IL NOBEL ALL' UOMO CHE HA SCOPERTO UN CIELO INVISIBILE «L' ADDIO ALL' ITALIA? NESSUN RIMPIANTO>> «BASTA CON LA FUGA DI CERVELLI» IL MINISTRO: «MOBILITÀ DEGLI SCIENZIATI, NON FUGA» SUBITO LA RIFORMA DEGLI ISTITUTI DI RICERCA" E LA SCURE DELLA FINANZIARIA SI ABBATTE SULLA RICERCA LA RICERCA E’ NECESSITÀ, NON LUSSO RICERCA. ALL’UNIVERSITÀ DI URBINO IL PRIMATO DELLA QUALITÀ SASSO: VERSO UNA SCUOLA PER POCHI LA BOSSI-FINI BLOCCA IL LUMINARE AMERICANO ALLA FRONTIERA DUE MILIONI DI EURO PER COPRIRE LE NECESSITÀ DELL’UNIVERSITÀ DI CAGLIARI CAGLIARI: LA FACOLTA’ DI ECONOMIA ULTIMA IN ITALIA MISTRETTA: «SE NON VI SPIACE, SONO IL MIGLIORE» SANTA CRUZ: UN RIVALE PER IL MAGNIFICO PINTOR CONTRO MISTRETTA: «NON SIAMO COMPETITIVI» MARROSU A FAVORE DI MISTRETTA: «BUONI RISULTATI CON POCHI SOLDI» =========================================================== NOBEL MEDICINA: RICERCA IL SEGRETO DELLA MORTE DELLE CELLULE SILVESTRE: «FORMIDABILI GLI OSPEDALI PUBBLICI» DAL 2003 «DENTIERE DI STATO» PER GLI ANZIANI PIÙ POVERI CERCANSI ANESTESISTI RIANIMATORI, INFERMIERI DA CURARE CHI DIFENDE LA SALUTE? LA SANITÀ NON PUÒ GUARDARE SOLO AL BILANCIO TUTTA LA SANITÀ AI PRIVATI UN MIRAGGIO RISCHIOSO SUBITO AL MICROCITEMICO IL CENTRO PER LE RICERCHE SULLA TALASSEMIA UN FRENO ALL’OBESITÀ DIABETE: AUMENTA TRA I BAMBINI SARDI =========================================================== _______________________________________________________ Corriere Della Sera 9 ott. ’02 IL NOBEL ALL' UOMO CHE HA SCOPERTO UN CIELO INVISIBILE Riccardo Giacconi, premiato per la fisica: «Lo scienziato è come Michelangelo, cerca muri per dipingere. Il mio era negli Usa» Caprara Giovanni MILANO - A Riccardo Giacconi, all' americano Raymond Davis e al giapponese Masatoshi Koshiba la Reale Accademia svedese delle scienze ha assegnato, con una certa sorpresa, il premio Nobel per la fisica 2002. Nessuno si aspettava un riconoscimento all ' astronomia, quasi sempre ignorata. Riccardo Giacconi è considerato da quarant' anni uno dei maggiori «scienziati del cielo». Con due anime: quella di eccellente ricercatore e di straordinario organizzatore. Ma lui non distingue troppo e preferisce definirsi «un uomo rinascimentale» perché l' idea e l' azione che lo caratterizzano erano allora due facce della stessa realtà. Gli altri due scienziati che condividono il Nobel sono anch' essi protagonisti del mondo dell' astrofisica; in particolare per aver rilevato e misurato i neutrini cosmici, particelle imprendibili le cui caratteristiche sono alla base del disegno cosmico finora tracciato dagli studiosi. Metà del premio di 10 milioni di corone (circa un milione di dollari) spetta a Giacco ni, mentre l' altra metà sarà suddivisa equamente tra l' americano e il nipponico. E anche questa ripartizione dimostra il «peso» assegnato allo scienziato nato a Genova nel 1931 e presto diventato milanese, visto che qui ha frequentato il liceo e l' università. Giacconi aveva allora diverse sensibilità culturali, anche lontane dalla scienza, come lui stesso ama raccontare con discrezione. E forse nella scelta finale ha pesato un certo benevolo influsso della madre, insegnante e autrice di testi di matematica. All' Università di Milano si laurea in fisica nel 1954 e inizialmente volge il suo sguardo alle ricerche sulle particelle elementari, per le quali in Italia, a partire da Enrico Fermi, c' è sempre stata grande tradizione. Poi il suo eclettismo lo spinge ad ascoltare i suggerimenti del grande Bruno Rossi - «il mio nonno scientifico», dice Giacconi - allora astrofisico al Mit di Boston, che gli presenta l' affascinante sfida dei raggi cosmici. A condividere da Milano questa nuova direzione di marcia c' è il suo maestro Beppo Occhialini, scienziato altrettanto geniale, con statura da Nobel. E così, dopo un paio di borse di studio che lo portano all' Università dell' Indiana e a Princeton, invece di rientrare in Italia, Giacconi accetta un posto di ricercatore nella piccola società American Science and Engineering, dove inizia a costruire la sua fama di grande scienziato arrivando a scoprire, grazie al lancio di un razzo, la prima sorgente di raggi X proveniente dallo spazi o profondo. E' una finestra straordinaria che si apre sull' universo e rivela un nuovo cielo, quello formato dagli oggetti che invece delle radiazioni luminose lanciano appunto raggi X. Ma per cogliere questo nuovo universo bisogna andare nello spazi o e così Giacconi dirige la costruzione di due satelliti, Uhuru (che in lingua swahili significa libertà) e Einstein, che completano l' opera. Da allora l' astrofisico italiano diventa una stella del firmamento scientifico, ma anche un cittadino statunitense. Ora vive a Baltimora e insegna alla Johns Hopkins University. Negli anni Novanta viene chiamato alla guida delle osservazioni effettuate con il telescopio spaziale Hubble e poco dopo gli europei lo vogliono a capo del nuovo telescopio più g rande del mondo, che stava nascendo in Cile. Poi l' America se lo riprende, affidandosi a lui per l' avventura dei futuri osservatori radio. «Gli Stati Uniti assorbono ormai tutti i migliori cervelli del mondo e non mi stupisce che Giacconi abbia il passaporto americano», ha commentato il presidente della Commissione europea Romano Prodi. «Il suo impegno nella collaborazione con la comunità scientifica italiana è motivo di orgoglio per il nostro Paese», ha sottolineato il presidente della Repubb lica Carlo Azeglio Ciampi. E il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha aggiunto: «Il suo successo costituisce alto motivo di orgoglio per tutta l' Italia». G. Cap. Gli altri vincitori RAYMOND DAVIS JR Statunitense (è nato a Washington), Raymon d Davis Jr, 87 anni, ha conseguito il dottorato in chimica nel 1942 all' Università di Yale ed è professore onorario del Dipartimento di fisica e astronomia dell' università di Pennsylvania, a Filadelfia. Davis ha costruito un nuovo rivelatore di neu trini, particelle che si formano durante i processi di fusione nel Sole e nelle altre stelle MASATOSHI KOSHIBA Nato nel 1926 a Toyohashi, in Giappone, Masatoshi Koshiba ha conseguito il dottorato nel 1955 all' Università di Rochester, a New York, ed è professore onorario del Centro Internazionale per la fisica delle particelle elementari all' Università di Tokyo. Un gruppo di ricercatori da lui diretto ha confermato i risultati del fisico americano Raymond Davis Jr sui neutrini _______________________________________________________ Corriere Della Sera 9 ott. ’02 «L' ADDIO ALL' ITALIA? NESSUN RIMPIANTO>> , non avrei mai realizzato le cose che ho fatto» Caprara Giovanni MILANO - Professor Riccardo Giacconi, perché decise di lasciare l' Italia e cercare fortuna nei laboratori statunitensi? «Uno scienziato è come un pittore. Nel mondo ci sono tanti artisti ma il successo lo ottengono solo alcuni che trovano un muro gi usto sul quale dipingere. Michelangelo diventò un grande artista perché aveva un muro da dipingere. Io l' ho trovato negli Stati Uniti». Da noi non c' erano proprio altre possibilità? «Quando mi sono laureato in fisica all' Università di Milano il mi o maestro Beppo Occhialini mi disse: go West, vai a Ovest. Soltanto gli Stati Uniti permettevano di affrontare certe ricerche. In altre parole, qui c' era la possibilità di lavorare seriamente, di effettuare un tipo di studi d' avanguardia impossibili in Italia. Anzi fu proprio Occhialini a suggerirmi di andare all' Università dell' Indiana per collaborare con Bob Thompson, esperto di raggi cosmici. E così feci, iniziando nel 1956 la mia avventura americana». Talvolta il balzo è difficile. Lei c ome si è trovato? «Sempre benissimo perché mi rendevo conto di avere delle opportunità che potevo utilizzare. Con il primo esperimento, nel 1962, ho scoperto la sorgente di raggi X "Sco X-1" mentre facevo parte di una piccola società di ricerca, la American Science & Engineering impegnata in indagini per la Nasa e il Pentagono. Fu allora che proposi di costruire un satellite per trovare conferme e sviluppare gli studi. Con mia grande soddisfazione accettarono. Con le immagini del piccolo satellite Uhuru, lanciato dalla base italiana in Kenya, venne realizzata la prima mappa del cielo a raggi X: individuammo cioè oggetti che emettevano questo tipo di raggi ed erano in grado di rivelare fenomeni e una realtà cosmica prima sconosciuta. Avevo solo 39 anni e venni eletto membro della società degli scienziati americani; per essere un italiano era un grande riconoscimento». Mai pensato di ritornare a casa, in Italia? «Per un certo periodo sono venuto a Milano e ho insegnato all' Università. M a poi mi sono dimesso: avevo troppi impegni qui. Forse sono stato l' unico a rinunciare a un incarico nell' Università italiana. In Italia, comunque, non avrei mai potuto realizzare le cose che invece negli Stati Uniti mi sono state rese possibili». Qualche rimpianto? «Assolutamente no. Non mi sono mai pentito di aver fatto la scelta di andarmene. Ho solo nostalgia dell' Italia del 1955, molto diversa da quella di oggi. Ma la mia nostalgia è legata all' ambiente, alle Alpi che ho sempre amato, a i paesaggi della Sicilia piena di sole». Come vede la nostra ricerca italiana? «Ci sono diversi bravi scienziati e con molti di loro ho lavorato e continuo a vedermi. Però non bastano queste persone. Ciò che manca è una certa organizzazione. Bisogna arrivare a certi numeri per ottenere una massa critica al di sotto della quale è difficile produrre risultati significativi. Pensi che nella società di ricerca in cui ero impegnato avevo a disposizione cinquecento persone e a Harvard altre duecento». Perché ha scelto la via delle stelle? «A scuola riuscivo bene in matematica e fisica. Ero ferrato anche in geometria e ciò mi aiutò molto nel lavoro. Io però avrei voluto fare l' architetto. Non ho seguito questa strada solo perché ritenevo di non essere abbastanza creativo. In realtà mi interessavano di più le materie umanistiche, la filosofia, le arti... qualche volta anzi dipingo, male, ma mi piace». Che cos' è il cielo per il Nobel Giacconi? «Lo spettacolo più bello di cui l' uomo può goder e. E intanto pensare. Il cielo ci permette di credere in un certo ordine universale che purtroppo facciamo fatica a vedere sulla Terra. Ma il cielo è anche l' ispiratore di tutta la scienza. Gli antichi alzando gli occhi alle stelle hanno incominciato a porsi le prime domande sulla loro esistenza. Noi continuiamo». Giovanni Caprara _____________________________________________________ La Stampa 9 ott. ’02 «BASTA CON LA FUGA DI CERVELLI» I ricercatori si lamentano per gli esodi forzati La Moratti: il futuro è l´internazionalizzazione ROMA «Michelangelo diventò un grande artista perchè aveva un muro da dipingere. Io, quando ero in Italia, non avevo un muro ... Per questo, sono venuto via». Suonano come un atto di accusa, seppur mitigate dall´emozione del momento, le parole del neo premio Nobel Riccardo Giacconi. Già, perchè il Nobel a Giacconi è un riconoscimento indubbio alla scienza italiana, ma è una «bocciatura» del sistema-ricerca, i cui mali sono all'origine della fuga dei cervelli. Per lo meno così la pensa l'Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani (Adi), una delle organizzazioni più attive negli ultimi anni sui temi della ricerca e autrice di un rapporto sui «cervelli in fuga». «Non ci si può che rammaricare del fatto che Giacconi sia dovuto "fuggire" in America per trovare i finanziamenti e le strutture necessarie per le sue ricerche - dice l´Adi in una nota -. Se è vero che questo Nobel può essere letto come un apprezzamento per la cultura scientifica italiana, suona invece come una sonora bocciatura del sistema della ricerca italiana». Secondo l'Adi «oggi come allora troppi giovani cervelli italiani si trovano obbligati a "fuggire" all'estero o a rinunciare al loro sogno. Una situazione destinata a peggiorare, ove venissero attuati i funesti propositi del Governo di ricorrere sistematicamente al reclutamento tramite posizioni precarie di durata decennale e mal pagate». Rincara il Presidente della Provincia di Genova Alessandro Repetto: «Il riconoscimento non può far dimenticare che ancora una volta una mente brillante ha dovuto scegliere di lavorare in Usa anzichè in Italia. Questa deve essere un'ulteriore occasione per valutare il rischio che eventuali nuovi tagli alla ricerca, qualora fossero varati dal Parlamento, allontanino ancora di più i giovani scienziati e ricercatori dal nostro paese». «Il futuro della ricerca è nell'internazionalizzazione» replica il ministro dell´Istruzione, università e ricerca, Letizia Moratti. «L´impegno di Giacconi ci incoraggia a intensificare il nostro sforzo sulla via dell'internazionalizzazione della ricerca cui il governo affida un ruolo strategico per la modernizzazione della società». Come dire, è inutile pensare in termini nazionalistici in un mondo che va sempre più verso l´annullamento delle frontiere, almeno in campo culturale. s. n. _______________________________________________________ Corriere Della Sera 10 ott. ’02 IL MINISTRO: «MOBILITÀ DEGLI SCIENZIATI, NON FUGA» «Risorse, premi, età: così vince la ricerca Usa» Claudio Pellegrini (Università della California): «Italia provinciale e clientelare». Il ministro: «Mobilità degli scienziati, non fuga» Caprara Giovanni MILANO - Il Premio Nobel per la fisica assegnato martedì a Riccardo Giacconi è in un certo senso un riconoscimento al valore dei molti scienziati italiani «emigrati» negli Stati Uniti per poter affrontare, spesso con successo, il lavoro di ricercatore che l' Italia ha negato loro o ha reso quasi impossibile. Tra questi c' è Claudio Pellegrini, direttore del dipartimento di fisica all' Università della California (Ucla), oltre ad essere docente e noto studioso dei laser. Per le sue scoperte gli è stato attribuito il Wilson Price. Laureato in fisica a Roma nel 1958, dopo alcuni soggiorni in varie università americane, nel 1978 ha deciso di accettare l' invito dell' ateneo californiano a rimanere definitivamente. «Quando compii il grande passo - racconta - ero responsabile di ricerca all' Enea, non avevo problemi di fondi, ma per la burocrazia asfissiante non riuscivo ad assumere alcun ricercatore. Mi resi conto che stavo perdendo tempo e opportunità e quindi fatti i confronti scelsi gli Stati Uniti». Anche se in qualche raro caso non esiste il problema delle risorse, «quello dei finanziamenti è la prima differenza tra Italia e Stati Uniti - continua Pellegrini -. Non si può pensare di affrontare seriamente questo tema con le disponi bilità italiane». Ma questo è solo il primo aspetto che ci distingue e che ha spinto molti scienziati a rimanere Oltreoceano. Il secondo riguarda gli uomini. «L' Italia è diventata provinciale nel reclutamento - prosegue lo scienziato -. Negli Stati Uniti quando abbiamo bisogno di nuovi cervelli mettiamo annunci sui giornali americani e su molti stranieri e poi scegliamo le persone migliori. C' è un ricambio notevole. Tutto ciò non succede nella Penisola dove invece nelle università prevalgono i vecchi metodi clientelari. La popolazione dei ricercatori italiani è molto vecchia, quindi fuori gioco». Ma c' è un altro elemento che pesa sulla vita dello scienziato ed è la struttura nella quale lavora. «Qui da noi - dice - l' ambiente risponde alle necessità, non è burocratico e agevola le attività da compiere». C' è poi il riconoscimento delle capacità e dei risultati. «Da questo punto di vista - puntualizza Pellegrini - il sistema italiano è arcaico e non premia e non favorisce chi lo merita. Io conosco e ho rapporti con ottimi scienziati italiani che potrebbero rendere e produrre molto di più». Ci sono altri due temi caldi nel confronto Italia-Usa: il controllo e lo scambio dei cervelli università-industria. «In Italia quando uno diventa professore ordinario può smettere di lavorare se vuole perché nessuno gli chiede conto di ciò che fa. Negli States il meccanismo di verifica è ferreo e viene svolto anche sulla base dei giudizi degli studenti. Inoltre ogni tre anni un professore ordinario deve sottoporsi a un esame se vuole scalare i dieci livelli della carriera. Lo scambio continuo, infine, di cervelli tra università e industria fertilizza i due ambienti». Nel frattempo il ministro Letizia Moratti - ricordando l' incremento del fondo per facilitare il rientro degli scienziati italiani all' estero - ha precisato che «più che di fughe o rientri si deve parlare di mobilità». Ma se non si garantiscono i finanziamenti alla ricerca non si capisce che cosa possono ritornare a fare. Giovanni Caprara IL CONFRONTO Dopo l' assegnazione del Premio Nobel per la fisica a Riccardo Giacconi si è riaperto il dibattito sulla «fuga di cervelli» verso l' America. Ecco le differenze tra il sistema italiano e quello statunitense IN ITALIA 1 Il problema dei finanziamenti Le risorse sono il problema principale della ricerca italiana. La mancanza di fondi impedisce spesso il reclutamento degli scienziati migliori 2 La burocrazia e gli ostacoli In Italia il sistema della ricerca non favorisce lo scambio con il mondo del lavoro. Troppo burocratico, non permette ricambio e valorizzazione delle risorse 3 L' assenza di controlli Non esistono efficaci strutture di controllo sulle attività dei professori. Divenuti ordinari, potrebbero persino interrompere le attività di ricerca NEGLI STATI UNITI 1 L'accesso ai fondi per gli investimenti Sulla scorta di consistenti investimenti, negli Usa gli scienziati vengono reclutati in base alle loro qualità, garantendo il ricambio. Così l' età dei ricercatori si abbassa 2 Lo scambio continuo con le industrie Il ricambio continuo dei ricercatori statunitensi tra industria e università permette la formazione di un ambiente flessibile, capace di rispondere alle diverse necessità 3 Esami e verifiche ogni tre anni Negli Stati Uniti esiste un meccanismo ferreo per la verifica dell' attività dei professori. Ogni tre anni devono superare un esame, per proseguire la carriera accademica IL NOBEL PER LA FISICA LA VITA Riccardo Giacco ni è nato a Genova nel 1931 e si è laureato in fisica all' Università di Milano. La sue altre passioni: sci e auto con cui sfreccia nei campus (per questo gli amici lo chiamano «l' italiano selvaggio») LE SCOPERTE E' padre dell' «astronomia a raggi X » e dell' «astronomia ottica spaziale». Ha ricevuto il Nobel per la fisica _______________________________________________________ Il Tempo 10 ott. ’02 SUBITO LA RIFORMA DEGLI ISTITUTI DI RICERCA" Il ministro Moratti: "Ci sono risorse per la mobilità: stanno rientrando 100 ricercatori italiani" Gli scienziati chiedono di rivedere i finanziamenti previsti nella manovra. La "ricetta" di Sirchia per fermare la fuga dei cervelli di SARINA BIRAGHI PER combattere contro la scarsità di finanziamenti e le università baronali, i ricercatori italiani hanno sempre chiuso il talento in una valigia e sono emigrati all’estero. Fuga di cervelli si usa dire, emigranti di lusso, ma pur sempre migrazione. Problema che torna alla ribalta quando riceve il Premio Nobel uno scienziato di origine italiana che sta negli Usa da 40 anni, quando la Finanziaria del 2003 sembra una coperta un po’ corta e a tirarla resta scoperta un po’ di sanità e, forse, un bel pezzo la ricerca. Ma non è la prima volta, se come sostengono importanti associazioni di ricercatori, negli ultimi 30 anni l’Italia ha investito in ricerca meno della metà della media dei Paesi europei. "Se saranno approvati altri tagli sarà compromesso lo sviluppo del Paese. Senza fondi adeguati - sostengono - gli istituti di ricerca non possono lavorare e i ricercatori, già pochi, tenderanno sempre più a cercare all’estero migliori condizioni per applicare le proprie capacità. Risparmiare è uno spreco". Ne è cosciente lo stesso ministro della Sanità Girolamo Sirchia che sollecita l’approvazione in tempi rapidi della legge sugli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Ircs) per evitare la fuga dei cervelli. "Gli Ircs, che sono centri di eccellenza - ha detto Sirchia - vivono in una situazione di stallo da troppo tempo e c'è il rischio di perdere intelligenze che si sentono insicure. La riforma è dunque la strada per il rilancio strategico di questi istituti". Sulla stessa lunghezza d’onda dell’ematologo Sirchia, è il direttore generale della Fondazione Santa Lucia-Irccs di Roma: "La riforma degli Ircs prevista dal ministro della sanità risponde adeguatamente al problema, ma sarebbe importante prevedere di incrementare la presenza di ricercatori stranieri di valore in Italia per aggregare gruppi di ricerca e creare condizioni competitive e interessanti a livello internazionale". Secondo il ministro gli Irccs, che sono centri di eccellenza, "vivono in una situazione di stallo da troppo tempo e c'è il rischio di perdere intelligenze che si sentono insicure. La riforma è dunque la strada per il rilancio strategico di questi istituti". Questo perché si è creata una contrapposizione, a volte ideologica, tra il ruolo delle Regioni e il ministero da cui dipendono gli Ircs che ha portato ad una "grande sofferenza" per questi istituti. Dà manforte al ministro della Sanità il presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini affermando che "Sirchia è in trincea" e che i problemi che esistono in finanziaria saranno sollevati e approfonditi in sede parlamentare mentre si augura che sia possibile intervenire anche per portare i fondi per la ricerca al livello della media europea. Preferisce parlare di "mobilità" più che di fughe il ministro dell'Istruzione, università e ricerca Letizia Moratti che ha ricordato che è già attivo il fondo (pari a 40 miliardi di vecchie lire e quest’anno incrementato) per la "mobilità dei cervelli" e che circa 100 ricercatori italiani stanno tornando nel nostro Paese, molti dei quali proprio dagli Stati Uniti. E professori e ricercatori universitari, ma anche traduttori, interpreti e altre categorie di interesse strategico per il Paese, ha spiegato ieri il ministro per i Rapporti con il Parlamento Giovanardi, "saranno sottratti al sistema delle quote degli extracomunitari". _______________________________________________________ Il Messaggero 9 ott. ’02 E LA SCURE DELLA FINANZIARIA SI ABBATTE SULLA RICERCA di LUCA CIFONI NON sarà il bilancio dello Stato l’unico parametro per misurare l’impegno di un Paese per la ricerca; ma certo nelle leggi finanziarie italiane questa voce di spesa ha tradizionalmente il ruolo della Cenerentola. Ed è anche, un po’ paradossalmente, una delle vittime predestinate quando la situazione economica impone di calare la scure: se si incide sul presente strillano in molti, mentre il taglio del futuro provoca in genere proteste meno rumorose. In questo quadro anche la recente manovra economica per il 2003 ha visto ricerca e innovazione in posizione difensiva, impegnate più a respingere gli assalti che a guadagnare nuovi spazi. Visto che buona parte delle attività scientifiche dovrebbe nascere dagli atenei, o ruotare intorno ad essi, una voce fondamentale è il Fondo per il finanziamento ordinario delle università. Alla vigilia della riunione del Consiglio dei ministri che ha varato la Finanziaria doveva perdere 300 milioni di euro, circa il 5 per cento; alla fine il ministro Moratti è riuscito a limitare il taglio a poco più di cento milioni (quasi il due per cento). In compenso, il ministero dell’Università ha ottenuto un po’ di soldi freschi destinati specificamente alle attività di ricerca. Niente di trascendentale: 100 milioni di euro per il 2003, altrettanti per ciascuno dei due anni successivi. Ancora più magra la dotazione di un altro fondo, che serve a finanziare la ricerca applicata: 20 milioni il prossimo anno, 40 nel 2004 e nel 2005. Un altro dicastero interessato ai temi dell’attività scientifica è quello dell’Innovazione, guidato da Lucio Stanca. Per il 2003 ha strappato un fondo da 100 milioni destinato all’innovazione tecnologica nella pubblica amministrazione. In realtà però non si tratta di nuovi finanziamenti perché sarà costituito tagliando dell’8 per cento le spese tecnologiche dei singoli ministeri. Bocciato all’ultimo momento invece un analogo fondo, sempre da 100 milioni, destinato all’innovazione tecnologica generale del Paese. Bottino praticamente nullo infine per il settore militare e aerospaziale, tradizionale catalizzatore per varie attività di ricerca. _______________________________________________________ Il Messaggero 9 ott. ’02 LA RICERCA E’ NECESSITÀ, NON LUSSO di MASSIMO CAPACCIOLI* FINALMENTE un raggio di sole, dopo settimane di angoscia per le sorti della ricerca in Italia. Mentre il Governo medita di risparmiare sulla creatività e sembra deciso a perdere a priori la scommessa sul futuro, tagliando i già risicati fondi assegnati alla scienza e alla formazione universitaria, e mentre il ministero dell'Istruzione confeziona nel più assoluto riserbo una riforma degli enti di ricerca, e del Cnr in particolare, che suscita gravi preoccupazioni ed un crescente malumore tra gli addetti ai lavori, un astrofisico italiano, Riccardo Giacconi, viene premiato con il Nobel, il riconoscimento più prestigioso e ambito tra quelli destinati agli scienziati. Ma il contrasto, ahimé, è solo apparente. Giacconi ha infatti lasciato l'Italia oltre quarant'anni fa, poco dopo la laurea, e da allora ha sempre lavorato all'estero, per lo più negli Stati Uniti. Il premio che gli rende onore è il frutto del felice connubio tra le qualità di uno scienziato acuto e appassionato, che è anche manager rigoroso, determinato e di vasta esperienza internazionale, l'eccellenza della scuola italiana di fisica, che perdura a dispetto di grandi difficoltà, e le opportunità offerte alla scienza oltre oceano, dove la ricerca, anche quella di base, è vissuta come una necessità piuttosto che sopportata come un lusso. La fortuna scientifica di Giacconi incomincia a Cambridge, Massachusetts, presso l'American Science and Engineering, un'azienda specializzata in ricerca fondamentale e caratterizzata da una straordinaria capacità di trasferimento tecnologico. Lì, nel gruppo di Bruno Rossi, un altro grande italiano costretto ad emigrare dalle leggi razziali, vengono poste le basi dell'astronomia dei raggi X: una nuova finestra sul cosmo foriera di straordinari sviluppi. In soli tre anni, grazie ad uno strumento innovativo montato su un razzo Astrobee, il team scopre nella costellazione dello Scorpione la prima sorgente di radiazione X esterna al Sistema Solare. Tutti sapevano che il Sole produce anche fotoni X, molto energetici ma rarissimi, e dunque nessuno si aspettava di poter osservare sorgenti milioni di volte più lontane della nostra stella, e migliaia di miliardi di volte più deboli. Ma la natura aveva in serbo, per la squadra di Giacconi, la prima di innumerevoli sorprese: una macchina celeste ben più efficiente del Sole nel produrre raggi X, fatta da un astro che trasferisce materia sopra un compagno degenere, una stella di neutroni o un buco nero. Il successo clamoroso viene bissato di lì a poco dalla messe di scoperte fatte dal satellite Uhuru (“Libertà", in lingua swahili), il primo vero esploratore del cielo X. Chiamato all'Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, Giacconi guida la progettazione, realizzazione e successivo sfruttamento scientifico di un osservatorio orbitante per raggi X ancor più potente di Uhuru. Sarà chiamato Einstein per significare il ruolo chiave assunto dall'astronomia X nello studio delle maggiori strutture cosmiche, le galassie e gli ammassi di galassie: questi sistemi di stelle vivono spesso immersi in aloni di gas caldissimo che emette grandi quantità di fotoni X. Primo direttore, dal 1981 e per 12 anni, dell'istituto che da Baltimora gestisce il telescopio spaziale Hubble, poi direttore generale dell'Osservatorio Europeo Australe che ha realizzato a Cerro Paranal, sulle Ande cilene, il più grande osservatorio astronomico sulla Terra, e finalmente, dal 1999, presidente dell’Aui, un'organizzazione che gestisce l'Osservatorio radio-astronomico nazionale statunitense, Giacconi ha saputo conservare intatta la voglia di fare ricerca e la curiosità di conoscere. A lui vanno i nostri più sinceri complimenti per il meritatissimo riconoscimento; a noi l'augurio che il suo successo — quello di un grande italiano all'estero — convinca il Governo a cambiare rotta prima che sia davvero troppo tardi. * Ordinario di Astronomia dell’Università di Napoli “Federico II" e direttore dell'Osservatorio astronomico di Capodimonte-Inaf, Napoli _______________________________________________________ Il Tempo 10 ott. ’02 RICERCA. ALL’UNIVERSITÀ DI URBINO IL PRIMATO DELLA QUALITÀ L'ATTIVITÀ di ricerca dell'Università di Urbino ha il più alto indice di impatto tra gli atenei italiani, il rapporto cioè tra il numero di pubblicazioni scientifiche prodotte e le citazioni da queste ricevute, che viene comunemente considerato un indicatore di qualità della ricerca. Il dato - emerso da un'indagine effettuata dalla Conferenza dei rettori delle Università Italiane (Crui) - posiziona l'Università urbinate su valori superiori alla media europea e a quella statunitense. Gli autori dello studio, Brenno, Fava, Guardabasso e Stefanelli hanno analizzato la produzione scientifica dell'ultimo quinquennio, utilizzando la banca dati dell'Institute for Scientific Information (Isi) di Philadelphia. Il risultato attribuisce all'ateneo urbinate un indice di 6,73 che lo piazza al primo posto assoluto tra le università italiane, ma anche in una posizione particolarissima nello scenario nazionale e internazionale. L'impatto medio complessivo della produzione scientifica nazionale nello stesso periodo risulta pari a 3,96, non lontano dal valore medio europeo, mentre il valore medio di impatto della ricerca statunitense è di 5,46. _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 10 ott. ’02 SASSO: VERSO UNA SCUOLA PER POCHI Alba Sasso, parlamentare diesse, parla dei rischi contenuti nella riforma Moratti «Impensabile pianificare il proprio futuro a 14 anni» di Marianna Contu Un tailleur nero portato con stile. Un foulard arancione annodato al collo. L'aspetto è molto informale, lo stile impeccabile e la parlata pacata e calda. Si presenta così Alba Sasso, parlamentare Ds e membro della Commissione Cultura e Istruzione della Camera dei Deputati che lunedì scorso ha tenuto, nell'aula magna dell'università di Sassari, un dibattito dal titolo «L'istruzione è un diritto?». Un argomento attuale, quello oggetto del convegno. E infatti l'aula magna era colma. Segno di una proccupazione diffusa. Il rischio è che la scuola come luogo della cittadinanza e dell'uguaglianza delle opportunità ceda il passo ad un modello destinato a riprodurre gerarchie sociali. La sala era gremita non solo di insegnanti, di politici e di sindacalisti, ma anche di tanti studenti, che hanno preso la parola per far sentire la loro voce. Alla fine della conferenza abbiamo sentito Alba Sasso. - Onorevole Sasso, che cambiamenti vede nel mondo della scuola? «Da anni vivo con passione questa esperienza meravigliosa che è la scuola. Ho dato sempre il meglio per questo mondo che, ormai, è la mia esistenza. Ora però, con la riforma Moratti, vedo con dolore che le cose stanno precipitando. Vanno in questa direzione, ad esempio, il progetto di riforma della scuola dell'infanzia e delle elementari, la sospensione della legge sull'obbligo scolastico e la riduzione degli spazi di partecipazione previsti nei disegni di legge sugli organi collegiali. Senza contare, naturalmente, la realizzazione del progetto Bertagna». - Esattamente in cosa consiste? «Si tratta dell'idea che sta dietro la riforma, il primo passo indietro verso la diminuzione della scuola dell'obbligo. Praticamente, il governo vorrebbe introdurre la scelta, a soli 14 anni, del futuro lavorativo o scolastico dello studente. In poche parole, finita la terza media, il giovane, immaturo e spesso incosciente, si ritrova a dover scegliere tra un percorso liceo-università e l'istruzione professionale. In sostanza, a soli 14 anni deve pianificare la sua vita futura». - Questo, a suo parere, cosa comporterebbe? «Naturalmente ridurrebbe i tempi e la qualità dell'istruzione uguale per tutti». - La riforma Berlinguer aveva tutto un altro impianto... «La riforma Berlinguer era fondata su una visione molto diversa della scuola. Il ministro Moratti va in una direzione completamente opposta». - Che consiglio darebbe ai ragazzi, agli studenti? «Direi loro di studiare. La vita, anche quella scolastica, ha bisogno di scelte. Loro devono farle nella maniera più consapevole possibile e darci una mano. Solo così potremo vincere una battaglia che sarà molto dura». _______________________________________________________ L’Unione Sarda 09 ott. ’02 DUE MILIONI DI EURO PER COPRIRE LE NECESSITÀ DELL’UNIVERSITÀ DI CAGLIARI Iniziativa di Avanguardia studentesca Forza Italia e Riformatori: subito due milioni poi una legge speciale Un fondo una tantum di due milioni di euro per coprire le necessità impellenti dell’università e scongiurare l’aumento delle tasse agli studenti. Poi un progetto di legge che istituisca un fondo speciale finalizzato a potenziare i servizi agli studenti da destinare agli atenei di Cagliari e Sassari. I rappresentanti di Avanguardia studentesca (ex allievi di Don Bosco) chiamano, i Riformatori e Forza Italia rispondono. E promettono interventi concreti per "rendere più accessibili e qualitativamente migliori" le fucine della formazione. L’impegno formale è stato assunto ieri mattina da Pietro Pittalis, consigliere regionale, ex assessore alla programmazione e attuale portavoce degli azzurri e da Massimo Fantola, leader dei Riformatori sardi. Il primo passaggio - hanno garantito - sarà la presentazione di un emendamento alla Finanziaria che contenga lo stanziamento dei due milioni di euro che il rettore, Pasquale Mistretta, ha intenzione di chiedere agli studenti attraverso un aumento delle tasse e l’introduzione dei contributi di facoltà. La seconda fase è più organica: un progetto di legge che istituisca un fondo finanziario per il potenziamento dei servizi agli studenti degli atenei di Cagliari e Sassari. "Un obiettivo", hanno detto Fantola e Pittalis, "sul quale vorremmo coinvolgere tutti i partiti rappresentati in consiglio". Difficile alla vigilia di una possibile crisi dagli effetti incerti, ma questo è l’impegno "al quale deve corrispondere quello del sistema universitario sardo a considerare di più le esigenze degli studenti". Federico Ibba, presidente dell’associazione studentesca, incassa il successo: "I finanziamenti della Regione all’università sono destinati a diminuire da 7,8 a 4,4 milioni, come i trasferimenti dello Stato, mentre la voce "spese per il funzionamento degli organi universitari e adeguamento degli stipendi" non è mai stata compensata dal budget ministeriale finendo per erodere i fondi destinati ai servizi agli studenti. Questo giustificherebbe l’aumento delle tasse. Ma, con l’aiuto della Regione, lo eviteremo". Un’identica proposta era stata avanzata la settimana scorsa da Insieme per l’università e raccolta da Paolo Fadda, capogruppo del Partito popolare. "La Regione deve investire di più nella formazione", ha sostenuto Giuseppe Frau, leader dell’associazione studentesca. "Auspichiamo che il nostro appello venga accolto concretamente e porti all’approvazione di un fondo speciale. Nei prossimi giorni chiederemo un incontro con i capigruppo in consiglio regionale e con il presidente Pili". F. Ma. _____________________________________________________ La Stampa 6 ott. ’02 LA BOSSI-FINI BLOCCA IL LUMINARE AMERICANO ALLA FRONTIERA PROFESSORE AMERICANO CONTATTATO DAL POLITECNICO DI TORINO. IL MINISTERO: VISTO SOLO SE LO ASSUMETE TORINO IL professore era stato invitato dal Politecnico di Torino per un anno, in virtù della legge che concede fondi per il rientro in Italia di cervelli o per l´«importazione» di grandi scienziati stranieri: l´ateneo aveva per questo ottenuto anche uno specifico finanziamento dal ministero dell´Università. Ma il luminare dell´ingegneria civile è stato respinto al consolato italiano, che gli ha negato il visto trattandolo alla stregua di un vu´ cumprà. «Potete farlo venire in Italia - hanno spiegato all´ateneo dal ministero degli Esteri - solo se lo assumete con un rapporto di lavoro subordinato. Per i lavoratori autonomi, come sarebbe questo signore, il rilascio dei visti di lunga durata è sospeso». Vittima del paradosso della legge Bossi-Fini è un professore della «Northeastern University» di Boston, il dominicano Dionisio Prospero Bernal Nadal, membro dell´Asce (l´American Society of Civil Engineers), chiamato al «Poli» dal dipartimento di Ingegneria strutturale. Mesi fa, quando il rettore Giovanni Del Tin aveva presentato la richiesta al ministero dell´Università, il dicastero di Letizia Moratti aveva valutato sia i meriti scientifici del docente, sia la validità della ricerca che avrebbe svolto in Italia: il risultato era stato un finanziamento di 75 mila euro per uno studio sulla diagnostica delle strutture. L´ateneo, così, ha chiesto e ottenuto il via libera della Direzione provinciale del lavoro e della questura. «Quando il docente s´è presentato al consolato generale d´Italia a Boston per il visto - spiega Anna Maria Gaibissso, direttore amministrativo del Politecnico - gli hanno risposto che, "in virtù dell´inderogabile sospensione dei visti di lunga durata per il lavoro autonomo", la sua richiesta non poteva essere accolta "per indisponibilità del tipo di visto richiesto"». Che fare? Impossibile assumere lo scienziato, per altro già dipendente della sua università (sarebbe venuto in Italia profittando dell´anno sabbatico). L´ateneo, che gli aveva proposto una «collaborazione coordinata e continuativa», ha provato a insistere. Niente da fare. «E´ paradossale - dicono i docenti del dipartimento di Ingegneria strutturale -: il professor Bernal ha già pagato la caparra per un appartamento a Torino e ceduto in affitto la sua casa di Boston. Gli è anche stato dimezzato lo stipendio negli Usa, come previsto in questi casi». Marco Mezzalama, il prorettore del Politecnico, precisa: «Non vogliamo innescare una polemica politica: il punto non è se tutto ciò sia frutto della Bossi-Fini, o se si sarebbe verificato anche con le vecchie regole. Di sicuro, però, è impensabile operare per favorire la mobilità internazionale di cervelli, e impedirne di fatto l´ingresso ponendo ostacoli burocratici». Secondo Anna Maria Gaibisso la soluzione potrebbe essere vicina: «Al ministero dell´Università ci hanno assicurato aiuto». Ma Alessandro De Stefano, dal Dipartimento di ingegneria strutturale invoca «una procedura codificata e inequivocabile per gli studiosi in arrivo dal´estero. Non possiamo finanziare progetti di ricerca per avere in Italia persone cui poi sbarriamo le porte». Guido Fiegna, responsabile del Nucleo programmazione e sviluppo del Politecnico, ricorda che «gli scienziati non sono mai stati inclusi in norme restrittive sull´immigrazione: persino durante la guerra fredda era consentita la circolazione di studiosi cinesi o russi». E per Mezzalama, «al di là del caso specifico, occorrerebbe prevedere in questi casi corsie preferenziali: siamo stati costretti a creare un ufficio per i rapporti con la questura a causa degli ostacoli che incontriamo quando arrivano studenti e dottorandi extracomunitari. E´ giusto che una nazione si tuteli dagli indesiderati, ma occorre porre le università e le aziende in condizione di attrarre e accogliere chi può fornire un contributo alla crescita culturale del Paese». Giovanna Favro _______________________________________________________ L’Unione Sarda 08 ott. ’02 CAGLIARI: LA FACOLTA’ DI ECONOMIA ULTIMA IN ITALIA Vi spiego perché “Economia” è l’ultima in Italia Quando l’anno scorso frequentavo le lezioni di Statistica alla facoltà di Economia di Cagliari il professore si stupiva del fatto che la nostra Facoltà, secondo le graduatorie, fosse all’ultimo posto in Italia. Dopo un anno passato in quelle aule ho capito il perché. Mi chiedo se sia giusto che per trovare un posto libero per seguire una lezione sia necessario arrivare due ore prima. Dico due ore, perché ce ne vuole una per cercare parcheggio; l’altra perché, essendo 500 le matricole e contenendo l’aula 200 posti, se vuoi seguire la lezione ti tocca aspettare in piedi fuori dall’aula chiusa, aspettando che, due minuti prima della lezione, i bidelli aprano le porte prese d’assalto, e col rischio di prendere spintoni e farsi parecchio male. Qualche volta invece mi è capitato di dover stare tutto il giorno in Facoltà perché le lezioni avevano orari assurdi e allora decidevo di trattenermi in biblioteca a studiare. Ma anche lì trovare un posto era più un miraggio che qualcosa di fattibile. Infine, per un’intera settimana ho perso tempo per andare in Facoltà a informarmi sugli orari delle lezioni che dovevano avere inizio il primo ottobre. Il lunedì mi è stato detto di passare martedì in tarda mattinata, oppure mercoledì. Così son tornata mercoledì, convinta di trovare finalmente le informazioni che mi servivano; ma mi è stato detto di tornare giovedì. Il giorno dopo ho fatto un nuovo tentativo, ma logicamente non si sapevano ancora gli orari. Mi è stato detto di tornare sabato sul tardi o lunedì. In pratica, per “gentile concessione” avremmo conosciuto gli orari delle lezioni solo il giorno prima dell’inizio. Beh, per chiudere questa lettera vi pongo un altro interrogativo. Ho concluso il primo anno dando tutti gli esami entro luglio, con una buona media, ma dopo aver fatto più volte file all’Ersu per consegnare i moduli per la borsa di studio, ho potuto constatare con disappunto che ero stata esclusa dalle graduatorie perché il reddito della mia famiglia supera il limite massimo. Mi chiedo: è giusto premiare studenti che in un anno danno un solo esame con un 18 e non dare nemmeno una riduzione delle tasse agli studenti più meritevoli, ma penalizzati perché, come dicono, «troppo ricchi per borse di studio»? Le tasse continuano ad aumentare, noi continueremo a pagarle, ma che non ci si stupisca se il nostro ateneo è all’ultimo posto e se i giovani sardi, giustamente, decidono di affidare la loro preparazione a chi offre servizi migliori. Lettera firmata _______________________________________________________ L’Unione Sarda 12 ott. ’02 MISTRETTA: «SE NON VI SPIACE, SONO IL MIGLIORE» L’intervista. Il rettore a ruota libera sui problemi dell’università, dalle tasse ai mancati sponsor «Se non vi spiace, sono il migliore» Pasquale Mistretta: affronto le elezioni senza paura A settant’anni ha un desiderio irrefrenabile: continuare a fare il rettore a lungo, certamente per un altro mandato, cioè sino al 2006. Cagliaritano verace, laurea in ingegneria civile-edile nel ’55, autore di valanghe di pubblicazioni e piani urbanistici, Pasquale Mistretta, sposato, due figli, ama le sfide. Ottimo canottiere negli anni ’50, dieci anni dopo presidente della Federazione italiana di atletica leggera, poi della Rari Nantes e (vice) dell’Amsicora, negli anni ’80 è stato segretario provinciale del Partito socialista, della Cisl università e presidente dell’opera universitaria (oggi Ersu). Ordinario di urbanistica alla facoltà di ingegneria, nel ’91 viene eletto rettore al posto di Duilio Casula e due anni dopo si dimette dal Psi. Dopo due mandati alla guida dell’ateneo, nel ’98 ha proposto e ottenuto una deroga allo statuto garantendosi la terza rielezione a rettore. L’anno scorso è stato candidato a sindaco con l’Ulivo ed è consigliere comunale. Magnifico, allora si ricandida? «Se me lo consentiranno sì, ma sia chiaro: non voglio proroghe di mandati, voglio affrontare le elezioni senza paura». Dieci anni alla guida dell’università non sono abbastanza? «E perché? Ho 70 anni ma sono motivatissimo, mi sento competitivo nei confronti dei miei studenti, ho la capacità di gestire con eleganza ciò che entra ed esce da questa stanza, ho sempre agito con trasparenza anche sulle questioni dell’edilizia, ad esempio quando in piena tangentopoli ho guidato una transazione da 18 miliardi sul Policlinico». Insomma, lei è il migliore... «Scusate la presunzione, ma conosco la macchina alla perfezione, riesco a vedere le cose trenta secondi prima degli altri, ho il senso delle decisioni, ho realizzato la democrazia tra gli studenti perché ho sempre avuto la pazienza di ascoltarli e di alzare la voce, ma con coerenza, quando è stato necessario, ho costruito rapporti leali con i dipendenti con il massimo senso di responsabilità sia in sede di contrattazione che informalmente». Quando chiuderà la partita? «Presto, al massimo tra un mese e mezzo. Perché prima di fare la programmazione devo sapere con certezza se sarò ancora il rettore o no». Vuol dire che se sarà rettore farà bene, in caso contrario no? «Non scherziamo, in ogni caso lavorerò sino all’ultimo giorno. Ma è chiaro che se avrò garanzie potrò assumere rischi che non correrei se sapessi di non essere confermato». Cioè? «Se accendo un mutuo gravoso ad esempio per realizzare opere edili, un conto è se mi assumo le responsabilità di coprirlo nella mia gestione, diverso è se lascio il peso in eredità al mio successore». Tutti, anche i suoi amici, l’accusano di essere un accentratore. «Vero, ma in un sistema così complesso con facoltà, dipartimenti, corsi, consiglio di amministrazione, senato accademico e senato allargato è difficile arrivare a sintesi coerenti tra loro perché entrano in gioco diversi interessi culturali e accademici». Già, ma questa è la democrazia. «Scusi, se ai sindaci e ai governatori è stato dato tanto potere sulle rispettive assemblee vorrei capire perché per un rettore dovrebbe essere diverso». Collaboratori? «Li ho. Il professor Nurzia mi assiste sulle politiche comunitarie, Fanfani per i rapporti con i paesi terzi, Solinas su “Campus one”, Racugno per formazione del personale e orientamento, Anedda per il presidio di Monserrato, Dessì per Interreg, Usai e Ciarlo stanno collaborando al nuovo statuto, ma ce ne sono altri». Veniamo ai problemi dell’università: docenti e studenti le chiedono il decentramento sul budget. «È una questione troppo complessa, politica e tecnica, perché se io oggi dò 10 a qualcuno e 5 all’altro quando uno dei due finisce i soldi io non ne ho più. Preferisco accentrare e tenere riserve da parte applicando una sorta di principio dei vasi comunicanti, usando l’assestamento per le compensazioni». Tema spinoso, le tasse. Ha annunciato l’aumento e gli studenti l’hanno contestata. Poi sono arrivati Riformatori e Forza Italia a dirle: le diamo i soldi che le servono per scongiurare gli aumenti. «A parte il fatto che un conto è promettere, l’altro e concretizzare, lei conosce come funziona la spesa della regione? Ammesso che il contributo, che comunque non accetterei, passasse in finanziaria, dovrei attendere marzo o aprile dell’anno prossimo per avere soldi che mi servono subito. Poi c’è un altro problema: per me l’aumento delle tasse è una questione culturale e politica. Chi gode di servizi li deve pagare, non si può andare avanti a fornire servizi a costo zero». Gli studenti dicono il contrario, che i servizi sono carenti. (Prende una cartella e mostra documenti con i corsi allestiti nelle varie facoltà). «E questi che cosa sono? Servizi sino ad ora forniti gratis. Non capisco perché gli studenti spendono soldi per la pizzeria e per il telefonino e non vogliono pagare un piccolo aumento alle tasse più basse d’Italia». Scusi, ma perché non le ha aumentate di poco ma ogni anno? «Perché sono un ottimista e sapevo di poter contare ogni anno su risorse, gli avanzi di amministrazione, che mi consentivano comunque di crescere. Chi mi critica su questo avrebbe potuto proporre gli aumenti anno per anno e non l’ha fatto». Ma perché ha tagliato i servizi dal bilancio di previsione? «Perché sono stati tagliati i trasferimenti e le spese obbligatorie sono aumentate. Gli stipendi, ad esempio, sono cresciuti quest’anno del 4,3 per cento. Se non pago i dipendenti è un fatto grave, se riduco gli stanziamenti per Erasmus non muore nessuno». I i soldi ai disabili? «Quelli li abbiamo trovati. Non ci sarà alcun taglio». Dicono che anticipare la riforma di un anno sia servito a migliorare l’immagine ma abbia prodotto scompensi, più corsi ma meno aule e biblioteche. «È uno dei casi in cui ho rischiato. Ma, a parte i locali, sul piano didattico funziona tutto abbastanza bene. In medicina i laureati in sette anni sono cresciuti in tre anni dal 148%, diminuiscono i fuori corso. I locali sono aumentati, è chiaro che se avessi duemila posti a sedere anziché mille sarei più contento». Non la imbarazza il sostegno di due partiti in un periodo, per lei, di campagna elettorale? «No, perché il sostegno di cui godo è trasversale e nasce dal modo in cui mi sono comportato in questi anni. Ho sempre rispettato le istituzioni e preso in considerazione le istanze con distacco totale da bandiere politiche e sindacali». Non negherà di fare figli e figliastri sui finanziamenti per la ricerca? «Falso e le spiego perché. Prima i finanziamenti venivano erogati all’ateneo e da lì si potevano distribuire a pioggia. Ora il ministero finanzia progetti nazionali e internazionali e le selezioni vengono fatte da commissioni che non conoscono i candidati. Poi i soldi arrivano dai Por e dal Cnr. Insomma, le risorse bisogna saperle trovare con progetti validi». E la famosa quota del 60 per cento? «Non è un regime, ma un aiuto estemporaneo ai meno bravi che poi devono concorrere come gli altri». Lei è bravo a trovare finanziamenti statali, meno a trovare sponsor privati. Eppure, secondo la riforma, parte dei finanziamenti si devono trovare così. «Abbiamo rapporti forti con le due aziende leader, la Saras e Tiscali». Ma solo per la formazione e la ricerca. «È impensabile nello scenario sardo chiedere alle imprese di sponsorizzare l’università senza un ritorno. Accontentiamoci di tirocini e borse, del resto chi si fa apprezzare in azienda può essere assunto. E questo è già un risultato». Faccenda Policlinico: l’accusano di aver buttato all’aria 31 miliardi che non rientreranno mai. «Innanzitutto sono 15 e sono soldi che abbiamo anticipato e che la Regione ci deve restituire. Il problema è legato esclusivamente ai ritardi della Regione». E la nomina dei manager? La direttrice non doveva stare in carica per due mesi «Sino a quando non sigleremo il protocollo di intesa io sono l’unico responsabile del Policlinico, devo garantire stipendi, didattica, ricerca». Già, il protocollo, di chi è la colpa? «Non è nostra, è un problema politico che riguarda tutta l’Isola. Si tratta di stabilire il budget da assegnare agli ospedali sardi». Insomma, non ha compiuto nessun errore? «E chi non li commette? Ma ho la coscienza a posto e credo di aver agito bene e nell’interesse di tutti». Fabio Manca _______________________________________________________ L’Unione Sarda 10 ott. ’02 M.MARROSU A FAVORE DI MISTRETTA: «BUONI RISULTATI CON POCHI SOLDI» «Se devo muovere una critica al mio rettore dico che lavora troppo in solitudine e questo egoismo ha prodotto incomprensioni sul suo operato. Ma ha lavorato bene, ha avuto il coraggio di creare nuove facoltà e nuovi corsi, ha promosso l’università diffusa, ha potenziato le facoltà-cenerentola, come quelle umanistiche, ha investito sull’edilizia come nessun altro, ha aperto la cittadella e il Policlinico rischiando. Tutto questo mentre diminuivano progressivamente i trasferimenti statali e regionali assieme all’attenzione per tutto ciò che è cultura». A dire che l’università tutto sommato funziona e a difendere Pasquale Mistretta non è un docente ambizioso, dunque accondiscendente e allineato, ma una donna mai omologata all’estabilishment, mai appiattita su posizioni comode e opportuniste che pure nel suo settore ha raggiunto l’eccellenza e il prestigio internazionale. Nessuno può dire il contrario di Marisa Marrosu, docente di neurofisiopatologia, direttrice del Centro per lo studio e la cura della sclerosi multipla, uno dei pochi al mondo dove si affronta con il trapianto una malattia grave quanto diffusa nell’isola. «Il fatto è», dice, «che la cultura in Italia e in Sardegna è considerata merce di serie B ed è per questo che soldi ce ne sono sempre di meno. Contestualmente è difficile creare rapporti anche economici con le aziende del territorio, come prevede la riforma che individua in questi rapporti una delle forme di autofinanziamento, perché ce ne sono poche. Per questo credo che se il Governo e la Regione non si renderanno conto di ciò che rappresenta l’università decideranno di investire non si andrà avanti. L’università è un patrimonio, un bene pubblico. Provate ad immaginare che cosa sarebbe l’Isola senza: un deserto. E non invidio il rettore, o chi eventualmente gli dovesse succedere, che deve fare i salti mortali per far quadrare il bilancio, anzi credo che ciò che ha fatto sia un miracolo. E trovo ingiusto che lo si contesti perché intende aumentare le tasse. Che cosa dovrebbe fare visto che il costo dell’università cagliaritana è tra i più bassi in Italia, le tasse sono bloccate da otto anni e soldi non ne arrivano? Se è giusto che prosegua il suo mandato? Fossi al suo posto lotterei per continuare, per lanciare la Cittadella e il Policlinico, che sono la punta di diamante dell’università e non ci sarebbero se questo rettore non avesse avuto coraggio. Bisogna vedere se se la sente di andare avanti in una situazione così pesante. Auguri». F. Ma. _______________________________________________________ L’Unione Sarda 10 ott. ’02 PINTOR CONTRO MISTRETTA: «NON SIAMO COMPETITIVI» «Lo dico subito, la mia non è una candidatura a rettore. Individuo carenze e faccio proposte. Le mie sono critiche a un ateneo che funziona male, un “Sahara desolante” che deve cambiare. Non mi piace questa università, non mi piace essere ultimo». Quelle di Carlo Pintor, direttore del dipartimento di scienze pediatriche, più che accuse alla gestione del rettore, sono addebiti a un sistema «che non garantisce un futuro agli studenti», «incapace di inserirli nella realtà europea», «inadeguato alle esigenze del mercato del lavoro», che genera «un esercito di non forze lavoro», ma anche «adolescenze dilatate, esauste, frustrate» e crea «ripercusioni patologiche come depressione, nevrosi, suicidi in percentuale sempre maggiore». Un approccio sociologico, il suo. Con una premessa al vetriolo. «L’università si è suicidata negli anni ’80 quando troppi docenti furono promossi “ope legis” e furono occupati tutti i posti disponibili precludendo la possibilità di future assunzioni. Un errore ripetuto negli anni successivi. Ma voglio parlare dell’università con un obiettivo prioritario: il futuro degli studenti. La premessa è obbligata: la qualità del sistema formazione è agli ultimi posti in ambito nazionale e il panorama tra dispersione, abbandoni e fuori corso è disastroso. Siamo poco competitivi sia in campo umanistico che scientifico, sono quasi inesistenti i rapporti tra scuola superiore e università e così gli sbocchi professionali, i legami con il mercato. Mi chiedo: noi formatori siamo all’altezza? Siamo scientificamente e didatticamente adeguati alle esigenze del mercato del lavoro? Ho forti dubbi. Siamo davanti ad un’adolescenza dilatata: ci si laurea a trent’anni, dieci anni dopo che nel resto d’Europa, crescono i disoccupati con un pezzo di carta. I ragazzi gravitano senza indicazioni chiare e spesso senza riferimenti. Disarmante. La correlazione tra incapacità di formare e violenza nera con al centro i giovani sempre prima pagina è sempre più evidente. Anche per questo l’università, ma dico tutto il sistema formativo, deve cambiare. Bisogna rimodulare nei dettagli l’offerta formativa di concerto con la scuola primaria, la famiglia, le istituzioni. Creare un tavolo, aprirsi, non chiudersi nel castello. Solo così riacquisteremmo credibilità. Se non seguiremo questa strada, se le cose non miglioreranno, me ne andrò sbattendo la porta. Non voglio più stare in un’università così». F. Ma. _______________________________________________________ L’Unione Sarda 8 ott. ’02 SANTA CRUZ: UN RIVALE PER IL MAGNIFICO Partita la corsa al Rettorato, Pasquale Mistretta punta al quarto mandato La sfida di Beppe Santa Cruz: basta con gli sprechi Mentre si gioca la partita delle tasse, che oppone Magnifico e studenti, all’università è in corso un altro match. Anzi, una partita a scacchi prima sotterranea, ora alla luce del sole: quella per il rettorato. Pasquale Mistretta, al governo dall’anno accademico ’91 - ’92 e in scadenza a maggio 2003, punta con decisione al quarto mandato. Ma per garantirselo (le candidature devono essere formalizzate sei mesi prima) ha bisogno della seconda modifica statutaria che proporrà all’ordine del giorno del senato accademico nelle prossime settimane e sulla quale sta già lavorando da tempo. I suoi più stretti collaboratori sostengono che desidererebbe portare a compimento i progetti di sviluppo dell’edilizia dell’università diffusa sui quali ha ricevuto il plauso del ministro Moratti. Ma c’è chi dice basta, promette battaglia e si candida alla sua successione puntando sul voto degli oppositori: è Giuseppe Santa Cruz, 57 anni, ordinario di anatomia e istologia patologica e direttore della scuola di specializzazione in medicina legale. Dice di essere il primo a tentare di rompere la dittatura di Mistretta e rivela che «certamente altri seguiranno». Intanto annuncia il suo manifesto: lotta agli sprechi, nomina dei manager e valorizzazione del Policlinico, introduzione della meritocrazia «un concetto sconosciuto da troppi anni», sostiene. Sulla ricandidatura di Mistretta preannuncia «ferma opposizione» e, intanto, si schiera al fianco degli studenti contro l’aumento delle tasse. Premette: «La mia candidatura è nata perché un gruppo di amici-docenti me lo ha chiesto ritenendomi persona credibile alla luce del mio curriculum professionale e alla mia distanza da tessere e partiti». E tiene subito a chiarire che «sarebbe pericoloso se passasse il metodo delle modifiche statutarie per allungare i mandati. Sarebbe la fine della democrazia, si darebbe troppo potere ai maggiorenti. Il problema», dice, «è che non si vuole che emerga il dissenso. E temo che per evitare lo scontro, il rettore possa provare a modificare lo statuto non tanto portando i mandati da due a quattro, il che lo esporrebbe comunque al giudizio degli elettori, ma prolungando la durata di ciascuno da tre a cinque anni. Significherebbe evitare le urne e l’emersione del malcontento». È possibile, si dice, che l’opzione venga estesa ai presidi e ai direttori di dipartimento. Santa Cruz non lo esclude: «Sarebbe un modo per garantirsi i loro voti», ipotizza. E promette: «In ogni caso non ritirerò mai la mia candidatura anche se qualcuno ha tentato di farmi desistere» Ipotesi a parte, l’anatomopatologo pone problemi concreti. Come quello del Policlinico, «un gioiello dalle potenzialità enormi che produrre utili grazie a medici e paramedici di prim’ordine, ma che non decolla e mangia soldi. L’ateneo», rivela, «si è esposto nei confronti del Policlinico per 31 miliardi di lire. E non essendo mai stato siglato il protocollo di intesa con la Regione, questi soldi non rientreranno mai, almeno non tutti. Lo dice anche il rettore. E allora perché aumentare le tasse e far cadere sugli studenti il peso di questo buco senza offrire servizi in cambio? Perché», si chiede Santa Cruz, «il direttore del policlinico che doveva stare in carica per due mesi a partire dal primo marzo 2001, come testimonia il decreto di nomina del Magnifico, è ancora al suo posto? Non crede, il rettore, che la struttura di Monserrato meriti una gestione manageriale? La Regione non fa che sollecitare la costituzione degli organismi del policlinico, lo stesso direttore amministrativo, Ennio Filigheddu, sollecita la firma del protocollo d’intesa. Perché la vicenda non si chiude? Io un’idea ce l’ho, ma non la rivelo. So solo che la soluzione del nodo-Monserrato è determinante per le sorti dell’Ateneo Santa Cruz dice di avere un sogno: «creare un’università aperta, dove tutti siano valorizzati quanto meritano. Mistretta ha fatto bene nei primi anni, poi è stato un decrescendo continuo. È il momento di cambiare». Fabio Manca =========================================================== _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 7 ott. ’02 NOBEL MEDICINA: RICERCA IL SEGRETO DELLA MORTE DELLE CELLULE Assegnato il Nobel per la medicina Vincono tre scienziati anglo-americani Il premio Nobel per la medicina è stato assegnato a Sydney Brenner, Robert Horvitz, John Sulston. Brenner e Silston sono britannici, Horvitz è americano. I tre sono stati premiati per le loro scoperte sulla regolazione genetica della organogenesi e sulla morte cellulare programmata. Sydney Brenner, 75 anni, è nato in Sud Africa e vive a Berkeley, in California. Le sue scoperte risalgono al tempo in cui ha lavorato a Cambridge, in Inghilterra, e hanno gettato le basi dei lavori che si sono conclusi quest'anno, sulla regolazione genetica dello sviluppo degli organi e della morte programmata delle cellule. «Ha fatto - si legge nelle motivazioni del premio - del nematodo Caenorhabditis elegans un nuovo organismo modello, offrendo in questo modo mezzi eccezionali per associare l'analisi genetica alla divisione cellulare, seguendo nello stesso tempo questo processo al microscopio. Robert Horvitz, 55 anni, vive a Cambridge, negli Stati Uniti (Massachusetts). Ha scoperto e caratterizzato i geni chiave che regolano la morte cellulare programmata nella Caenorhabditis elegans. Ha studiato come questi geni interagiscono nel processo di morte cellulare, e ha mostrato l'esistenza di geni analoghi nell'uomo. John Sulston, 60 anni, vive a Cambridge, in Inghilterra. Ha stabilito un "albero genalogico" cellulare che permette di seguire la divisione e la maturazione di ciascuna cellula durante lo sviluppo di un tessuto di Caenorhabditis elegans. Ha dimostrato che determinate cellule subiscono una morte programmata che si iscrive nel corso normale dello sviluppo e ha constatato la prima mutazione di un gene implicato nel processo della morte cellulare. Le ricerche premiate ieri con il Nobel hanno aperto la strada alla comprensione dell'intero ciclo vitale della cellula, dall'ovocita fecondato all'embrione, fino all'organismo adulto e alla morte cellulare. Gli studi di Sydney Brenner, Robert Horvitz e John Sulston sono stati i primi a fare luce sulla complessa storia della cellula. Le loro scoperte hanno avuto in questi anni ricadute molto importanti sulla ricerca biomedica e promettono di avere applicazioni e sviluppi di primo piano nella comprensione dell'origine di molte malattie nei prossimi anni. Gli studi sulla regolazione genetica degli organi e la morte cellulare programmata, condotti dai tre Nobel, hanno aperto la strada alla possibilità di comprendere l'origine di molte malattie, come quelle genetiche e i tumori. _______________________________________________________ Corriere Della Sera 11 ott. ’02 SILVESTRE: «FORMIDABILI GLI OSPEDALI PUBBLICI» Sylvestre, uno dei giornalisti economici più ascoltati, aveva sempre attaccato «il pauroso buco di miliardi». Ora dice: «Formidabili gli ospedali pubblici» La conversione dell’opinionista ultraliberista: «Il deficit della sanità mi ha salvato la vita» «Della sanità pubblica francese conoscevo solo il pauroso buco di 3 miliardi di euro. Ora posso dire che quel deficit mi ha salvato la vita». La conversione di Jean-Marc Sylvestre, 55 anni, uno dei più celebri - e odiati - giornalisti economici di Francia, è stupefacente. Ultra-liberista gelido, sostenitore dell’efficienza come unica bussola della società e dell’esistenza, un giorno di luglio Sylvestre si è ammalato. «Un’estate spaventosa, tra infezioni, radiografie, sala operatoria, blocco cardiaco, rianimazione, rieducazione. Oggi sono vivo, grazie agli ospedali pubblici. Ho cambiato idea: il sistema sanitario francese è formidabile». Per anni Jean-Marc Sylvestre ha dato la sveglia ai francesi alle 7.30 con la cronaca economica per la radio France-Inter (servizio pubblico), e tutti i sabati sulla rete televisiva Lci (canale privato di informazione continua) conduce Décideur : passerella di capitani d’industria osannati e glorificati in contrapposizione ai boiardi di Stato, «uomini del passato». Nel corso di uno stesso servizio, Sylvestre è stato capace di annunciare il taglio di 1.500 posti di lavoro alla Michelin nonostante utili favolosi, e di commentare poco dopo che «i profitti di oggi vogliono dire posti di lavoro domani». Aedo del mercato e acrobata della logica, Sylvestre è stato qualche volta fonte di imbarazzo pure per chi avrebbe dovuto difenderlo. Come il suo direttore a France-Inter, Jean-Luc Hees, che un giorno si è visto arrivare sul tavolo la petizione di un gruppo di ascoltatori per la rimozione del giornalista dal servizio pubblico. «Non l’ho scelto io, è un’eredità dalla gestione precedente - ha spiegato Hees -. Personalmente non sono d’accordo con la sua visione dell’economia, ma bisogna riconoscere che ci sono anche dei neo-liberali in questo Paese. E poi, viste le reazioni che scatena, mi domando se in fondo Sylvestre non sia utile più che altro alla causa opposta, quella degli anti- liberali». Sanità, pensioni , scuola: tutto secondo lui doveva essere riformato, razionalizzato, liberalizzato. Persino la sacra lingua francese: «L’Europa deve parlare inglese - ha osato dichiarare su Tf1, la prima rete Tv -. Oggi, un europeo su tre sa parlare inglese, vent’anni fa il rapporto era solo di uno su cinque. Bene, stiamo progredendo verso l’obiettivo. A moneta unica corrisponda una lingua unica». La malattia ha cambiato Jean-Marc «il cattivo». Proprio adesso che la sinistra è in frantumi e il governo di destra fa della riduzione della spesa pubblica una priorità, lui, un’altra volta controcorrente, loda il deficit della Sanità. «Ero destinato a morire, la setticemia che mi ha colpito era gravissima - si è confessato sul giornale finanziario Les Echos -. Credevo che l’ospedale fosse un’azienda come le altre, adesso non la penso più così. In base a una logica puramente finanziaria, nessun controllore di gestione avrebbe mai potuto autorizzare le cifre che sono state spese per salvarmi la vita, perché ero un caso disperato. E senza il sistema di sicurezza sociale, non avrei mai avuto i mezzi per pagarmi due mesi di ricovero in tre ospedali diversi, i pesanti trattamenti antibiotici, le radiografie, l’operazione all’aorta dove si annidava il germe dell’infezione. Spero solo che tutti i cittadini possano accedere a questi servizi». E al Nouvel Observateur : «Credo che sarò un giornalista diverso. Meno brutale, meno perentorio. Rimango un liberale, ma quando hai sfiorato la morte tendi a relativizzare. A essere più umano». L’appuntamento è domani, ore 15.40, per una nuova puntata di Décideur . Stefano Montefiori _______________________________________________________ Corriere Della Sera 11 ott. ’02 DAL 2003 «DENTIERE DI STATO» PER GLI ANZIANI PIÙ POVERI Contributo di mille euro per protesi Dal 2003 «dentiere di Stato» per gli anziani più poveri Esperimento in tre regioni Finanziaria: lotta all’Aids, bocciato emendamento per ridurre il prezzo dei profilattici ROMA - Per un sorriso smagliante, sono in arrivo le «dentiere di Stato». Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, lo aveva promesso lo scorso aprile: fornire ad anziani indigenti e con problemi di masticazione protesi mobili. Adesso, dopo i lavori di una commissione mista composta da esperti di vari ministeri, le dentiere dovrebbero cominciare ad arrivare, verso l’inizio del prossimo anno, forse già da gennaio. Riscuotono un gradimento minore, invece, agli occhi della maggioranza di governo, i profilattici. Ieri è stato infatti respinto un emendamento alla Finanziaria che riguardava la riduzione del prezzo dei preservativi. DENTIERE - Dentiere mobili per entrambe le arcate (inferiori e superiori), per 200 mila anziani. In via sperimentale, però, soltanto in tre regioni, ancora da decidere: una al Centro, una al Nord ed una al Sud. Il Lazio dovrebbe essere incluso nel terzetto. I requisiti per avere diritto a una dentiera di Stato saranno «evidenti problemi di masticazione» ma anche un reddito pari alla pensione minima di 6.198 euro l’anno (12 milioni di vecchie lire). Le dentiere avranno un prezzo calmierato di 1.000 euro l’una. Ma la spesa non dovrebbe pesare sugli anziani che attendono le protesi. Il ministero della Salute non si pronuncia sulla data d’inizio della sperimentazione ma conferma che i lavori della commissione mista composta da esperti (funzionari del Tesoro, dell’Istat, del ministero della Salute) e presieduta da Alberto Barlattani, professore di Odontoiatria all’Università di Tor Vergata di Roma, si stanno concludendo. L’ultimo nodo da sciogliere resta la questione dei finanziamenti per le dentiere che, negli studi dentistici, hanno un prezzo che oscilla tra i 2.500 e i 3.500 euro. Ad aprile Berlusconi affidò al ministro della Salute, Girolamo Sirchia, e a quello del Welfare, Roberto Maroni, il «Progetto di odontoiatria sociale». Ma allora si era parlato di protesi per 800 mila anziani nell’arco di due anni. Ironiche furono le reazioni di alcuni esponenti del centrosinistra: «Se non fosse un problema serio si potrebbe pensare che Berlusconi vuole clonare il suo sorriso», disse l’ex ministro della Sanità Rosy Bindi. PROFILATTICI - Niente sconti invece sui preservativi, il cui prezzo non si abbasserà. Ieri, infatti, la Commissione affari sociali della Camera ha respinto due emendamenti alla Finanziaria che miravano ad agevolare la battaglia contro l’Aids. Il primo riguardava appunto la riduzione del prezzo dei profilattici. Il secondo, invece, il finanziamento per le associazioni di volontariato, come Lila, Caritas, Arcigay e Comunità di San’Egidio, che si occupano di sostenere la lotta alla malattia. Reazioni polemiche da parte dei primi firmatari degli emendamenti, Franco Grillini, Katia Zanotti e Grazia Labate: «Questa bocciatura - dicono - acquista un chiaro significato politico e ideologico nel più totale disprezzo della salute dei cittadini». Non tutto è perduto, però. I due emendamenti bocciati, verranno infatti ripresentati stamattina in occasione della discussione della Finanziaria in Aula. C. Pal. _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 10 ott. ’02 CERCANSI ANESTESISTI RIANIMATORI, in Italia ne mancano almeno duemila MILANO. Oltre 9000 in Italia, ma ne mancano almeno 2000. Sono gli anestesisti rianimatori, determinanti per qualunque intervento chirurgico che richieda l' anestesia, ma se non si provvede in tempo c'è anche il rischio che i turni massacranti in sala operatoria non bastino più ad assicurare l'attuale numero di interventi. L'allarme lo ha dato Giorgio Torri, direttore del Servizio Anestesia e Rianimazione dell'Università Vita- Salute San Raffaele di Milano, al 56º congresso della Siaarti apertosi ieri a Milano. Gli anestesisti - ha detto Torri - svolgono una professione di grande responsabilità ma poco conosciuta. Seguono i pazienti in tutto il percorso chirurgico prima, durante e dopo l'intervento. La loro è un'attività determinante nei confronti dei pazienti, sia dal punto di vista sanitario sia da quello psicologico. Ma problematiche legali e superlavoro allontanano dalla professione. «La nostra - ha detto Torri - è anche una specializzazione altamente stressante e che richiede un ampio impegno culturale e un elevato ritmo di lavoro. Un dato per tutti: in Italia mancano almeno 2000 anestesisti, 200-220 solo in Lombardia. «Inoltre - ha proseguito Torri -, turni impegnativi e stressanti, elevata responsabilità professionale (la polizza assicurativa di un anestesista costa cinque-dieci volte quella di un internista), orari spesso impossibili da programmare. Queste sono le ragioni di una continua fuga dal settore». Ma proprio il congresso nazionale degli anestesisti rianimatori cade in un momento nel quale il riordino del Sistema Sanitario Nazionale sta subendo un'accelerazione notevole. «L'anestesista-rianimatore assume dunque grande importanza per il ruolo che può svolgere in questa nuova organizzazione che punta sul miglioramento della qualità dei servizi, la diminuzione dei costi, la centralità del malato», ha detto il presidente del congresso milanese, che ha anche proposto il cambio del nome di specialità in «specialista in medicina perioperatoria». _______________________________________________________ Corriere Della Sera 08 ott. ’02 INFERMIERI DA CURARE Remuzzi Giuseppe Infermieri negli ospedali non se ne trovano più, non solo in Lombardia, ma in tutto il mondo, e ancora di più nei Paesi più ricchi, dove per i giovani ci sono tante altre opportunità di lavoro. Il Lancet - il giornale di medicina più letto d' Europa - ne parla proprio in questi giorni con riferimento all' Inghilterra. Ma l' Italia e la Lombardia hanno ragioni speciali per essere in affanno. In Italia le organizzazioni di categoria hanno voluto l' infermiere unico e per di più laureato, è un errore: molti che vorrebbero fare l' infermiere non sono disponibili a fare prima il liceo e poi l' università. E in Lombardia c' è un problema in più: da quando molte strutture private sono state accreditate e messe sullo stesso piano degli ospedali pubblici gli infermieri scelgono le cliniche private. Perché? Perché non sono vincolate all' emergenza e così possono ridurre l' attività il sabato e la domenica, hanno bisogno di meno infermieri e li pagano di più. Fra l' altro quasi sempre le cliniche scelgono loro gli ammalati da curare e normalmente non sono quelli più gravi. Ma non basta. In Lombardia pubblico e privato competono per gli stessi finanziamenti, ma operano con regole molto diverse: gli ospedali pubblici sono ancora vincola ti alle norme dei concorsi (e per bandirli bisogna che si esaurisca la graduatoria di quello di prima, poi la Gazzetta Ufficiale e così via), le cliniche private possono assumere quando vogliono senza concorso. Così a Bergamo l' anno scorso il cinquanta per cento dei nuovi infermieri ha trovato subito impiego nelle strutture private (a Milano e a Pavia forse anche di più), solo il trenta per cento negli Ospedali pubblici. Ma senza infermieri gli ospedali si fermano. Vuol dire che un giorno saranno le cliniche private a fare quello che oggi fanno gli ospedali? Può darsi (in fondo in Lombardia il cittadino può scegliere). Ma non potrà succedere dall' oggi al domani. E intanto? Intanto si va avanti contando sul senso di responsabilità di chi h a scelto di continuare a fare l' infermiere negli ospedali pubblici perché sa bene che ci si ammala anche il sabato e la domenica (o la sera di Natale o il 15 agosto). Qualcuno di questi ammalati è in condizioni disperate: traumi della strada, grandi insufficienze d' organo, gravi infezioni, Aids. Qualcuno per vivere ha bisogno di un trapianto. Tanti sono bambini. Tutte cose che oggi si fanno solo nei grandi ospedali dove i disagi per gli infermieri sono tanti, è un lavoro duro, anche fisicamente. Ma è in questi ospedali che in Italia si curano i malati più gravi. Per continuare a farlo però ci vogliono infermieri e medici molto speciali e una forte integrazione di competenze. Sono sinergie difficili da realizzare e che una volta perse sono perse per sempre. Non è detto che non si possano rifare da un' altra parte, ma ci vuole tempo, passione e lungimiranza. Lasciar crescere il privato e ridimensionare progressivamente gli ospedali pubblici si può. Di fatto sta succedendo. Già oggi in Lombardia molti ospedali hanno ridotto o eliminato certe attività proprio perché non ci sono abbastanza infermieri. Ma se davvero c' è l' idea di continuare su questa strada, è necessario che per competenze che si perdono, altre se ne sappiano formar e, ma con gradualità e grande senso di responsabilità. Ne va della salute di milioni di cittadini. _____________________________________________________ La Stampa 9 ott. ’02 CHI DIFENDE LA SALUTE? LA classe politica italiana si gioca il proprio prestigio sulla sanità pubblica, con l´introduzione di ticket, con i tagli, e la chiusura dei piccoli ospedali. La legge 833 del '78, ispirandosi ai principi della Costituzione e sotto la spinta della convergenza tra il solidarismo cattolico e l'egualitarismo socialista, dispose l'attuazione del Servizio Sanitario Nazionale, del quale tutti beneficiassero, uguali di fronte alla malattia. Per una razionalizzazione delle risorse, è stata poi introdotta, con il DDS n. 502 del '92, l'aziendalizzazione della sanità, che non ha prodotto gli effetti sperati, in quanto la disorganizzazione e gli sprechi finanziari sono all'ordine del giorno. Il problema odierno è difendere la salute con erogazione di soddisfacenti livelli di assistenza, coniugato con il rigore economico, tenendo il passo con un progresso scientifico, che esige una diversa organizzazione del lavoro. Ma l'università non assolve in modo soddisfacente le funzioni di didattica e di ricerca, manifestando una certa riluttanza ad adattarsi ai tempi; per lo stato di precarietà, di instabilità e di scarso appeal economico non è appetibile all'arruolamento di giovani cervelli, che preferiscono la fuga all'estero. Occorre una riforma credibile che sani questa disorganizzazione e dia fiducia al settore. La frantumazione della ricerca universitaria e la resistenza dimostrata nei confronti del «dipartimento» hanno impedito di attuare virtuose sinergie. Università e ordini professionali dovrebbero collaborare per differenziare e migliorare corsi di laurea, oggi eccessivamente frantumati e teorici, per introdurre nei programmi di studio materie quali la medicina generale, affrontata con una impostazione unitaria e con contenuti consistenti, l'etica e la deontologia, essenziali per formare professionisti sanitari preparati ed in grado di attuare una medicina antropologica. La medicina di base dovrebbe integrarsi maggiormente con il territorio e con l'ospedale, sfruttando le grandi possibilità dell'informatica e della tecnologia, impiantando reti di telemedicina. Si favorirebbe così una azione di filtro indispensabile nei confronti dei grandi ospedali, che alleggerirebbe il loro carico di lavoro per le piccole patologie. Inoltre bisogna incentivare iniziative, quali la costituzione dei «country-hospital» e di centri post-cura gestiti dai medici di famiglia, che consentirebbero risparmi senza incidere sulla qualità dell'assistenza. La rete ospedaliera richiede un'opera di razionalizzazione fondata sui parametri dell'efficacia e dell'efficienza, che non dovrebbe essere oggetto di conflitti politici o di atteggiamenti demagogici. Per quanto riguarda i medici dipendenti non è possibile tornare all'opzione del «doppio binario» (extra ed intra moenia). L'ultima riforma, se stemperata da certi eccessi giustizialisti, potrebbe essere l'occasione per consentire investimenti finalizzati all'esercizio della libera professione all'interno dell'ospedale. Inoltre, è bene che il privato investa nella sanità, introducendo principi di sana gestione, però con un ruolo complentare al pubblico. Ed è necessario introdurre la prassi della verifica e del controllo, veri, sia per il pubblico sia per il privato. Università di Torino, Facoltà di medicina Annibale Crosignani e Paolo Simone _______________________________________________________ Corriere Della Sera 9 ott. ’02 LA SANITÀ NON PUÒ GUARDARE SOLO AL BILANCIO Nell' applicazione dei rimborsi si possono verificare errori e furbizie, ma la situazione sta cambiando Dobbiamo sforzarci di non vedere un problema così complicato da destra o da sinistra Spinelli Pasquale Ci sono due problemi, quando si parla di sanità, che stanno a monte di ogni discorso. Il primo è quello della massimalizzazione (i medici la pensano ..., gli amministrativi pensano ... i politici dicono ...) come se ogni categoria di «pensatori» si esprimesse univocamente su ogni tema. Il secondo è un vizio di posizione: solo pochi sanno trovare una visione panoramica della sanità, molti la guardano da un lato o dall' altro, da destra o da sinistra, la maggior parte comunque la guarda dal di dentro e con animosità. Vorrei tentare, senza la pretesa di conoscere la soluzione, un' analisi dei problemi. Nello scenario della salute recita l' uomo sano: se si ammala compare un altro attore, il medico. Ambedue si misurano con due temi: il benessere e la medicina; il primo si espande incontrollato, la seconda è in crisi di crescita e si muove, spesso confusamente, tra la scienza e il mercato. Così, gradualmente, lo scenario della salute si trasforma in quello della sanità. A livello sociale si sono create aziende per governare la sanità e si son trovati parametri (monetizzando le prestazioni, Drg) per i rimborsi, ragionando su ineccepibili basi teoriche. In pratica però le aziende sanitarie possono trovare direttori che privilegiano troppo l' aspetto aziendale dell' incremento dei profitti, dimenticando che l' azienda sanitaria produce un bene essenziale e va orientata a massimalizzare la tutela della salute, che è il suo fine ultimo. È inevitabile che nel sistema sanità ci siano interpretazioni differenti della logica aziendale sanitaria: questa deve funzionare sul piano tecnico, cioè medico-scientifico, e sul piano economico-organizzativo, applicando appropriatamente le conoscenze per un' ottimale valorizzazione delle risorse, che sono limitate. Nell' applicazione dei rimborsi per prestazioni (Drg) si possono verificare errori e furbizie. Il sistema è suscettibile di miglioramento e in Lombardia sta migliorando: le prestazioni vanno viste e misurate in rapporto alla risposta ai bisogni di salute e vanno prescritte ed eseguite in maniera razionale e corretta, non solo nell' interesse dell' azienda e del sistema, ma principalmente in quello del cittadino. L' appropriatezza nell' uso delle risorse porta a risparmi e non sarà effetto solo dei tanto auspicati controlli, ma di responsabilizzazione attenta del medico e del cittadino, che va «educato alla salute». La salute costa! Non è sui «budget» che si può basare il sistema, ma è unicamente sull' appropriatezza della prestazione e di conseguenza della spesa che si basa una buona sanità. Non guardiamo allora alle anomalie del sistema, non giudichiamo il tutto da errate interpretazioni o da esempi di malcostume e malasanità; non massimalizziamo l' opinione di alcuni per considerarla l' opinione di tutti e non guardiamo, per favore, un problema così delicato come quello della salute da destra o da sinistra, ma cerchiamo di guardarlo con gli occhi di chi ha bisogno di soluzioni perché non ha la salute. Pasquale Spinelli direttore Unità operativa dell' Istituto dei tumori _______________________________________________________ Corriere Della Sera 10 ott. ’02 TUTTA LA SANITÀ AI PRIVATI UN MIRAGGIO RISCHIOSO Colombini Fulvia Sono quasi completamente d' accordo sull' analisi che viene fatta dal dottor Giuseppe Remuzzi a proposito della sanità pubblica e privata, dei vincoli e degli oneri sociali ed economici che gravano sulla prima, dei vantaggi di snellezza e della possibilità di scegliersi malato e malattia più remunerativa della seconda. L' aver creato condizioni di disparità a sfavore del pubblico ci fa capire le effettive intenzioni di chi teorizza come sistema la competizione di mercato tra pubblico e privato. Dissento invece dalla conclusione circa la necessità di privatizzazione di tutta la sanità. Quando non esisteranno più gli ospedali pubblici, che non respingono nessun malato, che non scelgono la malattia, che curano tutti (gli ammalati di Aids e i m alati mentali), che trapiantano organi incuranti del costo per salvare anche una solo vita umana, che curano i bambini, anche se ciò significa spendere di più perché ci vogliono parecchi infermieri, che mantengono in funzione il Pronto soccorso giorn o e notte, chi farà tutte queste cose? La risposta è ovvia: sarà il privato che si sostituisce al pubblico. E' proprio qui che le cose non mi convincono. Il privato, per sua natura, investe capitali in un' attività che giudica capace di remunerare l' investimento e appare chiaro a tutti che le attività sanitarie sopra elencate, oggi, sono giudicate non economicamente convenienti e quindi lasciate al pubblico. Se tutto questo sarà svolto dai privati significa che le risorse da investire in sanità dovranno aumentare grandemente, per consentire da un lato un margine d' interesse, dall' altro per mantenere l' attuale grado di copertura del sistema sanitario nazionale. Ciò è ottenibile in due modi: l' aumento generalizzato delle tasse, misura altamente impopolare per chi governa, oppure la differenziazione tra i cittadini: chi potrà pagare di più attraverso forme assicurative individuali o di mutualità accederà ad un' assistenza sanitaria di buon livello, gli altri no. Non oso pensar e ai portatori di malattie rare e difficili da curare, agli anziani, agli sfortunati in genere, ai poveri, agli immigrati che lavorano nel nostro Paese. Negli Usa le cose stanno già così, i poveri stanno crescendo e viene considerato povero colui che non può pagarsi un' assicurazione sulla salute. Il pubblico e gli ospedali pubblici vanno migliorati, nelle strutture, nelle condizioni alberghiere, nella possibilità di prendere in modo snello decisioni e individuare responsabilità. Il privato deve contribuire al sistema, al suo miglioramento, alla sua integrazione, ma non deve sostituire il pubblico. *Camera del Lavoro di Milano _______________________________________________________ L’Unione Sarda 12 ott. ’02 SUBITO AL MICROCITEMICO IL CENTRO PER LE RICERCHE SULLA TALASSEMIA Proposta dell’associazione San Vito Il Centro di ricerca scientifica sulla thalassemia va istituito a Cagliari con sede all’ospedale microcitemico. È quanto emerso nel convegno di San Vito promosso dall’associazione dei talassameci del Sarrabus Gerrei con l’appoggio delle amministrazioni comunali. Presenti numerosi studiosi ed i sindaci di San Vito, Muravera, Villaputzu, i vice sindaci di Villasalto e San Nicolò Gerrei, il dibattito si è concluso col fermo invito al presidente della Regione, all’assessore alla Sanità, al Consiglio regionale ed ai parlamentari sardi «a perseguire tutte le iniziative, ciascuno per le proprie competenze, necessarie per convincere il ministro della sanità a optare per la soluzione più logica. L’obiettivo è quello di creare è quello di candidare l’ospedale come centro di riferimento internazionale per la cura e la prevenzione della thalassemia». L’alternativa, si è detto, è l’ospedale di Pesaro. Ma nelle Marche ci sono solo undici malati di talassemia. In Sardegna invece ci sono 200mila portatori sani del tratto beta-talassemico, 1300 malati con una maggiore concentrazione nella provincia di Cagliari . L’ospedale microcitemico del capoluogo sardo-è stato detto durante il convegno-ha tutti i requisiti di legge per ospitare la scuola di medici. (r. s.) _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 11 ott. ’02 «AL MICROCITEMICO DI CAGLIARI LA SEDE DEL CENTRO DI RICERCA» Talassemia, l'appello dei sindaci Giancarlo Bulla SAN VITO. L'istituzione di un centro di ricerca scientifica sulla talassemia all'ospedale Microcitemico di Cagliari è stata richiesta dai sindaci di San Vito, Muravera, Villaputzu, Villasalto e San Nicolò Gerrei al ministro della Sanità, Gerolamo Sirchia. I sindaci del Sarrabus Gerrei, il cui territorio conta 30 talassemici di cui tre trapiantati, hanno sottoscritto la richiesta sabato mattina, nella nuova aula consiliare di San Vito, durante il convegno «Talassemia: le strade percorribili verso il futuro», organizzato dal centro di servizio per il volontariato Sardegna Solidale e dalla sezione del Sarrabus Gerrei dell'Associazione talassemici Sardegna. I sindaci hanno inviato la richiesta al presidente della giunta regionale Mauro Pili, all'assessore alla Sanità, Giorgio Oppi, grande assente al convegno, e a tutti i consiglieri regionali e ai deputati e senatori sardi, invitandoli a perseguire tutte le iniziative necessarie. La moderatrice Liviana Viola ha sottolineato che la Sardegna ha il più alto tasso di talassemici del mondo, con 1300 ammalati e 200mila portatori sani. I professori Renzo Galaniello e Antonio Cao hanno illustrato i passi in avanti compiuti dall'ospedale Microcitemico di Cagliari nella cura della talassemia. Il deputato Piergiorgio Massidda ha illustrato un'interrogazione sull'istituzione della scuola internazionale di talassemia. Un'interrogazione analoga era stata presentata dai deputati Caddeo, Murineddu e Nieddu. _______________________________________________________ Repubblica 10 ott. ’02 UN FRENO ALL’OBESITÀ Giornata nazionale: visite e quiz Centoventi servizi di dietetica a disposizione. Fatati (segretario Adi): "Problema medico, non estetico" DI ARTURO COCCHI Una giornata nazionale contro il sovrappeso. La indice, per il secondo anno, l’Associazione italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica (Adi), che mette a disposizione, oggi, 120 servizi di dietetica del Servizio sanitario nazionale, presso i quali è possibile ottenere una visita specialistica gratuita. Come accaduto lo scorso anno, a tutti i partecipanti sarà consegnato un questionario, che aiuterà i nutrizionisti a comprendere meglio la percezione che gli italiani hanno del loro peso e delle problematiche connesse a stili alimentari poco ortodossi. A ognuno verrà infine offerta una copia del Decalogo per la sana alimentazione elaborato da AdiSimmg. Contro la Globesity, l’epidemia di obesità che affligge l’Occidente, si è davvero arrivati a provarle tutte. C’è chi (accade a Los Angeles) ha bandito dalle scuole le macchinette distributrici di "cibo spazzatura" e chi (medici dell’Università di Filadelfia) ha proposto di equiparare le merendine al fumo, riportando nelle etichette la dicitura "nuoce alla salute"; c’è il progetto (inglese) di ipertassare i cibi molto grassi e poco nutrienti come si fa con i superalcolici, e c’è la stessa McDonald’s che studia strategie per mettersi al riparo dalle crescenti richieste di risarcimento multimiliardarie, da parte di privati cittadini che la additano come responsabile prima del loro sovrappeso. In Italia, la situazione è migliore che negli Stati Uniti, ma in graduale peggioramento. Proprio per scongiurare scenari apocalittici e soluzioni draconiane, si gioca la carta della prevenzione, che passa attraverso la corretta informazione. «L’anno scorso abbiamo avuto 5.200 contatti, pari ad altrettanti questionari consegnati e ricevuti», spiega Giuseppe Fatati, direttore del servizio di dietetica all’ospedale di Terni e segretario nazionale dell’Adi. «Tra le risposte ottenute, significativa quella sulla prima fonte di informazione in materia di nutrizione; il 42 per cento ha risposto "i media", solo il 25 per cento "lo specialista" e il 14 "il medico di famiglia"». Stortura che contribuisce a creare una percezione errata dell’obesità, vista più come un fatto estetico che medico: il 94 per cento dei pazienti del primo "obesity day" l’ha giudicata "un problema", solo il 42 "una malattia". «Errore dimostrato da un altro fenomeno, che le risposte dei pazienti ci hanno confermato: a tentare di dimagrire e più del 60 per cento del nostro campione ha dichiarato di averci provato almeno una volta, prevalentemente con il "faidate" è soprattutto chi ha i 45 chili di troppo: chi ne ha 40, si ritiene irrecuperabile dal punto di vista dell’apparenza e tralascia l’aspetto più importante, la salute». Se è vero che in Europa, per percentuale di adulti obesi, l’Italia è al quintultimo posto, i risultati preliminari di uno studio sui bambini "under 10" dicono che la tendenza si sta ribaltando a nostro svantaggio. In ogni caso, per certe classi di età (4555 e 5565), e soprattutto per i maschi, i dati sono tutt’altro che confortanti, con oltre il 50 per cento di persone sovrappeso e il 1015 per cento obesi. Dunque, i servizi di dietetica si propongono come baluardo contro tanta malainformazione e pubblicità ingannevole, e come punto di riferimento sicuro. L’orario di apertura "suggerito" dall’Adi ai servizi di nutrizione aderenti all’iniziativa è 816. Per ulteriori informazioni e per l’elenco dei centri, tel. 065043441. _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 10 ott. ’02 DIABETE: AUMENTA TRA I BAMBINI SARDI I dati di un'indagine regionale sono stati presentati in occasione del congresso nazionale dei medici pediatri Con l'anemia mediterranea è una delle patologie più preoccupanti Gli adolescenti rivelano sempre più disagi e conflitti e cercano rifugio nella droga CAGLIARI. Sono il diabete e l' anemia mediterranea i due rischi principali per i bambini sardi. Il dato è emerso dall' indagine, la prima in Italia, dei Pediatri di famiglia in occasione del Congresso Nazionale a Grado della Fimp, Federazione Italiana Medici Pediatri. "Chi preoccupa di più è l' adolescente che rivela sempre più disagio nel conflitto con la famiglia - sostiene l' indagine - e si rifugia nel consumo delle droghe. Molte sono le occasioni nei centri più grandi di socializzare. Particolare curioso: i nonni sono più ansiosi dei genitori e fanno crescere i nipoti viziati e ipernutriti". Creando così non pochi problemi di salute. A preoccupare il pediatra, in Sardegna, è sicramente l'alta incidenza dell' anemia mediterranea. "La nostra - spiega il dottor Giorgio Pusceddu, segretario regionale della Fimp della Sardegna - è la regione che registra il tasso più elevato di questa patologia per motivi genetici. Importante è l' opera di prevenzione di questa forma morbosa: se entrambi i genitori sono portatori, il rischio di avere un figlio malato è altissimo. In questo caso possono anche decidere per un aborto terapeutico". I bambini sardi presentano anche un tasso elevato di diabete infantile. "Non si conosce ancora il motivo - ha detto Pusceddu - della presenza di molti casi di diabete A insulino-dipendente, una malattia cronica che crea molti problemi e che, purtroppo, non si può prevenire, e determina nel piccolo anche problemi di tipo psicologico di adattamento alle cure". A parte queste patologie, bisogna riconoscere che i bambini che vivono in Sardegna sono fortunati. "Vivono in un ambiente salubre - precisa il dottor Pusceddu - e soffrono in maniera ridotta di patologie respiratorie, molto frequenti nelle altre regioni". I pediatri sardi stanno riservando particolare attenzione agli adolescenti. "Sta per cominciare - ha spiegato ancora il pediatra sardo - un progetto regionale per intervenire sul disagio adolescenziale. In effetti sono tanti i problemi dei nostri ragazzi, legati alla crescita, alla pubertà, ma anche ai conflitti con la famiglia e a una diffusione del consumo di droghe che richiederebbe un lavoro di prevenzione, svolto dai pediatri insieme ai consultori".