6070 per cento, ma il consumo dei farmaci generici si aggira ancora su percentuali risibili, benché sia in atto una tendenza all'aumento. * Dip. di Farmacologia, Un. St. Milano _________________________________________________________ Il Messaggero veneto set. '02 UDINE: SCARSI FINANZIAMENTI PER POLICLINICO Leggo con interesse due lettere, di recente pubblicate nel giornale il 29 agosto 2002 nella rubrica "Lettere" (Lettera firmata, Palmanova) e il 6 settembre 2002 nella rubrica "La posta dei lettori" (a firma dell'Associazione genitori bambini con patologia emato-oncologica Friuli-Venezia Giulia). La prima lettera, del 29 agosto, lamentava che una paziente, la madre della firmataria, in lista d'attesa per un'operazione di tumore al seno, non era potuta essere operata per carenze di personale nella sala operatoria della nostra chirurgia. La seconda lettera, del 6 settembre, più lunga perché contiene un'accurata descrizione delle attività della firmataria associazione, lamenta che nel citare la possibilità di curare nel nostro policlinico pazienti emato- oncologici pediatrici non si è citato il lavoro, certamente meritorio, della stessa associazione nell'aiutare le famiglie dei bambini tra l'altro a recarsi presso il Burlo di Trieste. Vi si cita anche la preoccupazione di un consigliere regionale che il "portar via" (ma dove, dico io, se il tutto rimane sempre in regione) "una sia pur minima quantità di casi significa mettere in pericolo tutta la struttura emato-oncologica pediatrica della nostra regione". Si cita anche, erroneamente, il "recente piano materno infantile regionale": erroneamente in quanto esso ancora non esiste se non allo studio di proposta, peraltro non ancora divulgata dalla Regione. Desidero commentare insieme le due lettere, in quanto entrambi questi e molti altri problemi, che quotidianamente affronta questo policlinico, hanno purtroppo una radice comune: gli scarsi finanziamenti del Policlinico universitario di Udine. Alcune considerazioni: a) svolgiamo la nostra attività assistenziale per rispondere alle necessità della facoltà di Medicina di Udine, che è oggi la prima facoltà in Italia per qualità (dati pubblicati a luglio 2002 sui quotidiani nazionali), e tra le prime facoltà udinesi per attrazione (numero di domande immatricolazione); b) siamo parte dell'Università di Udine (da cui la dizione: "Policlinico universitario"), che così fortemente è stata voluta dai friulani negli anni 70, e che oggi rappresenta la più grossa e importante realtà del territorio; c) nei pochi anni della nostra storia (come policlinico siamo nati nel 1989) abbiamo già raggiunto notevoli livelli di eccellenza in molti settori, a cominciare dai trapianti di organo; d) molti dei nostri clinici sono docenti di riferimento nazionale e internazionale delle loro discipline); e) siamo una struttura sanitaria tra le più efficienti del Friuli-Venezia Giulia; f) in base a quanto recentissimamente pubblicato da "Il Sole-24 Ore" il nostro policlinico è l'unico a livello nazionale, tra i policlinici e gli Irccs (Istituti di ricerca e cura a carattere scientifico) a vantare un bilancio in attivo. Eppure, a fronte di tanti successi, nazionali e internazionali, a livello regionale non abbiamo ancora i riconoscimenti, e soprattutto i finanziamenti, che dovrebbero consentire la nostra crescita. Anzi, siamo quotidianamente a dibattere della nostra stessa sopravvivenza. La ragione? Ancora oggi, a fine 2002, siamo finanziati dalla Regione sulla base dello "storico" degli anni precedenti. Cioè il nostro finanziamento di oggi è ancora uguale a quello del 1999, quando il nostro policlinico aveva appena 10 anni di età. È come tagliare i viveri a un bambino nel pieno del suo sviluppo. Con tutte queste premesse, e questi limiti, facciamo il possibile e anche l'impossibile per funzionare al meglio, senza scadere come qualità. All'autrice della lettera del 29 agosto, rispondo che comunque a sua madre era stato garantito l'intervento, sia pure secondo una calendarizzazione basata sulle priorità cliniche, a causa dei problemi legati alle carenze di personale nelle sale operatorie della chirurgia a cui lei correttamente accennava. Permane comunque il diritto di scelta del paziente, che rispetto. Ma - ripeto - un'alternativa le era stata offerta. All'associazione autrice della lettera del 6 settembre, rispondo innanzi tutto che mi trovo maggiormente d'accordo con chi ci stimola a fare di più e meglio, e non con chi ci chiede invece di fare ancora di meno. Ciò detto, sento il dovere di affermare che nel Policlinico di Udine esistono le competenze di livello internazionale e le potenzialità per curare al meglio varie patologie emato- encologiche pediatriche. Si tratta di patologie che richiedono purtroppo terapie lunghe e ripetute. E dietro ai bambini, ci sono ovviamente le famiglie con tutti i loro problemi, che non sono soltanto quelli del costo dei viaggi e dei soggiorni a Trieste. Ritengo quindi un nostro diritto, e anche un nostro preciso dovere, l'offrire queste competenze a chi ne ha bisogno. Fermo restando il diritto di scelta da parte del paziente, che come ho già detto deve sempre essere garantito. Ritengo comunque vantaggioso, anche per la loro associazione, il poter diminuire le spese dovute a reiterati viaggi e permanenza a Trieste dei piccoli pazienti e dei loro familiari friulani. Se poi questa nostra disponibilità assistenziale, relativa a "una sia pur minima quantità di casi" (vedi sopra) basta a mettere in pericolo gli equilibri del nostro sistema sanitario, allora forse questi equilibri sono troppo precari. Essi non possono a mio avviso essere artificiosamente mantenuti a spese di una sanità che già costa troppo ai cittadini. Ciò contrasta con le più elementari regole dell'efficienza. In sintesi, il Policlinico di Udine è qui per rispondere alle esigenze della facoltà di Medicina e dell'Università, certo. Ma è qui anche e soprattutto per rispondere alle esigenze dei friulani, che tanto lo hanno voluto. Abbiamo già dimostrato in diversi settori di saper meritare la loro fiducia. Ma ora occorrono maggiori investimenti, in termini politici e finanziari, per sviluppare le nostre notevoli potenzialità. Abbiamo anche bisogno di critiche, costruttive come quelle che ci giungono attraverso queste lettere, che ci stimolano a fare ancora meglio, e di cui ringrazio autori e giornale. Professor F. Saverio Ambesi Impiombato presidente del Policlinico universitario di Udine _________________________________________________________ Le Scienze 13 set. '02 GENETICA E MIGRAZIONE DEL NEOLITICO I popoli preistorici si spostarono dal Medio Oriente all'Europa portando con loro idee e stile di vita È noto che l'agricoltura si diffuse dal Medio Oriente all'Europa durante il periodo Neolitico, circa 12.000 anni fa, ma per molti anni gli archeologi hanno discusso su come questo movimento sia avvenuto. Fu un movimento di persone o solo di know-how? Precedenti studi genetici delle popolazioni esistenti oggi avevano suggerito una migrazione, ma l'idea era stata criticata da alcuni. Ora, alcuni ricercatori della Stanford University hanno confrontato gli schemi genetici con i ritrovamenti archeologi, scoprendo che i popoli preistorici migrarono dal Medio Oriente all'Europa, portando con loro idee e stile di vita. Lo studio è stato descritto sulla rivista "Antiquity". "Il recupero della storia è realmente un puzzle," dice Peter Underhill. "Devi studiare la genetica, la cultura materiale (i ritrovamenti archeologici), la linguistica e altri campi, per trovare diverse linee di prove che si rafforzano tra di loro." Underhill ha studiato le coppie di mutazioni di cromosoma Y in varie popolazioni, combinando i dati della distribuzione geografica delle mutazioni con informazioni di quando esse avvennero, e ha così dimostrato la realtà della migrazione del Neolitico. Sorprendentemente, oltre fornire altre prove della migrazione, lo studio ha mostrato una forte correlazione fra le mutazioni del cromosoma Y e la presenza di certi manufatti. _________________________________________________________ Le Scienze 12 set. '02 PRODURRE FARMACI GRAZIE AI POLMONI Nella ricerca sono stati utilizzati virus adeno-associati Uno studio ha suggerito che la terapia genica in grado di convertire i polmoni in una fabbrica vivente di farmaci, in grado di eliminare le regolari somministrazioni necessarie, per esempio, ai diabetici e agli emofiliaci. James Wilson e il suo gruppo, presso l'Università della Pennsylvania, hanno hanno inserito nei tessuti polmonari di topi un gene che codifica per la proteina che manca nel sangue di alcuni emofiliaci. Si è visto poi che per alcuni mesi le vie respiratorie degli animali producevano la proteina, chiamata fattore IX, a livelli sufficienti per una terapia. I risultati della ricerca sono stati descritti sul "The Journal of Clinical Investigation". Il polmone è l'organo ideale per produrre farmaci. I pazienti potrebbero inalare geni terapeutici sotto forma di spray e l'alto livello di vascolarizzazione di questo organo consentirebbe un'efficace distribuzione delle proteine prodotte. L'idea di una fabbrica vivente di farmaci non è nuova, ma i ricercatori hanno avuto problemi nel somministrare ai polmoni sufficiente materiale genetico da produrre le proteine a livelli terapeutici. Il gruppo di Wilson è riuscito nell'intento usando un nuovo ceppo di virus adeno-associati che iniettano efficientemente i geni nelle cellule dei polmoni. Alcuni ricercatori hanno proposto di usare nello stesso modo anche l'intestino o di fare organoidi artificiali che potrebbero essere impiantati sottocute. _________________________________________________________ Le Scienze 13 set. '02 UN VACCINO CONTRO L'ICTUS Funziona sopprimendo l'infiammazione dei vasi sanguigni Le strategie attuali per prevenire gli ictus tentano di ridurre i fattori di rischio, come l'ipertensione, o di impedire la formazione di coaguli di sangue con medicinali come l'aspirina. Ora, una ricerca condotta con i topi suggerisce un approccio completamente diverso: una vaccinazione che stimola il sistema immunitario a bloccare l'infiammazione dei vasi sanguigni. La ricerca è stata descritta sulla rivista "Stroke". I ricercatori sanno che le reazioni infiammatorie e immunitarie svolgono un ruolo importante nel dare luogo a un ictus. Una proteina chiamata selectina-E, che aiuta le cellule del sistema immunitario ad aderire alle pareti delle arterie, è particolarmente importante nel processo infiammatorio dei vasi sanguigni e nell'arteriosclerosi. Il neurologo John Hallenbeck, del National Institute of Neurological Disorders and Stroke di Bethesda, nel Maryland, ha pensato che un vaccino contro la selectina-E potrebbe sopprimere l'infiammazione e impedire l'ictus. I ricercatori hanno utilizzato una tecnica per indurre la tolleranza dell'organismo a un composto somministrato attraverso la bocca o le vie aeree in piccole dosi. Dopo ripetuti trattamenti, le cellule immunitarie del sistema digestivo sopprimono le risposte immunitarie e infiammatorie al composto, rilasciando citochine. In questo caso sono state somministrate la selectina-E e altre due sostanze di controllo a 113 topi particolarmente predisposti all'ictus da una ipertensione indotta geneticamente. Risultato: i topi trattati ripetutamente con la proteina hanno una prevalenza di ictus 16 volte inferiore a quelli del gruppo di controllo. _________________________________________________________ Corriere della sera 14 set. '02 RISCHI L'INFARTO NEI PROSSIMI 10 ANNI? TEST DEL CNR LO SVELA L'Istituto di ricerca lo ha sperimentato su 474 dipendenti. I cibi consigliati per prevenire ROMA - Al cuor non si comanda, ma noi possiamo prevedere le sue "follie" e tenerlo sotto controllo per evitare i rischi di infarto. Tra i sistemi per anticipare le mosse del più imprevedibile dei nostri organi, ci sono dieta e test predittivi, basati sul calcolo del rischio coronarico. Uno dei test, messo a punto utilizzando gli studi dell'americano Framingham, è stato applicato per la prima volta in Italia su un esteso campione di popolazione. Il Cnr lo ha sperimentato su 474 dipendenti dell'Istituto. I risultati permettono di leggere il rischio coronarico fino a 10 anni. Sempre il Cnr diffonderà attraverso internet (www.cnr.it) e raccomandato ai suoi impiegati una dieta ipolipidica (con pochi grassi), graduata in base alle necessità individuali. Povera di sale per gli ipertesi e ricca di calcio per le donne in menopausa. In quest'ultima formulazione i formaggi sono sostituiti da alimenti capaci di garantire l'apporto di calcio necessario per scongiurare il rischio di osteoporosi, malattia tipica dopo i 50 anni. È dimostrato che un buon regime dietetico riduce del 50 per cento il pericolo di infarto e recidive. Il test si basa sulla rilevazione di una serie di dati collegati al rischio cardiovascolare. Sesso, età, livelli di colesterolo e di pressione arteriosa, abitudine al fumo, diabete, ipertrofia del ventricolo sinistro. Spiega Roberto Volpe, ricercatore del Cnr: "I risultati vengono elaborati e discussi col paziente che, se ha valori che lo espongono ad infarto e alla sua anticamera meno problematica, l'angina pectoris, viene invitato a cambiare abitudini e, eventualmente, avviare una cura con farmaci". L'applicazione dei test ha riguardato una popolazione sana, tra 30 e 65 anni di media. La quasi totalità ha mostrato un livello di rischio inferiore al 20 per cento (elevato), attestandosi su stadi più rassicuranti (5 per cento rischio lieve, 10 per cento medio lieve, 15 per cento medio). Margherita De Bac mdebac@corriere.it _________________________________________________________ La Nuova Sardegna 14 set. '02 SCOPERTO IL PENE PIÙ ANTICO: APPARTIENE A UN CROSTACEO LEICESTER. Il pene fossile più antico del mondo ha 100 milioni di anni: appartiene a un ostracode, un crostaceo primitivo tutt'ora vivente in acqua dolce e marina, imparentato con granchi e gamberi, ed è stato trovato in un fossile riportato alla luce in Brasile. Lo ha rivelato alla British Association Science Conference il paleontologo David Siveter, docente dell'università di Leicester, in Inghilterra. Si tratta, in realtà, di due peni: gli ostracodi maschi sono dotati di due appendici per l'emissione di sperma, poiché, come ha spiegato lo scienziato, "hanno lo sperma più lungo di qualsiasi altro animale conosciuto dall'uomo, in proporzione alle dimensioni del corpo": un ostracode lungo un millimetro può emettere un seme spermatico lungo dieci millimetri. "Abbiamo trovato i due peni in un fossile di 100 milioni di anni di età", ha detto lo studioso, il quale ha comunque precisato che la più antica diversificazione dei due sessi è stata identificata in fossili antichi oltre 500 milioni di anni. _________________________________________________________ La Stampa 12 set. '02 CHIROPRATICA PERICOLOSA Prudenza LA manipolazione della spina dorsale effettuata dalla chiropratica può essere pericolosa per la vita, in particolare se il terapeuta agisce sulla parte cervicale della colonna, perché sono stati registrati danni molto gravi alla arterie vertebrali che portano il sangue al cervello. È ciò che scrive di questa cura alternativa la rivista Medical Letter, nota soprattutto per la scarsa clemenza riservata ai prodotti dell'industria farmaceutica. Ed è un'informazione utile perché riguarda una terapia alternativa guardata con interesse da un certo numero di persone almeno per due ragioni. La prima è che si tratta di una sorta di "fisioterapia ossea" con manipolazioni studiate della spina dorsale effettuate dal terapeuta nel corso di una o più sedute settimanali e quindi toglie di mezzo i farmaci antiinfiammatori tipo Aspirina "acidastomaco". La seconda ragione è che ha per obbiettivo un disturbo molto comune come il mal di schiena, in particolare quello cronico. Le premesse - dunque - ci sono ma funziona? Ed è davvero sicura? Come accade spesso in casi del genere, levatrice del parto fu un malato deluso dalla medicina tradizionale, un conciaossa del Missouri, che ebbe la sfortuna di veder morire di meningite tre dei suoi figli. Così che, deluso dalla medicina, l'uomo decise di abbracciare la teoria secondo la quale le malattie sono causate dalla pressione esercitata sulle arterie, sopratutto su quelle della spina dorsale, e determinata dalle irregolarità delle articolazioni. Fu lui a fondare la medicina osteopatica, che nacque nel 1876 con le stesse caratteristiche che mantiene oggi col nome di chiropratica. Sinora i risultati curativi sono stati perlomeno contraddittori. Per esempio, per il dolore cervicale e del tratto dorsale le indagini non hanno dimostrato un beneficio inequivocabile della manipolazione chiropratica vertebrale rispetto alla terapia fisica e alla educazione ortopedica. Inoltre, sei studi per la prevenzione delle cefalee non emicraniche, condotte su un totale di 286 pazienti hanno concluso solo che la manipolazione vertebrale era migliore delle applicazioni di impacchi di ghiaccio e del massaggio. Per il trattamento di altre condizioni morbose quali l'asma, la dismenorrea e l'enuresi, una recente rassegna di studi controllati con placebo non ha evidenziato differenze statisticamente significative tra manipolazione vertebrale e interventi simulati. Perplessità a riguardo comunque sono state espresse anche anni fa. Nel 1976 il Committee Against Heath Frauds - Comitato di difesa contro le frodi sanitarie - mandò una bambina di quattro anni, perfettamente sana, per un controllo medico da cinque diversi chiropratici. Il primo diagnosticò "terminazioni nervose schiacciate all´altezza dello stomaco e della vescica", il secondo notò "una pelvi storta", il terzo mostrò preoccupazione rispetto a possibili "mal di testa e nervosismo, problemi dell'equilibrio e digestivi, causati da un non perfetto allineamento della colonna vertebrale" da lui stesso individuato, il quarto predisse "mestruazioni dolorose e parti difficili" se non fosse stata allungata la "gamba corta", e il quinto diagnosticò un cattivo allineamento dell'anca e del collo, per il quale si richiedeva un intervento immediato. Ma che sia poco o affatto utile potrebbe anche passare. Per quanto riguarda i danni, ormai c'è un numero di casi sufficienti a riguardo. Si stima che circa il 12 per cento delle persone abbiano degli inconvenienti minori, degli "acciacchi" temporanei insomma, ma non sono questi a preoccupare. Ci sono state ripetute segnalazioni di danni molto seri all'aorta - un 'arteria che si trova davanti alla spina dorsale - e ictus associati a manipolazioni della spina dorsale a livello cervicale, all'interno della quale è alloggiata l'arteria vertebrale. Danni che suggeriscono una relazione causa-effetto tra manipolazione e ictus. Senza voler buttare la croce addosso a nessuno, è questo è ciò che sappiamo per ora. _________________________________________________________ Il Messaggero 8 set. '02 TUTTI "NUOVI" CON BISTURI E CHIP JOSTO MAFFEO MADRID - Li chiamano cyborg e appartengono più al regno di quella fantascienza tanto cara a Spielberg e Lucas che alla nostra realtà quotidiana. Sono esseri umani che si fanno impiantare marchingegni tecnologici per superare carenze e menomazioni, ma anche sperimentatori e cavie che intendono spingere il corpo, spesso aggredendolo gratuitamente, per dotarlo di caratteristiche e facoltà più che sorprendenti. La ricerca, quella seria, continua però ad avanzare imperterrita, per nulla distratta da avventure che rasentano o superano il sensazionalismo. Ed ecco, dunque, che gli sponsali biologia-tecnologia generano prodotti, collaudati o ancora sperimentali, destinati a dare una mano, anche un piede, occhi, udito e quant'altro a chi ne ha bisogno. Pensiamo, per esempio, all'impianto cocleare per sordità profonda o completa, quell'innesto di tecnologia che lavora insieme ad un apparecchio esterno per ridare l'udito a chi l'aveva perso. Un felice tandem costituito da chirurgia ed elettronica, bisturi e speech-processor. Si lavora senza sosta e con molte speranze per sottrarre gli affetti da malattie renali da quella schiavitù che si chiama dialisi. Lo fa l'Università del Michigan, che punta alla miniaturizzazione dei filtri, operando con chips e cellule staminali prelevate da suini, che producono cellule del tubulo prossimale, componenti fondamentali di quello che in futuro potrà essere un mini-rene artificiale biocompatibile e impiantato nel corpo. Nulla a che fare, dunque, con quelle iniziative discutibili, dettate dalla psicosi dell'insicurezza e del controllo di tutto, costi ciò che costi, che portano genitori britannici, o un'intera famiglia americana, ad impiantare a figlia e coniugi microchip sottocutanei. Con tanto di trasmettitore Gsm e ricevitore Gps, per ubicare in qualsiasi momento il proprio congiunto. Alla faccia della privacy. E' tecnologia impiantata a favore dell'uomo il vecchio caro pacemaker, lo è pure lo stent, lo sono le capsule diagnostiche la cui elettronica fa un giretto all'interno del corpo e racconta come vanno le cose della salute. Al Politecnico di Milano c'è già pronto un prototipo di protesi di gamba - ma potrà essere anche braccio - dotata di un microprocessore che riprodurrà movimenti simili a quelli naturali. _________________________________________________________ Il Messaggero 8 set. '02 OCCHI ELETTRONICI, E I CIECHI VEDRANNO Rivoluzionaria ricerca biomedica negli Stati Uniti. Gli impulsi inviati da un microtrasmettitore inserito negli occhiali Elettrodi collegati alla retina per leggere e mettere a fuoco oggetti nostro servizio ALBUQUERQUE - Cinque laboratori statunitensi, una società provata e due università stanno "costruendo" un miracolo per i non vedenti. Ridargli la vista, seppur molto ridotta. Il tutto attraverso una minuscola telecamera collegata alla retina. A disposizione hanno tre anni di tempo e 9 milioni di dollari. L'obiettivo degli scienziati è quello di sviluppare un migliaio di punti luce mediante altrettanti micro elettrodi elettromeccanici. Gli elettrodi dovranno essere posizionati sulle retine di non vedenti affetti da disturbi alla macula legati all'anzianità e da retiniti pigmentose. Malattie che determinano il danneggiamento dei coni e dei bastoncelli della retina che in condizioni normali convertono la luce in impulsi elettrici. Malattie che però risparmiano i "percorsi" neurologici che trasmettono le informazioni al cervello. Nei casi più estremi questi "percorsi" possono subire al massimo un trenta per cento di distruzione. Kurt Wessendorf, uno dei ricercatori impegnati nel "miracolo" spiega che l'obiettivo è quello di "ridare ai non vedenti anche la possibilità di leggere, poter spostare oggetti in casa e poter eseguire lavori domestici. Chi avrà la possibilità di vedere attraverso questa telecamera non potrà certo mettersi in auto e guidare, almeno nell'immediato futuro, in quanto invece di poter mettere a fuoco le immagini attraverso milioni di puntini di risoluzione, potrà farlo soltanto attraverso un migliaio. Le immagini appariranno molto lentamente nei suoi occhi e appariranno tutte di colore giallognolo. Ma l'importante - conclude Wessendorf - è che chi non vedeva potrà farlo". L'ingegnoso sistema attraverso la minuscola telecamera e un trasmettitore di frequenze radio inserito nella montatura di un occhiale che invia informazioni e impulsi a ricettori sistemati nel bulbo oculare. Gli elettrodi sono realizzati con una lega di metallo, plastica e ceramica ricoperta da un involucro di silicone. A dare il via al rivoluzionario progetti è stato il dottor Mark Humayun dell'Università Johns Hopkins (Sud California) il quale mette in risalto l'utilità del trasferimento di tecnologia sviluppatasi in campo militare a quello medico-scientifico. "Con queste applicazioni da qui a qualche anno - sostiene il dottor Humayun - saranno rivoluzionati tutti i settori della medicina". Certo, i problemi non sono pochi. Applicare all'uomo protesi così sofisticate richiede molta cautela. Nel caso dell'operazione agli occhi, per esempio, c'è il problema che la retina non è in grado di sopportare molta pressione e quindi bisogna fare molta attenzione per dosare attentamente il livello di elettrostimolazione. Inoltre c'è il rischio che i trasmettitori possano essere danneggiati da residui di proteine. E ancora, possono sorgere problemi di biocompatibilità (il rigetto di corpi estranei) e, infine c'è la questione di un lunghissimo periodo di riabilitazione. Ma in nome di un mondo non più buio non c'è sfida che valga la pena di essere affrontata. R.Es.