PARERI CONTRASTANTI NELLE UNIVERSITÀ SARDE SULLA RIFORMA MORATTI PER LA MORATTI LA SCUOLA ITALIANA VA MOLTO MALE E SI RIVOLGE ALL?OPPOSIZIONE NON FATE GIROTONDI INTORNO AL CNR RICERCA, IL CNR COMMISSARIATO DAL MINISTRO MORATTI UNA NORMA AVVILISCE LE UNIVERSITÀ MIGLIORI RIVOLTA DEI RICERCATORI: "TUTTI ALL’ESTERO" FISICA DELLA MATERIA, QUELL’ISTITUTO VA CANCELLATO CREDITI CHE DISCREDITANO LA RIFORMA UNIVERSITARIA «FERMIAMO LE LAUREE BREVI PERCHÉ HANNO PERSO VALORE» RICERCA, AZIENDE IN FUGA NEGLI ATENEI INCARICHI A TEMPO LAUREA LUNGA O BREVE, SCELTA DOPO IL PRIMO ANNO ANCHE L’ITALIA AVRÀ LE SUE OPEN UNIVERSITY SARDEGNA: LE SCUOLE SUPERIORI PEGGIORI D'ITALIA L´ISTRUZIONE INGLESE DOPO LA CURA THATCHER: UN DISASTRO =========================================================== POLICLINICO SOLUZIONE PROVVISORIA PER SALVARE I 78 LAVORATORI INTERINALI AZIENDA MISTA: IL POSSIBILE “MATRIMONIO” TRA OSPEDALE E UNIVERSITÀ AZIENDE MISTE. OSPEDALIERI: ECCO LE CONDIZIONI AZIENDA MISTA: OSPEDALIERI IN ALLARME: RAPPORTO IMPARI CON L'UNIVERSITÀ? AZIENDA MISTA? NO, IL FUTURO È IL POLO OSPEDALIERO» NON VOGLIAMO FINIRE SCHIAVI DEGLI UNIVERSITARI» REGIONE: IL BILANCIO È FERMO, LA SANITÀ CROLLA SASSARI: LA PROVINCIA ALLEATA DEI MEDICI SPECIALIZZANDI "AL MICROCITEMICO LA SCUOLA DELLE TALASSEMIE" GOZZO ENDEMICO, MALATTIA SOCIALE UNA SPERANZA PER IL DIABETE BROTZU, IL MICROBIOLOGO PADRE DELLE CEFALOSPORINE =========================================================== ______________________________________________________ L’Unione Sarda 26 Gen.03 PARERI CONTRASTANTI NELLE UNIVERSITÀ SARDE SULLA RIFORMA MORATTI Basta con le cattedre a vita, ma sarà vera rivoluzione? Mistretta: «Bisognerebbe applicarla seriamente» Gianni Loy: «Potrebbe restare tutto come prima» Addio cattedre a vita, tempi duri per i (futuri) baroni. Li ha promessi Letizia Moratti, ministro della Pubblica istruzione, sempre in bilico tra rivoluzione e dimissioni. Ogni volta che annuncia mutamenti radicali nella scuola, il collega Tremonti chiude i cordoni della borsa. Stavolta però, potrebbe andarle meglio. Davanti alla Crui (Conferenza dei rettori) ha illustrato un nuovo sistema di reclutamento dei docenti universitari. Primo gradino della carriera, la presentazione di titoli e lavori scientifici a una commissione. Se il giudizio è positivo, si entra in una lista di “idonei” dalla quale le università sceglieranno i prof cui attribuire gli incarichi. Non a vita, per tre anni, rinnovabili una sola volta. Al termine dei sei anni, il bivio: contratto a tempo indeterminato o licenziamento. Ipotesi oggi neppure immaginabile. La selezione dovrebbe avvenire ogni due anni, con distinti concorsi: uno per i professori associati, l’altro per gli ordinari. Il reclutamento dei docenti è uno degli aspetti più importanti (insieme al trasferimento dei finanziamenti statali) della futura riforma universitaria cui, da oltre un anno, lavora la commissione governativa presieduta dal rettore della Luiss, De Maio. «Sparirà la distinzione tra tempo pieno e parziale - spiega il rettore dell’università di Cagliari Pasquale Mistretta - tutti i docenti saranno obbligati a tenere almeno 120 ore di lezione, regola che noi abbiamo già introdotto. Quanto al sistema di reclutamento, ci sarà una verifica sia per i giovani che per i professori di prima e seconda fascia. Selezione che ricorda, per qualche verso, la libera docenza di tanto tempo fa. Prevista anche la possibilità di chiamare insegnanti stranieri e di stipulare contratti a termine con i giovani ricercatori». Con oltre 40 anni di esperienza accademica alle spalle, Mistretta non si stupisce dell’ennesima rivoluzione annunciata. «Si tratta di nobili tentativi per stimolare una certa vivacità nella vita universitaria dei singoli docenti. Perché, come in tutte le professioni, anche negli atenei c’è chi lavora al meglio, chi fa onestamente il proprio mestiere e chi, per dirla alla cagliaritana, s’apposenta». Il rettore spiega che la riforma prevede incentivi, come poter esercitare la libera professione, altri di carattere economico e che consentono di svolgere particolari attività extra universitarie. «In pratica - conclude Mistretta - se la nuova legge venisse applicata seriamente, potrebbe dare buoni risultati. Altrimenti.....». Altrimenti sarebbe l’ennesima rivoluzione gattopardesca. Sarà anche per questo che, in attesa di conoscerne il testo, il rettore dell’università di Sassari, Alessandro Maida, preferisce non pronunciarsi: «La proposta accennata dal ministro - spiega il professore - è ancora troppo nebulosa. La valuteremo compiutamente il 12 febbraio, quando la conferenza dei rettori esaminerà l’intero progetto». È bastata comunque una dichiarazione del ministro sul nuovo sistema di reclutamento per solleticare la curiosità anche in chi non ha niente da temere. Come Paolo Pani, titolare della cattedra di Patologia sperimentale a Cagliari: «Non conoscendo il testo, posso dare solo un giudizio superficiale, ma il principio base della riforma, quello dei contratti triennali, mi sembra assolutamente plausibile. Intravedo però il pericolo che si possano formare due fronti: quello di chi ha una posizione consolidata e gli altri che devono conquistare uno spazio». Il criterio della selezione non scandalizza neppure Noemi Sanna, ricercatrice di Psichiatria all’università di Sassari (e consigliere regionale di An). «L’inamovibilità dal posto - spiega - non dovrebbe essere abolita solo nelle università. Anche la verifica della qualità, se fosse estesa sistematicamente a tutte le professioni, sarebbe una buona cosa. Applicata invece a una sola categoria di professori, mentre gli altri continuano a fare ciò che vogliono, mi sembra possa generare squilibri». Gianni Loy, ordinario di Diritto del lavoro all’università di Cagliari, teme invece che le innovazioni promesse dalla Moratti «possano sconfinare nella demagogia, perché non introducono una valutazione seria dell’attività scientifica. Facile lo sconfinamento, a livello locale, nel clientelismo». In materia di controllo della qualità, Loy è per la linea dura: «Sono d’accordo per una selezione scientifica nazionale seria, che restringa il potere discrezionale delle singole università. Non vedo bene, invece, questo contratto triennale rinnovabile. Ci deve essere un sistema che consenta la valutazione costante dell’attività di un docente durante tutta la sua carriera. Col metodo Moratti, invece, dopo il secondo rinnovo triennale, si può essere assunti a tempo indeterminato. E si diventa inamovibili. Come oggi». Lucio Salis ______________________________________________________ Il Riformista 31 Gen.03 PER LA MORATTI LA SCUOLA ITALIANA VA MOLTO MALE E SI RIVOLGE ALL?OPPOSIZIONE CONVERSAZIONE. IL MINISTRO HA AVUTO IL VIA LIBERA DI BERLUSCONI DOPO LO SCONTRO CON TREMONTI Per la Moratti la scuola italiana va molto male e la riforma merita una gestione «bipartisan» «I nostri studenti hanno più insegnanti ma danno risultati peggiori. E’ un sistema classista e inefficiente» Letizia Moratti è alquanto rinfrancata dopo le turbolenze della Finanziaria. Non è un mistero per nessuno che sia stata sull'orlo della rottura con il governo per i tagli di Tremonti. Ma la lady è di ferro, e sa tessere relazioni. Chi le sta affianco dice che ormai la mano del buon padre di famiglia Berlusconi, spinta dalle apprensioni materne di Veronica, grande fan del ministro e della centralità dell'educazione, si sia stesa protettrice sulla sua testa, garantendole che la riforma della scuola sarà la prima riforma dell'anno delle riforme. Alla Camera il Polo dovrebbe evitare addirittura ogni emendamento per approvare rapidamente il testo varato dal Senato. Poi ci sono Ciampi, Casini, Fini, tutti avvocati della ministra, manager e credente. Da tecnico che era, la Moratti si è messa così sulle spalle un bel po' di peso politico. Al punto da lanciare, proprio lei che è un bersaglio preferito dell'opposizione, un appello a una metodologia «bipartisan» nella gestione del più grave problema italiano: quello dell'educazione scolastica. «I sistemi politici maturi fanno ricorso a questo metodo. Bush e Clinton si sono messi d'accordo, dopo un faticoso negoziato, sulla riforma denominata «No child left behind». In Italia gli schieramenti sono tentati di sovraccaricare il problema della scuola di contenuti ideologici, facendo prevalere gli aspetti che dividono su quelli che uniscono. Invece io trovo molta gente che mi dice: in questa materia non ci siamo noi e voi, ci sono gli studenti. Per parte mia, non a caso ho confermato nel nostro testo di riforma i principi generali che erano indicati nella legge Berlinguer e ho accolto in Parlamento suggerimenti dell'opposizione per una maggiore integrazione dei percorsi di istruzione e di formazione professionale». Bipartisan o no, è certo che la scuola è un'emergenza nazionale. I nostri ragazzi la frequentano per un numero d'ore superiore alla media dei paesi occidentali, hanno più insegnanti dei loro colleghi europei, però il prodotto finale è scarso. Il ministro conferma: «E' vero che le recenti analisi internazionali sulla qualità ci pongono a un punto molto basso. Siamo al 21° posto nei paesi Ocse in quanto ad apprendimento della matematica, al 23° per le scienze. E questo nonostante abbiamo un insegnante ogni dieci studenti contro il rapporto di uno a quindici della media Ocse. Da noi il costo per studente è più alto del 15% della media europea. Eppure soltanto il 40% della popolazione adulta ha un diploma di scuola secondaria, contro il 61% della Francia e l'84% della Germania. Negli ultimi 40 anni quasi dieci milioni di giovani si sono rivolti all'università, ma i laureati sono stati poco più di tre milioni. Nonostante tutto ciò molti sono ancora convinti che la nostra scuola sia il migliore del mondo». Secondo Letizia Moratti una prima risposta è quella di introdurre la «cultura della valutazione» nel sistema. Il che vuol dire test, sorveglianza, verifica dei risultati. «L'anno scorso invitammo le scuole che l'avessero voluto a sottoporre i loro studenti a due differenti test per fascia d'età, in modo da valutare i risultati educativi. Si autocandidarono ben 2900 istituti. Quest'anno il secondo progetto pilota ha già raccolto l'adesione di 7308 scuole sulle dodicimila del totale. Vogliamo procedere così, nel consenso, e senza fughe in avanti, perché la risposta ci dimostra che gli insegnanti stessi hanno interesse a una valutazione del loro lavoro». Il ministro nega di essere una nemica del liceo, di voler distruggere quella che secondo molti è la cosa migliore del nostro sistema. «E' falso, chi lo dice vuole conservare lo status quo. E questo è ingiusto anche socialmente, perché la scuola e l'università attuali hanno smesso di funzionare come motore di mobilità. Il liceo classico è certamente un punto di eccellenza, ma assorbe oggi solo l'8% della popolazione scolastica. Vogliamo preoccuparci anche del resto? Noi puntiamo a un superamento definitivo della uniformità dell'offerta. A un sistema flessibile e personalizzato. In altri paesi si riconosce da tempo pari dignità formativa alla istruzione professionale, che deve garantire ovviamente un profilo e un sapere di base pari a quello liceale e consentire ai diplomati un accesso all'università. Solo il modo di apprendere è diverso, per adattarsi ai talenti e alle attitudini degli studenti. Io mi attengo ai tre pilastri fissati dall'Unesco: sapere, saper essere, saper fare. In Italia abbiamo pensato troppo a lungo che fosse importante solo il sapere. La scuola non è più l'ultimo momento formativo nella vita di una persona. Usciti dalla scuola bisogna continuare a imparare per tutta la vita: lifelong learning. Dunque la scuola deve insegnare a imparare. E' oggi che il sistema è classista e selettivo: perché i più dotati e i più benestanti vanno al liceo, e gli altri finiscono in quell'area grigia dalla quale solo il 50% esce con un diploma, contro il 70% degli altri grandi paesi europei». Il ministro manager ha anche un'altra etichettatura da respingere: quella di essere l'Attila della scuola pubblica, di voler privatizzare il sistema. «Vorrei chiarire che la funzione educazione/istruzione/formazione è una funzione sociale regolata pubblicamente. L'esercizio concreto di tale funzione può essere affidata allo stato, alle regioni, agli enti locali o a soggetti privati. Ma la definizione dei suoi contenuti di fondo e la verifica di efficienza spettano allo stato. In Italia il 94% del sistema di istruzione è gestito dallo stato, nel resto d'Europa la percentuale dei privati arriva fino al 30%, con ottimi risultati. Del resto il concetto di scuola statale è stato posto in discussione da alcune leggi che il centrosinistra ha approvato nella scorsa legislatura (il federalismo, l'autonomia scolastica, la legge di parità). Io sto progressivamente applicando quelle leggi. La equazione statale-pubblica è culturalmente e normativamente arretrata. Ai cittadini interessa come vengono fatte le cose, non chi le fa. Ad ogni modo, poiché in Italia il 94% del sistema è gestito direttamente dallo stato, il mio primo problema è far funzionare al meglio la scuola statale. Ed è quello che sto cercando di fare». Conversazione con Letizia Moratti Il ministro Letizia Moratti rivolge un appello all’opposizione per una gestione bipartisan del più grave problema italiano: l’educazione scolastica. “I sistemi politici maturi fanno ricorso a questo metodo. Bush e Clinton si sono messi d’accordo, dopo un faticoso negoziato, sulla riforma scolastica denominata ‘No child left behind’: In Italia gli schieramenti tendono a sovraccaricare il problema della scuola di contenuti ideologici, facendo prevalere gli aspetti che dividono su quelli che uniscono. Invece io trovo molta gente che mi dice: in questa materia non ci siamo noi e voi, si sono solo gli studenti”. Il ministro Moratti dà un giudizio molto negativo sull’efficienza del nostro sistema scolastico: “Le recente analisi sulla qualità ci pongono a un punto molto basso: siamo a l21° posto tra i paesi Ocse in quanto ad apprendimento della matematica, e al 23° posto per le scienze. E questo nonostante abbiamo un insegnante ogni dieci studenti contro il rapporto di uno a quindici della media Ocse. Da noi il costo per studente è più alto del 15% della media europea. Eppure solo il 40% della popolazione adulta ha un diploma contro il 61% della Francia e l’84% della Germania. Negli ultimi 40 anni quasi dieci milioni di giovani si sono rivolti all’università, ma i laureati sono stati poco più di tre milioni. Nonostante questo molti sono ancora convinti che la nostra scuola sia la migliore del mondo” Secondo il ministro è falsa l’accusa rivoltale di voler distruggere il liceo. “Chi lo dice – ribatte – vuol conservare lo status quo: E’ questo è ingiusto anche socialmente, perché la scuola e l’università attuali hanno smesso di funzionare come motore di mobilità sociale. Il liceo classico è certamente un punto di eccellenza, ma assorbe oggi solo l’8% della popolazione scolastica. Vogliamo occuparci anche del resto? E’ oggi che il sistema scolastico è classista e selettivo: perché i più dotati e i più benestanti vanno al liceo, e gli altri finiscono in quell’area grigia dalla quale solo il 50% esce con un diploma, contro il 70% degli altri grandi paesi europei”. A proposito della scuola pubblica, Letizia Moratti chiarisce che “la funzione educazione/istruzione/formazione è una funzione sociale regolata pubblicamente. L’esercizio di tale funzione può essere affidata alo stato, alle regioni, agli enti locali, o a soggetti privati. Ma la definizione dei suoi contenuti di fondo e la verifica di efficienza ed efficacia spettano allo stato. In Italia il 94% del sistema di istruzione è gestito dallo stato, nel resto d’Europa la percentuale dei privati arriva fino a 30%, con ottimi risultati”. Dopo essere stata sull’orlo della rottura con il governo per i tagli di Tremonti, il ministro Moratti è sembrata al Riformista rinfrancata dal sostegno personale del presidente del Consiglio Berlusconi alla sua riforma, che dovrebbe essere la prima riforma dell’anno delle riforme. Al punto che il Polo si appresta a non presentare emendamenti al testo in discussione alla Camera in modo da consentirne una rapida approvazione. ______________________________________________________ Il Riformista 31 Gen.03 NON FATE GIROTONDI INTORNO AL CNR SCIENZIATI. RAGIONI E TORTI DEGLI AUTOCONVOCATI DI ALESSANDRO FIGÀ TALAMANCA Sarà vero come hanno affermato gli "scienziati autoconvocati" per protestare contro la proposta di riforma del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e degli enti di ricerca, presentata al Consiglio dei ministri, che è in atto un tentativo di espropriare la "autonomia scientifica"? A chi ha seguito l'iter della precedente riforma, sembra invece che quella attuale si muova nel solco tracciato nel 1998 dall'allora ministro Luigi Berlinguer, quando, nell'indifferenza di gran parte del mondo scientifico, furono soppressi gli organi che rappresentavano, all'interno del Cnr, le comunità scientifiche e cioè i Comitati di consulenza. E' vero che, allora, per tacitare i critici, fu prevista, sulla carta, l'improbabile elezione di una farraginosa «Assemblea della Scienza e della Tecnologia», la quale, una volta costituita, avrebbe contribuito a designare il Consiglio di amministrazione e un «Consiglio scientifico» del Cnr. Ma fu chiaro a tutti che la fantomatica "Assemblea", per ragioni "tecniche", non sarebbe mai stata eletta. Insomma il passaggio da un assetto del Cnr basato sulle rappresentanze delle comunità scientifiche, a un sistema basato su nomine ministeriali è stato voluto ed attuato dai precedenti governi. Come fu osservato allora, l'attribuzione al governo della responsabilità di nominare gli organi direttivi delle istituzioni di ricerca, non è priva di una sua logica e ha riscontro in molti paesi industriali moderni. Il problema naturalmente è nella sua applicazione. E' difficile far funzionare un'istituzione scientifica ai cui vertici siedono persone che non godono di sufficiente credito in ambito scientifico. Si può fare a meno di elezioni di "rappresentanti" dei ricercatori e docenti, ma solo se il governo è in grado di prescindere da lottizzazioni di partiti e di correnti nelle nomine per gli enti di ricerca e di interpretare i valori espressi dal mondo scientifico, almeno per le posizioni che comportano responsabilità di scelte tecnico-scientifiche. Da questo punto di vista la tradizione delle nomine governative in Italia non è brillante. Ma il problema di un collegamento efficace tra direttive politiche e la possibile risposta dei ricercatori non si riduce solo alla nomina dei vertici delle istituzioni scientifiche, anche perché, in Italia, gran parte del potenziale di ricerca si trova nelle università. E questo ci porta ad un'altra questione sollevata dalla attuale riforma. La bozza di disegno di legge prevede un "accorpamento" di enti di ricerca che riduce il numero degli enti vigilati dal ministero da 19 a 10. Le motivazioni sembrano ragionevoli: evitare costose duplicazioni. Ma i problemi pratici potrebbero far fallire l'operazione. Il problema più difficile è posto dall'accorpamento al Cnr dell'Istituto Nazionale di Fisica della Materia (Infm). La ricerca dell'Infm è svolta da 2000 docenti incardinati nelle università, qualche centinaio di studenti di dottorato e borsisti, e solo 200 "ricercatori" dipendenti dall'Istituto. A meno di non liquidare il 90% della ricerca attualmente svolta, bisognerà trovare il modo di "associare" al Cnr i 2000 docenti universitari. Ma in che modo? Attualmente questi docenti godono di una forte autonomia propositiva, partecipano a tutte le scelte tecniche dell'Infm, e ne eleggono i vertici. Anche la struttura operativa del Cnr prevede una programmazione "dal basso" proveniente dagli "Istituti" e filtrata dai "Dipartimenti". Non sarà facile, tuttavia, inserire tra i proponenti delle attività del costituendo «Dipartimento di scienza e tecnologia dei materiali» duemila docenti universitari non appartenenti ai ruoli del Cnr. Non sarà facile imporre loro un direttore del dipartimento non gradito. Non sarà facile inserire in una struttura gerarchica, come quella del Cnr, professori abituati a riconoscere solo la gerarchia del merito scientifico. Il pericolo concreto è che i migliori potenziali "associati" abbandonino l'Istituto, e cerchino altre fonti di finanziamento per la ricerca, attraverso le università di appartenenza. Al posto della paventata "duplicazione" si avrebbe una "moltiplicazione" di iniziative simili, tra loro scollegate. Può essere che il governo abbia messo in conto questi problemi e stia studiando strategie per risolverli. Un'ipotesi ottimista è che l'accorpamento dell'Infm costituisca un esperimento pilota volto a restituire al Cnr la funzione prevista dalla legislazione degli anni Sessanta, che non era quella di svolgere ricerche in proprio, ma di coordinare ed indirizzare «ai fini del progresso scientifico e tecnico» la ricerca universitaria, un ruolo svolto egregiamente dall'attuale Infm nell'ambito della scienza dei materiali. Se così fosse, la riforma proposta sarebbe veramente l'inizio di una rivoluzione copernicana. BERLUSCONI E I GIORNALISTI: SOLILOQUI, BUGIE E VIDEOTAPE ______________________________________________________ Corriere della Sera 31 Gen.03 RICERCA, IL CNR COMMISSARIATO DAL MINISTRO MORATTI Nascono i dipartimenti: controlleranno l'attività dei ricercatori De Maio nominato commissario al posto del presidente Bianco. Presentati i decreti legislativi di riforma degli enti di ricerca ROMA - La protesta dei ricercatori non ha fermato il ministro dell'Istruzione e dell'Università Letizia Moratti. COMMISSARIAMENTO DEL CNR - ll Cnr è stato commissariato. A disporre il commissariamento del maggiore ente di ricerca pubblico italiano è stato il Consiglio dei Ministri. Commissario straodinario è stato nominato Adriano De Maio, attuale rettore della Luiss di Roma. De Maio va così a sostituire alla guida del Cnr Lucio Bianco. DECRETI LEGISLATIVI - Nell'ambito del consiglio dei ministri di oggi sono anche stati varati alcuni decreti legislativi per riformare gli enti italiani di ricerca, vale a dire il Cnr, l'Istituto nazionale di astrofisica e dell'Agenzia spaziale italiana. Gli obiettivi principali della riforma, si legge in una nota del Ministero dell'Istruzione, sono: 1) Focalizzare tutte le attivitá degli enti su obiettivi strategici per il Paese delineati nelle Linee guida per la ricerca; 2) creare un sistema di ricerca all'altezza della sfida del mondo globalizzato; 3) realizzare reti di ricerca capaci di integrarsi nel sistema delle reti europee; 4) aiutare il nostro sistema produttivo a recuperare competitivitá tecnologica; 5) favorire la convergenza delle attivitá di ricerca sugli obiettivi interdisciplinari individuati nel VI Programma quadro; 6) sviluppare la cultura manageriale e di progetto dei ricercatori; 7) superare le criticitá derivanti da inefficienze, sovrapposizioni o duplicazioni di attivitá che portano a dispersioni di risorse. NASCONO I DIPARTIMENTI - Nell'ambito della riorganizzazione è stata creata la figura del dipartimento, affidato a un direttore, responsabile della programmazione e della valutazione dell'attivitá di ricerca.Il dipartimento è stato introdotto nel Cnr e nell'Inaf. Per l'Asi, che svolge attivitá di Agenzia, si è ritenuto invece di strutturare il modello organizzativo su settori tecnici. La finalitá perseguita con il riordino è essenzialmente quella di adeguare la missione e la struttura organizzativa del sistema pubblico di ricerca al mutato contesto europeo, così da favorirne l'inserimento nelle reti di ricerca europee e internazionali. ______________________________________________________ La Stampa 1 feb. 03 UNA NORMA AVVILISCE LE UNIVERSITÀ MIGLIORI RICERCA PRIVATA NON è solo la riforma degli istituti di ricerca in discussione in questi giorni a minacciare gravemente la ricerca pubblica in Italia. Forse ancora più grave è quanto sta succedendo all'università. A fronte di una sistematica riduzione di fondi, l'ultima legge finanziaria (all'art.34, comma 13) introduce vincoli di spesa anche sui fondi che le facoltà e i dipartimenti si procurano autonomamente. Estende infatti anche all'università e agli enti di ricerca l'obbligo di non stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa e comunque di lavoro a tempo determinato per un valore superiore al 90% della spesa media annua sostenuta per le stesse finalità nel triennio 1999-2001. E' la prima volta che succede. Mentre la riforma del mercato del lavoro in discussione in Parlamento inventa i contratti a progetto, il settore in cui un simile contratto ha per definizione la sua ragion d'essere, la ricerca, viene così soffocato. La cosa ulteriormente sorprendente è che l'università non sembra rientrare tra gli «enti di ricerca» per i quali l'articolo citato fa una eccezione, escludendo dalla restrizione tutti i contratti che gravano su fondi europei o derivanti da rapporti con imprese. Il vincolo di spesa, infatti, potrebbe in linea generale essere accettabile se unicamente limitato al finanziamento pubblico (anche se avrebbe pesanti conseguenze). Ma è del tutto inaccettabile per i fondi che le facoltà e i dipartimenti si procurano autonomamente, dimostrando capacità progettuale e di relazione con il mondo economico e sociale. Tra l'altro, ha come effetto di penalizzare proprio quei dipartimenti e gruppi di ricerca che sono stati più efficaci nel procurarsi risorse esterne, o che hanno conosciuto uno sviluppo forte nell'ultimo anno o due. E' un ennesimo esempio del forte centralismo che caratterizza questo governo nonostante tutti i suoi slogan liberistici e i suoi inviti alla libera iniziativa e all'imprenditorialità. E' anche un esempio della superficialità con cui viene trattata la ricerca in generale e l'università in particolare nel nostro paese, salvo lamentarsi della «fuga dei cervelli». La ricerca, infatti, richiede non solo laboratori e strumenti, ma anche persone. Essere assunti per partecipare ad un progetto di ricerca costituisce per molti giovani non solo una occasione di lavoro, ma una opportunità necessaria di formazione. E' così che si formano i ricercatori. Se questa norma non verrà cambiata molti fondi non potranno essere spesi, molta ricerca non verrà fatta. E per assumere ricercatori si sarà costretti a sottostare al taglieggiamento di cooperative o simili che faranno intermediazione di manodopera. Il messaggio è chiaro: non solo chi vuole fare ricerca, anche chi vuole finanziarla è bene che non si rivolga al pubblico, all'università. Meglio che si rivolga al privato. ______________________________________________________ Corriere della Sera 30 Gen.03 RIVOLTA DEI RICERCATORI: "TUTTI ALL’ESTERO" Gli scienziati contro il riordino del Cnr. "Anno sabbatico o aspettativa per lavorare in un altro Paese" ROMA - "Fuga all’estero per protestare contro la riforma degli enti di ricerca scientifica". L’appello rimbalza in queste ore negli istituti e nei laboratori italiani, raccogliendo centinaia di adesioni tra gli scienziati e l’appoggio dei vertici degli istituti. E’ un’iniziativa senza precedenti: scienziati e tecnici chiedono in massa, ai rispettivi organi di appartenenza, "l’aspettativa per svolgere la propria attività in sedi estere oppure l’anno sabbatico per le stesse ragioni". E tutto questo alla vigilia del Consiglio dei ministri che domani dovrebbe dare il via all’annunciata riforma del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e di altri enti più piccoli ma altrettanto importanti. La protesta è partita dalle sedi di Genova e Trieste dell’Istituto nazionale di fisica della materia (Infm), un ente di grande prestigio internazionale che svolge ricerca applicata in nuovi materiali, superconduttività e microelettronica. "Dopo che lo stesso ministro Moratti, in un’audizione alla Camera lo scorso ottobre, ha definito la nostra struttura un "modello di efficienza", ora ci preannuncia l’accorpamento con il Cnr - racconta meravigliato il presidente professor Flavio Toigo -. Fine dell’autonomia gestionale, di quella capacità di sviluppare in maniera agile e produttiva le nostre ricerche, realizzando ottime collaborazioni con le imprese e acquisendo sul mercato fondi europei e altri vantaggiosi contratti". OCCUPAZIONI E ASSEMBLEE - La risposta è immediata: martedì scorso i ricercatori occupano la sede dell’Infm di Genova e mercoledì, da Trieste, lanciano i moduli con le richieste di trasferimento all’estero. "Non è una protesta simbolica - spiega Enzo Di Fabrizio, responsabile del laboratorio "Tasc" di Trieste -. Noi pensiamo di andarcene davvero. Abbiamo lavorato per anni all’estero ed eravamo tornati in Italia grazie all’efficienza di questo Istituto in cui è possibile, per fare un esempio, attribuire una borsa di studio completando le pratiche in sole 24 ore. Se io dovessi chiedere di tornare all’università di Madison, Wisconsin, mi accoglierebbero a braccia aperte. E come me tanti altri". Diffuse per mezzo della posta elettronica e dei fax, le domande di aspettativa raccolgono centinaia di adesioni anche perché, in maniera inaspettata, vengono avanzate anche da molti ricercatori dello stesso Cnr, l’ente con cui l’Infm non gradisce accorparsi: "E non perché non intendiamo integrare le rispettive reti di ricerca e conseguire le economie di scala auspicate dal ministro Moratti - precisa Toigo - ma perché diventando un istituto all’interno di un grande ente come il Cnr, con cui abbiamo già eccellenti rapporti di collaborazione, si paralizzerebbe di fatto la nostra dinamica capacità progettuale". COMMISSARIAMENTO CNR - Almeno sul piano della protesta, la fusione fra i due enti si è già realizzata. "Posso confermare che anche i ricercatori del Cnr stanno svolgendo assemblee in tutte le città d’Italia e molti di essi stanno aderendo alla richiesta di soggiorno all’estero lanciata dai colleghi dell’Infm - riferisce il professor Lucio Bianco, presidente in bilico del Cnr -. So anche che venerdì, in coincidenza con la seduta del Consiglio di ministri che dovrebbe approvare i decreti della nuova riforma, nella nostra sede centrale di Roma si terrà una mega assemblea, e che nelle scorse ore è stato consegnato un appello al presidente della Repubblica in cui si chiede di intervenire sul grave stato di sofferenza che sta attraversando la ricerca pubblica". Lo sconcerto è provocato da quella che Bianco definisce "la riforma nella riforma". Ristrutturato tre anni fa, il Cnr non aveva ancora completato lo snellimento dei propri organi che già si parla di un nuovo modello organizzativo con nuovi organi di gestione, separazione di alcuni istituti e accorpamento di altri. Con la minaccia di cancellazione dell’attuale dirigenza e commissariamento. "Se applicata - commenta Bianco - sarebbe giuridicamente ingiustificata". Franco Foresta Martin ______________________________________________________ Il Mattino 31 Gen.03 FISICA DELLA MATERIA, QUELL’ISTITUTO VA CANCELLATO UN ALTRO EFFETTO DELLA RIORGANIZZAZIONE DEI DIPARTIMENTI MAURIZIO CERINO Nel 1954 fu comunicata una scoperta la cui applicazione pratica nel giro di pochi anni, cambiò la vita dell'umanità intera. Il "figlio" di quella scoperta si chiama transistor. Ma per arrivare a tanto c'erano stati anni e anni di ricerche, studi esperimenti. Tutta una serie di passaggi più comunemente indicati come ricerca di base. Probabilmente fra diversi anni potrebbe venir fuori un supercomputer proprio da Napoli, o meglio, costruire quelle basi scientifiche sulle quali costruire microprocessori oggi impensabili. Potrebbe, perché al di là dei lati oscuri della ricerca, la riforma del CNR, il "Consiglio nazionale delle ricerche", allo studio del ministro Letizia Moratti, passa anche per la scomparsa di una serie di centri di ricerche. Tra questi l'Istituto Nazionale di Fisica della Materia (Infm). Si ripercorre, con i dovuti distinguo, la vicenda della Stazione Zoologica, l'istituto Dhorn, che sembra rientrata. Al ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca non parlano di "scomparsa", bensì di accorpamento al Cnr. Ma le cose non stanno proprio così. Lo sanno bene all'Infm, uno dei principali poli della ricerca di base, una struttura che in qualche maniera cerca di arginare la fuga di cervelli. Ma fino a quando? L'istituto ha a Napoli una delle sue unità più grandi, e basa la sua "forza" nella ricerca sulla continua osmosi che esiste con il mondo universitario. Perché nella sede di Monte Sant'Angelo, in via Cintia, sono decine i professori universitari che, al di là della normale attività didattica svolta nei rispettivi atenei, sono impegnati in una serie di progetti di richerca a livello europeo, finanziati a suon di milioni di euro, senza gravare sui magri bilanci del mondo accademico. In altre parole, l'importanza di centri di ricerca come quello di fisica della materia è proprio quella di produrre, con la ricerca, un indotto di ritorno a basso costo di produzione. Sembra un ragionamento riduttivo, ma di fronte a una riforma che, di fatto, fa scomparire un gioiello della ricerca scientifica - che in Italia è la cenerentola dei bilanci statali - la cosa fa riflettere, e non poco. L'Infm, di Napoli, con una forza lavoro di appena 13 dipendenti a tempo indeterminato e 34 collaboratori fissi, a tempo determinato, oltre a una serie di collaboratori occasionali, ha sviluppato un indotto economico di di poco meno di cinque milioni di euro. Con risultati che vanno dai 60 brevetti depositati nel finire degli anni '90, ai 25 Spin-off, ossia progetti con coinvolgimento diretto dell'industria. E tutto questo avvalendosi del fondamentate impegno diretto dei docenti universitari che, per questo tipo di attività, non percepiscono un sol centesimo. "La motivazione che l'Infm sarà accorpato al Cnr perché l'istituto è considerato un ente modello, ci lascia alquanto preoccupati - spiega il presidente Flavio Toigo, docente dell'Università di Padova - Possono esserci lati negativi, perché le due strutture hanno caratteristiche diverse tra loro. Il Cnr cammina con propria ricerca ma poca università, mentre l'Infm basa la propria ricerca essenzialmente sull'università che è una caratteristica che ci proietta nell'Unione Europea in tutti i progetti di ricerca. Inoltre la presenza dell'Infm è particolarmente significativa al Sud dove a Napoli abbiamo la nostra unità più grande e fra le più operative. Dove sono in corso importantissime ricerche nel campo dei superconduttori, dell’ottica con applicazione ai laser. Siamo presenti come Regione Campania nei centri di competenza tecnologica, insieme con l'altra unità, a Salerno, dove sono in corso due grossi progetti con l'Ue. Tutto con risorse esterne per 25 milioni di euro per il futuro, mentre sono attive ricerche per 10,5 milioni di euro. Abbiamo perciò il forte timore che questa riforma romperà questa rete di connessione nella ricerca tra l'istituto e le Università". Il direttore di Napoli, Nicola Spinelli, della Federico II, è sulla stessa frequenza: "È palese il tentativo di disintegrare una struttura che rappresenta una produzione di conoscenza, con danno incalcolabile per il Sud". Nel 1954 la costruzione del primo transistor fu possibile grazie al lavoro della ricerca di base, proprio come l'Infm. Ma era negli Usa. ______________________________________________________ Il Mattino 29 Gen.03 CREDITI CHE DISCREDITANO LA RIFORMA UNIVERSITARIA Troppi esami e programmi vasti: pochi superano il primo anno DANIELA LIMONCELLI Economia o Giurisprudenza, la riforma che stress. Meno della metà degli studenti, denuncia la Confederazione degli studenti, riesce ad accumulare il numero di crediti necessario per passare dal primo al secondo anno nella facoltà di Economia. E sono ancor meno rassicuranti le stime, non ufficiali, che arrivano come dato globale di tutta l’Università Federico II di Napoli, megateneo del Sud: in media, solo il 15% degli iscritti ce la faranno a superare il primo anno. In molte facoltà, come a Lettere o a Giurisprudenza, si è già corso ai ripari: tra crediti dimezzati e recupero della propedeucità dei saperi, arriva chiaro il segnale che avverte che la riforma si sta rivelando un flop. Tra frequenze obbligatorie, prove intercorso o seminari, il carico di lavoro previsto nelle lauree triennali, a detta dei ragazzi ma anche di molti professori, si è quadruplicato rispetto a quello del passato. Senza contare che, in molti casi, mancano spazi e attrezzature. Come risulta, per esempio, dai primi risultati del questionario distribuito dal Consiglio nazionale negli studenti per sondare problemi e difficoltà del rodaggio-riforma. Per il 72% dei ragazzi intervistati l’orario dei corsi non lascia sufficiente spazio allo studio e all’approfondimento personali, per ben l’88% degli studenti ci sono casi in cui la lezione frontale con il docente non risulta efficace ai fini dell’apprendimento: per l’eccessivo numero di studenti presenti in aula (il 63%), per la carenza di aule o laboratori (il 69%), per carenza di strumenti tecnici come lavagne luminose o microfoni (il 28%), per l’assenza prolungata o ripetuta del professore (il 19%). Eppure, per il 91% degli universitari italiani (soprattutto per quelli iscritti alle facoltà tecnico-scientifiche, mediche, economiche e di lingue) il momento della lezione è "insostituibile". E le difficoltà degli iscritti a tempo pieno diventano ostacoli insormontabili per gli studenti lavoratori, nonostante ormai rappresentino la maggioranza delle nuove leve universitarie: "Non vi sono corsi a loro rivolti, appelli speciali: la mancanza di servizi si trasforma in una delle maggiori motivazioni di abbandono" hanno scritto i rappresentanti nazionali degli studenti in una relazione sullo "stato" della riforma. Il disastro-crediti sarà la spina dorsale della denuncia presentata dai ragazzi della Confederazione degli studenti, il primo febbraio, nella facoltà di Giurisprudenza, durante gli "Stati generali" degli universitari ai quali gli studenti hanno invitato, tra gli altri, tutti i rettori e i presidi delle università della Campania, deputati campani e il sottosegretario all’Università Stefano Caldoro, Al primo punto della controriforma, infatti: i crediti. "Dal nostro monitoraggio nelle facoltà napoletane - afferma Andrea Pellegrino, presidente della Consulta degli studenti - sono stati utilizzati in modo assurdo, senza ripensare nè contenuti nè metodi di apprendimento. In molti casi, si è badato di più a non far perdere "cattedre" a docenti che non a un corretto avvio della riforma". Il risultato? "In soli tre anni - denuncia Francesco Borrelli, leader della Cds -, in molti corsi di studio, i giovani devono svolgere un carico didattico che con il vecchio ordinamento era distribuito, invece, su quattro anni e ai quali vanno aggiunti blocchi, laboratori, frequenza obbligatoria". E lo dirà forte e chiaro all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Federico II, venerdì mattina a Monte Sant’Angelo, presieduta dal rettore della Federico II Guido Trombetti e dal presidente della Crui Piero Tosi, la rappresentante degli iscritti Alessia Guarnaccia: "Dobbiamo essere più rigidi con una parte dell’accademia minoritaria, ma forte, che ancora concepisce l'Università come luogo di esercizio di potere. Professori che vanno raramente a fare lezione, che non si presentano agli orari di ricevimento, che accumulano incarichi e denaro e ritengono l’Ateneo una zona franca. Queste persone inquinano l’intera comunità. I passaggi dal vecchio al nuovo ordinamento, sono troppo svantaggiosi per una presunta laurea breve che non dà accesso a concorsi e non è riconosciuta dagli Ordini professionali". Finiremo, dice la Guarnaccia "per esser vecchi traslando in avanti l’età media dei laureati o giovani in possesso di una laurea breve inconsistente in un mercato non ancora pronto ad assorbirci". ______________________________________________________ La Nuova Sardegna 29 Gen.03 «FERMIAMO LE LAUREE BREVI PERCHÉ HANNO PERSO VALORE» Mancano i requisiti previsti per legge: non è stato ancora siglato il protocollo d'intesa tra la Regione e l'università Antonio Meloni SASSARI. La mancata stipula del protocollo d'intesa Regione-Università rischia di bloccare l'attivazione delle lauree brevi che si sarebbero dovute svolgere nelle facoltà di Medicina di Cagliari e Sassari nell'anno accademico 2003 e 2004. Attualmente infatti i corsi non hanno i requisiti minimi prescritti dal comitato di valutazione del sistema universitario. La questione è stata sollevata durante un convegno che si è svolto a Cagliari due giorni fa. A sollevare il coperchio sono stati Giulio Rosati e Gavino Faa, presidi delle facoltà di Medicina di Sassari e Cagliari che hanno anche spiegato il problema in una lettere inviata al presidente della Regione Mauro Pili affinchè intervenga. La lettera, inviata anche all'assessore alla Sanità Giorgio Oppi e ai rettori delle rispettive università, sottolinea inoltre che gli studenti che frequentano i corsi rischiano di non vedere riconosciuti i loro titoli perché non rispondenti ai requisiti prescritti dal comitato di valutazione istituito dopo la riforma del sistema universitario. Perché i corsi abbiano l'accredito, infatti, deve essere rispettata una condizione essenziale: le facoltà di Medicina devono operare all'interno di un'organizzazione altamente qualificata. Una legge del '92 aveva già fornito indicazioni precise e introdotto il principio delle aziende ospedaliere scorporate dalle Asl. Una norma successiva, nel '99 aveva poi perfezionato il modello individuando nelle aziende ospedaliero-universitarie l'unico sistema in cui i corsi possono essere svolti. Le ultime speranze erano riposte nella riforma universitaria in cui si confidava per la stipula del protocollo. In definitiva un infermiere, un fisioterapista o un logopedista diplomati nelle università sarde, a fine corso, con il titolo in mano, rischiano di sentirsi dire che quel titolo non è valido perché non risponde ai requisiti prescritti dalla legge. Questo mentre nelle altre regioni il protocollo è stato siglato da tempo e le facoltà di Medicina operano già all'interno di strutture qualificate. Ieri il preside di Medicina di Sassari, Giulio Rosati, non ha usato mezzi termini «Siamo in presenza di una situazione illegittima - ha detto - in cui non riesce a trovare applicazione una legge dello Stato, senza considerare la questione di principio che vede le facoltà dequalificate, in termini di competitività e immagine, rispetto alle altre. L'accordo Regione-Università, se stipulato, produrrebbe indubbi benefici non solo al sistema universitario, ma anche a quello ospedaliero sia dal punto di vista didattico sia professionale perché migliorerebbe la qualità della formazione». ______________________________________________________ Repubblica 30 Gen.03 RICERCA, AZIENDE IN FUGA Farmaceutica, da Recordati a SigmaTau guardano all’estero. Governo: riforme in vista DI MAURIZIO PAGANELLI Fuga dal Belpaese per le aziende farmaceutiche a capitale italiano? E’ quanto sembra scritto nel futuro della Recordati, spa quotata alla Borsa, fatturato di oltre 490 milioni di euro. Ma è in compagnia di altre 8 aziende italiane, le più importanti, tra cui la Menarini che ha il primato di vendita di farmaci nel mercato nazionale, la SigmaTau, la Bracco, la Chiesi, la Dompè. Il presidente Giovanni Recordati, dopo l’ultimo forte "taglio" di prezzo al suo prodotto di punta (lercanidipina) con il Prontuario e l’imprevisto stop alla commercializzazione sul mercato Usa non ha dubbi: «Non c’è un ambiente favorevole agli investimenti per la ricerca. Non esistono incentivi, per i prodotti innovativi non c’è il libero prezzo ma sottostiamo a quelli imposti che ci danneggiano anche sul mercato estero (che si basa sul prezzo del farmaco nel paese d’origine, ndr). Ora anche la Francia pensa ad una defiscalizzazione». «Fuga dall’Italia? Direi fuga dell’Europa», rincara la dose Claudio Cavazza, presidente SigmaTau, «Convengono gli Usa. Internazionalizzarsi è un imperativo. E in Usa è tutto più semplice, rapporto con le università (che funzionano), agevolazioni fiscali, infrastrutture, procedure». Eppure negli ultimi sette anni la redditività del settore è sempre aumentata. Il regime della rimborsabilità, "protetto", ha favorito le industrie. Dunque? «Non è più come prima», sostiene Cavazza, «Per le aziende che fanno ricerca è d’obbligo investire dove è conveniente. Qui si spende poco in sanità: innovazione e sicurezza costano». Alberto Chiesi (Chiesigroup) vola oltreoceano, Alberto Aleotti (Menarini) è in Spagna, ma la richiesta è sempre quella: creare condizioni per investire. Il Governo pensa, tra le proteste, a facilitazioni e dà il via libera al "riordino" degli enti di ricerca (Cnr in primis, accorpare gli istituti, aprire ai privati e all’università, corsia preferenziale per richiamare i "cervelli" dall’estero) e appronta le linee guida per valutare la ricerca. C’è chi si esalta per i dati dell’Osservatorio nazionale sulla sperimentazione clinica (aumentata in Italia, 76,7% dei trials con sponsor aziende farmaceutiche). Ma il farmacologo Silvio Garattini, sul Sole24ore, fredda gli entusiasmi: "Quante delle 1402 sperimentazioni classificate sono innovative?… Solo una minima percentuale diventa pubblicazione scientifica". Anche questa è Italia. _______________________________________________________________________________ Il Sole24Ore 24 gen. ’03 NEGLI ATENEI INCARICHI A TEMPO ROMA - Docenti universitari a tempo determinato. Arriva una rivoluzione negli atenei italiani: incarichi di insegnamento "a tempo", rinnovabili, ed eventuale passaggio al tempo indeterminato sulla base di una valutazione fatta dagli stessi atenei. Le novità sono previste dalle linee generali del progetto di riforma dello stato giuridico e delle carriere dei professori universitari, illustrate ieri dal ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, alla Conferenza dei rettori italiani (Crui). «Stiamo cercando di avviare un sistema che porti a un'idoneità scientifica nazionale, a un concorso ogni due anni - uno per professori ordinari e uno per professori associati, sulla base di un'idoneità scientifica nazionale - e poi saranno le singole università a chiamare i professori che usciranno idonei da questa lista nazionale». L'ipotesi, ha spiegato il ministro, è quella di «un incarico ai professori universitari per tre anni, rinnovabile per altri tre anni; poi le università decideranno se rinnovare l'incarico a tempo indeterminato o se farlo decadere». Si tratta di una «flessibilità che viene data agli atenei, perché possano decidere anche sulla base di una valutazione che avranno potuto fare negli anni di incarico svolti dai docenti». Secondo Letizia Moratti «ci devono essere, naturalmente, procedure che garantiscano trasparenza e pubblicità. Saranno comunque gli atenei a decidere, in base al percorso e alla verifica degli anni di lavoro del professore che hanno chiamato, se confermarlo oppure no». Il primo gradino per accedere alla carriera universitaria dovrebbe rimanere di livello nazionale: le commissioni nazionali valuteranno gli aspiranti professori sulla base di titoli e prove. Poi, come illustrato dal ministro, gli atenei attingerebbero dalle liste generali sulla base delle proprie necessità. Il contratto triennale potrebbe essere rinnovato una sola volta (per un periodo massimo di incarico, cioè, pari a sei anni). Quindi, il giudizio di idoneità da parte dell'ateneo e la decisione se confermare a tempo indeterminato o revocare l'incarico al professore. Si ipotizza anche una quantificazione dell'impegno orario del docente: 350 ore annuali di cui una parte consistente, pari a 120 ore, da destinare alla didattica. Le linee generali illustrate oggi dal ministro dovrebbero tradursi in un disegno di legge delega e in successivi decreti attuativi. Moratti ha anche fatto riferimento al blocco delle assunzioni per i docenti universitari: «Ciò è stabilito nella Finanziaria, ma è anche prevista una possibilità di deroga; quindi, per i casi eccezionali - ha precisato - se le università riterranno di aver necessità di deroghe, noi naturalmente ci faremo promotori per chiedere che gli atenei possano attivare assunzioni se necessarie». Le linee di riforma, ha detto il ministro dell'istruzione, saranno confrontate con tutte le componenti universitarie attraverso un articolato più preciso che sarà illustrato alla Crui, al Consiglio universitario nazionale (Cun) e al Consiglio nazionale degli studenti. Per il presidente della Conferenza dei rettori italiani (Crui), Piero Tosi, si tratta di una proposta che va «regolamentata, con limiti e criteri precisi e trasparenti». Dalla Crui arriva comunque una dichiarazione positiva: «Siamo aperti a discutere in uno spirito di piena collaborazione». L'opposizione boccia la Moratti. Per Enzo Carra, responsabile Cultura della Margherita, il ministro «illustra i suoi piani all'esterno, prima che in Parlamento». «Così si precarizzano i docenti e si punta a controllare la ricerca», afferma Vittoria Franco (Ds). E il pedagogista Benedetto Vertecchi sostiene che «se lasciamo che la valutazione dei docenti si faccia "in casa", cioè da parte dei singoli atenei, i risultati saranno sicuramente deludenti». Giuseppe Valditara, responsabile scuola e università di An, fa notare invece che «alcuni punti del progetto Moratti sono gli stessi del Ddl presentato da An». La riforma dello stato giuridico dei docenti è stata già messa nel programma delle prossime settimane della commissione Istruzione del Senato. MARCO LUDOVICO _______________________________________________________________________________ Corriere della Sera 22 gen. ’03 LAUREA LUNGA O BREVE, SCELTA DOPO IL PRIMO ANNO La proposta elaborata dalla Commissione dei 13 Nuova ipotesi sugli studi universitari : la sta mettendo a punto, in segreto, la «commissione dei tredici», nominata dal ministro dell’Istruzione Letizia Moratti . La Commissione è presieduta dal rettore dell’Università della Luiss, Adriano De Maio La riforma ipotizzata sostituirebbe l’ordinamento in vigore, che prevede la laurea triennale, seguita da un biennio specialistico. Al suo posto si avrebbe, invece, un primo anno in comune a una doppia prosecuzione: una biennale, l’altra formata da due bienni Lo schema della riforma in fase di studio viene chiamato a Y, in quanto a un gambo in comune seguirebbero due rami di diversa lunghezza (1»2 e 1»2»2). Gli studi universitari, comunque, resterebbero organizzati secondo moduli e non attraverso percorsi unitari Lo schema a Y prevede che la separazione del tragitto avvenga dopo il primo anno, a seconda del risultato degli esami. Verrebbe anche meno la possibilità di passare da un ramo all’altro . Il percorso triennale sarebbe per i meno preparati, l’altro per i più bravi. Università, ecco come il progetto della commissione di riforma potrebbe rivoluzionare i cicli ROMA - Un primo anno in comune e poi due percorsi separati. Si affaccia una nuova ipotesi sull’università: il «3»2» potrebbe essere sostituito da uno schema a Y, con i due «rami» di diversa lunghezza. Uno di durata biennale («1»2»). L’altro formato da due bienni («1»2»2»). LE NOVITA’ - La riforma in vigore, ovvero la laurea triennale professionalizzante a cui segue un biennio specialistico, è sotto osservazione da alcuni anni e da più parti vengono proposte correzioni di rotta. La «Commissione dei tredici», nominata dal ministro Letizia Moratti, e presieduta dal rettore della Luiss di Roma, Adriano De Maio, sta mettendo a punto in gran segreto un’ipotesi alternativa. La laurea triennale, il cosiddetto 3, potrebbe essere sostituita da un «1»2». Il «3»2» potrebbe trasformarsi in un «1»2»2». Gli studi universitari continuerebbero ad essere organizzati secondo moduli e non attraverso percorsi unitari, come accadeva prima della riforma Zecchino. Non è però l’unica soluzione. Al Senato è già stata messa in calendario una proposta di legge, primo firmatario il senatore Giuseppe Valditara (An). Prevede percorsi brevi professionalizzanti, le attuali lauree triennali, a fianco di percorsi unitari di 4 e 5 anni - i vecchi corsi - di maggiore approfondimento. L’ANNO COMUNE - Se lo schema a Y dovesse venire approvato, le conseguenze non sarebbero di poco conto. Per cominciare non si passerebbe più da un modulo all’altro, come accade oggi, secondo un percorso in sequenza. La separazione del tragitto degli studenti - è l’aspetto più significativo - avverrebbe subito dopo il primo anno. Sarebbero i risultati degli esami iniziali, in termini di qualità e di tempo, a indurre gli iscritti a scegliere il «ramo» lungo o quello corto della Y. Una selezione morbida, insomma, al posto del test di accesso ai corsi di laurea. I bienni successivi al primo anno, sia quello del percorso triennale («1»2») che quello del percorso quinquennale («1»2»2»), sarebbero necessariamente diversi tra loro, facendo venire meno la possibilità di un passaggio automatico da un «ramo» all’altro della Y. In estrema sintesi l’ipotesi della commissione prevederebbe una divaricazione precoce tra una formazione meno complessa, quindi adatta a chi ha maggiori difficoltà, e una più complessa, per i ragazzi più preparati. Durante il primo anno sarebbero previsti - risorse permettendo - corsi di recupero per i giovani usciti dalla secondaria con un debito formativo. DE MAIO - «Uno dei problemi centrali - spiega De Maio - è trovare delle modalità in cui università e medie superiori interagiscano bene. Ritengo l’università un’opportunità per i capaci e i meritevoli, ma vanno tutelati - continua il presidente della commissione - anche gli ignoranti incolpevoli, ossia i ragazzi che hanno frequentato una cattiva scuola. In che modo? Attraverso dei corsi di sostegno che faranno emergere quanti hanno voglia di impegnarsi. Purtroppo all’università viene chiesto di coprire anche le negatività generate dalla scuola, senza prevedere contributi. Mancando i corsi di sostegno - conclude il rettore della Luiss - poiché non possiamo abbassare la qualità, a pagare saranno i ragazzi ignoranti ma incolpevoli, cosa eticamente scorretta». Giulio Benedetti _______________________________________________________________________________ Repubblica 24 gen. ’03 ANCHE L’ITALIA AVRÀ LE SUE OPEN UNIVERSITY: LAUREE ONLINE Tra gli emendamenti alla Finanziaria recentemente approvata, ce n’è stato uno che, una volta tanto, non comporta uscite di cassa e necessità di copertura: quello che ha creato la possibilità di introdurre anche in Italia la cosiddetta «open university». Si tratta dei corsi universitari che non necessitano della frequenza fisica. Fino a pochi anni fa erano corsi per corrispondenza, ma ormai si tratta quasi solo di lauree online. Adesso manca solo che il ministero dell’Università e della Ricerca, di concerto con quello dell’Innovazione, vari i regolamenti e poi l’Italia potrà voltare pagina. In effetti la carenza legislativa ha finora bloccato ogni iniziativa in questo settore e le uniche opportunità per quanti vogliano conseguire una formazione universitaria online, perché non possono frequentare corsi tradizionali, si dovevano rivolgere a «prodotti» inglesi, poco mirati alle esigenze del nostro mercato e senza valore legale. E per il lancio della prima «open university» italiana è ora solo questione di settimane. La prima iniziativa è già pronta: è la Libera Università in Rete Guglielmo Marconi, che funzionerà come una vera e propria community online. (s.c.) _______________________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 22 gen. ’03 SARDEGNA: LE SCUOLE SUPERIORI PEGGIORI D'ITALIA Indagine sui test di ingresso in Medicina: Cagliari all'ultimo posto 20 gennaio 2003 Alberto Marcìa CAGLIARI. Nel Sud d'Italia si studia poco e male: finora era solo una sensazione, affidata a indizi indefiniti e sempre esposti all'accusa di "razzismo". Ora però questa scomoda percezione diventa un dato. Per la prima volta un'indagine - che è al di sopra di ogni sospetto perché proviene proprio dal Sud-Isole, precisamente dalla Sardegna - scandaglia in modo statisticamente significativo le proporzioni del fenomeno, addirittura lo quantifica. Le scuole medie superiori sarde, in particolare quelle di Cagliari, ne escono con le ossa rotte: sarebbero tra le peggiori d'Italia, battute - si fa per dire - soltanto dagli istituti per l'istruzione secondaria di Catanzaro, città desolatamente ultima in una graduatoria che fotografa il bacino d'utenza di 31 università italiane. Il dato, bruciante come uno schiaffo, emerge dalla ricerca- shock che l'ufficio statistica dell'ateneo cagliaritano ha appena concluso. «L'idea che ha dato vita alla ricerca - dicono Maurizio Corda e Daniela Zuddas, che l'hanno condotta diretti da Sebastiano Caria - è nata da una semplice osservazione: in ogni università italiana, gli studenti aspiranti a iscriversi in facoltà di Medicina debbono superare un esame di ammissione strutturato per quiz, 80 domdande in tutto, e diviso in quattro sezioni (logica e cultura generale), biologia, chimica, fisica e matematica). Poiché i quiz sono per tutta l'Italia gli stessi, ecco a nostra disposizione un termometro diretto e obiettivo (gli esiti di questo piccolo esame) per valutare la situazione e le prospettive della cultura nel Paese». Così la ricerca dell'ateneo cagliaritano ha preso in considerazione la selezione per Medicina del 2002, svoltasi a settembre, con risultati relativi agli elaborati di 21.399 candidati, distribuiti fra 31 sedi universitarie nazionali (su un totale, fra quelle dotate di facoltà di medicina, di 41). Il campione, pertanto, riguarda il 75,6 per cento delle università italiane con facoltà di medicina. Balza prima di tutto agli occhi, amara, la conferma del tradizionale divario fra Nord-Centro e Sud- Isole, dato che la prima metà della graduatoria è per intiero impegnata da città del polo "alto", mentre Roma-Tor Vergata è soltanto sedicesima e tutte le città del Sud-Isole si affollano in coda. Come migliori si impongono gli studenti di Milano Bicocca, che può vantare la popolazione scolastica mediamente più preparata d'Italia; subito dopo vengono Perugia, Udine, Verona, Torino; Bologna- Alma mater è decima, Firenze diciassettesima. Sassari ha il 22º posto e, benché senza sfolgorare, largamente precede la sua rivale di sempre, Cagliari, che è 'solo' trentesima. Come leggere, noi sardi, il dato, che soprattutto per Cagliari è pesantissimo? Ma più ancora, poiché esso è sintomo di un male evidentemente profondo che affligge la scuola sarda, come curarlo? Non potremo cavarcela incolpando regolamenti e leggi dello Stato, a spiegare la vistosa disomogeneità fra i risultati sardi e quelli altrui, perché regolamenti e leggi sono, come già i quiz di ammissione a Medicina, per tutti gli stessi. Dove stanno le responsabilità locali, quelle che contano? Impossibile non guardare alla scuola ma anche, assieme, all'ambiente familiare e più in generale culturale, vorremmo dire antropologico, nel quale i nostri studenti - i nostri professionisti di domani - sono immersi. Dovremo forse cambiare leggi, ma certo anche mantalità. Ci occorre una mea culpa sincero, non uno scarica barili di rito: è in causa la credibilità - la capacità competitiva - non di un certo numero di ragazzi mal preparati, ma della Sardegna. Con loro a fallire siamo noi tutti, genitori e insegnanti, che non riusciamo a metterli al passo col presente, in una realtà di mercato sempre più aperta e dura. Benché insufficiente, un rimedio provocatorio potrebbe essere la maggiore severità negli esami universitari, così da costringerci al recupero, almeno in parte, del drammatico svantaggio accumulato nei confronti dei competitors delle altre regioni: in effetti Cagliari, a lungo, ha provato a battere questa via, essendo considerata l'università italiana con meno laureati in rapporto agli iscritti. Ma è acqua passata, e il trend rapidamente tende a rovesciarsi. Le università, ormai trasformate sotto la spinta dei tempi in aziende (molto imperfette), hanno oggi i loro bei problemi di "produttività", che nel caso specifico significa "numero di laureati": sono problemi vitali, perché una magra produttività, ovvero pochi (quand'anche eventualmente molto buoni) laureati, automaticamente si traduce in magri finanziamenti pubblici. Ma senza finanziamenti - senza ossigeno - l'università non solo funziona male ma non funziona. Da qui la angosciata inesorabile tendenza, confessata o meno, a "produrre", cioé a promuovere il più possibile, quale che sia il costo: la minor qualità. Chiuso il 1999 con 2.200 laureati, Cagliari ne ha licenziato 2.600 nell'anno successivo e 3.300 nel 2001, mentre il 2002 si è chiuso per le varie facoltà cagliaritane con un totale di 3.400 lauree, a fronte di un numero di iscritti, circa 39.000, praticamente costante nei quattro anni considerati. Sebastiano Caria, direttore dell'Ufficio statistica dell'Università di Cagliari precisa che, «per quanto spiacevole, sentiamo il dovere di rendere pubblici i risultati del nostro studio, gettando il sasso nello stagno. Intendiamo favorire, al di là di meschini e perniciosi orgogli campanilistici, una presa di coscienza la più ampia possibile del problema, della sua urgenza e gravità». _______________________________________________________________________________ La Stampa 21 gen. ’03 L´ISTRUZIONE INGLESE DOPO LA CURA THATCHER: UN DISASTRO Si dica tutto il male o il bene o il nulla dell'Università italiana e si troveranno gli accordi e i disaccordi più disparati, sensati o bislacchi, con il richiamo di volta in volta a questo o a quell'altro modello. Ma, per favore, cancelliamo una volta per tutte il mito dei risultati positivi ottenuti dalla Thatcher: sarebbe auspicabile smetterla con le frottole da far credere alla gente che non può o non vuole controllare. Il signor Viale (in una lettera pubblicata in questa rubrica il 17 dicembre) scrive: «Oggi, come effetto di quelle scelte, l'università britannica è l'unica capace di competere con quella statunitense». Gli consiglierei la lettura di ben due articoli, a pag. 12 e a pag. 35, di The Economist del 16 novembre 2002 dedicati al tema «The ruin of Britain's universities» e dove si argomenta sul «disaster of Britain's universities». Se poi qualcuno desidera altre prove degli effetti positivi sulla società inglese di quella che non esito a definire «l'idiota di ferro», provi a usare i trasporti pubblici del Regno Unito, viaggi sulla metropolitana di Londra, si giovi del sistema sanitario inglese nello stato in cui è ridotto, oppure consideri il penoso livello di educazione degli studenti alla fine della High School di Sua Maestà. Il sistema educativo, il sistema sanitario e quello dei trasporti (poca cosa, vero?) sono nettamente peggiorati dopo la politica della Thatcher e dei successori (e mi pare che non si cambi per nulla strada): questo naturalmente per la stragrande maggioranza della popolazione, il resto (molto piccolo) viaggia in macchina privata con autista, manda i figli nelle esclusive scuole buone e si paga le migliori e più costose cure. Prof. Franco Montanari Università degli Studi di Genova =========================================================== ______________________________________________________ L’Unione Sarda 31 Gen.03 POLICLINICO SOLUZIONE PROVVISORIA PER SALVARE I 78 LAVORATORI INTERINALI CAGLIARI. È salvo, per ora, il posto dei 78 "interinali" che lavorano al Policlinico universitario. Chi non potrà più beneficiare di un contratto a tempo (vale a dire chi ha superato i due anni di occupazione) verrà assunto a tempo determinato sino al 30 aprile prossimo, con la stessa qualifica ricoperta sinora. Gli altri proseguiranno per un periodo di due mesi, con un contratto di lavoro temporaneo con la ditta esterna "Manpower". La soluzione è emersa ieri nel corso di un incontro organizzato dalla Cisl Università e dall’Alai Cisl (Associazione lavoratori atipici), cui ha preso parte il direttore amministrativo del Policlinico, Ennio Filigheddu. I lavoratori che operano da tempo nell’ambito del "lavoro temporaneo" ricoprono le mansioni di ausiliari, amministrativi e infermieri professionali che, di fatto, hanno contribuito negli ultimi tempi a garantire la piena operatività di una struttura che conta, nel complesso, 475 dipendenti di ruolo. Si è parlato delle difficoltà economiche in cui la struttura sanitaria dell’Università è costretta ad operare, anche per i ritardi, da parte della Regione, nei rimborsi delle prestazioni sanitarie effettuate a Monserrato. L’assessore alla Sanità, Giorgio Oppi, si è impegnato di recente a sbloccare 3,5 milioni di euro per il Policlinico, i cui crediti verso l’amministrazione regionale sono comunque di gran lunga superiori. Quanto al lavoro interinale, i contratti in scadenza sono 33 su 78. Passati 24 mesi, non è più possibile alcuna proroga per i singoli pena, per l’azienda, l’obbligo di assunzione. Come fa notare il segretario di ateneo, Tomaso Demontis, "la Cisl Università, da tempo, ha proposto la cessazione dei rapporti di lavoro interinale e l’effettuazione di una selezione pubblica che tenga conto dell’esperienza maturata anche nella forma del lavoro temporaneo". Dall’incontro con il direttore amministrativo è scaturito che i lavoratori per i quali non è più possibile proseguire nel rapporto di lavoro interinale verranno assunti a tempo determinato per tre mesi (fino al 30 aprile 2003), con la stessa qualifica. Gli altri proseguiranno per un periodo di due mesi, con un contratto di lavoro temporaneo con la ditta "Manpower". Una soluzione comunque provvisoria, che verrà superata con l’indizione di un bando pubblico per una selezione per titoli. Demontis e Fabrizio Carta della Cisl Alai chiedono che, in ogni caso, "si tengano in debita considerazione le aspettative di chi da anni contribuisce al buon funzionamento di una struttura così importante per la ricerca e l’assistenza come il Policlinico universitario di Cagliari". ______________________________________________________ L’Unione Sarda 28 Gen.03 IN UN CONVEGNO IL POSSIBILE “MATRIMONIO” TRA OSPEDALE E UNIVERSITÀ Policlinico in lista d’attesa Mistretta: noi siamo pronti. Oppi: il Consiglio decida Medici universitari e ospedalieri possono e devono convivere sotto lo stesso tetto. Serve, però, un protocollo d’intesa subordinato all’approvazione, in Consiglio regionale, del piano di razionalizzazione del servizio sanitario. L’ha spiegato Giorgio Oppi, assessore alla Sanità, concludendo ieri sera un affollato convegno organizzato ai Riformatori sul tema “Ospedale/Università, un matrimonio possibile”. Dopo l’introduzione dei consiglieri regionali Massimo Fantola e Pierpaolo Vargiu, Giulio Steri, ex assessore alla Sanità e avvocato dello Stato, ha spiegato come gli ultimi sviluppi normativi - le linee guida nazionali introdotte nell’agosto 2001 - siano al centro di un ricorso alla Corte costituzionale delle Regioni Lazio e Lombardia. La Sardegna potrebbe «forzare la mano, legiferando», ha detto Steri. Ancora non l’ha fatto. Un clima di incertezza che tiene calde le polemiche tra universitari e ospedalieri. «Il matrimonio va celebrato, serio e rapido, perché altrimenti si invecchia», ha detto il rettore Pasquale Mistretta. «Noi non abbiamo dubbi. Sia chiaro, potremmo andare avanti da soli, ma siamo per l’azienda mista, dove», ha aggiunto Mistretta, «non ci siano signori e servitori, medici di A e B, come sento dire. Io la penso così: pari dignità, di carriera e di orari». Giuseppe Ortu ha portato l’esperienza del San Giovanni di Dio, «culla della sanità sarda dove la collaborazione universitari-ospedalieri produce qualità». Ma Franco Tiddia, rappresentante dei primari ospedalieri, ha detto che «di fatto siamo stati noi a subire le carenze dell’Università. Noi, e sottolineo noi, siamo sempre stati umili. Diciamoci le cose: non è che qualcuno», ha polemizzato Tiddia, «stia pensando al San Giovanni di Dio come a un deposito di posti letto da svuotare a favore del Policlinico? Se così fosse, ditecelo». Per Gavino Faa, preside di Medicina, «l’azienda Università-Ospedale va fatta. Per i cittadini. Per la ricerca. Per la formazione». La Giunta, ha spiegato Oppi, tra le due soluzioni possibili, preferisce un’azienda mista con il controllo regionale. «Ma siamo aperti al confronto». E. D. ______________________________________________________ La Nuova Sardegna 31 Gen.03 AZIENDE MISTE. OSPEDALIERI: ECCO LE CONDIZIONI La marcia verso l'accordo Regione-Università per il controllo delle nascenti Vargiu: "Bisogna invitarli al tavolo delle trattative" Sanità di serie B se si ritarda ad avviare l'agenzia regionale a. s. CAGLIARI. Matrimonio Università Regione per far nascere l'azienda mista che gestirà formazione e crescita professionale degli operatori sanitari: si è capito che lo scoglio è il coinvolgimento del personale ospedaliero. Se l'Università accetterà davvero di riconoscere anche gli onori, oltre gli oneri, agli ospedalieri indispensabili per mandare avanti l'azienda, il matrimonio si farà, altrimenti il rischio di insuccesso è altissimo. Il segnale arriva da Sassari: gli ospedalieri del Santissima Annunziata (1.100 posti letto che l'università vorrebbe requisire in larga parte) si sono rivoltati al punto da bloccare la trattativa e a Cagliari fanno sapere di essere pronti alla ribellione. Ma secondo Pierpaolo Vargiu presidente della Federazione dei medici, per evitare questo il passo da compiere è persino facile. Vargiu cita la metafora del collega anestesista Giovanni Maria Spanu che alla riunione pubblica promossa dai Riformatori ha detto "se matrimonio deve essere non possiamo fare come nell'Ottocento dove il pretendente andava dal padre della sposa ed era lui a decidere". In altre parole: "Non deve succedere che gli universitari vadano dall'assessore senza che gli ospedalieri non vengano ascoltati direttamente. E non c'è dubbio che non si andrà avanti - sottolinea Vargiu - finché non si considerereranno gli ospedalieri come coprotagonisti della trattativa. Finora gli ospedalieri sono riusciti a parlare solo attraverso i comunicati stampa". Lei cosa suggerisce. "Di convocarli". Attraverso quali rappresentanze? Sindacati, associazioni? "Un sindacalista degli ospedalieri con un avvocato esperto di diritto sanitario potrebbero ben sedere a un tavolo tecnico. D'altronde, le volontà si sono già formate. Al forum e al referendum organizzati nel sito Internet dei Riformatori, gli ospedalieri sassareri hanno usati toni durissimi verso gli ospedalieri e si sono espressi per il no, da Cagliari i toni erano interlocutori, preoccupati, ma c'è un esperienza diversa di rapporti con l'università e in larga parte l'idea dell'azienda mista viene accolta. Il problema, ripeto, sono le condizioni a cui gli ospedalieri dovranno eventualmente lavorare. Comunque, credo che ci siano buone speranze". Che i medici si arrendano? "No, che discutendo si arrivi a formare quest'azienda mista. L'avvocato dello Stato (Giulio Steri) ha chiarito infatti che bisogna fare un accordo quadro per i rapporti Regione-Università e questo deve passare in consiglio regionale dove possono confluire le istanze di tutti. Nella commissione regionale i problemi sollevati in queste settimane sono ben presenti e in questi giorni se ne sta discutendo. Si è cominciato a parlare dell'azienda mista, Forza Italia ha chiesto un rinvio perché deve capire le posizioni interne, quindi martedì si discuterà del protocollo". Si dice che la trattativa con l'università sarebbe più semplice se si affrontasse la riorganizzazione della rete ospedaliera. "Lo si sta facendo, la razionalizzazione della rete ospedaliera in cui la giunta ha suggerito gli indirizzi per i protocolli con l'università è in discussione in commissione, ma è un documento che recepisce la legge nazionale, mentre noi in Sardegna siamo senza piano sanitario e non ce ne potrà essere uno fino a quando non ci sarà uno strumento tecnico scientifico che studi i problemi". L'agenzia? "L'agenzia. La legge è passata in commissione bilancio, stiamo risolvendo le questioni sollevate dalla commissione riforme, in venti giorni speriamo approdi in aula. E' uno strumento indispensabile". Si teme che sarà un carrozzone. "Abbiamo chiesto che venga estraniata dai problemi tra maggioranza e minoranza. Per evitare strumentalizzazioni abbiamo chiesto che possa partire dal primo giorno della prossima legislatura. L'agenzia deve essere un organo tecnico di riferimento per conoscere la richiesta di salute da parte dei cittadini, per sapere quali sono i problemi in relazione al territorio, per sapere cosa si fa nel resto d'Italia e all'estero e tutto quello che serve per indirizzare le scelte. Oggi in giunta si parla dello scorporo di Oncologico e Microcitemico. Nessuno però sa dire con esattezza che impatto avrà sul sistema sanitario, se avrà problemi di bilancio, se serve accorpare anche il Binaghi. Non ci sono termini tecnici di riferimento". Si va a sentimento. O a clientele. "Si sa che lo scorporo degli ospedali ovunque ha funzionato. Ma non c'è nessuno che abbia studiato se questo in particolare funzionerà. L'agenzia serve soprattutto oggi: col federalismo ci vuole un ripensamento della politica sanitaria. Che sia urgente lo vediamo ogni giorno che passa". Faccia un esempio. "Sul Sole 24 Ore è stato annunciato che la Sardegna è una delle cinque regioni inadempienti sulla premialità. La Sardegna prenderà i soldi dal bilancio per pagare la sanità, in altre regioni se li sono andati a cercare coi ticket a ricetta e a prestazione, con i ticket al pronto soccorso, con la concorrenza pubblico-privato. Da noi questa è impossibile con le strutture accreditate lasciate nella sofferenza economica. Come fa un privato a investire in tecnologie se paga il personale con mesi e mesi di ritardo causa i ritardi dei trasferimenti regionali? Le strutture accreditate dovrebbero essere pagate non oltre 60 giorni dopo la scadenza. Invece ne passano anche 280". ______________________________________________________ La Nuova Sardegna 29 Gen.03 AZIENDA MISTA: OSPEDALIERI IN ALLARME: RAPPORTO IMPARI CON L'UNIVERSITÀ? Un protocollo per garantirci» Convegno Riformatori L'assessore Oppi dice: 'Per accelerare i tempi tecnici al lavoro per studiare lo schema' Alessandra Sallemi CAGLIARI. La cittadella delle scienze mediche a Cagliari avrà quattro pilastri (Monserrato, San Giovanni di Dio, clinica Aresu e complesso pediatrico) e sarà gestita secondo lo schema dell'azienda di tipo B, dove il direttore generale è di nomina regionale e dove carriere, remunerazioni nonché organizzazione del lavoro saranno regolati «in pari dignità» nel protocollo. Questo è emerso all'(affollato) incontro pubblico con presidi di facoltà e assessore alla sanità promosso dai Riformatori. L'assessore ha preso anche un impegno in più: da qui al giorno in cui il consiglio regionale licenzierà la proposta della giunta sui nuovi rapporti tra sistema ospedaliero e apparato universitario una commissione di tecnici lavorerà alla stesura di un protocollo, in modo da averlo pronto appena saranno maturate le decisioni politiche. Resta da vedere quanto ci metterà a nominare i tecnici. L'incontro introdotto da Pierpaolo Vargiu e presieduto da Massimo Fantola, di fatto è stato il primo appuntamento pubblico su un argomento mille volte affacciato da ospedalieri e universitari, ma sempre sul filo delle indiscrezioni e dei «si dice». La proposta della giunta regionale per l'azienda mista con l'università è contenuta nel progetto di razionalizzazione della rete ospedaliera. Tutti i reparti ora a gestione universitaria lasceranno il Marino, il Santissima Trinità, l'Oncologico, forse anche il Binaghi e confluiranno nella cittadella. Unica eccezione al Microcitemico: i reparti universitari non si sposteranno dall'ospedale delle talassemie perché c'è in ballo l'ipotesi di istituire un Irccs, istituto di ricerca e cura di alta specialità finanziato dallo Stato, promesso a Pesaro, ma al momento in bilico tra Pesaro, Roma e Cagliari. Dalla serata si è capito che l'Università ha bisogno di un rapporto stabile col sistema ospedaliero perché le due facoltà sarde rischiano di uscire dai circuiti della formazione universitaria di buon livello se non daranno ai corsi la struttura organizzativa indicata dalle leggi nazionali e comunitarie. Gli ospedalieri, invece, hanno manifestato i timori sul «matrimonio» con l'Università: c'è l'esempio felice (loro lo definiscono così) del San Giovanni di Dio, «vero laboratorio» della convivenza tra universitari e ospedalieri, ma ci sono anche le storture nei rapporti che finora nessuna convenzione ha tentato di correggere. Come gli ospedalieri che tengono lezioni all'università perché «professori a contratto», ma in maniera assolutamente gratuita; come gli universitari che pur avendo obbligo di prestare un certo numero di ore di assistenza ai pazienti, si sono tenuti fuori dalle guardie notturne e festive. La preoccupazione è che il nuovo rapporto creato dalla nascente azienda mista aggravi ulteriormente questo dichiarato «sfruttamento» verso gli uni da parte degli altri. I presidi di facoltà, il rettore dell'università cagliaritana, l'assessore hanno preso l'impegno ad avviare rapporti corretti e l'assessore ha indicato nell'azienda di tipo B (la legge ne prevede due, A a prevalenza universitaria e B a ossatura mista) la struttura necessaria per dare spazio alle aspettative di tutte le figure professionali coinvolte. Chi conosce le leggi spiega che le garanzie da parte dell'assessore in questo argomento contano parecchio perché la legge (805 del 1991) dà libertà organizzativa alle regioni. E proprio sulla base di questa legge, l'assessorato alla sanità sta marciando verso lo scorporo degli ospedali Microcitemico, Oncologico e Binaghi ed è vero anche che, da qui alla nascita dell'azienda mista, potrà fare qualcosa per rimediare a qualche problema: «Nelle cliniche universitarie a gestione diretta - ha dichiarato all'incontro che si intitolava «Ospedale-università un matrimonio possibile» - posso modificare i provvedimenti di accredito (per esempio togliendo posti letto inutili e assegnandoli alle discipline in cui servono), nelle strutture convenzionate posso aggiornare le convenzioni modificando i numeri dello schema di partenza». Il bisogno di uno svecchiamento nei rapporti tra sistema universitario e attività ospedaliere è stato chiarito dall'avvocato dello Stato Giulio Steri: in fondo il sistema delle convenzioni tra le due entità fino a qualche lustro fa era regolato su una legge del 1890, con aggiunte portate nel 1924. E' stato soltanto con la riforma De Lorenzo-Bindi che si sono introdotti i rapporti regolati da protocolli dove è ampio il margine di libertà per modellare l'organizzazione sulla soluzione dei problemi locali. La distinzione tra aziende di tipo A e di tipo B appartiene alla legge 517 (Bindi), in Sardegna la scelta per il tipo B sarebbe obbligata: se gli universitari dovessero gestire in esclusiva i quasi mille posti letto assegnati dai calcoli di legge, questi dovrebbero essere tolti agli ospedali. Dove finirebbero gli esuberi? Nei policlinici di tipo A, questi sì saldamente condotti da una dirigenza tutta universitaria. Infine, Steri ha ricordato che il tipo A e il tipo B dovevano essere sperimentati per arrivare, alla fine, a un modello unico del tutto convincente. ______________________________________________________ La Nuova Sardegna 29 Gen.03 «AZIENDA MISTA? NO, IL FUTURO È IL POLO OSPEDALIERO» I sindacati medici attaccano la Regione SASSARI. È ancora polemica sulla sanità. Le organizzazioni sindacali (Fesmed- Acoi, Fesmed, Uil Fpl Medici, Cisl medici, Cumi-Aiss, Nuova Ascom, Cimopo Sassari, Snr, Anpo, Snabi-Sds, Aaroi) dei medici dell'ospedale protestano contro la nota dell'assessorato regionale alla Sanità con la quale si impone lo stesso codice identificativo alle strutture sanitarie di Sassari, nonostante operino all'interno di entità amministrative assolutamente distinte quali sono l'Università e l'Azienda Usl 1. «Ci siamo già espressi anche in passato sull'argomento - affermano i rappresentanti - e si ricordiamo che le strutture universitarie non sono mai state parte integrante del presidio ospedaliero di Sassari, ma hanno sempre operato e continuano ad operare sul versante assistenziale esclusivamente in regime di convenzione. Il nostro disappunto è ampiamente giustificato: è infatti la seconda volta che il nostro assessorato alla Sanità presuppone una inesistente forma di unificazione. Se questa è una premessa alla strutturazione in Sassari di un'unica azienda mista ospedaliera-universitaria, pensavamo che questa soluzione anomala fosse ormai accantonata, viste anche la palese impraticabilità sul piano legislativo e le legittime obiezioni delle componenti sindacali e dei singoli medici ospedalieri, che si sono opposte massiciamente. Per uscire una volta per tutte da una situazione confusa e poco funzionale ai fini assistenziali, riteniamo che i tempi siano maturi perchè il presidio ospedaliero venga configurato in Azienda ospedaliera autonoma, analogamente a quanto già fatto a Cagliari. Questa soluzione consentirebbe innanzitutto l'identificazione di una struttura sanitaria deputata esclusivamente ad erogare prestazioni sanitarie ospedaliere di livello elevato; inoltre, favorirebbe l'ottimizzazione dell'utilizzo delle risorse umane che si tradurrebbe in un più razionale utilizzo delle risorse finanziarie e nella crescita del polo sanitario di Sassari come fisiologico punto di riferimento della sanità del centro-nord della Sardegna. Contestualmente le strutture sanitarie dell'università potranno legittimamente rivendicare la libertà di operare nelle loro finalità di istituto, integrate con l'azienda ospedaliera e con l'Azienda Usl mediante adeguati protocolli d'intesa. Confidiamo nel loro interessamento affinchè alla sanità ospedaliera di Sassari venga riconosciuto il ruolo che le compete come polo sanitario del Centro-Nord Sardegna. Per quel che ci riguarda, metteremo in atto, se il caso, tutte le forme di protesta democratica consentite». _______________________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 24 gen. ’03 «NON VOGLIAMO FINIRE SCHIAVI DEGLI UNIVERSITARI» Il responsabile regionale del sindacato dei primari Franco Tiddia lancia l'altolà per una pari dignità giuridica tra cattedratici e ospedalieri «La Regione può legiferare in campo sanitario: se vuole, può difendere i nostri diritti» CAGLIARI. Venderanno cara la pelle gli ospedalieri sardi «oggetto» di trattative in queste settimane, dove le istituzioni lasciano trapelare che si sta pensando a come fare per mettere su un'azienda mista che gestisca i policlinici universitari a Cagliari e a Sassari. Il nocciolo del problema sta nel concetto di «misto»: personale ospedaliero e personale universitario dovranno convivere per assicurare che nelle facoltà di medicina gli studenti imparino, la ricerca scientifica vada avanti e l'assistenza ai pazienti raggiunga i livelli adeguati. Per anni si è parlato di un protocollo che doveva essere messo a punto, stavolta sembra che si farà davvero. Perché secondo il preside di Medicina Gaetano Faa c'è una novità molto importante: «L'assessore ha manifestato la seria intenzione di affrontare il problema e, per la prima volta, le due università sarde si sono riunite lanciando un messaggio unitario». Franco Tiddia è il responsabile regionale dell'Anpo, l'associazione sindacale dei primari ospedalieri. Lancia un altolà: «Non saremo gli schiavi degli universitari. Vogliamo pari dignità. Altrimenti sarà il muro contro muro. Come a Sassari, dove l'università vuole cannibalizzare l'ospedale civile». Si può spiegare? «Quella è una struttura praticamente tutta ospedaliera, gli universitari sono pochissimi, ciononostante l'università l'ha chiesto per intero. C'è stata una reazione anche a livello politico e gli ospedalieri hanno detto chiaro: andatevene da un'altra parte. Diversa è invece la situazione del San Giovanni di Dio di Cagliari: questo è già molto clinicizzato, è naturale che passi sotto l'università. Non è naturale, però, che gli ospedalieri diventino gli schiavi del sistema...». Adesso sono schiavi? «Al San Giovanni la situazione è atipica perché è elevata la presenza ospedaliera e gli ospedalieri sono diretti dal management Asl. Con gli universitari c'è un rapporto di collaborazione. E infatti il San Giovanni, pur con tanti universitari, presenta dati di tipo ospedaliero: le degenze sono allineate alla media nazionale delle 7-8 giornate contro le 13-14 dei reparti a maggioranza universitaria, l'uso dei posti letto è del 104 per cento contro tassi di occupazione del 47 per cento a Sassari e del 56 in clinica medica a Cagliari». E il personale ospedaliero del San Giovanni pensa che sia «naturale» finire sotto l'università? «Qui sta il punto: non si deve finire «sotto» l'università. Vorrei tracciare un quadro dei rischi. I compiti dell'azienda mista saranno tre: didattica, ricerca, assistenza. Lo sa che gli universitari sono tenuti a dedicare non oltre il 50 per cento del loro tempo professionale all'assistenza ma ricevono più soldi degli ospedalieri che ci dedicano tutto il tempo? In cambio, quando noi ospedalieri facciamo attività tipicamente universitaria, come la ricerca, non veniamo pagati. Non c'è un universitario che faccia le guardie: di notte, nei reparti universitari, l'assistenza è assicurata dagli specializzandi. La struttura ospedaliera spende di più perché paga tutti quelli che lavorano: l'università, agli specializzandi, non da più di un milione e 800 mila lire al mese ma li impiega come se fossero dipendenti». Finora è andata così: dove la trovate, adesso, la forza di ribellarvi? «Ecco il punto: la Sardegna, come tutte le altre regioni, può legiferare in campo sanitario. Noi chiediamo che tra Regione e Università si configuri un rapporto giuridico dove ci sia pari dignità tra gli uni e gli altri. Lo sa che gli ospedalieri chiamati dall'università per insegnare non vengono pagati? Lo sa che se non ci sarà pari dignità di carriera per gli ospedalieri nell'azienda mista non ci esisterà prospettiva di migliorare lo stipendio e di accrescere le proprie responsabilità?». Dottor Tiddia, forse vedete troppo nero? «Legga il rapporto del 2001 della commissione parlamentare d'inchiesta sulla sanità. Sa cosa dice della legge 517, quella che introduce le aziende miste? Che si parla solo degli universitari. Gli ospedalieri non ci sono». La bozza di protocollo di cui si comincia a parlare quali orientamenti ha? «Ufficialmente non sappiamo nulla. Ma intanto avvisiamo che non ci sembra giusto finire a fare gli schiavi. Se ci misureremo con persone intelligenti sono sicuro che ci si capirà e si raggiungerà l'accordo. Altrimenti sarà il muro contro muro». Che non è nell'interesse di nessuno. E poi: voi sindacati dovreste essere convocati per trattare, gli spostamenti del personale sono materia sindacale, non potranno ignorarvi. «Sì che potranno, se vorranno. La 517 dice che le parti titolate a discutere del protocollo sono Regione e Università. Direttori generali e sindacati verranno ascoltati. Ma dopo». Alessandra Sallemi ______________________________________________________ La Nuova Sardegna 1 Feb.03 REGIONE: IL BILANCIO È FERMO, LA SANITÀ CROLLA Deficit fuori controllo, la Sardegna perde fondi del servizio sanitario nazionale La giunta rinvia ancora gli emendamenti alla Finanziaria 2003 CAGLIARI. Neanche ieri la giunta ha presentato gli emendamenti alla Finanziaria: l'esame è quindi di fatto rimasta bloccato. E la situazione si è ulteriormente aggravata: perché nell'assegnazione dei fondi del sistema sanitario nazionale la Sardegna ha fatto la figura del fanalino di coda, essendo quella che ha ottenuto il più basso incremento per il 2003 ed è l'unica che non ha ottenuto gli arretrati del 2001 (dovrà ripianare subito almeno la metà del deficit, pena la perdita dell'intera quota). In questa drammatica situazione finanziaria, il Centrodestra ha tenuto due vertici per cercare di superare le tensioni politiche interne, soprattutto nel rapporto tra Polo e Centristi, e per trattare di nuovo di poltrone: rimpasto di giunta e nomine negli Enti. Finanziaria. La commissione Bilancio ha lavorato solo poche ore ieri mattina (approvando altri due articoli) e rinviando a martedì, quando l'assessore Italo Masala dovrebbe presentare gli emendamenti annunciati da tempo: per soddisfare le richieste delle parti sociali (come imposto dagli alleati) la giunta deve reperire alcune centinaia di milioni di euro; ci sono grandi difficoltà. E Mario Floris (Udr) ha ribadito ancora che «così com'è non voteremo la Finanziaria». Le opposizioni di Centrosinistra hanno nuovamente accusato giunta e maggioranza di provocare ulteriori gravissimi ritardi. Di questo passo si andrà verso il terzo mese di esercizio provvisorio. Sanità. Cattive notizie da Fiuggi, dove si è svolta, per due giorni, la Conferenza Stato-Regioni, alla quale hanno partecipato il presidente della giunta Mauro Pili e l'assessore Giorgio Oppi. Nella ripartizione dei soldi del Fondo sanitario nazionale per il 2003, la Sardegna ha ottenuto un aumento del 2,8 per cento rispetto all'anno scorso: ma l'incremento è nettamente al di sotto della media di tutte le Regioni (+4,5 per cento) e l'isola si è piazzata all'ultimo posto, segno che i parametri sul livello di assistenza sono stati giudicati insufficienti. Non solo. Per gli arretrati del 2001, la Sardegna è una delle nove Regioni bocciate: per ora non riceverà un solo euro. Questo perché non ha ridotto il deficit (156 milioni di euro) e perché, non avendo ancora approvato la Finanziaria 2003, non ha potuto comunicare come intende ridurre l'indebitamento: ora dovrà coprire almeno la metà del deficit con fondi propri, pena la totale esclusione dalla ripartizione degli arretrati. Complessivamente, la Regione sarda - solo per la sanità - si trova nell'esigenza di recuperare al più presto qualcosa come 200 miliardi di vecchie lire: e ci sono già evidenti difficoltà per portare avanti la manovra finanziaria in tutti i settori. La sanità (la quota della Regione ha ormai superato quella del Fondo sanitario nazionale) assorbe già il 50 per cento del bilancio e ora dovranno essere reperite ulteriori risorse. Il vertice. Preceduta da forti tensioni sulla leadership presente e futura della maggioranza, sui tagli alla Finanziaria e sulle manovre centriste (l'ultimo caso è stato l'incontro col Psd'Az), ieri c'è stata una doppia riunione dei coordinatori e dei capigruppo del Centrodestra. All'incontro svoltosi in mattinata (che ha provocato il rinvio della seduta della commissione Finanze) ha partecipato anche il commissario di Forza Italia Romano Comincioli, il braccio destro di Silvio Berlusconi. E' stato innanzitutto affrontato il nodo del bilancio: Masala ha detto che solo nei prossimi giorni sarà in grado, conti alla mano, di presentare gli emendamenti. Se ne riparlerà martedì, e nel frattempo pendono le minacce di Floris, il quale però precisa: «Non siamo i soli». L'obiettivo principali del vertice era però quello di rinsaldare i rapporti all'interno della maggioranza, perché altrimenti sarebbe inutile - è stato detto - andare avanti con la Finanziaria. Tutti gli alleati (FI, An, Uc, Riformatori, Pps, Udr e Sardistas) hanno ribadito la loro adesione al Centrodestra, senza però negare - chi più chi meno - l'esistenza di non pochi problemi. I Centristi, reduci dall'incontro col Psd'Az che nei giorni scorsi aveva suscitato forti tensioni tra gli alleati, hanno detto di non voler puntare sul «terzo polo». E' stata posta l'esigenza di chiudere rapidamente la verifica politica, compresi il rimpasto di giunta (ma è stato smentito che siano state fatte delle ipotesi concrete) e le nomine negli enti. A questo proposito il lavoro del «comitato dei saggi» (Giorgio Oppi, Pietro Pittalis e Bruno Murgia) ha avuto l'avvallo anche se non ancora ufficiale: Forza Italia avrà le Autorità portuali di Cagliari (per Nino Granara) e di Olbia, An otterrà le presidenze dell'Arpa e dell'Agenzia sanitaria. I «saggi» dovranno ridiscutere il caso della Sogeal di Alghero. ______________________________________________________ La Nuova Sardegna 30 Gen.03 SASSARI: LA PROVINCIA ALLEATA DEI MEDICI SPECIALIZZANDI Il Consiglio si muove per aiutare gli specializzandi a uscire dal precariato a.baz. SASSARI. Le legittime aspettative dei medici specializzandi, la futura bonifica dell'officina della Polizia di Stato, la fatiscenza dell'edificio che ospita il commissariato di Ps a Porto Cervo. Sono i principali argomenti discussi dal Consiglio provinciale nel corso dell'ultima riunione. Giuseppe Fadda, consigliere diessino, ha coinvolto l'assemblea nella vertenza dei medici specializzandi che reclamano a gran voce il pieno riconoscimento del lavoro svolto nelle cliniche universitarie. "I medici specializzandi devono essere considerati a tutti gli effetti lavoratori, con i diritti e le garanzie che a questi spettano" ha esordito Fadda prima di illustrare una mozione sulla mancata attuazione del decreto 368/1999 che - recependo una direttiva europea vecchia di dieci anni - trasformerebbe le borse di studio in contratti di formazione lavoro. Un passaggio che permetterebbe ai medici di uscire dal precariato. Poiché neppure la Finanziaria 2003 prevede una copertura in tal senso, il decreto resta lettera morta. Il consigliere ds ha chiesto al presidente Franco Masala di promuovere un protocollo d'intesa tra Regione e Università. I consiglieri Uggias e Mundula (Margherita), Ortu (Psd'Az), Burrai (Udeur) e Pileri (Gruppo Misto) hanno appoggiato la mozione. Il consigliere Marrone (Riformatori) ha però suggerito l'aggiunta di un emendamento per il riconoscimento di una borsa di studio ai medici specializzandi nel triennio 1983/85, prevista dalla normativa europea ma ancora non percepita. La mozione così modificata è stata approvata all'unanimità. La seduta del Consiglio era iniziata con una interrogazione di Unida (An) sulla bonifica dell'officina della Polizia, in viale Sicilia. Il presidente ha informato il Consiglio su una serie di trattative in atto per l'acquisizione di nuovi locali per la Polizia nella zona di Predda Niedda. Il dibattito consiliare si è infiammato per la presentazione di una mozione da parte di Astore (FI) il quale - appoggiato dai compagni di partito Giudice e Conoci, nonché da Idda (Ccd), Manca (Cs), Satta (Udr), Pilo, Unida (An) e Marrone (Riformatori) - ha chiesto alla giunta di interessare gli organi competenti della situazione di disagio che si vive al commissariato di Porto Cervo a causa delle condizioni fatiscenti dei locali. L'opposizione ha motivato il voto contrario con il timore che l'eventuale trasferimento del commissariato ad Arzachena priverebbe Porto Cervo di un presidio importante, soprattutto nel periodo estivo. La mozione è stata approvata a maggioranza ______________________________________________________ La Nuova Sardegna 30 Gen.03 "AL MICROCITEMICO LA SCUOLA DELLE TALASSEMIE" La Regione scrive al ministero per candidare l'ospedale sardo Alessandra Sallemi CAGLIARI. La Regione ha candidato l'ospedale Microcitemico a diventare la Scuola delle Talassemie che il ministro Sirchia voleva assegnare a un ospedale di Pesaro e che, là, ha provocato la rivolta della Usl. Una lettera dell'assessore presenta al ministero i dati sul Microcitemico (indicato dall'Organizzazione mondiale Sanità punto di riferimento internazionale per cura e ricerca sulle talassemie) e dichiara la disponibilità della Regione ad accogliere il centro. Fine delle polemiche, inizio dell'attesa: molleranno Pesaro e Roma recente candidata? Scuola delle Talassemie è la definizione ormai entrata nella cronaca, ma la veste giuridica nuova che è stata chiesta per il Microcitemico è quella dell'Irccs, istituto di ricerca, ricovero e cura, centro di alta qualificazione che diventa autonomo rispetto alla gestione sanitaria corrente sia universitaria che ospedaliera e che vive con i finanziamenti del ministero e della Regione. Larga parte degli ambienti medici ripete da anni che, per il Microcitemico, si tratta di un riconoscimento dovuto: tre anni fa un convegno regionale della Cimo, il sindacato dei medici ospedalieri, illustrò la novità degli Irccs e indicò nel Microcitemico una istituzione con tutte le caratteristiche richieste dalla legge per essere trasformato in ente pubblico che si occupa di ricerca, di cura, di didattica. L'Irccs vive una vita propria sotto ogni aspetto, le scelte e le responsabilità sono in capo a un presidente e a un consiglio di amministrazione, la nomina di queste figure è in parte ministeriale e solo in parte regionale. In fondo, dal punto di vista politico (spiegano gli esperti) è un grande sforzo chiedere un Irccs perché la Regione rinuncia a un potere completo (di nomina, di controllo ecc.) e accetta di finanziare attraverso i drg (le tariffe stabilite per ciascuna prestazione) un'entità che vive di luce propria. Per i finanziamenti l'Irccs pesca (parecchio) anche dal ministero su vari capitoli del bilancio sanitario. Probabilmente l'operazione presentata come possibile è diventata volontà politica quando si è vista l'opportunità eventualmente prodotta dal Microcitemico trasformato in Irccs: un istituto del genere può essere collegato anche ad altri ospedali e infatti esiste un'ipotesi di imminente valutazione da parte della giunta regionale di abbinare al Microcitemico l'ospedale Oncologico e formare così un'azienda ad alta specializzazione. Nulla trapela a proposito del terzo ospedale che si diceva dovesse entrare entrare nella nuova azienda: il Binaghi. Non è una proposta della prima ora. L'asse originario erano Microcitemico e Oncologico, l'aggiunta del Binaghi viene spiegata con la necessità di allestire un polo completo per cura e ricerca nel campo dei tumori, ma dal punto di vista politico la scelta non è pacifica perché crescerebbe la forza di un centro di potere, alla fine delle trasformazioni giuridiche impossibile da controllare completamente per la Regione. Forse quest'ultimo problema potrebbe essere risolto se il consiglio regionale imboccasse la strada della riorganizzazione completa di tutti gli ospedali sardi. Attraverso una legge che riscrive assetti, necessità, distribuzione, compiti dei vari ospedali isolani probabilmente si potrebbe alleggerire la grande influenza che non potrebbe non avere un istituto economicamente forte e politicamente lontano dalle vicende di casa nostra. Infine, che la volontà di scorporare Oncologico e Microcitemico sia quasi matura lo dimostra forse una circostanza: l'azienda avrebbe già un nome possibile, quello certo al di fuori delle parti di Francesco Cocco Ortu junior. ______________________________________________________ La Nuova Sardegna 29 Gen.03 GOZZO ENDEMICO, MALATTIA SOCIALE I disturbi della tiroide colpiscono il 25 per cento dei sardi Miuccio Farina OZIERI. Con una diffusione che tocca il 25 per cento nella popolazione sarda, il "gozzo endemico" è considerato una malattia sociale. Una caratteristica collegata alla carenza di iodio nel suolo, nell'acqua e quindi nella catena alimentare. I vari aspetti del problema sono stati esaminati in un convegno organizzato dall'Inner Weel e dal Rotary club nel centro culturale di San Francesco. La manifestazione ha visto nel ruolo di relatori i medici Gian Luigi Mastinu e Dino D'Elia dell'ospedale "Segni", il professor Andrea Loviselli dell'Università di Cagliari e il dottor Gianni Padula dell'ospedale di Alghero. Lo spunto per la discussione è stato offerto da una recente decisione degli assessori comunali Mario Canu (P.I.), Peppino Caburrosso (Servizi sociali) e Ottaviano Contu (Cultura) che introduce l'uso del sale iodato nelle mense scolastiche cittadine per attenuare gli effetti della carenza dell'oligoelemento nel territorio. I lavori sono stati introdotti dal dottor Gian Luigi Mastinu, endocrinologo, che ha illustrato l'importanza dello iodio nella funzionalità della tiroide. «Se manca lo iodio, ha detto, la tiroide aumenta di volume (il gozzo), quale risposta di adattamento al deficit e la successiva evoluzione (formazione di noduli, ipertiroidismo, ipotiroidismo) può essere considerata come la punta dell'iceberg che è costituita da una serie di condizioni e situazioni morbose, indicate come "disordini da carenza iodica". Negli anni 2000, tali patologie sono ancora presenti nella nostra regione e pertanto si spera che l'iniziativa assunta dall'amministrazione comunale di Ozieri venga imitata da altri enti locali». Il dottor Mastinu ha precisato che il fabbisogno giornaliero della sostanza è dell'ordine di 150 microgrammi, quantità indispensabile per il buon funzionamento della ghiandola, ma dev'essere innalzata in casi particolari come la gravidanza. «La severità del problema, ha detto il relatore, risiede anche nel fatto che la carenza iodica non è responsabile solo del gozzo (che talvolta è la manifestazione più appariscente, ma non necessariamente la più grave), ma anche patologie tiroidee e extra tiroidee, quali quelle che coinvolgono a vario grado la sfera neuro-psico-intellettiva». Da qui l'esigenza, a parere dell'endocrinologo, di incrementare la quantità di iodio assunto nella giornata con la dieta attraverso il sale iodato. Anche dal dottor Gianni Padula è venuto un apprezzamento per l'iniziativa promossa dall'amministrazione comunale cittadina al punto da dichiarare che" se altri comuni seguissero l'esempio, al tavolo operatorio arriverebbero meno patologie tiroidee». La discussione ha registrato interessanti domande da parte dell'uditorio. Un segnale dell'interesse generale dell'argomento trattato, ma anche richieste mirate a una corretta utilizzazione del sale iodato. Molti quesiti sono stati incentrati, ad esempio, sul costo e sulle controindicazioni del sale arricchito con iodio. La risposta dei relatori è stata univoca e rasserenante: il costo è superiore di circa 0,15 euro per chilo rispetto al sale comune e il sale iodato può essere assunto da tutti. L'esperienza introdotta in ambito locale nel corrente anno scolastico si basa su risultati già ottenuti in altre regioni (Trentino e Val d'Aosta) e diversi stati del mondo. ______________________________________________________ Le Scienze 30 Gen. 03 UNA SPERANZA PER IL DIABETE Modificati geneticamente embrioni di rana per incorporare un gene essenziale allo sviluppo del pancreas Alcuni biologi sono riusciti a convertire i fegati di girini in tessuto pancreatico capace di produrre insulina, e hanno avuto qualche successo anche nel convertire nello stesso modo cellule epatiche tumorali umane. La scoperta, descritta sulla rivista "Current Biology", potrebbe un giorno portare a una terapia genica per diabetici, il cui pancreas non produce abbastanza insulina. "Questo – ha spiegato Jonathan Slack, ricercatore dell'Università di Bath, in Inghilterra, che ha partecipato allo studio - non è solo una riprogrammazione dello sviluppo embrionico. Le cellule di girino stavano già diventando epatiche.” Per convertire le cellule, i ricercatori hanno modificato geneticamente gli embrioni di rana per incorporare una versione iperattiva di un gene essenziale alla formazione del pancreas. Il gene, chiamato Pdx1, è risultato attivo anche nel fegato degli animali. Le cellule modificate hanno dato origine a tutte le cellule che si trovano normalmente nel pancreas, comprese quelle produttrici di insulina. Un gene simile è stato usato per convertire cellule epatiche cancerose umane in altre pancreatiche. I ricercatori, tuttavia, avvertono che le cellule sane non possono essere facilmente coltivate in laboratorio. ______________________________________________________ La Stampa 30 Gen.03 BROTZU, IL MICROBIOLOGO PADRE DELLE CEFALOSPORINE IN CONDIZIONI DI RICERCA SPARTANE, RIUSCI´ AD ISOLARE A CAGLIARI UNA MUFFA CHE, PUR PROVENENDO DA SCARICHI FOGNARI, NEUTRALIZZA IL BACILLO DEL TIFO Mauro Ballero (**) NELLA ricerca farmaceutica il divario fra investimenti e risultati ha raggiunto livelli impressionanti, che ci dicono con chiarezza quanto sia difficile pianificare una scoperta scientifica. La maggior parte dei farmaci sono frutto del caso, di ipotesi poi rivelatesi errate, di incidenti di percorso, dell´ostinazione di ricercatori isolati: evidentemente tutti parametri difficili da «programmare». Proprio per questo, la scoperta di molti farmaci rivoluzionari ha talvolta risvolti romanzeschi. Lo dimostrano in modo esemplare le cefalosporine, la cui storia merita di essere raccontata anche perché tutta italiana, almeno negli inizi. Le cefalosporine sono antibiotici con un mercato di parecchi miliardi di dollari all´anno. Per certi versi sono analoghe alle penicilline, che hanno soppiantato nel trattamento di molte infezioni gravi. La scoperta delle cefalosporine è legata al chiarimento del cosiddetto «paradosso di Cagliari», una serie di osservazioni enigmatiche sull´incidenza del tifo in questa città. In seguito a una grave epidemia di tifo che colpì l´Italia nella seconda metà dell´Ottocento, il governo Crispi lanciò un programma di prevenzione delle malattie infettive che portò alle prime statistiche sanitarie nazionali. Per motivi climatici e per l´assenza quasi generale di sistemi di depurazione fognaria, l´incidenza del tifo era alta in tutte le città del Meridione. Cagliari faceva eccezione, con una mortalità da tifo che era solo un sesto di quella delle grandi città del Nord Italia. Il dato era sorprendente, perché a Cagliari mancava allora qualsiasi sistema di purificazione degli scarichi fognari, il principale veicolo dell´infezione tifica. Furono avanzate varie ipotesi per spiegare questa anomalia, inclusa quella che i sardi fossero geneticamente resistenti al tifo. Negli Anni Venti, il microbiologo Giuseppe Brotzu, originario del piccolo paese di Ghilarza, dimostrò tuttavia che a Cagliari il tifo resisteva ed era addirittura endemico. I numerosi portatori sani non «contaminavano» però il resto della popolazione, come provava il fatto che non erano mai state documentate epidemie di tifo a Cagliari. Brotzu notò che lo scarico fognario di Cagliari convogliava i liquami della città proprio nel porto di Su Siccu, dove la gente faceva comunemente il bagno e nelle cui acque inquinate venivano raccolti in abbondanza frutti di mare, un´altra delle principali vie di propagazione del tifo. Sulla base di questa osservazione, Brotzu si convinse dell´esistenza di una relazione paradossale fra l´acqua inquinata di Su Siccu e la bassa incidenza del tifo a Cagliari, ipotizzando la presenza di «antagonisti batterici» specifici in grado di combattere il bacillo del tifo. Negli ultimi anni della seconda guerra mondiale, lavorando in condizioni proibitive e nell´assoluta mancanza di mezzi, Brotzu isolò dall´acqua marina di Su siccu una muffa in grado di inibire la crescita della salmonella del tifo. Dalle colture di questa muffa identificata come Cephalosporium acremonium, Brotzu purificò una frazione a potente azione antibatterica, la cosiddetta «micetina Brotzu». Le condizioni in cui Brotzu lavorava erano incredibili. La penuria alimentare e materiale dei tempi lo costringeva alla più completa autarchia. Si ovviava all´assenza di carne preparando brodi di coltura con placente (i bambini continuavano a nascere anche durante la guerra!), si sterilizzava con autoclavi ed alcol, di solventi e reagenti sofisticati non se ne parlava neanche, e le prime sperimentazioni furono fatte non su animali di laboratorio, ma su Brotzu stesso e sui suoi collaboratori. I tempi erano quelli d´oro per la scoperta degli antibiotici, ma Brotzu non riuscì ad ottenere alcun supporto per le sue ricerche. Per il suo passato politico e per odi accademici, l´ostracismo nei suoi riguardi era compatto, al punto che, nel 1948, dovette addirittura fondare una rivista per riuscire a pubblicare i suoi studi. Il ricercatore sardo ebbe più credito all´estero, e la sua «micetina» capitò infine nelle abili mani dei chimici di Oxford. Il resto è storia nota. La cefalosporina C fece la fortuna dell´ente inglese per lo sviluppo industriale delle scoperte accademiche, e contribuì a porre le basi per l´ascesa della Glaxo ai vertici dell´industria farmaceutica. I risultati di Brotzu sono impressionanti soprattutto se paragonati all´enorme spiegamento di mezzi e uomini del contemporaneo progetto anglo-americano sulla penicillina e proprio per questo meriterebbero ampio riconoscimento. Su Siccu è oggi un porticciolo per appassionati di vela, e sul posto nessuna segnalazione ricorda la grande scoperta che originò dalla consuetudine dei cagliaritani di fare il bagno nelle sue acque allora inquinate o la tenace ostinazione di Brotzu nel chiarire «il paradosso di Cagliari». Sono state proposte varie ipotesi per spiegare perché la scienza sia sovente considerata una sorta di conoscenza esoterica associata a pratiche oscure, con uno iato tutto moderno fra sapere umanistico e sapere scientifico. Parte del problema è anche da ascrivere al fatto di considerare la scienza come qualcosa di globalizzato, avulso dal territorio e dal tangibile. Su Siccu non è un caso unico. Migliaia di persone visitano ogni anno Castel del Monte. Sicuramente ci sarà fra di loro qualcuna delle milioni di donne trattate con le antracicline per il tumore al seno. Nessuna guida dice loro che proprio davanti all´enigmatico castello di Federico II venne prelevato il campione di terreno da cui fu isolato lo Streptomyces peucetius, il microrganismo produttore delle antracicline cui molte di loro devono probabilmente la vita. [TSCOPY](*)Università del Piemonte Orientale (**)Università di Cagliari Giovanni Appendino (*)