DERRIDA-ROVATTI DIALOGO SUL FUTURO DELL' UNIVERSITÀ NUOVA CULTURA SENZA UN' IDEA SCUOLA, LA QUALITÀ È UN CASO SCUOLA, MANCA UN SISTEMA DI VALUTAZIONE NAZIONALE DE MAIO: UNIVERSITÀ IN CRISI LA RICERCA E IL VIZIO DI PIANGERSI ADDOSSO LE RIGIDITÀ DEL 3+2 RICERCATORI VEDONO NERO «L'ITALIA CI METTE ALLA PORTA» CENTO ANNI DELLA BOCCONI POLO D´ECCELLENZA TROPPI GLI STUDENTI CHE SI “APPROPRIANO” DI TESTI SCRITTI DA ALTRI. MISTRETTA È IN ELEGGIBILE (PER ORA) PANI: «PER IL NUOVO RETTORE È TUTTO GIÀ DECISO» URBINO: LA FABBRICA DELLE LAUREE FACILI CON LO STAGE È PIÙ FACILE TROVARE UN POSTO CAGLIARI: TASSE UNIVERSITARIE, DIECI GIORNI DI ATTESA CAGLIARI: RISCHIA IL PROCESSO IL SENATORE IN CORSA PER LA CATTEDRA DI DIRITTO =========================================================== CINQUEMILA ABITANTI IN PIÙ ATTORNO AL POLICLINICO «IL BILANCIO DI FORMIGONI? UNA SANITÀ RIDOTTA SUL LASTRICO» ROMA: IL TAR TIENE I PRIMARI ANZIANI IN SERVIZIO AL POLICLINICO RASORI: IL MEDICO CHE INVENTÒ LA SANITÀ PUBBLICA VERONESI: MILANO SARÀ CAPITALE DELLA NUOVA SCIENZA BIOMEDICA BROTZU: I DONATORI DI SANGUE: QUEGLI AGHI FANNO MALE L'ATTIVAZIONE DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA TUMORI GINECOLOGICI: QUANDO UNA TERAPIA DA SOLA NON BASTA CAFFÈ CONTRO IL DIABETE DIABETE TIPO 1, LA SPINA NEL FIANCO DEI RICERCATORI CONVERTIRE CELLULE STAMINALI NEURONALI ECOENDOSCOPIA: LA VIDEOCAPSULA PER GUARDARE LO STOMACO TUMORI, UN FARMACO DIFENDE IL COLON» LA SUBDOLA ENDOMETRIOSI COLPISCE UNA RAGAZZA SU 10 CARCASSI: PAGANINI GRANDE PERCHÉ MALATO DI ARTRITE ARRIVANO DAI MONTONI GAY PREZIOSE INFORMAZIONI SULL'OMOSESSUALITÀ UMANA «UN VACCINO SOFFOCA I TUMORI» =========================================================== _______________________________________________ Corriere Della Sera 5 nov. '02 DERRIDA-ROVATTI DIALOGO SUL FUTURO DELL' UNIVERSITÀ Passerini Walter Qual è l' ultima provocazione dell' ex enfant prodige, oggi settantaduenne, filosofo francese, Jacques Derrida, una delle figure di spicco della filosofia contemporanea? Una polemica forte sul tema dell' università, un grido di allarme sul futuro del la cultura, un atto d' accusa contro l' aziendalismo strisciante. Il nucleo filosofico del suo pamphlet è l' «incondizionatezza», vale a dire l' indipendenza e l' autonomia dell' insegnare e dell' università in particolare, che non possono e non devo no essere piegate ad alcun potere: né al potere statale né al potere economico né ai poteri mediatici, ideologici e religiosi. Un macigno nello stagno, quello di Derrida, destinato a suscitare dibattiti accesi e a rinfocolare polemiche anche in Italia, dove si sta alzando il tono della discussione sulla riforma universitaria e dell' insegnamento, sul cosiddetto «3 + 2» e dintorni, e sul dialogo tra sordi che caratterizza i rapporti tra accademia e mondo dell' economia. L' università e la professione dell' insegnante, secondo Derrida, dovrebbero essere messe al riparo da qualunque influenza, dovrebbero essere messe in «libertà incondizionata» per poter svolgere sino in fondo la loro «professione di verità». Una tale università, lo sa bene Derrida, oggi non esiste, mentre la discussione in corso è semmai, al contrario, quella della reciproca fertilizzazione tra un mondo della ricerca pura e filosofica che, a volte, per difendere le proprie nicchie di potere, si trincera dietro l' alibi d ella libertà d' insegnamento e il mondo dell' economia e dell' impresa che, in alcuni settori, vorrebbero piegare l' università ai fini aziendali. Il principio di «incondizionatezza» trae origine, secondo Derrida, dagli studi umanistici, dalle scienze dell' uomo (Humanities), alla cui rivalutazione e rielaborazione dovrebbero concorrere tutte le forze sane della conoscenza, interessate a una sorta di disobbedienza civile culturale contro tutti i poteri dogmatici e ingiusti. Anche se proprio questa «resistenza» contro i poteri lascia l' università senza potere e senza difesa, una cittadella esposta, che a volte si arrende senza condizioni, a volte si vende, per divenire la succursale di conglomerate e aziende internazionali. Dura polemica, d i nuovo, contro l' aziendalismo, prevaricante, contro il quale si lancia in una vera e propria requisitoria anche Pier Aldo Rovatti, che nella seconda parte del libro fa il controcanto a Derrida. Walter Passerini JACQUES DERRIDA PIER ALDO ROVATTI L' università senza condizione Raffaello Cortina Editore Pagine 120 euro 8,00 _______________________________________________ Corriere Della Sera 3 nov. '02 NUOVA CULTURA SENZA UN' IDEA Galli Della Loggia Ernesto In pochi altri campi come in quelli della scuola e della cultura la destra era attesa alla prova del governo. Perché l' istruzione ha rappresentato uno dei territori dove più forte si è fatta sentire la grande trasformazione degli anni Sessanta; e a molti sembra necessario da tempo un ripensamento profondo di troppi esperimenti finiti nel nulla; perché nell' Italia repubblicana, storicamente, uomini, cose e istituzioni della cultura si sono identificati per decenni con posizioni di sinistra e viceversa; e infine perché ancora oggi più che mai la vitalità di uno schieramento politico è testimoniata anche dalla sua capacità di identificarsi con idee-forza, di rappresentare valori collettivi. Come si sarebbe mossa dunque la «destra di governo» ? Quali contenuti nuovi avrebbe adottato? Che cosa avrebbe fatto? A tutt' oggi mi pare che il bilancio si riduca al più classico buco nell' acqua. Alla testa dell' istruzione, della cultura e delle Rai-tv, il trio Moratti-Urbani-Baldassarre ha infatti finora brillato per inconcludenza ed evanescenza, per l' assenza dal dibattito pubblico sui molti temi di cui pure le rispettive cariche avrebbero obbligato ciascuno di loro a occuparsi. Alla guida dell' istruzione, Letizia Moratti si è fin qui pro dotta solo in provvedimenti secondari di tipo tecnico-organizzativo. Magari utili, ma dalla destra ci si poteva attendere che il suo ministro si sentisse in dovere di cimentarsi con almeno una delle grandi questioni di merito che stanno minacciando di mandare in polvere l' idea stessa di scuola e di università: il rapporto delle giovani generazioni con il lascito culturale del passato, la subordinazione soffocante del sapere scolastico-universitario al mondo del lavoro e all' attualità, il dilagare nei programmi di un eclettico enciclopedismo, la liceizzazione degli studi universitari e i risultati negativi dell' autonomia degli atenei. Ma su neppure una di tali questioni la Moratti si è spesa, tutta corazzata com' è nel suo compassato managerialismo. Nel campo affidatole non è riuscita a comunicare al Paese il senso di alcuna novità, di alcuna svolta. Non diverso il caso del ministro Urbani: un po' di compitini istituzionali, una nomina lì, una mostra là, ma nel complesso nulla mai d' importante, mai nulla che abbia toccato davvero un nervo della nostra situazione culturale, della sua tormentatissima vicenda storica, del suo così ampio rapporto con il mondo. Mai un' iniziativa davvero nuova: se non quella, sciaguratissima, sulle ventilate alienazioni del nostro patrimonio culturale. Soprattutto, come per la Moratti, mai una passione, un' emozione, mai insomma la cultura e la politica, e sempre, invece, e parlo dei casi migliori, la più burocratica delle routine. È questo ciò che sa fare la destra? E proprio in un ambito dove per anni i suoi avversari sono stati accusati - non a torto - di aver esercitato un soffocante predominio? È la gestione Rai di Antonio Baldassarre quello che la destra sa mettere in campo per quanto riguarda l' intrattenimento e la cultura di massa? Vale a dire una programmazione soffocata dall' ovvio, dalla volgarità, da canovacci vecchi di decenni, con la qualità ridotta in spazi sempre più marginali? Ciò che soprattutto colpisce negativamente nella politica governativa dell' istruzione e della cultura è da un lato l' insensibilità ai valori in gioco, all' importanza delle scelte, al loro spessore storico; e dall' altro l' assenza di un' idea generale del Paese, del ruolo che esso ha avuto, delle sue vocazioni, delle sue risorse. Insomma, specie in un campo come questo, dove sarebbe possibile ottenere con mezzi relativamente modesti risultati di forte significato politico-simbolico, e quindi di notevole impatto pubblico, fanno difetto l' ispirazione, la voglia di fare, la qualità delle persone. E qui come in molti altri casi il presidente del Consiglio non sembra darsene troppo pensiero. _______________________________________________ Il Sole24Ore 7 nov. '02 DE MAIO: UNIVERSITÀ IN CRISI LA RICERCA E IL VIZIO DI PIANGERSI ADDOSSO In questi ultimi tempi va, fortunatamente, aumentando il numero di articoli sull’università e la ricerca: fortunatamente perché se ne è parlato sempre troppo poco e le indagini e i commenti seri spesso hanno lasciato il posto a banalità o a scandalismi senza controllo. Finalmente sembra emergere in modo diffuso la considerazione, anche se non ancora la consapevolezza profonda, che la ricerca e l’università sono fattori importanti per la crescita di una comunità. La società della conoscenza è diventato uno slogan comune. In aggiunta nel futuro immediato il parlamento dovrà discutere su importanti questioni relative all’università e alla ricerca, dal cosiddetto stato giuridico dei docenti universitari alla riforma degli enti di ricerca. La situazione economico-finanziaria poi rende ancora più drammatico il tutto con l’accorato e giustificato appello dei rettori e con il dramma della mancanza di risorse per la ricerca. Proprio perché si approssima la discussione parlamentare e perché si rischia che l’appartenenza politica e gli apriorismi ideologici prevalgano su un dibattito di merito, conviene aprire una discussione sul metodo con cui dibattere. Innanzitutto constatiamo che si sta alzando un grande polverone su mere illazioni. Non conoscendo, per esempio, quali saranno le proposte del Governo, ma avendo “rubato” qualche informazione parziale, la si estrapola dal contesto e su questa si costruisce un castello fondato sulla sabbia. Questo è un fatto non insolito di cui non ci si dovrebbe stupire. Spiace solo che grandi firme e uomini di cultura cadano nel tranello e si prestino a queste polemiche basate su “si dice”. E’ giusto chiedere un’accelerazione dei lavori ma è anche giusto che venga data diffusione solo del “prodotto finito”, che richiede paziente e continue revisioni. Al di là di questo comportamento, altre prese di posizione paiono discutibili dal punto di vista del metodo. Per esempio richiedere interventi assolutamente corretti teoricamente, ma chiaramente non realizzabili in tempi contenuti così ci si mette l’anima in pace, ma non si contribuisce alla ricerca di una soluzione adeguata, anzi si sa a priori che tutto quello che viene fatto potrà essere giudicato inadeguato. Un secondo atteggiamento è quello di piangersi addosso, giudicando impossibile qualsiasi modifica della situazione. Un terzo è quello di confrontarsi con quello di altri Paesi, prendendo in considerazione solo alcuni aspetti, decontestualizzando il singolo fenomeno, senza precisare che è un sistema nella sua coerenza intrinseca che deve essere modificato. A questo gruppo vanno forse uniti anche coloro che, dimenticandosi delle dure critiche precedenti, esaltano il passato. Ma chi, a mio avviso, provoca i danni peggiori sono coloro che approvano e attivano interventi senza averne verificato la fattibilità né le condizioni necessarie affinchè i risultati siano positivi. Questo è secondo me il vero difetto, per esempio, della riforma universitaria che non ha considerato né i vincoli né il conteso, quali le risorse necessarie, la ‘cultura ’ accademica, i sistemi di governance delle singole università e dell’intero sistema universitario. La mia proposta di metodo è la seguente. Si discutano e si approvino gli obiettivi che si vogliono raggiungere, mettendo in evidenza la ‘ distanza ’ rispetto alla situazione attuale e verificandone l’intrinseca compatibilità. Per esempio si possono desiderare miglioramenti di qualità e quantità. Una maggiore percentuale della popolazione con dormazione universitaria degna di tale nome e contemporaneamente l’attenzione alle eccellenze. E’ un obiettivo molto ambizioso, ma non impossibile: bisogna avere chiaro in mente, però, che per raggiungerlo bisogna muoversi su due linee compatibili ma differenti. Si analizzino e si verifichino i vincoli esistenti, per esempio consideriamo situazione di altri Paesi. Vincoli dei tipi più differenti: dalla disponibilità di risorse alle normative, dallo ‘ stato attuale ’ dei professori universitari alla preparazione di coloro che desiderano entrare in università, dai sistemi di governance alla dominanza della cultura delle diversità ( o della valutazione e classificazione) rispetto a quella dell’uniformità, dallo stato di applicazione della riforma Universitaria, nel modo con cui è stata attuata e come è attualmente vissuta (professori, studenti, mondo del lavoro). Si analizzino i vincoli cercando di vedere quali sono pressoché inamovibili, quali sono modificabili, rimovibili, aggirabili e quali azioni devono essere messe in atto. Solo a questo punto si potrà discutere delle proposte di un intervento e si potrà correggerle, modificarle, integrarle e sempre verificandone la coerenza con gli obiettivi e la compatibilità con i vincoli. Se fosse stato fatto questo a suo tempo, molto probabilmente ci troveremo in una situazione oggi diversa e migliore. Forse avremmo la consapevolezza che il problema principale dell’università non sta nella percentuale di abbandoni né nella durata degli studi ma, per esempio, nella preparazione pre-universitaria e quindi nella qualità degli insegnanti che peraltro sono formati dall’università stessa. Dove si taglia questo circolo vizioso? Quali sono le regole per la valutazione e la selezione degli studenti, dei docenti, delle stesse scuole nel loro complesso, di ogni tipo, dalle scuole elementari alle università? Si potrebbe e si dovrebbe continuare a lungo; qui ho voluto dare solo un esempio delle applicazioni di un metodo che significa, in buona sostanza, partire dalla testa gli obiettivi - e non dalla coda – le soluzioni. Definire gli obiettivi e identificare i vincoli: qui sta il problema. Le soluzioni sono sempre discutibili, modificabili, correggibili. Tre considerazioni finali. La prima si aggancia all’ultima osservazione. Tutte le riforme, tutti gli interventi devono essere correggibili e devono essere modificati nel tempo. Per fare ciò occorre osservare e misurare i risultati ottenuti. Valutare la formazione, la ricerca. La valutazione seria costa. Senza attivare contestualmente un serio sistema di valutazione ( e di sanzione) nessuna riforma funzionerà in modo adeguato. Questo è stato un errore strutturale comune alle cosiddette riforme attuate nel nostro Paese. Per valutare, però, bisogna aver chiari gli obiettivi da raggiunger e si ritorna al punto di partenza. La seconda considerazione riguarda il fatto che la formazione e la ricerca non sono né di destra né di sinistra, né della politica, né della società civile, nel del privato, né del pubblico. Sono del Paese e della comunità. Quanto ne siamo profondamente consapevoli? Infine le risorse. Penso che nessuno, dotato di un minimo di senso civico, non consideri inevitabile fare tutti i sacrifici possibili affinché vengano ricostruiti i paesi recentemente distrutti dal terremoto. E’ il minimo che si possa fare. Ritengo che, alla stessa stregua, nessuno rifiuti di fare sacrifici anche forti, per dotare le future generazioni del patrimonio necessario per i loro sviluppo; la formazione e la ricerca. E’ nei momenti critici che bisogna selezionare gli investimenti e fare forti sacrifici. Adriano De Maio (Consulente della Moratti) _______________________________________________ Il Sole24Ore 7 nov. '02 LE RIGIDITÀ DEL 3+2 Mi sembra un autentico disastro per molti settori formativi l’aver previsto ne Dm 509/99 che l’accesso alla laurea specialistica abbia una corrispondenza rigida tra la classe di provenienza e quella prescelta. Ben venga, quindi, l’istituzione, da parte del ministro Moratti, della commissione di rivisitazione del 3+3 presieduta da Adriano De Maio. Porto per tutti l’esempio della laurea specialistica in trasporti e logistica che non è mai potuta nascere con questo nome e, di conseguenza, con i relativi contenuti. La laurea specialistica va caratterizzata con i sostantivi “ Ingegneria dei trasporti e della logisitica “ oppure “ economia dei trasporti e della logistica “e così via; è inoltre necessario rimanere dentro lo steccato delle classi che caratterizzano le varie aree. L’esperto in logistica e trasporti deve avere una formazione multidisciplinare, che tocca almeno l’ingegneria, l’economia, l’urbanisitica e el ematerie giuridiche. Le aziende attive nei settori di Shipping, del trasporto pubblico locale, dell’intermodalità, in quello ferroviario – settori in fortissima trasformazione – faticano a trovare neolaureati con le competenze adeguate. Per contro la didattica universitaria ha sovente privilegiato l’approfondimento di temi specifici, in verticali, anziché l’ampliamento degli orizzonti culturali del laureato. Questo oggi è un handicap: anche se, da un certo punto di vista, il mondo professionale e l’industria vanno verso specializzazioni sempre più spinte, occorre ricordare che i futuri laureati si troveranno a cambiare lavoro molto spesso e a gestire sistemi sempre più ampi e complessi che spaziano dall’economia al sociale alla comunicazione, all’ingegneria. E quindi l’università renderebbe ______________________________________________________________________ Ilsole24Ore 07 nov. ’02 SCUOLA, LA QUALITÀ È UN CASO ROMA - La qualità della scuola «assomiglia troppo a una lotteria». E in Italia il processo di autonomia scolastica è «impensabile senza un servizio di valutazione che faccia da contrappeso». Ieri è stato presentato il secondo quaderno dell'associazione "Treellle": «L'Europa valuta la scuola. E l'Italia?» illustrato dal presidente esecutivo, Attilio Oliva (ex responsabile scuola di Confindustria). Il Quaderno esamina tre delle più avanzate esperienze europee (francese, inglese e svedese) nel settore. In Italia, secondo "Treellle", ogni scuola dovrebbe innanzitutto avviare un processo di autovalutazioni secondo "griglie comuni"; in una seconda fase dovrebbe essere incentivata una valutazione dall'esterno, attraverso un corpo di valutatori professionali, soprattutto per gli istituti in difficoltà. A regime le stesse scuole dovrebbero selezionare e valutare i propri insegnanti nell'ambito dell'autonomia. La valutazione migliore, secondo "Treellle", si realizza perciò nei singoli istituti. «Il sistema italiano - ha commentato Oliva - è in ritardo di almeno dieci anni. Anche in Italia, propone "Treellle", si dovrebbe procedere alla stesura di un rapporto annuale per conoscere spese e risultati del sistema scolastico, informare la pubblica opinione e operare confronti internazionali». La valutazione, sostiene Oliva, «non serve per assegnare premi o sanzioni, ma per aiutare gli operatori a migliorare il servizio e informare la comunità». Di avviso diverso Umberto Agnelli, che di "Trellle" è il presidente: il meccanismo incentivi-disincentivi, sostiene, va istituito. Certo, dice Agnelli, devono esserci «non solo punizioni, ma bisogna identificare un sistema di premi per le scuole che danno risultati validi, poiché le sole punizioni non sono sufficienti». È perciò necessario mettere in atto delle «fasi pungolanti attraverso, appunto, un sistema di premi e punizioni per i docenti». Attilio Oliva si è anche detto convinto della necessità della selezione degli insegnanti da parte delle scuole stesse, come già accade in Gran Bretagna o nei Paesi Bassi. «In Italia ciò sembra una bestemmia. Ma questo dovrebbe essere l'obiettivo futuro». Nell'incontro di ieri un duro attacco al ministro dell'Istruzione e all'attuale politica scolatica è stato sferrato dall'ex ministro della Funzione, Sabino Cassese. Secondo Cassese «sono tre le doti che un buon ministro dell'Istruzione dovrebbe possedere: la qualità di essere un grande architetto di sistema, la capacità di saper trainare risorse economiche adeguate e la dote di saper essere vicino al mondo della scuola con un contatto diretto con docenti alunni. Poche volte - ha sottolineato l'ex ministro - abbiamo avuto un ministro dell'Istruzione che avesse tutte e tre queste doti, ma mai abbiamo avuto un ministro che non ne avesse nessuna come sta accadendo oggi». Quanto alla riforma scolastica (si veda l'altro articolo), si tratterebbe, secondo Cassese, di una «riforma che non riforma alcunchè. La scuola in questi mesi ha visto solo tagli e nessun aumento di spesa». Pronta la replica del sottosegretario Valentina Aprea: «Il ministro Moratti raccoglie proprio le tre caratteristiche ritenute indispensabili dal professor Cassese per svolgere questo compito: capacità di architettura, di attrazione di risorse economiche, e di comunicazione con i protagonisti del mondo scolastico». Marco Ludovico _______________________________________________ La Stampa 7 nov. '02 SCUOLA, MANCA UN SISTEMA DI VALUTAZIONE NAZIONALE UMBERTO AGNELLI: SI POTREBBERO PREMIARE GLI ISTITUTI MIGLIORI E DARE INCENTIVI AGLI INSEGNANTI ROMA Negli ultimi 40 anni si è ridotta la distanza fra la scuola italiana e quella dei principali paesi europei, ma il distacco persiste ed è ancora forte. Siamo il fanalino di coda in alcuni indici significativi: la percentuale di popolazione adulta con un diploma secondario superiore, la percentuale di iscritti a scuola tra i 15 e i 19 anni, il numero di diplomati e laureati, l´età e gli stipendi degli insegnanti. Ma soprattutto manca un sistema di valutazione nazionale per controllare qualità e risultati del servizio scolastico. E´ la denuncia che emerge da un approfondito rapporto dell´Associazione «Treellle» sul tema «L´Europa valuta la scuola. E l´Italia?», presentato ieri dal presidente esecutivo Attilio Oliva, a fianco del presidente Umberto Agnelli, e da vari esperti del settore. Il rapporto esamina tre delle più avanzate esperienze europee (francese, inglese e svedese), formula proposte e delinea i quattro principali ambiti di valutazione riconosciuti a livello nazionale: il sistema scolastico nel suo complesso (i francesi pubblicano un documento annuale con 30 indicatori chiave); le singole scuole (gli inglesi hanno una agenzia indipendente che risponde al Parlamento, ispeziona tutte le scuole almeno ogni 6 anni, rende pubblici i rapporti su ciascun istituto, spendendo circa 150 milioni di euro l´anno); la qualità dello studio degli studenti; il personale scolastico, con procedure oggettive. Ma, di fronte a questi schemi già operanti in altri paesi europei, quale è la strada indicata dagli esperti di «Treellle»? «Il sistema italiano - osserva Oliva - è in ritardo di almeno 10 anni. Anche nel nostro paese si dovrebbe procedere alla stesura di un rapporto annuale per conoscere spese e risultati del sistema scolastico, informare la pubblica opinione e operare confronti internazionali. Oggi i risultati sono diversi pur in situazioni simili, delineando un quadro che assomiglia troppo ad una lotteria». Umberto Agnelli suggerisce un sistema di premi e non solo di punizioni per le scuole che danno i risultati migliori, premi intesi anche come incentivi economici per gli insegnanti. «E´ necessario - aggiunge - mettere in atto delle fasi pungolanti». Nelle conclusioni, il rapporto di «Treellle» considera di grande significato politico il recente avvio anche in Italia di un sistema nazionale di valutazione. Suggerisce, però, di evitare una struttura centrale rigida e di perseguire invece un sistema multipolare di valutazione. Si deve valorizzare il ruolo dell´Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione, con un coordinamento dei soggetti che vi collaborano (Istat, Indire, Isfol, Irre, Università, ministeri dell´Istruzione e del Lavoro). Gian Carlo Fossi _______________________________________________ Il Resto del Carlino 10 nov. '02 RICERCATORI VEDONO NERO «L'ITALIA CI METTE ALLA PORTA» «Sono vani discorsi e belle parole: scienza senza mezzi di sussistenza non è che un fantasma privo di carne» (Le mille e una notte) «L'America mi ha accolto mettendomi a disposizione un ufficio e un computer tutti per me. Un sogno. Quando sono rientrata in Italia, ho dovuto pagarmi un computer di tasca mia e ho fatto lezione sotto le tende. Qui serve uno spirito missionario o non si va da nessuna parte». Flaminia Saccà, 34 anni, romana, sociologa, docente e ricercatrice alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università «La Sapienza» di Roma è un ex «cervello in fuga», uno di quei 'fortunati' che hanno potuto tornare a casa. E adesso? Adesso organizza la resistenza dei giovani ricercatori, di coloro che non vorrebbero espatriare per poter mettere a frutto una laurea. Combattiva e instancabile, guida l'Adi (associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani, sigla che rappesenta oltre duemila iscritti), nella battaglia in difesa della ricerca. Il suo tam tam echeggia su Internet, percorre tv, radio e giornali, organizza proteste, bussa al Parlamento. L'anno scorso di questi tempi stava mettendo insieme 11mila firme, tra cui tre Nobel (Levi Montalcini, Dulbecco e Fo), per chiedere che i tagli della Finanziaria risparmiassero i templi del sapere. Invano. Ma non per questo la Pulzella dei ricercatori si è arresa, e allora la ritroviamo a battersi anche contro la nuova Finanziaria e i nuovi tagli. Una difesa dell'intelligenza made in Italy e dei posti di lavoro. Il suo compreso. «Godo di un assegno di ricerca di novecento euro al mese. Ho scoperto che come ricercatrice valgo meno di un lavapiatti. - confessa amaramente la Saccà, segretario generale dell'Adi - Ma se passano i tagli previsti dalla manovra 2003 sarà ancora peggio. Per tutti». A consolarla non basta il «programma per il rientro dei cervelli in fuga» - sì, così l'ha battezzato il Ministero per l'Istruzione, l'Università, la Ricerca -: centoventi miliardi di lire stanziati dal 2001 al 2003 per finanziare i contratti tra le università italiane e gli studiosi di «ogni disciplina, età e nazionalità» impegnati all'estero nell'ultimo triennio. La cifra non vale uno Zidane (che passò dalla Juve al Real Madrid per centocinquanta miliardi), tuttavia ha consentito finora a 96 esperti (altri 60 stanno per aggiungersi) di rientrare in Italia. O di venirci per la prima volta: infatti 58 dei 96 sono di nazionalità straniera. Alla Saccà non bastano neppure gli appelli a favore della ricerca lanciati in queste settimane da Berlusconi, Casini, Moratti, Sirchia e Stanca. Da governo e Parlamento si aspetta finanziamenti e non parole. Industria tirchia Intanto il governo si spiace che l'industria privata convogli sulla ricerca solo lo 0,4 per cento dell'attuale 1 per cento del Pil, vale a dire 4.500 milioni di euro, contro i 6.700 di provenienza pubblica (0,6). Sarà perché abbiamo un sistema di piccole e medie aziende, poco strutturate per dilatare le frontiere della conoscenza; sarà perché gli imprenditori preferiscono comprarsi all'estero i brevetti anziché 'costruirseli' in casa? Resta il fatto che con Spagna e Portogallo, l'Italia è agli ultimi posti. Una classifica data da mancanza di fondi, cattiva organizzazione e assenza di meritocrazia. Quegli undicimila e duecento milioni di euro che entrano nelle univesità e negli enti di ricerca sono un goccia nel deserto, con cui si pagano stipendi, cancelleria, macchinari e contro cui si accaniscono burocrazia, clientelismo, impotenza. Una briciola di questa cifra (15 miliardi di lire nel 202) è stata messa a disposizione dell'Ateneo bolognese e gestita dai 14 comitati incaricati dell'assegnazione dei fondi. Gianni Porzi, docente di Chimica organica della Facoltà di Scienze MM. FF. NN. e membro del comitato Chimica ci dice: «Nel 2002 abbiamo distribuito 1,8 miliardi di lire, destinati a 257 docenti e ricercatori. Li definirei fondi per la sopravvivenza, per chi non riesce ad accedere ad altri finanziamenti. Quanti ne servirebbero? Almeno il doppio». Niente illusioni Entro il 2005, secondo stime del Cnr, il trenta per cento degli scienziati italiani andà in pensione. «Nessuna illusione, in questa Finanziaria c'è anche il blocco delle assunzioni per docenti e ricercatori nelle università e negli enti di ricerca», taglia corto la Saccà, mentre sui computer dell'Adi arrivano gli Sos: trecento camici bianchi dell'Enea informano che non sarà loro rinnovato il contratto; da ogni regione matematici, fisici, chimici, ingegneri, biologi stendono la mappa dei piani di ricerca respinti. La voglia di fuga dilaga. (2 fine - la puntata precedente è stata pubblicata il 27 ottobre) di Achille Scalabrin _______________________________________________ La Stampa 11 nov. '02 CENTO ANNI DELLA BOCCONI POLO D´ECCELLENZA CENTO anni: un compleanno importante, sicuramente da festeggiare in grande stile. E così ha fatto l´università Bocconi, che conclude oggi, alla presenza di 120 ospiti stranieri e del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi i quattro giorni di lavoro del meeting annuale del Pim, Program in International Management. «L´università Bocconi - ci spiega il rettore Carlo Secchi - è l´unico ateneo italiano a far parte dal 1983 di questo network, composto da 44 istituti internazionali che scambiano su base regolare, e secondo uno statuto firmato proprio qui nel 1986, studenti di economia e management». Fondato nel 1973 dall´Ecole des Hautes Edutes Commerciales (Hec Paris), dalla New York University e dalla London Business School con l´obiettivo di sviluppare iniziative comuni nell´ambito della formazione universitaria e della ricerca, il Pim (www.pimnetwork.org) ha infatti dato vita alla prima rete internazionale di scambio di studenti e docenti di economia e business. L´incontro ha quindi richiamato nella nostra città, dal 6 fino a oggi, 120 tra i massimi rappresentanti delle 44 università che aderiscono al programma, tra cui numerosi "dean" e direttori delle relazioni internazionali, a cui si sono aggiunti i rappresentanti di 7 altre università presenti come uditori. «Questa riunione annuale - prosegue Secchi - è una occasione importante per tutte le migliori business school al mondo per scambiarsi idee, suggerimenti, per far partire progetti nuovi. Numerose sono anche le iniziative di carattere scientifico. La vocazione internazionale è sempre stata una peculiarità della Bocconi: rispetto al resto del panorama nazionale dobbiamo dire che non solo ci siamo mossi molto prima che partissero le borse di studio Erasmus, ma che i nostri programmi riguardano tutto il mondo e non solo l´Europa. Ogni anno diamo a ben 1200 studenti (a fronte di un numero di laureati di poco superiore al doppio) la possibilità di fare un´esperienza all´estero, così come notevole è anche la presenza di stranieri nella nostra università: il 30% degli studenti che seguono i master della Sda Bocconi proviene dall´estero, anche dagli Stati Uniti». Il fatto che la riunione annuale si sia tenuta in Bocconi ha offerto anche una serie si spunti per riflettere su Milano come città universitaria, come possibile «polo di attrazione di cervelli». E il rettore non si stanca di ripetere che la nostra città deve puntare a rivestire «un ruolo di eccellenza», che «valorizzi a pieno le attività ad alto contenuto di capitale umano» poiché è qui che si trova il meglio dell´ «Italian way of doing business». Due però sono gli aspetti che vanno potenziati perché Milano diventi un polo universitario davvero competitivo rispetto al resto del mondo. «Un primo aspetto - spiega Secchi - riguarda le infrastrutture, partendo dagli alloggi destinati agli studenti: sono troppo pochi e troppo cari. L´università Bocconi ne ha 1100, mettendo insieme quelli delle altre università arriviamo a poco più del doppio, quando solo il nostro ateneo ha 12.000 studenti, di cui i due terzi provengono da fuori della Lombardia. L´università libica di Bengasi, tanto per fare un esempio, ha 6.000 posti letto. Il secondo punto debole riguarda il fatto che la classe imprenditoriale milanese e lombarda non comprende ancora i vantaggi dell´investire in maniera massiccia nella ricerca di base. La realtà americana è ben diversa: le aziende sanno che i finanziamenti alle università offrono non solo un´importante ritorno d´immagine, ma anche e soprattutto di quattrini. Inoltre in America è fortissimo lo spirito di emulazione, per cui, per fare un esempio, se un´azienda offre 10 a un´università, un´altra offre 12. Qui no». E´ questa una delle ragioni della fuga di tanti cervelli dalla nostra nazione? «Questo è un dibattito dai toni sicuramente esagerati - conclude il rettore - ma va bene che sia così per tenere alta l´attenzione. E´ un dato di fatto che istituti come il nostro, il San Raffaele, ma anche il Politecnico e le facoltà scientifiche della Statale sono ricche di "teste pensanti", ma se non si migliorano quei due aspetti di cui ho appena parlato, il rischio di perdere contributi preziosi rimane alto. L´afflusso di menti giovani, italiane e non, da coltivare e mantenere qui costituisce in sé un formidabile ricambio della classe dirigente milanese». TIZIANA PREZZO ______________________________________________________ Il Messaggero 3 nov. '02 TROPPI GLI STUDENTI CHE SI “APPROPRIANO” DI TESTI SCRITTI DA ALTRI. E gli atenei decidono di correre ai ripari Chi copia non è un uomo d’onore Usa, le università adottano un codice. Bocciato o espulso chi lo violerà dal nostro corrispondente ANNA GUAITA NEW YORK - Scopiazzare da un vicino di banco, barare negli esami, citare testi altrui fingendo siano propri, pescare in Internet temi già scritti: sono comportamenti disonesti in progressivo aumento nelle università americane. In parte, spiegano gli educatori, il degrado sta avvenendo perché spesso gli studenti non sanno bene che cosa costituisca frode e cosa rientri nel normale processo di ricerca e documentazione. Ma adesso le università stanno correndo ai ripari. Tornando al passato. Rispolverando il senso dell’onore. Chiedendo agli studenti di impegnarsi a chiare lettere, per iscritto, esame dopo esame, corso dopo corso, ricerca dopo ricerca, a rispettare l’integrità accademica. Il «codice d’onore accademico» esiste da tempo in alcune università americane. Ma negli ultimi anni era diventato solo una firma a pie’ di pagina nella domanda di iscrizione. E tuttavia, è un dato di fatto che nelle università che lo adottano, i casi di frode sono meno della metà che negli istituti che non lo prevedono. La situazione è peggiorata con l’arrivo di Internet, dove i giovani vanno a pescare a man bassa. Quelli colti con le mani nel sacco si sono spesso scusati spiegando che non sapevano che il loro operato costituiva violazione del codice di integrità. Per arginare le frodi da Internet, le università hanno fatto disegnare appositi programmi in grado di cogliere citazioni, paralleli, somiglianze con i documenti esistenti nella rete. Ma c’è anche il fatto che molti professori preferiscono far finta di non vedere. La punizione per chi copia è spesso così severa, che i docenti non se la sentono di condannare un ragazzo, e tacciono. Attualmente, un ragazzo rischia la bocciatura nel corso che sta seguendo, ma anche la sospensione per uno o due semestri, e in alcuni casi la registrazione nel libretto di una lettera rossa, che lo marchia come baro. E’ ovvio tuttavia che l’eccesso di severità serve a poco, se non c’è la collaborazione dei professori. In considerazione di ciò le autorità accademiche hanno deciso di tenere corsi di informazione per i professori stessi, per aiutarli a riconoscere la frode, ma anche ad affrontarla. I professori avranno il diritto di non denunciare il ragazzo che sia al suo primo atto di disonestà accademica: potranno rimproverarlo a quattr’occhi e a porte chiuse. Dovranno però riferirne il nome a un preside, che lo terrà segreto. Se il ragazzo non compirà altri atti di plagio, l’incidente finirà lì. Se sarà recidivo, il preside presenterà il caso a una commissione giudicatrice, di cui farà parte anche un esponente del corpo studentesco. Allo stesso tempo, verranno tenuti corsi di informazione per le matricole, per aiutarle a comprendere cosa costituisca plagio, frode, scopiazzatura. Una volta informati, gli studenti dovranno dare la propria parola d’onore per iscritto, talvolta all’inizio di ogni corso e di ogni esame, impegnandosi a non compiere atti di disonestà accademica. C’è chi si chiede se il sistema del codice d’onore non sia troppo ingenuo, troppo datato. Ma il professor Don McCabe, che ha diretto uno studio sul dilagare della frode studentesca, è ottimista: «Se gli studenti vengono trattati da adulti, vorranno essere all’altezza della fiducia riposta in loro». Nella battaglia contro la disonestà, la Duke University, della Carolina del nord, è considerata all’avanguardia. Nel vecchio campus neogotico di Durham non si parla d’altro: gli studenti non sono solo chiamati a essere onesti in prima persona, ma anche a denunciare i compagni che ricorrano a sistemi vietati. «Dobbiamo costruire una cultura studentesca in cui il plagio sia visto con aperto disprezzo - ha dichiarato il presidente dell’Università, la signora Nannerl Keohane -. Noi contiamo su un effetto psicologico: se tutti si aspettano che tu sia onesto, è più probabile che tu ti senta obbligato ad agire in modo onesto». _______________________________________________ L’Unione Sarda 5 nov. '02 MISTRETTA È IN ELEGGIBILE (PER ORA) : sullo Statuto modifica rinviata Senato accademico Il “caso Mistretta” non è stato nemmeno sfiorato. Riunitosi ieri pomeriggio nell’aula dell’ex teatro Anatomico, in via Ospedale, il Senato accademico in composizione allargata aveva all’ordine del giorno vari argomenti legati alla modifica dello Statuto dell’ateneo. Il più importante o, comunque, il più atteso, riguarda l’articolo 12. Il testo, oggi, recita che “Il rettore è eletto tra i professori di ruolo di prima fascia a tempo pieno. Dura in carica tre anni accademici e non è eleggibile per più di due mandati consecutivi”. Il testo proposto è questo “Il rettore è eletto tra i professori di ruolo di prima fascia a tempo pieno”. Sin qui coincide completamento con l’originario articolo 12. Cambia il secondo comma: “Dura in carica tre anni accademici e non è eleggibile per più di tre mandati consecutivi”. Insomma, Pasquale Mistretta vuole stare al suo posto per altri tre anni, non di più. I lavori del Senato accademico in composizione allargata, iniziati poco dopo le sedici, sono andati avanti, ieri sera, sin quasi alle venti. Ma il punto 12 dello Statuto, quello che potrebbe offrire a Mistretta il lasciapassare per il terzo mandato, è rimasto per il momento com’era. Cioè, il Magnifico, ora come ora, è in scadenza di mandato senza possibilità di rielezione. Se ne riparlerà, certamente, tra due settimane. _______________________________________________ L’Unione Sarda 4 nov. '02 PANI: «PER IL NUOVO RETTORE È TUTTO GIÀ DECISO» Il dibattito per l'elezione del nuovo responsabile dell'ateneo è già cominciato, segno dell'importanza che l'università sta sempre più avendo per il territorio e i cittadini. Sull'argomento ospitiamo l'intervento del patologo generale Paolo Pani. Oggi si riunirà il senato accademico integrato per modificare la norma dello statuto e riconfermare l'attuale rettore Pasquale Mistretta. Chi deciderà? Praticamente gli stessi il cui mandato e la cui riconferma dipenderà da quella modifica di statuto. I giochi sono fatti: saranno riconfermati. Il rettore Pasquale Mistretta non parteciperà alla seduta del senato accademico integrato, in quanto direttamente interessato. E gli altri presidi? La modifica riguarda anche loro. Il preside Francesco Sitzia è proposto (e si ripropone) come super partes. Il suo incarico di presiedere il senato accademico integrato gli è stato conferito dallo stesso rettore Mistretta. Le facoltà sono state interpellate? Non mi risulta, almeno non tutte: non è ragionevole. L'accademico «di strada» (quello non omologato) è fuori dai giochi. Per il senso comune il riferimento al don Chisciotte di Cervantes è d'obbligo. Sarà... Rimane tuttavia la preoccupazione di molti, ma in un silenzio assordante. Non può essere altrimenti: il rettore Pasquale Mistretta ha costruito, per la sua riconferma, un ampio consenso: i presidi, le forze politiche (dai Ds a Forza Italia), i sindacati e i media. E gli studenti...? Forse stiamo assistendo a un'involuzione democratica dei meccanismi accademici. Forse no: è realismo politico, un realismo politico che contiene tutto e il contrario di tutto, un realismo politico di «così fan tutte». Questo ci preoccupa, ma rimaniamo in attesa degli eventi. I problemi dell'università sono molti. Ci sarà permesso di approfondirli? Rispettosamente vorremmo almeno questa garanzia, forse in attesa di tempi migliori... Paolo Pani professore ordinario Patologia generale facoltà di Medicina _______________________________________________ Il Messaggero 9 nov. '02 URBINO: LA FABBRICA DELLE LAUREE FACILI E’ Sociologia la facoltà al centro degli accertamenti. La preside Lella Mazzoli: «Non capisco il perchè di tutto ciò, nessuno ci ha informato» «Non siamo una fabbrica di lauree facili» Stupore e sconcerto all’Università di Urbino dopo l’inchiesta partita da Milano di MAURO BERNARDINI URBINO — La procura della Repubblica di Urbino dice di non sapere ancora nulla dell’inchiesta milanese sulle “lauree facili" in cui sarebbe coinvolta l’Università di Urbino. Il procuratore capo, Claudio Coassin ricorda che sta seguendo l’indagine in cui l’Ateneo era stato coinvolto di rimbalzo indagando sulla sezione dell’ufficio Cepu di Urbino. Nell’Ateneo tutti si mostrano sorpresi dalla notizia «appresa solo dagli organi di stampa». E nei primi commenti sul presunto coinvolgimento dell’Università di Urbino, e in modo particolare della Facoltà di Sociologia diretta dalla professoressa Lella Mazzoli, emerge solo stupore. La preside di Sociologia non riesce a capire perché si parli di lauree facili. «Non capisco il perché di tutto ciò, non siamo informati minimamente su questo. E’ chiaro che, essendo una laurea spendibile in ambito amministrativo in cui è prevista l’equipollenza, oltre ad essere stata per parecchi anni l’unica Facoltà nel centro Italia, ha avuto ed ha un bacino d’utenza molto vasto. Ma non mi sembra che ciò costituisca una colpa. La previsione della sessione d’esami estiva e l’ambiente familiare che ad Urbino regna e che la contraddistinguono dalle altre Università hanno favorito l’iscrizione alla facoltà di Sociologia anche di molti studenti-lavoratori. Questo rapporto non facilita le lauree, piuttosto semplifica la burocrazia consentendo un’organizzazione più semplice rispetto agli altri Atenei». Come risposta agli eventuali sospetti, per la preside di Sociologia, «parlano le iniziative legate all’offerta formativa e alla qualità della ricerca che in essa viene svolta certificando la serietà e l’impegno dei docenti tutti di altissimo professionalità e prestigio». Per il direttore dell’Istituto delle Scienze giuridiche, che fa parte della Facoltà di Sociologia, Brunello Palma, «è sconcertante la notizia che circola, anche se non voglio pensare a qualcosa di organizzato». Per Palma è chiaro che le caratteristiche delle discipline previste non presentano difficoltà insormontabili: «Questo favorisce coloro che intendono reimpegnarsi anche se tardivamente nel conseguimento di una laurea. Ma non significa che l’Università di Urbino regali qualcosa». Il pensiero del professor Palma corre invece da tutt’altra parte: «Non vorrei che una lotta tra “bande", istituzioni politiche o lobby finisse per coinvolgere la nostra Università». Un Ateneo che anche per Palma «porta avanti un lavoro serio con docenti di alta professionalità». Anche i direttori degli Istituti di Sociologia e dello Spettacolo, Guido Maggioni e Bernardo Valli, si mostrano increduli ad un possibile coinvolgimento della Facoltà. _______________________________________________ Il Sole24Ore 4 nov. '02 CON LO STAGE È PIÙ FACILE TROVARE UN POSTO Micardi Lo stage prende sempre più piede nelle università italiana. Secondo un'indagine messa a punto dal Sole-24 Ore del lunedì interpellando 19 atenei (più di un quarto del totale) nel 2001-2002 sono stati 26mila gli studenti e laureati che ne hanno effettuato uno e 20mila le aziende coinvolte. Le facoltà che da più tempo attuano anche questo tipo di percorso formativo sono quelle tecniche, agraria in testa. Meno attivi, invece, i corsi umanistici a eccezione di scienza della formazione. Lo stage, con la riforma universitaria, è diventato obbligatorio per gli studenti al terzo anno, ma per ora la maggioranza di tirocini riguarda ancora i neolaureati che, per questa via, ottengono spesso un posto di lavoro. In alcuni atenei, come Perugia e Venezia Ca' Foscari, ben più delle metà degli stagiaire ha concluso la propria esperienza con un contratto. Lo stage è la carta vincente per il lavoro Fare uno stage durante i corsi universitari e, soprattutto, subito dopo la laurea, fa da "scivolo" verso il mondo del lavoro. È quanto emerge da un'indagine a campione messa a punto dal Sole 24-Ore del lunedì coinvolgendo circa un quarto delle università italiane. In diverse realtà accademiche, più del 50% dei giovani laureati è stato assunto attraverso questo strumento. Circa l'80% dei rapporti di stage degli studenti dell'Università di Perugia e il 65% di quelli di Venezia Ca' Foscari si sono trasformati in contratti di lavoro o collaborazione. Non sempre le percentuali sono così promettenti, ma è evidente che un nesso causale lega la facilità di trovare un lavoro alla frequenza di uno stage. I dati raccolti sul campione parlano di 26mila stage svolti, oltre 20mila le aziende coinvolte con convenzioni e circa 500 le convenzioni-quadro sottoscritte con le associazioni di categoria. L'università italiana, dunque, si muove per attivare quel "ponte" tra mondo accademico e mondo del lavoro di cui si avverte sempre più la necessità. Difficile capire se questo cambio di rotta sia legato alla riforma che ha dato una maggior autonomia agli atenei, a una crescente consapevolezza degli studenti e delle aziende o alla necessità da parte del mondo del lavoro di acquisire nuove leve già formate. Secondo Paola Monari, pro-rettore agli studenti dell'Università di Bologna "le aziende sono molto interessate a questa opportunità sia perché così riescono a monitorare i giovani migliori, sia perché i giovani portano idee nuove e un aggiornamento tecnologico che in molte realtà ancora manca". L'Università di Bologna risulta, fra quelle interpellate, la più attiva sul fronte tirocini. "Da almeno 30 anni abbiamo avviato la pratica degli stage - spiega Paola Monari -; il boom, però, è legato all'introduzione dei diplomi universitari e, ora, alle lauree triennali, che prevedono uno stage obbligatorio" Il lavoro. Lo stage, dunque, rappresenta per le aziende uno strumento che permette di formare e osservare un giovane, e così di valutare la possibilità di assumerlo. Per legge non può durare più di 12 mesi ed è piuttosto conveniente per l'impresa, dato che il costo dello stagista è più basso (e comporta meno rischi) rispetto a quello di un'assunzione. Ma anche lo studente ha i suoi vantaggi: fare uno stage permette di conoscere la realtà del lavoro, avendo ancora un supporto concreto da parte dell'ateneo, attraverso un tutor. Questa figura segue il giovane durante tutta l'esperienza, lo consiglia e, dove necessario, cerca di evitare il periodo di formazione si trasformi in uno "sfruttamento" a basso costo di lavoro giovanile. La tecnologia aiuta l'incontro tra domanda e offerta. Sono diverse, infatti, le università che, grazie a Internet, hanno creato una banca dati cui possono accedere aziende e studenti. In questo caso può essere determinante la compilazione del curriculum. "La ricerca on line avviene per parole chiave - spiega Martina Mincarelli dell'ufficio organizzazione dell'Associazione industriali di Perugia -; diventa perciò importante inserire anche una voce legata alle aspettative, nella quale evidenziare i settori d'interesse e le proprie ambizioni". Questo maggior dialogo tra mondo accademico e territorio, ha come conseguenza il proliferare di accordi. Un caso, tra i più interessati, è quello che vede coinvolte le università milanesi e l'ateneo di Pavia che, con Assolombarda, hanno in corso un tavolo di lavoro per il potenziamento della realizzazione degli stage. Come fare. Ma come bisogna affrontare lo stage? Fondamentale per il successo, dicono gli addetti ai lavori, è dimenticare di essere uno studente ed entrare pienamente nel processo aziendale. Il tutto tenendo presente che il tutor può essere una valida guida per cogliere le sostanziali differenze che esistono tra la condizione dello studente e quella del lavoratore. È importante anche distinguere tra stage facoltativi e stage obbligatori, introdotti con la riforma. Per uno studente al terzo anno il tirocinio comporta una maggior consapevolezza di cosa sarà il lavoro e offre l'opportunità di concludere gli studi con una motivazione più consapevole. Lo stage successivo alla laurea è, invece, per aziende e studenti, un modo per conoscersi e avvicinarsi, e per valutare la possibilità di una collaborazione di lunga durata. Federica Micardi _______________________________________________ L’Unione Sarda 9 nov. '02 CAGLIARI: TASSE UNIVERSITARIE, DIECI GIORNI DI ATTESA Fumata nera per il “congelamento” del regolamento chiesto dagli studenti Il Tar ieri ha detto no alla sospensiva immediata Tasse universitarie, tutto rimane com’è. Almeno per dieci giorni. Ieri i giudici del Tribunale amministrativo regionale hanno rigettato la richiesta di sospensiva immediata del nuovo regolamento delle tasse e dei contributi presentato dai legali dei rappresentanti del Collettivo studenti a sinistra. Sospensiva negata, hanno deciso i giudici, sino alla prossima Camera di consiglio, prevista per il prossimo 19 novembre. In quella data i giudici decideranno se “congelare” le tasse in attesa di una ulteriore decisione nel merito. Ma intanto, e qui l’obiettivo dei ricorrenti non è stato raggiunto, sarà scaduto il termine per il pagamento, fissato per il 15 novembre. Secondo i legali degli studenti, l’iter di approvazione del nuovo regolamento, che ha avuto il via libera dal consiglio di amministrazione dell’Ateneo il 17 ottobre scorso, non sarebbe stato conforme allo statuto. In particolare sarebbe stata totalmente ignorata la comunicazione preventiva delle nuove tasse al Consiglio degli studenti il cui parere consultivo è obbligatorio. Contestati anche i contributi di facoltà stabiliti, secondo i ricorrenti, senza motivazioni chiare, e la soppressione dell’assegno di disagio, il contributo di circa 50 euro riservato agli studenti più disagiati sino all’entrata in vigore del nuovo regolamento. Nel ricorso, in sostanza, è contenuta buona parte delle contestazioni fatte dagli studenti al rettore nel corso della lunga trattativa che ha preceduto l’approvazione del regolamento. Il 17 ottobre, tre studenti su quattro rappresentati nel cda avevano votato contro. Francesco Bachis, leader del “collettivo” nonché componente del consiglio di amministrazione, annuncia il proseguimento delle azioni di protesta all’interno delle facoltà con assemblee e dibattiti. Il nuovo regolamento aveva stabilito per gli iscritti ai corsi triennali aumenti di circa 10 euro per le prime quattro fasce (sino a 23 mila euro) e di 250 euro, cioè a 1032 euro per i redditi superiori ai 64.700 euro. Più consistenti i rincari per le lauree specialistiche biennali: per gli studenti con un reddito sino a 10 mila euro la tassa è di 250 euro, per quelli sino a 25 mila di 350, 500 per chi dichiara sino a 40 mila euro e 1250 per chi ha un reddito equivalente superiore. I contributi di facoltà, una novità per Cagliari ma in vigore nella maggior parte degli atenei italiani, variano invece da 35 a 50 euro all’anno a seconda del “peso” degli studenti sul bilancio dell’Università. Gli iscritti a Giurisprudenza, Economia e Scienze politiche pagano 35 euro, chi studia Lettere, Filosofia, Scienze della formazione e Lingue 40, cinque euro in più per chi frequenta le facoltà di Ingegneria, Farmacia, Scienze matematiche fisiche e naturali, 50 per Medicina. Prevista una riduzione del 15 per cento per gli studenti a tempo parziale. F. Ma. _______________________________________________ L’Unione Sarda 5 nov. '02 CAGLIARI: RISCHIA UN PROCESSO PER FRODE IL SENATORE IN CORSA PER LA CATTEDRA DI DIRITTO Rischia un processo per frode in pubblico concorso e violazione della legge sui diritti d’autore il professor Giuseppe Consolo, noto avvocato e senatore di An. La procura di Roma ha chiuso l’inchiesta avviata dopo un esposto. Nel mirino le monografie presentate da Consolo per partecipare al concorso di professore ordinario di Diritto pubblico nella facoltà cagliaritana di Scienze politiche. Consolo, associato di Diritto costituzionale alla Luiss, dopo le polemiche, nel febbraio scorso rinunciò a concorrere. Le indagini avrebbero appurato che le parti sottolineate da chi ha presentato la denuncia sarebbero state inserite da Consolo nei saggi da lui firmati e copiati da manuali e pubblicazioni di circa dieci anni prima. Ascoltato dal pm, Consolo avrebbe spiegato che nelle sue monografie «c’è anche l’elaborazione di lavoro altrui», anche se la vicenda è stata strumentalmente gonfiata. =========================================================== _______________________________________________ L’Unione Sarda 8 nov. '02 CINQUEMILA ABITANTI IN PIÙ ATTORNO AL POLICLINICO Dopo anni di polemiche e attese pronto il Puc. Il sindaco: a gennaio in Consiglio Un mega quartiere oltre la 554 Cinquemila abitanti in più, tutti vicino alla Cittadella MONSERRATO Un’altra città oltre la statale: cinquemila nuovi abitanti nel grande quartiere che sorgerà a ridosso della Cittadella Universitaria. A dividere l’antico centro storico dalle future aree residenziali ci sarà quindi la 554. Non solo, proprio ai margini dell’ congestionata arteria nascerà anche il grande polo economico cittadino: una lunga fascia dove sorgeranno le industrie, le aziende artigiane e tutte le strutture commerciali. Sono queste la principali novità previste dal neonato piano urbanistico comunale, giunto alla stretta finale dopo quasi sei anni di gestazione. Quello precedente, tuttora in vigore, venne realizzato dal comune di Cagliari nel lontano 1975, molto prima cioè che Monserrato ottenesse l’autonomia. A gennaio, come annuncia lo stesso sindaco Antonio Vacca, il Puc arriverà in aula per l’approvazione definitiva del consiglio comunale. Ma le polemiche sono in agguato. Non tutti infatti vedono di buon occhio la nascita di una “Monserrato 2” staccata dal paese e a due passi all’Università. Ma l’attesa in città è grande, anche perché il nuovo strumento urbanistico dovrebbe risolvere definitivamente la cronica mancanza di aree edificabili. Sono due gli studi messi appunto dalla squadra di ingegneri e architetti guidata da Pierluigi Cervellati, docente universitario a cui si devono anche i piani regolatori di Bologna, Catania e Palermo. Il primo individua l’area di espansione residenziale e le zone commerciali, il secondo invece riordina lo sviluppo del centro storico. Stando ai documenti, nei prossimi dieci anni la cittadina passerà dagli attuali ventunomila a poco meno di ventiseimila abitanti. Cinquemila nuovi residenti concentrati in una vasta area agricola tra la Cittadella universitaria e la strada provinciale per Dolianova, in località S’ecca S’arena. A separare il nuovo quartiere dall’Università c’è però il letto di un vecchio torrente prosciugato, Su Riu Saliu. Per superarlo verranno costruiti tre piccoli ponticelli, già previsti dal piano triennale delle opere pubbliche. Il futuro centro abitato scavalcherà quindi il confine della strada statale 554 per estendersi alle spalle del Policlinico. Una distesa di villette a schiera, palazzine e attività commerciali che, stando ai programmi, dovrebbero attirare buona parte degli studenti che ruotano attorno all’Ateneo. Poco più in là, oltre la provinciale per Dolianova, nascerà un secondo quartiere. O meglio: sfruttando dei piani di recupero edilizio verrà sanato il vecchio agglomerato di Su Tremini, un concentrato di case abusive dove attualmente vivono circa trecento abitanti. In futuro in quella zona vivranno circa un migliaio di nuovi residenti. In arrivo per gli ex abusivi non solo strade, fogne e illuminazione pubblica, ma anche una scuola. Ai margini della statale, invece, sorgerà la grande zona industriale: un’ampia fascia che si estenderà dal bivio per Sestu sino al confine con Selargius. In quel punto si svilupperanno le attività commerciali e artigianali (stando alle indiscrezioni ci sarebbero già i contatti per la costruzione di un grande albergo). Una curiosità: quello di Monserrato è un Puc assai più ridimensionato, rispetto ai piani faraonici dei comuni vicini (che in molti casi proprio per questa ragione sono stati bocciati dalla Regione). «Non volevamo diventare una città dormitorio» - spiegano Antonio Vacca e Andrea Angioni, sindaco e assessore all’Urbanistica: «Puntiamo a una crescita equilibrata del territorio, rispondendo alle esigenze dei residenti e delle nuove generazioni. Inoltre, era giusto cogliere le opportunità di sviluppo offerte dal policlinico e dalla cittadella universitaria. Siamo convinti che la presenza dell’Università sarà un volano per tutta la nostra economia». Il secondo piano stilato dall’equipe di tecnici servirà invece a promuovere il vecchio centro storico. Tre gli interventi previsti nel nuovo regolamento edilizio: la ristrutturazione degli edifici pericolanti, il ripristino e la demolizione dei fabbricati irrecuperabili. In questi casi sarà permessa anche la costruzione di nuove abitazioni che però dovranno rispettare la tipologia originale. Tra le novità, anche una mappa dei colori per le facciate e una lista dei materiali da utilizzare. In programma la realizzazione di due parchi: uno nell’ex aeroporto, l’altro nell’ex polveriera militare. Francesco Pinna _______________________________________________ L’Unione Sarda 8 nov. '02 «IL BILANCIO DI FORMIGONI? UNA SANITÀ RIDOTTA SUL LASTRICO» «Si è occupato molto della sua immagine, ma ha trascurato il problema delle infrastrutture» «Aveva ragione Montanelli quando diceva: lasciate governare Berlusconi e poi lo conoscerete» Schirinzi Claudio «Se Formigoni vuole andarsene, se ne vada. Noi siamo pronti ad affrontare una campagna elettorale. Ma Formigoni non ci venga a raccontare che ha vinto la sua sfida. La realtà è che se ne vorrebbe andare proprio perché sa che il bilancio del suo governo è fallimentare». All' indomani della sua assoluzione nel processo Bussolera Branca, il presidente della Regione disse: «Adesso veramente posso andarmene. Ho cambiato la Lombardia e anche i magistrati hanno riconosciuto che l' ho fatto nel pieno rispetto della legge e senza interesse personale. La sfida è vinta». Pierangelo Ferrari, presidente del gruppo dei Democratici di sinistra in consiglio regionale gli risponde. «Vogliamo fare un bilancio ? - dice - e allora facciamolo sulle cose vere». Da dove vogliamo cominciare? «I principali compiti della Regione riguardano le infrastrutture e la sanità. Formigoni è al governo da sette anni e mezzo: che cosa ha fatto in questi 90 mesi?». Lo dica lei. «Le uniche due grandi opere partite nell' ultimo decennio sono la Fiera e Malpensa. L' una e l' altra sono nate grazie alla lungimiranza delle vecchie giunte di sinistra e sono state sostenute dai governi dell' Ulivo che hanno messo a disposizione ingenti risorse. Oggi che cosa si chiede alla Regione? Di fare regia con gli enti locali e di garantire l' accessibilità. E invece Malpensa rischia di diventare una cattedrale nel deserto proprio perché l' accessibilità è carente. Le imprese lombarde per spostare le merci ricorrono ancora in larga misura agli hub di Zurigo e di Monaco». E il polo fieristico di Rho-Pero? «Ha lo stesso problema: l' accessibilità. Perché questa giunta non ha la forza necessaria per chiedere e ottenere dal governo Berlusconi le risorse che invece erano state messe in campo dai governi dell' Ulivo». Bocciata la politica delle infrastrutture, il vostro giudizio è negativo anche sul sistema socio-sanitario? «Siamo molto preoccupati perché il modello introdotto nel 1996 comincia a mostrare seri problemi. La tanto enfatizzata apertura al mercato ha finito per mettere in grave difficoltà il pubblico e il privato non profit, cioè quelle strutture che non si piegano alla logica del profitto a tutti i costi, che non moltiplicano gli interventi remunerativi e non riducono quelli non remunerativi. Il risultato è che il sistema è in crisi e che la Regione sta esercitando forti pressioni per ridurre la spesa del 25 per cento». Insomma, un bilancio catastrofico? «Non voglio fare del catastrofismo, ma quando Formigoni dice che ha vinto la sua sfida, mi sembra quantomeno imprudente. Lui è capacissimo sul piano della comunicazione e ha costruito una macchina al servizio delle fortune politiche sue e della sua area. Le faccio un esempio. La politica estera della Regione è buona e lodevole e noi siamo favorevoli alle iniziative per aiutare le imprese sui mercati internazionali. Ma anche in questa caso Formigoni ha scelto la strada più vantaggiosa dal punto di vista dell' immagine. Perché le nostre imprese per vincere la sfida della competitività hanno bisogno in minima parte del sostegno della Regione a livello internazionale, mentre avrebbero soprattutto bisogno di infrastrutture sul territorio. Che invece sono carenti». Lei crede che Formigoni voglia davvero andarsene? «Lui vuole lasciare la Regione prima che risulti evidente il bilancio critico della sua esperienza di governo. La sua pressione su Berlusconi per andare a fare il ministro degli Esteri si spiega non soltanto con le sue ambizioni personali, ma anche con il desiderio di allontanarsi dai problemi della Lombardia che si vanno aggravando». E se davvero se ne andasse, il centrosinistra sarebbe pronto ad affrontare la competizione elettorale? «Certo che siamo pronti. Perché una campagna elettorale dopo otto anni di governo Formigoni ci consentirebbe di fare in modo convincente un bilancio critico di questa lunga esperienza e ci renderebbe credibili nel chiedere un cambio di direzione politica». Avete anche un candidato da mett ere in campo? «Ora no e non lo stiamo ancora cercando. È vero, in passato è mancata la disponibilità a candidarsi da parte di molte personalità. Ma questa volta il mondo dell' impresa, delle professioni, delle università, del lavoro, della cultura no n ha più alibi. Ora è in grado di fare un bilancio. Perché aveva ragione Montanelli quando diceva di Berlusconi e dei suoi: "Fateli governare per un po' e poi li conoscerete"». Claudio Schirinzi _______________________________________________ Corriere Della Sera 5 nov. '02 ROMA: IL TAR TIENE I PRIMARI ANZIANI IN SERVIZIO AL POLICLINICO L' ematologo Franco Mandelli, il neurologo Cesare Fieschi, il chirurgo Vincenzo Stipa, l' urologo Nicola Cerulli e altri 16 primari del Policlinico Umberto I erano stati sospesi dall' attività assistenziale per limiti di età. La normativa nazionale prevede infatti che i docenti delle facoltà di Medicina, giunti a 68 o 70 anni (a seconda dell' inizio dell' attività) possano solo continuare a lavorare fino al compimento dei 72 anni: in questo periodo, però, le loro mansioni assistenziali devono es sere strettamente connesse alla didattica e alla ricerca. Poi scatta per tutti la pensione. I venti primari si sono ribellati e hanno deciso di ricorrere al Tar del Lazio che ieri ha sospeso il provvedimento, firmato dai vertici del Policlinico e del l' università «La Sapienza». Il Tar ha rimandato l' analisi di merito all' udienza del 20 novembre. I posti da primario, qualora fossero lasciati liberi, «potrebbero essere affidati ad interim a primari già in servizio nell' Umberto I - spiega Tommas o Longhi, direttore generale dell' ospedale - in attesa che venga definito da Regione e università il piano di rilancio e di decentramento del Policlinico. Di certo i posti da primario non aumenteranno». Stessa sorte hanno avuto infatti altri 20 primariati lasciati da medici andati in pensione negli ultimi mesi. _______________________________________________ Corriere Della Sera 10 nov. '02 RASORI: IL MEDICO CHE INVENTÒ LA SANITÀ PUBBLICA BIOGRAFIE Cosmacini ricostruisce la vita dello scienziato giacobino, considerato un padre del Risorgimento Rasori, un dottore per la Dea Ragione Il medico che inventò la sanità pubblica. Nel nome di Napoleone Durante gli anni in cui Napoleone teneva impegnata l’Europa con guerre e riforme, circolava una formula ritenuta scandalosa dai benpensanti e osannata dai nuovi materialisti, ormai accolti con larghi sorrisi nei salotti. L’aveva concepita un medico e filosofo francese, Pierre-Jean-George Cabanis (1757-1808), la cui opera più chiacchierata era uscita in due volumi a Parigi nel 1802. Si intitolava Rapports du physique et du moral de l’homme . In essa si dava sostanzialmente alle idee un valore fisiologico. La formula che dicevamo era dedicata proprio ai frutti della mente e fu espressa senza troppi sofismi: «Il pensiero digerisce in certo qual modo le impressioni e produce organicamente le sue secrezioni». Lasciamo perdere le conseguenze che potrebbero avere, ieri come oggi, le cattive o le inutili letture. Bene, proprio in quegli anni viveva in Italia un altro medico che seppe coniugare la medicina con la passione politica, le polemiche con l’entusiasmo. Si muoveva tra Milano e Pavia dopo aver imparato non poche cose in Gran Bretagna. Il suo nome, sovente mescolato con quelli dei nemici del governo austriaco, di coloro che finirono in galera per amore della nostra Italietta, è da tempo collocato tra le pieghe della storia: Giovanni Rasori (1766-1837). Spetta a Giorgio Cosmacini, il nostro miglior storico della medicina, il merito di farcelo riscoprire con una monografia che esce in questi giorni per l’editore Laterza: Il medico giacobino. La vita e i tempi di Giovanni Rasori. Ci si chiede, facendo il verso a don Abbondio: chi era costui? La risposta si può leggere d’un fiato nel saggio di Cosmacini, che è il ritratto di un uomo di scienza e di pensiero, ma anche quello di un’epoca brillante. Rasori, nato a Parma e morto a Milano, era fatto di materia inquieta. Fu innanzitutto un personaggio scomodo. Accademico, ne disse di tutti i colori contro gli accademici, che in genere considerava conservatori e retrivi. Probabilmente fu tra i pochi ad approvare quel provvedimento napoleonico che ordinava ai professori di tenere le lezioni in piedi (alcuni appartenenti alla categoria si era addormentati spiegando; da qui l’imposizione). Medico, non risparmiò nulla ai colleghi: vedeva sorgere una scienza radicalmente trasformata dopo i fatti della Rivoluzione e una società egualitaria da curare con criteri nuovi. Fu poi scomodo per gli stessi francesi, che dopo aver fatto i soliti quattro salti attorno agli Alberi della Libertà si erano raffinati e impantofolati: lui, Rasori, rimaneva un giacobino scientifico che trasudava idee rivoluzionarie e la nuova pacatezza lo irritava. Infine non piacque agli austriaci che, tornati in Lombardia dopo la caduta di Napoleone, fecero quello che di solito facevano con simili rompiscatole: lo misero in galera (dove lo andò a trovare Silvio Pellico dicendo di avere «mal di petto», bisognoso dunque di un consulto medico). La sua vita ha i tratti del romanzo d’avventure (ci sono anche gli amori, descritti da Cosmacini nel capitoletto «Vizi privati e pubbliche virtù») e il suo prestigio durerà sino alle ultime diagnosi. A riprova, verrà chiamato in gran segreto al letto di morte del conte Neipperg, l’amante e poi marito morganatico di Maria Luigia, duchessa di Parma ed ex moglie di Napoleone. Collaborò al Conciliatore , contestò pubblicamente il «preteso genio d’Ippocrate», fu un rettore universitario - ebbe l’incarico per «acclamazione della scolaresca» - che abolì i nomi dei santi dal calendario accademico. Rifiutò, dopo la battaglia di Marengo, il posto di ministro degli Interni e accettò quello di protomedico dello Stato. Seppe costituire un servizio di sanità pubblica. Prese un brutto abbaglio abusando del salasso, che riteneva un «controstimolo» adatto a curare troppi morbi. E un altro con Spallanzani che accusò di essere un ladro: avrebbe rubato dei «pezzi dal Museo di storia dell’Università di Pavia per portarli nella sua casa di Scandiano». Non era vero. Ma indubbiamente il merito più grande di Rasori è quello di portare una nuova riflessione nell’ambito degli studi di medicina, diventando in Italia l’araldo di John Brown, lo scienziato scozzese suo primo maestro. Oggi pressoché dimenticato, Brown influenzò anche il pensiero di Schelling e lo stesso Hegel riconobbe al brownismo (e di riflesso, osiamo aggiungere, anche al nostro autore) il merito di aver contribuito «ad ampliare le idee circa le malattie e i mezzi di cura oltre il mero particolare e specifico, e a far riconoscere, nelle une e negli altri, piuttosto l’universale come ciò che è essenziale» (le parole sono tratte dall’ Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio ). Le molte luci di Rasori nascondono anche tante ombre, ma è certo che egli concepì, tra i primi in Italia, una medicina filosoficamente fondata e socialmente estesa. Una medicina che guardava all’uomo con occhi diversi e teneva conto di quel che era successo al sapere con la Rivoluzione francese. Cabanis metteva in guardia da quello che si dava da mangiare al proprio pensiero, Rasori da quanto sosteneva la tradizione sulle malattie e la diagnosi. L’uomo malato era pur sempre ospite di una società, forse ne era il risultato. Inutile aggiungere ipotesi o altro. Stendhal, che lo conobbe, scrisse con qualche anno d’anticipo l’epigrafe in una lettera del 14 aprile 1818 al barone di Mareste: «Povero come Giobbe... grand’uomo come Voltaire». E aggiunse notizie sulla sua volontà di ferro; inoltre lo ospitò nell’elenco dei cinque uomini di primo rango che ebbe l’onore di conoscere. Significativamente lo pose accanto a Gioachino Rossini. La biografia: «Il medico giacobino» di Giorgio Cosmacini, è pubblicato da Laterza, pagine 264, 20 Armando Torno _______________________________________________ Corriere Della Sera 10 nov. '02 IL PROFESSORE VERONESI: MILANO SARÀ CAPITALE DELLA NUOVA SCIENZA BIOMEDICA MILANO - «Milano diventerà la capitale europea della ricerca biomedica». Lo afferma Umberto Veronesi, che oggi, nella Giornata della ricerca sul cancro, presiede la conferenza scientifica internazionale sulla postgenomica, l’era che segue la mappatura del genoma umano. Scienze e strade nuove. La biologia molecolare. L’informatica biomedica. L’analisi genetica di un individuo come presupposto per curarlo. La sostituzione dei geni difettosi, salvando e guarendo. E l’ analisi genetica di un tumore per capire qual è la prognosi «per quella persona, in quel momento, per quel tumore», come spiega Veronesi. Professor Veronesi, in tutto il mondo la scienza biomedica è a una svolta. Cosa deve fare Milano, per entrare in questa competizione? « Milano ha tutte le capacità, le competenze e l’entusiasmo per farlo. E ha basi solidissime. Caso unico in Italia, ha ben sette istituti di ricovero e cura a carattere scientifico: L’Istituto nazionale dei tumori, l’Istituto europeo di oncologia, l’ospedale Maggiore Policlinico, l’Istituto nazionale neurologico Besta, l’ Istituto San Raffaele, la Fondazione Don Gnocchi, l’Auxologico. A essi si aggiunge l’Istituto Mario Negri, con la sua buonissima ricerca». Faranno massa critica? «Sono sicuro di sì, tanto più che c’è già l’esempio di un modello originalissimo, l’Ifom. La Fondazione per la ricerca sul cancro ha messo il "contenitore" , cioè la struttura di via Serio dove ci sono tutti i servizi per la ricerca avanzata, e cinque enti (l’Università degli Studi, L’Istituto europeo di oncologia, l’Istituto dei tumori, il San Raffaele, il Mario Negri) hanno messo in comune 150 tra i loro migliori ricercatori. I risultati già ci sono e una scoperta è stata così importante da essere pubblicata su Nature». È vero che sorgerà un parco biomedico? «Sì. Il progetto , che viene visto a Bruxelles con grande favore, prevede di riunire nel Sud Milano, nella zona dove già sono l’Istituto europeo di oncologia e l’Ifom, un grande centro di cardiologia, uno di neuroscienze e infine uno di medicina perinatale per i neonati a basso peso o con patologie». Torneranno i «cervelli» che sono andati all’estero? «Ne sono certo. A Milano stiamo anche aprendo due scuole post-universitarie di eccellenza, la Scuola europea di medicina molecolare (un’altra sarà a Napoli) e il Cerba, il Centro europeo di ricerca biomedica. Nell’era post-genoma, c’è tutto un mondo nuovo da esplorare, molto congeniale alla cultura dei giovani di oggi. Aspettiamo i giovani milanesi e anche quelli stranieri. Bisogna mettere in comune le culture, la lingua, le intelligenze.» Antonella Cremonese _______________________________________________ L’Unione Sarda 9 nov. '02 BROTZU: I DONATORI DI SANGUE: QUEGLI AGHI FANNO MALE «Già fatto?». Gli slogan passano di moda, e quello lanciato dalla ragazzina che, anni fa, pubblicizzava in tv una siringa indolore non fa eccezione. Non al Centro trasfusionale dell’ospedale “Brotzu”, almeno, dove più di un donatore di sangue si è lamentato dei nuovi aghi in dotazione per i prelievi. «Sono dolorosissimi», hanno scritto in una lettera pubblicata ieri dall’Unione Sarda, «qualcuno si è sentito male durante il prelievo e ha chiesto di interromperlo». Le sue lamentele avrebbero indotto altre persone in attesa del proprio turno a rifiutarsi di offrire il proprio sangue. Sotto accusa, dunque, sarebbero gli aghi troppo rigidi e poco umidificati che il Centro trasfusionale avrebbe acquistato di recente, e che si sarebbero rivelati dolorosi per chi offre il proprio sangue nella patria della talassemia. Dall’ospedale “Brotzu”, però, negano di aver cambiato tipo e marca delle sacche, e quindi degli aghi, ma non di aver ricevuto lamentele da parte dei donatori. È proprio qui, nel contrasto tra le loro dichiarazioni e quelle dell’azienda ospedaliera, il grande mistero del Centro trasfusionale del “Brotzu”. Le certezze sono poche, le notizie contrastanti. Ieri mattina, ad esempio, chi ha donato il sangue è uscito dalla sala-prelievi in piena serenità. «Nessun dolore», sorride Mauro Pilloni, parafrasando Lucio Battisti, «né ora né in passato». Anche Miriam Meloni, Valeria Satta e Marco Dessì, tutti donatori abituali (e quindi cittadini esemplari) assicurano che la puntura dell’ago era appena percettibile. Come sempre. I maligni, confortati da qualche “gola profonda” interna al Centro trasfusionale, sostengono che gli aghi dolorosi siano stati messi da parte proprio ieri. Franco Meloni, direttore generale dell’azienda ospedaliera “Brotzu”, seppellisce questa voce con una risata: «È un’autentica sciocchezza». Non resta che prenderne atto, ricordando però che nei giorni scorsi le segnalazioni erano giunte anche al primario del Servizio di immunoematologia e del centro trasfusionale, che raccoglie diecimila sacche di sangue all’anno. «Mi scuso con il donatore per l’inconveniente accaduto e rimango a sua totale disposizione quando tornerà nel nostro centro», allarga le braccia il dottor Michele Bajorek. Il primario ha però qualcosa da aggiungere: «Il nostro materiale è approvato dal ministero della Sanità ed è fornito da ditte riconosciute come leader del settore. I contenitori sono forniti da circa dieci anni e sono utilizzati nella maggior parte dei centri trasfusionali sardi e della Penisola, che non hanno mai segnalato alcun inconveniente, anche se la percezione del dolore è soggettiva. Provvederemo all’eliminazione delle eventuali cause della sensazione dolorosa». Il primario, insomma, si stupisce perché quegli aghi farebbero male solo ai donatori del Brotzu, dove nei prossimi giorni si concluderà la gara d’appalto per la fornitura delle nuove sacche. Luigi Almiento _______________________________________________ le Scienze 6 nov. '02 L'ATTIVAZIONE DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA Una possibile applicazione dei risultati è l'utilizzazione della ß-defensina 2 nei vaccini contro i tumori Alcuni biologi hanno scoperto che una molecola molto nota per le sue proprietà anti-batteriche ha anche la capacità di attivare alcune cellule chiave nella risposta immunitaria. Questa nuova funzione, descritta sulla rivista "Science", suggerisce che la molecola, un peptide chiamato ß-defensina 2, dia inizio a una catena di eventi che porta alla crescita e alla moltiplicazione dei linfociti T. Le defensine sono note come componenti importanti della risposta immediata del corpo alle infezioni. La ß-defensina 2 attacca e distrugge vari tipi di batteri, come parte del sistema immunitario innato. La nuova scoperta lega però questa molecola anche al sistema immunitario adattativo. Questa seconda linea di difesa combatte i patogeni che eludono le difese iniziali del corpo. A differenza dell'immunità innata, quella adattativa si sviluppa specificamente in risposta a una infezione. "Questo legame fra il sistema immunitario innato e quello adattivo è importante per la nostra comprensione della capacità del corpo di identificare le infezioni," dice Arya Biragyn, del National Cancer Institute statunitense. "È probabile che la ß-defensina 2 svolga un ruolo importante nella capacità del sistema immunitario di riconoscere i frammenti di proteina delle cellule del corpo stesso, comprese quelle tumorali." Lavorando sia con topi e cellule in coltura, Biragyn e i suoi colleghi hanno scoperto che la ß-defensina 2 attiva direttamente le cellule del sistema immunitario note come dendritiche. Una volta attivate, queste cellule interagiscono con altri componenti del sistema immunitario per stimolare la moltiplicazione di una sottoserie di linfociti T, che riconoscono e distruggono le cellule infette. Le cellule dendritiche possono però stimolare l'attacco anche le cellule tumorali. "Quando abbiamo somministrato ß-defensina 2 ai topi, abbiamo osservato una robusta risposta tra le cellule coinvolte nell'attività antitumorale," dice Larry W. Kwak. I ricercatori sperano quindi di poter trarre vantaggio da questa proprietà incorporando la ß-defensina 2 nei vaccini contro i tumori. _______________________________________________ La Nuova Sardegna 8 nov. '02 TUMORI GINECOLOGICI: QUANDO UNA TERAPIA DA SOLA NON BASTA Oggi un convegno organizzato dalla scuola di specializzazione dell'università a.re. SASSARI. Il problema dell'integrazione terapeutica è particolarmente rilevante nel campo dei tumori ginecologici: nel 75 per cento dei casi è necessario il ricorso all'associazione di più terapie. Questo comporta gravi problemi organizzativi, dati dalla scarsità dei servizi all'interno della struttura regionale, che costringono a trasferimenti in centri del continente con gravi disagi per i pazienti e per i loro familiari. Di queste problematiche si discuterà nella sessione di lavori del Convegno scientifico su "Integrazione Radio-Chemio-Chirurgica in Oncologia ginecologica: Update", che si svolgerà oggi nella sala congressi dell'hotel "Il Vialetto". Scopo dell'incontro organizzato dal professor Pier Luigi Cherchi è quello di fare il punto sulle attuali conoscenze scientifiche, in tema di terapie integrate nei tumori ginecologici. La moderna gestione del paziente oncologico esige sempre più la cooperazione di più specialisti e, in particolare, del chirurgo oncologo, dell'oncologo medico e del radioterapista, che devono arrivare a definire la scelta terapeutica ottimale per il caso in esame. Relatori della mattinata, che si aprirà alle 9,30, saranno Salvatore Dessole, direttore della Clinica Ostetrica e ginecologica dell'Università di Sassari; Antonio Contu, primario della Divisione di Oncologia della Asl di Sassari; Antonio Farris, direttore della Scuola di specializzazione in Oncologia dell'Università di Sassari; Maurizio Amichetti, primario della Divisione Radioterapia dell'ospedale oncologico di Cagliari; Pier Luigi Benedetti Panici, presidente della Società italiana di oncologia ginecologica; Pier Luigi Cherchi, direttore della Scuola di specializzazione in Ginecologia e Ostetricia dell'Università di Sassari; Antonio Macciò, primario della Divisione di Ginecologia ed Ostetricia di Carbonia e Giovanni Scambia, associato di Ginecologia oncologica presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. _______________________________________________ le Scienze 8 nov. '02 CAFFÈ CONTRO IL DIABETE Secondo i ricercatori, la caffeina ridurrebbe la sensibilità all'insulina Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista "The Lancet", consumare grandi quantità di caffè potrebbe portare a una notevole riduzione del rischio di sviluppare i diabete di tipo 2. La caffeina, infatti, è nota per la sua proprietà di ridurre la sensibilità all'insulina responsabile del metabolismo del glucosio. Rob van Dam, dell'Institute of Public Health olandese, hanno studiato gli effetti di vari livelli di consumo di caffè sullo sviluppo di diabete di tipo 2 in circa 17.000 adulti olandesi. Si è visto così che individui che bevono sette o più tazze di caffè al giorno hanno addirittura il 50 in meno di rischio di sviluppare questo diabete, in confronto a chi beve meno di due tazze, anche prendendo in considerazione altri fattori, come il fumo o il consumo di alcool. Rob van Dam commenta che "la caffeina riduce drasticamente la sensibilità all'insulina, ma gli effetti a lungo termine non sono noti." Inoltre, avvertono i ricercatori, lo studio deve essere confermato in altre nazioni e si devono tenere in considerazione possibili altri effetti dannosi, nella scelta di consumare grandi quantità di caffè _______________________________________________ La Nuova Sardegna 8 nov. '02 DIABETE TIPO 1, LA SPINA NEL FIANCO DEI RICERCATORI Raggruppa un mix di patologie, colpisce i giovani, ma ancora non si conosce la causa * Diabetologo Servizio diabetologia Asl nº 7, Iglesias IGLESIAS. Il diabete mellito tipo 1, noto anche come diabete mellito insulino- dipendente (Iddm), o diabete giovanile, comprende in realtà un gruppo eterogeneo di patologie: una forma a esordio acuto con massima incidenza in età adolescenziale e che necessita di immediato trattamento insulinico sostitutivo; un'altra associata a diverse malattie autoimmuni (endocrinopatie quali morbo di Addison, patologie tiroidee, anemia perniciosa, etc.); altre forme a lenta progressione che compaiono in età adulta e clinicamente meno gravi. Vediamo subito da che cosa è generato il terribile male. Il diabete tipo 1 è causato dalla distruzione delle cellule b delle isole pancreatiche del Langherans con il risultato prima di un calo e poi di una assenza della produzione di insulina. Tale processo nasce e si sviluppa in soggetti geneticamente suscettibili. Pur tuttavia la presenza di determinati "geni" non causa inevitabilmente la malattia, come è dimostrato da numerosi studi su parenti di primo grado di individui affetti da diabete. L'esposizione a determinati fattori ambientali svolge verosimilmente un ruolo fondamentale. Possono esservi pertanto anche portatori sani di geni di "suscettibilità", poiché la malattia si sviluppa solo se determinati fattori ambientali interagiscono con una combinazione di geni predisponenti. Tali fattori sono ignoti, né si può affermare che siano essi gli "iniziatori" del processo innescante lo sviluppo della malattia, o che siano semplicemente dei "precipitanti" in grado di convertire il diabete preclinico in malattia manifesta. Gli studiosi ipotizzano eventuali infezioni da virus, o l'esposizione ad agenti chimici tossici, addirittura a fattori dietetici come il latte vaccino, il glutine e altri. Ma sinora non si hanno convincenti dimostrazioni di alcuna associazione causale con i suddetti fattori. Quali che siano gli eventi scatenanti, la malattia si manifesta a causa della distruzione selettiva e specifica delle cellule insulari pancreatiche che producono insulina. Il sistema immunitario innesca una reazione di "autoaggressione" producendo autoanticorpi e cellule specifiche del sistema immunitario dirette contro le cellule b, determinandone la distruzione. Tali anticorpi sono presenti nel circolo sanguigno e possono essere messi in evidenza con specifici esami di laboratorio. La loro individuazione ci permette quindi di identificare le persone che, pur non essendo diabetiche, subiscono un'aggressione autoimmune a danno delle isole pancreatiche. Sono stati effettuati numerosi studi per tentare di prevenire l'insorgenza del diabete: l'utilizzo di immunosoppressori, di una sostanza chiamata nicotinamide, la somministrazione precoce di insulina per via orale o inalatoria e altri ancora sono in corso di sperimentazione. Tuttavia nessuno degli approcci si è dimostrato efficace nell'uomo, per cui si può affermare che allo stato attuale, pur essendo individuabile una fase preclinica del diabete tipo 1, non si può prevenirlo efficacemente con un'adeguata terapia. Il glucosio assorbito durante la digestione degli alimenti che contengono zucchero costituisce il "carburante" per le cellule del nostro organismo. Esso riesce a entrare nelle cellule attraverso una "porta" che si apre solo con l'insulina. La sua mancanza, pertanto, determina un incremento dei livelli di glucosio nel sangue (iperglicemia) poiché le cellule, pur avendo fame di glucosio, non riescono a portarselo dentro. Il fegato, inoltre, aumenta la produzione di glucosio; altri ormoni ad azione cosiddetta controinsulare fanno prevalere la loro attività. Quando l'iperglicemia supera la soglia renale (180 mgdl) si manifesta la glicosuria (presenza di glucosio nelle urine) con un conseguente aumento del volume urinario (poliuria) che determina una perdita di liquidi (disidratazione). Si instaura perciò un meccanismo di compenso che scatena una sete intensa con necessità di grandi quantità di acqua (polidipsia). La perdita di glucosio e l'alterata utilizzazione degli elementi nutritivi causano dimagrimento, mentre esasperano l'appetito (polifagia). Se non si interviene alla comparsa di questi sintomi si va incontro a una fase di scompenso glico-metabolico acuto sino al quadro della chetoacidosi diabetica, gravissima condizione metabolica caratterizzata da nausea, vomito, grave disidratazione, elevata glicemia e glicosuria, alterazioni dello stato di coscienza fino al coma. Con l'avvento della terapia insulinica, si è potuto assicurare la sopravvivenza delle persone affette dal diabete di tipo 1. Possibilità impensabile nell'era preinsulinica, quando chi si ammalava andava incontro a morte sicura a poca distanza dalla comparsa della malattia. Oggi, lo scopo principale dell'intervento medico sui diabetici di tipo 1 è quello di evitare, o se non altro procrastinare il più possibile la comparsa delle temute invalidanti complicanze croniche, quali le alterazioni della funzionalità dei reni, della retina, del sistema nervoso periferico, del cuore e dei vasi sanguigni. A tal fine risulta di fondamentale importanza che il diabetico, oltre a seguire scrupolosamente il regime terapeutico insulinico a lui adeguato, si sottoponga periodicamente a un attento monitoraggio della glicemia e degli altri parametri ematochimici correlati al diabete presso il centro diabetologico cui fa riferimento. Tutto ciò è necessario, ma insufficiente. Occorre, infatti, che il diabetologo coadiuvato da una équipe diabetologica costituita da varie figure professionali (dietisti, infermieri specializzati, assistenti psico-socio-sanitari, etc), instauri un rapporto di fiducia con il paziente diabetico. Questi verrà interattivamente motivato a seguire con impegno un programma che, alla puntuale somministrazione del farmaco veda associata una sana e corretta alimentazione, un'attività fisica ben programmata (che può includere, senza eccessi, tutti gli sport a carattere dilettantistico e/o agonistico). È essenziale l'autocontrollo domiciliare della glicemia: esistono presìdi sempre più raffinati e di semplice utilizzo, che consentono al paziente di gestire personalmente situazioni di emergenza (crisi di ipoglicemia o suoi valori elevati). La corretta attuazione delle linee di condotta consentirà di raggiungere una qualità di vita sostanzialmente sovrapponibile a quella delle persone sane. L'unica terapia affidata all'insulina Il ruolo cruciale del paziente nella cura in sintonia col medico Attacca il pancreas di persone predisposte geneticamente gi. gu. IGLESIAS. Il diabete era già conosciuto agli antichi medici: sin dal II secolo d.C. la malattia veniva descritta come «un liquefarsi della carne e delle membra nelle urine». Tuttavia, si è dovuto aspettare la seconda metà del 1800 per poter dimostrare l'origine pancreatica del diabete a opera di O. Minkowski. Ma rimaneva ancora da scoprire in quale modo il diabete traesse origine dal pancreas. Nel 1915, il dottor A. Rodella, autore del volume Diabete mellito e sua cura, proponeva come terapia l'eliminazione degli zuccheri dalla dieta, pur consapevole che si trattasse di una "cura sintomatica". E affermava: «Non abbiamo contro il diabete alcuna medicina, non dirò già sicura, ma neanche tale da poter ragionevolmente destare a priori speranze fondate». L'epica scoperta dell'insulina avveniva solo sei anni dopo, nel 1921, a opera di due giovani ricercatori canadesi dell'università di Toronto, Frederick Banting e Charles Best, che iniettarono con successo un estratto pancreatico in un cane diabetico. Fu però soltanto nel gennaio del 1922 che l'insulina potè essere somministrata per la prima volta a un essere umano (un ragazzo di 14 anni). In realtà, pur essendo trascorsi circa 80 anni dalle prime iniezioni sottocutanee di insulina, nessun altro presidio terapeutico è stato in grado di sostituire la terapia insulinica come più importante trattamento del diabete. Le prime preparazioni, sebbene assai impure e di variabile qualità (erano infatti insuline porcine e bovine) migliorarono immediatamente e clamorosamente l'aspettativa di vita di migliaia di persone diabetiche. Gli anni successivi hanno testimoniato una serie di progressi nella produzione e nella purificazione dell'insulina sino a poter usufruire delle attuali in commercio. Oggi si dispone di svariate formulazioni a diversa durata d'azione e si tende ad attuare la terapia insulinica intensificata, che consente, con 3 o 4 somministrazioni al giorno, un notevole miglioramento del quadro clinico. Negli ultimi decenni, poi, ha assunto maggior valore l'importanza dell'educazione sul diabete: il paziente ha un ruolo cruciale nel determinare l'esito della terapia. È necessario che impari a trattare il proprio diabete e condivida con il diabetologo la responsabilità del mantenimento di un buon controllo glicemico. Già da alcuni anni, nel campo della ricerca ci si adopera per risolvere il problema della terapia insulinica iniettiva studiando vie alternative di somministrazione: quella inalatoria polmonare (attraverso un dispositivo aerosol), l'insulina per via enterale (incapsulata in microsfere, si assume per bocca senza che venga "digerita" dallo stomaco) e lo spray nasale. Per fare subito chiarezza ed evitare false illusioni, possiamo dire che i risultati delle nuove modalità di somministrazione sono assolutamente preliminari e occorrono ancora studi a lungo termine per confermare la reale sicurezza ed efficacia nel raggiungere un buon controllo metabolico attraverso le nuove formulazioni. Un ultimo cenno meritano i trapianti intesi come pancreas nel suo complesso o della sola componente endocrina (le isole di Langherans). Notevoli progressi sono stati fatti circa il trapianto totale del pancreas e hanno rilievi sul piano clinico. Il trapianto di isole, al contrario, è una procedura di grande interesse ma necessita di ulteriori validazioni cliniche. Tutto il fermento nella ricerca fa comunque ben sperare che in un futuro non lontano i diabetici possano godere di trattamenti terapeutici nuovi e più idonei a migliorare la qualità di vita. _______________________________________________ le Scienze 6 nov. '02 CONVERTIRE CELLULE STAMINALI NEURONALI L'obiettivo a lungo termine è la cura di malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson Una delle tante promesse delle cellule staminali è quella di poter un giorno permettere di curare malattie neurodegenerative, come il morbo di Parkinson. Un grosso passo avanti verso questo obiettivo è stato ora compiuto da alcuni biologi del Jefferson Medical College, che hanno mostrato per la prima volta come sia possibile convertire alcune cellule staminali neuronali umane in cellule produttrici di dopammina, la cui mancanza provoca il morbo di Parkinson. I risultati della ricerca sono stati descritti durante il congresso della Society for Neuroscience, tenutosi a Orlando, in Florida. La ricercatrice Lorraine Iacovitti è da tempo alla ricerca di una tecnica per convertire le cellule staminali in neuroni produttori di dopammina, per rimpiazzare quelli persi dai pazienti parkinsoniani. In un primo studio, con alcuni colleghi, aveva dimostrato che le cellule staminali neuronali di topo trapiantate in ratti parkinsoniani potevano svilupparsi in cellule che producono la tirosina idrossilasi, enzima necessario alla produzione della dopamina. Ora però la ricerca si è spinta oltre. Per vedere se anche le cellule staminali umane hanno la stessa capacità, i ricercatori le hanno coltivate in laboratorio. Usando poi una miscela di vari fattori di crescita si è visto che fino a un quarto delle cellule poteva produrre l'enzima. Inoltre, la produzione dell'enzima è proseguita anche quando è stata rimossa la miscela stimolante. "Abbiamo due esempi di cellule umane che fanno questo," ha spiegato la Iacovitti. "L'ovvia estensione di questi risultati è di prendere quei neuroni predifferenziati produttori della dopammina e trapiantarli in un modello animale del morbo di Parkinson." _______________________________________________ Repubblica 7 nov. '02 ECOENDOSCOPIA: LA VIDEOCAPSULA PER GUARDARE LO STOMACO La videocapsula batte la radiografia è boom della nuova diagnostica ad immagini. L’ecoendoscopia usata anche per operare DI GUIDO COSTAMAGNA * Il mondo dell’Endoscopia digestiva sta registrando importanti successi anche grazie all’evoluzione tecnologica che incessantemente mette a disposizione degli operatori strumenti sempre più sofisticati e meno invasivi. Sono sempre più numerosi i dispositivi che permettono di scrutare in maniera dolce, non cruenta, le aree più nascoste dell’apparato gastrointestinale, aiutandoci a osservare anche le più piccole alterazioni di tessuti ed eventualmente a rimuoverle prima che provochino malattie gravi. L’occasione per un confronto tra i più illustri esperti mondiali su queste innovative indagini endoscopiche è stato il recente Corso Europeo di Endoscopia Digestiva Terapeutica e Radiologia che ha avuto luogo presso l’Università Cattolica Policlinico Gemelli, di Roma. Oltre quattrocento gli specialisti provenienti da 23 Paesi di tutti i continenti. Tra le diverse novità presentate, alcune già entrate nella pratica clinica, in particolare quattro sono gli aspetti che meritano di essere sottolineati: 1) l’impiego della capsula endoscopica (la cosiddetta "pillola telecamera"); 2) la biopsia "ottica"; 3) l’ecoendoscopia tridimensionale ed operatoria; 4) la mucosectomia. Della "pillola telecamera" si è già ampiamente parlato circa un anno fa in occasione dell’inizio dei primi studi clinici di applicabilità della metodica. La sola idea di poter esplorare l’intestino tenue, ingerendo una capsula poco più grande di un normale antibiotico ha sollecitato non poco l’immaginario collettivo di medici e potenziali pazienti. Oggi cominciamo ad avere i primi dati scientifici controllati sull’impiego della videocapsula che confermano le grandi potenzialità della tecnologia nello studio dell’intestino tenue: il contributo del gruppo dell’Università Cattolica, recentemente pubblicato sulla rivista internazionale "Gastroenterology", ha confermato la superiorità della videopillola rispetto all’esame radiologico tradizionale soprattutto quando la ragione dell’indagine è la ricerca di fonti emorragiche occulte. Proprio durante il corso è stato possibile individuare numerose malformazioni vascolari della parete dell’intestino tenue in un paziente affetto da anemia cronica e successivamente eliminarne la maggior parte con trattamento endoscopico mediante coagulazione all’argon plasma (altra tecnologia in costante evoluzione le cui applicazioni in endoscopia digestiva sono molteplici). Con la biopsia "ottica" invece sarà possibile, in futuro, ottenere immagini del tutto simili a quelle istologiche senza dover prelevare del tessuto, ma semplicemente appoggiando un’apposita sonda sul tratto di mucosa intestinale da esplorare: la tecnologia esiste già e sono in corso diversi studi di fattibilità sull’uomo. L’ecoendoscopia, cioè la combinazione di un endoscopio con una sonda ecografica, sta diventando sempre più non solo una tecnica diagnostica (sempre più sofisticata grazie allo sviluppo di appositi software in grado d’elaborare ricostruzioni tridimensionali degli organi), ma anche operativa. Un esempio: durante il corso è stato possibile curare una difficilissima situazione di fistola pancreatica, che un tempo avrebbe richiesto un intervento chirurgico arduo e rischioso, grazie all’inserimento, sotto guida ecoendoscopica, di un drenaggio pancreatico attraverso la parete dello stomaco. La tecnica della mucosectomia, infine, sviluppata in Giappone, ma ora praticata anche in Europa, consente di asportare in maniera molto efficace ed elegante ampie porzioni di mucosa malata (lesioni precancerose e lesioni neoplastiche allo stato iniziale) a livello dell’esofago, dello stomaco e del colon creando artificialmente uno pseudopolipo mediante iniezione nella parete di liquidi ed evitando così interventi chirurgici molto più demolitivi. * Professore associato di Chirurgia generale, responsabile Unità operativa di Endoscopia digestiva chirurgica, Università Cattolica, Roma _______________________________________________ Corriere Della Sera 10 nov. '02 TUMORI, UN FARMACO DIFENDE IL COLON» Studio americano: è un nuovo anti-infiammatorio, positivi i primi risultati sull’uomo «Il tumore al colon può essere battuto, senz’altro evitato, grazie ad un farmaco anti infiammatorio di nuova generazione. I primi risultati degli esperimenti su malati geneticamente predisposti a questa malattia indicano che funziona». Il professor Raymond White, oncologo dell’Università della California a San Francisco, anticiperà oggi a Roma i risultati dei suoi studi nel corso della conferenza stampa sulla «Postgenomica, la rivoluzione silenziosa», organizzata dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc) per promuovere la Giornata nazionale di domani. Lo studio dei geni per battere il tumore è quella che i ricercatori definiscono «postgenomica». Dalle molte ricerche in corso partiti dopo la mappatura del genoma umano, i laboratori di tutto il mondo si attendono quelli che Umberto Veronesi, direttore dell’Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano, ha definito «farmaci intelligenti». Uno di questi previene dal tumore al colon-retto, cioè all’ultimo tratto dell’intestino. White è il massimo esperto di questa patologia che ha colpito, nella sola Italia, 36 mila persone nel corso del 2001. Incidenza che aumenta del 20 per cento ogni anno, anche se in parallelo negli ultimi tempi è diminuita la mortalità: del 9 per cento negli uomini, del 7,5 per cento nelle donne. C’è una categoria di persone, inoltre, che ha la quasi certezza di sviluppare nell’arco della propria esistenza un tumore all’ultimo tratto dell’intestino: sono coloro che soffrono di «poliposi adenomatosa familiare». La causa è in un’alterazione dei geni. Oltre a questi, una categoria più numerosa (quelli che hanno avuto un parente prossimo con questo tumore) ha il doppio di probabilità degli altri di ammalarsi. La sperimentazione di White è per ora partita sui più esposti, i malati di «poliposi adenomatosa familiare»: «I portatori di varianti genetiche importanti per la predisposizione al tumore del colon sono stati caratterizzati clinicamente dalla nostra équipe nello Utah e da altre équipe. Abbiamo portato avanti esperimenti con il fine di testare farmaci in grado di prevenire la manifestazione del cancro in questi portatori particolarmente predisposti». Il medicinale più interessante si è dimostrato un anti infiammatorio di nuova generazione (un inibitore dell’enzima cox2, che comanda la produzione delle prostaglandine, causa di infiammazione e dolore). Dopo sei mesi di terapia la comparsa di nuovi polipi è diminuita di un terzo. «Ma soprattutto non si innesca la trasformazione tumorale», spiega White. Il farmaco agirebbe fermando la formazione dei vasi sanguigni tumorali (la famosa angiogenesi di Judah Folkman) e riattivando il meccanismo di «autodistruzione» delle cellule che entra in funzione quando una cellula è malata ma che non «funziona» nel caso dei tumori. L’avvento della «postgenomica» come ha influenzato e come potrà influenzare in futuro le ricerche? «La mappa del genoma umano e le nuove tecnologie applicate alle ricerche stanno influenzando profondamente il mio lavoro - risponde White - . Oggi abbiamo capito che i maggiori fattori di rischio per il cancro sono rappresentati dal nostro patrimonio genetico. Ho concentrato i miei studi sull’identificazione dei geni le cui varianti predispongono gli individui allo sviluppo di un tumore. Le tecnologie "genomiche" hanno anche accelerato tale processo. Dieci anni fa sarebbe occorso il lavoro di un anno di 15-25 ricercatori per ottenere, da una mappa genetica delineata attraverso l’anamnesi (la storia medica) familiare, l’effettiva identificazione del gene responsabile. Oggi lo stesso risultato si può ottenere con un anno di lavoro di soli due ricercatori. Questo ha portato alla scoperta di centinaia di geni le cui varianti predispongono alle malattie». Così sarà possibile per ogni individuo avere una propria «carta d’identità genetica», da cui partire per un’efficace prevenzione. Nel caso del cancro al colon e al seno tale «carta d’identità» può essere particolarmente importante in quanto suggerisce ai medici quali soggetti in particolare necessitano di essere sottoposti a controlli più frequenti. Sottolinea White: «Per quanto riguarda il cancro al colon lo screening attraverso la colonscopia ha un’importanza fondamentale, dal momento che è un metodo decisamente efficace per la prevenzione, ma non ancora diffuso in tutta la popolazione. Per lo sviluppo di nuovi farmaci ci vorrà più tempo, forse dieci anni. Ma le premesse, questa volta, sono ottime». Mario Pappagallo _______________________________________________ Repubblica 7 nov. '02 LA SUBDOLA ENDOMETRIOSI COLPISCE UNA RAGAZZA SU 10 è un male difficile da capire: spesso i medici lo scambiano per altre patologie DI MARIAPAOLA SALMI Tutto comincia quasi sempre da giovanissime. L’arrivo della mestruazione è segnato da dolori fortissimi che durano giorni. Poi il dolore comincia a presentarsi durante gli intervalli tra i flussi, e può estendersi a tutta la pelvi. Non dà tregua durante il coito, a volte non permette nemmeno la defecazione. Una tortura che solo la diagnosi precoce di endometriosi e la conseguente terapia, potrebbero interrompere. Invece passano in media otto anni, forse di più, perché la donna riesca a sapere qual è il male che l’affligge. Un male che colpisce 1 donna su 10, in età riproduttiva e che spesso è scambiato per coliche, appendicite, disturbi di origine psicoemotiva. «La donna arriva alla diagnosi dopo aver consultato tre, quattro, cinque ginecologici e dopo anni di antidolorifici», afferma il dottor Fiorenzo De Cicco dell’Istituto di clinica ostetrica e ginecologica dell’Università Cattolica di Roma dove di recente si è svolto il congresso "Endometriosi: quel dolore senza perché", «e qualche volta dopo interventi chirurgici che hanno aggravato la malattia». Perché di questo si tratta. Una malattia che colpisce il 512 per cento delle donne con problemi di fertilità e che, come ha spiegato uno dei massimi esperti il ginecologo belga Philippe R. Koninckx, da dopo il menarca potrebbe in teoria colpire ogni donna. È sufficiente che un po’ di sangue mestruale refluisca nelle tube e nella pelvi. Se le piccole parti di tessuto endometriale (il tessuto che rivestono le pareti interne dell’utero) non vengono riassorbite, si trasformano in tumori benigni che si impiantano nella cavità pelvica. In altre condizioni possono invece accrescersi, trasformandosi in cisti e noduli. Tra le cause che inducono il tessuto endometriale ectopico a queste trasformazioni può esserci una particolare reattività individuale dovuta ad un’alterazione del sistema immunitario, oppure modificazioni provocati da sostanze che si trovano nel microambiente (la diossina è una di queste), oppure, secondo le ultime ricerche, potrebbero esservi anche delle alterazioni genetiche. La soluzione sta in una diagnosi precocissima, addirittura in età adolescenziale. Sarebbe sufficiente un ginecologo esperto e un buon esame clinico ricorrendo magari all’ecografia. «La terapia d’elezione», spiega il dottor Koninckx, «consiste nell’asportazione chirurgica delle neoformazioni endometriali. Purtroppo, in questo caso è importante l’esperienza del chirurgo perché se l’intervento non viene eseguito con perizia le recidive sono elevatissime. Quel che è peggio, i successivi interventi aggravano la situazione poiché le aderenze aumentano e l’endometrio ectopico si diffonde e si infiltra sempre di più». La cosa migliore sarebbe inviare quindi la donna in un centro specializzato in questa particolare malattia. _______________________________________________ La Nuova Sardegna 8 nov. '02 CARCASSI: PAGANINI GRANDE PERCHÉ MALATO DI ARTRITE Convegno di reumatologia BARI. Il grande violinista Niccolò Paganini doveva gran parte della sua abilità esecutiva a una «lassità» legamentosa, una deformazione del tessuto connettivo che permetteva alle sue lunghissime dita di cavare dal violino suoni impossibili per gli altri esecutori. Lo sostiene uno studio del professor Ugo Carcassi, dell'università di Cagliari. La ricerca è stata presentata ieri a Bari nella prima giornata dei lavori del 39/o congresso nazionale della Società italiana di reumatologia. Paganini, virtuoso del violino, era agevolato nelle sue esecuzioni da questa singolare deformazione delle fibre del collagene. Nella stessa ricerca il professor Carcassi ha affrontato anche le affezioni reumatiche di altri personaggi storici italiani, come Cristoforo Colombo e Giuseppe Garibaldi, tutti e due affetti da artrite. _______________________________________________ La Nuova Sardegna 7 nov. '02 ARRIVANO DAI MONTONI GAY PREZIOSE INFORMAZIONI SULL'OMOSESSUALITÀ UMANA WASHINGTON. Esistono anche i montoni gay: notizia che non giunge nuova ai nostri pastori, ma che assume particolare rilevanza scientifica dopo che scienziati della Oregon Health & Science University hanno presentato i risultati di una loro ricerca. Nei montoni gay sono state notate differenze nella struttura cerebrale rispetto agli altri animali del gregge, un dato che potrebbe portare a una migliore comprensione sulle origini della omosessualità umana. I ricercatori hanno analizzato il comportamento di 27 pecore e montoni di un gregge, compresi nove montoni che avevano rapporti sessuali solo con altri maschi del gruppo. Sezionando in seguito i cervelli degli animali osservati, gli scienziati hanno notato che un'area specifica dell'ipotalamo appariva più grande negli animali eterosessuali. Dati analoghi erano emersi anche in studi fatti in passato sui cervelli degli esseri umani ma poichè gran parte dei gay analizzati erano morti di Aids esistevano dubbi sulla attendibilità dei risultati a causa dell'effetto dei medicinali anti-Aids. «Con modelli animali è piu facile selezionare e fare studi controllati - ha sottolineato Charles Roselli, leader della ricerca -. Le cellule cerebrali dell'area esaminata contenevano inoltre una maggiore quantità dell'enzima aromatase nei montoni eterosessuali. L'aromatase è un elemento che partecipa alla azione del testosterone». Secondo i ricercatori questo non implica automaticamente che i montoni gay abbiano quantità minori di testosterone nel cervello. Nessun rapporto tra il livello di testosterone e l'orientamento sessuale è stato finora documentato negli studi fatti sull'uomo o sui montoni. Gli scienziati dell'Oregon ritengono che sia piuttosto il contatto con determinati ormoni mentre uomini e montoni sono ancora nel ventre materno a causare differenze nelle preferenze sessuali. _______________________________________________ La Nuova Sardegna 8 nov. '02 PER I MONTONI L'OMOSESSUALITÀ NON È UNA SCELTA Annalisa Zabonati Psicologa psicoterapeuta Venezia Nell'articolo «Arrivano dai montoni gay preziose informazioni sull'omosessualità umana», apparso mercoledì sul vostro quotidiano, desidero esprimere la mia convinta critica per la impraticabilità di desumere dati dagli animali non umani agli umani e per la mancanza di considerazione per una scelta sessuale intenzionale, che presuppone importanti elementi di carattere psicologico e psicosociale negli umani appunto. L'uso dell'aggettivo «preziose» reca con sé pregiudizi notevoli nella scelta omosessuale umana, qualora si tratti di uno stato riconosciuto dalla scienza psicologica come normale e non patologico, in condizione di libero arbitrio e consapevole accettazione per i partner coinvolti. Per ciò che concerne la ricerca su animali per aspetti squisitamente pertinenti la psicologia umana non ci sono fondamenta di scientificità nel voler individuare l'area cerebrale, i neuroni e gli ormoni coinvolti osservando comportamenti e sezionando cervelli che non hanno attinenza con l'umano. Gli animali che hanno comportamenti interpretati come omosessuali sono raramente, se non forse nei primati non umani, interpretabili come scelta intenzionale omosessuale, ma probabilmente hanno a che fare con rituali di predominio e sottomissione gerarchica e territoriale. L'attuale etologia, infatti, considera molto importante lo studio intraspecie e anche comparativo, ma in termini di riconoscimento e rispetto delle differenze. La perniciosa insistenza sullo specismo e sull'antropomorfismo con cui si intendono interpretare comportamenti umani e/o animali nega la vera scientificità a studi che prevedono sempre l'utilizzo di consistenti risorse economiche pubbliche, che sarebbero più utili se indirizzati su un'epistemologia squisitamente scientifica che non confonde le necessità di analisi, ricerca e scoperta per il benessere con la necessità di fama e ricchezza dei ricercatori implicati. Una diversa organizzazione mentale, scientifica, epistemologica, accademica e di intenti consentirebbe di valutare in modo onesto e corretto quali comportamenti studiare mantenendo sempre in prima posizione la considerazione dei diritti umani e dei diritti animali. _______________________________________________ La Stampa 4 nov. '02 «UN VACCINO SOFFOCA I TUMORI» SPERIMENTATO CON SUCCESSO SUI TOPI NEGLI STATI UNITI Blocca l´afflusso di sangue alle cellule malate ROMA Viene dagli Stati Uniti un nuovo vaccino sperimentato con successo contro diversi tipi di tumore mentre in Inghilterra si sta lavorando per dare vita a un test che permetta di individuare i tumori quando ancora sono allo stadio iniziale. La nuova arma statunitense contro il cancro è stata messa a punto da un gruppo di ricercatori statunitensi in uno studio pubblicato sulla rivista «Nature Medicine», ed agisce contro la vascolarizzazione (angiogenesi) che il tumore innesca appena raggiunge un diametro di soli 2mm. Infatti, per poter proliferare le cellule cancerose hanno bisogno di «nutrimento-extra» che ottengono provocando la formazione di nuovi vasi sanguigni. Il vaccino, sperimentato sui topi, ha bloccato l´afflusso di sangue alla massa tumorale, impedendone lo sviluppo. Inoltre, i roditori sono rimasti protetti da ricrescite tumorali per oltre 10 mesi. Ralph A. Reisfeld, immunologo presso lo Scripps Research Institute (La Jolla), ha dunque sperimentato un vaccino contro una proteina indispensabile per la crescita dei vasi sanguigni intorno al tumore, il recettore per il fattore di crescita endoteliale (FLK-1). Topi affetti da tre tipi diversi di tumore sono stati immunizzati utilizzando batteri non patogeni, modificati geneticamente perchè producessero grandi quantità di FLK-1. Così, si è creta una risposta immunitaria sufficientemente intensa e prolungata da bloccare ogni vascolarizzazione intorno alle masse tumorali, che si sono gradualmente indebolite, fino a scomparire. Inoltre, non si sono verificati effetti collaterali di rilievo. Nell´uomo il vaccino sarebbe efficace, soprattutto, se combinato con altri trattamenti che promuovono la morte delle cellule tumorali e sarebbe utile anche per prevenire le ricadute. In Inghilterra, invece, un gruppo di scienziati britannici sta mettendo a punto un nuovo test per la diagnosi precoce del cancro individuandolo quando è ancora allo stadio iniziale, aumentando notevolmente le possibilità di sopravvivenza dei pazienti. Il test, sperimentato per la rilevazione del cancro all'intestino che è il secondo in Gran Bretagna per il numero di decessi causati, dimostra che la tecnica sarebbe virtualmente infallibile nella individuazione della malattia. Il professor Ron Laskey, direttore onorario dell'unità oncologica del «Medical Research Council» dell'università di Cambridge, ritiene che il metodo potrebbe essere utilizzato anche per la diagnosi dei tumori all'utero, alla vescica, al seno, ai polmoni e alla bocca. La tecnica, inoltre, essendo rapida, economica ed affidabile potrebbe diventare accessibile a tutti ed essere sovvenzionata dal servizio sanitario nazionale. Il test comprende un'analisi delle feci nelle quali vengono esaminate le cellule rilasciate dall'intestino. Se queste presentano dei segni di anormalità, gli scienziati dicono di poter diagnosticare se si sta sviluppando un cancro o meno. «Se individuato nella sua fase iniziale, il cancro all'intestino può essere curato nella maggioranza dei casi, ma sfortunatamente spesso la malattia viene diagnosticata quando ha già cominciato a spargersi nel corpo. La diagnosi precoce pertanto è fondamentale al fine di una cura più efficace», ha dichiarato il professor Laskey al convegno in corso a Coventry del «Cancer Research UK», l'ente britannico di ricerca sul cancro. Il gruppo di ricercatori della Cambridge University testa la cellule per verificare se contengano una molecola chiamata MCM2, la quale è coinvolta nella creazione di nuovo Dna ed è presente solamente nelle cellule che si dividono attivamente. Normalmente le cellule dell'intestino non contengono questa molecola, ma le cellule cancerose o precancerose che hanno iniziato a dividersi senza controllo, tendenzialmente contengono grosse quantità di MCM2. r.r.