LE UNIVERSITÀ SENZA SOLDI I RETTORI “PRONTI A DIMETTERCI” «CON I TAGLI AGLI ATENEI IN FORSE LE ATTIVITÀ DIDATTICHE» FINANZIARIA: ATTIVITÀ UNIVERSITARIE A RISCHIO? I SOLDI PER LA RICERCA SE NE VANNO SEMPRE IN FUMO LA CONFINDUSTRIA «E’ UNO STOP AL PROGRESSO DELLA RICERCA» L'UNIVERSITÀ ITALIANA INVECCHIA RIFORMA DELL'UNIVERSITÀ: SCACCO MATTO AI PROF RICERCA: COME SI FRENA LA FUGA DEI CERVELLI? GLI STUDENTI: «IMPEDIREMO LA RICANDIDATURA DI MISTRETTA» L'INTERVENTO: "IL MAGNIFICO PRIVILEGIA I PIÙ RICCHI" NO AL TERZO MANDATO PER IL RETTORE I DOCENTI DI SCIENZE POLITICHE BOCCIANO LA MODIFICA DELLO STATUTO RICERCA E LIBERTA' URBANI: UNIVERSITÀ E CULTURA, MILANO GUIDI L' ITALIA POCA FORMAZIONE E SENZA STRATEGIE LE IMPRESE PROTAGONISTE NELLA CULTURA ALLE ELEMENTARI A 5 ANNI E MEZZO PROMOSSI O BOCCIATI OGNI BIENNIO =========================================================== OSPEDALI, SCIOPERANO GLI SPECIALIZZANDI «IL GOVERNO TROVI I SOLDI PER I CONTRATTI DEI MEDICI SPECIALIZZANDI» TALASSEMIA, IL CENTRO A CAGLIARI «SE LA FINANZIARIA NON CAMBIA SI TORNA AI TICKET» «IL 4% DEI RIANIMATORI PRATICA L' INIEZIONE LETALE» L' ORDINE DEI MEDICI: L' EUTANASIA È OMICIDIO GLI USA APPLAUDONO IL SERT SCIENZA E COMPUTER, BINOMIO VINCENTE L’INGEGNERIA DEI TESSUTI AL SERVIZIO DELLE ARTICOLAZIONI TESTOSTERONE E DECADIMENTO NEURONALE NEL "PAVIMENTO" DEL CUORE IL SEGRETO CONTRO L’INFARTO CHIRURGIA DEI DENTI SINERGIA TRA LA MEDICINA E L´INGEGNERIA BIOMECCANICA =========================================================== _____________________________________________________________ Repubblica 15 nov. ’02 LE UNIVERSITÀ SENZA SOLDI I RETTORI “PRONTI A DIMETTERCI” L’ultimatum della Conferenza dei Rettori al premier Berlusconi è caduto nel vuoto. Nella finanziaria approvata ieri dalla camera non c’è traccia dei 450 milioni di euro promessi dal governo, “Soldi che servono a far fronte alle spese ordinarie degli atenei statali”, spiega il Presidente Della Crui Piero Tosi. “ In queste condizioni non possiamo che ribadire la nostra scelta già espressa lo scorso settembre, se il governo non farà fronte ai suoi impegni i 72 rettori delle università pubbliche presenteranno le loro dimissioni”, afferma Tosi. Il presidente della Crui ha tentato ieri mattina quando i giochi erano ancora aperti, di convincere il presidente del Consiglio. Ha scritto una lettera ufficiale che suona, pur nella sua correttezza, molto dura. “Incoraggia l’attenzione e l’impegno assunti da Lei, dal ministro Moratti, così come i pronunciamenti di altri membri del governo, delle più alte cariche dello Stato. Tuttavia è forte la preoccupazione che non tutti coloro che sono chiamati a decidere si rendano conto del livello di emergenza finanziaria cui è giunto il sistema universitario: una emergenza, come Le abbiamo sottolineato nell’incontro del 18 ottobre scorso tale da non consentire il mantenimento dei servizi essenziali al funzionamento degli Atenei”. Sulla delicata questione, lo scorso 9 novembre, era intervenuto anche il Capo dello Stato presenziando l’apertura dell’anno accademico alla Bocconi di Milano: “Se l’Università italiana avrà successo nell’affrontare le sfide, l’Italia avrà successo, dipenderà dall’attuazione di una riforma ambiziosa ma anche dalle risorse che la Nazione vorrà assegnare agli Atenei”. Parole al vendo. Ora tocca al governo trovare una via d’uscita modificando la finanziaria al Senato. Altrimenti il sistema universitario rischierà di andare alla deriva. _______________________________________________________________________________ L’Unione Sarda 12 nov. ’02 «CON I TAGLI AGLI ATENEI IN FORSE LE ATTIVITÀ DIDATTICHE» Il Senato accademico lancia l’allarme: «Con i tagli della finanziaria tutte le attività universitarie sono a rischio». E non è uno scherzo. Tanto che ieri ha sollecitato «una forte presa di posizione ed un intervento attivo di tutte le forze politiche e istituzionali» e si riserva di «intraprendere ogni azione per contestare l’approvazione definitiva della legge», approvata lunedì dalla Camera che ha disatteso le richieste della Conferenza dei rettori che aveva sollecitato la reintroduzione per il 2003 dei fondi necessari per l’ordinario finanziamento degli atenei. La risposta c’è stata, ma contraria: tagli che, per quanto riguarda Cagliari, si aggirerebbero a 7-8 milioni di euro senza considerare che gli stipendi da ora in poi sarebbero a carico delle università. «Come conferenza dei rettori avevamo sottolineato che con la decurtazione delle risorse si metteva a rischio il regolare svolgimento delle attività didattiche e della ricerca scientifica», ha sottolineato Pasquale Mistretta. Ora gli auspici del mondo universitario si trasferiscono sul passaggio della legge al Senato (della Repubblica). _______________________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 13 nov. ’02 FINANZIARIA: ATTIVITÀ UNIVERSITARIE A RISCHIO? Il senato accademico contesta i 'tagli' agli atenei varati dalla nuova legge Finanziaria "Sono state disattese le modifiche proposte dai rettori" In un documento un chiaro invito alla mobilitazione CAGLIARI. Attività universitarie a rischio? L'allarme è stato lanciato dal senato accademico che, ieri, è intervenuto nel merito della legge Finanziaria appena approvata dalla Camera dei deputati. Ma non solo. Appurato che sono state disattese le modifiche proposte dalla Crui (Conferenza dei rettori), il senato ha deciso di intraprendere una serie di iniziative per contestare l'approvazione definitiva della legge. La mozione della Conferenza dei rettori, in pratica, invitava governo e parlamento a reintrodurre per il 2003 i fondi necessari per l'ordinario finanziamento degli atenei. Di fatto, però, la Finanziaria si traduce in un taglio di notevoli proporzioni. E in particolare, va a incidere pesantemente sugli stessi finanziamenti ordinari. La principale fonte di sostentamento delle università. "La legge finanziaria ha disatteso del tutto le indicazioni della Crui. Come conferenza dei rettori avevamo sottolineato che, con la decurtazione delle risorse, si metteva a rischio il regolare svolgimento delle attività didattiche e della ricerca scientifica" ha sottolineato Pasquale Mistretta. Adesso gli auspici del mondo universitario si trasferiscono sul passaggio della legge al Senato. Intanto il rettore e il senato accademico hanno approvato e messo a verbale un documento che esprime ulteriori e forti preoccupazioni "sul normale espletamento della generalità delle iniziative e dei progetti inerenti la formazione". Inoltre, il documento contiene un appello alla mobilitazione. "La partita in corso riguarda l'università che è patrimonio comune per l'intera popolazione sarda. Gli studenti, le famiglie e l'intera opinione pubblica devono conoscere le gravi situazioni di disagio in cui versano le università, in particolare, quelle del meridione d'Italia". Il rischio concreto è quello di vedere compromesso il normale ed efficiente svolgimento delle attività. Ma non solo. L'ateneo cagliaritano, a fronte di un finanziamento ordinario di 125,5 milioni di euro, secondo la finanziaria appena approvata, subirebbe un taglio del 10 per cento al capitolo riguardante le spese ordinarie (beni e servizi). Dalle prime stime, il taglio potrebbe aggirarsi attorno ai 5/8 milioni di euro. E ancora. La Finanziaria prevede che gli oneri stipendiali del personale docente e non docente siano a carico delle università. In definitiva il senato accademico, dopo aver fatto proprie le preoccupazioni manifestate dal rettore al ministro Letizia Moratti nel recente incontro tenutosi a Roma, sollecita "una forte presa di posizione e un attivo intervento su questi temi da parte di tutte le forze politiche e istituzionali regionali. Un'attenzione volta a far sì che il senato accolga del tutto le richieste della Crui". _______________________________________________________________________________ Corriere della Sera 16 nov. ’02 I SOLDI PER LA RICERCA SE NE VANNO SEMPRE IN FUMO Un vizio difficile da perdere: Quanto si parla di fumo, in questi giorni! Statistiche delle conseguenze mortali, descrizioni dei danni individuali e una gran voglia di ridurre i rischi, per i fumatori e per le vittime del loro vizio. Anche il presidente Ciampi ha gettato sulla bilancia il suo peso morale. Ma la prevenzione e la cura portano il discorso sul dolorosissimo tema della ricerca, che in Italia, nonostante il livello eccellente degli studiosi, rischia di ridursi o cessare, per scarsità di finanziamenti. Una penuria sempre più catastrofica, che ormai minaccia l'università italiana nel suo complesso. La ricerca languisce per mancanza di fondi e perché è ormai difficile persino pagare gli stipendi al personale scientifico, nonché sistemare decentemente giovani forze. Una legge infelice accolla da anni alle università gli adeguamenti di stipendio e gli scatti di carriera dei docenti, sicché il buco sta diventando voragine. La promessa dei contributi indispensabili alla pura sopravvivenza dell'università, che la conferenza dei rettori era riuscita a strappare al governo, è stata annullata, insieme con tante case e tante giovani vite, dal terremoto. Le sovvenzioni all'università, nella nuova Finanziaria, sono finite tra quelle che il ministro Tremonti considera proposte inaccettabili. Pareva trovato almeno un palliativo: una tassa sul fumo potrebbe in parte sostenere gli atenei. Così i fumatori finanzierebbero l'insegnamento e la ricerca, anche sui tumori di cui rischiano d'essere vittime. Una soluzione che presenta qualche aspetto comico: i docenti universitari dovranno scegliere tra dissuadere allievi e conoscenti dal fumare, a danno dei propri finanziamenti, o farsi magari, per assurdo, apostoli del fumo, che fisicamente toglie ma economicamente procura ossigeno, attraverso la tassa. Prevedibili anche gli sviluppi espressivi: denaro che col fumo va in fumo, ma fumo che procura denaro; nuove interpretazioni del detto: non c'è fumo senza arrosto, cioè cibo per i poveri studiosi. Ma Tremonti avrebbe scartato anche questa ipotesi, mandandola in fumo. In senso proprio (rifiuto dei fondi) e allegorico (offerta di fumo), constatiamo quanto si sia ormai appannata la coscienza che l'investimento in cultura, in ricerca, in professionalità, è un'urgenza assoluta, è vitale, se non si vuole che l'Italia sia cancellata (il rischio ormai incombe) dal novero dei Paesi progrediti ed efficienti. Cesare Segre _______________________________________________________________________________ Il Messaggero 16 nov. ’02 LA CONFINDUSTRIA «E’ UNO STOP AL PROGRESSO DELLA RICERCA» Diana Bracco, consigliere per l’innovazione: abbiamo tanti studi fermi di LUCA CIFONI ROMA — Confindustria in campo per i fondi alla ricerca. Diana Bracco, consigliere per l’innovazione, sostiene l’appello di Letizia Moratti: per ottenere più risorse, ma anche per un nuovo approccio culturale a questo settore. Cosa pensa dello scontro all’interno del governo? «Il ministro Moratti si batte giustamente, perché ha una visione di lungo periodo. Le sono affidati temi strategici, come la scuola, l’università e la ricerca. Stiamo parlando quindi delle scelte che il Paese deve fare per essere competitivo. Scelte non facili: si tratta di investire a medio e lungo termine. È un discorso culturale, non si tratta solo di soldi». Però anche quelli servono... «Certo i fondi ci vogliono, non si possono tagliare sempre. Paradossalmente, la situazione attuale è la spia di un fenomeno positivo. Voglio dire che esistono molti progetti precedenti ancora in attesa di finanziamenti: la buona notizia è che qualcosa si muove, che anche l’industria sta facendo uno sforzo per diffondere l’innovazione. È il momento di cambiare marcia. Nel 2002 il Consiglio europeo di Barcellona ha ribadito l’impegno di portare al 3 per cento, entro il 2010, gli investimenti in ricerca degli Stati membri. Purtroppo l’Italia è ancora lontana. Ma c’è di più: in un recente incontro a Bruxelles, per il varo del sesto programma quadro, il ministro greco ha detto che ricerca e innovazione saranno le priorità del loro imminente semestre di presidenza. Al quale seguirà, nella seconda metà del 2003, la presidenza italiana». E cosa direbbe al ministro Tremonti? «Gli direi che per prima cosa di questi temi bisogna discutere. Discutendo si possono trovare i tempi e i modi per dare risposte. Tutti sono consapevoli della necessità di non disperdere le risorse, di spendere bene. Quindi ragionando è possibile individuare delle soluzioni». Però da imprenditrice potrebbe dare qualche suggerimento: dove tagliare per dirottare risorse alla ricerca? «Non voglio entrare nel merito dei capitoli del bilancio pubblico, mi limito a far notare che la ricerca va considerata un’infrastruttura immateriale, e quindi andrebbe trattata, come minimo, con l’attenzione riservata alle infrastrutture tradizionali. Se poi in questa fase può essere utile la tassa sul fumo, ben venga». In tema di ricerca lo Stato non fa molto: ma anche il mondo delle imprese è stato criticato per la sua scarsa capacità di innovare... «Bisogna ricordare che abbiamo perso le grandi imprese e quindi i grandi centri di ricerca. Ma le imprese si rendono conto che se senza innovazione non c’è futuro: abbassare i costi non basta. Quindi ora la sfida è creare aggregazioni intorno a uno, due filoni di ricerca su cui il nostro Paese è a livelli di eccellenza. Il prossimo 27 novembre abbiamo in Confindustria la prima giornata della ricerca, in quella sede faremo delle proposte. Io credo che le basi per fare bene ci siano». _______________________________________________________________________________ Il Sole24Ore 14 nov. ’02 L'UNIVERSITÀ ITALIANA INVECCHIA Cresce l'età media dei laureati (27,5 anni) Ma è in aumento anche quella del corpo docente (54 anni). A dirlo è il terzo Rapporto del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario. L'università italiana è sempre più vecchia. Mentre tra gli studenti cresce l'età delle matricole, oltre che quella dei laureati. A preoccupare, in particolar modo, è l'invecchiamento della classe docente e lo spostamento in avanti dell'età di ingresso alle carriere per i ricercatori. È quanto si legge nel terzo rapporto sullo stato del sistema universitario, presentato oggi dal Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (Cnvsu), alla presenza del ministro Letizia Moratti e del presidente del Cnvsu, Giuseppe De Rita. L'età media dei docenti in Italia, infatti, risulta aumentata di circa 7 anni rispetto al 1985. Nel 2001, infatti, ha raggiunto i 54 anni e il 20% dei professori ha più di 60 anni. Per quanto riguarda i ricercatori, tra quelli entrati in ruolo per giudizi di idoneità, si verifica che l'età media supera i 52 anni; quelli entrati per concorso hanno invece in media 34 anni. L'invecchiamento della classe docente fa prevedere, nel periodo 2002-2017, circa 25mila docenti che usciranno dal sistema universitario per aver raggiunto il limite di età. Questa cifra, pari al 45% della classe docente attuale, sarà distribuita fra le varie facoltà, ma il maggior numero di uscite si verificherà a medicina e ad architettura. Ma è proprio rivolto agli studenti l'interesse centrale del lavoro del ministero, dopo l'avvio della riforma dei cicli. "Le università - ha dichiarato il ministro Moratti - devono concentrare il loro sforzo verso gli studenti e offrire loro sempre più servizi. Abbiamo stanziato fondi per l'orientamento, il tutorato, l'adeguamento delle strutture e fissato criteri minimi per evitare l'eccessiva proliferazione di corsi di laurea con l'avvio della riforma. È tuttora in fase di realizzazione un'anagrafe nazionale degli studenti per favorire una programmazione su un medio-lungo periodo". Riguardo alla riforma universitaria, il ministro ha sottolineato che "dopo questa prima fase di avvio, sarà necessaria anche una messa a punto". Nel rapporto Cnvsu uno spazio è dedicato ai dati finanziari. Riguardo l'esercizio finanziario del 2000, si rileva che le università hanno potuto disporre di oltre 16.000 miliardi di lire (8.263 milioni euro). Per quanto riguarda le spese, nel 2000 oltre 10.000 miliardi di lire sono stati impiegati per il costo-lavoro del personale, mentre gli interventi diretti a favore degli studenti ammontano ad oltre 1.000 miliardi. Duemila miliardi, infine, sono stati impiegati per investimenti nelle infrastrutture ed attrezzature scientifiche. Restano però insufficienti, in molte facoltà degli atenei italiani, aule, laboratori informatici e biblioteche. I personal computer che risultano connessi in rete, disponibili per gli studenti, sono soltanto poco più di 32.000. L'avvio della riforma universitaria, infine, sembra non aver creato problemi. Dalla rilevazione emerge che dei 3.034 corsi attivi, 2.665 sono nuovi. Sopravvivono soltanto 369 corsi del vecchio ordinamento. Sul fronte degli studenti, continua a restare alta (27,5 anni) l'età media dei laureati. Quasi uno su cinque consegue il titolo oltre il trentesimo anno di età. Sembra tuttavia aprirsi qualche spiraglio con l'aumento dei laureati ventiquatrenni, che passano dall'8,2% del 1999-2000 al 9% del 2000-2001. L'età media degli iscritti ai corsi di laurea è di 23,6 anni. Su 100 studenti, però, 11 hanno già compiuto i 30 anni. Un dato rilevante, inoltre, riguarda l'età delle matricole: nel rapporto, infatti, si parla di un innalzamento dell'età di iscrizione all'università: in particolare, se il 56,6% di immatricolati hanno 19 anni, gli over 22 pesano per il 16,1%. Nell'anno 2000 i laureati e i diplomati sono stati oltre 158.000, con un incremento del 7,1% rispetto all'anno precedente. Coloro che invece hanno conseguito un diploma universitario si attestano a oltre 14.000, con un aumento del 38,9%. _______________________________________________________________________________ L’Espresso 11 nov. ’02 RIFORMA DELL'UNIVERSITÀ: SCACCO MATTO AI PROF Concorsi che non garantiscono un posto di lavoro. Incarichi a termine. E il rischio di pressioni politiche. È la riforma Moratti di Primo Di Nicola Fine del posto sicuro e della cattedra a vita. Per gli aspiranti professori che vorranno accedere agli atenei, mantenere l'incarico e progredire nella carriera, gli esami non finiranno mai. Dovranno rassegnarsi a convivere all'interno di un mondo accademico ridisegnato all'insegna di una nuova parola d'ordine: flessibilità. Il trattamento economico? Sarà sempre più legato alla produttività. L'autonomia intellettuale e di ricerca? Sempre più esposta ai rischi di condizionamenti esterni. È allarme rosso sulle ipotesi allo studio per la riforma dello stato giuridico dei professori. Il timore è che anche negli atenei si apra la strada dell'epurazione inaugurata dalla Casa delle Libertà con lo spoils system nei piani alti della dirigenza statale. Un'esagerazione? Di certo c'è che sul tavolo del ministro per l'Istruzione Letizia Moratti è pronto un disegno di legge che preannuncia un autentico terremoto nelle università. E che rischia di provocare una sollevazione sindacale nel mondo accademico. Il ministro ha fatto calare il silenzio sul documento, imponendo a tutti i suoi collaboratori la massima segretezza. Persino le commissioni parlamentari competenti, nonostante le richieste d'informazione ne ignorano il contenuto. "L'espresso" è riuscito a leggerlo ed è in grado di anticiparne i contenuti. Il disegno di legge, messo a punto dallo staff del ministro con il supporto di una titolata commissione di consulenti coordinati dal rettore del Politecnico di Milano Adriano De Maio, nella sua ultima versione è composto da cinque articoli, il primo dei quali contiene tutte le norme destinate a introdurre nelle università la rivoluzione morattiana. Innanzitutto, si decreta la fine del sistema di reclutamento basato sul ruolo, che attualmente garantisce la stabilità dell'incarico a tutto il corpo docente, ricercatori e professori, associati e ordinari che siano. Oggi, infatti, una volta vinto il concorso per l'accesso ai diversi gradi della carriera, la cattedra e l'inamovibilità sono assicurate. A questo assetto, che mette tutti al riparo dalle possibili pressioni, condizionamenti e ritorsioni della dirigenza universitaria e del mondo politico, è stata sempre attribuita una grande importanza dal corpo accademico, che in esso vede una garanzia per l'autonomia intellettuale e il libero esercizio della ricerca. Con la riforma ipotizzata, il sistema salta completamente. Innanzitutto alle cattedre si accede tramite un concorso nazionale: si metteranno in palio tanti posti quanti sono quelli richiesti dalle varie università aumentati del 20 per cento. Dov'è la stranezza? Nel fatto che anche se si vince il concorso non si ha il posto assicurato. Il suo superamento somiglia più che altro ad una specie di abilitazione all'insegnamento: le varie facoltà saranno infatti lasciate libere di chiamare o meno i vincitori del concorso. Se la chiamata non dovesse arrivare, questa abilitazione resterà valida per un certo numero di anni (tre o cinque, sul punto si discute ancora), poi perderà il suo valore. E a quel punto gli aspiranti professori che vorranno rimanere in corsa dovranno partecipare a un nuovo concorso. Se invece le facoltà decidessero di chiamare qualcuno degli "abilitati", il fortunato potrà certo gioire, ma non quanto si potrebbe pensare. La sua assunzione sarà infatti provvisoria, visto che le università faranno contratti a tempo determinato, rinnovabili fino a un massimo di sei, dieci anni. Dopodiché possono, se lo ritengono meritevole e all'altezza, assumere a tempo indeterminato il docente. Oppure, se non lo ritengono idoneo e capace, lasciarlo con un pugno di mosche in mano. Cosa farà a questo punto lo sfortunato prof? Dovrà uscire dall'università, cercando consolazione nei titoli preferenziali acquisiti per il lavoro svolto, e che lo Stato gli riconoscerà per insegnare nelle scuole medie superiori o inserirsi nel pubblico impiego. Una magra consolazione, cui si aggiunge un altro aspetto curioso. Sommando i periodi di provvisorietà del posto legati ai contratti a tempo determinato stipulabili dalle università per i diversi gradi di carriera e funzioni (ricercatori, professori associati, ordinari), si arriva a oltre 15 anni di precarietà, quasi la metà della vita professionale di un docente. Un'autentica via crucis. Di pari passo con la flessibilità dell'impiego, marciano i nuovi orari di insegnamento da svolgere e il nuovo sistema retributivo. Per quanto riguarda i primi, attualmente i docenti possono scegliere tra il tempo pieno (350 ore) e il tempo definito (250) che, ovviamente, hanno un trattamento economico differente. Con la riforma, viene introdotto il tempo definito per tutti. Quanto ai compensi, saranno imperniati su un doppio canale retributivo. Ci sarà una parte fissa, uguale per tutti e stabilita a livello nazionale. E una parte variabile legata alla "produttività" individuale, cioè ai corsi aggiuntivi che i docenti potranno fare a livello locale, accordandosi con le università di appartenenza. Con un'ulteriore innovazione: la libertà lasciata ai docenti di fare altro, consulenze e prestazioni professionali, fuori dagli atenei. Fine della rivoluzione? Macché. La riforma morattiana stabilisce anche un nuovo tetto per l'età pensionabile, fissato a 70 anni. E riconosce alle università il diritto di chiamare all'insegnamento professionisti e personalità esterne al mondo accademico, stipulando con loro contratti fino a sei anni. Inoltre sopprime un mito del nostro sistema universitario, quel Consiglio universitario nazionale (Cun) considerato dalla comunità scientifica un vero organo di autogoverno (è interamente composto da professori), visto che al suo vaglio i ministri hanno sempre dovuto sottoporre tutti i loro provvedimenti, istituzione di nuove università e cattedre comprese. Verrà rimpiazzato da un Consiglio scientifico nazionale (Csn) la cui sezione universitaria sarà, guarda caso, solo per metà composta da professori universitari. E il resto appannaggio di esperti di nomina ministeriale. Un altro escamotage per mettere la mordacchia all'autonomia dei professori? Dal fronte sindacale non hanno dubbi: «Se questi sono i progetti della Moratti, siamo di fronte ad un pesantissimo attacco», commenta Valerio Marco Broccati, segretario generale della Cgil università. Che ha da ridire praticamente su tutto: «Mi sembra evidente che si miri ad introdurre un modello di organizzazione privatistica che snaturerebbe la natura pubblica e la missione istituzionale dell'università. I contratti a tempo determinato», aggiunge, «introducono infatti una precarizzazione dei posti di lavoro inaccettabile: l'inamovibilità è sempre stata una garanzia per l'autonomia intellettuale dei professori. Abolendola, si creano le premesse per l'instaurazione di un pericoloso controllo delle attività accademiche da parte del potere politico. Davanti a questi pericoli», annuncia Broccati, «siamo pronti a chiamare alla mobilitazione tutto il mondo universitario». _______________________________________________________________________________ L’Unione Sarda 12 nov. ’02 GLI STUDENTI: «IMPEDIREMO LA RICANDIDATURA DI MISTRETTA» Scienze politiche dichiara guerra ai rincari. Assemblee a Lettere, Lingue e Filosofia Okkupazione contro il caro tasse Iniziano con un’occupazione “morbida” della facoltà. Poi punteranno al bersaglio grosso: l’occupazione del Rettorato, quando il senato accademico integrato si riunirà per decidere sulla terza, consecutiva candidatura di Pasquale Mistretta alla guida dell’Ateneo. Gli studenti di Scienze politiche protesteranno così contro il caro tasse stabilito all’unanimità dall’assemblea straordinaria convocata dal Comitato degli studenti antagonisti. «Inizieremo con l’occupazione simbolica della presidenza e dell’Aula Magna - attacca Gianluca Meloni, uno dei portavoce del comitato - simbolica perché non abbiamo intenzione di fare la guerra al preside e alla facoltà, che non sono responsabili di questa situazione, ma solo catalizzare l’attenzione di tutti i nostri colleghi e portarli a conoscenza delle nostre ragioni». Gli esami, le lezioni e le sessioni di laurea, quindi, sono garantiti. «Una volta ottenuta la maggiore adesione possibile, tra qualche giorno - spiega il comitato - indirizzeremo tutti i nostri sforzi nelle due giornate del 18 e 19 novembre, che saranno cruciali per la nostra battaglia». Lunedì 18, infatti, si riunisce il senato accademico integrato, chiamato a pronunciarsi sulla modifica dello statuto, per dare il via libera alla nuova candidatura di Mistretta. «E noi cercheremo di impedirlo - rivela Aurelio Cabiddu - occupando fisicamente tutto il Rettorato e bloccando i lavori. Il rettore è responsabile dell’aumento indiscriminato delle tasse e non può ricandidarsi come se nulla fosse». Il giorno dopo, invece, il Tar si riunirà in camera di consiglio per decidere sui cinque ricorsi presentati dagli studenti. «Purtroppo il presidente del collegio giudicante non ha ritenuto che ci fossero motivi di urgenza per ordinare una sospensiva del provvedimento prima della discussione nel merito - spiega Luca Belà, - sospensione che noi avevamo chiesto perché il 15 novembre scade il termine ultimo per il pagamento dei tributi. Comunque aspettiamo fiduciosi la sentenza del tribunale». Nel frattempo, la nuova ondata di proteste servirà, secondo il comitato, a influenzare positivamente l’opinione pubblica, e quindi, di riflesso, il tribunale stesso, sulla necessità di annullare gli aumenti. Ma l’obiettivo dichiarato rimane quello di alzare il livello dello scontro, senza aspettare la pronuncia del Tar. All’assemblea è intervenuto anche il preside della facoltà, Raffaele Paci, il quale, prendendo atto delle intenzioni degli studenti, rivela di essere favorevole all’aumento delle tasse, «perché non aumentavano dal 1994 e sono cresciute meno dell’inflazione». Invita poi i ragazzi ad essere prudenti, «negli uffici di presidenza ci sono molti documenti riservati», ma soprattutto ad indirizzare i loro strali «contro i tagli all’università per 450 milioni di euro contenuti nella Finanziaria». All’iniziativa di Scienze Politiche si susseguono in queste ore analoghe forme di protesta di altre facoltà: «In Lettere, Lingue e Psicologia gli studenti sono già in assemblea permanente», rivela William Sanna del collettivo integralista, «sono sicuro che aderiranno con entusiasmo alle nostre iniziative». La rivolta contro il caro tasse, insomma, è appena agli inizi. Mauro Caproni _______________________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 13 nov. ’02 NO AL TERZO MANDATO PER IL RETTORE Per la Cgil la proposta di modifica dello statuto deve essere bloccata CAGLIARI. Mistretta, sì alla terza candidatura consecutiva a rettore dell'università oppure no? Sull'argomento prende posizione il sindacato università e ricerca della Cgil con un comunicato dove viene ribadito innanzitutto il no ad una modifica dello Statuto, che consentirebbe appunto la ricandidatura di Mistretta. Ma si precisa anche come «inaccettabile» il superamento del limite dei due mandati triennali per tutte le cariche elettive negli organismi universitari. Una posizione chiarita in un comunicato nel quale il sindacato interviene in un dibattito che sta in questi giorni impegnando il Senato accademico: «Lo Snur esprime preoccupazione per l'interesse strumentale che questa vicenda sta suscitando all'esterno dell'ambiente universitario e soprattutto per la mancanza di un dibattito alla luce del sole nel mondo accademico. Tranne qualche parziale eccezione si registra infatti un confronto sotterraneo che si manifesta prevalentemente con messaggi cifrati o con silenzi imbarazzati e imbarazzanti». «Questioni come il ruolo e il peso dell'organizzazione dell'Ateneo dei dipartimenti, delle aree scientifico-disciplinati delle facoltà e caratterizzano la concezione del modello dell'università e di autonomia universitaria che si intende perseguire. In questo senso non sono più rinviabili scelte che portino ad un modello di governo dell'Ateneo e delle risorse, che implichino maggiore partecipazione e democrazia». E la Cgil arriva al punto dolente di tutta la questione, quello appunto in discussione in questi giorni: «Consideriamno inaccettabile la norma che prevede il superamento del limite dei due mandati triennali. Questa norma, oggetto di un confronto serrato in sede di prima elaborazione dello Statuto dell'università, è stata una delle vere novità introdotte sul versante della democratizzazione all'interno dell'università. È forse necessario ricordare che cosa ha significato, proprio sul piano della democrazia, ma anche del governo e dell'impostazione della ricerca scientifica e degli accessi, il superamento della figura del direttore di dipartimento a vita? Del preside di facoltà a vita? ma anche di consigliere d'amministrazione o del sanatore a vita? la modifica di questa norma statutaria rappresenterebbe una involuzione nel processo di democratizzazione e di modernizzazione dell'università e potrebbe aprire la strada ad altri pericolosi salti indietro». Conclude la Cgil: «È addirittura avvilente che una seria discussione su questo punto venga trasformata in un referendum pro o contro il rettore. È una impostazione fuorviante e strumentale, frutto di una logica che confonde i principi e le regole che presiedono al funzionamento delle istituzioni». _______________________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 nov. ’02 I DOCENTI DI SCIENZE POLITICHE BOCCIANO LA MODIFICA DELLO STATUTO CAGLIARI. L'assemblea dei docenti della facoltà di Scienze politiche ha detto no, con una votazione a scrutinio segreto, alla modifica dello statuto. Un voto questo che sembrerebbe chiudere le porte a una nuova candidatura di Pasquale Mistretta alla guida dell'ateneo. Intanto lunedì prossimo si riunirà il senato accademico integrato dell'università. All'ordine del giorno appunto lo statuto. La cui modifica dovrà essere votata dal senato integrato. Normalmente l'organo di governo dell'università è composto dai dieci presidi di facoltà, da sei rappresentanti dei docenti divisi per aree disciplinari, da tre studenti e da due tecnici. Il senato integrato, invece, porta a otto il numero degli studenti e a sette i tecnici, più cinque professori ordinari, altrettanti associati e cinque ricercatori (47 in tutto). Se approvata, la modifica dovrà andare al ministero della Pubblica istruzione per la ratifica (un atto formale che viene sempre dato). Solo dopo il rettore potrà emanare il decreto per il nuovo statuto. Il mandato del rettore in carica terminerà a novembre del 2003, ma sei mesi prima dovrà essere eletto il nuovo responsabile dell'ateneo. Il che significa che, a maggio, vi saranno le elezioni. Inutile dire che questo fine settimana sarà decisivo per le sorti di Pasquale Mistretta e per quelle dell'università. _______________________________________________________________________________ Corriere della Sera 14 nov. ’02 RICERCA: COME SI FRENA LA FUGA DEI CERVELLI? Borse di studio per aiutare laureati e studiosi che vogliono lavorare in Italia V anno all estero, quasi sempre negli Stati Uniti, a cercare opportunità che nel nostro Paese non trovano. E spesso non tornano più in patria. Così ogni anno si perdono altissime professionalità, grandi menti scientifiche che, seppur cresciute nei nostri atenei, qui hanno pochissime possibilità di riuscire a fare ricerca ad alto livello. Questa è la storia anche dell ultimo premio Nobel per la fisica, Roberto Giacconi, italiano per nascita e formazione, ma che da trent anni vive e lavora negli Stati Uniti. Della necessità di porre un freno a questa tendenza si parla da anni, ma è necessario creare delle opportunità nel nostro Paese affinché chi ha approfondito i propri studi possa trovare degli incentivi per ritornare in patria. Una strada percorribile potrebbe essere quella di fornire i mezzi economici affinché i ricercatori possano aprire qui dei loro laboratori per proseguire nei loro studi. E questo l obbiettivo che si pone la fondazione Armenise-Harvard a sostegno della ricerca e della comunicazione, che da due anni istituisce borse di studio per giovani ricercatori che vogliano tornare a lavorare in Italia. La borsa di studio "PhD Grants" due posti è destinata a giovani laureati in discipline scientifiche che vogliono ottenere il dottorato di ricerca presso il dipartimento di scienze mediche dell Università di Harvard a Boston. Il finanziamento, di 50 mila dollari annui, che copre un biennio, può essere esteso ad un altro anno subordinato al ritorno in Italia. Le due borse di studio "Career development" sono invece destinate a scienziati che risiedono all estero ma che vogliono ritornare in Italia e aprire un proprio laboratorio. Il finanziamento è cospicuo, 150 mila dollari annui per cinque anni, e deve servire a far fronte a tutti i costi, comprese le attrezzature e gli eventuali collaboratori. Infine sono disponibili altre due borse per dieci giorni di stage che si terranno presso il dipartimento di medicina di Harvard per giornalisti scientifici. Per conoscere scadenze e modalità di iscrizione, si può consultare il sito www.hms.harvard.edu/armenise o avere informazioni all indirizzo e-mail amason@harvard.edu o presso la fondazione Armenise al numero di telefono 055.603.251. Raffaella Camocini _______________________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 nov. ’02 L'INTERVENTO: "IL MAGNIFICO PRIVILEGIA I PIÙ RICCHI" Matteo Murgia Studenti antagonisti contro le tasse Ingegneria Dopo aver passato la mia 'prima notte' all'Università, a cinque anni dall'immatricolazione, sento l'esigenza di fare alcune riflessioni su quello che sta accadendo in questi giorni. Parto da una considerazione: diversamente da molti miei colleghi con i quali mi trovo ad affrontare la mia prima occupazione, non ero contrario ad un aumento delle tasse "a priori". Forse perchè sono uno dei più giovani che ancora credono nelle "trattative" o forse perchè appartengo agli studenti che il Magnifico si guarda bene dal toccare con le nuove tasse. E' anche vero però che l'arma in mano al Rettore quando afferma che, a differenza degli altri atenei, lui è dal '96 che non aumenta le tasse, è molto forte. Del resto sono sotto gli occhi di tutti i tagli del governo all'Università e alla ricerca. Non contesto quindi l'aumento ma i contenuti del nuovo regolamento tasse e le modalità con le quali è stato concepito. E' possibile che in sei anni di tempo per pensare il nuovo regolamento, questo venga partorito in quindici giorni ad iscrizioni già scadute? Se a questo aggiungiamo che non si è rispettato neppure lo statuto dell'Università, motivo principale del nostro ricorso al Tar, non si può certo affermare che la questione sia stata gestita bene. Ma questo è poco conto se poi si va ad analizzare il contenuto del regolamento che, se venisse applicato, metterebbe seriamente a repentaglio gli studi di migliaia di studenti sardi. Si può affermare che se uno studente indipendente ha un reddito equivalente di 46 mila euro è ricco? Credo di sì. Com'è povero lo studente indipendente che ha un reddito equivalente di 7 mila euro. Bene: il nuovo regolamento prevede che lo studente con 46 mila euro paghi 747 euro di tasse all'anno, 130 in più dell'anno scorso. Quello con 7 mila euro paga quest'anno 294 euro, 130 in più dello scorso anno. A questo punto il meccanismo s'inceppa: la progressività delle tasse in base al reddito è solo apparente, visto che l'aumento è uguale per tutti, ricchi e poveri. Credo che questo possa bastare per giudicare il regolamento completamente sbagliato, nella forma e nella sostanza. Provo a farmi un augurio da solo: in questi giorni ci si appresta a modificare lo statuto dell'Università per rendere il Rettore rieleggibile. Allora al Rettore consiglio questo: accetti la sfida di ritirare il regolamento delle tasse, con la promessa di avviare subito una discussione seria sullo stesso e affronti i prossimi tre anni da Rettore come se fossero primi, con la consapevolezza che i tempi che corrono non sono dei migliori e che tutti dobbiamo lavorare per salvare l'università sarda. Le servono i soldi? Prenda quelli che hanno offerto "populisticamente" alcuni consiglieri regionali. Sono d'accordo con le motivazioni con cui rifiuta quei soldi ma non li consideri un'elemosina alla nostra Università bensì un aiuto agli studenti che in questi gorni non s'icriveranno all'Università perchè i soldi non li hanno. Come giustamente diceva un collega in occasione della sua visita alla facoltà occupata di Scienze politiche, non può assumersi la responsabilità di impedire a migliaia di giovani sardi il sogno di una laurea per poter sperare in una vita migliore di quella di una fonderia nel Bresciano. Come non può scaricarci del peso, a noi che facciamo politica all'università, di non essere riusciti a consegnare nelle mani dei giovani che verranno un'università migliore di quella che le lotte dei nostri padri ci hanno dato in prestito. Un rettore "equo e solidale". E' senz'altro possibile. _______________________________________________________________________________ Corriere della Sera 12 nov. ’02 RICERCA E LIBERTA' Torno Armando L' inaugurazione di un anno accademico non è soltanto un' esigenza del calendario ma anche occasione per dar voce a idee emergenti. Ieri, alla Cattolica, una delle sette università milanesi, desiderosa di ridiventare un punto culturale di tendenza per la città e il Paese, queste idee si sono viste e presentate. Lorenzo Ornaghi, il nuovo rettore che succede a Sergio Zaninelli, e il cardinal Tettamanzi, che ha raccolto il testimone di Martini, sono stati i protagonisti. Due esperienze che hanno registrato i cambiamenti inevitabilmente recati dal tempo: forse nuovo secolo e nuovo millennio sono cominciati anche nei discorsi. Chissà dove andranno; per ora cogliamone uno spunto. Diremo che la protagonista della mattinata è stata la parola «ricerca». Una università cattolica ha con essa, almeno secondo il laico senso comune, un rapporto prudente. Come dire: si faccia ricerca sino a un certo punto. Tettamanzi, esperto di bioetica, ha indicato quel «limite» - termine che tanto ha fatto digrignare i denti ai vecchi positivisti - nell' uomo. Per il porporato, scienza e ricerca, «se vogliono essere fedeli alla propria identità e rispettose della propria dignità, devono aprirsi a quella "sapienza" che sa collocare la conoscenza scientifica al suo corretto livello, ossia al servizio dell' uomo e di ogni uomo». In questo senso, la «libertà della ricerca - che va affermata, garantita e favorita - si estende tanto quanto il rispetto per l' uomo». Ornaghi ha detto a chiare lettere quanto la f unzione degli atenei sia legata alla qualità della ricerca scientifica che sono in grado di promuovere. Senza di essa, aggiungiamo, si svuotano. Di più: ha notato come il modello di università fissato due secoli or sono dal pensatore tedesco von Humboldt sia in declino. Del resto, esso presupponeva che tutti i cambiamenti della società e del sapere restassero all' interno del sistema mentale europeo, che si rinnovava continuamente, ma era comunque il riferimento indiscutibile. Oggi questa posizione non è facile da sostenere. Basta guardarsi attorno. Le università devono «ridisegnare» la propria funzione sociale: per porre in atto un simile intento occorre un rinnovato ruolo «culturale». Lo sviluppo della ricerca è per gli atenei come l' ossigeno per i viventi; ogni sapere scientifico acquista valore positivo. L' Europa diventerà patrimonio storico, il mondo si trasforma in una realtà in cui nessun sapere può considerarsi acquisito. Lasciamo cadere aggettivi e formalità. Diremo soltanto che un rettore e un cardinale hanno parlato di ricerca, preoccupati di capire dove porta questo termine e cosa offrirà. Ornaghi sa che senza di essa non c' è futuro; Tettamanzi avverte che l' uomo sta diventando qualcosa di indefinito, proprio nei laboratori di genetica. Ha scritto Robert Musil ne L' uomo senza qualità: «Non è vero che il ricercatore insegue la verità, è la verità che insegue il ricercatore». Adesso è venuto il momento di aggiungere: è ancora valida questa frase? Qualunque sia la risposta, deve contenere la parola «ricerca». E, piaccia o no, va formulata con quell' altro termine terribile: verità. _______________________________________________________________________________ Corriere della Sera 11 nov. ’02 URBANI: UNIVERSITÀ E CULTURA, MILANO GUIDI L' ITALIA Il ministro: il Paese si governa da qui. Togliamo il vincolo su San Vittore, i lavori della Scala sono sotto controllo Panza Pierluigi Nel centenario della Bocconi, davanti al presidente della Repubblica giunto in via Sarfatti a inaugurare l' anno accademico, anche il ministro Giuliano Urbani è tornato professore bocconiano rimettendosi la toga. Pronto a tornare in cattedra? «Beh! S ono solo in aspettativa, e l' università mi manca. Nel ' 94, quando lasciai la Bocconi, stavo preparando un libro sui fondamenti della logica politica. Volevo analizzare le radici dell' idea di polis, cioè delle prime forme di governo, non cercandole solo in Atene, ma anche tra i semiti, gli egiziani...». Passiamo dalle radici alla cultura politica ambrosiana degli ultimi cent' anni. Milano ha fornito un contributo modesto all' Italia? «No. Ha fornito poco a livello di "Government"; ma è stata l a fucina nella formazione dell' idea di "Governance". Milano ha fornito poca classe politica, e solo di recente con Craxi e con Berlusconi; ma ha dato molto alla formazione di cosa significhi governare. Il governo di un Paese non è la somma degli uom ini politici! Governare significa sviluppare istituzioni, finanza, industria, sistema del sapere. E in questo, Milano è stata il traino dell' Italia». D' ora in poi la città fornirà anche uomini politici? «Non escludo uno sfondamento anche nel fornir e la nuova classe politica, ma considero, per ora, eccezionale il caso di Berlusconi, che è una risposta al gigantesco vuoto politico creatosi tra il 1992 e il 1994 per la crisi di una classe politica e partitica travolta da Tangentopoli. La sua è un a supplenza venuta dalla società civile». Cosa ha fatto e cosa può fare il sistema universitario per sviluppare a Milano una nuova classe politica? «Intanto continuando a sviluppare l' idea di "Governance". Inoltre, proprio a partire dal ' 93-' 94, l a politica ha addirittura già fatto da sanguisuga nei confronti di università come la Bocconi, strappando dalla cattedra alcuni docenti per proiettarli in ruoli istituzionali. Non penso a me, quanto a Mario Monti, Valerio Onida e altri. Questo aspett o è solo parzialmente apprezzabile; perché vuol dire che la classe politica non riesce a formarsi con i propri canali». Scusi, quali canali? Le scuole di partito? Così poi si muove l' accusa ai «politici di professione»? «Il canale partitico è partig iano, e va superato. Va bene scegliere protagonisti della società civile; ma ci vuole un cursus honorum. Ovvero, queste stesse persone devono aver già svolto anche un minimo di attività politica o istituzionale». Oltre ad essere fucina politica, qual e altro ruolo Milano si può ritagliare per continuare ad essere Moderna? «Come illustra l' esposizione "Il Mondo nuovo. Milano 1895-1915", in mostra a Palazzo Reale, Milano era moderna un secolo fa ma lo è tuttora. E' la città dove si parla di più in glese e francese, dove vengono i professionisti internazionali, dove si stanno sviluppando nuove infrastrutture e grandi progetti, come la Biblioteca Europea». Già, a che punto siamo con i finanziamenti? «Il governo sta finanziando il primo biennio. Con il promotore della Biblioteca, professor Antonio Padoa Schioppa, siamo andati ad Alessandria per studiare la nuova Biblioteca d' Egitto. Ora presenteremo a Berlusconi un progetto che guarda lontano, con richiesta di finanziamenti adeguati». Su qu ale aspetto punterebbe per la nuova modernità di Milano? «Sul sistema universitario della grande area metropolitana milanese. E' ben impostato, ma ha bisogno di altre spinte per creare una vera rete tra istituti. Va bene l' autonomia, ma ci si deve g iovare vicendevolmente. Le università lombarde hanno anche un ricco patrimonio nel campo della ricerca che va tutelato e sviluppato nel senso dell' interdisciplinarietà. Per ché oggi, le grandi scoperte, nascono proprio dall' incontro tra le varie di scipline». Qualche problema , Milano, ce l' ha per l' architettura. Prendiamo San Vittore e Brera... «Il vincolo architettonico sul carcere di San Vittore è assurdo e determinato solo dalla vetustà del complesso. Io sarei propenso ad allentarlo per s viluppare un progetto, magari di verde pubblico. Quanto alla Grande Brera, l' ampliamento che si farà con Palazzo Citterio non è sufficiente, perché scoppia anche l' Accademia. Bisogna trovare per l' Accademia nuovi spazi, liberandone così ulteriori per la pinacoteca». Arriveranno fondi per il restauro alla Scala, che sta suscitando polemiche? «Sono polemiche incomprensibili. La Soprintendenza sta controllando i lavori in cantiere. Non è voce di competenza del mio ministero stanziare fondi strao rdinari per il restauro. Dal Fondo unico dello spettacolo la Scala riceve circa 75 miliardi di vecchie lire all' anno e molti anche altri enti lirici. La musica lirica non è certo la Cenerentola per quanto concerne i soldi che passa il contribuente». Gino Agnese è stato nominato presidente della Quadriennale di Roma. A quando quello della Triennale di Milano? «Prima mi incontrerò, il 9 dicembre, con il sindaco. Poi il Consiglio lo nominerà. Io auspico che la Triennale continui nel segno tracciat o da Morello: quello di essere una vetrina e un centro di divulgazione del Disegno industriale». Pierluigi Panza «La Triennale andrà avanti nel segno di Morello: è la vetrina del Disegno industriale» _______________________________________________________________________________ Il sole24Ore 16 nov. ’02 POCA FORMAZIONE E SENZA STRATEGIE Alessandro Balistri MILANO - L'economia fa fatica ad andare avanti ma il passo di molti manager verso il nuovo non è più brillante. Il primo è un problema di congiuntura, legato a un periodo infelice del mercato internazionale. Il secondo sembra piuttosto un limite strutturale dei dirigenti italiani, che soffrono di carenza di formazione. Ne fanno poca, e le ore diminuiscono in parallelo alle dimensioni dell'azienda, e quella che fanno spesso non è mirata, nasce fuori da un piano coerente per la crescita di competenze e capacità. Colpa di tante imprese che non investono abbastanza e colpa di tanti manager che sembrano non avere molto a cuore la conoscenza del nuovo, lo sviluppo dei propri mezzi. Federmanager parla senza mezzi termini di «formazione scarsa e inadeguata, soprattutto nelle piccole e medie imprese». La preoccupazione è giustificata dai dati raccolti nell'indagine dell'associazione su 200 Pmi, ognuna con una squadra da 5 a 15 dirigenti. Nell'indagine che sarà presentata il mese prossimo a Milano i segnali di cambiamento sono pochissimi. Ogni dirigente fa in media circa 40 ore di formazione l'anno e il dato è solo in leggero aumento rispetto all'anno scorso. Meno dell'uno per cento del tempo è stato dedicato alla formazione e se si scorrono i dati sul 2001 si scopre che appena il 30% dei 1.900 dirigenti considerati nella ricerca ha partecipato a un corso. «La maggior parte delle aziende - spiegano in Federmanager - non adotta un piano formativo, si limita ad autorizzare scelte occasionali dei manager. Così la crescita professionale non è mirata e diventa inefficace». Nelle grandi imprese va meglio, ma non molto. Un'indagine condotta quest'anno dall'Isfol conferma che solo metà del campione si preoccupa di migliorare le capacità strategiche dei propri manager (51,2%) e che le società che realizzano iniziative sulla leadership sono meno di sei su dieci. I corsi riguardano soprattutto le competenze informatiche (86,2%) e tecniche (70,4%), oppure le lingue straniere (69,2%). «La carenza di formazione è impressionante a tutti i livelli», dice Guido Di Stefano, senior advisor di Kpmg consultant. «Tra gli executive praticamente non esiste. La maggior parte riduce l'autoformazione a convegni esclusivi, dove la cosa più importante è esserci». La presunzione di sapere già abbastanza è diffusa anche tra i manager: «In molti - sostiene Di Stefano - considerano l'essere dirigenti come un punto d'arrivo e non di partenza verso altri traguardi. La formazione è trascurata in tante aziende, soprattutto banche, assicurazioni ed enti pubblici». Il problema è che anche il cammino verso la dirigenza va avanti senza la bussola dei corsi e le risorse si disperdono. «Per i quadri, i giovani in carriera, il più delle volte la formazione è a pioggia, poco attenta alle necessità, dai reali fabbisogni dell'azienda e il ritorno sui lavoratori è bassissimo»: secondo Di Stefano. L'altra cosa da correggere è la competenza sull'argomento. Kpmg consulting ha realizzato una ricerca su 200 aziende con 1.500 sedi in Italia e all'estero e 30mila dipendenti. L'obiettivo era conoscere a fondo la funzione risorse umane: quasi sempre negli uffici del personale l'attenzione è più sugli aspetti amministrativi che sulla crescita dei dipendenti. L'investimento sulla formazione previsto per i prossimi due anni è di 20mila euro per i manager. I risultati sarebbero migliori con un punto di vista, e di gestione, diverso. «L'area della formazione - spiega Di Stefano - non dovrebbe essere collocata nel personale, ma in un triangolo che comprenda la business strategy e l'efficienza organizzativa: così gli investimenti sarebbero più mirati allo sviluppo dell'azienda e della persona». Vista da fuori, da chi i manager deve cercarli in giro per conto delle aziende, la formazione non è adeguata. «La situazione è sicuramente migliorata - dice Leonardo Zaccheo, amministratore delegato di Tmp worldwide, specializzato in executive search - ma il ricorso a questo strumento rimane poco strategico. Ci sono corsi che servono solo a rafforzarsi dentro l'azienda e sono poco utili all'esterno, nella competizione. Le grandi società curano in maniera soddisfacente questo aspetto ma nelle Pmi i programmi di accrescimento raramente hanno un respiro internazionale, adeguato alle sfide. Alla fine delle lezioni si porta a casa poco». E quando si trova a dover scegliere un manager quello che conta è l'esperienza. «Per un giovane - dice - i corsi sono importanti come base e per dimostrare la volontà di crescere. Ma nei curricula infarciti di formazione spesso ci sono corsi scollegati tra loro, incoerenti: questo è un dato negativo nella selezione». La Sda Bocconi organizza un migliaio di corsi l'anno. Il direttore Elio Borgonovi vede entrare nelle aule tre tipi di allievi: «C'è chi segue un piano di formazione dell'azienda o comunque un percorso coerente. Altri vengono quando il tema è di attualità, in generale o per l'azienda. Poi, ci sono i riempitivi: per qualcuno il corso è una gratificazione e talvolta una moda, l'importante è esserci». Le aree critiche sono ancora una volta le piccole e medie imprese, «troppo concentrate sui risultati a breve per apprezzare l'utilità di strumenti he dimostrano la loro efficacia in periodi più lunghi». Al master Pmi gli allievi sono 30-35 contro i 60-70 degli Mba. __________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 nov. '02 LE IMPRESE PROTAGONISTE NELLA CULTURA NAPOLI - Due esempi di imprese che investono in cultura? La toscana Teseco, società di ingegneria ambientale che dedica uno spazio del proprio impianto a opere di arte moderna e la Erg che ristruttura a Genova il teatro Carlo Felice. Una tendenza in accelerazione in Italia soprattutto tra le piccole e medie imprese, che in molti casi non si limitano alla sola sponsorizzazione, ma preferiscono fare i progetti e seguirli nella loro attuazione. Proprio per promuovere ulteriormente gli interessi culturali delle imprese, Confindustria ha dato il via alla «Settimana della cultura d'impresa» che si svolgerà da sabato prossimo al 25 novembre in diverse città italiane. Prima tappa: sabato a Napoli, con un forum sulla defiscalizzazione dell'investimento culturale e con la consegna del premio «Impresa e cultura» - curato dalla società milanese Bondardo Comunicazione - che verrà assegnato all'azienda che avrà realizzato i progetti migliori per creatività e continuità dell'investimento (si vedano le pagine 8 e 9 dell'inserto di oggi sui «Beni culturali»). «Confindustria promuove nel Paese la cultura della competitività, della concorrenza e dell'equità. Lo fa attraverso le grandi battaglie di interesse generale - spiega il direttore della comunicazione di viale dell'Astronomia, Alfonso Dell'Erario - come quella contro l'economia sommersa, sostenuta dal presidente Antonio D'Amato, in contrasto con una corrente culturale che negli anni passati giustificava il fenomeno. Lo fa con le grandi manifestazioni di questi giorni come Orientagiovani, o la Giornata nazionale della ricerca prevista per il prossimo 27 novembre a cui parteciperanno il presidente della Repubblica e il premio Nobel per la fisica, Riccardo Giacconi». E aggiunge: «La novità di quest'anno è la partecipazione più significativa del Sud alla promozione della cultura». Che le imprese meridionali siano più attive negli investimenti di carattere culturale è provato anche dalla partecipazione, più consistente degli anni scorsi, al Premio «Impresa e cultura». Su 120 partecipanti da tutta Italia (+ 50% rispetto alla edizione 2001), una decina sono arrivati dalla Campania. Tre imprese - Ge.Vi, Alessandro Fiorentino collection e Strega Alberti - sono nella rosa delle 19 finaliste e una di esse si è aggiudicata uno dei premi in palio. Mentre la Anm (azienda di trasporto locale) ha offerto l'allestimento di un museo itinerante, applicando cinque opere di giovani artisti contemporanei sugli autobus in servizio. Del resto, proprio quest'anno, la Regione Campania si è aggiunta ai promotori storici (Confindustria, De Agostini, Rizzoli Arte & Cultura, Il Sole-24 Ore, ministero delle Attività produttive, Ice) e ha messo in palio un proprio premio speciale per la migliore azienda debuttante in campo culturale e sociale. Come conferma l'Osservatorio impresa e cultura, nato da una costola del premio, le imprese italiane stanno scoprendo il sociale, nel senso che creano progetti di sviluppo utili al territorio. Ciò assicura numerosi vantaggi: rende l'impresa visibile e la differenzia dai suoi competitor, crea lavoro. Vera Viola _______________________________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 nov. ’02 ALLE ELEMENTARI A 5 ANNI E MEZZO PROMOSSI O BOCCIATI OGNI BIENNIO La scelta dell' istruzione secondaria sara' tra licei e formazione professionale Benedetti Giulio ROMA - Si potrà andare alle elementari a cinque anni e mezzo. A quattordici anni si dovrà scegliere tra i licei e il «settore dell' istruzione e della formazione professionale», che godrà di pari dignità. E' assicurato a tutti il diritto all' istruzi one e alla formazione per almeno 12 anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età. Viene introdotta la possibilità dell' alternanza scuola-lavoro dopo i quindici anni. Vengono aboliti i concorsi per il rec lutamento e l' abilitazione dei docenti. La laurea specialistica diventa obbligatoria per chi vuole insegnare. Sono i pilastri della riforma della scuola del ministro Moratti approvata ieri in prima lettura dal Senato. SCUOLA DELL' INFANZIA - E' il n uovo nome della materna. Di durata triennale, concorre all' educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio e sociale dei bambini. Alla «scuola dell' infanzia» potranno iscriversi anche i bambini che compiono i tre anni entro il 30 aprile dell' an no scolastico di riferimento. SCUOLA PRIMARIA - Le elementari cambiano nome. Ma durano cinque anni come oggi. Si potranno iscrivere facoltativamente alla prima classe anche i bambini che compiono i sei anni entro il 30 aprile successivo. A sei anni l ' iscrizione è obbligatoria. Nella prima classe verrà introdotto lo studio di una lingua straniera tra quelle europee e l' uso del computer. Viene abolito l' esame di quinta. SCUOLA MEDIA - Dura sempre tre anni. Verrà introdotto lo studio di una seco nda lingua europea e verrà approfondito l' uso di tecnologie informatiche. Nell' ultimo anno è prevista un' attività di orientamento per la scelta del percorso successivo: il sistema dei licei e il sistema dell' istruzione e della formazione professi onale. Il primo ciclo si chiude con un esame di stato. LICEI - Durano cinque anni. I ragazzi potranno scegliere tra otto indirizzi: artistico, classico, delle scienze umane, economico, linguistico, coreutico-musicale, scientifico e tecnologico. Sarà articolato in due bienni più un quinto anno di approfondimento disciplinare e di orientamento agli studi superiori. Si chiude con un esame di stato il cui superamento rappresenta titolo necessario per l' accesso all' università. ISTRUZIONE E FORMAZIO NE PROFESSIONALE - Sono previsti quattro anni di frequenza degli istituti professionali. A partire dai quindici anni di età si potrà continuare alternando periodi di frequenza a periodi di stage lavorativi. Ci sarà anche un quinto anno facoltativo pe r accedere all' università. I ragazzi potranno passare dal sistema dei licei a quello della formazione professionale e viceversa. FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI - Per insegnare è necessaria una laurea specialistica con prevalente carattere disciplinare. E' una novità: la competenza disciplinare prevale sugli aspetti più professionali (didattica, pedagogia ecc.) L' accesso alle facoltà è programmato sulla base dei posti effettivamente disponibili in ogni regione. La laurea è abilitante: ai fini dell ' accesso ai ruoli, si prevedono periodi di tirocinio con contratti di formazione lavoro. VALUTAZIONI - Vengono introdotti, ai fini della valutazione, dei periodi didattici, i bienni. Si è promossi o respinti ogni due anni. La qualità dell' offerta f ormativa delle scuole e dei livelli di apprendimento dei ragazzi verrà controllata periodicamente e sistematicamente dall' Istituto nazionale di valutazione. G. Ben. =========================================================== _______________________________________________________________________________ L’Unione Sarda 12 nov. ’02 OSPEDALI, SCIOPERANO GLI SPECIALIZZANDI Chiedono stipendi dignitosi e una tutela più ampia Scoppia la protesta dei medici che seguono i corsi di specializzazione nell’Ateneo. L’assemblea nel Policlinico universitario di Monserrato ha dato il via a uno sciopero a oltranza, decretato anche a livello nazionale. Negli ospedali si potranno quindi verificare disagi, proprio per la mancanza del personale specializzando. «Garantiremo il servizio minimo e gli interventi più urgenti”, spiegano Massimiliano Muntoni, Francesco Pisano e Dorino Arnone, referenti Amsce (Associazione medici specializzandi comunità europea), «ma siamo stufi di lavorare sottopagati e senza essere tutelati». I laureati in Medicina e Chirurgia devono necessariamente frequentare i corsi di specializzazione, per poter poi svolgere la professione: «L’iscrizione costa 600 euro all’anno», evidenzia Muntoni, «cui si aggiungono i 400 per l’Enpam e i 140 per l’Ordine dei medici. Noi guadagniamo circa 900 euro al mese e non abbiamo tutela contrattuale». Esiste una normativa, in vigore in tutta Europa e non applicata in Italia, che riconosce i medici specializzandi come lavoratori, con tutti i diritti: «Nel nostro Paese siamo considerati alla stregua di studenti». Oltre che il Policlinico universitario, anche gli altri ospedali cagliaritani subiranno disagi: i medici specializzandi sono presenti infatti in diversi reparti dei nosocomi “Brotzu”, “San Giovanni di Dio” e “SS. Trinità”. (m. v.) _______________________________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 nov. ’02 «IL GOVERNO TROVI I SOLDI PER I CONTRATTI DEI MEDICI SPECIALIZZANDI» La protesta dei giovani medici, iscritti alle scuole di specializzazione delle Università sarde, approderà in Consiglio regionale. Luca Deiana (Gruppo misto) ha presentato un ordine del giorno firmato da altri 17 consiglieri di maggioranza e opposizione, con cui si sollecitano iniziative concrete a favore degli «specializzandi». Il documento denuncia come la proposta di legge Finanziaria, presentata per il 2003 dal Governo, non ha previsto le somme per dare corso ai contratti annuali di formazione-lavoro per i medici iscritti alle scuole di specializzazione in medicina e chirurgia, previsti dal decreto legislativo 368/99. La Corte di giustizia della Comunità, con una sentenza del 25 febbraio 1999, ha sancito, intanto, il «diritto dello specializzando a una somma di denaro a titolo di retribuzione del lavoro subordinato svolto nei centri ospedalieri o universitari». L’attuazione del decreto legislativo conferirebbe uno status giuridico-professionale più definito al medico iscritto a una scuola di specializzazione, perché sarebbero riconosciute «al lavoratore» garanzie formative, previdenziali, di malattia, di titoli, di carriera, e sarebbero specificati meglio i diritti e le responsabilità del medico in formazione, impegnato in attività assistenziali nel servizio sanitario nazionale. La proposta di Finanziaria, inoltre, inibisce - scrivono ancora i consiglieri regionali nell’ordine del giorno - l’aggiornamento al tasso programmato di inflazione della borsa di studio, nonostante il comma 1 dell’articolo 6 del decreto legislativo 257/91 preveda il suo continuo aggiornamento, impedendo così l’esercizio professionale al di fuori dei centri universitari od ospedalieri e creando una sorta di «medico posteggiato», con una indennità di circa 800 euro al mese. La Giunta regionale, conclude il documento, deve chiedere immediatamente al Governo: la rapida e completa applicazione del decreto legislativo 368/99, per tutti i medici in formazione specialistica attualmente in corso; la definizione di un contratto di lavoro di tipo subordinato, nel quale siano chiaramente specificati gli obiettivi didattico- formativi che dovranno essere raggiunti in itinere; un trattamento economico adeguato, non inferiore a quanto stabilito per il livello contributivo inferiore dell’accordo collettivo nazionale dell’area medica, con corrispondente tutela dei contributi a fini previdenziali; l’estensione dei benefici contributivi ed il riconoscimento dei titoli di carriera contemplati per tutti i medici. _______________________________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 nov. ’02 TALASSEMIA, IL CENTRO A CAGLIARI "Il centro di riferimento internazionale per la cura e la prevenzione della talassemia deve essere realizzato a Cagliari". Lo chiedono in un’interpellanza al presidente della Regione Mauro Pili e all’assessore regionale alla Sanità Giorgio Oppi i consiglieri socialisti Peppino Balia, Raimondo Ibba e Pierangelo Masia. Gli esponenti del centrosinistra segnalano la decisione del ministro della Sanità di affidare alle Marche l’istituzione del centro nonostante la Sardegna sia la regione più colpita dal fenomeno. "Nell’Isola", ricordano Balia, Ibba e Masia, "vi sono 1.300 talassemici e 200 mila portatori sani" e chiedono pertanto "quali siano le circostanze che finora non hanno permesso di porre in essere le azioni necessarie per impedire che il centro venga ubicato fuori dalla Sardegna". I consiglieri socialisti sollecitano inoltre "provvedimenti urgenti" perche l’ospedale regionale per le microcitemie venga riproposto quale sede del centro internazionale di ricerca e cura della talassemia". Da qui l’interpellanza per la realizzazione del centro nel capoluogo, già sul tavolo del presidente della Regione e dell’assessore alla Sanità. _______________________________________________________________________________ Corriere della Sera 13 nov. ’02 «SE LA FINANZIARIA NON CAMBIA SI TORNA AI TICKET» La Regione: costretti a provvedimenti drastici per la sanità. La Margherita: dal governo solo promesse Soglio Elisabetta «Se il Senato non modificherà la legge Finanziaria, dovremo prendere provvedimenti, anche drastici». L' assessore regionale alla Sanità, Carlo Borsani, legge e rilegge i bilanci dei più importanti ospedali milanesi. Poi controlla i passaggi della Finanziaria che più lo riguardano. Infine ammette: «Se il Senato non modificherà la Finanziaria, potremmo essere costretti a tornare ai ticket». Il problema della sanità milanese è noto: dal Fatebenefratelli al Niguarda, la nostra sanità è in rosso. Ci sono, ad esempio per il Niguarda, i 169 miliardi di vecchie lire di perdita calcolati nel bilancio 2001 e i 60 degli Icp-Mangiagalli. E perde 70 milioni di euro l' Istituto dei Tumori, anche se in questo caso non devono essere coperti dalla Regione, poiché si tratta di istituto a carattere scientifico. Borsani insiste: «Non vogliamo fermare la riqualificazione della sanità lombarda e milanese in particolare. Ma anche risparmiare non basta più, visto che lo stiamo facendo e che sono stati elimina ti gli sprechi: i bilanci continuano a non quadrare». Ecco, dunque, l' idea del ticket. Il ministro della Sanità, Girolamo Sirchia, non interviene nel merito: «La situazione è difficile ovunque. Noi continuiamo a fare economia, e cercheremo di intervenire evitando tagli e riduzioni». Già. Ma era stato lo stesso Sirchia ad accusare, in diverse passate occasioni: «È stato un errore togliere il ticket del pronto soccorso». Il presidente della Regione, Roberto Formigoni, a margine dell' assemblea organizzata dall' Unione delle Province, ha intanto affrontato la questione della Finanziaria: «C' è un impegno del governo ad approntare una serie di trasformazioni a questo documento, concordate con le stesse Regioni». Formigoni ha aggiunto che le Re gioni hanno definito con il governo le modifiche da apportare alla Finanziaria e, alla luce di questo lavoro, «ci saranno emendamenti al Senato». Una promessa sufficiente per dirsi soddisfatti? Il Governatore puntualizza: «Ho detto che stiamo lavoran do, non che siamo soddisfatti. La Finanziaria è un lungo iter che si conclude il 31 dicembre. Contiamo per allora di aver cambiato quelle parti che non condividiamo». I colloqui Milano-Roma riprenderanno in settimana ed è previsto un appuntamento specifico con il ministro Tremonti, a proposito di leggi Bassanini: «Andremo a calcolare insieme le risorse che mancano al trasferimento. Poi attendiamo risposte e il ministro sa bene che deve dirci o sì o no. Noi lavoreremo affinché sia sì». Di Finanzi aria si è discusso ieri anche a Palazzo Marino. Durante la riunione di giunta, gli assessori hanno cercato di chiarire le conseguenze che potrà avere il trasferimento annunciato di 24 milioni di euro, utili per ridurre gli indebitamenti sui mutui. Il timore, piuttosto, è che il maxi emendamento venga bocciato durante il passaggio della Finanziaria al Senato, dal momento che il contributo ha scatenato polemiche soprattutto a Roma e all' interno stesso della Casa delle Libertà. Gli onorevoli milanesi di Forza Italia hanno rimpallato il problema al vicesindaco Riccardo De Corato, che è anche senatore di An: «Tocca a te fare in modo che il nostro risultato non venga scippato in seconda battuta». I parlamentari del centrosinistra, invece, continuano a mettere in dubbio l' esito della battaglia condotta dai colleghi della Casa delle Libertà: «Ci sono molte chiacchiere, molte promesse e pochi soldi», insiste Lino Duilio, della Margherita. Il problema è che è 192 milioni di euro promessi dal premier Silvio Berlusconi per interventi di vario genere su Passante, metropolitane e Biblioteca europea non sono compresi all' interno della Finanziaria. O meglio: per quanto riguarda le infrastrutture, come spiega l' onorevole Maurizio Lupi, bisogna attendere l' aggiornamento della legge obiettivo, previsto per giugno. A quel punto scopriremo se, effettivamente, i milioni di euro promessi a Milano saranno citati esplicitamente: «Ma non avremo sorprese negative», assicura Lupi (responsabile del settore Lavori Pubblici per il suo partito) contestando le «affrettate conclusioni del centrosinistra». Per quanto invece riguarda il contributo straordinario per la Scala, si tratta in realtà di un allegato della Finanziaria: la tabella in questione definisce un generico contributo per interventi su strutture culturali. Una volta approvata la Finanziaria, si stabilirà voce per voce come ripartire questi fondi. Soddisfatto l' onorevole Luigi Casero, parlamentare milanese e responsabile nazionale dell' Economia per Forza Italia: «Il nostro è un grande risultato, soprattutto perché abbiamo fatto passare il concetto che Milano è la capitale economica e che quei soldi stanziati servono in realtà per trascinare il Paese». Quello, appunto, che ai romani proprio non va giù. Elisabetta Soglio I CONTI E LE PROTESTE LA MANOVRA La Finanziaria 2003 è stata approvata dalla Camera. Ora la manovra deve passare al Senato, dove si prevedono altre modifiche LA REGIONE Il Governatore Roberto Formigoni di ce che esiste un impegno del governo «ad apportare modifiche concordate con le Regioni» IL COMUNE A Palazzo Marino si teme che venga bloccato il trasferimento di 24 milioni di euro utili per ridurre l' indebitamento dei mutui I PROGETTI I finanziamenti servono a Milano per alcuni interventi urgenti: i lavori alla Scala, le nuove linee metropolitane e la Biblioteca europea 24 milioni di euro è il contributo che Milano ha ottenuto in conto interessi: la cifra servirà a pagare gli oneri finanziari per i mutui che il Comune accenderà. Resta ancora da capire se sono previsti finanziamenti per il Teatro alla Scala. 258 milioni di euro sono destinati a Roma. Lo dice il deputato leghista Giancarlo Pagliarini: «Sono 155 milioni per la legge sulla capitale e 103 sulla Finanziaria dell' anno scorso». La dotazione di Roma è sempre più corposa di quella milanese. _______________________________________________________________________________ Corriere della Sera 12 nov. ’02 «IL 4% DEI RIANIMATORI PRATICA L' INIEZIONE LETALE» Indagine in 20 ospedali di Milano sull' eutanasia attiva e passiva: l' 80% dei medici ammette di aver «staccato la spina» Le risposte anonime a un questionario della Cattolica: in realtà si ritiene che almeno 10 camici bianchi su cento abbiano somministrato la «dolce morte» a pazienti senza speranza De Bac Margherita ROMA - È una decisione dolorosa, maturata lentamente. Prendere una siringa, riempirla di un farmaco letale e inocularlo in un paziente senza più speranza, che ha solo qualche altro scampolo di vita di fronte a sé. Il codice deontologico dei camici bianchi lo proibisce. Ma quasi 4 medici italiani su 100 violano il divieto. Eutanasia attiva, la chiamano. E sono molto più numerosi i colleghi che ammettono di aver praticato quella definita impropriamente passiva: accelerare la morte di un loro malato sospendendo le cure, staccando la spina del respiratore. Lo fa l' 80% del campione. Sorprendenti i risultati di un' indagine svolta nei venti centri di terapia intensiva milanesi sul comportamento dei rianimatori, chiamati ad assistere persone in condizioni estremamente critiche, ma non in coma vegetativo persistente. È la prima del genere nel nostro Paese, una delle più approfondite a livello europeo. Verrà pubblicata su riviste internazionali di anestesiologia. Secondo i ricercatori del Cent ro di bioetica dell' università Cattolica di Milano, che l' hanno portata avanti in due anni di scrupoloso lavoro, i dati che ne scaturiscono possono essere allargati al resto d' Italia. COMPORTAMENTO - Lo studio è stato coordinato dal professor Adriano Pessina, responsabile del Centro, e verrà presentato venerdì in un convegno del Sibce (Società per la bioetica e i comitati etici) da Alberto Giannini, rianimatore degli Istituti clinici di perfezionamento a Milano. «Complessivamente si può concludere che i medici hanno un buon comportamento anche se dovrebbero essere più informati - rilevano i ricercatori -. L' eutanasia, in ogni sua forma, non è ammessa dal codice deontologico, ma loro scelgono in scienza e coscienza, quando la vita del paziente volge al termine e mai sulla base di valutazioni economiche, ad esempio la necessità di liberare un posto in un reparto. Spesso non consultano neppure i familiari ritenendo, credo a ragione, che non sempre si possa essere certi di avere a che fare con persone al di sopra di interessi personali». Il progetto della ricerca è nato dall' esigenza di dare una definizione numerica a un problema che è sempre più spesso spunto di riflessioni bioetiche. A 259 rianimatori, operatori di prima linea, che curano persone la cui sopravvivenza è affidata alle macchine, è stato sottoposto un particolareggiato questionario, oltre 100 domande, molto tecnico. Ha risposto l' 87%. ATTIVA - Il 3,6% dei medici ha dichiarato di aver somministrato volontariamente farmaci letali (eutanasia attiva), contro il 96,4% che nega di averlo mai fatto. Ma alla domanda se giudicano accettabile questa iniziativa, sono stati il 15,8% ad aver risposto di sì. Gli esperti di statistica fanno notare la stranezza di una forbice così larga tra il primo e il secondo gruppo. Nella realtà, presumono, quelli che somministrano con veleno la dolce morte (e non lo confessano neppure attraverso un questionario anonimo) sono molti di più, almeno il 10%. A esprimersi positivamente sull' eutanasia procurata con dosi letali sono soprattutto i giovani. La maggioranza dei favorevoli si professano «non credenti», oppure credenti non praticanti. PASSIVA - Il 19,3% del campione nega di aver mai attuato la sospensione delle cure ( ad esempio staccare il respiratore, interrompere l' erogazione dell' ossigeno). Il 38,6% riconosce di averlo fatto almeno in un' occasione, il 42% «più spesso». In nessun caso questo «atto medico» viene riportato sulla cartella clinica per il timore di essere denunciati dai parenti e finire in tribunale. L' eutanasia passiva è attuata anche in assenza del consenso del paziente, che poteva aver fatto intendere al medico le sue volontà prima che le sue condizioni si aggravassero e perdesse la coscienza. Il 21,3% afferma di aver tenuto conto di questa sorta di tacito testamento biologico «qualche volta», appena il 9,2% «spesso o sempre». Quasi il 50% di coloro che hanno staccato la spina ha preferito non coinvolgere nella decisione i familiari , neppure quelli più stretti. Una nota deludente riguarda infine il basso livello di informazione dei medici. In pochi conoscono le linee guida europee sulla sospensione delle cure e l' accanimento terapeutico. Margherita De Bac mdebac@corriere.it LA DOLCE MORTE CHE COS' E' L' eutanasia è la «dolce morte». Con eutanasia attiva si intende la somministrazione volontaria di farmaci letali; per eutanasia passiva si intende invece la sospensione delle cure necessarie per tenere in vita una persona, a d esempio staccare il respiratore sospendendo l' ossigeno LA RICERCA Il 3,6% dei medici ha dichiarato di aver somministrato farmaci letali, il 15,8% giudica «accettabile» questo comportamento. Il 38,6% dice di aver attuato la sospensione delle cure almeno una volta, il 42% «più spesso». Lo dice una ricerca dell' Università Cattolica di Milano che ha intervistato 259 rianimatori IN ITALIA L' eutanasia è illegale. L' accusa, per chi la pratica, è quella di omicidio. Nell' aprile scorso, però, un u omo che aveva spento il respiratore alla moglie in coma irreversibile è stato assolto. In Parlamento sono depositate due proposte di legge. Il codice deontologico dei medici la vieta IN EUROPA L' Olanda è stato il primo Paese a legalizzare, lo scorso aprile, l' eutanasia, rispettando la volontà dell' individuo di mettere fine alla sofferenza causata da una malattia irreversible. A maggio anche il Belgio ha seguito l' Olanda. In Svezia, invece, l' assistenza al suicidio è un «delitto non punibile » LA «DOLCE MORTE» _______________________________________________________________________________ Corriere della Sera 13 nov. ’02 L' ORDINE DEI MEDICI: L' EUTANASIA È OMICIDIO Indagini dopo la ricerca sulla diffusione dell' «iniezione letale». La Procura: «Problema etico delicatissimo»; L' Università Cattolica: «Non riveleremo i nomi» I rianimatori: «Non ci riconosciamo nello studio» De Bac Margherita ROMA - Il presidente dei medici italiani, Giuseppe Del Barone, chiede «immediatamente» un' indagine dell' Ordine di Milano: «Chi fa il medico non può essere un assassino»; il presidente dell' Ordine di Milano, Roberto Anzalone, replica che «in assenza di una denuncia precisa non può intervenire»; il ministro della Salute, Girolamo Sirchia, arriva a ipotizzare un intervento della magistratura. Ipotesi questa sulla quale frena il procuratore della Repubblica di Milano, Gerardo D' Ambrosio. E' aspra la polemica sulla ricerca scientifica della Cattolica di Milano sull' eutanasia, pubblicata ieri dal Corriere. Poco meno di 4 medici su 100 (3,6) delle rianimazioni di Milano hanno ammesso su un questionario anonimo di somministrare ai pazienti farmaci letali. Eutanasia attiva. L' 80% ha praticato almeno una volta la «sospensione delle cure»: ha staccato la spina (eutanasia passiva). La categoria dei medici reagisce con sdegno, negando che comportamenti mirati ad anticipare la morte dei malati in condizioni irrecuperabili siano così diffusi: «Non siamo così». L' INCHIESTA - Per il procuratore della Repubblica di Milano, Gerardo D' Ambrosio, si tratta di «un problema etico delicatissimo, per procedere abbiamo bisogno di elementi precisi. S e non c' è il sospetto di un omicidio doloso o colposo non possiamo muoverci. Dovremmo disporre l' autopsia su tutte le persone dichiarate morte per cause naturali». La Cattolica aspetta: «Procedano pure, ma l' anonimato è rigoroso. Non sarà possibile risalire ai nomi». La ricerca (non un sondaggio) è la prima in Italia, progettata dai bioetici della Cattolica coordinati da Adriano Pessina per offrire al dibattito il supporto scientifico che mancava. IL QUESTIONARIO - Ai 257 rianimatori delle 20 unità di terapia intensiva di Milano è stato sottoposto un questionario particolareggiato, oltre 70 domande: ha risposto l' 87%. Il 3,6% ha dichiarato di aver somministrato farmaci letali (contro il 96,4%). Atto giudicato accettabile dal 15,8%. Anco ra. Il 38,6% riconosce di aver sospeso le cure almeno una volta, il 42 più spesso e nel 50% dei casi senza chiedere ai parenti. Pessina spiega: «Se si tiene conto dell' insieme delle domande e delle risposte esce fuori la figura del medico attento a evitare sia l' accanimento terapeutico, sia l' abbandono terapeutico. Non si parla di eutanasia passiva. Il 96,4%, la maggioranza, non ha mai usato farmaci letali. Quindi non si può concludere che l' eutanasia sia una pratica comune». I MEDICI - E' u n coro di «non ci riconosciamo in questo studio». I rianimatori- anestesisti del sindacato Aaroi, a nome del segretario Vincenzo Carpino: «Non conosco colleghi che hanno fatto cose simili, i dati mi lasciano perplesso». La Siaarti, società di anestesia, analgesia, esprime sconcerto: «Riteniamo inappropriato parlare di eutanasia passiva quando si tratta di situazioni in cui si decide di porre limite alle cure, perché non diventino accanimento terapeutico», dice Davide Mazzon. Per il presidente del l' associazione medici cattolici Domenico Di Virgilio l' eutanasia è «una sconfitta per l' uomo, la medicina, la società». L' unico che non si stupisce è Antonio Tomassini (FI), ginecologo, presidente della Commissione sanità del Senato: «Il 4% è una percentuale che corrisponde alla media degli italiani d' accordo con questa pratica. Ci dovevamo aspettare un numero maggiore». Secondo Giorgio Coveri, presidente dell' associazione Exit, pro eutanasia, in Italia i medici che dispensano la «dolce morte» sono di più, il 20-25%: «Un atto di pietà, che mette fine a un dolore inutile». M. D. B. Le leggi in Europa In Italia l' eutanasia è illegale e assimilata dal codice penale al reato di omicidio Il codice deontologico dei medici la vieta In Parla mento sono depositate due proposte di legge OLANDA E' stato il primo Paese a legalizzare l' eutanasia. La legge è in vigore da aprile. La volontà del paziente di mettere fine alla vita per la sofferenza causata da una malattia incurabile è un atto le gale. La scelta può essere fatta a partire dai 16 anni di età BELGIO Il 16 maggio anche il Belgio, dopo l' Olanda, ha approvato una legge sulla «dolce morte» e sulle cure palliative. Il medico deve assicurarsi che il paziente sia maggiorenne e capace di intendere. La richiesta deve essere scritta SVEZIA La Svezia ha definito l' assistenza al suicidio praticata da un medico un «delitto non punibile». In alcuni casi estremi il medico può spegnere le macchine che aiutano a respirare e tengono in vita il paziente GERMANIA La strada è stata aperta da un tribunale di Francoforte nel 1998: l' eutanasia può essere autorizzata per le persone in coma irreversibile solo se corrisponde alla volontà del paziente. Deve essere approvata da un tribunale tutore GRAN BRETAGNA L' eutanasia è illegale. Solo una volta l' Alta Corte l' ha autorizzata: a Miss B, 43 anni, venne staccato il respiratore. L' autorizzazione venne invece negata a Diane Pretty, prima dall' Alta Corte di Londra e poi dalla Corte di Strasburgo HANNO DETTO Adriano Pessina Docente di bioetica La nostra indagine dimostra che i medici italiani sono assai meno interventisti dei colleghi degli altri Paesi europei. Servivano dati scientifici su cui riflettere Vincenzo Carpino Aaroi Non sono a conoscenza di colleghi che hanno fatto cose simili e i risultati di Milano mi lasciano perplesso. Noi siamo a favore della vita e non intendiamo fare azioni al di fuori della legge Davide Mazzon Siaarti È inappropriato parlare di eutanasia passiva in riferimento alle molte situazioni in cui si decide di porre dei limiti alle cure, affinché non sconfinino in un indebito accanimento terapeutico Domenico Di Virgilio Medici cattolici L' eutanasia è una sconfitta per l' uomo, per la medicina e per la società. La vita umana è un valore assoluto, inviolabile e nessuno ne può causare la soppressione volontaria e diretta _______________________________________________________________________________ L’Unione Sarda 13 nov. ’02 GLI USA APPLAUDONO IL SERT Il prestigioso riconoscimento per la cura delle dipendenze a un italiano dopo 20 anni Il premio “Dole” a uno psichiatra cagliaritano Erano i primi anni Ottanta quando il premio Dole piovve in Italia la volta scorsa. Toccò allo psichiatra Icro Maremmani volare negli Usa ed emozionarsi, davanti agli accademici e ai politici yankee, per il riconoscimento più prestigioso per chi si sporca le mani curando la tossicodipendenza. Nello stesso periodo, nell’avamposto del Cmas di Cagliari, il dottor Pierpaolo Pani iniziava a fare la sua parte, tra lavoro sul campo e pubblicazioni scientifiche. Ed evidentemente l’ha fatta bene, visto che vent’anni dopo, la prossima primavera, sarà lui a farsi la Cagliari-Washington, ritirare il Dole, presumibilmente emozionarsi («Spero di no, cercherò di non fare tanta scena»), dedicarlo ai suoi colleghi e alla scuola di neuroscienze di Gianluigi Gessa, ringraziare e tornare al Sert. A curare l’unica malattia che non ha una specializzazione tutta per sé. Anche se fa parte del nostro panorama sanitario ormai da decenni. Pani lo sa meglio di chiunque altro: l’ha vista crescere, mettere radici, trasformarsi. Ha assistito alla fase ideologica della dipendenza, quando gli oppiacei erano uno strumento di critica totale alla società. Poi è arrivato l’Aids, la tossicodipendenza si è tolta di dosso i panni freak, è rimasta nuda e sempre più ingombrante. E ha iniziato a trasformarsi, ad annidarsi in sostanze diverse, meno scandalose dell’eroina ma più difficili da individuare e combattere. «Prendiamo la cocaina» analizza lo psichiatra, chiamando all’appello le dipendenze di oggi: «Il nostro svantaggio nella cura del cocainomane è che non abbiamo a disposizione un farmaco paragonabile al metadone, che nel caso degli oppiacei è utilissimo». Col metadone si guarisce dall’eroina? «No: col metadone, o meglio anche col metadone, la tossicodipendenza si può curare. Ma guarire è diverso». Un po’ poco. «Non sono d’accordo. Facciamo l’esempio dell’ipertensione, che è una malattia piuttosto diffusa: se dò a un iperteso i farmaci che gli consentono di tenere la situazione sotto controllo lo sto curando, non lo sto guarendo. E questo viene accettato senza problemi, visto che l’obiettivo di far stare bene il paziente viene raggiunto. Con la nicotina si capisce meglio, visto che è una forma di dipendenza esattamente come un’altra. Se continuo a sognare di accendere una sigaretta dopo il caffè, o dopo cena, non posso dire di essere guarito. Però intanto non fumo, il cuore funziona meglio, i polmoni anche. Non mi sembra un vantaggio trascurabile». Vogliamo mettere tabacco ed eroina sullo stesso piano? «Ma quando parlo di dipendenza non dò nessun connotato morale al termine, è un vocabolo tecnico. Poi ci sono dipendenze più o meno accettate socialmente, ma sempre di dipendenze parliamo. C’è quella dall’alcol come quella dalla cocaina, ma c’è anche la dipendenza dal cibo, o dal sesso». Il Sert di domani sarà affollato da bulimici ed erotomani? «Può darsi, di certo oggi abbiamo a che fare con la cocaina decisamente più che in passato, ma senza l’arma di un farmaco come il metadone, uno strumento determinante per chi si occupa di tossicodipendenze, “firmato” proprio da Robert Dole e dalla Nyswonder, i ricercatori che danno il nome al premio». Viene male immaginare uno yuppie col vizio della sniffata che va al Sert. «E infatti non ci va. Questo è un paradosso col quale dobbiamo fare i conti: chi viene da una fascia sociale più debole può essere più esposto ai pericoli della dipendenza, ma ha anche meno remore a rivolgersi a noi. Un professionista, al contrario, avrà sempre ritegno ad andare al Sert, avrà timore che qualche conoscente lo veda entrare e che questo gli faccia perdere prestigio». Che cosa occorrerebbe? Ambulatori con ingressi riservati, o magari più ambulatori? «Non credo che servano più Sert, in Italia ne abbiamo un numero superiore rispetto alla Francia o agli Usa. Bisogna investire sulla ricerca, sugli insegnamenti universitari, creare corsi post laurea e scuole di specializzazione. Curare la tossicodipendeza è possibile, e ai cinici possiamo dire che è anche conveniente: un tossicodipendente abbandonato a se stesso, tra procedimenti giudiziari e reati contro la proprietà, costa alla società circa 150 euro al giorno. Un paziente ne costa 20». Celestino Tabasso _______________________________________________________________________________ Repubblica 14 nov. ’02 SCIENZA E COMPUTER, BINOMIO VINCENTE di AGNESE ANANASSO Medicina e tecnologia: due scienze che non corrono più su binari paralleli ma s’incontrano formando un binomio inscindibile nel campo della prevenzione e dell'health care. Scienziati che si scambiano i risultati via web, sofisticati computer per la visione tridimensionale degli organi con le tecniche radiologiche più avanzate ed esami non invasivi, telecamere grandi come una capocchia di spillo che esplorano ogni recondito angolo del corpo, tecniche di microchirurgia che evitano dolorose ferite: grazie alle tecnologie informatiche sono stati compiuti enormi passi avanti raggiungendo livelli di precisione e immediatezza di risultati impensabili. Per non parlare della ricerca vera e propria: i progressi nella mappatura dei geni hanno fatto affermare ad Umberto Veronesi, proprio la settimana scorsa, che a questo punto il cancro ha gli anni contati come killer infallibile. Uno degli esami più efficaci per scongiurare l'insorgere e il crescere dei tumori è la biopsia ad ago: il medico preleva delle cellule dall'organo interessato con un ago inserito in profondità. Il pericolo è di pungere gli organi vicini o dover aggiustare la traiettoria durante il test, provocando dolori al paziente: per ovviare a questi inconvenienti, l'equipe di Dan Stoianovici, direttore del laboratorio URobotics della Johns Hopkins University di Baltimora, ha messo a punto un prototipo di robot che è più preciso e infallibile di un uomo, se non altro perché non gli trema la mano. Collegato a un dispositivo per la risonanza magnetica, ha un margine d’errore di non più di un decimo di millimetro. Il robot, per ovviare ai problemi di campo magnetico creati dalla stessa risonanza, è costruito in ceramica, plastica e rame. A guidare il posizionamento del braccio e il percorso dell'ago nel corpo è un potente computer, che riceve gli input dai dati e dalle immagini della risonanza in tempo reale. Il procedimento può essere applicato anche per la somministrazione degli anestetici per via spinale: il medico manovra l'ago con un joystick collegato al pc. Altro esempio. Con l'aiuto del computer e della realtà virtuale, un team medico della Virtual Surg di Strasburgo ha progettato un sistema per ovviare agli errori in chirurgia: sullo schermo del computer si crea un clone tridimensionale del corpo del paziente. Con lo scanner bastano 15 minuti, il tempo utile per individuare gli organi vitali, studiarne i volumi e copiarli. Poi si simula l'intervento, con la possibilità naturalmente di correggere le mosse sbagliate. La versione definitiva è registrata e inviata ad un robotchirurgo che agisce sul vero paziente. E se il soggetto da operare si trova all'altro capo del mondo? E’ possibile intervenire anche a 7000 chilometri di distanza. Non è fantascienza: nel settembre 2001 un'equipe di New York ha operato di colicisti una donna di Strasburgo utilizzando le braccia di un robot che reggeva gli strumenti chirurgici e un minuscolo laparoscopio con microtelecamera per esplorare l'interno della paziente. Il robot era teleguidato con un sistema di fibre ottiche di collegamento tra console e braccio e agiva per via endoscopica. La situazione era sotto controllo grazie alla microtelecamera interna. L'unica difficoltà poteva essere lo scarto di qualche millesimo di secondo tra l'input e l'esecuzione, ma è stato risolto con la velocità di collegamento della rete. La tecnologia è applicata anche nell'impianto di strumenti medici all'interno del corpo come i pacemaker: contengono dei sensori che adeguano il ritmo cardiaco all'attività del paziente. In futuro non lontano effettueranno checkup completi di cuore e polmoni scaricando i dati raccolti su Internet così da permettere al medico di seguire il malato a distanza. Già negli Stati Uniti è stato sperimentato un chip che, impiantato sotto la cute del braccio, consente di comunicare ai servizi sanitari il quadro clinico. I dati sono scaricati in un database con un computer apposito. Gli studi in telemedicina hanno portato la Sorin Lifewatch a mettere a punto un piccolo dispositivo senza fili che registra l'elettrocardiogramma e lo trasmette via telefono al computer della centrale operativa. Per avere una diagnosi completa e immediata basta avvicinare il dispositivo wireless al cuore, attendere che sia completata la registrazione del battito, accostare lo strumento alla cornetta del telefono e trasmettere i dati al call center della società, la cui equipe di cardiologi effettua l'analisi immediata. I costi sono alti ma ammortizzabili: un medico che usa il computer e il web per seguire i pazienti a distanza, come succede alla Stanford University o alla Clinica universitaria di Innsbruck, risparmia tempo e può lavorare su più pazienti, un ospedale integrato dove le informazioni sui farmaci arrivano via web e si invia direttamente la prescrizione alla farmacia garantisce un servizio senza errori né sprechi. Affidandosi ai computer si riduce l'errore umano nella somministrazione dei farmaci, nelle diagnosi, negli esami, riducendo il numero dei malati e di conseguenza i costi della sanità. _______________________________________________________________________________ Repubblica 14 nov. ’02 L’INGEGNERIA DEI TESSUTI AL SERVIZIO DELLE ARTICOLAZIONI Contro l’artrosi l’impianto autologo di cartilagine: l’esperienza dell’ospedale universitario di Varese DI PAOLO CHERUBINO * L’ingegneria tissutale ha lo scopo di ricostruire tessuti attraverso l’impiego di supporti biologici (scaffolds), che favoriscono la proliferazione delle cellule e la loro integrazione nell’organismo: in ortopedia trova oggi la sua principale indicazione nelle lesioni della cartilagine articolare, la cui riparazione può prevenire l’evoluzione verso l’artrosi. L’entusiasmo per queste terapie innovative ha indotto una loro applicazione talora convulsa, basata più sull’empirismo che su dati scientificamente provati. Durante il congresso internazionale "La cartilagine: dalle molecole all’ingegneria tissutale", che si è tenuto di recente a Varese, è stato realizzato per la prima volta in Italia ed in Europa un confronto multidisciplinare tra biochimici, biologi molecolari, anatomici ed ortopedici al fine di chiarire le basi scientifiche di queste procedure. Sono stati trattati anche altri aspetti di enorme importanza, quali l’impatto economico che le tecniche di riparazione della cartilagine hanno sulla comunità e la legislazione che regolamenta l’ingegneria tissutale in Italia e in Europa, incluso il controllo di qualità dei laboratori dove le colture cellulari vengono effettuate. L’Italia, attraverso i suoi organismi istituzionali (Istituto superiore di sanità e ministero della Salute), ha già tracciato i percorsi normativi per operare in linea con la regolamentazione internazionale in tema di terapia cellulare, sulla falsariga di quanto già in vigore negli Stati Uniti ad opera della Fda. Per tale motivo le normative europee (in vigore anche in Italia) ed extraeuropee in tema di Gmp (Good Manufacturing Practice) e Glp (Good Laboratory Practice) assumono il valore di un imprescindibile requisito prima che l’ortopedico decida di effettuare in un suo paziente un impianto di condrociti. Da alcuni anni nel nostro ospedale effettuiamo interventi di riparazione della cartilagine mediante impianto MACI(r). Prima di intraprendere tale tecnica ci siamo documentati su quanto si stava facendo in Europa e negli Stati Uniti. Era il 1999. A quel tempo la tecnica più avanzata sotto il profilo chirurgico, meno invasiva per il paziente ed in grado di offrire la massima garanzia di qualità poiché le cellule venivano moltiplicate in un laboratorio "Gmp approved" era proprio MACI(r) (Matrix Autologous Chondrocyte Implantation). Abbiamo anche condotto ricerche autonome, in collaborazione con i dipartimenti di Biochimica e Morfologia umana dell’Università dell’Insubria per verificare direttamente la qualità del prodotto. MACI(r) era ed è l’unica procedura di impianto autologo di condrociti che utilizzi una biomembrana di collagene riassorbibile e sia interamente autologa poiché impiega il siero dello stesso soggetto per moltiplicare le cellule. È internazionalmente accettata, ed al recente congresso di Toronto un’intera sessione è stata ad essa dedicata con grande successo. Noi abbiamo già trattato circa 40 pazienti che stiamo seguendo assiduamente: ad oggi, stanno tutti bene. Abbiamo operato anche pazienti con lesioni cartilaginee alla caviglia ed in casi selezionati abbiamo effettuato l’impianto al ginocchio artroscopicamente. I risultati anche in questi casi sono ottimi. La riparazione della cartilagine, tessuto sprovvisto di proprietà rigeneratrici intrinseche per l’assenza di vasi, mediante MACI(r) costituisce un sicuro traguardo terapeutico. Il followup clinico ed i reperti istologici eseguiti a differenti intervalli di tempo dall’impianto dimostrano infatti la ricostituzione di vera cartilagine ialina, paragonabile a quella delle zone sane dell’ articolazione. * Preside Fac. Medicina e Chirurgia, Università dell’Insubria, Varese _______________________________________________________________________________ Le Scienze 12 nov. ’02 TESTOSTERONE E DECADIMENTO NEURONALE Identificato un possibile fattore biologico che potrebbe essere usato per rallentare il declino della memoria che spesso si registra con l'avanzare degli anni Gli uomini anziani con elevati livelli di testosterone nel sangue hanno una migliore memoria visiva e verbale e possono svolgere meglio compiti spaziali. Questa scoperta è stata fatta presso il National Institute on Aging ed ha identificato un possibile fattore biologico che un giorno potrebbe essere usato per rallentare o impedire il declino della memoria che spesso si registra con l'avanzare degli anni. "Sebbene non possiamo stabilire fermamente una relazione causale senza ulteriori studi la scoperta suggerisce che ci potrebbe essere una modulazione ormonale delle capacità cognitive man mano che la gente invecchia," - ha spiegato Susan Resnick, che ha partecipato alla ricerca. "Chiaramente, avere livelli più alti di testosterone libero è associato con una riduzione del rischio di certi tipi di perdita di memoria." Resnick e i suoi colleghi hanno studiato i livelli di testosterone di 407 uomini oltre i 50 anni. I ricercatori hanno correlato i livelli di testosterone libero e totale misurati per dieci anni, mentre i partecipanti allo studio si sottoponevano a test della memoria e di altre funzioni. Nel corpo il testosterone tende a legarsi con l'ormone sessuale gobulina legante, ma in parte rimane circolante nel sangue. A differenza della forma legata, il testosterone libero può circolare nel cervello e influenzare i neuroni. I dati hanno mostrato che fino al 68 per cento degli uomini oltre i 70 anni hanno bassi livelli di testosterone. Ma, mentre una terapia a base di questo ormone e disponibile, non è consigliabile alla maggior parte degli uomini perché vari effetti collaterali non sono ancora stati chiariti. Alcuni studi mostrano per esempio che il testosterone potrebbe aumentare il rischio di tumori alla prostata. Inoltre, altri studi mostrano che stimola la produzione di un numero eccessivo di globuli rossi, addensando il sangue e contribuendo al rischio di ictus. _______________________________________________________________________________ Repubblica 14 nov. ’02 NEL "PAVIMENTO" DEL CUORE IL SEGRETO CONTRO L’INFARTO Nuovi test basati sulle cellule interne dell’organo I risultati delle ultime ricerche presentate e discusse al recente congresso di Napoli Napoli «All’endotelio, finora considerato una semplice parete interna dei vasi, è stato riconosciuto il ruolo di organo vero e proprio. Inoltre può essere utilizzato come una spia per l’infarto e altre malattie cardiovascolari». Ad annunciarlo è Mario Condorelli, ordinario di Clinica Medica nell’Università Federico II di Napoli e presidente del congresso "Current concepts in myocardial ischemia and vascular diseases" che si è svolto sotto l’egida dell’Ateneo Federico II e della Fondazione Menarini. Questo indicatore potrebbe essere la strada futura per tenere sotto controllo le persone a rischio, intervenire prima del danno e programmare la giusta terapia per prevenire l’attacco. «L’endotelio è lo strato più interno che riveste le arterie», spiega Claudio Napoli, adjunct associate professor presso la university of California di San Diego e segretario del convegno, «Ma gli ultimi studi hanno rivelato che ha anche la funzione di modificare la reattività vascolare seguendo le indicazioni fornite da mediatori specifici come l’ossido nitrico, le prostaglandine (generati dalle cellule endoteliali) e alcuni elementi del sangue ad attività proinfiammatoria. Questi mediatori, quando intervengono in quantità sufficiente, hanno una potente azione vasodilatatrice, ma se c’è un danno aterosclerotico o un’infiammazione della parete fatta appunto di endotelio, gli effetti benefici sono ridotti». Una riduzione della funzione che si traduce in maggior rischio di infarto miocardico, di ictus ischemico e di arteriopatie degli arti inferiori. «Lo sviluppo della ricerca», conclude Napoli, «ha un obiettivo preciso: utilizzare farmaci, come il betabloccante dato nell’ipertensione o il nebivololo che stimola la produzione di ossido nitrico, per ottenere un secondo effetto terapeutico. Per modulare positivamente il tono dell’endotelio e ottenere un’adeguata vasodilatazione. Recentemente si è scoperto che tra i composti capaci di aumentare il rilascio di ossido nitrico c’è l’aminoacido Larginina: somministrato ad alte dosi, tra i 6 e i 12 grammi, migliora la funzione endoteliale». Battuta d’arresto invece per l’impiego delle cellule staminali nell’insufficienza miocardica. Anrew Marks, docente del Center for Molecular Cardiology della Columbia University di New York, da anni si dedica al settore: «A tutt’oggi la sperimentazione è sull’animale. La maggiore difficoltà sta nel riuscire a trasformare una cellula miocardica: non basta l’aspetto, è indispensabile che riesca a svolgere la funzione di macchina contrattile cardiaca». E la terapia genica? «Anche in questo campo ci vorranno almeno altri due anni», chiarisce Marks, «l’identificazione del genoma umano consente oggi di individuare facilmente le cardiopatie su base genetica. Ma rappresentano circa il 5 per cento. Per ora la genetherapy resta in laboratorio». (giuseppe del bello) ___________________________________________________________________________ La Stampa 13 nov. ’02 CHIRURGIA DEI DENTI SINERGIA TRA LA MEDICINA E L´INGEGNERIA BIOMECCANICA Un fulgido sorriso al titanio RIVOLUZIONARI PROGRESSI PER LE PROTESI DENTALI CON L´IMPLANTOLOGIA MULTITIPO ELETTROSALDATA RECENTEMENTE si è svolto a Torino il VII Congresso dell'Associazione Studi Implantari su Aghi (ASIA: una associazione culturale che riunisce numerosi gruppi di studio a cui partecipano chirurghi che praticano la implantologia orale). L'impianto ad ago è stato scelto come simbolo di tecnica estrema volta a superare barriere anatomiche che renderebbero impossibile una riabilitazione implanto-protesica. Si tratta di una metodologia che ha stretti collegamenti con la tecnica applicata da Gavrili Ilizarov in ortopedia. La giornata aveva presentato due sezioni distinte. La prima aveva come tema l' «Implantologia Multitipo Elettrosaldata» in tutti i risvolti clinici e sperimentali. La seconda era incentrata su una tavola rotonda multidisciplinare riguardante un excursus storico e critico dell'invasività chirirgica, con la partecipazione del prof. Angelo Actis-Dato per la cardiochirurgia, del dr. Piero Negro per l'oculistica, del dr. Brogliatti per l'ortopedia e di chi scrive per l'implantologia orale. I relatori hanno evidenziato l'enorme progresso di tutte le tecniche che negli ultimi anni sono diventate sempre meno invasive, pur garantendo grazie al progresso tecnologico risultati ancora migliori. Interventi che fino a dieci anni fa richiedevano anestesia generale, lunghi ricoveri con disagio per i pazienti, oggi possono essere praticati in regime di day-surgery senza interferire con la normale vita di relazione. Nella sezione dedicata alla implantologia orale, quindici oratori hanno presentato molti casi risolti con la metodologia dell´Implantologia Multitipo Elettrosaldata. Questa tecnica, che ha una lunga storia clinica (più di trenta anni), ha le radici nella applicazione endorale di un particolare metodo di saldatura del titanio usato per la costruzione degli elementi implantari. Grazie agli studi del prof. Pier Luigi Mondani di Genova è stato possibile mettere a punto una saldatrice che, attraverso un impulso di corrente ad altissimo voltaggio per un tempo brevissimo, permette l'interdigitazione dei prismi del titanio, che risultano così solidarizzati dal processo definito sincristallizazione. L'unione dei vari impianti attraverso barre di collegamento consente così di distribuire le forze a cui sono sottoposti durante la masticazione in modo molto armonico. La metodologia tende a ricreare la funzione dell'apparato dentario senza vincoli di forma ad imitazione dell'organo come è in natura. Parimenti si comporta un rene artificiale, un cuore artificiale. Del resto in una riabilitazione coesistono tre sistemi meccanici che interagiscono tra di loro: il sistema protesico, quello costituito dalla struttura ossea del paziente ed il sistema implantare che in posizione intermedia trasmette le forze all´osso che a sua volta risponde con caratteristiche meccaniche proprie. Le ultime ricerche effettuate con il Dipartimento di Biomeccanica del Politecnico di Torino sotto la direzione dell´ing. Cristina Bignardi, sono state estremamente illuminanti per capire come si comporta una struttura così concepita e realizzata. In questo studio è stato possibile analizzare la distribuzione delle forze e della risposta tensionale dell'osso. Il metodo di calcolo degli elementi finiti è stato particolarmente mirato sulla sezione di passaggio dell'impianto all'interno dell'osso ricevente. Infatti è questo il distretto anatomico in cui si manifestano i primi segni di alterazione costituiti da un allargamento conoide della struttura pericervicale. Tale modificazione porta ad un aumento del braccio di leva che amplifica negli anni il fenomeno, causa alla lunga della perdita dell'impianto. La solidarizzazione dei vari elementi con barre elettrosaldate intraoralmente ha dimostrato clinicamente l'assenza di tale fenomeno, data la differente trasmissione delle forze e una corrispondente diminuzione delle tensioni ossee con risposta istologica positiva, ovvero senza riassorbimento conoide. La struttura così ottenuta può essere paragonata al cemento armato: in essa il sistema implantare si comporta come le gabbie in ferro inglobato nel cemento, che nel nostro caso è rappresentato dall'osso del paziente. Questa metodologia dal punto di vista meccanico si dimostra molto valida nel mediare i tre differenti moduli elastici che interagiscono fra di loro. Quindi nell'ambito della progettazione preoperatoria si rende necessario tener conto di questi diversi comportamenti irrigidendo e rendendo più flessibile il sistema a seconda dell'elasticità dell'osso, la quale dipende dalla forma, dalla mineralizzazione, ecc. Data la molteplicità delle forme implantari, è possibile eseguire gli interventi adattandosi alle condizioni anatomiche di base senza ricorrere a metodologie che aumentino il distretto da trattare. Questo fatto associato alla non necessità di incisioni mucose, diminuisce notevolmente il trauma per il paziente. Possiamo paragonarlo alla moderna chirurgia a cielo chiuso. Inoltre la stabilità primaria del complesso implantare così ottenuto permette un recupero immediato della funzione masticatoria, consentendo subito la applicazione di protesi provvisorie fisse, che sono funzionanti in modo assolutamente sovrapponibile a quelle definitive, realizzate secondo i tempi tecnici nel periodo immediatamente successivo. Come appare evidente, la metodica presenta molti lati positivi resi possibili dall'utilizzo da parte di operatori particolarmente esperti e con una solida preparazione chirurgica. Le Università di Chieti e Bari, a questo scopo, hanno inserito nei loro programmi di Chirurgia Orale un corso propedeutico per chirurghi implantologi. [TSCOPY](*)www.glorenzon.it Giorgio Lorenzon ___________________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 nov. ’02 REUMATISMI: IL 34% DEI SARDI NE SOFFRE Oggi a Nuoro la parola agli esperti NUORO. In Italia, le malattie reumatiche colpiscono oltre 5 milioni di persone e rappresentano la seconda causa di malattia e di invalidità dopo le malattie cardio-circolatorie, con costi di circa 10 miliardi di euro annui prevalentemente a carico del sistema previdenziale. Di questo si parlerà oggi (inizio 9,30) nell' Auditorio della biblioteca Satta in un convegno dell' Associazione sarda malati reumatici (Asmar) che ha per tema "Liberi dalle malattie reumatiche. E' solo un sogno?". Fino ad oggi - come ha ricordato Ivo Picciau, presidente dell' Asmar - non è stato eseguito alcuno studio epidemiologico sulle malattie reumatiche in Sardegna, ma dai dati, questa risulta essere la regione italiana con il più alto numero di malati reumatici: 34,3%, circa 500.000 persone.