LA RIVOLTA DEI RICERCATORI "HARWARD E PARIGI? LA RICERCA È QUI AL POLICLINICO" "TROPPI DOPPIONI NEI CORSI DI LAUREA" TESCHI E ATOMI, QUEGLI IMBROGLI IN NOME DELLA RICERCA TORINO: SCIENZIATI DA TUTTO IL MONDO RIUNITI PER CELEBRARE LA NOSTRA SCUOLA UNIVERSITA’: AUMENTI, MAZZATA PER I PIÙ RICCHI LE RAGIONI DI UN RINCARO IMPROVVISO CHE PUNISCE LE FAMIGLIE MISTRETTA: AUMENTI INEVITABILI PER UN'ISTRUZIONE DI QUALITÀ "CARO AMIKO, TI SCRIVO". E IL FATTORE K ENTRA A SCUOLA MEDICINA: NUMERO CHIUSO MA LE RICHIESTE AUMENTANO MEDICINA CHE PASSIONE:PRIMI AL MONDO PER NUMERO DI MEDICI MEDICI: POCHI LAVORANO NESSUNO FA ANESTESIA =========================================================== TAGLI ALLA SANITÀ: I "NO" DEI MEDICI OSPEDALIERI SARDEGNA: IN CALO I DONATORI DI ORGANI: AIDS: I COLOSSI FARMACEUTICI FINANZIANO LA RICERCA LE REGIONI: SCUOLA DI TALASSEMIA A PESARO SULLA 554 UN PONTE TENUTO DAI CAVI PER COLLEGARE IL POLICLINICO CAGLIARI: I POVERI AVRANNO LE CURE DENTISTICHE GRATIS ORISTANO: I GIOVANI A RISCHIO DIABETE RIVOLTA DEGLI OPERATORI TECNICI DELL'ASSISTENZA. MELANOMI IN AUMENTO IMMUNITÀ DALL'AIDS SCOPERTO IL SEGRETO DELLE CELLULE-SCUDO CELIACHIA: UNA CURA POTREBBE VENIRE DA UN ENZIMA PRODOTTO DA BATTERI SENZA QUEL GENE FECONDARE DIVENTA DIFFICILE SONO LE LITI IN FAMIGLIA CHE FANNO DAVVERO MALE AL CUORE =========================================================== __________________________________________________________________________ Corriere della Sera 26 settembre 2002 LA RIVOLTA DEI RICERCATORI POLEMICHEIl disegno di legge governativo di riforma e riorganizzazione degli enti sta scatenando la protesta degli scienziati italiani Sono ormai più di 3 mila. Scienziati, ricercatori, dottori di ricerca italiani hanno riempito i saloni del palazzone del Cnr a Roma in un'infuocata assemblea il 10 settembre. Ora stanno continuando la loro protesta, con incontri e soprattutto via web, per dire il loro no alla ventilata riforma del settore e degli enti di ricerca da parte del Miur ministero dell'Istruzione, università e ricerca e del ministro, Letizia Moratti. L'iniziativa, promossa da un gruppo di prestigiosi scienziati tra i quali Carlo Bernardini, Margherita Hack, Tullio Regge, Giuliano Toraldo di Francia che hanno stilato un appello al quale hanno aderito i premi Nobel Rita Levi Montalcini e Carlo Rubbia vedi www.lescienze.com e oltre 3 mila ricercatori, vuole combattere la sostanza di una riforma ritenuta di stampo "aziendalista" e "lesiva dell'indipendenza della ricerca di base". E vuole anche bloccare le ipotesi di soppressione di diversi istituti pubblici di ricerca tra cui l'Istituto elettrotecnico "Galileo Ferraris", la Stazione zoologica di Napoli "A. Dohrn", l'Istituto nazionale di alta matematica e la trasformazione di altri in testa il Cnr-Consiglio nazionale delle ricerche, l'Agenzia spaziale italiana, l'Istituto di geofisica e vulcanologia, l'Istituto nazionale di astrofisica . Il ministero, per la verità, ha sempre smentito "Si tratta di voci prive di fondamento" , ma secondo i "rivoltosi" l'ha fatto confermando la sostanza delle loro preoccupazioni. Quello che più li preoccupa, come si legge nell'appello, è "l'introduzione di regole di accentramento e gerarchizzazione dell'autorità e delle decisioni, tutte affidate ai politici di governo e ai loro diretti fiduciari, regole inapplicabili al mondo della ricerca e di fatto mai applicate in alcun Paese sviluppato". Gli strali degli scienziati sono indirizzati anche contro la riforma del Cnr, che ha 80 anni di storia e 8.500 dipendenti, che vedrebbe ridurre da 108 a 15 i suoi istituti di ricerca, dopo che la precedente riforma del '99 li aveva già portati da 304 a 108. Rispetto agli altri Paesi, in Germania gli istituti del prestigiosissimo Max Planck sono 80 con 11 mila dipendenti, mentre in Francia il Cnrs conta su 1.640 istituti con 23 mila addetti. Il controllo . Ma ciò che fa saltare letteralmente per aria i ricercatori è la parola "controllo". Nei 15 superdipartimenti del nuovo Cnr, secondo le indiscrezioni raccolte, andrebbero infatti a occupare le poltrone di vertice non più dei ricercatori vincitori di concorsi pubblici, ma direttori-manager di nomina governativa. Il tutto in una catena di cooptazioni a cascata che, secondo gli scienziati in subbuglio, a partire dal Consiglio di amministrazione del Cnr tre su cinque membri sono di nomina ministeriale , scenderebbe automaticamente agli altri livelli e verrebbe replicato negli altri enti. Come per esempio all'Agenzia spaziale italiana, in fibrillazione da quando il 5 agosto è stato approvato il decreto governativo sul Piano spaziale nazionale 2003-05 che, secondo i ricercatori protestatari, sarebbe stato redatto dai vertici dell'Asi senza nemmeno consultare la "comunità scientifica". Autunno caldo . La ricerca scientifica in Italia è nell'occhio del ciclone e si avvia a uscire dal suo torpore per recitare la sua parte in una sorta di "autunno caldo degli scienziati"? Il dibattito che l'ha investita può essere molto positivo se gestito in modo sereno e sui temi che contano. Il primo è quello evocato qualche giorno fa dal rettore del Politecnico di Milano, Adriano De Maio in odore di nomina proprio alla presidenza del Cnr, secondo autorevoli fonti , quando ha sollevato il problema della necessità di "fare massa critica", nella cui logica ci stanno anche accorpamenti e ottimizzazioni di scala. Il secondo è quello del rapporto tra ricerca di base e ricerca applicata. Qui la discussione è spesso sterile, perché ideologica, e vede contrapposti e l'un contro l'altro armati l'esercito degli "aziendalisti" e quello dei "puristi". Un dibattito che non porta in nessun luogo e che può salomonicamente essere sciolto e chiuso, affermando che il nostro Paese avrebbe bisogno di tanta e migliore e più rapida ricerca applicata, quanto di una più elevata ricerca di base di qualità, i cui tempi devono essere rispettosi dell'onestà intellettuale di ricercatori e scienziati e non essere condizionati o esclusivamente "funzionalizzati" alle esigenze delle imprese. La terza questione si chiama risorse. Qui è sufficiente ricordare che la spesa per la ricerca in Italia è ancora troppo modesta e arriva a malapena all'1 del Pil 60 pubblica, 40 privata , mentre in altri Paesi supera il 2 . Certamente si tratta di spendere meglio le risorse esistenti, razionalizzando e finalizzando meglio i flussi di spesa, ma una decisa inversione di marcia per aumentare il livello della spesa, anche se sembra che siamo in un periodo di vacche magre, certo non guasterebbe. Infine, vi è il problema delle risorse umane. La "fuga dei cervelli" dall'Italia verso altri Paesi è stata più volte denunciata e viene addebitata alla burocrazia e alla mancanza di prospettive che i nostri talenti hanno nel nostro Paese. Mentre all'estero si fanno valere, e vengono premiati. Vi è quindi il problema di non farli scappare, di farli tornare indietro, ma anche di attirare in Italia i cervelli stranieri. __________________________________________________________________________ Il Messaggero 22 settembre 2002 "HARWARD E PARIGI? LA RICERCA È QUI AL POLICLINICO" Il lavoro di uno dei medici che stanno dando lustro al mondo scientifico romano. Ripresi ovunque i suoi studi sulle leucemie La professoressa Screpanti: "Per gli studenti c'è l'America, ma anche il nostro seminterrato" di LUCA LIPPERA Le luci al neon, un lungo corridoio, "la stanza là in fondo dove stanno le cavie", e poi centrifughe, provette, un gel "per trattare il Dna", una lettera di Ellen Rothenberg, della Divisione di Biologia del California Institute of Technology, attaccata con un po' d'orgoglio a uno scaffale: "Grazie, grazie davvero per aver deciso di venire al congresso... il ruolo del Notch nelle cellule-T è so vital, così vitale...". Viale Regina Elena 324, università La Sapienza, laboratorio di Patologia Molecolare, posto perfetto per capire che il Policlinico "Umberto I" non è solo la babele che sembra. Quaggiù, un piano sottoterra, dopo due rampe di scale e l'impressione di sbucare in cantina, si scopre che la ricerca scientifica a Roma esiste, "combatte", ottiene riconoscimenti internazionali e che i medici bravi non sono solo quelli della serie tv "ER" o gli scienziati di Boston e di Atalanta. "Quelli della mia generazione sono stati quasi tutti costretti a lunghi periodi di studio all'estero - dice Isabella Screpanti, 50 anni, direttrice del laboratorio, madre (insieme a una giovanissima equipe di biologi made in Sapienza) di una scoperta determinante nel campo delle leucemie infantili - Ora invece ci sono, anche da noi, tutte le competenze scientifiche e tecnologiche per far sì che l'apprendistato sia possibile farlo a Roma. Noi, e non solo noi, siamo la prova che la ricerca italiana è ormai vitalissima". Non è figlia d'arte, la professoressa Screpanti, ordinario di Patologia Generale. Il marito, Alberto Gulino, anche lui docente, altro ricercatore di fama, si occupa di oncologia molecolare. Lei, però, nasceva in tutt'altro mondo. Il papà era fabbro, la mamma casalinga. Gli Screpanti stavano "alla Pineta Sacchetti" e la giovane Isabella, oggi madre di due figli, andava al liceo classico in una succursale del "Manara". "Mi sono laureata in Medicina alla Cattolica. Subito dopo partii: cinque anni a Parigi tra l'ospedale Necker Enfants Malades e il Cnr francese. Studiavamo i linfociti-T e l'effetto degli ormoni estrogeni sullo sviluppo del timo (una ghiandola, ndr). Oggi quegli studi possiamo farli qui: è un fatto che riempie di orgoglio". Sotto la luce al neon di un seminterrato... "Esatto". Scendendo per quelle scale.... "È strano, lo so, eppure è così. Il nostro istituto deve molto al professor Luigi Frati, il preside di Medicina della Sapienza. Eravamo tutti giovani, cominciò a reclutare persone con esperienze all'estero pensando di gettare le basi per un settore della ricerca. Una scommessa vinta". Dunque la ricerca esiste anche da noi. "Certo. Ed è di prim'ordine. Di sicuro richiederebbe maggiori finanziamenti. Ma oggi un giovane biologo o un giovane medico può sicuramente cominciare da noi, senza buttarsi per forza all'estero. I laboratori all'altezza, alla Sapienza, a Tor Vergata, alla Cattolica, all'Istituto Superiore di Sanità, al Sant'Andrea, sono tanti. E altrettanti gli studiosi che ottengono risultati". Nomi "romani"? "Il professor Giulio Cossu per le ricerche sulle cellule staminali. Angela Santoni, anche lei della Sapienza, con gli studi sulle cellule natural-killer (la risposta spontanea dell'organismo contro i tumori). Il professor Alberto Faggioni, che si dedica al virus di Epstein-Barr, Massimo Volpe per la cardiologia, ovviamente Barbara Ensoli per l'Aids, Bruno Dallapiccola per la genetica e tutti quelli che lei non citerebbe per ragioni spazio". E cosa prova che sono veramente ricercatori di spessore? "Basta vedere le riviste su cui vengono pubblicati i vari lavori: PNAS (Proceedings of National Accademy of Science), New England Journal of Medicine, Immunity, Embo Journal: il massimo a livello internazionale". Chi compone la sua equipe? "Tutti giovani biologi usciti dalla Sapienza: Diana Bellavia, Saula Checquolo, Manuela Groppioni, Monica Pascucci, Maria Pia Felli e Alessandra Vacca, già docenti. Poi ci sono i tecnici, il signor Fernando Duranti e Alessandro Martini: senza di loro, che si occupano delle cose burocratiche, a volte non so come faremmo. Uno dei nostri giovani, Antonio Campese, biologo, è partito da poco per il Dana Farber Cancer Instiute ad Harward". Qual è esattamente la vostra scoperta? "Abbiamo individuato i markers, cioè i marcatori, di una forma di leucemia linfoblastica a cellule-T che colpisce soprattutto i bambini". A cosa serve un "marker"? "Be', può essere un segnale che c'è, nell'organismo, una malattia di quel tipo. Il marker indirizza sia la diagnosi sia la terapia. I markers molecolari di queste leucemie erano molto diversi uno dall'altro. Abbiamo trovato quello che li unifica. Immagini che si stia tentando una cura per il paziente: il marker, a seconda del livello, in aumento o in diminuzione, può dirci se la terapia scelta è giusta o no". Ricerca pubblicata? "Nel marzo scorso. Prima su PNAS, poi recensita su Nature Cancer Review". Niente da invidiare all'America? "Qualcosa sì, ovviamente. Negli Usa, c'è una grande facilità di lavorare. E la facilità è direttamente proporzionale ai finanziamenti. Qui, spesso, bisogna occuparsi di burocrazia. Là ci si può concentrare sull'obbiettivo, ed è possibile, con la ricerca, provvedere alla propria esistenza. In Italia gli stipendi sono bassi". Perché fare il ricercatore, allora? "Perché il lavoro, dal punto di vista intellettuale, è estremamente indipendente. Bisogna studiare, essere rigorosi, aggiornarsi di continuo, prepararsi anche alle delusioni. Però si ha la possibilità di perseguire un'ipotesi e cercare di dimostrarla".- Il segreto? "Essere curiosi. Chiedersi sempre il perché delle cose. Non limitarsi ad eseguire, ma andare oltre, capire, affrontare territori sconosciuti". Lei come si definirebbe? "Abbastanza socievole. Ma determinata". Quando non è in laboratorio, cosa fa? "Quello che fanno tutti. Ho due figli. Vado a fare compere. Porto a spasso il cane, un labrador. Passeggio. Mi piace molto la zona di Campo de' Fiori, e il gelato: al Pantheon c'è una cremeria buonissima". La fortuna nel suo campo aiuta? "Molto. E anche la capacità di "vedere" le cose: sono lì, davanti a noi: fenomeni biologici, naturali. Si tratta di svelarle" Tornerebbe all'estero? "Sono orgogliosa del posto in cui sto. Passai del tempo a Frederick, Maryland, al National Cancer Institute. Ma non sarei rimasta. La vita americana è, in qualche modo, alienante". Letture preferite? "Gli autori francesi. Ultimamente mi sono appassionata ai gialli di Agatha Christie". Una donna che parla, pure lei, di "misteri"... "È vero. Ma ora, a forza di leggerla, capisco l'assassino molto presto. Se potessi farlo anche nella ricerca, bè, non sarebbe male...". __________________________________________________________________________ Corriere della Sera 23 settembre 2002 "TROPPI DOPPIONI NEI CORSI DI LAUREA" Il rettore di Pavia, Schmid: un errore pensare che tutti gli atenei debbano fare le stesse cose "Le università dovrebbero specializzarsi come hanno fatto l' Insubria e il San Raffaele" Mele Donatella PAVIA - Le università lombarde sono in grado di "fare sistema" e di rendersi competitive sul piano internazionale, ma è necessario evitare i doppioni e utilizzare i vantaggi della cooperazione per realizzare infrastrutture che attirino i ricercatori. E' il rettore dell' università di Pavia, Roberto Schmid, a proporre la strategia regionale con un' immagine efficace: un mosaico in cui ciascun ateneo mette un tassello in base alle proprie competenze e specificità. Lo strumento c' è già: il comitato di coordinamento regionale (ne fa parte il presidente della Regione) e il modello ha al suo attivo alcuni esempi di collaborazione. "La Lombardia - dice Schmid - ha dodici università: un sistema estremamente variegato a cui ciascuno può apportare u n contributo caratteristico. Mettendo insieme le potenzialità si diventa competitivi all' interno del sistema ma anche a livello internazionale. Si deve cooperare per realizzare le infrastrutture: trasporti, comunicazioni, ricerca". E' la ricerca il banco di prova? "Lo stato patologico non è la presenza dei ricercatori italiani all' esterno ma la mancanza di quelli stranieri in Italia. Mancano infrastrutture di ricerca che garantiscano attrattività". Dobbiamo rendere reciproco il flusso. Come si fa? "L' autonomia, soprattutto con ulteriori gradi di flessibilità, consentirà alle università di ritagliare un vestito su misura ma, in ogni caso, fatto bene. L' errore è stato aver pensato che tutte le università dovessero fare le stesse cose allo stesso modo. La Lombardia parte avvantaggiata per quantità, qualità e diversificazione delle istituzioni universitarie unite al retroterra imprenditoriale". Il ruolo della Regione? "Con il decentramento è stata investita di interessi crescenti che riguardano la formazione superiore e la ricerca. Senza cambiare la caratteristica d' istituzione nazionale, l' università può rispondere di più alla vocazione specifica della regione. Mi pare che l' ente intenda impegnarsi e ci sia interesse per i problemi di sviluppo tecnologico". Per la programmazione? "La programmazione, anche a livello regionale, dei percorsi didattici è importante. Il comitato di coordinamento regionale, finora, non aveva dato risultati incisivi nelle scelte. Mi auguro acquisti un rilievo sempre maggiore." La pensano così i colleghi? "C' è piena collaborazione all' interno del comitato regionale e con il nuovo presidente De Cleva, rettore della Statale". Prendiamo il caso di Pavia. "Pavia deve consolidare la caratteristica di città universitaria. Abbiamo avviato un programma di studi superiori che si confronta con scuole come la Normale o il Sant'Anna: inutile farne uno in ogni città, anche perché un sistema integrato come questo richiede tempo e investimenti. Gli altri possono trovare soluzioni specifiche: molti lo hanno fatto". Le nuove università? "Hanno un compito: individuare un settore senza competere in tutti gli altri con quelle già presenti. E' il caso dell' università dell' Insubria o del San Raffaele che hanno scelto precise aree disciplinari raggiungendo livelli di eccellenza". Come avviene il coordinamento? "Collaborando in modo complementare. Il nostro ateneo ha un corso di laurea in ingegneria meccanica con il Politecnico di Milano e una s cuola di specializzazione per le professioni forensi con la Bocconi E' in programma Ingegneria dei trasporti, a Piacenza, insieme a Politecnico e Cattolica". Donatella Mele I numeri delle Università GLI ATENEI In Lombardia ci sono dodici atenei: l' Università di Bergamo, di Brescia, di Pavia, l' Insubria (con sedi a Como e Varese), la Liuc di Castellanza, oltre alle sette Università di Milano (che hanno sedi distaccate anche nelle altre città lombarde): Politecnico, Cattolica, Statale, Bicocca, Iulm, Bocconi e San Raffaele GLI STUDENTI In Lombardia ci sono circa 215 mila studenti iscritti all' Università. Circa 170 mila studiano in uno degli Atenei di Milano e sono così suddivisi: 60 mila alla Statale, 29 mila alla Cattolica, 25 mila al Politecnico. Seguono Pavia, dove sono iscritti circa 23 mila studenti, Brescia con 13 mila, Bergamo con oltre 9 mila e l' Insubria con 7 mila ragazzi IL COMITATO Dal 1998 (anno in cui è cambiata la composizione), del Comitato di coordinamento universitario regionale fanno parte tutti i rettori delle Università lombarde, un rappresentante della giunta regionale (il Presidente o un suo delegato) e tre rappresentanti degli studenti __________________________________________________________________________ Corriere della Sera 27 settembre 2002 TESCHI E ATOMI, QUEGLI IMBROGLI IN NOME DELLA RICERCA FALSI D'AUTORE La fusione fredda di Fleischmann e Pons è ancora un enigma DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Era una specie di pesce lesso, Sir Arthur Smith Woodward. Paleontologo inglese stimatissimo, e impermeabile ad ogni emozione. Però, in quella sera d'inverno del 1912, batté le mani e gridò di gioia: le quattro ossa infangate che Charles Dawson, un archeologo dilettante, aveva appena scodellato sul suo tavolo in laboratorio, gli parvero gioielli. Una fetta di cranio, una mandibola, un dente canino. Venivano da una cava di ghiaia vicino a Piltdown, contea del Sussex, e sir Arthur non ebbe dubbi: quelli erano i resti dell'Eoanthropus, "l'uomo dell'aurora", certo più antico dei nostri progenitori di Neanderthal, l'anello mancante fra la scimmia e l'uomo. Che per di più, saltava fuori in terra britannica, nel Regno Unito: culla della civiltà, scrisse subito qualche collega più patriottico di sir Arthur. Dal 1912 al 1953, 41 anni durò la gran bufala, fra decine di libri e congressi: fino a quando un controllo sul fluoro contenuto nelle ossa svelò che il teschio era vecchio d'un paio di secoli, non di millenni, povero reperto di obitorio riverniciato e invecchiato ad arte; e la mandibola era di orango, non di uomo, con i denti sapientemente limati. Con quella robaccia, fu sepolta per sempre anche la memoria di Sir Arthur: vittima di uno scherzo o cialtrone sfacciato, non si seppe mai. Come spiega un grande divulgatore, il fisico quantistico Herwin Shroedinger: "Un esperimento è come una spada forgiata che puoi impugnare con successo contro gli spiriti dell'oscurità, ma che può anche sconfiggerti con ignominia". In ogni caso, sir Arthur non fu il primo e certo non l'ultimo scienziato finito fuori strada, o colto a far trucchi. Dei loro nomi, è piena la storia della ricerca. Per esempio tutti si giravano per strada, quando passava la sorella di James Watson: donna formosa, una bruna Marylin Monroe. Quanto a lui, era uno scienziato serissimo: premio Nobel nel 1962, scopritore con il collega Francis Crick della doppia elica del Dna. Ed era anche un uomo sincero: quando si decise a scrivere la sua autobiografia, Watson confessò che la sorella avvenente lo aveva aiutato ad avvicinare molti colleghi famosi. In lei, il professore aveva trovato una piccola parte del suo successo. E un'altra piccola parte, l'aveva trovata nell'imbroglio. Niente di grave: qualche dato corretto a forza per supportare un'intuizione geniale; qualche conclusione tirata a spanne, ben certi del risultato finale. Ma sempre imbroglietti erano. Gli stessi che avevano fatto cadere in tentazione, secoli prima, Galileo Galilei: parlava di esperimenti fatti decine di volte, e che invece aveva fatto una volta sola o due; ma intanto, fondava la fisica moderna. Così Keplero il cacciatore di stelle, e tanti altri meno famosi. Due che alla gloria arrivarono molto vicino furono Martin Fleischmann e Stanley Pons, chimici dell'università dello Utah negli Usa. Il 23 marzo 1989, annunciarono che avevano realizzato la "fusione fredda". E cioè, semplificando al massimo: una fusione nucleare compiuta a temperatura ambiente e ad una normale pressione atmosferica, non con l'enorme dispendio di energia e i milioni di gradi centigradi usati per ottenere la fusione "calda", in condizioni simili a quelle del Sole. Fleischmann e Pons girarono il mondo con il loro annuncio: che oggi, 13 anni dopo, gran parte degli scienziati considera una bufala, mezza o intera (anche se in Giappone e altrove continuano le ricerche). Poi, ci sono le bufale nuotatrici. Come la "memoria dell'acqua", appunto, illustrata sulla rivista Nature , nel 1988, dal professor Jacques Benveniste. L'acqua, diceva lui, "ricorda" le molecole in essa disciolte, ricevendo e trasmettendo informazioni; ma questa scoperta, poi difesa anche da molti ricercatori omeopatici, non ha mai trovato conferme. Un'acqua "miracolosa", o "poliacqua", che non bolliva a 100 gradi, fu invece l'orgoglio del ricercatore russo Nikolai Fedjakin negli anni '60, e più tardi dal suo collega Boris Deryaghin: ma chi l'ha più sentita scorrere? Luigi Offeddu __________________________________________________________________________ La Stampa 28 settembre 2002 TORINO: SCIENZIATI DALLE UNIVERSITÀ DI TUTTO IL MONDO RIUNITI PER CELEBRARE LA NOSTRA SCUOLA DA DOMANI A TORINO LA "FANO CONFERENCE": TORINO PERCHÉ una folta compagine di scienziati di fama internazionale - tutti specialisti di quell'austera disciplina che va sotto il nome di geometria algebrica - si riunisce da domani, per sette giorni, a convegno presso il Dipartimento di Matematica dell'Università di Torino? Per un fatto che il nostro paese, di di santi, poeti e navigatori, tende a misconoscere, se non ignorare: nel secolo scorso la matematica ha rappresentato un settore tra i più vitali e prestigiosi della cultura italiana, al pari con la fisica (chi non conosce Enrico Fermi?) e senza dubbio al di sopra di discipline unamistiche come la filosofia (con buona pace di Croce e Gentile), marcatamente affette da provincialismo congenito. L´occasione per ricordare la scuola italiana di geometria algebrica è il cinquantenario della morte di Gino Fano. Chi era costui? Figlio di un fervente patriota, che avrebbe voluto avviarlo alla carriera militare, Gino Fano, nato nel 1871 a Mantova, trovò la sua vocazione negli studi matematici. Dopo essersi laureato a Torino con Corrado Segre, trascorse un anno di specializzazione all'università di Göttingen sotto la guida di Felix Klein, l'illustre matematico che nel suo Programma di Erlangen (1872) aveva tracciato le linee di sviluppo future della disciplina, definendo la geometria come lo studio delle proprietà invarianti rispetto all'azione di determinati gruppi di simmetria. Fano occupò la cattedra di Geometria analitica a Torino dal 1900 al 1938, quando le leggi razziali promulgate dal regime fascista lo costrinsero ad abbandonare l'insegnamento. Si rifugiò in Svizzera, nei pressi di Losanna, rifiutando di seguire i figli, Ugo e Roberto, che emigrarono negli Stati Uniti: la fedeltà alla patria, dichiarò ai famigliari, gli impediva di chiedere asilo ad una nazione che poteva entrare in guerra con l'Italia. Ugo, che fu l'ultimo studente di Fermi all'università di Roma, è divenuto un famoso fisico teorico a Chicago, mentre Roberto (Robert) - autore di un ricordo del padre, che sarà letto in apertura del convegno - è stato professore di ingegneria elettrica e computer science al MIT di Boston. Gino Fano interruppe il lavoro di ricerca soltanto nel 1946: come spiegò a Robert, si sentiva ormai troppo poco efficiente giacché gli capitava sempre più spesso di dover leggere per una seconda volta lo stesso articolo specialistico prima di capirlo appieno. Si spense a Verona nel 1952. La scuola italiana di geometria algebrica, grande soprattutto nella prima metà del secolo scorso, ha avuto i suoi massimi esponenti in Corrado Segre, Guido Castelnuovo (amico di Fano), Federigo Enriques ed Francesco Severi, producendo una messe prodigiosa di risultati fondamentali, rivoluzionando la disciplina con la creazione di nuovi metodi, tecniche e concetti e lasciando in eredità alle generazioni successive di matematici un gran numero di problemi aperti sui quali lavorare. Il contributo più importante è stato senza dubbio la classificazione delle superficie algebriche (spazi a due dimensioni complesse, ovvero a quattro dimensioni reali) - dovuta principalmente a Castelnuovo e ad Enriques -, in cui si combinavano strumenti della geometria proiettiva classica e tecniche raffinate profondamente originali. Questa scuola viene non di rado accusata di un eccessivo ricorso all'intuizione e di mancanza di precisione nelle definizioni e nelle dimostrazioni; in particolare, i lavori di Fano, per quanto innovativi, sono giudicati spesso oscuri e carenti dal punto di vista del rigore formale. Se è pur vero che soltanto a partire dalla fine degli anni '50 la rivoluzione metodologica operata da Alexandre Grothendieck - geniale creatore dell'esoterica teoria degli schemi - fornirà gli strumenti necessari a sistematizzare in maniera rigorosa i risultati ottenuti dai geometri italiani (e a risolvere molti dei problemi aperti), rimane il fatto che questi matematici hanno lasciato un'eredità scientifica ancor oggi preziosa e fonte di ispirazione. In occasione del convegno, riceveranno una laurea honoris causa (vedi la scheda) quattro studiosi che hanno raccolto questa eredità, ottenendo risultati importanti proprio sulle "varietà di Fano", spazi a tre dimensioni complesse dotati di specifiche proprietà geometriche, ai quali il matematico italiano, dal 1908, dedicò gran parte della propria attività scientifica. In particolare, Mori è stato insignito nel 1990 della prestigiosa medaglia Fields - il più alto riconoscimento tributato dalla comunità dei matematici - per aver portato a compimento la colossale opera di classificazione delle varietà algebriche tridimensionali, basata sul cosiddetto "programma del modello minimale" che estende e approfondisce molte delle idee geometriche della scuola italiana, dimostrandone così la duratura validità. Claudio Bartocci __________________________________________________________________________ L'Unione Sarda 27 settembre 2002 UNIVERSITA’: AUMENTI, MAZZATA PER I PIÙ RICCHI Università. Alle battute finali la concertazione sulle nuove tasse Tra una settimana la decisione Proposta di Mistretta agli studenti: "Ma è solo un'ipotesi" Gli studenti incassano una prima vittoria: dovranno versare nelle casse dell'università due milioni di euro e non quattro, come aveva annunciato il rettore Pasquale Mistretta un mese fa. Stabilito che l'aumento delle tasse ci sarà, ma che sarà ridimensionato rispetto all'ipotesi iniziale, rimane da stabilire dalle tasche di chi usciranno i soldi. Mistretta è orientato a lasciare inalterata la prima fascia (quella degli studenti con un reddito sino a 7.700 euro), ritoccare sensibilmente seconda, terza e quarta e concentrare gli aumenti sui redditi più alti (che in ogni caso non pagherebbero più di due milioni). Ma c'è anche chi propone una distribuzione dei rincari su tutte le fasce e chi si oppone (il Collettivo studenti a sinistra) a qualunque aumento, invita alla mobilitazione e annuncia per giovedì prossimo un sit in davanti al rettorato. Il dibattito, insomma, è aperto. L'obiettivo del rettore è portare alla riunione del consiglio di amministrazione del prossimo tre ottobre una proposta di "Nuovo regolamento sulle tasse" il più possibile condivisa. Per questo ha avviato un confronto, in tavoli separati, con le associazioni studentesche e lunedì mattina sentirà le proposte dei rappresentanti degli studenti negli organi collegiali. Poi elaborerà una bozza da sottoporre ai 22 componenti del cda. Si cercano, dunque, due milioni di euro "senza i quali non sopravviveremmo", sottolinea il rettore, per fare crescere il contributo degli studenti al bilancio dell'Ateneo da 9 a 11 milioni di euro. Sempre che non vengano confermati i tagli ai finanziamenti statali previsti nella prima stesura della Finanziaria illustrata in questi giorni. "Se così fosse", anticipa Mistretta, "saremmo costretti a rivedere i conti già a novembre perché non ci rimarrebbero soldi nemmeno per gestire l'ordinaria amministrazione". Secondo l'ipotesi allo studio, gli svantaggi minori li avrebbero gli studenti con redditi compresi tra 7.500 e 23.240 euro (oltre il 70 per cento del totale dei 38 mila iscritti) per i quali gli aumenti in percentuale sarebbero di quasi il dieci per cento. Cresceranno di circa 258 mila euro all'anno, invece, le tasse per i redditi superiori ai 40 mila euro. "In ogni caso non supereremo la soglia dei 1032 euro", garantisce il rettore. C'è chi obietta: "Ma in quella fascia sono mille e mille per 500 mila lire fa 500 milioni, o 258 mila euro. E gli altri soldi?" Quesito irrisolto. In ogni caso gli studenti chiedono di sapere come verranno utilizzati i due milioni di euro (che porteranno la loro contribuzione dal 7 a circa il dieci per cento del bilancio) e una seria razionalizzazione degli sprechi: ad esempio dicono no a possibili nuovi concorsi per docenti in facoltà dove sono già in troppi (medicina) e sì all'aumento dei servizi in una delle facoltà sotto questo aspetto agli ultimi posti in Italia. No all'ipotesi - anche questa allo studio - di differenziazione dei contributi a seconda del corso di studi. Se, ad esempio, il criterio fosse quello del rapporto studenti/docenti, ad essere penalizzati sarebbero le facoltà (come Scienze) in calo di studenti con penalizzazione, in questo caso, per tutta la ricerca scientifica. Si discute anche dei 6717 studenti esenti dal pagamento delle tasse. Per non intaccare i loro privilegi, il rettore ha proposto di tagliare l'assegno di disagio che contribuiva a rendere meno onerosi i contributi per la prima fascia. C'è un punto sul quale tutti, studenti di destra e di sinistra, rettore e docenti, sono concordi. Il disinteresse della Regione per l'Università. "Se non si investe in formazione e ricerca si va a fondo". Infatti. Fabio Manca __________________________________________________________________________ L'Unione Sarda 27 settembre 2002 LE RAGIONI DI UN RINCARO IMPROVVISO CHE PUNISCE LE FAMIGLIE Meno punti qualità, meno quattrini in cassa Più si abbassa il "punteggio qualità", più aumentano le tasse. Sembra incredibile, ma è così. Secondo il Nucleo di valutazione ministeriale, l'università cagliaritana è in "bassa classifica" direbbero gli sportivi. E così dallo Stato non arrivano ulteriori finanziamenti. In sostanza: sei inefficiente? Non ti diamo soldi. E allora cosa può fare un rettore? Aumentare le tasse (sempre per restare nell'esempio sportivo) a "campionato iniziato", cosa che non dovrebbe farsi mai, perché si dovrebbe sempre partire con regole certe. Mettiamo che il Magnifico non abbia davvero altre uscite, così almeno ci confermano gli esperti. Che dicono: per le spese correnti dell'università non può essere superato il 90 per cento del bilancio. E siccome per il personale sono scattati (minimi) aumenti contrattuali, ecco che altre risorse non esistono: tasse più alte. Cagliari è un'università di periferia, non ha apporti di capitale fresco. Non ci sarà mai una Fiat che chiede prestazioni in conto terzi, paga, e arriva così l'autoalimentazione. E si possono acquistare strutture e macchinari. Niente di tutto questo, manca nella zona il substrato industriale. E allora altre scelte non ci sono: pagate famiglie, pagate, finanziateci voi. Che sarebbe una bella cosa se il livello qualitativo dell'università cagliaritana fosse alto, nessuno avrebbe da ridire. Ma diventa quasi una punizione per studenti e famiglie quando questi aumenti derivano proprio dalla bassa qualità del prodotto offerto. Ha certo ragione il Magnifico quando dice che le tasse a Cagliari non sono tra le più alte in Italia, che da anni sono ferme (sarebbe stato forse meglio un rincaro graduale legato al costo della vita, si sarebbe evitata la bomba che sta arrivando adesso), che non ha alternative per evitare il crack. Ma resta una domanda semplice semplice: perché si è arrivati a questo punto. E soprattutto, di chi è la colpa. Paolo Figus __________________________________________________________________________ L'Unione Sarda 28 settembre 2002 MISTRETTA: AUMENTI INEVITABILI PER UN'ISTRUZIONE DI QUALITÀ Università. Non bastano i finanziamenti statali e ora si corre il rischio di una riduzione dei fondi Il rettore: "Più tasse per pochi" "Meno tasse per tutti" è impossibile: il rettore preferisce "più tasse per pochi". All'Università gli aumenti per i quasi 39 mila iscritti sono dietro l'angolo e le polemiche non mancano. I finanziamenti statali, cioè 125,5 milioni di euro all'anno, non bastano più: "Anche perché", protesta Pasquale Mistretta, "sono soldi virtuali". In che senso? Ci sono o non ci sono? "Lo Stato finge di darceli, ma poi si riprende più del 40 per cento tra i cosiddetti oneri accessori e l'Irpef sulle buste-paga. Ecco come 125,5 milioni di euro si riducono a circa 70 milioni. C'è una bella differenza". Non è un problema di quest'anno, è sempre stato così. "Certo, ma è meglio precisare, anche perché la nuova Finanziaria potrebbe tagliare ulteriormente i fondi". Per l'Ateneo sarebbe il tracollo. "La spesa per gli stipendi e gli oneri accessori raggiunge già il 91 per cento del budget: crescerebbe ancora, e non potremmo più garantire la qualità delle prestazioni minime. In stipendi se ne vanno quasi tutti i soldi, anche perché negli ultimi dieci anni la nostra offerta è aumentata: di fatto, i finanziamenti statali non bastano più. Nemmeno l'aumento delle tasse risolverebbe il problema delle Università italiane: la soluzione dobbiamo trovarla nella riduzione strutturale delle spese degli Atenei, compreso il numero degli stipendi, mentre le tasse serviranno per migliorare la qualità". A proposito: siete nella parte bassa della classifica stilata dal Nucleo di valutazione ministeriale. "La qualità è una partita che si gioca con i finanziamenti statali e le tasse universitarie. A Milano il tessuto socio-economico consente di imporre tasse più alte, che si aggiungono al denaro degli sponsor privati. A Cagliari, tutto questo è un sogno: il tessuto socio-economico è debolissimo e non esiste alcun supporto da parte delle imprese". Non vi sponsorizzano perché non siete un Ateneo di qualità? "No, non siamo un Ateneo di qualità perché non ci sponsorizzano: è un serpente che si morde la coda. Ciò detto, andiamo piano col denigrare: abbiamo ricercatori che vincono concorsi nazionali, un Policlinico eccellente, laboratori scientifici e aule informatiche di alto livello". Ma anche il 42 per cento di studenti fuori corso. "Sì, in un'Università che per molti aspetti, soprattutto per l'offerta-base, non ha nulla da invidiare a quelle d'eccellenza. Evidentemente il problema riguarda anche la scarsa sensibilità culturale, che non consente all'Ateneo di sviluppare il suo ruolo, e al capitale umano in entrata". Intende dire che ci sono troppi studenti fannulloni? "Ho detto capitale umano in entrata. Aggiungo: abbiamo tantissimi studenti che invece si laureano nei tempi regolari in Ingegneria o in Medicina, e giovani che vincono dottorati di ricerca a livello nazionale". Torniamo alle tasse universitarie: conferma che resteranno bloccate per la fascia di reddito più bassa? "Confermo: 164 euro. È il minimo stabilito dalla legge, meno di così non si può fare. Per 5.500 studenti c'è anche l'assegno di disagio, pari a 51 euro, e per altri 6.617 non abbienti l'Università è gratis: hanno le borse di studio regionali e il diritto di avere un posto alla Casa dello studente. La media è di 50 euro a studente. Poi venite pure a dirmi che le tasse universitarie a Cagliari sono una mazzata". Luigi Almiento __________________________________________________________________________ Corriere della Sera 24 settembre 2002 "CARO AMIKO, TI SCRIVO". E IL FATTORE K ENTRA A SCUOLA E' sbarcata prima negli Sms e su Internet. Ora si trova anche nei compiti in classe al posto del "ch" Di Stefano Paolo "Che ci posso fare, ogni tanto mi scappa la kappa". Piera, sedici anni, di Bari, secondo liceo linguistico, lo ammette tranquillamente: "Succede anche nei compiti in classe: mi viene la k al posto del ch oppure la x al posto del per e la prof mi scle ra (mi fulmina, n.d.r.)". Il fenomeno è ormai noto: i cosiddetti "messaggini" o sms (termine entrato nello Zingarelli) utilizzano una lingua cifrata colma di abbreviazioni e di formule alfanumeriche che sostituiscono la scrittura canonica. Nei casi p iù semplici, si preferisce "ki" a "chi", "perké" o "xké" a "perché", "x" a "per" e "cmq" a "comunque". Nei casi più arditi, "ho tanta fame" diventa "80 fame" e "se dici una bugia" diventa "16 1 bugia". Un codice vero e proprio nato dall' esigenza di essere veloci e soprattutto di risparmiare spazio, visto che le battute concesse dal cellulare per un singolo messaggio non superano le 160 unità (spazi compresi), con la possibilità, nei telefoni di ultima generazione, di raddoppiare o triplicare co n messaggi concatenati. Il fatto nuovo è che alla lunga tutti questi segni alternativi rischiano di entrare nei testi scritti. E così il "fattore k" trionfa. Finché si tratta di testi privati (appunti e note di diario), non siamo lontani dalla vecchi a stenografia e in fondo non c' è nulla di male. Ma ormai l' abitudine arriva a contaminare i testi "ufficiali", come i temi scolastici e i compiti in classe. Con conseguenze imprevedibili. Come l' uso, appunto, della k che, da semplice sostituto del ch (kiave), comincia a invadere kose e kase, l' amiko e l' amika. Una tendenza che i linguisti giudicano non effimera, perché "potrebbe finalmente - dice Michele Cortelazzo, professore di linguistica italiana all' Università di Padova - risolvere un equivoco storico della lingua italiana: la discrasia tra grafia e fonetica". Detto altrimenti: mentre la c rimane davanti a vocali cosiddette palatali come "e" e "i",(cielo, cervello, eccetera), negli altri casi si va diffondendo la k (dunque, non p iù solo kiave, ma anche kredo, kuore, kavolo, eccetera). "Una rivoluzione dal basso", la chiama Cortelazzo, "perché per una volta non è una regola imposta dall' Accademia della Crusca, ma si tratta di una scelta funzionale decisa dai parlanti stessi" . Dunque, tra dieci anni scriveremo tutti "skerzo"? "Non mi meraviglierei", è la risposta dell' esperto, "anche per il fatto che la k gode di un indubbio prestigio internazionale". E anche di illustri precedenti, se è vero che il primo testo nella nostra lingua, il celebre Placito di Capua (del 960), era un trionfo di k: "Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene...". Insomma, niente a che vedere con l' uso contestativo inaugurato negli anni Settanta da Costa Gavras con il film L' Amerikano e trasferito in Italia nei vari Kossiga extraparlamentari. Tutt' al più qualcosa di esotico, ma perfettamente legittimo sul piano dell' economia linguistica. "Eh sì - continua la studentessa Piera -, io quando scrivo una lettera a un' amica o al mio fidanzato ormai uso anke per anche e il 6 al posto del verbo, però poi in classe ho qualche problema e devo concentrarmi il doppio per non confondermi...". In un istituto professionale del Tiburtino di Roma, la prof di italiano, G.N., è sfiduciata: "Spesso devo cerchiare i vari +, -, x e persino =, e ricordare che, mi dispiace, ma un tema non è un compito di matematica. A volte poi sono talmente abituati a usare quei segni che faticano a capire perché li correggi. Non riescono a distinguere tra le licenze possibili in un testo privato e le esigenze di un testo scolastico. Ormai l' italiano è una cenerentola: l' altro giorno una allieva mi ha confessato che non sa scrivere in corsivo ma solo in stampatello...". Nella cintura milanese, le cose non cambiano molto. B.P., che insegna italiano in un istituto tecnico di Bollate, fa notare che l' uso di abbreviazioni e di segni alfanumerici precede la moda degli sms: "Da anni mi tocca intervenire per far capire ai miei studenti che la lingua scritta ha le sue regole, più rigide che nel parlato. Ormai, è chiaro che con i telefonini il fenomeno delle abbreviazioni e dei segni si è diffuso e si è fatto anche più complesso e più creativo". Mescolare è il verbo dei teenager: mescolare segni, numeri, lettere dell' alfabeto, interi set di faccine che significano tristezza o allegria messi a disposizione dagli ultimi cellulari e immediatamente pronti all' uso. Senza togliere spazio alla creatività: perché mescolanza significa anche contaminazione linguistica. Così, accanto all' autoctono "bacio", i giovani dispongono di un repertorio cosmopolita: "kiss", "smack", "beso". Basta sfogliare i diari di ragazzi e ragazze che si scambiano dediche più o meno poetiche, più o meno satiriche, vergate con il gusto dell' infrazione, della creatività da graffito, della sintesi da ideogramma e della mescolanza, appunto. Un repertorio variegato che però fa a pugni con le prescrizioni della normatività scolastica. Ma, a differenza dei prof della Tiburtina e di Bollate, c' è chi riesce ad arginare il tutto senza troppi affanni. M.M., che insegna italiano al liceo scientifico di Mortara (Pavia), si sofferma sul "boom" della k: "Ricordo che già quattro anni fa, in una terza, mi capitò di dover correggere un anke e un perké. All' inizio non capivo da dove venissero, poi guardando i diari e gli appunti mi sono resa conto che la scrittura privata ne è piena. Persino le minute dei compiti in classe, dove le abbreviazioni sono frequent issime e dove si fa spesso ricorso ai +, ai - e ai x, all' 1 per l' articolo indeterminativo e al 6 al posto del verbo". E non è tutto: tendono a scomparire le vocali, non solo nei monosillabi (dunque una semplice m sta per il pronome personal e mi e nn sta per non), ma pure in congiunzioni tipo "quando" (qd) e in avverbi tipo "comunque" (cmq). "Anche gli allievi molto bravi - continua M.M. - mi dicono che scrivendo in bella copia devono esercitare un forte autocontrollo per evitare la k o la x. Questo significa che sono consapevoli delle differenze tra scrittura privata e scrittura ufficiale. Dunque nei compiti in classe non mi succede spesso di vedere le x o le k". Non succede spesso neanche nella classe di Costantino, una seconda media del centro di Milano. "Amiko con la k? Lo scrivono solo alcuni per fare gli stupidi, ma cmq è usato un sacco negli appunti o nei diari, come gli esclamativi, i punti di domanda e i puntini di sospensione, tantissimi, sempre". Ma, come si verifica sempre per le rivoluzioni che si rispettino, è già in atto una controtendenza per reazione, affidata agli studenti più secchioni: "Mia figlia - ricorda Cortelazzo - mi ha detto che un suo compagno, al liceo classico di Padova, l' ha rimproverata perché in un messaggio ha usato la k. La resistenza della c a questo punto può diventare un segno che serve a distinguersi dalla massa". Paolo Di Stefano =========================================================== __________________________________________________________________________ Repubblica 26 settembre 2002 MEDICINA: NUMERO CHIUSO MA LE RICHIESTE AUMENTANO Al secondo corso di laurea in medicina e chirurgia dell'università "La Sapienza" di Roma i posti disponibili sono 150 all'anno e le domande di partecipazione al test di ammissione sono passate da 330 dell'anno scorso a 670 di quest'anno. Un raddoppio che ha meravigliato per primo il preside Aldo Vecchione. "Non so proprio come spiegarmelo", commenta, "se esiste una professione tartassata da leggi vecchie e nuove, con un curriculum pesante e prospettive modeste è proprio quella medica. E per quanto cerchi una motivazione che spinge tanti su questa strada, non riesco a trovare una risposta". Non tutti gli universitari, però, condividono l'ironia critica di Vecchione. Giuseppe Novelli della Commissione d'ammissione ai corsi di laurea in medicina dell'università romana di Tor Vergata la pensa in maniera opposta. "Più sono gli studenti e meglio potremo selezionarli", dice e considera questa tendenza generale non negativa. All'università Cattolica di Roma, l'aumento è stato del 40 per cento sull'anno scorso, ma, spiega Novelli, viene da una precisa strategia. "Come università privata la Cattolica ha potuto svolgere l'esame il 4 settembre scorso, un giorno prima del test nazionale, permettendo agli studenti una doppia iscrizione con le università pubbliche. Quindi si è affrettata a dare i risultati la mattina dopo in modo da accaparrarsi i migliori, prima dell'inizio dei test pubblici". "Con le leggi sull'autonomia universitaria siamo entrati in un nuovo clima di competizione", osserva Augusto Panà, ordinario di igiene a Tor Vergata, "ogni ateneo tende ad aumentare gli studenti, ma per averli deve puntare su buoni docenti e sull'offerta di servizi, come mensa e trasporti, e laboratori di eccellenza". L'apertura del Policlinico di questa università lo dimostra: le domande sono state, quest'anno 929 e in 771 si sono presentati al test per 165 posti, con un rapporto studenti/posti di 1 a 4,6. Per questo Novelli spera che il ministero dell'Università autorizzerà altri 35 posti. In Piemonte, dove il rapporto medico/abitanti è tra i più bassi d'Italia, la richiesta di aumento di posti è stata già accettata. "Disponiamo di 75 posti nei due poli universitari", spiega il presidente del corso di laurea di Torino Franco Cavallo, "ne avevamo bisogno perché in alcune scuole di specializzazione ci sono posti vuoti e quest'anno, per la prima volta, le domande di dottorato sono state inferiori all'offerta". __________________________________________________________________________ Repubblica 25 settembre 2002 MEDICINA CHE PASSIONE:PRIMI AL MONDO PER NUMERO DI MEDICI Nonostante il record mondiale di medici, una nuova ondata d'iscritti preme alle facoltà DI ROSSELLA CASTELNUOVO L'Italia è da anni prima nella classifica mondiale nel rapporto fra il numero di medici e il numero di abitanti, ma le misure attuate per frenare questa inflazione hanno finora portato a risultati assai modesti. Ne il destino di disoccupato o più spesso sottoccupato scoraggia i giovani che quest'anno hanno fatto registrare una nuova ondata d'iscrizioni alle facoltà di Medicina. Perché? Un censimento appena concluso dalla FnomCeO, la Federazione degli ordini dei medici, mostra che in quattro anni si sono aggiunti 16 mila iscritti al totale di 351.359 portando il rapporto con i gli abitanti da un medico ogni 178 a 1 a 172. Molto sotto la media europea di 1 a 200 e ben lontani da paesi con ottimi sistemi sanitari come la Francia (1 a 330) o la Germania (1 a 285). Inoltre i dati ufficiali '97'98 dell'Oms, l'Organizzazione mondiale della sanità, ci segnalano come un vero proprio record visto il distacco dalla Spagna, al secondo posto con un medico per 236 cittadini. Nonostante ciò, le domande di iscrizione al corso di laurea in medicina e chirurgia sono sempre molto più numerose dei posti disponibili. La situazione è variegata e cambia da regione a regione (nei piccoli atenei si può arrivare a non coprire tutti i posti e i medici scarseggiano). Si calcola tuttavia che, in media, i partecipanti all'esame di ammissione siano quattro volte più numerosi dei posti disponibili. La voglia di diventare medico - il "dottore" per antonomasia - non sembra conoscere ostacoli, che pure non mancano. Sfondato lo sbarramento del numero chiuso, all'inizio dell'università, bisognerà affrontare almeno seisette anni di studio; quindi la concorrenza con una pletora di colleghi agguerriti; il rischio di scarsa occupazione e di guadagni inferiori al previsto; la fatica dell'inserimento in organizzazioni non sempre oleate e la frustrazione di un lavoro diverso da quello che ci si era immaginati. Solo un terzo del tempo di un medico è dedicato al rapporto col malato. Per il resto si tratta soprattutto di riempire cartelle cliniche, comunicare con i parenti e i compagni di lavoro, risolvere problemi burocratici e amministrativi. Sembra però che il solo indossare un camice bianco renda tutto più facile e sopportabile. __________________________________________________________________________ Repubblica 25 settembre 2002 MEDICI: POCHI LAVORANO NESSUNO FA ANESTESIA Tempi duri per ginecologi, pediatri, oculisti e tutti quelli che battono la strada delle specializzazioni cliniche tradizionali o più redditizie. Ospedali e ambulatori ne sono saturi e si rischia di dover puntare sulle proprie attitudini commerciali, piuttosto che su quelle mediche. Mancano invece anestesisti e psichiatri, lavori più faticosi, ma i posti non mancano. Il rischio di rimanere disoccupati dopo la laurea in medicina dipende molto dall'indirizzo che si sceglie e comunque, come osserva l'ex ministro della sanità Elio Guzzanti, tutto sta a intendersi sulla parola disoccupazione: "Il posto fisso in ospedale è nato con le leggi del '64. Prima non esisteva e resta ancora un traguardo a lungo termine. Il cammino per diventare medico è lungo, faticoso e non dà prospettive a breve termine. Ma con un po' di flessibilità il lavoro si trova". Si comincia con le guardie notturne, le sostituzioni, i prelievi e l'assistenza domiciliare e per gli specializzandi c'è già un primo stipendio. Se non proprio disoccupati comunque molti medici restano per anni sottoccupati. "Chi sceglie medicina non lo fa per ragioni utilitaristiche", osserva Guzzanti, "I giovani mostrano forti interessi sociali e altruistici. Per chi ha fretta di guadagnare la scelta migliore non è la laurea, ma i diplomi nelle 22 professioni sanitarie che si ottengono in corsi di tre anni più due". Tutto sta nel seguire l'evoluzione dell'organizzazione sanitaria e della popolazione. Anziani, nuove specializzazioni, malattie croniche o, comunque, allungate dal progresso medico si trasformano in nuove opportunità di lavoro. "E' vero che ogni medico è un motore di spesa", ricorda Guzzanti, "ma ben venga se te lo puoi permettere". La domanda, allora, è: come sfruttare al meglio tutte queste vocazioni, in tempi di tagli alla spesa sanitaria? O, ancora, come armonizzare la voglia di fare di tanti giovani medici con la rabbia di chi si trova a combattere con infinite liste d'attesa? "Da professore di igiene e medicina preventiva", dice Augusto Panà, "che è materia dell'ultimo anno, vedo studenti che arrivano alla fine del corso senza avere idea della sanità in cui si troveranno a operare. Puntando ancora ad aprire lo studio o all'ospedale mentre servono persone per l'assistenza sul territorio, negli hospice, nei servizi di prevenzione e sanità pubblica". __________________________________________________________________________ Corriere della Sera 24 settembre 2002 TAGLI ALLA SANITÀ: I "NO" DEI MEDICI OSPEDALIERI L' accusa: riduzioni solo nel "pubblico". Storace: "Chiederemo sacrifici a chi non li ha mai fatti" Donato Antonellis: "Così si avvantaggiano ospedali religiosi e cliniche convenzionate" Di Frischia Francesco Tagli di posti letto solo nella sanità pubblica "per ridurre le spese". Mancanza di programmazione. Gravi carenze nell' assistenza domiciliare. Uso indiscriminato dei contratti di consulenza. Sono alcune delle accuse lanciate ieri dai medici ospedali eri alla Regione, nel corso di una riunione dei quadri sindacali per discutere la situazione sanitaria nel Lazio. All' incontro hanno partecipato oltre duecento tra rappresentanti e iscritti ai sindacati Anaao- Assomed, Umsped (anestesisti, radiologi e personale impegnato nei laboratori di analisi), Cgil medici, Civemp e Uil medici, che raccolgono il 75 per cento dei 6 mila camici bianchi ospedalieri della regione. Al centro del dibattito "la difesa della sanità pubblica": "Siamo molto preoccupati perchè temiamo che la giunta Storace, per ripianare il deficit, decida tagli indiscriminati di posti letto solo nelle strutture pubbliche provocando vuoti nell' assistenza - sostiene Donato Antonellis, chirurgo del San Camillo e segretario dell' An aao- Assome -. Così si penalizzano i cittadini e si avvantaggiano gli ospedali religiosi e le cliniche convenzionate". I medici non sono "a priori contrari alla riduzione dei letti", ammette Alessandra Di Tullio, capo del Dipartimento servizi della Asl Roma-A, ma auspicano "una vera riorganizzazione dell' assistenza che interessi tutti, ospedali pubblici e cliniche private convenzionate". Quirino Piacevoli, primario di rianimazione nel San Filippo Neri e segretario generale degli anestesisti, rincara la dose: "La sanità è in una condizione di grave crisi: non si possono eliminare letti nei reparti di rianimazione, come qualche direttore generale ha tentato di fare, solo perchè costano molti soldi e poi abbiamo assistito negli ultimi tempi al l' esplosione di servizi a dir poco clientelari, che non rispondono al reale bisogno di salute della popolazione". A proposito di deficit, Piacevoli ricorda che il 60 per cento del bilancio sanitario regionale viene assorbito dalle strutture convenzionate (policlinici universitari, ospedali religiosi e cliniche private), "ma i sacrifici per fare quadrare i conti vengono chiesti solo alle Asl e agli ospedai pubblici - precisa - ". Analoga opinione dalla Cgil medici: "Non si possono tagliare servi zi senza offrire ai malati alternative - precisa Aldo Santese, direttore sanitario dell' ospedale di Palestrina e dirigente della Cgil - Oggi se un paziente non va in ospedale, spesso non sa a chi rivolgersi perchè ambulatori, assistenza domiciliare, servizi di prevenzione e pediatria di base sono molto carenti. E nessuno controlla i troppi contratti di consulenza delle Asl". In attesa dell' incontro odierno tra i sindacati dei medici e Vincenzo Saraceni, assessore regionale alla Sanità, per discutere la riorganizzazione sanitaria, ieri Francesco Storace, presidente della Regione, ha replicato: "Chiederemo qualche sacrificio soltanto a chi non li ha mai fatti. La nostra politica per la tutela della salute non subirà cambiamenti, semmai miglioramenti". Storace ha anche ricordato di avere ridotto i dipartimenti della Regione "da dodici a quattro per creare un servizio snello, efficace e soprattutto produttivo". Critiche anche da Salvatore Bonadonna, capogruppo del Prc alla Regione: "La politica della giunta di centrodestra sta consolidando una sanità a doppio binario: una per i ricchi e una per le parti sociali più deboli". Francesco Di Frischia __________________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 25 settembre 2002 SARDEGNA: IN CALO I DONATORI DI ORGANI: convegno per scoprire i motivi Stefano Ambu CAGLIARI. Un convegno per capire perché in Sardegna i donatori di organi sono sempre di meno: nel 1995 la proporzione era di 15 donatori per un milione di abitanti e oggi, con dati proiettati al 31 dicembre, si arriva appena sopra quota dieci. Cifre ben al di sotto della media nazionale: in Italia i donatori sono diciotto su un milione e l'Emilia Romagna batte tutti toccando quota trentaquattro. Ma perché la Sardegna è così indietro? Proveranno a spiegarlo sabato prossimo a Sassari esperti e operatori del settore trapianti durante il secondo convegno regionale "Per la rinascita della vita" organizzato dall'Associazione Sarda Trapianti "Vita Nuova Onlus" con la collaborazione del centro Regionale Trapianti. "Il nostro progetto - ha spiegato Giampiero Maccioni presidente dell'Associazione Sarda Trapianti nel corso di una videoconferenza- presentazione al Dipartimento di Fisica della Cittadella Universitaria - è quello di andare mettere a confronto istituzioni, sanitari e pazienti. Allargandoci all'università come dimostra la nostra presenza qui oggi (ieri per chi legge)". Il convegno si articolerà in quattro sezioni: donazioni, trapianti, proposta di un progetto per l'assistenza psicopedagogica dei pazienti, piano di coordinamento per la realizzazione di un coordinamento regionale di tutte le associazioni che ruotano intorno al pianeta trapianti. Licinio Contu, coordinatore regionale Centro Trapianti, ha snocciolato i dati che evidenziano l'inversione di tendenza nelle donazioni in Sardegna dal 1995 a oggi: dai 15 donatori su un milione si è scesi a quota dieci. "Stiamo lavorando su questi dati per trovare le soluzioni: è questo il senso del convegno. Ma bisogna dire basta alla cattiva informazione". Ma perché gli italiani (e soprattutto isole e sud Italia) donano così poco: "Le cause - spiega Contu - sono diverse: tra le più importanti registriamo l'opposizione-rifiuto dei familiari del deceduto. In questo senso c'è molto da lavorare sull'approccio dei sanitari nei momenti più delicati. Altre cause: la non idoneità medica del deceduto e l'arresto cardiaco. Ma molte perdite di organi derivano da fattori logistici: soprattutto nell'assegnazione dei posti letto in rianimazione". __________________________________________________________________________ La Stampa 26 settembre 2002 AIDS: I COLOSSI FARMACEUTICI FINANZIANO LA RICERCA INTESA CON IL MINISTERO SU AIDS, INFEZIONI E ANZIANI I colossi dell´industria farmaceutica irrompono nella ricerca, sotto l´egida del ministero della Salute. Lo fanno su tre fronti: Aids, infezioni batteriche e anziani. Progetti che inaugurano il co-finanziamento pubblico-privato in sanità. "Mettendo insieme gli interessi dei partner - ha spiegato il ministro Sirchia -, i risultati saranno vantaggiosi per tutti. La pubblica amministrazione non dev´essere un parassita della società, ma una realtà imprenditoriale per il progresso del paese". Requisito essenziale: ogni progetto - sono già 18 al vaglio - dovrà rispondere ad effettivo interesse di salute pubblica. La messa a punto di un vaccino contro l´Aids è senz´altro d´interesse pubblico. Si tenterà di raggiungere la meta con la collaborazione tra l´Istituto Superiore di Sanità e un big mondiale nel campo dei vaccini, l'americana Chiron. L´accordo, per 12 milioni di euro, prevede lo sviluppo di un vaccino combinato che dovrebbe essere formato da frammenti di virus biotech, in parte frutto della ricerca del gruppo di Barbara Ensoli all'ISS e in parte ottenuti dall´équipe che Rino Rappuoli guida alla Chiron. L´azienda, finora, ha già impegnato in questo studio 25 milioni di dollari. Nel progetto di vaccino ISS-Chiron, verranno unite le proteine del virus HIV che si sono dimostrate più promettenti per arrestare l'infezione, come la Tat - studiata dal gruppo Ensoli e per cui è previsto a fine anno il passaggio alla sperimentazione sull'uomo -, la Gag e la Gp120, e si proveranno nuove modalità di somministrazione. Il secondo progetto, co- finanziato tra ministero della Salute e Pharmacia riguarda le infezioni batteriche gravi. Lo studio epidemiologico coinvolgerà sessanta laboratori di microbiologia clinica che monitoreranno, per due anni, le infezioni gravi in ospedale e in ambito comunitario e accerteranno l´incidenza del fenomeno della resistenza agli antibiotici. Fondi: 2 milioni e 580 mila euro. Terzo progetto e terzo partner, la Pfizer. In collaborazione con la multinazionale, il ministero della Salute produrrà una banca dati sulla valutazione del trattamento all'anziano "fragile" in ospedale, casa di riposo e domicilio, per migliorarne il servizio. "Il problema da risolvere - ha spiegato il ministro - è l´aspettativa di vita attiva: come evitare la disabilità nell´anziano". Finanziamento al 50%: un milione e mezzo di euro. Daniela Daniele __________________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 28 settembre 2002 LE REGIONI: SCUOLA DI TALASSEMIA A PESARO ANCONA. La conferenza dei presidenti delle Regioni ha confermato il suo orientamento per la scelta di Pesaro come sede della Scuola internazionale di talassemia, e ha incaricato il presidente Enzo Ghigo (governatore del Piemonte), di informare il governo di questa posizione. Un punto a favore delle Marche, insomma, nella contrapposizione sul futuro della scuola che oppone la giunta regionale marchigiana guidata da Vito D'Ambrosio al ministro Girolamo Sirchia, e che nei giorni scorsi sembrava prefigurare un trasferimento della struttura a Cagliari. In un comunicato diffuso dalla giunta marchigiana si legge che "la conferenza dei presidenti delle Regioni ha condiviso il contenuto della comunicazione svolta dal presidente delle Marche sulla vicenda dell'attivazione della Scuola di talassemia presso l'ospedale San Salvatore di Pesaro, soprattutto in relazione all'intenzione del ministro di trasformare tutta l'Azienda ospedaliera di Pesaro in Irccs, pur conoscendo la contrarietà del governo regionale e degli enti locali interessati (Provincia e Comune di Pesaro)". La conferenza, conclude il comunicato, ha condiviso pienamente le dichiarazioni di D'Ambrosio, "ha verificato che non esistono, allo stato delle conoscenze, interessi di altre Regioni e ha incaricato il presidente Enzo Ghigo di far conoscere tale decisione al governo". __________________________________________________________________________ L'Unione Sarda 28 settembre 2002 SULLA 554 UN PONTE TENUTO DAI CAVI PER COLLEGARE IL POLICLINICO Pronto il progetto della Provincia per la Cittadella e il Policlinico universitario Un'opera d'avanguardia sulle strade soffocate dal traffico Se tutto andrà come previsto, entro la fine dell'anno partiranno i lavori per la realizzazione del cavalcavia sulla strada statale 554. Si tratta del tanto atteso "ponte strallato" progettato dalla Provincia per superare l'incrocio-caos di Monserrato e dare al Policlinico universitario una viabilità adeguata alle sue funzioni, ma anche di un'opera che in Sardegna non ha precedenti: quattro corsie di marcia su una strada appesa a un palo e tenuta in equilibrio da dodici grandi cavi d'acciaio (i cosiddetti stralli). Negli uffici di piazza Galilei, a Cagliari, si respira un'aria di grande soddisfazione, soprattutto tra i tecnici: ingegneri e geometri che utilizzando le sinergie dell'ente hanno messo a punto un progetto completamente fatto in casa riducendo al minimo le consulenze esterne. "Con un bel risparmio - puntualizza subito l'assessore alla viabilità Renzo Zirone - e l'inizio di una nuova era tecnologica visto che ponti "strallati" in Italia se ne contano finora soltanto quattro: il nostro farà da apripista in Sardegna e non è poco". I calcoli (piuttosto complessi) del ponte "strallato" sono stati effettuati dall'ingegner Pietro Mossone che ha curato anche la sistemazione dei cavi con una originalissima disposizione: nove da una parte e tre dall'altra. Un modo nuovo per far quadrare tutti i conti con l'intero sistema stradale della zona. Complessivamente l'opera - che presuppone la completa rivoluzione dell'area su cui insistono gli svincoli per la Cittadella universitaria - costerà circa 20 miliardi di lire, su fondi regionali ed ha numeri davvero d'avanguardia: ottantadue metri di strada per un'altezza di 62 metri. Ma c'è molto di più. "Il ponte - aggiunge infatti Zirone - sorvolerà un gigantesco quadrifoglio su cui si innesteranno due grandi rotatorie che raccoglieranno e smisteranno tutto il traffico per Cagliari, Quartu, Sestu e ovviamente Monserrato e la Cittadella: il Policlinico avrà una corsia riservata alle ambulanze che potranno così svolgere al meglio il loro servizio". Il sistema viario esistente non sarà soppresso. Al contrario la stessa 554 sarà allargata (come richiesto dall'Anas per l'adeguamento alle norme comunitarie) e così sarà possibile tutta una rivisitazione degli svincoli e di quei tratti praticamente incustoditi. Ovviamente, la nota dolente che emerge dal progetto è la presenza nell'area di insediamenti e costruzioni abusive. "Nel tempo - osserva ancora Zirone - in quest'area è successo un po' di tutto e così non nascondo la possibilità di qualche sorpresa quando le ruspe attaccheranno il terreno per i sottoservizi". Di confortante c'è comunque che dopo Sestu, anche il Comune di Monserrato ha in programma una sanatoria per tutto ciò che negli ultimi anni è spuntato come i funghi. Ci sarebbe un altro inconveniente: l'Università ha chiesto alla Provincia la costruzione di un ponte di più modeste proporzioni per il traffico che ruota attorno al Dipartimento scientifico. Pare che il consiglio di amministrazione abbia messo a disposizione un miliardo di lire ma ne occorrerebbero altri quattro. La Provincia ha già avvertito che i soldi sono finiti. Senza entrare in polemica con l'Università, l'assessore Zirone sottolinea che il progetto ha tenuto conto di tutte le esigenze. "Non solo i sottoservizi per tutti - dice - ma abbiamo pensato anche alle barriere che saranno realizzate con una plastica praticamente antiproiettile (il "perspex") e calcomanie di falco così da evitare che gli uccelli ci vadano a sbattere creando problemi alla circolazione. Questo stratagemma - puntualizza Zirone - ci è stato indicato dagli ambientalisti e pare che funzioni molto bene nei palazzi alti con grandi vetrate". Ma il fiore all'occhiello del progetto è - dice Zirone - la potenzialità del nuovo svincolo con cavalcavia: tutto è predisposto per accogliere un traffico di circa 36 mila auto al giorno. Un bel passo avanti se si considera che oggi sono undicimila con un caos quotidiano che penalizza i trasporti e il movimento degli studenti pendolari. Giovanni Puggioni __________________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 26 settembre 2002 CAGLIARI, BAMBINI E ANZIANI POVERI AVRANNO LE CURE DENTISTICHE GRATIS Mario Girau CAGLIARI. Bambini e anziani in disagiate condizioni economiche da lunedì prossimo avranno un dentista di fiducia, con un requisito in più: lavorerà gratis. È un nuovo miracolo della solidarietà che la "San Vincenzo", l'organizzazione di laici cattolici che aiuta le persone in condizioni di sofferenza materiale e morale, è riuscita a realizzare per i suoi assistiti. Artefici del nuovo servizio l'associazione medici dentisti "Sant'Apollonia" e la parrocchia di San Lucifero, guidata da don Elvio Madeddu. "Sant'Apollonia" mette a disposizione otto odontoiatri e la parrocchia di San Lucifero concede i locali dove funzionerà lo studio dentistico "San Giuseppe", in piazzale Martire delle Foibe. "L'iniziativa è nata - dice il presidente del consiglio centrale della San Vincenzo, Alessandro Floris - a seguito delle rilevazioni fatte dalle nostre 25 conferenze dislocate nelle parrocchie della città e dell'hinterland. Si è scoperto che sono numerosi i poveri, soprattutto extracomunitari, senza fissa dimora e indigenti, nell'impossibilità di ricevere assistenza odontoiatrica attraverso i normali canali della convenzione. Dobbiamo tener conto che l'incidenza della carie nella popolazione media è del 98%. Questo fa facilmente immaginare l'entità della richiesta da parte di persone in precarie condizioni economiche". Lo studio dentistico "San Giuseppe" - diretto dal dottor Pietro Floris - garantirà l'assistenza gratuita di primo soccorso, farà prevenzione, cura della carie, estrazioni e urgenze odontoiatriche. Per i bambini fino ai 12 anni è assicurata la piccola ortodonzia, mentre gli anziani oltre 65 anni potranno anche beneficiare di protesi sociale. Il servizio ambulatoriale sarà svolto, dal lunedì al venerdì (dalle 9,30 alle 12) da un'equipe di otto medici, da personale infermieristico e da volontari generici. Ovviamente l'ambulatorio dentistico è al servizio delle persone che non possono permettersi di pagare un professionista di grido. Alle conferenze vincenziane e ai gruppi di volontariato vincenziano il compito di filtrare le richieste e trasmetterle alla segreteria della studio "San Giuseppe" fornendo tutti gli elementi necessari a garantire l'effettivo stato di indigenza della persona che richiede l'intervento. Sull'iniziativa veglierà un comitato direttivo formato, in rappresentanza dei vincenziani, da Alesandro Floris, Vittorio Garau e Gina Lembo, e da Pietro Floris, Andrea Serci e Andrea Onida per l'Associazione "Sant'Apollonia". Sabato prossimo 28 settembre l'inaugurazione ufficiale (ore 11) dello studio dentistico preceduta da un incontro, nei locali della parrocchia di san Lucifero, sul tema "Prevenzione e diritto alla salute. Il ruolo del volontariato nella sanità". Interverranno Alessandro Floris (presidente della Società San Vincenzo de' Paoli), monsignor Gianni Spiga (vicario generale della diocesi), Tarsilla Rossi (assessore ai servizi sociali del Comune di Cagliari), Raimondo Ibba (presidente dell'Ordine dei medici della provincia), Pietro Floris (presidente dell'Albo odontoiatrico della provincia di Cagliari). __________________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 22 settembre 2002 ORISTANO: I GIOVANI A RISCHIO DIABETE Ricerca dell'Asl per spiegare un caso medico unico al mondo Le cause sono ancora in fase di studio ma non si esclude che siano legate alla presenza di antigeni autoimmuni Nicola Pinna ORISTANO. Un'incidenza che non ha eguali in nessun'altra parte del mondo. Sono cifre da record quelle che riguardano la presenza del diabete mellito nel territorio della provincia di Oristano. Stando ai dati raccolti dal servizio diabetologico della Asl 5, i malati di diabete sono più di 8mila, vale a dire il 3,5 per cento della popolazione, e il 95 per cento di questi malati sono giovani. In Sardegna, invece, la percentuale si abbassa raggiungendo l'85 per cento di giovani insulino-dipendenti, mentre nel territorio nazionale i numeri addirittura si ribaltano con un numero nettamente maggiore di diabetici dell'età adulta. Le cause di questa incidenza spaventosa nella provincia di Oristano sono ancora in fase di studio, anche se non si esclude che una delle concorrenti principali possa essere la predisposizione ereditaria dovuta alla presenza di antigeni cosiddetti "autoimmuni", legata inequivocabilmente alla condizione di insularità che ha ridotto notevolmente le possibilità di scambio genetico. La maggiore concentrazione di malati, comunque, sembra ritrovarsi nelle zone con una maggiore diffusione del favismo, ereditato senza dubbio da quelle infestazioni malariche di cui ancora oggi si ritrovano le tracce. "Purtroppo ancora non ci sono studi specifici che abbiano appurato la determinante di questa condizione - ha detto Francesco Mastinu, primario del servizio diabetologico della Asl 5 -, ma il gruppo di lavoro sul diabete costituito presso l'Azienda sanitaria sta cercando di approfondire le conoscenze in merito, mettendo in campo tutta l'esperienza che in zona è nettamente superiore rispetto ad altri territori. Seppure la malattia comporta gravi disagi ai pazienti che ne sono affetti, la cosa più confortante è che grazie alle cure che si stanno applicando la qualità della vita è salita notevolmente, e che la longevità dei malati si è allungata, andando a raggiungere quasi il livello delle persone sane. Su questo fronte, ovviamente - ha concluso il dottor Mastinu -, ancora tanto resta da capire e da studiare". Eppure l'attività motoria rappresenta un deterrente efficace per l'avanzata del diabete, ma soltanto nella forma senile, quella che colpisce in età adulta. La conferma arriva anche da alcuni interessanti studi a carattere internazionale che hanno coinvolto gli aborigeni australiani e la popolazione cinese. "Oramai è una cosa certa: nella maggior parte dei casi il diabete si sviluppa in soggetti che non hanno praticato opportunamente attività fisica - ha spiegato ancora il dottor Francesco Mastinu-. e quindi si può affermare che essa rappresenta un'arma potente per combattere questa malattia. Gli esperimenti fatti da esperti internazionali sono riusciti a condurre l'organismo umano a una drastica reazione nei confronti della malattia, grazie all'incentivo della pratica sportiva. Ciononostante in provincia di Oristano la situazione cambia e per abbassare il numero degli ammalati non basta l'attività fisica, visto che la stragrande maggioranza dei pazienti è affetta dalla forma giovanile della malattia". Insomma, se è vero come è vero che prevenire è meglio che curare, una buona dose di ginnastica o di qualsiasi altra forma di sport potrà offrire un contributo importante alla lotta contro il diabete, fin troppo conosciuto da queste parti. __________________________________________________________________________ L'Unione Sarda 26 settembre 2002 RIVOLTA DEGLI OPERATORI TECNICI DELL'ASSISTENZA. La protesta degli operatori sanitari Nel mirino c'è la proposta elaborata dal gruppo di studio che, alla Regione, sta definendo la nuova figura dell'operatore socio sanitario, istituita nel 2001 con l'accordo Stato-Regioni. Gli "Ota" (350 tra Asl 8 e Brotzu, 650 nell'isola) contestano il mancato riconoscimento della formazione già seguita e l'anzianità maturata. In una petizione presentata all'assessore regionale alla Sanità e alle segreterie di Fp Cgil, Fp Cisl e Flp Uil, gli Ota della Asl 8 sollecitano "scelte più eque". Nella proposta, su 1.000 ore di corso previste per conseguire la qualifica di Oss (Operatore socio sanitario), agli Ota (Operatore tecnico dell'assistenza) viene attribuito un credito formativo di 500 ore. Agli ausiliari socio sanitari (Ass), invece, un credito di 200 ore. Ecco il problema: gli Ota, si legge nella mozione, hanno già seguito un corso di 670 ore. Sommate alle 500 richieste, diventerebbero 1.170. Agli Ass, invece, per diventare operatori socio sanitari, "ne basterebbero 800". Gli operatori tecnici dell'assistenza chiedono "moduli didattici integrativi", magari prendendo a modello la Regione Abruzzo. E, ovviamente, il riconoscimento dall'anzianità e delle 670 ore di corso già seguite. __________________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 26 settembre 2002 MELANOMI IN AUMENTO CONGRESSO AD ALGHERO ALGHERO. Aumentano i casi di melanoma cutaneo in Italia. Attualmente è di oltre 5 casi ogni 100mila abitanti l'anno ma dopo 10 anni tende a raddoppiare. Solo il carcinoma polmonare nella donna ha una velocità di crescita maggiore. E ancor oggi troppi melanomi giungono all'osservazione troppo tardi, in fase ormai avanzata, quando talora sono presenti segni di metastatizzazione. Occorre quindi riconoscerlo in tempo, quando il melanoma è sottile e può essere guarito nella quasi totalità dei casi. E' quanto emerge dal 40º congresso nazionale Adoi (l'associazione dei dermatologi ospedalieri italiani), presieduto da Patrizio Mulas, in svolgimento ad Alghero e Sassari fino al 28 settembre. "Il melanoma è il più importante tumore maligno della cute che può peraltro riscontrarsi anche in sedi extracutanee quali la congiuntiva o le mucose (orale, vulvare, vaginale, intestinale)", ha ricordato Mulas agli oltre 600 esperti riuniti all'isola. Seondo i dati forniti nel 10% dei soggetti operati per melanoma si osserva la comparsa di un secondo melanoma primario. __________________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 27 settembre 2002 IMMUNITÀ DALL'AIDS SCOPERTO IL SEGRETO DELLE CELLULE-SCUDO I risultati di uno studio Usa. Aiuti: "Ma per avere una cura ci vorrà tempo" Si chiamano "difensine", consentono di sopravvivere con il virus ROMA - Il record mondiale appartiene a un uomo americano. Da oltre vent'anni convive senza imbarazzo con l'Hiv. Il virus non lo infastidisce, è rimasto silente. È come se Johnny, ma non è il vero nome, fosse perfettamente sano. Ora il suo segreto sta per essere scoperto, a tutto vantaggio dei sieropositivi molto meno fortunati di lui. Quelli che scontano le drammatiche conseguenze dell'infezione sul sistema immunitario. Ricercatori statunitensi hanno visto per la prima volta in provetta delle specialissime cellule immunitarie capaci di bloccare il virus mentre cerca di conquistare il campo, replicandosi. Le chiamano difensine, a indicare il ruolo primario nel fare catenaccio. Gente come Johnny (i cosiddetti lungo sopravviventi) ne possiedono in quantità superiore al normale. CHIAVE - Il lavoro sull'immunità naturale è firmato sul numero odierno di Science da David Ho, il cino-americano che già nel '96 portò una buona notizia ai malati di Aids annunciando l'efficacia delle terapie combinate. Se fosse confermata, potrebbe costituire la chiave per la messa a punto di terapie e vaccini non solo anti Aids. "I tempi per arrivare alle cure saranno tuttavia lunghi", raffredda le speranze l'immunologo Fernando Aiuti. Questo studio dà ragione a Jay Levy, citato nell'articolo, e a chi come lui era convinto dell'esistenza di un fattore cellulare antivirale, prodotto dalle cellule Cd8, deputate a erigere baluardi contro agenti esterni. La novità consiste nell'averlo identificato dopo 16 anni di investigazioni". I lungo sopravviventi da oltre 10 anni sono circa il 5% dei sieropositivi. In un altro 1% il periodo di latenza del virus si protrae oltre i 15 anni. Le difensine non sono l'unico scudo. Già noti altri fattori naturali. Tra le armi anti Hiv, le chemiochine. "Un solo fattore di protezione non basta per ottenere l'immunità - fa notare il microbiologo Michele La Placa -. Possederli tutti è come vincere al superenalotto. E questo vale anche contro altre malattie. Alla comparsa di minacce virali l'uomo mette in campo difese tali da poter garantire la conservazione di alcuni individui, che manterranno la specie. Il principio dell'arca di Noè". TERAPIE - Un altro tassello conoscitivo lo hanno incastrato un gruppo di australiani del Millenium Institute di Sydney. Trovate due molecole-recettori nelle cellule dendritiche, porticine utilizzate dall'Hiv per fare ingresso nelle cellule. La storia dell'Aids è cambiata nel '96 quando venne annunciata l'efficacia di terapie combinate, con più farmaci, in grado di bloccare il processo di replicazione del virus che però non scompare dall'organismo, come sognava David Ho. Problemi da risolvere: gli effetti collaterali, la tolleranza e il grande impegno richiesto al paziente, che ogni giorno deve ingoiare diverse pillole. I malati però sopravvivono più a lungo, privilegio negato ai Paesi dell'Africa subsahariana, dove il 28% della popolazione è sieropositiva. Inaccessibili le medicine, a causa dei costi. Ancora lontano l'atteso vaccino. Sorprende l'abilità dell'Hiv nel cambiare connotati genetici, per sfuggire alla rete che gli viene tessuta attorno. Tra i "candidati", il vaccino di Barbara Ensoli, Istituto superiore di Sanità. Un progetto avviato dal ministero della Salute prevede la collaborazione con l'azienda Chiron, leader nel mondo. Margherita De Bac mdebac@corriere.it A Boston un'équipe di scienziati ha creato denti veri in laboratorio partendo da cellule staminali di maiale. Tra gli addetti ai lavori la scoperta del Forsyth Institute, pubblicata sul numero di ottobre del "Journal of dental medicine", viene considerata alla stregua di una rivoluzione: dentiera addio e addio pure a ponti, a corone e a denti malati, gialli o spezzati. Se la ricerca del gruppo statunitense darà i frutti sperati, in futuro sarà possibile fare ricrescere incisivi, canini e molari perfetti, come li vuole il paziente. I denti realizzati finora in laboratorio sono molto piccoli, non più grandi di tre o quattro millimetri. Gli scienziati tuttavia sperano di poter fare crescere in provetta dentature diversificate di dimensioni reali. Ci vorrà un decennio prima di arrivare alle applicazioni su vasta scala. L'INTERVISTA "Il tipo di antibiotico naturale che la medicina cercava dal 1986" Paolo Lusso, del San Raffaele: una scoperta intrigante, attendo le ricadute sui vaccini MILANO - Si infettano con il virus dell'Aids, ma non si ammalano e riescono a sopravvivere per anni, senza bisogno di terapie. Un mistero per i ricercatori che ora, però, sembrano avere in mano la soluzione: i nemici naturali del virus Hiv si chiamano difensine e sono molecole prodotte da cellule del nostro sistema immunitario. La scoperta, pubblicata sulla rivista Science , porta la firma di uno dei più noti esperti mondiali di Aids, l'americano di origine cinese David Ho, famoso per avere inventato i cocktail di farmaci per curare l'Aids. Il gruppo di Ho, che lavora all'Aaron Diamond Center di New York, ha osservato le difensine in provetta: queste sostanze, di tre tipi diversi chiamati alfa 1, alfa 2 e alfa 3, impediscono al virus di moltiplicarsi. Come, non si sa ancora, ma gli esperti sono convinti che la ricerca aprirà la strada a nuove terapie. "E' una scoperta "intrigante", come dicono gli americani" commenta Paolo Lusso dell'Ospedale San Raffaele di Milano che, nel 1995, ha individuato le chemiochine, un'altra classe di sostanze naturali capaci di interferire con la moltiplicazione del virus, ma non così potenti come sembrano, invece, essere le difensine. Perché la definisce "intrigante"? "Innanzitutto perché conferma che il nostro organismo possiede capacità di difesa naturali contro gli agenti infettivi. L'immunità naturale è quella più arcaica ed è ad ampio spettro, cioè è rivolta verso una serie di microrganismi, virus dell'Aids compreso. Le difensine, dunque, possono essere considerate antibiotici naturali. Poi esiste un'immunità adattiva, quella fatta da anticorpi e dalle cosiddette cellule killer, che agiscono su singoli bersagli, con una precisione quasi chirurgica". L'idea che l'organismo possieda difese naturali contro l'Aids, però, non è nuova. "E' vero. Già nel 1986 un gruppo di ricercatori statunitensi avevano ipotizzato che i globuli bianchi fossero in grado di produrre sostanze capaci di inibire la moltiplicazione del virus dell'Aids, ma per una decina d'anni non si è fatto alcun passo avanti. Nel frattempo si è osservato che alcune persone sieropositive non si ammalano: sono circa il 5 per cento di tutti i sieropositivi. Abbiamo anche descritto sulla rivista New England , nel 1999, il caso di un paziente sardo, sieropositivo dal 1985, che oggi, ormai ottantenne, non ha sintomi di infezione". Lei e il suo gruppo avete scoperto le chemiochine nel 1995. Quali sono le ricadute pratiche, a distanza di sette anni, della vostra ricerca e quali sono le prospettive aperte dalla nuova scoperta delle difensine? "Le chemiochine ci hanno permesso di individuare il loro recettore, presente sulla membrana dei linfociti, che funziona come porta di entrata del virus nella cellula. Oggi si stanno studiando farmaci che si comportano come false chemiochine e impediscono l'ingresso del virus nelle cellule. Per quanto riguarda le difensine, occorrerà innanzitutto verificare la loro potenza e la loro attività in vivo ed eventualmente studiare il modo per stimolare l'organismo a produrne di più. Le difensine potrebbero poi avere ricadute nel campo dei vaccini: migliorando le performance del sistema immunitario e potenziando l'azione dei vaccini". Adriana Bazzi __________________________________________________________________________ Le Scienze 26 settembre 2002 CELIACHIA: UNA CURA POTREBBE VENIRE DA UN ENZIMA PRODOTTO DA BATTERI Una speranza per i malati di celiachia Un gruppo di ricercatori della Stanford University ha scoperto le cause e una possibile cura per il morbo celiaco, una malattia autoimmune che provoca l'incapacità di digerire il glutine, una proteina abbondante nel grano e nell'avena. In un articolo pubblicato sulla rivista "Science", i ricercatori hanno riferito che il colpevole del morbo è un frammento del glutine detto gliadina. Essi hanno mostrato che questo frammento è resistente alla digestione e potrebbe essere responsabile della risposta infiammatoria dell'intestino. L'utilizzo di un enzima prodotto da un batterio può però spezzare ulteriormente il frammento in altri più piccoli e innocui, suggerendo una possibile cura attraverso integratori alimentari. "Queste scoperte sono il primo passo per dare ai pazienti con il morbo celiaco una speranza reale di una vita normale," dice Chaitan Khosla. Le pareti dell'intestino tenue sono coperte di villi. Il morbo celiaco fa invece si che l'intestino sia liscio e la ridotta superficie impedisce di assorbire nutrienti. "L'unica terapia efficace per la maggior parte delle persone è una dieta priva di glutine per tutta la vita, e questo è piuttosto restrittivo," dice Gary M. Gray, coautore della ricerca. In laboratorio, i ricercatori hanno simulato il processo digestivo, esponendo la gliadina agli enzimi digestivi in provetta. È stato così identificato un frammento proteico di 33 aminoacidi resistente alla digestione e la cui struttura è nota per essere tossica. La maggior parte delle proteine vengono rotte in piccoli peptidi di non più di sei aminoacidi. I ricercatori pensano che una peptidasi, un enzima in grado di spezzare le proteine, potrebbe rendere innocui i frammenti di gliadina nei pazienti affetti da celiachia. __________________________________________________________________________ Repubblica 26 settembre 2002 SENZA QUEL GENE FECONDARE DIVENTA DIFFICILE Roma Le primissime fasi di vita dell'embrione hanno sempre meno segreti. Ricercatori dell'Istituto Dermopatico dell'Immacolata (Idi) di Roma, hanno messo a punto con l'ingegneria genetica un modello animale, che aiuterà a comprendere meglio lo sviluppo embrionale, eliminando dal genoma del topo il gene TCL1, che svolge un ruolo cardine nella crescita dell'embrione, ma anche nello sviluppo del tumore del testicolo. Lo studio, pubblicato sui Proceedings of National Academy of Science (Pnas), è stato condotto in collaborazione con la facoltà di Psicologia dell'università di Roma, l'azienda ospedaliera S.CamilloForlanini e due centri americani, L'università di Birmingham, in Alabama, e il Kimmel Cancer Center di Filadelfia. I ricercatori dell'Idi, diretti da Giandomenico Russo, hanno dimostrato che eliminando il gene TCL1, i topi non si riproducono in maniera normale, ma danno vita a un numero molto basso di figli. Questo perché il gene agisce sulle primissime fasi dello sviluppo embrionale, nelle 2472 ore successive all'incontro degli spermatozoi con le cellule materne. Dunque, se il gene manca, la maggior parte degli embrioni appena fecondati muore nell'utero. "Una scoperta di grande rilievo", commenta Franco Mangia, embriologo dell'Università di Roma e coautore della ricerca, "visto che le primissime fasi di sviluppo embrionale rimangono ancora misteriose e il modello animale sviluppato rappresenta il primo successo per capire tale processo". Inoltre i ricercatori hanno dimostrato anche che il gene TCL1 sembra essere espresso in maniera inappropriata in una forma di tumore del testicolo, conosciuta come seminoma che colpisce adulti tra i 20 e i 40 anni. "E' ipotizzabile", ha detto Maria Grazia Narducci, autrice del modello animale, "che si possano sviluppare terapie antitumorali più specifiche ed efficaci". __________________________________________________________________________ Il Messaggero 26 settembre 2002 Studio dell'Università della California SONO LE LITI IN FAMIGLIA CHE FANNO DAVVERO MALE AL CUORE di FEDERICO UNGARO ROMA - Litigare con il partner fa male al cuore. Ma ancora peggio fa pensarci sopra, rimuginare. E il suo effetto negativo sul cuore continuerà anche molto tempo dopo il litigio. Lo sostiene uno studio condotto da Laura Glynn della University of California di Irvine, pubblicata sull'ultimo numero della rivista Psychosomatic Medicine. Affermando, come termine di paragone, che una litigata fa peggio di una corsa improvvisa. Che, si sa, può stroncare. Il legame tra litigi e la corsa è dato dal fatto che entrambe le attività determinano un aumento della pressione arteriosa e mettono sotto stress il nostro cuore. Le liti, però, hanno anche un lato emotivo che allunga i tempi di recupero del corpo, rispetto ad eventi come la corsa che non coinvolge la sfera emozionale. Di più, anche solo il ripensare qualche tempo dopo alle discussioni determina un aumento della pressione arteriosa, cosa che non accade nell'altro caso. Per dimostrare questa teoria, il team di Laura Glynn ha eseguito su 72 studenti dell'Università della California una serie di test che implicavano sia uno stress emotivo, che uno fisico. Nel primo caso, gli studenti dovevano contare al contrario, costantemente interrotti da un ricercatore, o cercare di evitare di subire una leggera scossa elettrica. Nel secondo caso, dovevano semplicemente camminare sul posto o mettere le mani in un catino pieno di acqua gelata. I risultati hanno dimostrato anzitutto che la pressione arteriosa dei giovani sottoposti allo stress emotivo ci metteva più tempo a tornare ai livelli normali, rispetto a quella del secondo gruppo. Poi, quando i membri del primo gruppo dovevano ripensare ai test affrontati, la loro pressione sistolica schizzava molto più in alto rispetto a quella degli altri. I ricercatori, però, hanno deciso di capire anche che cosa succedeva a distanza dall'esperimento. Sono riusciti così a scoprire che gli studenti, lasciati liberi di rimuginare, avevano la capacità di richiamare alla memoria la paura e il nervosismo provati, ricreando così condizioni di stress per il proprio cuore. "L'esposizione allo stress emotivo potrebbe rappresentare un danno molto più grave alla salute, causando l'ipertensione e aumentando l'incidenza delle malattie cardiache. Questo significa che per prevenire queste malattie è necessario non solo ridurre l'esposizione agli eventi stressanti, ma anche ridurre le occasioni di rimuginare sulle passate occasioni di stress", spiega la Glynn. "E' un'ipotesi ragionevole, ma servono altri studi - commenta Filippo Crea, direttore dell'Istituto di cardiologia del Gemelli di Roma -. Non si deve dimenticare che l'aumento della pressione è una reazione fisiologica allo stress. Eventi di questo tipo ripetuti nel tempo potrebbero effettivamente portare ad una maggiore incidenza di malattie cardiache".