LA RICERCA SI APPELLA A CIAMPI MORATTI: È UNA RIFORMA GLOBALE, DARÀ PIÙ RISORSE AL FUTURO DEL PAESE SONO DI SINISTRA, MA IL CNR DEVE ESSERE SMANTELLATO LA RIFORMA DEL CNR, LE PROTESTE, IL BENE DELLA RICERCA «LA MORATTI IMPORTA MODELLI IRREALIZZABILI IN SARDEGNA» MORATTI: RIFORMA COI FICHI SECCHI? RIFORME, LA FINTA VIA AZIENDALE CONFINDUSTRIA: "FONDI CERTI PER LA RICERCA" L’EUROPA: "PREOCCUPANTE LA SITUAZIONE DELLA RICERCA ITALIANA" RICERCA, MARCIA DELLE PROVETTE CONTRO I NUOVI ENTI UNIVERSITÀ, PERCHÉ L´AMERICA FUNZIONA MEGLIO P.PANI: INNOVAZIONE E TECNOLOGIE: SARDEGNA TRA MISERIA E NOBILTÀ SARDEGNA: AMMALIATI DALLA RICERCA AVANZATA ISOLA DEI CAVOLI: L'"INTELLIGENZA" DELL'ERBA SERPENTARA =========================================================== AZIENDA MISTA: IL GIUDIZIO DEL RETTORE DELL'UNIVERSITÀ DI SASSARI «AZIENDE SANITARIE GESTITE DAI COMUNI» ASL, IN SARDEGNA GLI STIPENDI PIÙ ALTI ROMA: TRAPIANTI, RICERCA, LABORATORI «LA SANITÀ DI ECCELLENZA C´È» «SUL PONTE PER IL POLICLINICO ASPETTIAMO CHIARIMENTI» I DS: TROPPI SOLDI ALLE CLINICHE PRIVATE MEDICI IN RIVOLTA: OSPEDALIERI E “ACCREDITATI” CONTRO LA REGIONE «PRESCRIVERE MORFINA È UN OBBLIGO MORALE» TUMORI, DA KILLER A MALATTIE CRONICHE UN BATTERIO A CACCIA DI FERRO CONSERVARE IL CORDONE OMBELICALE NON SERVE IL GENE DEL COLESTEROLO “BUONO” OMEOPATIA SOTTO ACCUSA: RIFIUTA I TEST SPERIMENTALI CHI NON SI RADE MUORE PRIMA =========================================================== ____________________________________________________ La Stampa 5 feb. ’03 LA RICERCA SI APPELLA A CIAMPI ROMA - Un appello a Ciampi. I ricercatori hanno deciso di rivolgersi al Capo dello Stato, per protestare contro la riforma Moratti. Diventa dunque ancora più clamorosa la protesta del 12 febbraio a Roma ribattezzata "provette a Montecitorio", che prevede la restituzione simbolica, davanti alla Camera, di strumenti di lavoro come provette e microscopi. Con la decisione di appellarsi al presidente della Repubblica, che sarà ufficializzata nelle prossime ore, "vogliamo sottolineare che il progetto di riordino del Governo altera le corrette procedure istituzionali" spiega Rino Falcone, presidente dell'Osservatorio sulla ricerca, promotore della manifestazione. "Il Governo ha approvato tre schemi di decreti legislativi senza attendere la fine dell'indagine conoscitiva in Parlamento. Così si disconosce il ruolo di Camera e Senato. Ma a Ciampi ci rivolgiamo - sottolinea Falcone - anche per sottolineare i dubbi di costituzionalità di provvedimenti che, secondo noi, rischiano di violare l'autonomia dei ricercatori". L'accusa alla riforma è di "ministerializzare e aziendalizzare la ricerca pubblica". La mossa dell'Osservatorio non è di poco conto: al di là delle obiezioni di tipo istituzionale, è certo che il Quirinale sta seguendo con molta attenzione il caso-ricerca. E il ricorso a Ciampi avrebbe, secondo i suoi fautori, un valore "non solo istituzionale - dice Falcone - ma anche etico e morale, perchè temiamo che vengano stravolti principi e valori consolidati del sistema pubblico della ricerca". Di segno opposto è il comunicato di ieri di Guglielmo Castagnetti, responsabile Ricerca di Forza Italia, che osserva come "sia sorprendente la rivolta a cui si assiste, fatta spesso da chi, fino a pochissimo tempo fa, sosteneva le riforme a tutti i costi". Tutto il settore rimane comunque in fermento, in attesa che i tre schemi dei decreti siano trasmessi in Parlamento alla commissione bicamerale per le riforme. All'interno degli enti c'è il tam- tam di voci su nomine e sostituzioni ai vertici. Il neocommissario del Cnr, Adriano De Maio, dovrebbe insediarsi nei prossimi giorni, ma il ministero dell'Università dovrà fronteggiare il ricorso al Tar che il presidente Lucio Bianco ha annunciato contro il suo allontanamento. Ieri, inoltre, la giunta esecutiva dell'Istituto nazionale di fisica della materia (Infm) ha respinto le dimissioni del presidente, Flavio Toigo, presentate venerdì dopo l'approvazione dei decreti che prevedono, tra l'altro, la trasformazione del l'Infm in un dipartimento del Cnr. L'istituto di fisica della materia sta mettendo a punto un documento che proporrà in sede politica, per l'elaborazione del testo finale del decreto, e in sede tecnica, per la definizione del modello di gestione dei dipartimenti. Per l'istituto, si legge in una nota, ci sono "alcune irrinunciabili priorità" considerate "vitali per l'effettivo potenziamento del sistema della ricerca nazionale". Tra i principali punti: continuità e potenziamento degli impegni internazionali, compresa la partecipazione al VI Programma Quadro dell'Unione europea, sviluppo e integrazione della rete di laboratori e centri ricerche di Infm e Cnr. La giunta ha respinto le dimissioni di Toigo e gli ha confermato "unanime fiducia, in vista di un'efficace concertazione con il ministero e il commissario del Cnr, nonchè con la vasta comunità di colleghi del Cnr e dell'università, che porti a un effettivo potenziamento dell'intero sistema della ricerca nazionale nell'immediato futuro". Proprio Adriano De Maio (si veda "Il Sole-24Ore di ieri), aveva confermato l'intenzione di rafforzare l'Infm e anzi di farne "un modello di riferimento per il Cnr". MARCO LUDOVICO ____________________________________________________ Corriere della Sera 4 feb. ’03 MORATTI: È UNA RIFORMA GLOBALE, DARÀ PIÙ RISORSE AL FUTURO DEL PAESE L’INTERVENTO di LETIZIA MORATTI * Caro Direttore, ho letto con interesse l’articolo di Francesco Giavazzi pubblicato sul Corriere della Sera di ieri. E accolgo volentieri l’invito rivoltomi nel titolo («Ministro Moratti, resista»), non prima di aver fatto una premessa: le preoccupazioni del ministro dell’Economia e delle Finanze, Giulio Tremonti, sono anche le mie. Sin dal mio insediamento ho infatti considerato la corretta allocazione delle risorse quale elemento fondamentale per dare efficacia ed efficienza al sistema della scuola, dell’università e della ricerca, per aumentarne la qualità, la produttività e le ricadute positive sulla vita dei cittadini e sulla competitività complessiva del Paese. Sia in sede nazionale che in sede europea abbiamo lavorato per stabilire le priorità e gli strumenti per raggiungere questi obiettivi. Il processo di revisione del sistema, che è intimamente collegato in tre settori, scuola, università e ricerca, richiede una visione unitaria. La ricerca ha bisogno di una buona università e non può esserci una buona università senza una scuola di qualità. Il punto di partenza è stata pertanto la riforma della scuola, con la legge sugli ordinamenti scolastici ora all’esame della Camera dei Deputati; il processo è proseguito, per quanto riguarda l’università, con l’insediamento della Commissione presieduta dal professor Adriano De Maio che in questi giorni ha ultimato i propri lavori; e per quanto riguarda la ricerca con interventi non rinviabili per rispettare gli impegni europei. Le prime emergenze che abbiamo dovuto fronteggiare sono state il VI Programma Quadro europeo e l’approvazione del Programma spaziale europeo. La bozza che ci era stata presentata dalla Commissione nel luglio 2001 non era per nulla rispondente agli interessi del Paese e in sede di approvazione siamo riusciti ad inserire aree e settori che erano stati del tutto esclusi: piccole e medie imprese, trasporti, elicotteristica, scienze marine, agro-industria, conservazione del patrimonio culturale, studio e prevenzione dei disastri naturali per la gestione del territorio, tematiche energetiche ad alto potenziale di sviluppo tecnologico ed impatto economico (celle a combustibile, idrogeno, fotovoltaico). Per quanto riguarda il Programma spaziale europeo l’Italia non giocava un ruolo da protagonista in nessuno dei settori strategici. Abbiamo per la prima volta invertito la tendenza in modo particolare concludendo con la Francia un accordo di reciprocità nel settore dei lanciatori, subordinando il nostro investimento nei grandi lanciatori francesi, Ariane, agli investimenti francesi nei nostri lanciatori Vega. Fronteggiate queste esigenze abbiamo predisposto le Linee-guida per la ricerca, approvate dal Governo nell’aprile 2002, identificando quattro assi strategici su cui concentrare le risorse: avanzamento delle frontiere della conoscenza; sostegno della ricerca orientata allo sviluppo di tecnologie chiave abilitanti a carattere multisettoriale; potenziamento delle attività di ricerca industriale e relativo sviluppo tecnologico, finalizzato ad aumentare la capacità delle imprese a trasformare conoscenze e tecnologie in prodotti, processi, servizi a maggiore valore aggiunto; promozione della capacità d'innovazione nei processi e nei prodotti delle piccole e medie imprese e creazione di aggregazioni sistemiche a livello territoriale. E’ all’interno delle Linee-guida che siamo quindi intervenuti con i provvedimenti di riordino degli enti pubblici di ricerca vigilati dal Miur, collocati prioritariamente sul primo e secondo asse strategico. Per quanto riguarda gli interventi effettuati attraverso i Fondi, l’azione del Ministero si è sviluppata su tre linee: 1) sostegno alla ricerca di base attraverso il potenziamento del Firb, Fondo investimenti ricerca di base, e dei Prin, programmi di ricerca di interesse nazionale all'interno delle università; 2) sostegno alla ricerca industriale; 3) interventi specifici nel Mezzogiorno. Per quanto riguarda il Mezzogiorno, il Ministero è titolare del Programma operativo nazionale per la ricerca scientifica e l’alta formazione, cofinanziato dai Fondi strutturali dell'Unione Europea. Gli investimenti complessivi previsti dal programma ammontano a 2.038 milioni di euro. Una specifica iniziativa innovativa che il Governo ha avviato è quella dei distretti scientifici e tecnologici specializzati. Finora sono state concretizzate due iniziative di questo tipo, una a Torino, nel settore wireless , e l’altra a Padova, nel settore delle nanotecnologie. In entrambi i casi, per la prima volta abbiamo attivato in ambiti territoriali ben definiti tutte le forze locali interessate allo sviluppo: regione, provincia, comune, università, industrie, fondazioni bancarie e venture capital. Varie altre sono in gestazione, anche nel Mezzogiorno. Per quanto riguarda l’Università non abbiamo ritenuto opportuno bloccare la riforma del «3»2», già in via di implementazione, ed abbiamo preferito intervenire con alcuni correttivi, in particolare per eliminare una proliferazione di corsi non sempre fatta nell’interesse degli studenti. Tale intervento ha consentito di accorpare o eliminare 500 corsi di laurea. La Commissione De Maio ha finito di predisporre la riforma dello stato giuridico e del reclutamento dei docenti. Ne abbiamo già illustrato principi e contenuti alla Crui, Conferenza dei Rettori delle università italiane. Seguiranno nelle prossime settimane analoghe iniziative di consultazione con studenti ed esperti prima dell'avvio dell'iter legislativo. E’ mia personale convinzione che riforme di così ampia portata, che toccano gli interessi di milioni di cittadini ed il futuro del Paese, vadano fatte con grande attenzione e riflessività, coinvolgendo tutte le parti interessate, e naturalmente vadano concordate con l’agenda del Governo e della maggioranza. ____________________________________________________ Corriere della Sera 4 feb. ’03 SONO DI SINISTRA, MA IL CNR DEVE ESSERE SMANTELLATO ROMA - «Il Cnr? E’ un baraccone. Una struttura vecchia, dove i ricercatori hanno in media cinquant’anni e non ne arrivano di nuovi, di giovani. E’ una struttura autoreferenziale, che va riformata, senza alcuna ombra di dubbio». Maurizio Decina, ordinario di telecomunicazioni al Politecnico di Milano, una sua riforma del Cnr l’ha già scritta, insieme agli altri membri dell’associazione «Futura», tutti tecnici e intellettuali della sinistra riformista. Dunque lei condivide la riforma del Cnr proposta dal ministro Letizia Moratti? «Io condivido la riforma del Cnr. E apprezzo il coraggio di chi vuole mettere le mani su un simile baraccone lasciato al suo destino da oltre quarant’anni. Bisogna capire che questa riforma non è di destra o di sinistra. E’ semplicemente indispensabile. Io sono di sinistra, ma anche Adriano De Maio lo è». Adriano De Maio, ovvero la persona che Letizia Moratti ha scelto per commissariare il Cnr? «Esattamente. A dimostrazione che la politica non c’e nt ra. E con la speranza che la scelta di De Maio possa essere di aiuto per riportare la ricerca all’interno dell’università, il suo luogo naturale». Ma non è questo che vuole il ministro Moratti . «Il ministro Moratti ha deciso di prendere i 105 istituti del Cnr e di accorparli in 15 dipartimenti. Questi, per adesso, li vuole affidare alle cure del commissario nell’attesa che arrivino i politici. Ma questo arrivo è molto pericoloso. Per questo c’è da sperare che nel frattempo possa cambiare qualche cosa». Pericoloso? Perché? «Il problema fondamentale del Cnr è la sua autoreferenzialità. E non è possibile: è indispensabile separare l’arbitro dal giocatore. Ovvero: non è possibile che le persone che decidono a chi dare i soldi per una ricerca siano le stesse persone che quelle ricerche le fanno oppure hanno interesse che vengano fatte. E’ quindi giusto sottrarre a loro questo potere. Ma bisogna stare attenti a non mettere tutto sotto il controllo dei politici, le loro scelte non coinciderebbero con i reali interessi del Paese». E dunque? «L’idea è semplice: creare un "cervello ", un organismo super partes , snello e agile. Pensavo a un’Agenzia che dovrebbe porsi al massimo livello della ricerca e governarla dal punto di vista strategico. Intendo dire: dovrebbe governare il Cnr, ma anche l’università e le imprese». E chi dovrebbe esser ci dentro quest a agenzia? «Ma , per prima cosa, direi che dentro ci dovrebbero stare i tecnici, ovviamente. Scienziati italiani, ma anche stranieri. E poi rappresentanti del mondo dell’imprenditoria». Scusi , ma se parla di scienziati non ricadiamo nello stesso problema di autoreferenzialità di cui parlava prima? « Gli scienziati sono indispensabili, sono lo ro che capiscono l’importanza delle scelte tecniche. Ma in questo caso penserei a scienziati distaccati dalla ricerca. Come dire? Lontani dagli interess i di parte e di bottega ». Niente politici dunque? «Non all’interno, noi nel comitato decisionale. Come già succede per le autorithy di questo Paese, anche questa Agenzia potrebbe essere presieduta da un politico. Il presidente può essere un raccordo con il mondo politico, ma non di più». Però, sì agli imprenditori. In questo è d’accordo con la scelta del ministro Moratti? «Sì, è giusto raccordare la ricerca con le imprese. Di più: direi fondamentale. Oggi è questo uno dei grandi limiti del nostro Paese». Alessandra Arachi ____________________________________________________ Corriere della Sera 3 feb. ’03 LA RIFORMA DEL CNR, LE PROTESTE, IL BENE DELLA RICERCA MINISTRO MORATTI, RESISTA Il Consiglio dei ministri, venerdì scorso, ha approvato un decreto di riforma del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), dell’Agenzia spaziale italiana, dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, di quello di astrofisica, che prevede un’ampia riorganizzazione degli enti di ricerca scientifica e l’azzeramento degli organi di governo del maggiore, il Cnr. La reazione della comunità scientifica è dura: i dipendenti Cnr, il loro sindacato, il vecchio presidente dell’ente sono insorti; alcuni ricercatori minacciano di trasferirsi all’estero; il premio Nobel Rita Levi Montalcini chiede una mobilitazione generale. Temo che nei 60 giorni che trascorreranno da oggi alla conversione in legge del decreto il testo verrà addolcito: questo non è un governo capace di resistere alle pressioni delle corporazioni, neppure a quella debole dei dipendenti del Cnr. Vorrei incoraggiare il ministro dell’Istruzione e della Ricerca scientifica, Letizia Moratti, a resistere. Per quasi due anni il ministro ha sostanzialmente ignorato università e ricerca: nessun progetto, nessuna idea, nessuna considerazione. Se ora, finalmente, dà priorità a questi problemi lo dobbiamo soprattutto al ministro dell’Economia Giulio Tremonti e al ragioniere generale dello Stato, Vittorio Grilli, che hanno fatto leva sull’unico strumento efficace in questi casi: non accettano più, come giustificazione per nuovi finanziamenti, la motivazione che così si era fatto in passato, ma chiedono che si valutino i risultati dei denari sinora spesi. L’Italia è il Paese avanzato che spende meno in ricerca: 1% del prodotto interno lordo, rispetto al 2% della media europea, con punte di oltre il 3% in Svezia e Finlandia. Abbiamo anche, con India, Russia e Cina, il primato nella fuga dei cervelli. Ma prima di aumentare i finanziamenti, come giustamente ha chiesto anche ieri il presidente della Commissione europea Romano Prodi, è prudente chiedersi come vengono utilizzati quelli oggi disponibili e perché spesso neppure questi vengano spesi. Nella relazione della Corte dei conti sul Piano nazionale per la ricerca si legge: «Nel 2001, il volume di risorse spendibili è stato pari a 6.128 miliardi di lire, dei quali solo 5.253 hanno dato luogo a effettivi pagamenti, per i tempi impiegati nella valutazione dei progetti e la predisposizione di atti amministrativi: 82 miliardi sono stati addirittura restituiti al bilancio dello Stato». Il Cnr ha 6.300 dipendenti, di cui mille addetti a mansioni amministrative; la loro distribuzione geografica è curiosa: uno su tre è assunto nel Lazio, il che suggerisce che anche alcuni dipendenti classificati come ricercatori sono, in realtà, addetti a compiti amministrativi. L’amministrazione centrale ha 4 dirigenti preposti agli uffici per i rapporti con le Regioni, 16 per i servizi tecnici e di sviluppo, 5 per i rapporti internazionali, ciascuno con relativi uffici. Negli Stati Uniti la National Science Foundation (Nsf) assegna oltre 5 miliardi di dollari di finanziamenti l’anno (dieci volte il Cnr) con poco più di 20 dipendenti stabili a Washington e un ampio numero di commissioni scientifiche convocate di volta in volta per valutare i progetti presentati. Sulla recente riforma del Cnr, che doveva ridurre il numero di istituti (ce n’erano 314), così si esprime la Corte dei conti: «Sono sopravvissuti ben 107 istituti, alla fine di una riforma che si è essenzialmente limitata ad aggregazioni prive di un disegno strategico e caratterizzata da poche confluenze numericamente rilevanti, nella quale le dichiarate chiusure si sono risolte pressoché totalmente in afferenze ad altri istituti. Inoltre, il proliferare di sezioni dislocate in sedi lontane fra loro accresce i rischi di riproduzione della pregressa frammentazione di strutture, con un sostanziale tradimento delle finalità della riforma». In Italia i gruppi di ricerca che ottengono risultati scientifici eccellenti sono numerosi, in tutte le discipline; molti giovani ricercatori si trasferiscono negli Stati Uniti, ma ve ne sono anche che ritornano. Il problema non sono i singoli gruppi di ricerca, bensì la struttura burocratica degli enti nazionali e i loro organi di governo, spesso guidati da ricercatori più noti per le amicizie politiche che per le pubblicazioni scientifiche. La soluzione è una sola: chiudere gli enti nazionali e distribuire le risorse direttamente ai ricercatori, secondo il modello della Nsf, ponendo i gruppi in competizione tra loro e affidando le decisioni a commissioni internazionali. In questo senso, gli articoli dei nuovi decreti che prevedono accorpamenti e spostamenti di istituti da un ente nazionale all’altro vanno nella direzione sbagliata. Rimane il problema di che cosa fare dei dipendenti di quegli istituti che non sopravvivranno alla concorrenza e ai quali lo Stato ha garantito un posto a vita. Ma non si vede perché 8 mila dipendenti Fiat possano essere messi in cassa integrazione e i ricercatori del Cnr debbano avere il privilegio di un posto a vita, protetti dalla concorrenza e al riparo dalle conseguenze di valutazioni negative. Francesco Gavazzi - giavazzi_f@yahoo.com ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 2 feb. ’03 «LA MORATTI IMPORTA MODELLI IRREALIZZABILI IN SARDEGNA» Le reazioni al progetto di riforma dell'università Fine dei professori a vita? CAGLIARI. «Una riforma da accogliere con cautela, senza lasciarsi prendere da facili entusiasmi. Come al solito s'avanzano proposte senza che ci siano i mezzi per poterle attuare»: sono reazioni di sconcerto e che invitano alla prudenza quelle che si raccolgono tra gli esponenti dell'ateneo cagliaritano, davanti al progetto voluto dal ministro Moratti, che prevede nuove trasformazioni nel mondo universitario. Rimessa in gioco del ruolo dei docenti, che non avranno più una cattedra a vita, nuova valutazione dei ricercatori, selezione degli studenti già alla fine del primo anno di studi. Ecco alcuni tra i punti del progetto che sollevano le maggiori perplessità. Per Gavino Faa, preside della facoltà di Medicina, la rivoluzione delle cattedre, che prevede incarichi a tempo per un periodo di tre anni, eventualmente rinnovabile di altri tre, significa un voler trapiantare un modello proprio degli Stati Uniti, in un paese che di fatto non ha le basi per farlo: «In pratica - dice Faa - potrebbe succedere che anche da noi, allo scadere del contratto un professore si trovi disoccupato. Mentre però negli Usa esistono tutta una serie di fattori di carattere economico e culturale che favoriscono la mobilità e quindi la possibilità di ricominciare, da noi queste particolarità mancano. In Sardegna ad esempio, per molti è un dramma già il solo fatto di spostarsi da Cagliari a Oristano». Il preside di Medicina non ha dubbi: «Se valutare un docente all'inizio della carriera potrebbe anche essere giusto, farlo quando ormai si è integrato nel sistema è tutto un altro paio di maniche, perché comprometterebbe seriamente l'intera sua vita». Gli stessi dubbi sono avanzati anche da Francesco Ginesu, preside della facoltà d'ingegneria: «Il fatto - spiega - che i docenti siano scelti da una lista nazionale, può anche essere positivo, dato che così si scoraggiano i localismi. Ma che garanzie sono offerte ai professori che se non riconfermati si trovano di punto in bianco disoccupati?». Non è solo la rivoluzione dello status di professore universitario a preoccupare. Ginesu, infatti, punta il dito anche su un altro punto controverso del progetto: quello che prevede una divaricazione tra lauree di primo e secondo livello già alla fine del primo anno di corso. «Ciò vorrebbe dire - osserva il preside - che a distanza di pochissimo tempo dall'inizio della loro carriera universitaria, gli studenti si troverebbero già davanti ad una prima scrematura. Per esperienza sappiamo però che è solo dopo molto tempo che la gran parte di loro riesce a mostrare le reali capacità». Chi invece appoggia in pieno la proposta, che nel resto d'Italia ha già fatto registrare un coro di "no", è Francesco Cesare Casula, docente di Storia medievale: «È giusto che siano i migliori ad andare avanti - commenta il professore - su un punto però ho qualche dubbio, il fatto che siano i singoli atenei a decidere se trasformare il contratto a tempo indeterminato. Chi in una commissione formata da appartenenti ad uno stesso ateneo avrebbe il coraggio di buttare via un collega? E poi - continua - come giudicare chi insegna materie particolari, come ad esempio il greco?». Giuseppe Mossa, direttore dell'Orto botanico, trova la riforma un po' nebulosa: «In teoria si potrebbe anche essere d'accordo. Ma da dove saranno tirati fuori i fondi per renderla concreta?». Sabrina Zedda ____________________________________________________ Gazzetta del Sud 8 feb. ’03 MORATTI: RIFORMA COI FICHI SECCHI? PROGETTI E RISPARMI Luigi Ferlazzo Natoli Riprendendo il mio intervento su questo giornale in merito alla presentazione della riforma dello stato giuridico dei docenti (24 gennaio) da parte di Letizia Moratti, ministro dell'Istruzione e dell'Università, vorrei svolgere un'ulteriore considerazione riguardo a quello che appare come il vero intento della riforma de quo e cioè l'interesse a ridurre ulteriormente il già scarso budget per l'Università italiana. E invero, oltre all'evidente risparmio scaturente dal proposto rapporto contrattuale a tempo determinato, anziché subire l'onere derivante dalla ruolizzazione a tempo definitivo, il ministro, in un recente incontro con i parlamentari della maggioranza, ha evidenziato l'ulteriore perla del suo progetto: ossia a parità di impegno orario complessivo (e quindi anche di retribuzione), si richiede ai docenti di sottrarre risorse temporali alle attività didattiche diverse (assistenza agli studenti, tesi, esami) a favore delle attività cosiddette frontali (lezioni); in questo modo ciascun professore piuttosto che tenere un solo corso di lezioni ne dovrà tenere due, con un evidente dimezzamento delle necessità di organico e, quindi, con il conseguente risparmio in termini di budget. Evidentemente la Moratti pensa che un'ora dedicata alle lezioni (con la necessaria preventiva preparazione) sia uguale a un'ora di ricevimento o di attività diverse. Ciò potrebbe determinare lo scadimento della qualità dell'offerta didattica complessiva. Né la Moratti, a quanto pare, ha mai fatto un censimento dello stato attuale delle nostre Università, dove a ciascun docente vengono attribuiti almeno tre se non quattro insegnamenti dei quali, nella migliore delle ipotesi, ne viene retribuito uno solo. Inoltre, i concorsi universitari finiranno col diminuire progressivamente, anziché essere banditi secondo le esigenze delle singole realtà universitarie, non consentendo, così un adeguato ricambio generazionale del corpo docente. Nel predetto incontro del 5 febbraio, alcuni parlamentari di maggioranza hanno evidenziato, giustamente, talune – evidentemente non tutte – incongruenze dell'ipotizzata riforma, e precisamente: il senatore Gino Moncada Lo Giudice (Udc) si è ricordato (finalmente!) dell'esistenza dei ricercatori universitari, dei quali si sconosce, allo stato attuale, il destino, proponendo, invece, di riservare a essi una quota dei concorsi. L'on. Giuseppe Valditara (An) ha, invece, ribadito che non si può procedere a una seria riforma dello stato giuridico della docenza universitaria, prima di proporre una credibile modifica del cosiddetto «3+2». Né vale sbandierare come alibi di questa sedicente riforma universitaria, relativamente alle ore di didattica frontale (lezioni), la presenza nelle Università della piaga dell'assenteismo. Ciò perché per colpire tale malcostume sono disponibili ben altri e più semplici provvedimenti! Per concludere, inviterei, innanzitutto, la Crui e successivamente corpo docente, sindacati e studenti a mobilitarsi per stoppare tale riforma, o perlomeno a rinviarla – dopo attenta meditazione di tutti gli addetti ai lavori – a quando saranno varate le modifiche indispensabili per un miglioramento della riforma dei corsi di cui al cosiddetto «3+2». ____________________________________________________ Corriere della Sera 4 feb. ’03 RIFORME, LA FINTA VIA AZIENDALE De Rita Giuseppe Prima o poi un dibattito serio sulle riforme istituzionali sarà necessario. Purtroppo, rischierà di restare prigioniero non solo delle inevitabili tattiche partitiche, ma anche della scivolosa povertà dei paradigmi organizzativi cui dovrebbe ispirars i. C' è in Italia abbastanza cultura per far riferimento a modelli organizzativi di tipo diverso (aziendalistico, politico, sociale). E invece ci stiamo riducendo a una parziale e maldestra applicazione di un solo paradigma, di un solo esempio: quell o aziendale. Forse perché abbiamo a lungo invocato, anche nel settore statale, il primato della managerialità (l' «università come impresa», l' «azienda giustizia», i dirigenti pubblici come «manager» eccetera). Così il paradigma aziendale è diventat o un riferimento quasi coatto delle riforme istituzionali, con una particolare propensione al bisogno di una decisionalità di vertice e alla centralità della figura istituzionalmente equivalente al «capo azienda» su cui concentrare i meccanismi di po tere; di cui esaltare la leadership fino all' elezione diretta da parte del popolo. Sembra che nessuno ricordi che mai in un' azienda moderna si accetterebbe la spinta alla deresponsabilizzazione intermedia che pervade e distrugge oggi le istituzioni (si pensi all' attuale sbiadimento dei ministeri o dei vari dirigenti pubblici). E sembra che nessuno osi richiamare l' attenzione sul fatto che in tutti i paradigmi organizzativi moderni vige il primato delle responsabilità intermedie: sia nell' az iendale, come si è detto, sia nel politico, ancora di più che in quello sociale. E' quasi banale ricordare che da quando al mondo si scrivono o si riformano Carte costituzionali la tensione politica è sempre stata orientata a promuovere un' articolat a divisione dei poteri, un delicato sistema di contrappesi, un equilibrato esercizio della decisionalità centrale e periferica, onde evitarne pericolose concentrazioni. In parole povere sempre meno poteri «monarchici» e sempre più poliarchia, cioè po licentrismo delle responsabilità. In una evoluzione istituzionale di lungo periodo che si è andata implicitamente modellando su quel primato della dimensione intermedia che ha informato nel tempo l' evoluzione sociale. Quest' ultima, infatti, è imper niata sul paradigma organizzativo che esalta l' articolazione orizzontale e verticale delle responsabilità e delle sedi decisionali. Non c' è infatti società moderna senza sedi di rappresentanza, senza forme di partecipazione, senza procedure di cond ensazione dei comportamenti, senza diversificate autonomie funzionali, senza presenza degli utenti e degli stakeholders (grandi azionisti) all' interno dei meccanismi decisionali, senza reti orizzontali di solidarietà e di convergenza di interessi re ali. Chi guarda il sociale italiano vede facilmente un pullulare di esperienze di questo tipo, ed avverte che una seria riforma istituzionale (specialmente se di ispirazione federale), oltre a garantire stabilità e maggiori poteri all' esecutivo, avr ebbe tutto da guadagnare se si riuscisse a mettere a fuoco schemi organizzativi a dimensione intermedia e a rete. Non sarebbe quindi male sviluppare un pensiero laterale sul possibile contributo che alle imminenti riforme istituzionali potrebb e dare l' attenzione alla dimensione intermedia che è tipica dei paradigmi organizzativi di tipo sociale e politico (e anche aziendale, se non si semplifica troppo). Ci risparmieremmo qualche avventata e volontaristica tentazione monarchica in un sis tema quale quello italiano da sempre differenziato come un arcipelago e non compattato come una piramide egizia. Conta il vertice, ma soprattutto la base. Giuseppe De Rita ____________________________________________________ IL Sole24Ore 6 feb. ’03 CONFINDUSTRIA: "FONDI CERTI PER LA RICERCA" ROMA - Ci vuole più coraggio nella riforma della ricerca. E attenzione a "non cambiare le squadre vincenti" come l'Infm (Istituto nazionale di fisica della materia): "Io non lo toccherei" dice Diana Bracco, vicepresidente di Confindustria, intervenuta ieri all'audizione in commissione Istruzione al Senato. L'Infm, secondo il progetto del Governo, si trasformerebbe in un dipartimento del Cnr. Dall'associazione degli imprenditori, dunque, arriva un giudizio positivo, ma anche critico, sul riordino degli enti di ricerca proposto dal ministro Letizia Moratti. Ai senatori, Diana Bracco ha detto che "ci vorranno anni per recuperare il ritardo scientifico e tecnologico accumulato a partire dagli anni Settanta". E ha osservato che "non si può approvare un piano nazionale della ricerca e poi sconfessarlo nella legge Finanziaria" come è accaduto alla fine dell'anno scorso. "Per raggiungere l'obiettivo dell'1% di investimento pubblico, sottoscritto a livello europeo, entro il 2006 è opportuno - sostiene la vicepresidente degli imprenditori - che siano definiti, fin da ora, gli obiettivi di spesa pubblica per la ricerca in percentuale del prodotto interno lordo". Una proposta che raccoglie consensi anche nell'opposizione: "Mi trova pienamente d'accordo" dice Vittoria Franco (Ds). Il riordino degli enti viene considerato da Confindustria "un importante momento di cambiamento. Anzi, è un punto cruciale per le imprese, proprio perchè molto ridotto, finora, è stato l'impatto degli istituti sul sistema produttivo, se non con poche eccezioni". Essenziale, secondo Diana Bracco, sarà "la capacità degli enti di attirare personale qualificato e studenti. Così come nodale è il punto della valutazione dei risultati: è opportuno che alla definizione dei criteri e delle procedure partecipino anche rappresentanti del mondo produttivo". Ieri sono continuate le polemiche sulla riforma. I senatori Vittoria Franco, Maria Chiara Acciarini, Luciano Modica, Fulvio Tessitore (Ds), Albertina Soliani, Giampaolo D'Andrea, Alberto Monticone (Margherita), Fiorello Cortiana (Verdi), Maria Rosaria Manieri (Sdi) e Mauro Betta (Autonomie) hanno chiesto al presidente della commissione Istruzione, Franco Asciutti (Fi), di sospendere l'iter dei decreti di riordino degli enti di ricerca e tornare in Parlamento per un confronto. I senatori ricordano che la commissione Istruzione sta ancora svolgendo un'indagine conoscitiva sullo stato della ricerca italiana "di cui il Governo - sostengono - sembra non voler tenere conto". Ieri, inoltre, è stato ufficializzato l'appello a Ciampi (si veda "IlSole-24 Ore" di ieri) dell'Osservatorio della ricerca, l'organizzazione nata con la prima protesta nazionale del 10 settembre scorso. Un'iniziativa "alla quale parteciperà anche la Cgil" ha annunciato Dario Missaglia, segretario generale Ricerca. Da registrare, infine, la lettera che il presidente del Cnr, Lucio Bianco, ha inviato a tutti i dipendenti, accusando l'Esecutivo di voler realizzare "un forte controlo politico sugli enti". Secondo Bianco ci sarebbe "una lesione grave dell'autonomia scientifica e organizzativa e della libertà della ricerca garantita dall'articolo 33 della Costituzione". MARCO LUDOVICO ____________________________________________________ Corriere della Sera 7 feb. ’03 L’EUROPA: "PREOCCUPANTE LA SITUAZIONE DELLA RICERCA ITALIANA" Lettera aperta del presidente "dimissionato" del Cnr: controlli politici, autonomia in pericolo Il giudizio di Bruxelles: "Bisogna integrare i rapporti tra industrie, imprese e università" ROMA - Violazione della Costituzione, controllo politico della ricerca, autonomia degli enti in pericolo, stile di governo arrogante, finanziamenti decrescenti. È una raffica di critiche durissime quella lanciata in una lettera del presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), Lucio Bianco, rimosso dal suo incarico dalla riforma del ministro dell’Istruzione Letizia Moratti. E mentre al Cnr commissariato si attende il cambio della guardia con l’arrivo del professor Adriano De Maio (rettore della Luiss), e gli scienziati preparano una clamorosa protesta a Montecitorio per mercoledì 12 febbraio, anche il commissario europeo alla Ricerca Philippe Busquen, da Bruxelles, dà un giudizio preoccupato sull’attuale stato di salute della ricerca nel nostro Paese. Le critiche di Bianco alla sostanza della riforma Moratti e ai modi con cui viene portata avanti sono contenute in una lettera di tre pagine inviata ieri agli oltre ottomila ricercatori dell’ente. Bianco esordisce facendo notare di non aver ancora ricevuto nessuna comunicazione, nemmeno ufficiosa, del commissariamento approvato il 31 gennaio dal Consiglio dei ministri, e criticando "l’arroganza e lo stile di chi governa in questo momento la ricerca italiana". Sul merito della riforma il presidente uscente non ha dubbi: "Il governo si appresta a trasformare gli enti di ricerca non strumentali in enti strumentali, con un conseguente forte controllo politico che trova puntuale riscontro non solo nella nomina del presidente ma, cosa più grave, in quella dei membri degli organi deliberanti". Secondo Bianco, la riforma del Cnr si accinge a creare strutture dipartimentali con modalità di gestione predefinite dall’alto e regolamenti approvati dal ministero. "Tutti questi elementi - commenta Bianco - configurano una lesione grave dell’autonomia scientifica e organizzativa garantita dalla legge 168/89 e quindi della libertà della ricerca garantita dall’articolo 33 della Costituzione". Il professor Bianco rivendica poi di avere rimesso ordine nella complessa situazione del personale trovata sei anni fa al suo arrivo e di aver sempre difeso l’autonomia e la dignità del Cnr, nella convinzione che questo ente, pur con tutti i suoi difetti, ha fatto la storia della ricerca in Italia. In conclusione Bianco sostiene che al Cnr oggi non serve "una nuova riforma, ma l’adeguamento del finanziamento ordinario per mantenere le condizioni minime per la competitività". E, invece, Bianco prevede che il decreto Moratti, privo di impegni finanziari correlati, si tramuterà in una riforma con fondi decrescenti. La sofferenza del mondo della ricerca in Italia ha avuto ieri un’eco anche a Bruxelles, durante un incontro dedicato alle relazioni fra la ricerca universitaria e le imprese sia pubbliche sia private, alla presenza dei commissari Ue per l’Educazione Viviane Reding e di quello per la Ricerca Philippe Busquin. "So che in Italia è in corso una grande riflessione sulla ricerca - ha detto Busquin rispondendo ai giornalisti -. La situazione della ricerca italiana, nel suo complesso non va bene. Bisogna integrare i rapporti tra industrie, imprese e università. Trovare il modo di stimolare la ricerca, pur preservando l’autonomia scientifica degli atenei". Franco Foresta Martin ____________________________________________________ Corriere della Sera 4 feb. ’03 RICERCA, MARCIA DELLE PROVETTE CONTRO I NUOVI ENTI Corteo degli scienziati il 12 febbraio con in testa la Montalcini: a Montecitorio per contestare il progetto del ministro Foresta Martin Franco Ricerca, la marcia delle provette contro i nuovi enti Corteo degli scienziati il 12 febbraio con in testa la Montalcini: a Montecitorio per contestare il progetto del ministro ROMA - In testa al corteo ci sarà Rita Levi Montalcini, col prestigio del suo Premio Nobel per la medicina e i suoi 92 anni dedicati quasi tutti alla ricerca scientifica, che stringerà in mano una provetta di cristallo. Al suo fianco altri nomi di grande prestigio: l' astronoma Margherita Hack, l' astrofisico Franco Pacini , il linguista Tullio De Mauro (ex ministro dell' Istruzione), i fisici Carlo Bernardini, Giorgio Salvini, Giuliano Toraldo di Francia e Giorgio Parisi, e centinaia di altri scienziati provenienti da università ed enti di ricerca di varie sedi italia ne ed estere. Ognuno con uno strumento o un libro rappresentativo della propria area di ricerca. Giunti a Piazza di Montecitorio, davanti al Parlamento, gli scienziati che contestano la riforma degli enti di ricerca presentata dal ministro dell' Istr uzione Letizia Moratti restituiranno teatralmente i simboli della loro specializzazione scientifica, per sottolineare la loro disapprovazione. LA PROTESTA - «L' appuntamento, deciso ieri mattina, è fissato per mercoledì 12 febbraio a Piazza Montecito rio davanti al Palazzo del Parlamento - riferisce Rino Falcone, ricercatore in "Intelligenza Artificiale" del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e responsabile dell' Osservatorio sulla Ricerca, l' organismo da poco costituito che sta coordinand o il dissenso di scienziati e ricercatori -. In realtà avremmo preferito manifestare davanti alla sede del governo, cioè Palazzo Chigi, nella vicina Piazza Colonna, ma ci è stato vietato. Questa manifestazione simbolica sarà una delle tante iniziativ e che il nostro "Osservatorio" sta sviluppando nella speranza di fare giungere al governo e al Parlamento la preoccupazione dei ricercatori italiani per il futuro della scienza nel nostro Paese». «AUDIZIONI INUTILI» - Quello che ha più sconcertato gl i scienziati dissidenti, secondo quanto riferisce il loro rappresentante, è il modo con cui il governo ha tenuto in scarsa considerazione il lavoro del Parlamento: «Erano in corso indagini conoscitive sulla ricerca scientifica da parte delle commissi oni Cultura di Camera e Senato. Decine di audizioni per capire e discutere i problemi, anche con i protagonisti della ricerca. I lavori si sarebbero conclusi a fine marzo. Pensavamo che il governo aspettasse l' esito di queste indagini, che coinvolge sse la comunità scientifica prima di varare i decreti. E invece non ha consultato nessuna rappresentanza degli organismi della ricerca e ha tagliato la strada allo stesso Parlamento». «OBIETTTIVO PRODUZIONE» - Sul merito della riforma gli «scienziati contro» ripetono le loro accuse: finalizza tutto alla produzione, stringe nell' angolino la ricerca fondamentale, senza la quale non c' è futuro nemmeno per quella applicata, conferisce a tutto il sistema una struttura verticistica, af fidata a gestori e controllori di nomina governativa. «Ma la nostra non è una posizione preconcetta - precisa Falcone -. Speriamo ancora che ci siano spazi di negoziazione e che il testo della riforma possa ricevere adeguati correttivi dal dibattito in Parlamento». L' ANPRI - Una forte richiesta di revisione dei decreti della Moratti è venuta pure dall' Anpri, l' Associazione nazionale professionale per la ricerca, che ieri mattina ha tenuto a Roma il suo quinto congresso nazionale. «I decreti p ossono e devono essere modificati - sottolinea il segretario generale dell' Anpri, Bruno Betrò, matematico e dirigente di ricerca di un istituto del Cnr di Milano -. L' impostazione attuale è inaccettabile, provoca lo scollamento tra i vertici e le s trutture di base della ricerca. E' un riordino che non fa i ricercatori partecipi della gestione, che non può che portare alla crisi degli enti di ricerca». Nel corso dell' assemblea dell' Anpri si è svolta una tavola rotonda sul tema della fuga dei cervelli all' estero, con la partecipazione di rappresentanti dei ricercatori, di politici di area governativa e dell' opposizione. Disponibile alle istanze dei ricercatori il sottosegretario alla Funzione pubblica, Learco Saporito, che non ha esclus o la possibilità di modificare con emendamenti il testo varato dal Consiglio dei ministri. Franco Foresta Martin LA RIFORMA DEL CNR Le modifiche degli enti di ricerca Il progetto di riforma degli enti di ricerca ridisegna assetti e linee guida del Cn r e degli altri istituti: l' obiettivo è creare centri di eccellenza competitivi a livello internazionale L' accorpamento degli istituti Le reti di ricerca andranno riformate, integrandole fra loro e con il mercato. Il nuovo modello organizzativo pre vede la fusione o l' accorpamento di vari istituti I dipartimenti e le macro-aree Tutti i centri del Cnr saranno riuniti in una serie di dipartimenti (da 7 a 15), con riferimento a delle macro-aree: dalle biotecnologie alle scienze giuridiche e umani stiche Il commissario e il nuovo consiglio Il vertice del Cnr sarà rinnovato: entro una settimana si insedierà il commissario che dovrà gestire la riforma. E al posto del Direttivo ci sarà un Consiglio di amministrazione I tre decreti e l' iter della legge Dopo numerose bozze e discussioni, i tre decreti della riforma sono stati approvati venerdì dal Consiglio dei ministri. Dovranno ora essere esaminati dalle Camere Le proteste degli scienziati Il mondo scientifico si è diviso, in programma prot este di piazza. Il premier ha garantito il suo appoggio alla legge, il centrosinistra accusa: «E' un ritorno al clientelismo» ____________________________________________________ La Stampa 7 feb. ’03 UNIVERSITÀ, PERCHÉ L´AMERICA FUNZIONA MEGLIO GUARDARE AGLI USA PER RIFORMARE LA NOSTRA RICERCA È GIUSTO: MA SENZA DIMENTICARE ALCUNE DIFFERENZE NELLE discussioni sul progetto di riorganizzazione degli istituti di ricerca voluto dal Ministro Letizia Moratti è stato spesso citato, quale modello da seguire, l'esempio americano. Quando si dibatte quale sia l'organizzazione degli istituti di ricerca che meglio promuove i progressi scientifici è del tutto ragionevole, come del resto è sempre avvenuto, guardare alle esperienze degli altri paesi. Il confronto è tuttavia poco utile, se si limita ai modi di finanziamento della ricerca. Negli Stati Uniti esiste infatti un'ampia varietà di modi di finanziare la ricerca (pubblici e privati, diretti e indiretti, individuali e di gruppo) e un'altrettanto ampia varietà di modelli organizzativi. Sarebbe invece utile, a partire dalla discussione aperta sugli istituti di ricerca, guardare alle più prestigiose università americane nel loro insieme, senza senso d'inferiorità e senza alterigia, e cercare di capire quali potrebbero essere i rimedi ai mali delle nostre università. Il primo punto da tenere presente è che le migliori università americane non sono affatto democratiche ma autocratiche: il potere non va dal basso in alto ma dall'alto in basso. Il consiglio d'amministrazione nomina il presidente dell'università che sceglie gli amministratori, i direttori dei dipartimenti, i direttori dei progetti di ricerca e dei programmi. In Italia i professori eleggono il rettore, i presidi di facoltà, i direttori di dipartimento e le commissioni di concorso. L'ovvia conseguenza è che nelle università americane chi decide è sempre e solo il presidente. I consigli di dipartimento hanno valore esclusivamente consultivo. Il dipartimento può votare all'unanimità (su proposta di una commissione scelta dal direttore del dipartimento e non eletta dai professori) di assumere un nuovo docente ma il presidente dell'università può, sentito il parere della commissione che presiede le assunzioni dei docenti, respingere la proposta del dipartimento. Un anno fa ad Harvard, per citare un esempio, il Department of Government scelse un nuovo professore; il presidente rifiutò la proposta perché non riteneva il docente prescelto sufficientemente qualificato. Ci furono proteste e malumori, ma il professore voluto dal dipartimento non è arrivato. Il medesimo principio vale anche per le promozioni dei professori dal rango di Assistant Professor a quello di Associate Professor e di Full Professor. Sentito il giudizio di una commissione decisa dal direttore, il dipartimento formula la sua raccomandazione, positiva o negativa. Ma la decisione finale spetta ancora al presidente dell'università. In molti casi il presidente rifiuta la proposta di promuovere un docente al rango superiore, soprattutto quando si tratta della promozione che assicura il posto fisso (tenure). La storia delle università è ricca di esempi di giovani brillanti che non hanno ottenuto la promozione e hanno dovuto fare le valigie. Fino ad oggi le Università italiane hanno seguito il metodo opposto di garantire a tutti, appena entrati all'Università, il posto fino alla pensione. C'è ora in discussione la proposta di adottare per i nuovi docenti il modello americano con un giudizio di idoneità dopo tre anni e un giudizio finale al sesto anno dal quale dipende la possibilità o meno di rimanere in quell'università. Ma quale autorità sarebbe in grado in una università italiana di dire ad un giovane docente «le sue pubblicazioni e il suo insegnamento non sono tali da meritare la promozione e dunque se ne deve andare»? Una decisione negativa sarebbe ancora più difficile, qualora venisse introdotto il nuovo sistema, per il fatto che il giovane docente si è quasi sempre formato nel dipartimento che lo ha assunto in base alla nota regola che il candidato interno ha priorità rispetto ai candidati esterni. È il principio, che dovrebbe far rabbrividire ogni persona per bene, dello «ius loci». Orbene, è ragionevole pensare che un giovane assunto dal dipartimento con il criterio dello «ius loci» sotto il patronato di un professore potente venga poi giudicato con un criterio rigidamente meritocratico? Le università americane operano in maniera del tutto opposta. Seguono la regola di non assumere ex studenti se non dopo un buon numero di anni e dopo che il giovane studioso o la giovane studiosa hanno lavorato in altre università. Nell'ultimo concorso nel quale sono stato coinvolto c'era fra i candidati un nostro ex studente che da due anni insegna in un'altra importante università ed ha ottimi titoli. In ossequio alla regola abbiamo deciso di escluderlo dalla competizione. Se ne riparlerà fra qualche anno. Se si vuole davvero passare dal metodo baronale della cooptazione a quello meritocratico non vedo altra strada. Si è parlato molto in questi giorni della necessità di controllare la produttività scientifica dei docenti e dei ricercatori. Le università americane citate quali esempi hanno risolto il problema con il criterio rigidamente antiegualitario dei salari individuali decisi, ancora una volta, dall'alto. Ogni anno il direttore del dipartimento presenta al presidente dell'università raccomandazioni per gli aumenti del salario di ogni docente non in base a parametri sindacali o di anzianità ma esclusivamente in base alla qualità della produzione scientifica, alla qualità dell'insegnamento e alla disponibilità a servire l'università. La conseguenza ovvia di questo sistema è che due colleghi di ugual rango e uguale età possono avere (e di fatto hanno) salari molto diversi, e le differenze si contano non in migliaia ma in decine e decine di migliaia di dollari. Credo sia difficile negare che il sistema americano autocratico e inegualitario è migliore di quello italiano democratico e egualitario sia dal punto di vista della qualità della ricerca sia dal punto di vista dell'educazione intellettuale e morale dei giovani. Prova ne sia il fatto che molti dei nostri migliori studiosi sono pronti a venire nelle università americane. Non vengono per cercare più democrazia e più uguaglianza. L'una e l'altra le hanno già in Italia. Vengono perché vogliono svolgere la loro attività di ricerca in un contesto più sano che riconosce i lavoro e il merito. Non dovrebbe bastare questo a convincere chi ha davvero a cuore le istituzioni di ricerca che è tempo di avere il coraggio di passare dalla democrazia al merito? viroli@princeton.edu Maurizio Viroli ____________________________________________________ L’Unione Sarda 4 feb. ’03 P.PANI: INNOVAZIONE E TECNOLOGIE: SARDEGNA TRA MISERIA E NOBILTÀ Sindacati e nepotismi, come distruggere la ricerca Lo scienziato Paolo Pani accusa la sclerosi e i localismi del sistema universitario sardo. Il paradosso del Policlinico I progetti del ministro Moratti su ricerca e università hanno seminato tempesta. Docenti e rettori divisi tra plauso e rivolta, girotondi al Cnr, paura di controlli che agiterebbero non poco lo stagno di certezze consolidate e spesso immotivate. Gli atenei italiani forniscono ottimi cervelli, ma restano in coda alle università europee. Le zone di eccellenza sono poche. Alcune di esse in Sardegna. A Cagliari ci sono il gruppo di Neuroscienze governato da Gianluigi Gessa, quello sulla Talassemia diretto da Antonio Cao, gli scienziati coordinati dall’epatopatologo Paolo Pani . Che in questo momento studia come creare un fegato bio artificiale. Robusto, sarcastico, Paolo Pani parla di innovazione e ricerca. Senza peli sulla lingua. Un comunista innamorato della meritocrazia e diffidente verso le lobby sindacali che vorrebbero governare l’Italia. Accanto a lui Ezio Laconi, anche lui medico e ricercatore coccolato dalla comunità internazionale. «L’università - dice Paolo Pani - non è solo innovazione e ricerca. E’ anche uno strumento di critica alla stessa innovazione. Un termine con cui ci sciacquiamo spesso la bocca. Innovazione può anche essere un supermercato che funzioni». «L’università ha un compito inalienabile. Il dovere e il diritto di preparare una classe dirigente che non lavori secondo un percorso prestabilito. E introduca elementi che non siano necessariamente innovativi. Il progresso non si identifica sempre con la tecnologia . Internet è certo uno strumento rivoluzionario. Occorre vedere che uso se ne fa». «Ha tutte le notizie ma è sempre diretto verso un determinato percorso. Cos’è ad esempio il benessere? Quello spirituale o anche guardare certa tv spazzatura italiana, all’estero giustamente ridicolizzata? «E cos’è innovazione in Sardegna? Anche il Porto Canale di Cagliari nella sua fatiscente inutilità e costi spaventosi (1200 milIardi di vecchie lire in vent’anni e non ha mai funzionato) anche questo è innovazione. Quelle magnifiche gru sono innovazione tecnologica, quasi opere d’arte. Anche Termini Imerese venne realizzato con un enorme dispendio di innovazione tecnologica. Solo che il mercato non ha dato risposte, le auto Fiat non si vendevano. A cosa serviva allora tutta la robotizzazione?» Ci sono risultati in Sardegna che possano fare il paio con il Crs4 di Macchiareddu e con il Parco Scientifico Tenologico di Pula? Risultati concreti o ancora soprattutto progetti? «Nella facoltà di medicina di Cagliari i risultati ci sono e si vedono. Neuroscienze, in termini accademici, è ben più di un risultato. Il gruppo di Cao sulla Talassemia è un altro risultato riconosciuto dalla comunità medica internazionale». Perché il gruppo di Cao rischia di lasciare a Pesaro il centro pilota sulla talassemia, pur essendo la Sardegna il bacino per così dire naturale della microcitemia? «Anche Pesaro ha precisa dignità scientifica. Ben venga il centro per la talassemia a Cagliari ma non ne farei davvero una questione di campanile. Fatto è - precisa Laconi - che differentemente da Pesaro, Cagliari non è sostenta dall’università o dalla comunità scientifica. Il riconoscimento del lavoro di un singolo gruppo è importante ma se attorno germina altri istituti, altri risultati è ovvio che il supporto non possa che aggiungere titoli». Si sosteneva che la Sardegna al tempo di Internet non avrebbbe avuto più barriere. Anzi sarebbe stato l’ambiente ideale per imprese e ricerche scientifiche... «L’essere un’isola non è il problema principale. Può porre dei problemi ma il vero handicap è essere circondati da isole scientifiche che non si integrano, non si sostengono a vicenda». «Il gruppo di Gessa tempo fa è stato classificato da una rivista di bibliografia, un riferimento farmacologico importante a livello mondiale. Un giudizio dato dagli americani che si scontra col fatto che l’università di Cagliari è agli ultimi posti nella graduatoria nazionale». In questo momento c’è grande fermento nelle università italiane e si accusa il governo dello stato di sfascio. Non fosse Berlusconi, sotto accusa sarebbe un altro premier. Ma è vero che in Italia e in Sardegna gli atenei sono sclerotizzati, non permettono alla gente di emergere e di andare avanti? «Apro una parentesi sui concorsi universitari. In Sardegna il novanta per cento di coloro che li vince, sono elementi locali. Abbiamo chiuso l’università a qualsiasi apporto esterno. I nostri localismi sono una iattura. Chi sopravvive (come l’istituto di Gessa, quello di Cao e metterei anche il nostro) può farlo solo perché legittimato dalla comunità internazionale». «Non voglio fare facile esterofilia. Abbiamo alle spalle una storia di quarant’anni di rapporti organici con accademie internazionali. A partire da Pittsburg. Il professor Ezio Laconi ha incominciato proprio a Pittsburg negli anni Sessanta e poi a Filadelfia e ancora Toronto». E dopo Toronto, Cagliari... «Si ma come? Laconi nonostante i suoi titoli e le sue ricerche ha vinto il concorso a Cagliari con enormi difficoltà. Solo perché non veniva dall’università ma dall’ospedale oncologico. E questo non era gradito agli accademici. Un tempo non era così, la facoltà di medicina di Cagliari ha avuto i migliori docenti italiani. Negli ultimi vent’anni ci siamo chiusi nel bunker, è finito il rapporto con l’accademia nazionale e internazionale». Perché? «Per effetto dei localismi. A Cagliari sono passati porci e cani e oggi probabilmente la Sardegna - osserva Laconi - sarebbe perdente se dovesse aprire le porte al confronto esterno. Ecco perché i localismi continuano. Un gatto che si morde ala coda. L’isola è in coda alla graduatoria delle università italiane, gli atenei italiani sono in coda a quelli europei...» Negli Usa e in molta Europa il ricercatore è ritenuto fiore all’occhiello del sistema accademico. In Italia è un fanalino di coda. E dopo anni di inutile apprendistato, si stanca e va all’estero... «E’ così, non è premiato che uno lavori o e ottenga risultati. I meccanismi sono ben altri. Alla lunga il fatto di non ottenere benefici (anche economici) scoraggia molti. Uno degli handicap della nostra università é la sua sindacalizzazione, anche a livelli alti, dirigenziali. La logica è Un posto di lavoro comunque, anche di professore ordinario. Una vera sciagura». «Un posto di lavoro comunque può valere per il povero disgraziato ma non per un professore universitario. Quale crede che siano oggi le difficoltà del Policlinico di Cagliari? La lotta per trovare una sistemazione comunque. C’è un sindacato molto corporativo. La filosofia del posto di lavoro assicurato sta distruggendo gli istituti accademici e non solo. La garanzia che sia l’anzianità e non il merito a fare premio è intollerabile». Potrà cambiare? «Occorrono apporti esterni per un cambiamento. Altrimenti non conviene. In questo momento il confronto con l’esterno sarebbe disastroso. Allora perché rischiare? Oggi nel mio gruppo chi fa ricerca è il professor Ezio Laconi e io ho messo su una baracca perché questo fosse possibile. Ma lavorare resta comunque difficile. Manchiamo di dati su come stanno funzionando attualmente le terapie che utilizziamo, non esistono statistiche e quindi casistiche». «Manchiamo di un substrato su cui costruire il futuro. Quel che realizziamo sono torri ma basta un vento forte per spazzarle via. Non c’é in Sardegna una capacità di direzionare lo sviluppo. Che è cosa ancora più importante dello svilupparsi. Nel frattempo non ci si può trastullare con le gru di un Porto Canale che non funziona e che da sempre viene diretto da Enzo Usai nonostante non abbia prodotto risultati. Nessuno dice niente. E non è che dall’altra parte le come cambino. Vedi il diessino Italo Ferrari inamovibile dall’autorità portuale». «Il discorso vale anche per il Policlinico dove la sindacalizzazione fa che vi siano tre reumatologi ma nemmmeno un nefrologo. L’accademia ha garantito il posto di lavoro ma non ce facciamo nulla se vogliamo razionalizzare il sistema. Il sindacato mi garantisce il posto ma non l’efficienza e l’efficacia del prodotto. In fondo il grande guaio italiano è questo». Marco Manca ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 7 feb. ’03 SARDEGNA: AMMALIATI DALLA RICERCA AVANZATA Ponti d'oro della Regione alle aziende interessate, ma Soru frena dal nostro inviato Mauro Lissia PULA. La Regione lancia un invito alle aziende private dell'innovazione, dell'Information technologies, a chi ha progetti per fare della Sardegna una piattaforma della ricerca avanzata. Invito esplicito, che profuma di fondi pubblici e che promette terreno fertile nei campi ancora in parte inesplorati della telematica e della comunicazione su banda larga. L'offerta è esplicita ed è il senso del convegno 'Sardegna è futuro, un polo europeo per le knowledge-intensive industries' che si è aperto ieri al Polaris, il parco scientifico tecnologico della Sardegna, con la collaborazione di Sfirs e Consorzio 21: «Vogliamo far capire - ha detto l'assessore regionale all'industria Giorgio La Spisa - che in Sardegna si può lavorare e si può produrre conoscenza, perchè in Sardegna c'è un tessuto sociale e istituzionale disponibile ad accogliere iniziative serie. La Sardegna vuole investire molto nei settori della ricerca avanzata, come abbiamo fatto nell'ultimo anno adottando un sistema rigoroso, ma conveniente anche per le aziende che vogliono investire nella nostra isola. Per questo - ha detto ancora l'assessore - bisogna ringraziare le giunte regionali di colore diverso dal nostro, che hanno guardato lontano creando questa struttura per la ricerca a Piscina Manna». Secondo il presidente della Regione Mauro Pili sarà questa la «scommessa vincente della Sardegna», una strategia destinata a creare «opportunità straordinarie» seguendo il solco tracciato dal Crs4 e seguito da Video on Line, fino al successo realizzato da Renato Soru con Tiscali, il secondo Internet provider d'Europa. Ma proprio Soru ha voluto, almeno a parole, mettersi di traverso sulla strada scelta dalla Regione con un intervento quasi dissuasivo, che ha sorpreso l'affollatissima sala convegni di Polaris. Parole secche e dirette, come al solito: «Per favore - ha detto, guardando il tavolo delle autorità regionali - non regalate soldi a sedicenti imprenditori che vengono da fuori, incassano i finanziamenti e se ne vanno. E' come cercare di sposare la figlia brutta... Le aziende le possono fare i sardi, qui ci sono le intelligenze e la voglia di lavorare». Mauro Pili e Giorgio La Spisa hanno ascoltato l'uomo di Tiscali con grande attenzione, quasi sporgendosi sul banco dei relatori. Poi hanno dovuto rispondere per le rime a un imprenditore-personaggio che anche stavolta ha voluto esprimersi controcorrente: «Ci sono i bandi, ci sono le leggi nazionali ed europee - hanno ribattuto in sostanza Pili e La Spisa - chi vince va avanti e realizza i progetti. Sosterremo le imprese locali, ma senza chiuderci all'esterno». Con una premessa che è stata il ritornello del convegno: in questi anni è destinato a vincere chi porta le idee più innovative. Soprattutto in un campo complesso come quello dell'Information technology, verso cui il Crs4 e le politiche della Regione guardano con interesse. Alla provocazione di Soru ha risposto anche Mario Bonzano, vice presidente per l'Europa meridionale di Oracle: «C'è una forte concorrenza fra sistemi locali, sul mercato si può reggere soltanto con alleanze forti». Come dire: le chiusure isolano e non fanno crescere le aziende. Discorso chiaro, dunque. E chiare anche le differenze fra l'orgoglioso imprenditore di Internet («mai presa una lira da enti pubblici») e una Regione che chiamando a raccolta le maggiori aziende europee ha deciso di muoversi proprio sul campo delle tecnologie fini, dove si può costruire ricchezza senza distruggere l'ambiente. Campo aperto proprio dal Crs4 col primo sito internet d'Italia - ha ricordato Carlo Rubbia, Nobel per la fisica, commissario straordinario di Enea e testimonial autorevole del progetto - proseguito da Nichi Grauso con Video on Line e trasformato in business da Soru. Non solo idee, a quanto è emerso a Pula: «Domattina - ha annunciato Pili - la Regione delibererà la partecipazione della Regione al consorzio pubblico-privato che realizzerà il cavo sottomarino in fibre ottiche, destinato a dare il via alla continuità territoriale telematica, con una spesa di 15 milioni di euro». Durante i lavori si è parlato di uso delle tecnologie in diversi campi applicativi: dalla salute alla protezione dell'ambiente, fino all'organizzazione e alla creazione di strategie aziendali. L'intervento finale è stato quello di Fabrizio Onida, docente di economia alla Bocconi. Oggi due sessioni di workshop, con relazioni su Shardna, neuroscienze, Crs4, Saras, Tiscali, Accenture e Atlantis. ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 5 feb. ’03 ISOLA DEI CAVOLI: L'"INTELLIGENZA" DELL'ERBA SERPENTARA Attira gli insetti puzzando come una carogna, li riempie di polline, dopo 24 ore li rilascia Sequestratrice di mosche Stefano Ambu CAGLIARI. Tecniche di seduzione poco ortodosse, ma a prova di bomba: per attirare gli insetti e convincerli a trasportare il suo polline qua e là nei campi, l'erba serpentara - una pianta che cresce nelle isolette al largo di Villasimius (Isola dei cavoli e Serpentara) - non usa Chanel numero cinque, ma un pestilenziale odore uguale identico a quello di una carcassa animale in decomposizione. La scoperta è di un'équipe di biologi dell'università di Cagliari guidata dalla professoressa Anna Maria Angioy: peccato che l'ateneo cagliaritano non abbia i fondi per brevettare la ricerca. Il rischio è che da un momento all'altro qualcuno possa scippare il risultato di quattro anni di ricerche, partite nel 1999 dalla stazione scientifica dell'Isola dei Cavoli. Un pericolo sottolineato ieri dal rettore dell'università di Cagliari Pasquale Mistretta: "Abbiamo bisogno - ha detto - di fondi per finanziare la ricerca, soprattutto per dare spinta e coraggio ai giovani scienziati e ai piccoli laboratori: i brevetti costano parecchio, è vero, ma è assurdo vanificare anni e anni di ricerche". Le mosche, quelle con la corazza azzurro o verde metallizzata che di solito svolazzano intorno ai ricordini lasciati da mucche e pecore, sono le vittime dell'inganno che consente la riproduzione dell'erba serpentara: attirati dall'odore emanato dalla "pianta intelligente" si buttano a pesce, ma finiscono in trappola. La pianta, infatti, le tiene prigioniere per 24 ore e le riempie di polline. Solo allora agli insetti viene concesso il visto per l'espatrio. Poi, però, gli insetti, non paghi della giornata di prigionia, ci ricascano: non appena riavvertono l'odore emanato da un'altra pianta si fanno catturare ancora. Lasciano lì il loro carico di polline tirato su nella tappa precedente e fanno il pieno per un nuovo viaggio. E poi si va avanti così, di pianta in pianta, in un ciclo riproduttivo che non finisce mai. Gli studi condotti dallo staff di fisiologia chemiosensoriale del dipartimento di biologia sperimentale - aiutati a lavori iniziati anche da una équipe di scienziati dell'università di Alnarp, in Svezia - stanno facendo il giro del mondo: un resoconto sulle ricerche è stato pubblicato su Nature, una rivista scientifica internazionale, mentre la tv inglese Bbc ha dedicato ai ricercatori cagliaritani un lungo approfondimento. "L'odore emanato dall'Helicodiceros muscivorus (il nome scientifico dell'erba serpentara) - ha detto Angioy - si deve ad alcune molecole identiche a quelle prodotte dalle carcasse animali. Identico è anche il tipo di segnale che arriva alle mosche: per gli insetti non c'è differenza. Oltre l'odore, la pianta usa altri stratagemmi: l'aspetto esteriore e la temperatura. Per la mosca è facile perdersi in questa selva di trappole. Un singolare e straordinario esempio di come una pianta abbia acquisito con l'evoluzione l'abilità di sfruttare gli insetti con lo scopo di farsi impollinare". Stefano Ambu La scoperta è di un'équipe di biologi dell'università di Cagliari guidata dalla professoressa Anna Maria Angioy: peccato che l'ateneo cagliaritano non abbia i fondi per brevettare la ricerca. Il rischio è che da un momento all'altro qualcuno possa scippare il risultato di quattro anni di ricerche, partite nel 1999 dalla stazione scientifica dell'Isola dei Cavoli. Un pericolo sottolineato ieri dal rettore dell'università di Cagliari Pasquale Mistretta: "Abbiamo bisogno - ha detto - di fondi per finanziare la ricerca, soprattutto per dare spinta e coraggio ai giovani scienziati e ai piccoli laboratori: i brevetti costano parecchio, è vero, ma è assurdo vanificare anni e anni di ricerche". Le mosche, quelle con la corazza azzurro o verde metallizzata che di solito svolazzano intorno ai ricordini lasciati da mucche e pecore, sono le vittime dell'inganno che consente la riproduzione dell'erba serpentara: attirati dall'odore emanato dalla "pianta intelligente" si buttano a pesce, ma finiscono in trappola. La pianta, infatti, le tiene prigioniere per 24 ore e le riempie di polline. Solo allora agli insetti viene concesso il visto per l'espatrio. Poi, però, gli insetti, non paghi della giornata di prigionia, ci ricascano: non appena riavvertono l'odore emanato da un'altra pianta si fanno catturare ancora. Lasciano lì il loro carico di polline tirato su nella tappa precedente e fanno il pieno per un nuovo viaggio. E poi si va avanti così, di pianta in pianta, in un ciclo riproduttivo che non finisce mai. Gli studi condotti dallo staff di fisiologia chemiosensoriale del dipartimento di biologia sperimentale - aiutati a lavori iniziati anche da una équipe di scienziati dell'università di Alnarp, in Svezia - stanno facendo il giro del mondo: un resoconto sulle ricerche è stato pubblicato su Nature, una rivista scientifica internazionale, mentre la tv inglese Bbc ha dedicato ai ricercatori cagliaritani un lungo approfondimento. "L'odore emanato dall'Helicodiceros muscivorus (il nome scientifico dell'erba serpentara) - ha detto Angioy - si deve ad alcune molecole identiche a quelle prodotte dalle carcasse animali. Identico è anche il tipo di segnale che arriva alle mosche: per gli insetti non c'è differenza. Oltre l'odore, la pianta usa altri stratagemmi: l'aspetto esteriore e la temperatura. Per la mosca è facile perdersi in questa selva di trappole. Un singolare e straordinario esempio di come una pianta abbia acquisito con l'evoluzione l'abilità di sfruttare gli insetti con lo scopo di farsi impollinare". =========================================================== ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 7 feb. ’03 AZIENDA MISTA: IL GIUDIZIO DEL RETTORE DELL'UNIVERSITÀ DI SASSARI «Una soluzione che ci aiuterà a dare maggiore qualità» di Vannalisa Manca SASSARI. Tutti attendono di leggere il testo della deliberazione della commissione Sanità, ma nessuno nasconde di conoscerne perfettamente i contenuti. Molti commenti, ma pochi pronunciati ad alta voce. Un dato emerge, però: c'è soddisfazione. Le due entità, Università e Ospedale, che da qualche anno hanno condotto una battaglia non proprio sotterranea per il timore che un ente potesse prevalere sull'altro e in qualche modo fagocitarlo, oggi si dicono pronte a collaborare nell'interesse dell'utenza. Due aziende autonome di tipo B (una delle opzioni di legge): l'Università, che sarà integrata col Sistema sanitario nazionale gestirà le sue cliniche, il polo universitario e accorperà il "Marino" di Alghero (specialità di Ortopedia). All'Azienda Usl 1 resterà la gestione di tutto il resto: ospedale SS. Annunziata a Sassari e presidi ospedalieri di Alghero, Ozieri, Thiesi e Ittiri. In prospettiva, secondo una raccomandazione contenuta nella delibera della 7ª commissione, è possibile una terza azienda che scorporerebbe il SS. Annunziata di Sassari da gestire con il "civile" di Alghero. «Sono certo che le due nuove aziende avranno una configurazione adeguata per svolgere il loro ruolo - dice il rettore dell'Università, Alessandro Maida -. Noi auspichiamo un clima di collaborazione e per quanto ci riguarda garantiremo la massima operatività. Certamente si è valutata una soluzione che certamente potrà aiutarci a portare una qualità superiore nella sanità». Due aziende con bilanci autonomi e risorse che arriveranno in base alle prestazioni sanitarie che ogni struttura effettuerà. Produttività, espansione, ricerca dell'utente: non solo in termini economici ma anche come qualità del servizio agli assistiti. «Siamo soddisfatti della soluzione adottata - dice Gianfranco Cossu, segretario dell'Anpo, l'associazione dei primari ospedalieri - . Si è dato il giusto riconoscimento di ruolo delle due entità. Una soluzione che non penalizza nessuno dà garanzia per il futuro dell'Università. Un equilibrio che consente all'Università di potersi gestire, garantendo efficienza didattica e formativa. E al tempo stesso, questa delibera consente all'ospedale di mantenere il suo ruolo operativo assicurando all'utenza una sanità di qualità». ____________________________________________________ L’Unione Sarda 7 feb. ’03 «AZIENDE SANITARIE GESTITE DAI COMUNI» La Margherita presenta un disegno di legge di riforma del sistema sanitario Biancu: il controllo della spesa è stato disastroso Dovranno essere i sindaci ad effettuare i controlli delle Aziende sanitarie locali. È questa, in sintesi, la proposta della Margherita che nei giorni scorsi ha illustrato un disegno di legge per il riordino del sistema sanitario in attesa che venga approvato il piano regionale. Tra gli obiettivi, quello di eliminare l’eccessivo potere in mano all’assessore alla Sanità che attualmente nomina i direttori generali delle Asl. «I direttori generali sono oggi frutto della lottizzazione politica», ha detto Antonio Biancu: «La riforma aziendalistica del ’95 si poneva due obiettivi: razionalizzare la spesa e migliorare la qualità e quantità dei servizi ai cittadini. A 8 anni constatiamo che è venuto a mancare un controllo democratico sulla sanità affidato prima ai Comitati di gestione. Il risultato dal punto di vista del controllo della spesa è disastroso: nel 2000 abbiamo avuto un disavanzo di 595 miliardi di vecchie lire e nel 2002 di 554 miliardi». La Margherita punta a reintrodurre nel sistema sanitario modalità di partecipazione democratica alle attività di programmazione, indirizzo e controllo dei servizi sanitari. Nel disegno di legge l’attuale Conferenza dell’azienda viene trasformata in un’assemblea dei sindaci dei Comuni che fanno parte del territorio. Tra i compiti, la nomina di un consiglio di amministrazione che definisce le linee di indirizzo, approva il bilancio e nomina il direttore generale. Per le aziende ospedaliere, come il Brotzu di Cagliari, l’assemblea verrebbe composta dai consiglieri comunali e il cda dagli assessori. Alla Giunta regionale rimarrebbe il compito di predisporre l’elenco dei candidati alla carica di direttore generale. «E’ importante che la riforma venga approvata in questa legislatura», ha spiegato il capogruppo della Margherita Paolo Fadda, «perchè non c’è certezza su quale maggioranza vincerà le prossime elezioni.(G.Mdn) In una mozione del centrosinistra chiesta una Commissione d’indagine ASL, IN SARDEGNA GLI STIPENDI PIÙ ALTI Sono sardi i manager delle Aziende sanitarie meglio pagati d’Italia. I dirigenti isolani, insieme a quelli di Sicilia e Basilicata, ricevono circa 155 mila euro all’anno, oltre a circa 5 mila euro per la formazione. Lo hanno segnalato i rappresentanti del centrosinistra che, ieri, hanno presentato in Consiglio una mozione che ha come obiettivo la richiesta di una Commissione d’inchiesta sullo stato di salute del sistema sanitario. L’opposizione contesta la decisione della Giunta che lo scorso 1° gennaio ha deliberato l’aumento degli stipendi dei manager del 20% (massimo consentito dalla legge). «Non è illegale ma è ingiusto se non vengono centrati gli obiettivi», ha detto Peppino Balia (Socialisti Uniti), primo firmatario della mozione che segue una serie di interpellanze e mozioni presentate dal centrosinistra «ma mai affrontate dalla maggioranza». Dalla fotografia scattata dall’opposizione emerge una Sardegna al 5° posto in Italia per il disavanzo sanitario ma allo sbando quanto a qualità dei servizi, pubblici e privati. «Il sistema sanitario sardo è malato, praticamente in coma», ha detto Balia. Molti i nodi cruciali di una gestione della Sanità finita nel mirino della Corte dei Conti: innanzitutto la mancanza (da 17 anni) del Piano sanitario regionale nonostante l’approvazione, da parte della Giunta Palomba, di uno stralcio del Piano di razionalizzazione della rete ospedaliera. Tra le molteplici contestazioni dell’opposizione c’è proprio l’eccessiva concentrazione dei posti letto nelle grandi città a discapito dei piccoli ospedali dislocati nel territorio. L’opposizione chieden inoltre, lumi sull’esatto ammontare del disavanzo del sistema sanitario (si parla di cifre oscillanti tra 5 e 40 milioni di euro) e sull’entità degli stanziamenti statali conferiti alla Sardegna nella conferenza Stato-Regioni di Fiuggi, avvenuta lo scorso 31 gennaio. Ecco, dunque, la necessità di una commissione d’inchiesta che, secondo i proponenti, accerti eventuali sprechi e incongruenze. Per la discussione della mozione e l’istituzione dell’organo conoscitivo verrà chiesta una procedura d’urgenza. Alessandro Zorco ____________________________________________________ La Stampa 7 feb. ’03 ROMA: TRAPIANTI, RICERCA, LABORATORI «LA SANITÀ DI ECCELLENZA C´È» Ieri la notizia dell´ultima scoperta scientifica firmata da medici di Tor Vergata e dell´Istituto Santa Lucia. Ma c´è stato anche, per la prima volta al mondo, il trapianto della mandibola Mini-guida (e parziale) con l´assessore regionale Saraceni Roma sempre più spesso si mette in luce per le sue eccellenze in campo medico. È un fatto nuovo? «La città di Roma è già di per sé eccellenza», risponde Vincenzo Maria Saraceni, assessore alla sanità della Regione. «Qui c´è una straordinaria presenza di risorse importanti. Cinque facoltà di medicina, quattro Policlinici universitari, numerosi istituti a carattere scientifico». In una mattinata limpida e gelida, nel suo ufficio al nono piano dell´edificio, mastodontico e kafkiano che ospita la Regione, l´assessore guarda dall´alto la città più bella del mondo, ma dove la sanità è spesso più croce che delizia. Stavolta, almeno, si parla di record positivi. «Sono felice dei riconoscimenti che ha avuto il Lazio. I servizi e l´organizzazione sono migliorati e alla Regione è stato dato un contributo finanziario notevole. Avremo così la possibilità di ristrutturare e di far diventare il servizio sanitario vero punto di riferimento per i cittadini». Quali sono le punte di diamante di una sanità spesso bistrattata? «Le eccellenze sono molte, e vorrei cominciare da Tor Vergata, un policlinico all´avanguardia, eccellenza organizzativa. Perché l´eccellenza non è solo il grande risultato scientifico, l´avanguardia. Ma pure una struttura che funzioni veramente bene. A Tor Vergata i pazienti sono oltre 200.000. Sembra un po´ il Beauburg di Parigi, decisamente futuristico. Eccellenza scientifica, soprattutto, per la radiologia con il professor Simonetti e la cardiochirurgia con il professor Chiariello». A Roma da poco è stato effettuato il primo trapianto di mandibola... «Sì, un intervento unico al mondo ed è stato fatto presso il San Raffaele». Il San Raffaele di Mostacciano è stato abbandonato per anni. «E´ vero, purtroppo. Fu Don Verzè a crearlo, ma non gli fu mai data la convenzione, forse allora si aveva paura che riuscisse a creare 500 letti d´eccellenza. Per anni è stato abbandonato, ora da due anni è diventato polo oncologico d´avanguardia». Che significa, esattamente? «Sono stati trasferiti qui i reparti del vecchio Regina Elena, già specializato in oncologia. L´ospedale ora è veramente a cinque stelle, all´avanguardia anche per i trapianti. Il professor Santoro ha fatto nell´anno passato 10 trapianti di fegato. E poi c´è una collaborazione con la regione Toscana, sulla spinta dell´appello lanciato dal ministro Sirchia, per creare un grande centro contro il cancro». Ospedali belli, strutture all´avanguardia. Sempre più simili a cliniche private? «Sì, questo è il sogno nostro, non solo dei malati. L´ospedale dà al paziente la possibilità di avere molta assistenza, vorrei ospedali sempre più cliniche dove accanto ai grandi primari, ci fossero anche servizi adeguati. e qualche esempio c´è già». Dove trova il cittadino questo «paradiso perduto»? «Al San Camillo-Forlanini molte sono le eccellenze, abbinate anche a nuovi servizi, come il pronto soccorso e la medicina d´urgenza. Vorrei citarne alcuni: per la cardiochirurgia il professor Musumeci, un nome di livello internazionale, quattro trapianti di cuore solo nell´anno scorso. Il professor Schirru per l´oculistica e il professor Martelli per la chirurgia toracica. E poi il Policlinico Gemelli: dove le eccellenze stanno, per esempio, in neurologia e cardiochirurgia». Altre oasi felici? «Sicuramente il Bambino Gesù, eccellenza per terapia intensiva, rianimazione, cardiochirurgia infantile, ematologia. E per gli studi di genetica l´istituto Mendel, diretto dal professor Dallapiccola. Il San Giovanni-Addolorata, poi, è il primo ospedale al mondo dove le risposte di esami e lastre e le prenotazioni si fanno via internet. Sempre lì si sta portando avanti un progetto, in collaborazione con lo stato di Israele, per studiare come si organizza l´ospedale in situazioni di grande emergenza». L´eccellenza non penalizza un po´ il paziente che si reca presso un ospedale per fare un semplice esame e si trova davanti una lista d´attesa eterna? «Dopo 32 anni la Regione Lazio ha finalmente approvato il primo piano sanitario regionale e tra le sfide proposte c´è anche quella delle liste d´attesa, per le quali abbiamo creato un centro unico di prenotazione regionale, con un numero verde: 800986868. Prevediamo così una considerevole riduzione delle attese». Terry Marocco ____________________________________________________ L’Unione Sarda 7 feb. ’03 «SUL PONTE PER IL POLICLINICO ASPETTIAMO CHIARIMENTI» Il professor Antonio Vacca, sindaco di Monserrato, spezza anche lui una lancia sulla necessità della “variante” ai progetti che insistono su “Is ponti paris”. «Devono essere rispettare gli impegni assunti - dice - tenendo conto delle esigenze e delle necessità del nostro bacino di utenza». La strada alternativa proposta da Selargius coinvolge anche Monserrato che in questo periodo sta cercando di fare chiarezza anche sul ponte ”strallato” che la Provincia ha progetta per arrivare al Policlinico universitario scavalcando la 554. «Francamente - sottolinea Vacca - sono fermo alla conferenza di servizio dell’estate scorsa. E sostengono l’accordo preso. Però di questo ponte non sono proprio nulla se non quello che è apparsa sui giornali. Vero è che -aggiunge - il problema della viabilità interna e di passaggio é molto reale e come tale va affrontato». Pare che rispetto al progetto originario l’unica modifica riguarda la cancellazione del sovrappasso sostituito da una rotatoria. Se ne parlerà in una prossima riunione in prefettura. «Per il momento - continua il sindaco di Monserrato - restiamo in attesa di chiarimenti». ____________________________________________________ Corriere della Sera 5 feb. ’03 I DS: TROPPI SOLDI ALLE CLINICHE PRIVATE LA REPLICA DI AN: SONO ACCUSE FALSE La legge regionale sull' accreditamento «aumenta i fondi alle cliniche private e diminuisce l' autonomia delle strutture pubbliche». Lo sostiene il capogruppo regionale Ds, Michele Meta, che annuncia battaglia oggi in Consiglio regionale per modifica re una proposta di legge «che finirà per avere effetti disastrosi per le Asl». Per Giulia Rodano (Ds) «siamo al paradosso: le norme sull' accreditamento dovrebbero servire a garantire la qualità delle strutture, in realtà su questo la proposta della giunta è solo apparentemente vuota, ma in realtà affida un enorme potere discrezionale alla giunta stessa con il rischio di danneggiare in primo luogo gli ospedali pubblici». Questa proposta «segna l' ennesimo passo verso l' annullamento del ruolo de lle Asl - sostengono Salvatore Bonadonna (Prc) e Alessio D' Amato (Pdci) - e spalanca le porte ai privati nel settore». E Angelo Bonelli (Verdi) propone «l' istituzione di un' authority sulla sanità, esterna alla giunta, per verificare la qualità dei servizi privati e pubblici erogati al cittadino e le spese». Alessandro Foglietta (An), presidente della commissione sanità della Regione, replica: «Sono le solite accuse demagogiche dei Ds, che hanno malgovernato per cinque anni e adesso tentano di gettare discredito sulla maggioranza di centrodestra e sulla giunta, sapendo di mentire». ____________________________________________________ Corriere della Sera 4 feb. ’03 APPELLO DEL PRESIDENTE DEI MEDICI: «PRESCRIVERE MORFINA È UN OBBLIGO MORALE» De Bac Margherita TERAPIA DEL DOLORE/ Nonostante le nuove norme per favorire l' uso di farmaci oppioidi l' Italia resta agli ultimi posti Appello del presidente dei medici: «Prescrivere morfina è un obbligo morale» Solo il 20 per cento degli ammalati di tumore sottopo sto a cure palliative Ma in alcune Regioni non sono ancora arrivati i ricettari ROMA - La qualità delle cure contro il dolore si misura in base al consumo di morfina. Lo stabiliscono le linee guida dell' Organizzazione mondiale della Sanità, uscite n el 1986. Diciassette anni dopo, questo indicatore ricaccia l' Italia agli ultimi posti in Europa, assieme alla Grecia. Un primato da biasimare che, unito alle denunce delle famiglie, ha spinto il presidente degli Ordini dei medici italiani a lanciare un appello ai colleghi storicamente restii all' uso terapeutico di oppioidi: «Alleviare il dolore dei malati inguaribili è un obbligo morale - afferma Giuseppe Del Barone -. Bisogna prescrivere la morfina nelle situazioni in cui serve a lenire la so fferenza. Invece i medici, sebbene contrari all' eutanasia e a favore della dignità della morte, sono riluttanti a causa di pregiudizi atavici. Riceviamo molte segnalazioni da parte dei parenti». Del Barone ricorda che «se 20 anni fa una ricetta face va sudare freddo» perché esponeva il firmatario a rischi penali oggi le nuove regole garantiscono un più facile accesso agli oppioidi, «quindi chi si sottrae alla prescrizione fa il male del paziente». In Italia ogni anno muoiono 160 mila malati con tumore, ma appena il 20% nell' ultima fase della vita conosce il sollievo delle cure palliative, necessarie per controllare il dolore, fisico e psicologico. Alla resistenza passiva dei medici nell' impiego del più potente dei farmaci antalgici si uni scono la lentezza nell' applicazione e la scarsa conoscenza di una legge approvata nel marzo del 2001 per migliorare la qualità della vita dei malati terminali. La legge, oltre ad introdurre ricettari meno complicati, prevede la depenalizzazione degl i errori di prescrizione non dolosi e ha l' obiettivo di incentivare i farmacisti a tenere una scorta adeguata di oppioidi. «Invece dopo due anni nulla è cambiato - denunciano l' oncologo Dino Amadori e il palliativista Franco De Conno, autori del pr imo Libro Italiano di Cure Palliative -. Era prevista una campagna di informazione presso i medici che non è mai stata avviata». Risultato: le confezioni di oppioidi vendute tra il 2000 e il 2001 erano 2.850.000, lo scorso anno sono rimaste pressoché stabili (3.050.000 pezzi). L' Italia è indietro anche a molti Paesi in via di sviluppo, come Eritrea, Congo, Cambogia e Ghana. Alcune Regioni non hanno ancora i nuovi ricettari, che i medici devono ritirare alla Asl: «Nel Lazio sono arrivati 20 gior ni fa - dice Giuseppe Casale, coordinatore scientifico di Antea -. Solo uno su 11 medici della nostra associazione che li hanno richiesti sono riusciti ad averli. Non c' è un disegno politico. Mancano chiarezza e informazione. La morfina resta un tab ù». Poco sviluppate le cure palliative nel loro insieme anche se si vedono segnali di risalita. I reparti disegnati dalla legge dell' ex ministro della Sanità Rosy Bindi, gli hospice per malati terminali, sono diventati 50, circa 300 le unità di cure palliative anche se molte restano sulla carta per insufficienza di operatori dediti a questo tipo di assistenza. Margherita De Bac mdebac@corriere.it LA SCHEDA CONSUMO L' Italia è agli ultimi posti nel mondo per il consumo di morfina come antidolori fico. Nel ' 97 i consumi erano inferiori a Congo, Ghana ed Eritrea. Una legge del marzo 2001 prevede la semplificazione dei ricettari e la depenalizzazione di certi reati. Il numero di fiale vendute però non è aumentato CURE PALLIATIVE In Italia ogni anno muoiono di tumore 160 mila malati, solo il 20% ricevono cure palliative adeguate. Palliative sono le cure rivolte a pazienti che non rispondono più ai trattamenti terapeutici. Per l' assistenza al malato terminale esistono reparti speciali, gli hospice, 50 in Italia, unità di cure palliative negli ospedali, servizi domiciliari insufficienti per la richiesta. L' ORDINE DEI MEDICI Il presidente degli Ordini dei medici Giuseppe Del Barone ha esortato i medici a prescrivere la morfina nei casi in cui è necessaria per alleviare la sofferenza ____________________________________________________ L’Unione Sarda 5 feb. ’03 MEDICI IN RIVOLTA: OSPEDALIERI E “ACCREDITATI” CONTRO LA REGIONE Contestati i ritardi della Asl 8 nell’onorare il contratto o i rimborsi: un buco milionario Il loro contratto prevede il “salario accessorio”. Ma i vedici ospedalieri della Asl 8, a differenza dei colleghi del resto d’Italia, non hanno mai visto un centesimo. Stanchi di bussare cassa alla Asl di via Lo Frasso per chiedere ciò che gli spetta per contratto, su invito delle organizzazioni sindacali, una folta rappresentanza dei 1.500 medici ospedalieri della Asl 8 si è riunita in assemblea per rivendicare l’attribuzione degli incarichi dirigenziali e il pagamento del salario accessorio, come previsto dai contratti nazionali di lavoro dal 1994 a oggi. La risposta dell’Azienda sanitaria 8 è sempre la stessa: i soldi non ci sono. E non ci saranno mai - aggiungono i medici - se l’azienda non chiederà l’aiuto della Regione. Dieci milioni di euroLa somma in questione è di tutto rispetto: i medici ospedalieri vantano un credito di 10 milioni di euro. Sui problemi del comparto e sulla vicina razionalizzazione ospedaliera i medici chiedono di non essere esclusi e di sedersi a un tavolo tecnico insieme all’Università e alla Regione. Ne va, dicono, della pacifica convivenza tra personale e strutture ospedaliere e universitarie. PoliclinicoDel futuro della struttura universitaria di Monserrato, un procinto di diventare azienda mista (ospedaliero-universitaria), si è parlato in un nuovo incontro tra il rettore Pasquale Mistretta e le organizzazioni sindacali. Mistretta non ha nascosto come i ritardi della Regione nell’accreditamento dei rimborsi penalizzi la gestione. E, di riflesso, come sottolinea Tomaso Demontis, segretario generale di Ateneo della Cisl, «penalizza il personale». Quanto al protocollo d’intesa con la Regione per l’azienda mista, ci si è posti un problema durante l’assemblea: chi farà fronte all’eventuale differenza tra stipendio universitario e ospedaliero di pari funzioni e mansioni? Sanità in appalto?In attesa da dieci mesi dei rimborsi della Asl 8, sono sempre più sul piede di guerra i medici professionisti che, chiamati a raccolta in un’assemblea dal Sapmi (Sindacati autonomi medici professionisti), puntano l’indice contro una delibera della Giunta regionale che stabilisce un “tetto” per le prestazioni sanitarie che potranno essere erogate dalle strutture convenzionate accreditate, pena il mancato rimborso delle eccedenze. «Peggio: la Regione», contesta il segretario del Sapmi Sardegna Pinello Lo Nardo, «impone alle Asl di scegliere chi pratica la più alta percentuale di riduzione delle tariffe, migliori tempi d’attesa, moderni mezzi tecnologici. Siamo alla sanità in appalto. C’è aria di illegittimità. Daremo battaglia». Tribunale del MalatoL’assessorato regionale alla Sanità dovrebbe farsi carico, in qualità di «erogatore dei finanziamenti», di sensibilizzare i Comuni a privilegiare, nei piani socio-assistenziali, provvedimenti tesi a migliorare le condizioni degli anziani. È l’auspicio del Tribunale per i diritti del Malato che, al tema “L’anziano e le istituzioni”, ha dedicato un incontro. ____________________________________________________ Corriere della Sera 2 feb. ’03 TUMORI, DA KILLER A MALATTIE CRONICHE Cambia il modo di affrontare il male: oggi c' e' tutta una serie di nuovi disturbi definita come "sindrome del sopravvissuto" Bazzi Adriana DAL NOSTRO INVIATO PARIGI - Da killer a malattia cronica, come il diabete o l' asma: così è cambiata la faccia del cancro. Grazie alla diagnosi precoce, ma soprattutto ai nuovi farmaci. Oggi la probabilità di sopravvivere, dopo cinque anni dalla scop erta della malattia, è arrivata al 62%; vent' anni fa era del 52. Ma la percentuale supera il 90% per il tumore al testicolo e l' 80 per quello al seno. E i numeri sono destinati ad aumentare con l' arrivo della prossima generazione di cure costruite grazie alla genetica. Secondo gli esperti alcuni farmaci - come i fattori anti angiogenetici che bloccano l' afflusso di sangue al tumore, impedendone la crescita e tenendolo sotto controllo - potrebbero essere assunti per lunghi periodi, se non add irittura per tutta la vita. La diagnosi di tumore, dunque, non è più una sentenza di morte, ma i sopravvissuti devono convivere con una serie di sintomi legati alla malattia o agli effetti collaterali delle terapie, come il dolore, la depressione, l' infertilità, la sensazione di stanchezza profonda che gli esperti definiscono fatigue: una specie di «sindrome del sopravvissuto» che oggi richiede un' attenzione sempre maggiore. Perché spesso i malati non ne parlano, perché i medici non sempre se ne fanno carico. Proprio in difesa della qualità della vita del malato di cancro, oltre che per promuovere la ricerca e assicurare la qualità delle cure, è nata tre anni fa la «Carta di Parigi»: una dichiarazione dei diritti del malato di tumore in d ieci articoli che è promossa dall' Unesco e ha il patronato del presidente francese Jacques Chirac. La Carta, che sta facendo il giro del mondo ed è diventata il simbolo della lotta contro i tumori, è stata sottoscritta in Italia da 20 mila cittadini , compreso il presidente Carlo Azeglio Ciampi, e il registro delle firme sarà consegnato lunedì a Versailles al professor David Khayat, uno dei promotori dell' iniziativa, con una cerimonia alla presenza di Madame Chirac. «Fino a qualche anno fa - co mmenta Khayat, oncologo all' ospedale Pitié Salpetrière di Parigi - gli oncologi si preoccupavano soltanto di combattere il tumore, amputando la gamba a un bambino, per esempio, o mutilando una donna con tumore al seno, senza pensare alle conseguenze . Oggi questo atteggiamento sta cambiando. Non si deve curare la malattia, ma il malato». Alcune indagini hanno dimostrato che i malati di tumore, soprattutto sottoposti a chemioterapia o in fase avanzata, denunciano disturbi che finora sono stati tr ascurati, ma che condizionano pesantemente la vita familiare, sociale e sessuale. Secondo un' indagine del Centro ricerche sulla gestione dell' assistenza sanitaria della Bocconi di Milano, che ha coinvolto 104 centri oncologici e 700 pazienti, la st anchezza profonda che colpisce il 90% di chi è sottoposto alla chemioterapia ha un forte impatto negativo sulle attività quotidiane, ma soltanto la metà dei pazienti riesce ad avere su questo problema un dialogo con il proprio medico. Lo stesso vale per il dolore e la depressione che colpisce un paziente su due. «Queste situazioni possono essere affrontate - ricorda Khayat -. La fatigue, spesso legata a un' anemia, si può combattere con un farmaco, l' eritropoietina. Dolore e depressione possono essere curati». L' Organizzazione mondiale della sanità ha sottolineato come in molti Paesi i malati di cancro non abbiano accesso alle cure palliative e come sia ancora difficile ricorrere agli antidolorifici oppiacei per il controllo del dolore da cancro. L' ottavo articolo della «Carta di Parigi» sostiene che il miglioramento della qualità della via dei pazienti costituisce una priorità non soltanto medica, ma anche umanitaria. Adriana Bazzi abazzi@corriere.it Diagnosi precoce e nuovi farmac i Crescono le possibilità di restare in vita SOPRAVVIVENZA Oggi la probabilità di sopravvivere a un tumore, dopo cinque anni dalla scoperta della malattia, è arrivata al 62%. Vent' anni fa era al 52%. Il tumore, dunque, da malattia letale si sta tras formando in malattia cronica LE PERCENTUALI Ma non per tutte le forme di tumore le probabilità di sopravvivenza sono le stesse. Fra le forme tumorali con sopravvivenza più alta c' è quella al testicolo, per la quale si guarisce nel 93% dei casi. Poi il tumore al seno: 81% di probabilità di sopravvivenza. Il melanoma: 77%, come il tumore all' utero. I linfomi di Hodgkin: 76%. Il tumore alla vescica: 71%. Quello al collo dell' utero: 66%. Quella alla prostata: 65%. Le percentuali sono contenute ne l Registro Tumori italiani riferiti a diagnosi del 1990-1994. ____________________________________________________ Le Scienze 8 feb. ’03 UN BATTERIO A CACCIA DI FERRO Spiegato il meccanismo genetico alla base delle infezioni Ricercatori dell'Università di Chicago hanno scoperto il modo in cui lo Staphylococcus aureus, una delle cause di infezioni più comuni, riesce ad acquisire il ferro dai globuli rossi del suo ospite. In un articolo pubblicato sulla rivista "Science" vengono suggerite nuove strade per combattere questo patogeno, che ha sviluppato una particolare resistenza agli antibiotici. Gli scienziati descrivono l'intero processo che lo Staphylococcus aureus usa per catturare l'emoglobina dai globuli rossi, rimuovere i gruppi contenenti ferro, trasportarli attraverso la membrana batterica ed estrarre il ferro. Hanno anche scoperto che l'antrace e la listeria usano praticamente lo stesso metodo. "E' un processo completo e molto elegante, - spiega Olaf Schneewind, docente di genetica molecolare e biologia cellulare e direttore dello studio - coinvolge sei diverse proteine, ciascuna con una funzione specifica." Il genoma dello Staphylococcus aureus contiene una famiglia di geni (isd) che codificano i fattori responsabili per legare l'emoglobina e trasportare il ferro che contiene attraverso la parete cellulare. Questi geni vengono attivati quando il batterio giunge in un ambiente povero di ferro, per esempio quando infettano una ferita chirurgica, il tratto gastrointestinale o virtualmente ogni altro punto del corpo umano. ____________________________________________________ Le Scienze 7 feb. ’03 CONSERVARE IL CORDONE OMBELICALE NON SERVE Le cellule del sangue non sarebbero in grado di generare nuove cellule nervose Un numero sempre più crescente di genitori, negli Stati Uniti, deposita nelle banche del sangue un campione di sangue estratto alla nascita dal cordone ombelicale del bambino. Questo nella speranza di conservare cellule staminali per curare in futuro eventuali malattie, dalla leucemia alla demenza fino al morbo di Parkinson o all'Alzheimer. Evan Snyder, medico alla Harvard Medical School di Boston, è però scettico. "E' improbabile - afferma - che le cellule conservate possano essere in grado di riparare i danni al cervello. Si tratta di una falsa speranza." Lo scienziato ha la prova preliminare che le cellule del cordone ombelicale non possono generare nuove cellule del cervello tanto facilmente. Il suo team ha esaminato il cervello di una bambina deceduta a 20 mesi di età che, quando aveva solo 9 mesi, aveva ricevuto una trasfusione sperimentale di sangue del cordone di un maschio per curare una rara malattia del cervello. La ricerca di cellule nervose derivato dal sangue ha dato esito completamente infruttuoso. Anche altri scienziati sono dello stesso parere di Snyder. "Le cellule del sangue conservate nelle banche non saranno di nessuna utilità - afferma Juan Sanchez-Ramos dell'Università della Florida del Sud di Tampa - tranne forse per un trapianto di midollo osseo". ____________________________________________________ Le Scienze 5 feb. ’03 IL GENE DEL COLESTEROLO “BUONO” L’espressione del lipase endoteliale è collegata ai livelli del colesterolo I ricercatori del centro medico della Stanford University hanno osservato che un gene da poco scoperto si occupa della regolazione del colesterolo HDL (lipoproteine ad alta densità), noto anche come colesterolo “buono”. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista “Journal of Clinical Investigation” e secondo uno degli autori, il medico Thomas Quertermous, potrebbe aprire la strada verso nuove terapie per le malattie cardiache. “Si tratta di una scoperta significativa e inaspettata - spiega Quertermous - e sicuramente il gene diverrà un obiettivo nella prevenzione e nella cura dei disturbi cardiaci.” Alti livelli di colesterolo HDL indicano basse probabilità di sviluppare malattie cardiache. I ricercatori sanno che i livelli sono regolati in parte da geni della famiglia dei lipasi. Tre anni fa, il team di Quertermous aveva identificato un nuovo membro di questa famiglia e aveva scoperto che la sua proteina era espressa in una gran varietà di tessuti. Studi successivi hanno mostrato che il nuovo gene, chiamato lipase endoteliale (LIPG), aveva un ruolo importante del metabolismo dei lipidi. Per studiare l’esatto ruolo del gene nella regolazione dei livelli di colesterolo, gli scienziati hanno esaminato modelli genetici di topo con livelli di espressione del gene alterati. I risultati non lasciano dubbi e mostrano una significativa relazione inversa fra i livelli del colesterolo e l’espressione del gene. ____________________________________________________ Corriere della Sera 2 feb. ’03 OMEOPATIA SOTTO ACCUSA: RIFIUTA I TEST SPERIMENTALI Nuova polemica in Canada sulle medicine alternative De Bac Margherita ROMA - L' ostilità alle medicine alternative riprende corpo in Canada, il Paese dall' organizzazione sanitaria più avanzata. In un articolo pubblicato sulla rivista dell' Associazione, i medici canadesi accusano i sostenitori delle «altre» terapie di non aver mai voluto mettersi alla prova rifiutando la sfida leale della sperimentazione con la scusa che costa cara ed è difficile da realizzare. PLAUSIBILI - Invece, secondo il dottor John Hoffer, del Lady Davis Institute for Medical Research di Mo ntreal, firmatario dell' articolo, «esiste il sistema di provare l' efficacia di molte medicine complementari o alternative attraverso studi controllati e randomizzati. Non c' è motivo di ritenere che non possano essere sviluppati protocolli clinici» . I canadesi chiedono ad omeopati, agopuntori e fitoterapisti di accettare il confronto, in mancanza del quale i loro rimedi non potranno mai essere giudicati utili per curare un disturbo o una malattia. Hoffer insiste su una definizione che suona co me un verdetto per ora senza appello: «Questa medicina non è considerata convenzionale perché manca l' evidenza di efficacia e di plausibilità biologica». Finora, insiste l' autore, sono stati utilizzati diversi metodi di verifica ma non scientificam ente validati: «Esistono solo sperimentazioni non randomizzate (quelle dove il paziente non sa se prende placebo o il principio attivo da testare, ndr) o aperte, cioè senza un gruppo di pazienti riferimento». I canadesi concludono: «Fino a quando non verranno sperimentate seriamente queste terapie non saranno plausibili». TRIPLICATE - Ma la gente è tutt' altro che impressionata da interventi così colpevolisti. Anziché diffidenza, è palpabile un moto di fiducia verso i rimedi che vengono da piant e e minerali. In Italia, dati Istat, circa 9 milioni di adulti e il 10% dei bambini tra 3 e 5 anni si curano con le medicine alternative, dal ' 91 al ' 99 i pazienti sono triplicati. Avanza l' uso in pediatria anche a giudicare dalle ricerche epidemi ologiche condotte su un campione di medici in Piemonte, Liguria e nell' Italia Nord Occidentale i cui risultati vengono riportati dall' ultimo numero della rivista della Smb (scuola superiore di omeopatia). Le conclusioni: «Esiste una richiesta molto elevata di approcci diversi da quelli convenzionali. Le barriere ideologiche, gli steccati dei preconcetti sono stati superati da chi ha bisogno di migliorare il proprio stato di salute». L' altr' anno la Federazione nazionale degli Ordini dei medic i ha riconosciuto come atti medici 9 di queste discipline: agopuntura, fitoterapia, ayurvedica, tradizionale cinese, antroposioofica, omeopatia, omotossicologia, osteopatia e chiropratica. I prescrittori sono circa 10 mila. Cesare Romiti, presidente dell' Istituto italo-cinese, ha inaugurato a Palermo, ospedale Buccheri-La Ferla, la terza scuola italiana di agopuntura e medicina cinese. Uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine stima siano 425 milioni l' anno le visite in centri di medicina non occidentale americani. REPLICHE - Alle accuse dei canadesi replica Paolo Bellavite, omeopata e patologo all' università di Verona: «Quella dei canadesi è una posizione ingenua e non aggiornata. Tutti siamo d' accordo sulla necessità d i una sperimentazione, non c' è ragione di rifiutarla. Ma è difficile realizzare studi randomizzati e controllati. Siamo indietro per ragioni storiche ed economiche. Ci vogliono molti soldi e una buona organizzazione, le istituzioni potrebbero aiutar ci e così dimostreremo la validità delle nostre cure che sono sostenute da migliaia di altre ricerche». Bellavite ricorda che la Commissione sull' omeopatia del ministero della Salute ha stabilito che il «metodo randomizzato può essere applicato solo alle malattie con breve decorso e trattate con un solo prodotto». L' atteggiamento dei canadesi è al contrario «impeccabile» per il nefrologo degli Ospedali Riuniti di Bergamo, Giuseppe Remuzzi: «C' è una medicina sola, ed è quella che possiede effe tti favorevoli e ragionevoli effetti collaterali. Finora le terapie alternative non hanno fornito prove. Finanziare in Italia sperimentazioni sull' omeopatia o l' agopuntura con soldi pubblici? Sarebbe un grave errore, in Usa hanno investito nel ' 93 diversi milioni di dollari per sostenere 28 progetti di ricerca e i risultati sono stati negativi. Dopo 10 anni si è visto che solo 9 lavori erano stati pubblicati su riviste importanti e nessuno era convincente». Margherita De Bac mdebac@corriere.i t CURE ALTERNATIVE LA CLASSIFICA Omeopatia E' la medicina alternativa più seguita: si cura con l' omeopatia il 27% dei nove milioni di italiani che ricorrono ai farmaci «non ufficiali». Seguono: i massaggi (20%), la fitoterapia (10,5%) e l' agopuntur a (5,8%). Tra il 1997 e il 2001 la spesa pro capite per i prodotti omeopatici è quintuplicata I MOTIVI Minor tossicità Perché lo fanno? Il 70% dei pazienti motiva la scelta spiegando che le medicine alternative hanno un «grado di tossicità» inferiore rispetto ai farmaci tradizionali RICONOSCIUTE Atti medici Lo scorso anno la Federazione dell' Ordine dei medici ha riconosciuto le medicine non convenzionali come atti medici, se praticate da laureati in medicina. Riconosciute: agopuntura, fitoterap ia, ayurvedica, tradizionale cinese, antroposofica, omeopatia, omotossicologia, osteopatia e chiropratica. I NUMERI 9 MILIONI di adulti e il 10% dei bambini tra 3 e 5 anni si curano in Italia con le medicine alternative 10 MILA i medici che prescrivo no cure inerenti alle 9 discipline riconosciute: dall' agopuntura alla chiropratica ____________________________________________________ La Stampa 8 feb. ’03 SECONDO UNA RICERCA CHI NON SI RADE MUORE PRIMA BARBE SENZ´AMORE UNA barzelletta di un po´ di anni fa vedeva un dialogo tra due passanti: «Sai che è pericoloso andare dal barbiere?», diceva uno. «E perché?», chiedeva l´altro. «Pensa un po´, un mio amico si è fatto radere, subito dopo è stato investito da un´auto ed è morto». Questa freddura viene in mente come risposta alla ricerca di due prestigiose università britanniche pubblicata nei giorni scorsi dall´American Journal of Epidemiology. Secondo questa ricerca chi porta la barba incolta fa meno l´amore, ha orgasmi mediocri, è a rischio di ictus e in definitiva crepa prima di quelli che si radono tutti i giorni. Ora, lasciando perdere il sospetto che a finanziare la ricerca sia stata qualche fabbrica di lamette o di rasoi elettrici, dove la mettiamo la lunga tradizione che associa la virilità alla barba? Siamo stati abituati a pensare gli eroi greci belli e barbuti (Bekim Fehmiu è rimasto nell´immaginario di intere generazioni di fanciulle grazie all´Odissea in tv), ma sarà forse per questo che Ulisse con Penelope l´amore l´ha fatto di rado. Priamo a questo punto doveva essere di sicuro glabro, se no come faceva a generare cento figli e a mettere su un´intera stirpe? (Omero, ahimé, non ci dice nulla sulla soddisfazione sessuale del patriarca troiano e quindi può darsi che i suoi orgasmi in realtà fossero mediocri). Per non parlare della Bibbia e di Matusalemme, arrivato con la sua barba a 999 anni. Secondo i ricercatori inglesi, che hanno messo sotto osservazione oltre duemila uomini del Galles, fra i 45 e i 59 anni, la barba incolta sarebbe anche indice di scarso testosterone e quindi di scarso desiderio sessuale. Pare che in un pescatore delle Ebridi il testosterone aumentasse tutte le (rare) volte che si radeva per andare a trovare la fidanzata. Strano che non sia venuto in mente ai ricercatori - la cosa credo si possa garantire a nome di tutti quelli che in vita loro hanno portato per un po´ la barba - che a scatenare la tempesta ormonale non fosse l´uso del rasoio ma l´approssimarsi dell´incontro amoroso. E probabilmente se nell´isola sperduta delle Ebridi ci fosse stata una sala cinematografica dove il nostro pescatore avesse potuto apprezzare Cameron Diaz o Monica Bellucci in deshabillé forse il suo testosterone non avrebbe avuto cali. Chissà come la mettiamo con l´ictus e l´infarto, ma è una consolazione sapere che non è lo stress a provocarli bensì la barba incolta (facciano festa quelli che ogni giorno si stressano radendosi di corsa prima di andare in ufficio). Al di là dell´ironia la ricerca conferma, come avevamo intuito da tempo, che chi non ha cura di sé stesso, fuma una sigaretta dietro l´altra, fa una vita balorda ed è single, ha buone probabilità di morire prima di chi ha vita regolare, è sposato e fa sesso ogni sabato sera. Gli studiosi han solo preso il non radersi come spia di una vita «disordinata». A questo punto però non resta che rimanere in attesa di qualcuno che ci spieghi l´influenza dei baffi sul colesterolo e quella delle basette sulle vene varicose. Rocco Moliterni