REQUIEM PER L´UNIVERSITÀ RICERCA DEBOLE, POCHI BREVETTI MADE IN ITALY L'EUROPA DELLE INTELLIGENZE IN JOINT «RICERCA AL COLLASSO CON QUESTA FINANZIARIA» LA LEZIONE DEI NOBEL L´OMBELICO VAL BENE UN PREMIO IG-NOBEL UNIVERSITÀ, AUMENTANO LE TASSE «CAGLIARI DIVENTERÀ UN ATENEO PER RICCHI» LA SCURE DI MISTRETTA CONTRO I DEBOLI' TASSE: NELLE FACOLTÀ È UN CORO: «DATECI LE AULE» MA ALLA SAPIENZA LA LAUREA COSTA IL DOPPIO RETTORATO, GLI SFIDANTI DI «RE MISTRETTA» LOY: "CARO MISTRETTA, LO STATUTO NON SI TOCCA" «LE DISFUNZIONI DELL'UNIVERSITÀ DANNEGGIANO CHI VUOLE STUDIARE» ANCHE I DIPENDENTI STATALI STANNO ABBANDONANDO LA RIGIDITÀ =========================================================== E UN' INFERMIERA DIVENTA PROF ALLA STATALE «INSEGNERÒ LA VITA» «NO» ALLA CHIUSURA DEI PICCOLI OSPEDALI SANITÀ, RISCHIANO MACOMER E BOSA OSTEOPOROSI: TROPPA CONFUSIONE CON L’ARRIVO DEI LEA" MILANO DIVENTA LA CAPITALE DEI TRAPIANTI TUMORE AL SENO, GIUSTA LA VIA «DOLCE» SASSARI: NUOVE SPERANZE PER L'ATEROSCLEROSI GESSA: SI SPERIMENTA UN FARMACO IN GRADO DI BLOCCARE LA VOGLIA DI DROGA E ALCOL A SASSARI TRAPIANTI DI MENISCO PREVEDERE LE METASTASI DEL TUMORE DELLA PROSTATA CELIACHIA SCOPERTE LE PROTEINE COLPEVOLI CELLULE STAMINALI PER CURARE IL PARKINSON SCOPERTO NEI LABORATORI UNIVERSITARI DI OSILO UN FATTORE ANGIOGENICO IL 6% DEI SARDI È COLPITO DALL'EPATITE C =========================================================== _______________________________________________________ La Stampa 13 ott. ’02 REQUIEM PER L´UNIVERSITÀ I NUOVI REGOLAMENTI BLOCCANO IL RICAMBIO DEI PROFESSORI CIRCOLANO da qualche tempo i dati relativi all'andamento delle «valutazioni comparative», come si chiamano nella «nuova» Università i concorsi per il reclutamento dei docenti, dati che confermano la sensazione che chi vive dentro l'istituzione ha da tempo; qualcosa di cui si brontola o si parlotta sottovoce, essendo tutti complici, attivi o passivi, di un sistema che dire nefando è un simpatico eufemismo. Nel periodo marzo 1999-luglio 2002, si sono banditi ben 15.232 concorsi (10.852 conclusi), con 16.581 posti in ballo; ebbene, i vincitori provenienti dal medesimo ateneo che ha bandito il concorso sono quasi la totalità. Se si vogliono le cifre esatte, limitandosi alla fascia superiore, il 90,4% dei nuovi «ordinari» era in carico, perlopiù come «associati», agli Atenei che hanno bandito; percentuale che sale in alcune situazioni, fino ad un incredibile 100%. Vi sono Atenei nei quali la percentuale dei vincitori interni è relativamente più bassa: sono quelli nati recentemente, dunque con un numero di professori interni ridotto. Piccolissima poi la percentuale dei vincitori di concorso provenienti dall'estero, mentre nella gran parte del mondo occidentale, non solo la mobilità tra atenei è assai alta, ma il reclutamento di professori di altra nazionalità è un fatto normalissimo. Una situazione dunque che rischia di trasformare l'università italiana in una morta gora e i cui effetti, nei prossimi decenni - non è azzardato prevedere - daranno il colpo di grazia all'intero sistema, che si è preteso di rivitalizzare con una riforma discutibile e con la famosa «autonomia», in base alla quale per le Facoltà è diventato assai meno costoso promuovere un interno, piuttosto che sobbarcarsi il costo pieno di un professore proveniente da altra sede o dall'esterno del mondo accademico. Dunque nei concorsi non ci si può permettere il rischio che possano vincere degli esterni: quando il concorso è bandito, in realtà, tutti i giochi sono già chiusi. La singola Facoltà che bandisce lo fa per un suo docente che si vuole far salire di grado; e nel bando si può leggere, sottotraccia, il profilo scientifico del candidato: ossia si dice ci serve un professore con queste caratteristiche, che studi questi temi e così via: manca il nome e cognome, ma tutti capiscono a chi ci si sta riferendo. In ogni caso la Facoltà nomina un «membro interno» come garante dell'esito e la legge le concede il diritto di non chiamare i vincitori se per caso non fossero quelli che ci si aspetta. Gli altri quattro membri della commissione, esterni, entrano in ballo (sulla base di elezioni «preparate» con altrettanta cura, in modo da essere praticamente sicuri di chi sarà «commissario») sulla base di precisi patti di scambio; io vengo da voi a sostenere il vostro candidato, ma mi date un'idoneità per un mio candidato (fino al 2000 i concorsi procuravano tre idoneità; ora solo due). Alla prossima occasione, ossia quando sarà la mia Facoltà a bandire, tu verrai a sostenere il nostro candidato eventualmente portando un tuo nome come «secondo». L'esito scontato è che in ogni sede passa la coppia stabilita da questi accordi: ogni Facoltà e Ateneo divengono mondi chiusi in se stessi. Davanti a tale situazione è logico che ai concorsi si presentino in pratica solo coloro che sono già, in anticipo, officiati per la vittoria: e quando vi sono degli «intrusi», si esercita ogni mezzo per «dissuaderli», inducendoli in anticipo a rinunciare alla presentazione della domanda, o, in extrema ratio, a ritirarla. Ci sono state eccezioni, ma in oltre il 90% è andata come doveva andare, prescindendo dal merito dei candidati; i quali, talora sono meritevoli, talaltra non lo sono affatto; e hanno premuto, attraverso lobbies interne, sulle Facoltà e sono riusciti nel triplice intento (far bandire, vincere il concorso, essere chiamati), solo a seconda della potenza di fuoco dei gruppi di patronage: in ogni caso inzeppando il corpo docente di professori della fascia più alta, facendo così comunque lievitare i bilanci, senza consentire una vera scelta del candidato migliore disponibile sulla piazza nazionale (o comunitaria). È chiaro che un siffatto sistema oltre a bloccare il salutare scambio di esperienze didattiche e di ricerca tra sedi (una volta anche piccoli atenei potevano avere grandi professori, magari solo per un triennio; adesso ciascuno si terrà i «suoi», dalla culla alla tomba), procura uno scadimento del livello medio dei docenti e rende pleonastici gli stessi concorsi, i quali peraltro hanno un costo non indifferente; qualcuno (Tullio Jappelli, sul sito www.lavoce.info) ha calcolato, prudenzialmente, per i tre anni in questione, la bellezza di 300 milioni di euro, somma all'incirca pari alla spesa per il fondo di ricerca! In ogni caso chi loda il mercato ad ogni piè sospinto, come giudica una situazione in cui è proprio il mercato, nel senso migliore del termine, ad essere mortificato? Angelo d'Orsi _______________________________________________________ Il Sole24Ore 18 ott. ’02 L'EUROPA DELLE INTELLIGENZE IN JOINT di Philippe Busquin* Ogni giorno ascoltiamo appelli contro la fuga dei "cervelli" europei. Ogni giorno leggiamo di nuove scoperte in laboratori americani e di invenzioni brevettate oltre Atlantico. Ma si tratta nella maggior parte dei casi di lamentele a livello nazionale: nessuno sembra rendersi conto che questa perdita di competitività e di capacità innovativa è dovuta soprattutto alla frammentazione e alla duplicazione dei programmi di ricerca degli Stati membri dell'Ue. Per non parlare delle imprese europee, gelose dei loro progetti di sviluppo tecnologico, e restie a mettere in comune con altre aziende europee le loro risorse, anche per quanto riguarda la ricerca pre- concorrenziale e più distante dal mercato. Abbiamo perciò 15 sistemi scientifici nazionali che di rado si parlano, più una quantità di sistemi regionali e privati. Il risultato è una babele scientifica e tecnologica, con sprechi e doppioni: il modello europeo fatica dunque a tenere il passo con quello americano e giapponese, molto più coerenti, meglio coordinati e organizzati. E i risultati, spesso sfavorevoli all'Ue, si vedono. In un'economia globalizzata, la difesa dell'interesse nazionale o di miopi priorità aziendali si scontra con la realtà di un mercato senza confini, in cui centri di ricerca, università e imprese devono confrontarsi a livello, appunto, globale. La difesa di "campioni nazionali" non è premiante. Occorre pensare "europeo", altrimenti il divario di conoscenza e di capacità di crescita economica non farà che aumentare. E in una società fondata sulla conoscenza, cos'altro se non la ricerca scientifica può produrre conoscenza e quindi benessere? Il progetto. Quello che manca è un approccio unitario, una strategia comune a livello europeo. È per questo che in occasione del Consiglio europeo (il summit dei capi di Stato e di Governo) di Lisbona del marzo 2000 l'Unione ha espresso la volontà di creare un vero "Spazio europeo della ricerca", un mercato interno della ricerca e della conoscenza. Pochi giorni fa a Bruxelles ho presentato alcune indicazioni con lo studio «Lo Spazio europeo della ricerca: imprimere un nuovo slancio», che fa il punto sul progetto avviato. Lo Spazio europeo della ricerca è diventato il quadro di riferimento per la politica di ricerca in Europa. Per realizzarlo occorre fra l'altro migliorare il coordinamento delle attività e delle politiche nazionali di ricerca, che rappresentano l'80% dello sforzo scientifico globale europeo. Lo Spazio europeo della ricerca costituisce un elemento importante dell'impresa mirante a fare dell'Ue l'economia della conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, entro il 2010, altro obiettivo del Consiglio europeo di Lisbona. L'Europa soffre della grave frammentazione delle sue attività di ricerca e di una limitata capacità di valorizzare a livello economico i risultati del lavoro scientifico, oltre che di un livello ridotto degli stanziamenti pubblici e privati per la ricerca (1,9% del Pil dell'Unione rispetto al 2,7% degli Stati Uniti e al 3% del Giappone). L'Ue si è data l'obiettivo di portare gli investimenti totali in ricerca al 3% del Pil entro il 2010. A tal fine stiamo mettendo a punto alcune raccomandazioni per incoraggiare in particolare le imprese europee a investire maggiormente in questo campo, attraverso ad esempio sgravi fiscali e crediti d'imposta, un miglioramento dell'accesso al credito e la semplificazione delle procedure amministrative. I primi risultati. Quali i progressi attuati finora dal lancio dell'idea di Spazio europeo della ricerca di 30 mesi fa? L'iniziativa ha già prodotto risultati concreti quali un esercizio di comparazione delle prestazioni delle politiche nazionali di ricerca in base a 20 indicatori, e lo sviluppo di una rete europea di centri di mobilità e assistenza ai ricercatori che sarà avviata all'inizio del 2003. Altre iniziative riguardano la creazione di una rete telematica trans-europea ad alta velocità per lo scambio di informazioni scientifiche, e nuovi sforzi per portare all'approvazione della proposta della Commissione di un brevetto europeo unico. In molteplici settori sono state istituite strutture di contatto tra operatori privati e pubblici della ricerca a livello europeo (Acare, cioè Advisory Council for Aeronautcs Research in Europe per la ricerca aeronautica; Errac o European Rail Research Advisory Council per la ricerca ferroviaria) e sono state avviate iniziative di coordinamento delle attività nazionali di ricerca, ad esempio nel campo delle encefalopatie spongiformi trasmissibili. Abbiamo inoltre avviato la creazione di "piattaforme industriali" in settori quali l'idrogeno, la fonte d'energia pulita del futuro, e le nanotecnologie. Altre iniziative riguardano la ricerca sul cancro e le malattie legate alla povertà quali malaria, Aids e tubercolosi, con un approccio integrato "dal laboratorio al paziente". Lo scopo è quello di ottenere "valore aggiunto" a livello europeo, mettendo in rete l'eccellenza. Il "sesto programma quadro europeo di ricerca" - che prevede stanziamenti per 17,5 miliardi di euro nel periodo 2003-2006 - è stato concepito appositamente per contribuire a realizzare lo Spazio europeo della ricerca, grazie, in particolare, a nuovi strumenti di finanziamento come le reti di eccellenza e i progetti integrati, al rafforzamento dell'azione nei settori delle infrastrutture e della mobilità e a un piano di sostegno a favore delle iniziative di collegamento in rete delle attività nazionali. Lo scopo è quello di evitare la dispersione delle risorse comunitarie in miriadi di progetti che non hanno un effetto duraturo, di creare una "massa critica" di conoscenza a livello europeo concentrando le risorse su alcune priorità, quali le scienze della vita, la genetica e le biotecnologie, le tecnologie della società dell'informazione, le nanotecnologie e i nuovi materiali, l'aeronautica e lo spazio, la qualità e la sicurezza alimentare, lo sviluppo sostenibile, in particolare in aree come l'energia e i trasporti, e il rapporto scienza-società. Un salto di qualità. Il progetto di Spazio europeo della ricerca, tuttavia, continua a scontrarsi con il coordinamento insufficiente delle politiche nazionali in questo settore. Gli Stati membri dell'Ue possono e devono fare di più. Per superare questo limite, lo studio propone di stabilire degli obiettivi comuni, di tradurli in obiettivi specifici per ciascun Paese e di elaborare relazioni nazionali annuali per fare con regolarità il punto della situazione. Questo meccanismo sarebbe attuato da rappresentanti di alto livello degli Stati membri. Sarebbe inoltre auspicabile fare maggior ricorso a strumenti giuridici, ad esempio in materia di mobilità dei ricercatori. Mi riferisco, in particolare, alle misure destinate ad agevolare l'ingresso e il soggiorno di ricercatori di Paesi terzi in Europa, nonché di raccomandazioni riguardanti lo svolgimento della carriera dei ricercatori. Si dovrebbe nel contempo realizzare uno sforzo particolare per aiutare i Paesi candidati a integrarsi nello Spazio europeo della ricerca. Anche se si tratta di una strada in salita, ho fiducia nella volontà dei politici, degli imprenditori e dei ricercatori europei. L'alternativa a un impegno forte e risoluto per creare un vero Spazio europeo della ricerca è rappresentata da un ritardo sempre maggiore dell'Ue nell'arena internazionale, e questo si traduce in un deterioramento della qualità e del tenore di vita degli europei. L'Europa ha punte di eccellenza: penso ad esempio alla ricerca sul cancro, alle telecomunicazioni, alle biotecnologie. Esitazioni, paure, pregiudizi ed egoismi non fanno che dividerci e rallentare la crescita europea nel suo complesso. Conto di presentare al Consiglio europeo della primavera 2003 un altro rapporto, con nuovi e incoraggianti risultati per la realizzazione dello Spazio europeo della ricerca. * Commissario Ue alla ricerca _______________________________________________________ Il Sole24Ore 17 ott. ’02 RICERCA DEBOLE, POCHI BREVETTI MADE IN ITALY (NOSTRO SERVIZIO) ROMA - La ricerca italiana produce pochi brevetti. Negli enti ci sono pochi ricercatori e le informazioni sulla gestione delle risorse e sull'impatto economico dei progetti sono insufficienti. Sono i dati contenuti nella relazione annuale del Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (Civr), presentata ieri a Roma dal presidente del Civr, Franco Cuccurullo, dal ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, e dal viceministro, Guido Possa. La valutazione ha riguardato 8 enti di ricerca pubblici (tra i quali l'Istituto nazionale di fisica nucleare, il Cnr e l'Enea), che costano allo Stato 2.784 milioni di euro all'anno. Il sistema, è stato detto, presenta numerosi punti di debolezza. Innanzitutto la bassa propensione a produrre i brevetti e a sfruttarli economicamente: secondo i dati, l'Italia può contare su 65 brevetti per milione di abitanti, un valore decisamente inadeguato rispetto agli altri Paesi europei, che vantano centinaia di certificati. La struttura italiana che nel 2000 ha prodotto più brevetti è il Cnr, con 48 certificazioni, seguitodall'Enea (19) e dall'Istituto nazionale di fisica della materia (8). All'interno degli enti, poi, lavora troppo personale amministrativo. Il Cnr, per esempio, conta più di 7.300 addetti, di cui solo 3.650 sono ricercatori. Stessa situazione all'Enea, dove svolgono attività di ricerca solo 1.300 unità su un totale di 3.238 dipendenti. "Va considerato però - ha detto Cuccurullo - che molti enti si avvalgono anche di una consistente rete esterna di consulenze". Risultati più brillanti si registrano, invece, sul fronte delle pubblicazioni internazionali, che sono "generalmente in crescita", con una media di 5,6 articoli pubblicati per ricercatore. Gli enti, dunque, debbono impegnarsi per valorizzare i punti di forza e migliorare le performance. "Il Governo investirà molto nel settore della ricerca - ha detto il ministro Moratti - perchè è necessario diffondere la cultura della valutazione, anche per garantire una ottimale allocazione delle risorse". Il primo passo in questo senso è già compiuto, ha assicurato il ministro, che proprio ieri ha annunciato la messa a punto delle prime linee guida per valutare la ricerca e definire un "vero e proprio marchio di qualità" dei progetti. L'elaborazione degli standard - novità assoluta per il nostro Paese, ha sottolineato la Moratti - sarà affidata al Civr. "Le linee guida - ha detto il ministro - saranno pronte entro la fine di novembre, ma prima dell'emanazione ci sarà un confronto con gli enti di ricerca, il Crui, il Cun e le parti sociali". Alessia Tripodi _______________________________________________________ Corriere Della Sera 17 ott. ’02 «RICERCA AL COLLASSO CON QUESTA FINANZIARIA» In Europa si seguono strade ben diverse Bracco Diana La ricerca italiana si trovava già in un momento particolarmente critico, ma questa Finanziaria, se approvata nella forma presentata alle Camere, ne decreterebbe il collasso. Tagliati ulteriormente i fondi per la ricerca pubblica, nessun rifinanziamento dei principali fondi destinati alla ricerca delle imprese. Se anche negli anni scorsi il sistema degli incentivi avesse funzionato, la situazione sarebbe grave comunque. Ma ora diventa insostenibile alla luce del sostanziale blocco di questi strumenti negli ultimi anni. A oggi sono in sospeso presso il ministero della Ricerca e Università, che gestisce il principale fondo di agevolazione, il Far (Fondo per la Ricerca applicata), più di 1.500 domande di finanziamento per oltre 2.500 milioni d i euro (a cui corrispondono investimenti delle imprese in ricerca per circa 4.700 milioni). Tra le domande già ritenute valide (oltre la metà), vi sono numerose aziende che hanno presentato il proprio progetto di ricerca nel 1999 o all' inizio del 20 00 e ancora attendono l' erogazione del contributo. Altrettanto drammatica è la situazione del Fit, il Fondo di Innovazione tecnologica, gestito dal ministero delle Attività produttive e indirizzato ad attività di innovazione più vicine al mercato. I l Fit ha infatti esaurito le proprie risorse, mentre giacciono sui tavoli del ministero progetti di ricerca per almeno 1.500 milioni. Non solo. La Legge 297/99 ha portato alla semplificazione delle procedure per accedere ai fondi di agevolazione. Ne sono nati moltissimi progetti soprattutto di piccole e medie imprese ritenuti validi dalle apposite Commissioni di valutazione, ma i fondi per il supporto all' innovazione sono rapidamente andati in crisi, sono tornati ad allungarsi i tempi di valutazione, e - anche qui - le aziende non sanno se o quando riceveranno i finanziamenti. La conseguenza probabile di quest'involuzione sarà la contrazione nei programmi di innovazione delle imprese e, in primo luogo, di quelle di minori dimensioni. Inoltre, molte aziende che, in attesa dell' erogazione del finanziamento agevolato, hanno avviato i progetti di ricerca con i propri fondi, oggi si trovano in difficoltà. Spiace constatare che il nostro governo non punta a sufficienza sull' innovazione, specialmente quella diffusa, che produce competitività, occupazione qualificata, benessere, mentre in Europa si seguono strade ben diverse. Il Regno Unito, con un rapporto di spesa per ricerca rispetto al prodotto lordo doppio del nostro, ha lanciato un grande progetto di supporto all' innovazione delle imprese per circa 3 milioni di euro. L' Unione Europea ha riconosciuto l' importanza della ricerca e specialmente di quella delle imprese. E' stato fissato l' obiettivo di una spesa di ricerca rispetto al pil pari al 3% entro il 2010. Attualmente la media europea si colloca intorno al 2%, quella italiana supera di poco l' 1%. Significa che, per rispettare gli impegni presi in sede europea, il nostro Paese dovrebbe almeno raddoppiare tale rapporto nei prossimi 5 anni. Certamente per raggiungere tassi di ricerca e innovazione paragonabili a quelli dei Paesi più avanzati serve una trasformazione strutturale e dimensionale del nostro sistema produttivo. Ed è altrettanto certo che non basta agevolare l' innovazione. Ma, nel momento in cui si decide come utilizzare nel modo più efficace le risorse dello Stato, non va dimenticato che se non si dedicano maggiori risorse a ricerca e innovazione, nessuna riforma sarà in grado di migliorare l a competitività del sistema. La proposta che lanciamo è coerente con le Linee guida del Piano nazionale della Ricerca, approvate da questo governo solo pochi mesi fa: investire nel supporto alla ricerca pubblica e privata lo 0,7% del pil già nel 2003 e aumentare tale rapporto di 0,1% per ogni anno di legislatura, così da arrivare all' 1% nel 2006. Ciò significa che nella Finanziaria odierna mancano almeno 4 milioni di euro. Queste risorse, unite alla certezza delle regole e dei tempi, stimoleranno un ulteriore impegno anche da parte delle imprese, rendendo raggiungibile l' obiettivo del 2% di investimento complessivo sul pil. Finché la capacità di ricerca e di innovazione rimarrà un obiettivo secondario, non vi saranno mai le risorse necessarie per rilanciare la competitività del Paese. Tuttavia sottovalutare l' impatto della ricerca significherebbe condannare l' Italia a tassi di crescita più bassi, ad un' occupazione minore e a livelli di reddito inferiori, rispetto a quanto potremmo avere. Le cose da fare sono ben chiare. Rimaniamo in attesa di vedere se esiste la volontà di farle. Diana Bracco (Consigliere Incaricato per l' innovazione e lo sviluppo tecnologico di Confindustria) LA SCHEDA IN SOSPESO Il ministero della Ricerca e Università, che gestisce il principale fondo di agevolazione alla ricerca delle imprese, tiene in sospeso più di 1.500 domande di finanziamento per oltre 2.500 milioni di euro L' OBIETTIVO EUROPEO L' Ue ha fissato per la ricerca l' obiettivo di investimento pari al 3% del Pil entro il 2010. Oggi la spesa europea è del 2% del Pil, quella italiana dell' 1 _______________________________________________________ La Stampa 16 ott. ’02 LA LEZIONE DEI NOBEL DA STOCCOLMA UN SEGNALE PER L´ITALIAI DECISORI POLITICI LO RACCOGLIERANNO? I LAVORI PREMIATI PER LA BIO-MEDICINA, LA FISICA E LA CHIMICA CI DICONO QUANTO LA RICERCA PURA SIA ESSENZIALE, ANCHE IN VISTA DI APPLICAZIONI QUEST´ANNO i premi Nobel assegnati per la bio-medicina, la fisica e la chimica suggeriscono qualche riflessione, specialmente per l´Italia. La prima riguarda il nostro sistema-ricerca. Riccardo Giacconi, premiato per la fisica, va ad arricchire la lunga lista dei vincitori americani, che dal 1975 al 2002 incluso comprende 112 laureati in discipline scientifiche. Certo, il passaporto di Giacconi da 35 anni è statunitense. Ma per noi è italiano: è nato a Genova, si è laureato a Milano, sono italiani tutti i suoi maestri e in particolare i due maggiori, Giuseppe Occhialini e Bruno Rossi, che lo guidarono nei primi passi alla scoperta del cielo in raggi X (e che, per inciso, furono defraudati del Nobel, specialmente Occhialini, il cui contributo fu determinante per i lavori che procurarono il riconoscimento di Stoccolma a Blackett e a Powell). Ma pure Enrico Fermi, Emilio Segré e il biologo Luria per le enciclopedie annglosassoni sono americani. In ogni modo, anche senza guardare al passaporto ma all´atto di nascita, tra il 1975 e il 2002 l´Italia totalizza solo 4 laureati: Dulbecco e Levi Montalcini per la biomedicina, Rubbia e Giacconi per la fisica. Nello stesso periodo l´Inghilterra ha avuto 17 premi Nobel scientifici, la Germania 16, la Svizzera 8, la Francia 5. Dei nostri 4, nessuno ha fatto in patria i lavori per i quali ha ottenuto il premio (va detto, però, che Rubbia si è servito delle macchine del Cern di Ginevra, cui contribuiamo in proporzione al nostro pil). Quest´anno gli investimenti italiani nella ricerca sono scesi all´1%, contro l´1,9 dell´Inghilterra, il 2,2 della Francia, il 2,3 della Germania, il 3,3 della Finlandia. Poi non piangiamo sulla crisi della nostra industria. L´auto ha già fatto miracoli resistendo fino ad oggi. Dove sono finite le nostre industrie chimiche, elettroniche, nucleari, biotecnologiche? Qui tocchiamo con mano i frutti di una scuola derelitta, di una politica arruffona, di una visione del mondo come design e apparenza: tanto Armani e Versace, tante veline sculettanti su Mediaset, tanti «posti al sole» ma solo negli studi Rai tv di Napoli. Usciamo dalla nostra triste provincia. Le scelte fatte dal Karolinska Institute e dall´Accademia delle Scienze svedese quest´anno sono ineccepibili. Bio-medicina. La scoperta del meccanismo genetico che interviene nel suicidio programmato delle cellule è una conquista fondamentale per la conoscenza pura ma è anche molto promettente per le prospettive terapeutiche (ad esempio del cancro). In quel meccanismo c´è persino della poesia: senza morte programmata, non c´è vita, e il disgiungersi delle dita come l´aprirsi delle palpebre nel feto si deve proprio al suicidio, nel momento giusto, delle cellule giuste. Sydney Brenner ha trovato nel piccolo verme Caenorhabditis elegans il modello perfetto per studiare il fenomeno, John Sulston e Robert Horvitz hanno completato l´impresa. Fisica. Giacconi ha aperto la finestra sul cielo nei raggi X che ci ha permesso di scoprire e capire decine di fenomeni cosmici. Raymond Davis e Masatoshi Koshiba hanno socchiuso un´altra finestra (per la verità è solo uno spiraglio) sull´osservazione dell´universo nella radiazione dei neutrini: i loro esperimenti per ora pongono più dubbi di quanti ne abbiano risolti, ma sono comunque una bella promessa. Spiace soltanto che lavori analoghi compiuti da fisici come Ettore Fiorini, Piero Galeotti e molti altri in laboratori sotterranei prima al Monte Bianco e poi al Gran Sasso siano sconosciuti agli stessi cittadini italiani. Chimica. La funzione svolta dalle grandi molecole biologiche, e in particolare delle proteine, è strettamente collegata alla loro forma tridimensionale. John Fenn, Koichi Tanaka e Kurt Wutrick hanno ideato metodi per "fotografare" queste forme. Ora che si sono mappati i 40 mila geni del DNA umano, questi metodi saranno preziosissimi nella proteomica, cioè nel determinare la struttura e quindi la funzione delle centinaia di migliaia di proteine che quei geni codificano. Il loro lavoro ci apre la medicina del futuro. Ultima riflessione: i Nobel 2002 fanno capire come la ricerca pura sia, in fondo, la sola che conta. Anche per le applicazioni. Chi lo dirà alla Moratti? Piero Bianucci _______________________________________________________ La Stampa 16 ott. ’02 L´OMBELICO VAL BENE UN PREMIO IG-NOBEL ALTRE RICERCHE STRAVAGANTI RIGUARDANO LA SCHIUMA DELLA BIRRA E UN SISTEMA PER LAVARE I GATTI RACCOGLIENDOLI per tutta la vita, forse riusciremmo a farne un materasso. A partire dal nulla, o quasi: semplicemente usando quei piccoli batuffoli di cotone e peli che sembrano formarsi spontaneamente nell'ombelico. Da dove vengono? Come si creano? E perché si raccolgono proprio lì? Sono le domande che si è posto il fisico Karl Kruszelnicki dell'Università di Sydney, autore della prima ricerca davvero completa sull'argomento. Per un anno ha esaminato i batuffoli prodotti da 5 mila australiani, scoprendo che si tratta di fibre degli abiti indossati: i peli agiscono da nastro trasportatore, canalizzando la piccola pallina di tessuto verso l'ombelico, che funziona come centro d'aggregazione. Sempre secondo Kruszelnicki, i batuffoli sono maggiormente presenti negli individui più pelosi e, ovviamente, negli uomini. Ma il piercing ombelicale sembra ridurli in modo notevole. Le "scoperte" di Kruszelnicki non risolvono un grande enigma della scienza, ma sono abbastanza bizzarre da meritarsi il premio Ig Nobel, destinato alle ricerche più strampalate, ma comunque scientificamente rigorose. E regolarmente pubblicate: l'Ig Nobel per la medicina è andato all'autore di uno studio sull'asimmetria scrotale nell'uomo e nelle sculture antiche, accettato dall'autorevole rivista "Nature" nel 1976. Nell'(auto)ironia che lo contraddistingue, l'Ig Nobel (che in inglese suona come "ignobile") rispecchia comunque la forma mentis degli scienziati, capaci di spiegare con teorie e numeri anche i fenomeni quotidiani più insignificanti. Ad esempio, un fisico (di Monaco di Baviera: e dove, se no?) ha dimostrato che la schiuma della birra obbedisce alla stessa legge matematica del decadimento radioattivo. Alcuni ricercatori britannici, vincitori del premio per la biologia, hanno studiato il comportamento delle ostriche in cattività. Il mondo animale è ben rappresentato anche dalle ricerche sui cani. L'Ig Nobel per la pace è andato agli inventori del Bowlingual, il traduttore universale per il miglior amico dell'uomo. Prodotto dalla giapponese Takara (su Internet: www.takaratoya.co.jp), si presenta come un comune collare, che registra l'abbaiare del cane e lo invia al display del padrone. Un piccolo computer traduce ogni latrato canino in frasi umane. Un altro premio è stato andato all'inventore di una macchina (quasi di tortura) per lavare cani e gatti. Nel consueto lancio goliardico di aeroplanini di carta, la cerimonia di consegna degli Ig Nobel (in rete sul sito www.improbable.com) si è chiusa con una serie di seminari, dove molti scienziati (anche veri premi Nobel) hanno spiegato in cosa consiste il loro lavoro in soli 24 secondi. Una dote di sintesi che molti, dai politici ai presentatori televisivi, dovrebbero imparare. Giovanni Valerio _______________________________________________________ L’Unione Sarda 18 ott. ’02 UNIVERSITÀ, AUMENTANO LE TASSE Passa la proposta del rettore, il consiglio d’amministrazione dà il via libera ufficiale ai rincari Gli studenti insorgono: «Una mazzata contro i più deboli» Tutto come previsto, polemiche comprese. Con 14 voti a favore, 3 contrari e 3 astenuti, ieri il consiglio di amministrazione dell’Ateneo ha approvato l’aumento delle tasse ed istituito i nuovi contributi di facoltà. Passa la proposta del rettore Pasquale Mistretta, gli studenti si spaccano (tre astenuti, due contro), i docenti (a parte uno, Giuseppe Arca) e i rappresentanti sindacali votano compatti per il sì. Ma non passa l’intesa con gli studenti che il rettore aveva cercato insistentemente nel corso di una trattativa lunga e difficile conclusa mercoledì, alla vigilia del cda, con un sostanziale accordo sulla produttività didattica e la regolamentazione degli esami ed un no deciso sulla manovra finanziaria e la tassazione. Come annunciato, le tasse per gli iscritti ai corsi triennali aumentano di circa 10 euro per le prime quattro fasce (sino a 23 mila euro) e salgono di 250 euro, cioè a 1032 euro (due milioni di lire) per i redditi superiori ai 64.700 euro. Più consistenti i rincari per le lauree specialistiche biennali. Dopo il triennio gli studenti con un reddito sino a 10 mila euro ne pagheranno 250, quelli sino a 25 mila dovranno versarne 350, 500 chi dichiara sino a 40 mila euro e 1250 chi ha un reddito equivalente (calcolato in base alla composizione del nucleo familiare) superiore. Ma l’aumento per le prime fasce è solo apparentemente basso - fa notare Giuseppe Frau, il rappresentante di Insieme per l’università che ha votato contro (l’altro è Francesco Bachis del Collettivo studenti a sinistra) - «perché con la soppressione dell’assegno di disagio di 50 euro, la contestuale introduzione del contributo di facoltà, la soppressione delle agevolazioni per i fuori sede (circa 15 mila) i più poveri pagheranno sino al doppio rispetto all’anno scorso. Inquietante. Altro che università di massa». Ma il rettore, che tutto questo lo aveva già annunciato, contrappone i 6700 esenti su poco più di 35 mila studenti e il fatto che il 70 per cento degli iscritti all’ateneo paga le tasse più basse. Via libera anche ai contributi di facoltà che varieranno da 35 a 50 euro all’anno (nella prima proposta erano compresi tra i 35 e i 150) a seconda del “peso” degli studenti sul bilancio dell’Università. Gli iscritti a Giurisprudenza, Economia e Scienze politiche pagheranno 35 euro, chi studia Lettere, Filosofia, Scienze della formazione e Lingue ne verserà 40, cinque euro in più chi frequenta le facoltà di Ingegneria, Farmacia, Scienze matematiche fisiche e naturali, 50 per Medicina. Chi si iscrive all’Ateneo dovrà inoltre versare contributi aggiuntivi per oltre 70 euro. A parte l’imposta di bollo di 10,33 euro pagati entro la fine del mese per formalizzare l’iscrizione, c’è da versare la “Tassa regionale per il diritto allo studio” di 62 euro, il “Contributo per la mobilità internazionale” (5 euro) e il Contributo Siae di 1,8 euro. Un impiegato statale con moglie e due figli (reddito di 23 mila euro) pagherà dunque 400 euro all’anno se lo studente è iscritto ad uno dei primi tre anni e 430 se frequenta il biennio della specializzazione. Gli studenti al primo anno fuori corso pagheranno il 5 per cento in più, al secondo il 10, al terzo il 20, al quarto il 30. Agli studenti a tempo parziale (che sottoscrivono un contratto con l’università nel quale dichiarano in quanto tempo intendono laurearsi) le tasse saranno ridotte del 15 per cento. Ma se non conseguiranno la laurea nel periodo stabilito, le tasse saranno rincarate del 30 per cento per il primo anno, del 35 per il secondo, del 40 per il terzo anno. Infine le scuole di specializzazione: per medicina si pagheranno 620 euro per le altre facoltà 258. Fabio Manca _______________________________________________________ L’Unione Sarda 18 ott. ’02 «CAGLIARI DIVENTERÀ UN ATENEO PER RICCHI» «Quella di Cagliari, da università di massa che garantiva pari opportunità a tutti, diventa un ateneo d’élite che penalizza i più poveri e non tiene conto dei requisiti di autorevolezza». Giuseppe Frau, uno dei due rappresentanti di Insieme per l’università nel consiglio di amministrazione, esprime forti critiche nei confronti delle nuove tasse. «I meno abbienti pagheranno sino al doppio perché scompare l’assegno di disagio, vengono istituiti contributi di facoltà che non tengono conto dei meriti e scompaiono le agevolazioni per i fuori sede». Il suo collega di lista, Luca Cadeddu, si è astenuto, confermando la spaccatura già emersa in passato: «Siamo critici sui rincari alle fasce più deboli, ma diamo atto al rettore di aver accettato le nostre proposte sulla riduzione dei contributi di facoltà e sulla didattica». Anche Matteo Orrù (Uniti e liberi), si è astenuto: «Sulle tasse si era già votato a luglio e noi eravamo contrari. Ieri si è dato il via libera al regolamento e non avevamo alcuna possibilità di incidere sul voto. Ci confronteremo con il rettore sulle altre questioni, la didattica, soprattutto». F. Ma. --------------- 18/10/2002 Gabriele, Cagliari Al giorno d'oggi è più importante trovare lavoro e maturare esperienza, piuttosto che puntare spesso verso una laurea che fa spendere anni di denaro e di energie fisiche, e che spesso non produce niente. Io ho un collega che è solo diplomato ma che, con l'esperienza maturata in aziende milanesi, ha un contratto migliore del mio. Le lauree dell'Università di Cagliari, allo stato attuale, non valgono niente, perciò ben vengano gli aumenti a costo di produrre un miglioramento qualitativo della nostra Università. ------------ 18/10/2002 Simone Paini, cagliari http://www.alternativastudentesca.it/presidentehome.htm Trovo per lo meno strano lamentarsi dell'aumento delle tasse nell'università di Cagliari, quando era da tanti anni che le tasse non venivano aumentate. All'aumento è corrisposto un accordo sulla didattica che se venisse rispettato permetterebbe al numero impressionante di fuori corso della nostra facoltà di laurearsi in maniera veloce, CON GLI APPELLI TUTTI I MESI. E' infatti su questo punto che si gioca il futuro del nostro ateneo. Se questa parte dell'accordo non venisse rispettata allora andrebbe ridiscusso tutto l'accordo e l'aumento delle tasse si potrebbe considerare ingiustificato. _______________________________________________________ L’Unione Sarda 18 ott. ’02 LA SCURE DI MISTRETTA CONTRO I DEBOLI' Eliminato perfino l'assegno di disagio piccolo sollievo per chi non ha mezzi. Rincari del 100 per 100 Tasse troppo alte, tutti gli studenti hanno detto no. Ricorso al Tar? CAGLIARI. «La scure di Mistretta si è abbattuta sugli studenti più deboli». Nel corso di un tiratissimo consiglio d'amministrazione, il rettore è riuscito a far approvare il contestato regolamento tasse contro il parere di tutti gli studenti presenti (cinque di cui tre astenuti e due contrari) più quello di un docente, Giuseppe Arca di Ingegneria. Spaccati sulla manifestazione di voto ma uniti nel dire "no" all'approvazione del documento, i rappresentanti degli studenti sembrano infatti concordi nel definire il regolamento «classista, iniquo e vessatorio». «A nulla sono serviti sul piano tasse - ha detto Giuseppe Frau di «Insieme per l'Università» che ha votato no insieme al rappresentante di «Studenti a sinistra», Bachis - gli incontri informali bilaterali promossi dal rettore che non hanno portato a nessun accordo: i più poveri i più penalizzati». Il risultato è quello che tutte le forze studentesche scongiuravano da mesi: aumento non proporzionale dei contributi che arrivano a raggiungere anche il 100 per cento in più per le fasce deboli, eliminazione dell'assegno di disagio di 50 euro (fino allo scorso anno per le prime due fasce) e introduzione del contributo di facoltà. «Uno studente di Medicina rientrante nella prima fascia di reddito - ha spiegato Frau - lo scorso anno pagava 200 mila lire: quest'anno pagherà il doppio». E poi uno smacco alla maggioranza degli studenti dell'Ateneo cagliaritano, i fuorisede, a cui non verrà più riconosciuta la condizione di disagio che, a seconda del luogo di provenienza, determinava il calcolo del reddito equivalente. «Per di più la nostra proposta di tutelare gli studenti non residenti è stata respinta: - ha detto Luca Cadeddu di Jan Palach-Insieme per l'Università - noi riteniamo questo un altro fatto gravissimo che ci ha imposto di astenerci per protesta dal voto in Cda». Una astensione «provocatoria» è arrivata anche dai due rappresentanti della lista «Uniti e Liberi» che accusano il rettore di aver preso in giro gli studenti. «La nostra posizione assolutamente contraria sulle tasse - ha detto Matteo Orrù - è arrivata già a luglio. Continuare la discussione in questo senso è stato solo un modo per distogliere l'attenzione dai gravissimi disservizi che esistono in tutte le facoltà». Ma il rettore in diverse occasioni ha sottolineato che gli aumenti e i tagli ai servizi agli studenti sarebbero stati necessari a causa del mancato adeguamento delle tasse all'inflazione - invariate dal 94 - e, non ultimo, i tagli alla Finanziaria che hanno messo in ginocchio l'Università. Sotto accusa però c'è anche la Regione, rea di non aver versato i contributi promessi per il Policlinico universitario, vero "salassatore" delle casse dell'Ateneo. Ma qualunque siano le cause che hanno portato a questo nuovo oneroso rapporto studenti-università, il Cda si è espresso ed entro il 15 novembre si dovrà versare la prima rata più il neonato contributo di facoltà. Ma c'è chi promette ancora colpi di scena. «Stiamo valutando l'ipotesi di presentare ricorso al Tar per violazione dell'articolo 20 dello Statuto - ha detto Francesco Bachis di «Studenti a Sinistra» - il Cda non ha consultato il Consiglio degli studenti il cui parere è in questo caso obbligatorio». Antonella Loi _______________________________________________________ L’Unione Sarda 19 ott. ’02 TASSE: NELLE FACOLTÀ È UN CORO: «DATECI LE AULE» Le reazioni alla decisione dell’ateneo di applicare i rincari dall’anno accademico in corso Gli spazi e gli orari delle lezioni sono al centro della polemica Su un punto gli studenti sono tutti d’accordo: «Aumentano le tasse, ma i servizi sono sempre più scadenti, per non dire nulli». Da Sa Duchessa a Viale Fra’ Ignazio, passando da Piazza d’Armi, il coro è unanime: no a questi rincari perché non è così che si migliora la qualità dell’ateneo cagliaritano. «L’aumento delle tasse è solo la punta dell’iceberg», contesta Francesca Medda, terzo anno di Ingegneria edile. «Nella mia facoltà mancano aule, le lezioni si tengono nei posti più disparati e presto alcuni corsi opzionali, per esempio Architettura delle grandi strutture, da annuali diventeranno semestrali perché non ci sono i soldi per pagare i professori». Moira Manca, iscritta in Lingue, lamenta aumenti indiscriminati in tutti i settori: «Non aumentano solo le tasse, ma anche i buoni pasto, mentre le borse di studio sono diminuite sia per numero che per coefficiente di reddito. Ormai per averne diritto bisogna essere in una situazione di indigenza totale». Per Giuseppina Pedditzi, futuro avvocato, gli aumenti si possono giustificare solo col miglioramento dei servizi, «ma nella mia facoltà non vi è traccia. Anche se devo ammettere che c’è chi sta peggio»». Le fa eco Francesca Schirru, secondo cui «il sistema delle fasce di reddito spesso fa rientrare gli studenti in una dimensione economica che non corrisponde alla realtà». Manuela Piras, iscritta in Economia e Commercio, punta il dito contro gli orari delle lezioni: «È scandaloso che non si tenga conto delle esigenze dei pendolari. Per chi arriva da fuori Cagliari essere alle 8 del mattino in facoltà è impossibile. Perché non si risolvono questi problemi prima di aumentare le tasse?». Anche le associazioni e i rappresentanti degli studenti finiscono sul banco degli imputati: «Parlano, parlano, ma alla fine su questioni così importanti come l’aumento dei tributi sono sempre assenti», accusa una ragazza iscritta in Lettere. Un gruppo di colleghi annuisce e va via in silenzio. Università, anno zero. Mauro Caproni _______________________________________________________ Il Messaggero 17 ott. ’02 MA ALLA SAPIENZA LA LAUREA COSTA IL DOPPIO LA SAPIENZA batte cassa. Anzi bussa alla porta di chi si è laureato quest’anno per chiedere altri 32 euro. La tassa per il rilascio del diploma di laurea infatti improvvisamente è aumentata, come si dice, in corso d’opera. E così starebbero per partire raccomandate dirette ai circa 5 mila studenti che sono usciti dall’ateneo nella sessione estiva. Tutto è cominciato durante la stesura del bilancio di previsione 2001: stabiliva l’aumento della tassa di laurea da 60 mila a 120 mila lire. Doveva valere già nell’anno 2001-2002 ma nel decreto attuativo del rettore della tassa non se n’è più parlato. Tutti se ne sono scordati. Tanto che gli studenti che si sono laureati nella sessione di giugno e luglio 2002 hanno pagato solo 30 euro. Ora, però, nell’ateneo sempre a corto di soldi come del resto la maggior parte delle università italiane, si sono ricordati di quel provvedimento. Così, da settembre la tassa di laurea è diventata di 62 euro, e per raggiungere chi già si è laureato e spillargli altri 32 euro dalla segreteria centrale della Sapienza stanno per partire altre lettere. «Mi sembra un vero arbitrio - denuncia Carmen, che si sta per laureare in Lettere - cambiare le tasse da un mese all’altro. E stanno anche richiamando gli ultimi paganti di luglio per contribuire al raggiungimento dell’ultimo prezzo deciso». I rappresentanti degli studenti negli organi di amministrazione, hanno intenzione di sollevare il problema nelle prossime sedute. Sul tavolo anche altre questioni: che fine hanno fatto i 2 miliardi di borse di studio ed il rimborso delle tasse dell’ultimo anno per gli studenti che si laureano in corso? Due provvedimenti decisi nella stessa seduta in cui si aumentavano le tasse di laurea. Non sono più stati comunicati agli studenti, sono rimasti dimenticati nel cassetto. R.Tro. _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 ott. ’02 RETTORATO, GLI SFIDANTI DI «RE MISTRETTA» Spuntano altre candidature per l'università Chiesta formalmente la modifica dello statuto Il senato accademico allargato dovrà votare le nuove regole per l'elezione CAGLIARI. Un tempo si era parlato di «re Duilio», per indicare Duilio Casula, il predecessore dell'attuale rettore. Ora si parlerà di «re Pasquale». Entrambi hanno governato l'ateneo per oltre dieci anni. Anche se lo stile dei due «sovrani» è (ed era) molto differente. Entrambi, però, sono contraddistinti da una volontà ferrea: più decisionista quella di «re Duilio», più mediata quella di «re Mistretta». Alcuni giorni fa quest'ultimo ha presentato ufficialmente la richiesta al senato accademico, di modifica dello statuto: per poter fare un altro mandato. Eletto nel 1991, Mistretta svolge attualmente il quarto incarico di rettore. Nel '95 venne approvato il nuovo statuto dell'università che fissava in due (di tre anni ciascuno) i mandati possibili del responsabile d'ateneo. Il rettore fece poi votare il non conteggio del mandato in corso al momento dell'approvazione dello statuto. In questo modo, formalmente, Mistretta sta terminando il secondo regno. Il mandato del rettore terminerà a novembre del prossimo anno, ma sei mesi prima dovrà essere eletto il nuovo responsabile dell'ateneo. Il che significa che, a maggio, vi saranno le elezioni. Ma come mai se ne parla sin da oggi? Perchè se il rettore in carica, Pasquale Mistretta, vuole ricandidarsi, deve chiedere (come ha chiesto) la modifica dello statuto per portare a tre i mandati. Operazione che, complessivamente, richiederà alcuni mesi. La modifica dovrà essere votata dal senato allargato. Normalmente l'organo di governo dell'università è composto dai dieci presidi di facoltà, da sei rappresentanti dei docenti divisi per aree disciplinari, da tre studenti e da due tecnici. Il senato allargato, invece, porta a otto il numero degli studenti e a sette i tecnici, più cinque professori ordinari, altrettanti associati e cinque ricercatori (47 in tutto). Una volta approvata la modifica, questa dovrà andare al ministero della Pubblica istruzione per la ratifica (che, in genere, è un atto formale che viene sempre dato). Solo dopo il rettore potrà emanare il decreto per il nuovo statuto. La richiesta fatta da Mistretta, di estensione del mandato, farà senza dubbio discutere ma è difficile pensare che non riceverà un voto positivo anche se per essere approvata avrà bisogno della metà più uno delle preferenze degli aventi diritto (di 24 voti). Intanto il gioco dei nomi per le candidature è già cominciato. Per molti lo spartiacque sarà l'approvazione o meno della modifica dello statuto, che determinerà la ricandidatura di Mistretta. Il sociologo Gianfranco Bottazzi (sino a giugno preside della facoltà di Scienze Politiche), ad esempio, potrebbe impegnarsi ma solo se l'attuale rettore non si ricandiderà. Lo stesso dicasi per il giurista Francesco Sitzia. Come candidatura ufficiale, per il momento, c'è solo quella dell'anatomo patologo, Giuseppe Santacruz. Un possibile altro candidato è anche il fisico Francesco Raga, già preside della facoltà di Scienze, che ha già espresso la sua disponibilità, pur precisando che i tempi sono ancora prematuri. Altro possibile concorrente è il docente di ragioneria, Giovannino Melis. Nel settore medico ha mostrato una certa disponbilità anche il pediatra Carlo Pintor. Intanto iniziano a delinearsi i temi del dibattito. In generale viene dato un giudizio positivo dell'operato del rettore per quanto riguarda l'edilizia. Le critiche maggiori, invece, tendono a sottolineare il carattere «un po' accentratore». Da qui la richiesta di una maggiore autonomia delle facoltà. Va detto, però, che nell'università (come in tutti i comparti ben delimitati) giocano soprattutto gli interessi corporativi. Aspetto, questo, che non va inteso come un'offesa ma come ma come sviluppo delle caratteristiche specifiche: la ricerca soprattutto. Detto questo un dibattito sul ruolo dell'università lo chiedono in molti. r.p. _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 ott. ’02 LOY: "CARO MISTRETTA, LO STATUTO NON SI TOCCA" Gianni Loy: "Io candidato? Ora no, ma tutto è possibile" "Appoggerei subito solo Antonio Sassu I nomi che si fanno non soddisfano, meglio Mistretta" r.p. CAGLIARI. Gianni Loy candidato? Docente ordinario di diritto del lavoro, già aspirante a sindaco per una lista del centro sinistra in concorrenza col rettore Pasquale Mistretta, il nome di Loy circola come uno dei possibili papabili alla guida dell'ateneo. È possibile un replay del confronto Mistretta-Loy per il rettorato? "Niente può essere escluso, ma ogni scelta a suo tempo. Per il momento una mia candidatura non è ipotizzabile". Il rettore in carica ha chiesto formalmente la modifica dello statuto per potersi ricandidate: lei che ne pensa? "Sono nettamente contrario. In generale direi che non si possono cambiare le regole durante il gioco. Mi auguro che il senato accademico abbia il coraggio di non approvare tale proposta. Sarebbe un brutto segno e poco educativo per il futuro". Se Mistretta si ricandida, lei sarà suo avversario? "Questo è un altro discorso. L'attuale rettore ha pregi e difetti ed esprime una determinata linea. Se si presenterà un candidato con capacità e programmi migliori dei suoi, lo appoggerò. Altrimenti darò la mia fiducia a Pasquale Mistretta". Pregi e difetti dell'attuale rettore? "Intelligenza, abilità politica e coraggio. Senza la sua determinazione, forse, la cittadella di Monserrato non sarebbe stata aperta". Sin qui i pregi, e i difetti? "Non condivido il suo stile accentratore. Vedo poi un eccesso di spregiudicatezza quando Mistretta, con leggerezza, solidarizza con docenti ritenuti responsabili di reati...". Parla della vicenda dell'ex preside di Medicina, Angelo Balestrieri? "Sono fatti di cronaca. Preciso anche che per me tutti gli inquisiti sono presunti innocenti, ma l'istituzione deve restarne fuori. La solidarietà si da in privato. Ma la cosa importante sono i programmi. Un rettore non può essere eletto solo sulla base di simpatia o antipatia personale". Quali i punti centrali di un programma presentabile? "Minor accentramento. Maggiore autonomia (anche in termini di budget) per facoltà e dipartimenti. Autonomia finanziaria per il Policlinico, oggi un'idrovora per l'università. Più considerazione per i dirigenti amministrativi, col rispetto delle competenze e dell'autonomia stabilite dalla legge. Regolamenti chiari su questioni importanti come, ad esempio, le prestazioni a pagamento, determinanti per la trasformazione dell'università in azienda". Che cosa deve cambiare per gli studenti? "Bisognerebbe concedere loro poteri reali: responsabilizzarli. La verità è che oggi c'è molto fumo e poco arrosto. Le loro rappresentanze non sono in grado di incidere sulle scelte". Alcuni possibili candidati sono usciti allo scoperto: tra questi c'è qualcuno che, secondo lei, potrebbe realizzare i programmi a cui ha accennato? "Rispetto ad alcuni nomi che si fanno preferisco di gran lunga l'attuale rettore. Ma colleghi in grado di sviluppare egregiamente i programmi accennati ce ne sono senz'altro". C'è un candidato che lei appoggerebbe incondizionatamente? "Tutto dipenderà dai programmi. Però un nome mi sento di farlo: l'economista Antonio Sassu. Non abbiamo le stesse idee su tutto, ma se si candidasse lo appoggerei senza riserve". _______________________________________________________ L’Unione Sarda 14 ott. ’02 «LE DISFUNZIONI DELL'UNIVERSITÀ DANNEGGIANO CHI VUOLE STUDIARE» Sono una studentessa iscritta alla Facoltà dell'Educazione di Cagliari. Penso sia insolito ricevere questo genere di lettere, né mai avrei pensato di scriverne una, ma nella situazione in cui mi trovo non so a chi altri rivolgermi. Questa non vuole essere una semplice lettera di protesta, ma qualcosa di più. Voi che avete i mezzi per farlo, aiutate noi studenti a scuotere la coscienza di chi ha in mano in nostro futuro. Vi scrivo perché vorrei far sapere in che modo noi studenti veniamo trattati: i nostri diritti allo studio non vengono rispettati ma conculcati giorno dopo giorno, cosicchè, davanti a innumerevoli difficoltà, tantissimi studenti si ritirano dagli studi, demoralizzati e stanchi di lottare contro un sistema che non funziona. I problemi dell'Università sono tanti, ma mi soffermerò su alcuni punti principali: il più dolente, è rappresentato dagli appelli, o dai non appelli. Perché dico questo? Perchè: a) le date degli esami vengono comunicate circa dieci-quindici giorni prima dell'esame stesso e questo non dà modo di organizzare e gestire il tempo utile alla preparazione; b) la cosa più grave è che, anche in questa occasione, gli esami sono previsti solo per il mese di ottobre, e questo significa che si dovrà attendere febbraio per i prossimi appelli e non, come dovrebbe essere, a novembre. Questa è una cosa assurda, inverosimile quanto inaccettabile, perché non può esserci un solo appello ogni tre-quattro mesi e comunicato pochi giorni prima. Noi studenti non siamo messi nella condizione favorevole di presentarci agli esami; le cose vengono rese sempre più difficili dalla disorganizzazione generale. Per questo motivo ci si laurea di rado e con qualche anno in più rispetto al necessario. Il secondo punto riguarda la scarsa informazione. Non si sa per quale motivo nessuno riesca a dare qualche informazione precisa. Non si sa mai niente, se non per voci di corridoio, spesso infondate e contraddittorie, nessuno ci informa, né il personale docente, né tanto meno il personale amministrativo. Si gioca allo scaricabarile, con grave nostro nocumento quanto a tempo, danaro e pazienza. Il terzo punto riguarda la mancanza di aule, con la conseguente difficiltà che si incontra nel seguire le lezioni. In merito a queste considerazioni, io mi chiedo perché c'è tanta differenza fra la nostra e le altre facoltà d'Italia? Solo per citarne qualcuna, a Milano alla cattolica le date degli esami vengono comunicate semestralmente, attraverso una sorta di vademecum che viene fatto pervenire tramite posta a ciascuno studente. Ciò significa che lo studente conosce mesi prima le date degli esami. Anche a Firenze le date vengono comunicate per tempo, così lo studente puà gestire e organizzare adeguatamente il proprio lavoro, cosa che da noi è impossibile. Da chi dipende tutto questo? Non è tanto questione di fondi mancanti, il voler comunicare per tempo le date, né che sia un problema politico, ma semplicemente, penso, occorra buon senso e responsabilità. Nonché l'impegno da parte di tutti a rendere più praticabile per noi studenti il percorso universitario. Vi chiedo di rendere pubblico il disappunto di noi studenti, di non deludere le nostre speranze. I ragazzi devono essere stimolati e incoraggiati allo studio, non ostacolati, lo studio è una risorsa troppo importante per noi sardi. Recatevi voi stessi in facoltà e verificate il malcontento generale, la disperazione e la rabbia di chi, come me, vuole dare gli esami, vuole studiare, vuole laurearsi in un arco di tempo accettabile e non può farlo, non per mancanza di capacità o buona volontà, ma perché ciò non è consentito dalla disfunzione delle strutture. Una studentessa _______________________________________________________ Il Tempo 17 ott. ’02 ANCHE I DIPENDENTI STATALI STANNO ABBANDONANDO LA RIGIDITÀ di GIUSEPPE PENNISI Pochi se ne sono accorti. Piano piano, la vera e propria fortezza di rigidità quali impiego a vita, mansionari dettagliatissimi, e regole minute - ossia il pubblico impiego - sta acquistando una flessibilità analoga a quella del lavoro dipendente nel settore privato. L'introduzione di forme di lavoro flessibili (come il tempo parziale, il tempo determinato, l'interinale, contratto formazione e lavoro, il telelavoro, ed anche le collaborazioni coordinate e continuative) nella pubblica amministrazione era prevista sin dal decreto legislativo n. 29 del lontano 1993. Grazie ai contratti collettivi nazionali conclusi negli ultimi anni è stato fatto notevole progresso. C'è voluto tempo da quando si è concepita l'introduzione di tipologie di lavoro allora ancora considerate "atipiche" in un mondo che molti indissolubilmente pensavano legato al rapporto di lavoro a vita. Un'analisi giuridica condotta all'interno dell'Aran conclude che, con l'eccezione del contratto formazione lavoro, si è avuta negli ultimi anni un'espansione molto rapida delle altre fattispeci nei contratti collettivi nazionali del settore pubblico. Il contratto formazione e lavoro non solo è nel mirino dell'Unione Europea per alcuni suoi aspetti ma poco adatto alla pubblica amministrazione in quanto comporta la conversione in contratto a tempo indeterminato. Alla diffusione del lavoro interinale, poi, osta il maggiore costo (circa il 15% di quello di un lavoro dipendente) e la natura dell'organizzazione del pubblico in grandi unità, mentre, come è noto, nel lavoro privato se ne è avuto un vero e proprio boom nel comparto delle piccole e medie imprese (dove sono le dimensioni stesse delle unità produttive a favorirlo). Pure per il lavoro temporaneo, infine, le procedure della pubblica amministrazione (di norma la gara d'appalto) ne rende più difficile l'utilizzazione che nel privato. Nonostante questi vincoli, circa l'80% delle pubbliche amministrazioni usa il tempo determinato ed oltre la metà le collaborazioni coordinate e continuative; meno del 15% utilizza il lavoro interinale e trascurabili le percentuali di quelle che fanno ricorso al telelavoro (4,5% del totale) ed i contratti formazione e lavoro (1,6%). Questi dati, si badi bene, si riferiscono a rilevazioni effettuate circa un anno orsono nell'ambito di una ricerca i cui risultati sono in corso di pubblicazione in un "Quaderno Aran". Essi dicono, in sostanza, che la flessibilità è entrata nella prassi del pubblico impiego. Le statistiche sulla diffusioni suggeriscono che l'incidenza, in termini di percentuale di lavorati "flessibili" od "atipici" sul totale è ancora inferiore nella pubblica amministrazione rispetto al totale dell'economia. "Considerato l'insieme di lavoratori con contratti non-standard, ad esclusione del part-time, l'incidenza sul totale dei lavoratori a tempo indeterminato del campione (dirigenti e medici compresi) è del 4,4%. A questo ammontare contribuiscono soprattutto i lavoratori con contratto a tempo determinato (2,8% del campione, ma 5,1% nella aziende locali e 4% nell'Università), quelli con contratto di collaborazione (1,5%, ma 2,7% nell'Università e 2,5% nei Ministeri), ed in misura di gran lunga inferiore gli interinali (0,1%: ma si tenga conto che l'introduzione di questo strumento è recente rispetto alla data della rilevazione). Il part-time incide sul totale dei lavoratori a tempo indeterminato del campione per un altro 4,4%, senza radicali differenze per comparto (a parte le aziende). Sommando gli uni agli altri, l'incidenza di lavoratori con contratti non- standard è dell'8,7%, che supera l'11% nelle amministrazioni locali e il 10% nell'Università, ed è invece del tutto trascurabile nelle aziende". Se per un confronto con il totale dell'economia si utilizzano le Rilevazione trimestrale dell'Istat sulle forze di lavoro, si deduce che nel Paese gli occupati permanenti a tempo parziale sono il 6% del totale dei dipendenti, quelli a tempo determinato a tempo parziale il 3% e quelli a tempo determinato a tempo pieno circa il 6,5%. In breve, circa il 15,5% per il totale dell'economia rispetto al quasi 7,5% nel solo pubblico impiego. Ossia un'incidenza pari alla metà nel pubblico impiego rispetto al totale dell'economia. Tutt'altro che poco se si tiene conto delle differenze delle dimensioni delle unità produttive, di vincoli normativi e culturali e della partenza relativamente tardiva. =========================================================== _______________________________________________________ Corriere Della Sera 17 ott. ’02 E UN' INFERMIERA DIVENTA PROF ALLA STATALE «INSEGNERÒ LA VITA» Cremonese Antonella Un' infermiera professionale in cattedra all' Università degli Studi di Milano. E' Marta Nucchi, nata a Busto Arsizio 55 anni fa, non sposata. Dietro di sé un curriculum che racconta la storia del cambiamento avvenuto nella professione infermieristica. Prima infermiera. Poi caposala in vari ospedali lombardi. In seguito docente in una delle scuole professionali per infermieri, ormai sostituite prima dal diploma universitario in scienze infermieristiche, e adesso dalla laurea. Il 23 settembre scorso, Marta Nucchi è stata chiamata all' unanimità, dal consiglio di facoltà di Medicina e Chirurgia dell' Università di via Festa del Perdono, a ricoprire il ruolo di professore associato di Scienze infermieristiche. Ieri mattina, la nuova docente è stata presentata dal preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia, professor Guido Coggi, dal presidente del corso di laurea in Medicina e Chirurgia, professor Massimo Malcovati, e dal coordinatore delle lauree triennali, professor Antonio Pagano. Marta Nucchi ha subito precisato che la novità sta avanzando: «Non ci sono soltanto io. Ci sono infermieri in cattedra anche a Trento, Torino, Brescia, Roma.» Si riuscirà a rivalutare l' immagine dell' infermiere? Lei ne è fermamente convinta: « Dal 2003 il corso di laurea diventa di 5 anni. E gli sbocchi lavorativi sono molti: l' ospedale, gli ambulatori territoriali, l' assistenza domiciliare. Quest'anno abbiamo un bel numero di matricole: 508 su 600 posti disponibili.» Una pausa, poi Nuc chi lancia un' idea rivoluzionaria: «Non vogliamo solo il medico di famiglia, ma anche l' infermiere di famiglia. Insieme, medico e infermiere possono lavorare in modo efficace sul territorio, dividendosi secondo la propria competenza.» Ha raccontato il professor Coggi: «Sto lavorando da anni per dare un nuovo profilo alla facoltà di Medicina, con la chiamata delle nuove figure che "fanno" la sanità e che devono ormai insegnarla. L' Università ha già bandito un concorso per un posto di ricercato re in scienze infermieristiche (nessuno si meravigli: la ricerca è fondamentale per organizzare e dare una buona assistenza), e prevedo tra i docenti anche un tecnico di laboratorio e un dietista.» A.Cr. _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 18 ott. ’02 «NO» ALLA CHIUSURA DEI PICCOLI OSPEDALI di Massimo Dadea Vi è una questione che, se non affrontata per tempo e col dovuto equilibrio, rischia di deflagrare nelle prossime settimane: la ventilata chiusura, a seguito dei provvedimenti del governo Berlusconi, dei "piccoli" ospedali. Sarebbe sciagurato se la giunta regionale decidesse di attuare pedissequamente, così come ha fatto per il ticket sui farmaci, i deliberati del governo tesi a ripianare il deficit della spesa sanitaria. Sarebbe irresponsabile se la giunta di centro destra seguisse l'esempio delle regioni Puglia e Piemonte che hanno deciso la chiusura indiscriminata dei piccoli ospedali non in risposta a una legittima esigenza di modernizzazione del sistema ma per una più misera esigenza di "fare cassa". Sarebbe paradossale se una regione, la nostra, la cui organizzazione sanitaria si è sviluppata in tutti questi anni in assenza di regole - priva come è da ben 17 anni di un Piano sanitario regionale, di un Piano di razionalizzazione della rete ospedaliera - decidesse di chiudere i "piccoli" ospedali solo per ripianare un disavanzo della spesa tra i più alti in Italia. Non appare inutile ricordare che le regioni che hanno provveduto alla riconversione della rete ospedaliera in servizi territoriali e domiciliari, quali Emilia Romagna, Toscana e Umbria, l'hanno fatto non sull'orlo di un tracollo finanziario ma per una migliore qualità dei servizi, in un arco di tempo di quasi dieci anni, con il pieno coinvolgimento di cittadini, enti locali, associazioni di volontariato e dei medici, con impiego di notevoli risorse finanziarie. Non appare superfluo ricordare che il disavanzo della spesa sanitaria riconosce storicamente una duplice origine: la sottostima del fabbisogno e del finanziamento (l'Italia spende per la sanità meno degli altri Paesi europei) e le scelte oculate o dissennate delle singole regioni, per cui chi ha provveduto per tempo alla riqualificazione della rete ospedaliera, ridotto i ricoveri, puntato sulla appropriatezza delle prestazioni, sviluppato i servizi territoriali, oggi gode buona salute, chi non l'ha fatto (la Sardegna è fra queste) presenta disavanzi elevati. E' da queste considerazioni che nasce la nostra opposizione a un eventuale provvedimento di chiusura dei piccoli ospedali che non tenesse conto delle peculiarità (caratteristiche orografiche, viabilità) dell'isola, del consenso dei cittadini e degli amministratori locali. Un provvedimento che finirebbe per colpire ancora una volta la parte più debole e sfortunata della nostra isola: realtà dove l'ospedale rappresenta spesso uno dei pochi segni tangibili della presenza dello Stato. _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 17 ott. ’02 SANITÀ, RISCHIANO MACOMER E BOSA I tagli alla spesa potrebbero penalizzare Marghine e Planargia Domani a Sorgono ne discuterà il consiglio provinciale MACOMER.I tagli alla sanità potrebbero avere pesanti ripercussioni sulla Sardegna centro occidentale. Per Macomer significa allontanare nel tempo l'apertura del reparto di riabilitazione che verrebbe dotato di 32 posti letto. Anche l'ospedale di Bosa rischia. Domani, alle 10, nell'aula magna del liceo scientifico di Sorgono, il consiglio provinciale di Nuoro discuterà delle conseguenze che i tagli avranno sui servizi sanitari decentrati della provincia di Nuoro. Alla riunione parteciperanno i responsabili dei distretti sanitari. Sono stati invitati ovviamente anche i sindaci dei Comuni interessati. La convocazione del consiglio provinciale allargato è stata decisa in seguito all'adozione delle misure di contenimento della spesa sanitaria introdotte con il patto di stabilità firmato dal governo e dalle Regioni nel 2001. I tagli rischiano di far pagare un prezzo pesante a Bosa e a Macomer. Per una piccola realtà ospedaliera di periferia, come quella di Bosa, il rischio di subire un ridimensionamento è altissimo. La situazione di Macomer non è migliore. La sanità del Marghine ruota attorno all'ospedale che ospita il poliambulatorio e i servizi del distretto. L'ospedale vero e proprio non è mai nato, ma un reparto avrebbe potuto diventare il primo nucleo di una grande struttura di riabilitazione che avrebbe contribuito a colmare la carenza di servizi che si registra in Sardegna in questa branca della specialistica medica. _______________________________________________________ Repubblica 17 ott. ’02 TROPPA CONFUSIONE CON L’ARRIVO DEI LEA" Forti diversità nelle varie Regioni per la "Moc" DI SILVANO ADAMI * L’indagine densitometrica ossea o MOC è uno straordinario strumento per valutare la presenza di osteoporosi ed il conseguente rischio di fratture. Ci sono precisi momenti e condizioni in cui questa indagine è particolarmente utile. Dovrebbero fare la densitometria almeno una volta tutte le donne dopo i 65 anni, e ad età inferiori donne e uomini più a rischio, come chi ha avuto una frattura per traumi lievi, in terapia con cortisonici, con forte familiarità per la malattia o con malattie che possono provocare l’osteoporosi. La densitometria non dev’essere quindi considerata esame di screening da fare a tutti e la sua ripetizione non è giustificata dopo intervalli inferiori a 12 mesi. Con la identificazione dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) il ministero della Sanità ha regolamentato anche l’accesso alla densitometria ossea a carico del SSN. In occasione della legge nazionale istitutiva dei LEA, la Società Italiana dell’Osteoporosi ha inviato alle autorità sanitarie centrali e regionali le linee guida accreditate dalla comunità scientifica internazionale, cui attenersi per l’implementazione regionale dei LEA per la densitometria ossea. Sfortunatamente il compito di stabilire le regole di accesso all’indagine densitometrica è stato delegato alle Regioni che solo in alcuni casi hanno applicato le linee guida internazionali. I risultati sono stati spesso sbagliati e talora addirittura grotteschi. Accade così che mentre alcune regioni hanno consentito tutte le tecniche di misurazione (incluse alcune molto costose e del tutto inutili per valutare il rischio di osteoporosi) altre hanno escluso la tecnica ad ultrasuoni (sufficientemente accurata e poco costosa). Non è stata autorizzata l’indagine per soggetti incorsi in fratture spontanee autorizzandola nel contempo alle persone in cui la frattura si era verificata in un consanguineo! Molte regioni si sono semplicemente dimenticate dei maschi! Altre non hanno posto alcun limite alla ripetizione dell’esame! Nella maggior parte dei casi l’istituzione di questi LEA rappresenta un incoraggiamento esplicito agli sprechi. A questo punto è doveroso intervenire, istituendo, come accade negli altri paesi, inclusi quelli con uno statuto federale come gli USA, una commissione nazionale di esperti che aggiorni e traduca le linee guida più accreditate in norme operative. * Presidente Società Italiana Osteoporosi _______________________________________________________ Corriere Della Sera 15 ott. ’02 MILANO DIVENTA LA CAPITALE DEI TRAPIANTI Milano capitale dei trapianti, sede di ospedali d' eccellenza che fanno della città «la città» della medicina italiana. Il primato è arrivato dopo che l' équipe del chirurgo ortopedico Roberto D' Anchise dell' Istituto Galeazzi ha aggiunto alla lista dei trapianti che si effettuano negli ospedali milanesi anche quello del menisco. Il primo in Italia. E, a questo punto, Milano «copre» il ventaglio completo dei trapianti possibili. Da Niguarda (cornea e midollo osseo, fra i tanti), all' Ospedale Maggiore (rene, fegato e polmone) all' Istituto dei Tumori (fegato) al San Raffaele (rene e rene-pancreas) al San Paolo (cornea), all' Istituto Scientifico Humanitas, numeri alti e grande specializzazione fanno di questi ospedali i «centri di eccellenza» sostenuti dal ministro alla Salute, Girolamo Sirchia. Inoltre si sta verificando una graduale sensibilizzazione nei confronti del problema dei trapianti: Milano risponde con l' aumento della competenza professionale e della ricerca alla crescita delle donazioni. _______________________________________________________ Corriere Della Sera 17 ott. ’02 TUMORE AL SENO, GIUSTA LA VIA «DOLCE» Gli Usa: efficace la tecnica di Veronesi che salva la mammella, dopo 20 anni guarite l' 80% delle donne Pappagallo Mario «Tumore al seno, giusta la via Veronesi» Gli Usa: efficace la tecnica salva mammella, dopo 20 anni guarite l' 80 per cento delle operate MILANO - Togliere un tumore senza togliere il seno. Vent' anni fa Umberto Veronesi dimostrò che era possibile. Oggi la scienza medica mondiale chiude il dibattito: non è più etico adottare l' intervento classico, quello demolitivo (la mastectomia). E, scrive la più autorevole rivista medica americana, il New England Journal of Medicine, tutte le donne «devono essere informate che possono guarire conservando il seno». Dopo 20 anni, infatti, le donne operate con la chirurgia conservativa hanno un tasso di guaribilità dell' 80%, pari a quello di chi ha subito la mastectomia radicale per un tumore delle stesse dimensioni. Veronesi aveva ragione. La storia comincia giovedì 2 luglio 1981, quando sulla prima pagina del New York Times, su sei colonne, viene riportato uno studio pubblicato dal New England Journal of Medicine in cui un chirurgo italiano annunci a che dal cancro al seno si può guarire anche senza demolire. Umberto Veronesi dall' Istituto dei tumori di Milano lanciava una sfida al mondo accademico internazionale, ai big americani: asportare il tumore salvando il seno e la femminilità. La noti zia ebbe l' effetto di una «bomba». Gli oncologi più famosi gli tolsero la parola. I maestri della chirurgia cominciarono a dipingerlo come un «invasato». Ma le donne americane gli credettero e iniziarono a chiedere l' intervento conservativo, la tecnica dell' italiano. Ed oggi, a 21 anni di distanza, sempre il New England Journal of Medicine «consacra» definitivamente la «via italiana», pubblicando di nuovo due lavori scientifici, uno di Veronesi l' altro di Fisher (il primo americano a seguire la via dell' italiano), che fanno il punto sulle prime donne operate con la chirurgia conservativa, o quadrantectomia. «Dopo 20 anni - dicono le conclusioni -, stessa guaribilità». Detto ciò, perché togliere tutto il seno e il muscolo sottostante se basta asportare il solo «lobo» (la mammella è costituita da una decina di lobi, ognuno con i suoi vasi distinti), dove si trova il tumore per avere lo stesso risultato. Questo ovviamente quando il tumore è di dimensioni piccole (nell' ordine di pochi centimetri) e focalizzato in un solo punto. Importante è l' editoriale che accompagna i due lavori: Monica Morrow, della Feinberg School of Medicine di Chicago, uno dei bisturi più noti dell' odierna scuola americana, mette la parola fine al la disputa tra chirurgia demolitiva e conservativa. «Il caso è da considerare chiuso - scrive la Morrow - e i nostri sforzi si possono adesso concentrare sulla ricerca di nuove strategie di prevenzione e cura. Se non si applicasse alle pazienti che curiamo oggi ciò che abbiamo imparato dal lavoro pionieristico di Veronesi e Fisher, significherebbe che non abbiamo afferrato il progresso occorso negli ultimi vent' anni nel trattamento del tumore al seno. Ora un obiettivo da perseguire è che tutte le donne del mondo siano informate della possibilità di ricevere un trattamento conservativo». «Quella di oggi - commenta soddisfatto Umberto Veronesi - è in primo luogo una grande notizia per il mondo femminile. Le donne che affrontano il cancro del la mammella, una su dieci in Italia, sono sicure di avere a che fare con una malattia guaribile in oltre il 90% dei casi con la possibilità di conservare la propria integrità fisica e la propria femminilità». Ma la vera battaglia è stata concettuale. Veronesi propose, studi di laboratorio alla mano, la sua idea già nel 1969 ad una riunione di esperti dell' Organizzazione mondiale della Sanità. Venne bocciata. Nel ' 70, con un' escamotage, riuscì invece a farla passare. Ma lo studio incontrò resistenze anche a Milano e solo nel ' 73 partì: 350 donne operate tradizionalmente, 351 con la nuova tecnica. «Ricordo - racconta Veronesi - la prima paziente. Una bella ragazza, che si doveva sposare il giorno dopo. Saputo del tumore rifiutò la mastectomia radicale. Preferiva tenersi il tumore. Allora gli proposi la quadrantectomia. Accettò e andò tutto bene». Ventinove anni fa: quella donna si è sposata, guarita. «E' un grande passo avanti per la scienza oncologica - continua Veronesi -. E la vittoria di una nuova filosofia: quella del minimo trattamento efficace contro quella del massimo trattamento tollerabile da un paziente. Un massacro terapeutico a volte più nocivo del tumore stesso». Mario Pappagallo _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 18 ott. ’02 SASSARI: NUOVE SPERANZE PER L'ATEROSCLEROSI Scoperto all'Università di Sassari un fattore che rigenera i nervi Si aprono nuove frontiere nella cura delle complicazioni vascolari che affliggono una gran parte dei pazienti con aterosclerosi, diabete e ipertensione arteriosa. E' la scoperta di un nuovo fattore angiogenico, che consente di rigenerare vene e nervi, fatta dal gruppo di ricerca del laboratorio di Medicina cardiovascolare e terapia genica del Consorzio interuniversitario Inbb di Osilo- Sassari. OSILO. Buone nuove speranze per la cura delle complicazioni vascolari che affliggono una gran parte dei pazienti con aterosclerosi, diabete, ed ipertensione arteriosa. E' la scoperta di un nuovo fattore angiogenico fatta dal gruppo di ricerca diretto dal dottor Paolo Madeddu e dalla dottoressa Costanza Emanueli, nel laboratorio di Medicina cardiovascolare e terapia genica del Consorzio interuniversitario Inbb (Istituto nazionale di biostrutture e biosistemi) di Osilo-Sassari. Una scoperta di grandissima importanza che premia anni di studi e di ricerche, i cui risultati saranno pubblicati sul prossimo numero di Circulation, la più prestigiosa rivista internazionale di cardiologia, organo ufficiale dell'American heart association (Aha, Usa). La rivista dedicherà all'attività dei ricercatori del laboratorio dell'Inbb, la copertina. Le nuove acquisizioni del gruppo di lavoro di Osilo - di cui fanno parte anche Maria Bonaria Salis, Alessandra Pinna, Gallia Graiani, Luigi Manni - riguardano il "fattore di crescita neuronale" (Ngf), per la cui scoperta, qualche anno fa, Rita Levi Montalcini fu insignita del premio Nobel per la Medicina. Le attuali scoperte del gruppo, che collabora con l'Istituto di neurobiologia e medicina molecolare del Cnr di Roma, diretto dalla stessa Levi Montalcini, e con la Clinica medica dell'Università di Sassari, documentano per la prima volta la capacità dell'Ngf di stimolare, oltre i nervi, anche la rigenerazione di vasi sanguigni. Dopo una occlusione arteriosa, i livelli di Ngf aumentano spontaneamente nei tessuti nel tentativo di stimolare la neovascolarizzazione. Questa risposta insieme alla liberazione di altri fattori di crescita aiuta il processo di guarigione. I ricercatori hanno anche dimostrato che la somministrazione di Ngf dall'esterno potenzia notevolmente la risposta angiogenica (la capacità dell'organismo di creare nuovo vasi sanguigni) ed accelera la ripresa del flusso sanguigno all'arto ischemico, favorendone la guarigione. «Non a caso - spiegano i ricercatori - il fattore di crescita neuronale è contenuto nella saliva e questo spiega l'abitudine degli animali di leccare le ferite». L'Ngf è stato già impiegato con successo per curare le ulcere resistenti ad altri trattamenti in pazienti diabetici e ora le nuove scoperte permettono di capire i meccanismi di questo effetto benefico. Nei pazienti con ostruzione dei vasi arteriosi, il flusso di sangue è rallentato. Il ridotto apporto di ossigeno e nutrienti che ne consegue porta a degenerazione e morte cellulare. Queste complicazioni compromettono la funzione di organi come il cuore, il cervello e il rene e gli arti inferiori, causando infarto miocardico, ictus cerebrale, ulcere e gangrena dei piedi. Le malattie ischemiche costituiscono la principale causa di morte nei paesi industrializzati. Uno dei meccanismi di difesa con cui l'organismo tende a combattere l'ostruzione arteriosa consiste nell'angiogenesi post-natale, ossia la capacità di formare nuovi vasi nel tentativo di formare dei"ponti" vascolari in grado di saltare l'ostruzione. Purtroppo, nella maggior parte dei casi, questa risposta di difesa è insufficiente e talora anche i tentativi medico/chirurgici di ricanalizzare il vaso ostruito non portano a sostanziali vantaggi. I ricercatori di medicina vascolare stanno quindi operando per creare alternative terapeutiche efficaci anche nei pazienti più gravi. Un approccio promettente prevede l'iniezione locale di fattori di crescita vascolare o di cellule staminali capaci di formare nuovi capillari ed arteriole. Il gruppo operante ad Osilo ha raggiunto promettenti risultati pre-clinici con la scoperta di nuove molecole che da sole, o in associazione, potrebbero avere implicazioni in terapia. "Si può auspicare - affermano i ricercatori del laboratorio dell'Inbb - che l'Ngf ed altri fattori di crescita, somministrati localmente, possano essere di utilità per la cura dei disturbi vascolari. E' verosimile che pazienti con disturbi del circolo arterioso, inclusi quelli affetti da diabete, possano trovare beneficio dalla nuova sostanza da sola o in associazione con metodiche tradizionali di rivascolarizzazione". Ma, allo stesso tempo, ricercatori non vogliono destare facili entusiasmi o suscitare speranze infondate. Per questo sottolineano che ora si rendono necessari approfonditi studi clinici e ulteriori ricerche, prima di un impiego su larga scala nel paziente. Le ricerche svolte ad Osilo sono state supportate da un grant erogato al dottor Madeddu dalla Juvenile diabetes research foundation (Jdfr, New York, Usa), una organizzazione americana che, sulla base del merito scientifico, finanzia progetti di ricerca per la cura del diabete e delle sue complicazioni. Mario Bonu _______________________________________________________ L’Unione Sarda 16 ott. ’02 GESSA: SI SPERIMENTA UN FARMACO IN GRADO DI BLOCCARE LA VOGLIA DI DROGA E ALCOL Studio del professor Gianluigi Gessa Un farmaco è in grado di bloccare la voglia di vino ma anche di droghe, come eroina e cocaina. È l’ultima scoperta del professor Gianluigi Gessa, direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’università di Cagliari. L’ha annunciata ieri, a Iglesias, nel corso del convegno sui disturbi mentali nella tossicodipendenza: “La scelta terapeutica nella doppia diagnosi”. Per la verità, il prodotto citato ieri da Gessa non è una novità, si tratta anzi di una vecchia conoscenza della farmacologia, il “Baclofen” del quale è stata scoperta l’efficacia nel trattamento dell’alcolismo. Dopo la somministrazione ai topi da laboratorio, si è già passati alla sperimentazione clinica a livello internazionale. «Abbiamo in corso uno studio “in doppio cieco” - ha detto Gessa - su cinquanta alcolisti in trattamento con Baclofen. Il test è in corso a Cagliari ma anche a Londra e Mosca». Lo studio della nuova terapia è stata avviata dallo scienziato cagliaritano nell’ambito delle ricerche sull’alcolismo che, già in passato, gli hanno consentito di raggiungere brillanti risultati. Protagonisti, oltre alla sua collaudata équipe di ricercatori, un ricco allevamento di topi, bevitori e astemi, che “collaborano” allo studio. Proprio sulle cavie Gessa ha accertato la capacità del Baclofen di agire su un neurotrasmettitore del sistema nervoso centrale, chiamato dopamina, che regola il desiderio (sesso, fame, competitività ecc.). In pratica, dopo aver assunto il farmaco, anche i bevitori più incalliti, come certi topi di Neuroscienze, diventano astemi. Ma c’è di più. Lo steso meccanismo inibitore scatta in presenza di droghe, come la cocaina e l’eroina. Se la sperimentazione clinica avrà successo, si apriranno quindi nuove prospettive anche nel trattamento delle tossicodipendenze. D’altro canto, il grande convegno organizzato dal dottor Roberto Pirastu, direttore del Sert della Asl 7 di Carbonia, si propone di mettere in discussione l’intera impostazione del trattamento dei tossicodipendenti. Non a caso, il titolo è “La scelta terapeutica nella doppia diagnosi”. Un aspetto che investe numerosissimi giovani in cura presso Sert e comunità. Ne ha parlato ieri lo psichiatra veronese Vittorino Andreoli. «La letteratura internazionale - ha detto - ha accertato che il 70 per cento dei soggetti definiti tossici presentano sintomi che consentono di inserirli in una categoria psichiatrica». Il fenomeno è stato rilevato anche in Sardegna. Nel Sert di Carbonia, ad esempio, oltre due terzi dei pazienti presentano una doppia dipendenza da alcol e droga. Situazione che apre nuove prospettive nel trattamento, con il coinvolgimento dello psichiatra accanto al medico del Sert ed agli operatori delle comunità terapeutiche. Il tema sarà discusso, da oggi a sabato, presso il centro congressi dell’hotel Chia Laguna. Si parlerà anche di psicologia, alcologia, riabilitazione psicosociale e tabagismo. L. S. _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 ott. ’02 A SASSARI TRAPIANTI DI MENISCO Primo intervento a Milano del professor Fabbriciani SASSARI. E' stato il primo trapianto di menisco compiuto in Italia. Lo hanno portato a termine all'istituto ortopedico Galeazzi di Milano il professor Roberto D'Anchise e il professor Carlo Fabbriciani, dell'università di Sassari. La paziente è Anna, 36 anni, una giovane ligure, sportiva che ha cominciato ad avere problemi a un menisco all'età di diciassette anni giocando a calcio e a tennis. «Presto - ha annunciato ieri il professor Fabbriciani - i trapianti di menisco li potremo eseguire anche a Sassari». Oggi negli Stati Uniti si compiono quattromilacinquecento interventi all'anno. SASSARI. Se ne parlava da qualche tempo. Anzi sembrava che potesse essere eseguito a Sassari per la prima volta. Invece il primo trapianto di menisco è stato eseguito lunedì a Milano. A realizzarlo, nell'Istituto Ortopedico Galeazzi, sono stati il professor Roberto D'Anchise col professor Carlo Fabbriciani, clinico ortopedico dell'Università di Sassari. Presto l'intervento sarà possibile anche a Sassari. La prima paziente dell'intervento è stata Anna. Ha 36 anni, è di Santa Margherita Ligure (Genova), e si sa che si tratta di una giovane donna sportiva. I primi problemi al menisco, la donna ha cominciato ad averli quando aveva 17 anni mentre giocava a calcio e a tennis. Il primo intervento (l'asportazione del menisco mediale) non ha risolto il problema. Anzi da allora, racconta la donna, i problemi si sono aggravati. Tanto che Anna si è sottoposta ad altri cinque interventi. Nessuno dei quali, però, è stato risolutivo: aveva dolori continui quando, addirittura, non rimaneva immobilizzata, con il ginocchio gonfio. Ieri la donna, 24 ore dopo l'intervento, era già in piedi, seppure con le stampelle. «Senza quella piccola fibrocartilagine che fa da cuscinetto all'interno dell'articolazione e distribuisce il carico tra femore e tibia, l'infiammazione era continua», hanno spiegato ieri i medici nel corso di una conferenza stampa. Da tempo Anna pensava al trapianto di menisco. L'intervento, infaatti, è stato eseguito per la prima volta in Germania nel 1984. In seguito gli Stati Uniti hanno perfezionato la tecnica operatoria, tanto che oggi negli USA vengono eseguito 4500 interventi. «In passato- spiegano gli ortopedici- in caso di rottura del menisco si propendeva per la sua asportazione. Nel tempo, grazie anche ai progressi dell'artroscopia, ha prevalso una tendenza di «conservazione», riducendo al minimo la porzione di tessuto meniscale da rimuovere e, quando possibile, riducendo i menischi con particolari tecniche di sutura. La rimozione anche di una piccola porzione del menisco comporta un rischio di usura dell'articolazione molto elevato per la mancanza di questo importante «ammortizzatore». L'usura dell'articolazione è causa di artrosi che nel tempo avrà come conseguenza dolori e limitazioni funzionali». Più recentemente sono state messe a punto tecniche chirurgiche che consentono di sostituisce i menischi rimossi o con strutture artificiali o ancora meglio con trapianti meniscali. Quest'ultima tecnica è diventata abbastanza frequente in alcuni paesi come gli Stati Uniti con risultati molto soddisfacenti. La tecnica di trapianto meniscale, o meglio di innesto di tessuto meniscale, prevede il prelievo del menisco, la sua conservazione, dopo accurata preparazione, a -80º/- 90º centigradi. Il rischio di rigetto è modestissima e la trasmissione virale è estremamente limitato grazie alle moderne tecniche di prevenzione che prevedono una estrema accuratezza nella fase di prelievo, effettuato in assoluta sterilità. Ma chi può sottoporsi al trapianto? Si tratta prevalentemente per pazienti, sottoposti ad asportazione del menisco, che riferiscano sintomatologia dolorosa senza evidenti segni di artrosi. «Oggi non si può più fare riferimento all'età dei pazienti - sottolinea il professor Fabbriciani- Nel senso che va bene un trentenne ma anche un sessantenne ma non un ottantenne». Pasquale Porcu L'intervista al direttore della clinica turritana «Potremmo diventare un centro di riferimento» SASSARI. Il professor Carlo Fabbriciani è da quattro anni il clinico ortopedico dell'università di Sassari. «Il nostro obbiettivo- dice - è che Sassari possa diventare, insieme a Milano, un centro di riferimento per il trapianto di menisco. Col professor Roberto D'Anchise, da tempo, stiamo lavorando insieme. Appena si è presentata l'occasione a Milano, dunque, abbiamo realizzato il trapianto. Ma in futuro, quando sarà possibile, eseguiremo questo intervento anche a Sassari. La trafila burocratica è lunga, ma una finestra si è aperta. Anche se non c'è stato alcun impedimento reale per l'esecuzione del trapianto di menisco in Sardegna». In Europa, dice il professor Fabbriciani, si eseguono un centinaio di interventi all'anno. «Con le giuste indicazioni - spiega il chirurgo ortopedico- si potrà arrivare ad avere anche in Italia un centinaio di trapianti ogni anno. Come vede non ci sono le condizioni perchè nascano troppi centri di trapianti di menisco». - In quali pazienti è consigliato il trapianto? «In quei casi nei quali si manifesta il dolore, una volta che si è dovuto portare via tutto il menisco. Ma attenzione, non tutti quelli che hanno subito una meniscectomia hanno dolore. L'intervento va fatto quando il ginocchio non si è ancora danneggiato». - Ma che rischio comporta un trapianto? «Non si tratta di una avventura chirurgica. L'intervento è stato consolidato negli Stati Uniti, con risultati positivi che vanno dal 70 al 90 per cento. Oggi è un intervento sicuro». - Qual è il tempo di recupero del paziente? «Dopo 30, 35 giorni, il paziente comincia la riabilitazione». - E' un intervento costoso? «Oggi un trapianto di menisco costa intorno ai tremila dollari. Non il trapianto in sè che non ha costo. Diciamo che ci sono delle spese accessorie. Mi spiego. In Italia non esistono centri trapianti che abbiano a disposizione 'pezzi' giusti. Di un ginocchio si hanno diverse misure: dall'XS all'XXL, diciamo così. Dopo aver chiesto a una banca italiana ci siamo dovuto rivolgere a una banca Usa. La preparazione e il trasporto dei 'pezzi' (che sono conservati a meno 90 gradi), ecco che cosa costa. In prospettiva speriamo che i costi siano più bassi o che addirittura possa esistere una 'banca' sarda in grado di conservare e fornire i i pezzi per il trapianto». - Problemi di rigetto? «No, tanto che non sono richiesti trattamenti con immunosoppressori e non si conoscono neanche trasmissioni di malattie infettive. Come dicevo, si tratta di un intervento sicuro». LE FUNZIONI NELL'ARTICOLAZIONE Quel cuscinetto che ammortizza i carichi sulle ginocchia SASSARI. I menischi sono delle fibrocartilagini poste all'interno dell'articolazione del ginocchio. Sono due per ogni ginocchio (il mediale, interno, e il laterale, esterno). I menischi sono elementi fondamentali per l'articolazione poiché hanno numerose funzioni: distribuiscono il carico fra femore e tibia in maniera più uniforme, migliorano il rapporto tra le superfici di femore e tibia e la stabilità articolare. Quante volte abbiamo sentito di problemi a carico del menisco da parte di calciatori, sciatori, tennisti e sportivi in genere? Le lesioni meniscali sono, infatti, molto frequenti e richiedono nella maggioranza dei casi un trattamento chirurgico artroscopico. In passato in caso di rottura del menisco non c'erano molte alternative all'asportazione. Oggi, per fortuna, non è più cosi. Il menisco rotto si può salvare. Un ginocchio che sia stato privato del menisco (ma anche di una sua parte) dopo un po' di tempo risente di problemi di usura che si manifestano attraverso l'artrosi. Recentemente, grazie all'avvento di tecniche artroscopiche sempre più raffinate, gli ortopedici sono diventati più orientati alla «conservazione». E oggi la tendenza da parte degli ortopedici è a ridurre al minimo la porzione di tessuto meniscale da rimuovere. La rimozione anche di una piccola porzione del menisco comporta un rischio di usura dell'articolazione molto elevato per la mancanza di questo importante «ammortizzatore». Con conseguenze sia sul piano del dolore che su quello della funzionalità. _______________________________________________________ Le Scienze 15 ott. ’02 PREVEDERE LE METASTASI DEL TUMORE DELLA PROSTATA L'obiettivo per i prossimi anni è riuscire a individuare i pazienti più a rischio Alcuni ricercatori hanno identificato un gene che sembra favorire la formazione di metastasi dei tumori della prostata, disattivando numerosi altri geni. La scoperta, descritta sulla rivista “Nature”, potrebbe permettere lo sviluppo di un marcatore biologico in grado di migliorare l’identificazione di pazienti che hanno bisogno delle cure più aggressive. I tumori della prostata vengono normalmente diagnosticati misurando i livelli di un antigene specifico. Questo test però non aiuta a stabilire le probabilità che vengano sviluppate metastasi. I ricercatori hanno cercato a lungo molecole che potessero essere utili per stabilire una prognosi. Ora un candidato promettente è stato scoperto da un gruppo di ricercatori guidato da Arul Chinnayiyan, della scuola di medicina dell' Università del Michigan ad Ann Arbor. Chinnaiyan e i suoi colleghi hanno usato la tecnica delle micromatrici di DNA per osservare l'attività di 20.000 geni nel tessuto normale e in quello tumorale della prostata. L'anno scorso essi scoprirono circa 480 geni che vengono disattivati nei tumori matastatici. Si trattava però di un risultato strano, poiché i tumori in crescita di solito accelerano i propri meccanismi genetici. Proprio per questo i ricercatori si sono messi al lavoro per capire se uno dei 55 geni che diventano più attivi stesse disattivando gli altri. Quando Chinnaiyan ha messo in cellule di tumore della prostata il più attivo di questi geni, chiamato EZH2, ben 163 geni sono stati silenziati. E quando sono stati analizzati 1023 campioni di tumori, si è visto che i livelli più alti della proteina EZH2 erano presenti in quelli metastatici. Questo suggerisce quindi che la proteina potrebbe essere un buon indicatore dell'aggressività dei tumori. _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 18 ott. ’02 CELIACHIA SCOPERTE LE PROTEINE COLPEVOLI Aperta la strada al vaccino ROMA. Un gruppo di ricercatori australiani ha scoperto le proteine colpevoli di alcune reazioni allergiche e responsabili della celiachia, la malattia autoimmune che colpisce una persona su 100 e che è dovuta a intolleranza al glutine. La ricerca apre la strada alla messa a punto di un vaccino preventivo. Gli studiosi del Royal Melbourne Hospital australiano, guidati dal dottor Robert Anderson, hanno individuato tra le gliadine, proteine che costituiscono il glutine, un composto peptidico, cioè un frammento proteico, capace di innescare una forte reazione da parte dell'organismo. Gli studiosi hanno inoltre trovato che esiste una predisposizione genica, dovuta alla presenza del gene HLA-DQ2 che facilita l'inizio della reazione autoimmune ed è presente nel 90% delle persone malate. «Queste scoperte aprono la strada alla realizzazione di un test diagnostico, nonchè di nuove strategie preventive e terapeutiche, anche con la possibilità di produrre cereali senza le componenti nocive», afferma la compagnia tecnologica londinese BTG che ha comprato i diritti. Secondo Anderson sono tuttavia necessarie ulteriori ricerche per verificare se, effettivamente, questo frammento proteico, possa essere usato per creare la tolleranza al glutine nelle persone malate. Per ora l'unico trattamento rimane quello di eliminare il glutine dalla dieta. _______________________________________________________ Le Scienze 17 ott. ’02 CELLULE STAMINALI PER CURARE IL PARKINSON Un modello animale mostra come rimpiazzare i neuroni produttori di dopamina. Grazie all’utilizzo di cellule staminali, è stato possibile riparare con successo in un modello animale il danno degenerativo ai neuroni, causa del morbo di Parkinson. Le persone affette da questa malattia perdono lentamente un gruppo di neuroni fondamentale per il controllo dei movimenti del corpo. Questi neuroni, situati in un’area cerebrale chiamata substantia nigra, utilizzano la dopamina per comunicare tra di loro. Esperimenti precedenti avevano utilizzato le cellule staminali per rimpiazzare i neuroni morti per altri tipi di danno, così Evan Snyder, dell'Harvard Medical School di Boston, ha pensato che potessero funzionare anche in sostituzione dei neuroni produttori di dopamina. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista “Nature Biotechnology”. Per simulare la malattia, i ricercatori hanno iniettato nei topi la sostanza chimica MPTP, che fa sì che i neuroni produttori di dopamina si disintegrino lentamente. Dopo una settimana, circa il 60 per cento dei neuroni aveva interrrotto la produzione di dopamina e gli animali presentavano i tremori e la rigidità muscolare tipici dei malati di Parkinson. A quel punto i ricercatori hanno iniettato cellule staminali in un lato del cervello dei topi. Dopo tre giorni, alcuni animali hanno iniziato a camminare in circolo, indicando che i neuroni di un lato del cervello stavano producendo dopamina. Dopo tre settimane, alcune cellule staminali sono migrate verso l'altro lato del cervello e i sintomi sono scomparsi completamente. Tutti i topi che hanno ricevuto le cellule staminali hanno mostrato un raddoppio del numero dei neuroni produttori di dopamina in entrambi i lati del cervello. Nel corso dell'analisi del cervello dei topi è però emerso un dato sorprendente: di fatto, solo il 10 per cento dei neuroni produttori di dopamina funzionanti è risultato discendere dalle cellule staminali iniettate, indicando che esse hanno in qualche modo riparato il 90% di neuroni restante, invece di sostituirli semplicemente. _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 18 ott. ’02 SCOPERTO NEI LABORATORI UNIVERSITARI DI OSILO UN FATTORE ANGIOGENICO Anche in ipertesi e diabetici vene e nervi potranno rigenerarsi Scoperto nei laboratori universitari di Osilo un fattore angiogenico che dà nuove speranze nelle cure delle complicazioni vascolari Mario Bonu OSILO. Buone nuove speranze per la cura delle complicazioni vascolari che affliggono una gran parte dei pazienti con aterosclerosi, diabete, ed ipertensione arteriosa. E' la scoperta di un nuovo fattore angiogenico fatta dal gruppo di ricerca diretto dal dottor Paolo Madeddu e dalla dottoressa Costanza Emanueli, nel laboratorio di Medicina cardiovascolare e terapia genica del Consorzio interuniversitario Inbb (Istituto nazionale di biostrutture e biosistemi) di Osilo-Sassari. Una scoperta di grandissima importanza che premia anni di studi e di ricerche, i cui risultati saranno pubblicati sul prossimo numero di Circulation, la più prestigiosa rivista internazionale di cardiologia, organo ufficiale dell'American heart association (Aha, Usa). La rivista dedicherà all'attività dei ricercatori del laboratorio dell'Inbb, la copertina. Le nuove acquisizioni del gruppo di lavoro di Osilo - di cui fanno parte anche Maria Bonaria Salis, Alessandra Pinna, Gallia Graiani, Luigi Manni - riguardano il "fattore di crescita neuronale" (Ngf), per la cui scoperta, qualche anno fa, Rita Levi Montalcini fu insignita del premio Nobel per la Medicina. Le attuali scoperte del gruppo, che collabora con l'Istituto di neurobiologia e medicina molecolare del Cnr di Roma, diretto dalla stessa Levi Montalcini, e con la Clinica medica dell'Università di Sassari, documentano per la prima volta la capacità dell'Ngf di stimolare, oltre i nervi, anche la rigenerazione di vasi sanguigni. Dopo una occlusione arteriosa, i livelli di Ngf aumentano spontaneamente nei tessuti nel tentativo di stimolare la neovascolarizzazione. Questa risposta insieme alla liberazione di altri fattori di crescita aiuta il processo di guarigione. I ricercatori hanno anche dimostrato che la somministrazione di Ngf dall'esterno potenzia notevolmente la risposta angiogenica (la capacità dell'organismo di creare nuovo vasi sanguigni) ed accelera la ripresa del flusso sanguigno all'arto ischemico, favorendone la guarigione. «Non a caso - spiegano i ricercatori - il fattore di crescita neuronale è contenuto nella saliva e questo spiega l'abitudine degli animali di leccare le ferite». L'Ngf è stato già impiegato con successo per curare le ulcere resistenti ad altri trattamenti in pazienti diabetici e ora le nuove scoperte permettono di capire i meccanismi di questo effetto benefico. Nei pazienti con ostruzione dei vasi arteriosi, il flusso di sangue è rallentato. Il ridotto apporto di ossigeno e nutrienti che ne consegue porta a degenerazione e morte cellulare. Queste complicazioni compromettono la funzione di organi come il cuore, il cervello e il rene e gli arti inferiori, causando infarto miocardico, ictus cerebrale, ulcere e gangrena dei piedi. Le malattie ischemiche costituiscono la principale causa di morte nei paesi industrializzati. Uno dei meccanismi di difesa con cui l'organismo tende a combattere l'ostruzione arteriosa consiste nell'angiogenesi post-natale, ossia la capacità di formare nuovi vasi nel tentativo di formare dei"ponti" vascolari in grado di saltare l'ostruzione. Purtroppo, nella maggior parte dei casi, questa risposta di difesa è insufficiente e talora anche i tentativi medico/chirurgici di ricanalizzare il vaso ostruito non portano a sostanziali vantaggi. I ricercatori di medicina vascolare stanno quindi operando per creare alternative terapeutiche efficaci anche nei pazienti più gravi. Un approccio promettente prevede l'iniezione locale di fattori di crescita vascolare o di cellule staminali capaci di formare nuovi capillari ed arteriole. Il gruppo operante ad Osilo ha raggiunto promettenti risultati pre-clinici con la scoperta di nuove molecole che da sole, o in associazione, potrebbero avere implicazioni in terapia. "Si può auspicare - affermano i ricercatori del laboratorio dell'Inbb - che l'Ngf ed altri fattori di crescita, somministrati localmente, possano essere di utilità per la cura dei disturbi vascolari. E' verosimile che pazienti con disturbi del circolo arterioso, inclusi quelli affetti da diabete, possano trovare beneficio dalla nuova sostanza da sola o in associazione con metodiche tradizionali di rivascolarizzazione". Ma, allo stesso tempo, ricercatori non vogliono destare facili entusiasmi o suscitare speranze infondate. Per questo sottolineano che ora si rendono necessari approfonditi studi clinici e ulteriori ricerche, prima di un impiego su larga scala nel paziente. Le ricerche svolte ad Osilo sono state supportate da un grant erogato al dottor Madeddu dalla Juvenile diabetes research foundation (Jdfr, New York, Usa), una organizzazione americana che, sulla base del merito scientifico, finanzia progetti di ricerca per la cura del diabete e delle sue complicazioni. _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 19 ott. ’02 IL 6% DEI SARDI È COLPITO DALL'EPATITE C ORISTANO. In Italia sono circa 2 milioni le persone affette da epatite C (Hcv) e la Sardegna è tra le regioni più colpite (6% della popolazione). Di questi temi si parla oggi a Oristano in un convegno su "Diagnostica ragionata delle epatiti virali croniche in medicina generale", organizzato dalla Federazione italiana medici di medicina generale (Fimmg). Oggi la disponibilità di nuove e più efficaci terapie di associazione come peginterferone alfa-2b+ribavirina permettono di eradicare la malattia anche nei pazienti con genotipi 1, 2 e 4, i più difficili da trattare. Il convegno si propone, tra l' altro, di promuovere una rete territoriale dedicata alle malattie del fegato, in particolare alle epatiti virali croniche, che veda coinvolti i Medici di Medicina Generale, gli specialisti, gli Ospedali e i Centri di riferimento di II livello.