POLARIS, LA RICERCA ENTRA NEL VIVO A CAGLIARI DEBUTTA POLARIS IL NUOVO PARCO SCIENTIFICO CRUI. VIA LIBERA DEI RETTORI UNIVERSITARI AI FONDI SULLA BASE DEI RISULTATI DALLA CATTEDRA CONTRO IL «3+2» LA FORMAZIONE, UNA SCOMMESSA DA NON PERDERE TORNA IN ITALIA LA VOGLIA DI UNIVERSITA’ LE CAPACITA’ DIDATTICHE DEI DOCENTI VANNO CERTIFICATE PER GARANTIRE L'UTENZA PROGETTI DIDATTICI E NUOVE TECNOLOGIE UN COMITATO DI ESPERTI DECIDERA’ SUI CORSI DI FORMAZIONE A DISTANZA L'UNIVERSITA’ ASSUME PER I RICERCATORI SBLOCCATI 20 MLN € NOI, STUDENTI LAVORATORI, PRIMI LAUREATI ONLINE POCA RICERCA, SPESSO NON E’ ROSEO IL POST-LAUREA PER I NEO-DOTTORI COSI’ LE UNIVERSITA’ PRIVATE ALLETTANO GLI STUDENTI ================================================================== GUARDIE MEDICHE, FRA 7 GIORNI LA SCORTA CASSAZIONE, SI AL RIMBORSO PER GLI SPECIALIZZANDI TURISTA "PRIGIONIERA" AL PRONTO SOCCORSO (A SANREMO) CAGLIARI: SPINELLO DI MAMMA, BAMBINO SENZA MEMORIA VIA LIBERA. AGLI STUDI SUGLI EMBRIONI I RICERCATORI SI DIVIDONO TRA ETICA E SCIENZA LE MANI SUL DNA COPYRIGHT ALLO STATO MINIMO DISTROFIA, UNA SPERANZA DALLE STAMINALI EPATITE C NIENTE PIU’ VIRUS GRAZIE A UNA NUOVA TERAPIA CON MINIBISTURI NEL FETO SCONFITTA LA SPINA BIFIDA SOLE-SALUTE: IL LEGAME TRA RAGGI ULTRAVIOLETTI E SISTEMA IMMUNITARIO CON LA TALANINA SI "PREVEDONO" I CALCOLI DEI RENI DISTURBI DEL SONNO E CHIMICA DEL CERVELLO ================================================================== ______________________________________________________ L’Unione Sarda 6 lug. ’03 POLARIS, LA RICERCA ENTRA NEL VIVO Ieri l’inaugurazione a quattro anni dalla posa della prima pietra. Pili: sfida vincente Al via il parco scientifico e tecnologico di Pula Dal nostro inviato Enrico Pilia Santa Margherita Cervi, aquile reali e cinghiali perdonino l’intrusione. Nel cuore del Basso Sulcis, c’e’ un parco per le menti e per le imprese che occupa una piccola parte di 160 ettari di straordinaria bellezza. Ora dovra’ camminare da solo, dopo aver ingoiato 40 milioni di euro per nascere. L’oasi scientifica e tecnologica da ieri mattina e’ visibile, si puo’ toccare e soprattutto si dovra’ usare. Si chiama Polaris e il fascino irresistibile che esercita ha spinto il premio Nobel per la medicina Rita Levi Montalcini a sussurrare, commossa: «In Sardegna si realizza il sogno di generazioni di ricercatori, sono contenta di aver vissuto cosi’ a lungo e aver visto nascere un centro di ricerca come questo». Carlo Rubbia, anche lui Nobel (per la fisica), ha regalato centoventi secondi di ottimismo, sintesi di dieci anni a contatto con la Sardegna: «Finalmente si parte, tutto questo restera’ nella storia». I ministri Pisanu e Moratti non ce l’hanno fatta, la ricerca puo’ aspettare. La prima pietra era stata posata nel maggio del ’99. Oggi ci sono tre edifici a mezzo chilometro l’uno dall’altro, una torre all’ingresso, 18 mila metri quadrati di superficie al coperto, piccoli palazzi mai piu’ alti di 8 metri e perfettamente inseriti nell’ambiente. L’impatto e’ inesistente, splendido l’anello in graniglia di granito della strada principale, lo stesso materiale delle facciate. Gli edifici sono collegati fra loro da un sentiero immerso nel verde, ideale pista di collegamento per rigenerarsi e per vincere l’isolamento. Questa e’ la scatola, meraviglioso contenitore progettato dallo studio milanese Gregotti, il top quando si parla di strutture di questo tipo. Dentro la scatola, deve crescere e svilupparsi una comunita’ scientifica e tecnologica: l’obiettivo dichiarato di Polaris e’ quello di realizzare tutte le attivita’ che partono dalla ricerca applicata (a un progetto, a una impresa) e, attraverso innovazioni dei prodotti o dei processi, trasferire nel sistema (realmente) produttivo i risultati ottenuti. Ovvero, il parco dovrebbe contribuire a cambiare il volto, a far fare il salto di qualita’ alle imprese sarde. Dovra’ servire da tessuto di collegamento per servizi e strutture, dovra’ essere il centro dove trovare (in tutto il pianeta) chi fa la stessa cosa, possibilmente meglio e piu’ in fretta. La gestione del parco scientifico e tecnologico e’ del Consorzio 21, che assiste le piccole e medie imprese della Sardegna e che deve assicurare una costante diffusione dell’innovazione tecnologica. Al Consorzio si affianca un imponente comitato di consultazione strategica del quale fanno parte, fra gli altri, lo stesso Rubbia, Renato Soru, i rettori di Cagliari e Sassari Pasquale Mistretta e Alessandro Maida. Se il fallimento di quasi tutte le grandi industrie dell’Isola e’ una realta’, questa di Polaris e’ una scommessa sulla quale e’ obbligatorio puntare. Anche se isolarsi in una foresta a 45 chilometri da Cagliari puo’ sembrare un azzardo, anche se qui il telefonino funziona poco o nulla, o se magari sbagli orario di partenza e incappi in un paio di semafori all’uscita della citta’ e non arrivi piu’. Emozionato come un bambino a una recita, il presidente della Regione Mauro Pili ha chiuso il primo giorno di Polaris con un accorato appello a chi gli succedera’: «Non lasciate sola la ricerca, un’isola piccola come la nostra deve puntare sulla qualita’, sulle menti e sull’innovazione». Per Pili questo e’ «un ponte che colloca la Sardegna al centro dell’Europa». Con l’apporto di Carlo Rubbia, ha promesso il presidente, la Sardegna potrebbe presto trasformarsi in una piattaforma sperimentale per l’energia alternativa: «Saremo l’isola dell’idrogeno». ____________________________________________________ Il Sole24Ore 6 Lug. 03 A CAGLIARI DEBUTTA POLARIS IL NUOVO PARCO SCIENTIFICO CAGLIARI a «L'energia solare, fotovoltaica, costa troppo e non e’ accumulabile. A Cagliari si potrebbe realizzare il centro di ricerca europeo per lo studio dell'applicazione industriale della materia prima chiamata idrogeno». Un provocatorio Carlo Rubbia, premio Nobel e quasi "cittadino della Sardegna", ha inaugurato ieri Polaris, il polo cagliaritano di Pula, a 30 chilometri dal capoluogo, del parco scientifico e tecnologico della Sardegna. In cifre: 40 milioni di curo di investimenti, cinque edifici per un totale di 18.500 metri quadri di superficie utile distribuiti su un'estensione naturale di 160 ettari. Aggiunge Antonello Fonnesu, presidente del Consorzio Ventuno partecipata per il 97°I° dalla Regione Sardegna, il resto dalla Sfirs, la finanziaria industriale regionale: - Ci candidiamo ad essere il centro europeo di studi per il cambiamento del clima, con la collaborazione del Cnr, dell'Enea, dell'Aeronautica militare». Insomma, Polaris si profila come una realta’ di assoluto rilievo: «Mi piace - ha commentato ieri un altro premio Nobel, Rita Levi Montalcini - questo connubio che si fa a Cagliari tra ricerca, innovazione e impresa. E’ un modello che ci fa sperare, non solo per i ricercatori isolani, ma anche per quelli italiani ed europei». A Polaris, la cui progettazione e’ stata affidata agli ingegneri dello studio Gregotti, si stanno trasferendo il Crs4, il Centro di ricerca fondato da Rubbia da cui sono nati Video ori line (oggi Tin.it) e Tiscali, Neuroscienze, Shardna (creata dal genetista Mario Pirastu e da Renato Soru) insieme ad altre 7 aziende di ricerca: Biotecne, Cat 99, Cisvit, Inbb, societa’ del gruppo Saras ed altre 17 piccole societa’ attivissime nel settore delle nuove tecnologie. «Polaris - spiega Francesco Marcheschi, direttore del Consorzio Ventuno - offre servizi di ricerca e innovazione, non solo ai soggetti ospitati nelle sue sedi, ma a tutte le imprese sarde e agli enti e amministrazioni pubbliche». Ieri a Cagliari c'era anche Eugenio Corti, presidente dell'associazione dei parchi scientifici e tecnologici italiani: «Questa di Cagliari mi sembra una delle esperienze piu’ avanzate in Italia - dice - perche’ coniuga in grande equilibrio la bellezza ambientale del territorio, la progettazione delle strutture e la volonta’ e capacita’ di trasferire i risultati della ricerca alle imprese». Concetto questo, corretto dalla senatrice Montalcini: «In Italia - ha aggiunto con amarezza - e’ necessario che l'economia sia al servizio della ricerca, e non viceversa come accade, purtroppo, oggi". ____________________________________________________ Il Sole24Ore 9 Lug. 03 CRUI. VIA LIBERA DEI RETTORI UNIVERSITARI AI FONDI SULLA BASE DEI RISULTATI ROMA - Fondi agli atenei in base ai risultati: arriva l'ok dei rettori. Piero Tosi, presidente della Crui, la Conferenza dei rettori delle universita’ italiane, e’ favorevole al progetto annunciato nei giorni scorsi dal Ministro dell'Istruzione Letizia Moratti (si veda "Il Sole-24 Ore" del 5 luglio), che punta a migliorare la qualita’ della formazione universitaria anche attraverso incentivi economici per gli atenei piu’ efficienti. "Siamo assolutamente in linea con l'idea di controllare la qualita’ dei corsi - ha detto Tosi - e fissare una serie di requisiti per aumentare l'efficienza". Stop ai finanziamenti senza regole. In una nota ministeriale inviata la scorsa settimana ai rettori e al Cnvsu, il Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario, il Ministro Moratti ha definito i criteri che gli atenei devono seguire per aumentare la qualita’ dell'offerta didattica. A partire dall'anno accademico 2005-2006, le universita’ che manterranno basse le percentuali di abbandoni e di studenti fuori corso e che seguiranno i laureati anche dopo la fine degli studi saranno premiate con quote maggiori di finanziamenti. Ma gli atenei dovranno anche realizzare attivita’ di orientamento e mantenere un adeguato rapporto/studenti docenti. Una volta superato il numero massimo di iscritti, sara’ necessario assumere nuovi professori. E’ prevista, infine, la presenza di un tutor ogni 20-40 studenti, a seconda del tipo di corso. La posizione della Crui. Proprio sulla questione del tutor si concentrano le maggiori perplessita’ dei rettori. "E’ giusto parlare del fatto che ci voglia un tutor ogni 20 studenti - dice Tosi - ma per farlo occorrono maggiori risorse. Il rapporto studenti/docenti nelle nostre universita’ e’ di uno ogni 25-30, il doppio rispetto a a paesi come la Germania, l'Inghilterra e la Francia. Per allinearci occorre aumentare il numero dei docenti. Basti pensare che dal 1994 al 2002 in Italia il numero dei professori e’ aumentato solo del 2%. Faremo il nostro sforzo - ha concluso il presidente Crui - ma dobbiamo poter contare su risorse adeguate". Tosi ha poi sottolineato che i rettori sono "determinati a ridurre il numero degli abbandoni, che comunque si e’ notevolmente ridotto negli ultimi 4 anni, passando dal 70 al 50%". Sulla necessita’ di legare i finanziamenti anche alle performance, Tosi ha ricordato che la Crui, con il progetto CampusOne, ha gia’ avviato il meccanismo di valutazione dell'offerta didattica, che quest'anno "ha permesso di valutare oltre 500 corsi", con strumenti di misurazione dell'efficienza sia interni che sterni agli atenei. Docenti e ricercatori, assunzioni in vista. Oggi il Senato discute un ordine del giorno firmato da Giuseppe Valditara, responsabile scuola e universita’ di An, che chiede al Governo l'impegno ad assumere nuovi docenti e ricercatori in deroga al blocco attuale, secondo la possibilita’ consentita dal l'articolo 34 dell'ultima Finanziaria. "Stante la necessita’ di supplire alle carenze di personale docente di cui soffre l'universita’ italiana - ha detto Valditara - e’ importante assumere gia’ nel corso dell'anno nuovi professori e ricercatori. Ho avanzato tale richiesta al Governo in quanto mi risulta che vi sia la sufficiente disponibilita’ finanziaria a coprire gran parte delle richieste". Valditara ha poi espresso le sue perplessita’ su alcuni aspetti del progetto Moratti per la qualita’ dell'universita’. "Sono nettamente contrario al criterio che prevede fondi maggiori agli atenei che combattono gli abbandoni e gli studenti fuori corso - ha detto il senatore - perche’ significherebbe favorire promozioni di massa e abbassare, quindi, la qualita’ dei laureati". ALESSIA TRIPODI ____________________________________________________ Il Sole24Ore 9 Lug. 03 DALLA CATTEDRA CONTRO IL «3+2» Facolta’ di giurisprudenza alla guida della protesta Piu’ di mille docenti rivendicano liberta’ d'opzione per gli studenti ROMA «Manifesto per una laurea unitaria opzionale» e’ lo slogan. Segue un incipit stringato, con due punti programmatici in tutto, in cui si concentra la volonta’ di cambiamento. Vogliono riformare la riforma universitaria, il «3+2» introdotto dal decreto ministeriale n. 509 del 1999. A protestare, con due pagine di pubblicita’ riportate sui quotidiani, sono 1060 docenti provenienti dalle facolta’ umanistiche di tutta Italia. A suscitare perplessita’ e’ la previsione di un «modello di studi uniforme per tutti i campi dell'istruzione superiore e per tutti gli sbocchi professionali». Di qui, la loro duplice proposta al ministro dell'Istruzione Letizia Moratti e alle autorita’ legislative. Innanzitutto, come corollario dell'autonomia degli atenei, il riconoscimento della «facolta’ di opzione per i corsi e per gli studenti fra un sistema di lauree spezzate nel percorso breve (tre) piu’ quello specialistico (due), e un sistema di lauree unitarie di durata almeno quadriennale, con materie curricolari di base, stabilite a livello nazionale». Il secondo punto del manifesto, sottoscritto da 605 dei firmatari, fa riferimento, invece, al sistema di reclutamento degli stessi professori universitari. Si sollecita una sorta di ritorno al passato, ossia la previsione di «un sistema di accesso alla docenza universitaria, nei diversi livelli, su base nazionale e concorsuale, per organici predeterminati numericamente».A cominciare questa singolare "crociata" contro l'appiattimento dell'assetto accademico e’ stata, circa un anno fa, l'universita’ Tor Vergata di Roma, guidata dal preside Filippo Chiomenti e dal Prorettore Gian Piero Milano, preoccupati, soprattutto, per cio’ che attiene all'ordinamento della facolta’ di Giurisprudenza, che nel nuovo contesto delineato dalla riforma ha assunto il nome di laurea in Scienze giuridiche. Le facolta’ di Medicina, Farmacia, Architettura, di stampo scientifico, sono risparmiate dalla mano che ha rimodulato i percorsi di laurea. Colpa di quell'allineamento con gli altri Paesi dell'Unione europea, invocato come ratio del riordino dal ministro Moratti, ma che per gli autori del manifesto non risponderebbe, affatto, a un'esigenza di uniformita’: «La soluzione adottata non e’ identica nel resto dell'Europa, se non limitatamente alla questione dei crediti formativi», spiega Gian Piero Milano, docente a Tor Vergata di diritto di famiglia e canonico. In particolare, cio’ che e’ fonte di timori e’ «un impoverimento fin dall'inizio,una degenerazione attuata anche con un alleggerimento dei programmi di studio che, conferendo basi poco salde allo studente, puo’ pregiudicarlo nella formazione professionale specialistica del biennio, condizione necessaria per l'esercizio delle cosiddette professioni forensi (avvocato, giudice, notaio)», afferma ancora Milano. «Un abbassamento della qualita’, quindi, per facilitare e accelerare l'accesso al mondo del lavoro, abbreviando 1'iter universitario. Convinzione condivisa dai 1280 studenti del primo anno, che hanno accolto con favore la nostra decisione di mantenere l'articolazione di segno tradizionale della laurea in giurisprudenza». CHIARA CONTI ______________________________________________________ Il Sole24Ore 12 lug. ’03 LA FORMAZIONE, UNA SCOMMESSA DA NON PERDERE DI GIORGIO ALLULLI Alla fine del 2002 il Consiglio dei ministri dell'Educazione dell'Unione Europea ha adottato una risoluzione con la quale sono stati proposti a tutti gli Stati membri 5 obiettivi quantitativi da raggiungere entro il 2010. Riguardano il dimezzamento del tasso di abbandono, degli squilibri di genere per l'accesso alle facolta’ tecnico-scientifiche e della percentuale degli "slow learners"; e inoltre l'aumento al 10% della popolazione impegnata in attivita’ di formazione permanente e all'80% delle persone in possesso di diploma secondario. Piu’ volte e’ stata constatata la distanza che separa l'Italia dagli standard previsti, ma anche la capacita’ dimostrata in passato dal nostro Paese di saper raggiungere traguardi apparentemente impensabili. Un importante contributo per affrontare questa sfida viene ora offerto dall'Accordo raggiunto tra Confindustria e Sindacati sul tema dello sviluppo, e in particolare dal documento preparato dal Tavolo su «Formazione e valorizzazione delle risorse umane». All'interno di questo documento, che affronta le principali questioni ed esigenze in materia di politica per la formazione e la ricerca, vengono innanzitutto segnalate alcune esigenze qualificanti per lo sviluppo del nostro sistema istruzione e formazione, tra cui: il rafforzamento del sistema di orientamento attraverso l'integrazione tra sistema formativo e agenzie per l'impiego; l'ampliamento e la produttivita’ dell'offerta formativa integrata; la qualificazione della formazione nell'apprendistato e il potenziamento dell'alternanza scuola-lavoro; il rafforzamento dell'area tecnico-professionale del sistema formativo e lo sviluppo dell'Istruzione e formazione tecnica superiore; l'integrazione dei diversi soggetti per lo sviluppo del sistema di formazione permanente; l'utilizzo strategico delle risorse comunitarie. A partire da queste esigenze il documento indica alcuni precisi traguardi da raggiungere per il 2010: l'85% dei giovani di 20 anni dovra’ conseguire un diploma di istruzione o formazione o una qualifica professionale; il tasso di partecipazione degli adulti all'istruzione e alla formazione dovra’ aumentare del 30%; il numero di aziende italiane che dedicano un preciso investimento (in termini di costi diretti e indiretti) alla formazione dovra’ crescere del 30%; il tasso di abbandono scolastico nella fascia di eta’ 15-19 anni dovra’ essere dimezzato. Si tratta, come si puo’ vedere, di obiettivi ambiziosi ma coerenti sia nei contenuti che nei metodi con quelli indicati dai ministri dell'Unione Europea. Il perseguimento di questi obiettivi verra’ inoltre costantemente monitorato, al fine di verificare l'andamento del "piano di rientro" del nostro Paese verso gli standard europei. Il riferimento implicito della proposta Confindustria-Sindacati e’ a quanto avvenne in fase di ingresso dell'Italia nell'area dell'euro: anche allora il raggiungimento dei parametri economici previsti dal Patto di stabilita’ sembrava irrealizzabile, ma grazie alla collaborazione di tutti i soggetti alla fine l'obiettivo venne raggiunto. ____________________________________________________ Repubblica 7 Lug. 03 TORNA IN ITALIA LA VOGLIA DI UNIVERSITA’ Un fenomeno dovuto soprattutto all'istituzione dei nuovi corsi triennali, che dovrebbero anche ridurre gli alti livelli di dispersione registrati finora. Quali sono le lauree che permettono di trovare piu’ facilmente lavoro. Un'indagine Istat II problema dello squilibrio occupazionale Nord- Sud e dei corsi "sbagliati" ELISABETTA MIRARCHI Roma In Italia e’ tornata alta la voglia di iscriversi all'universita’, con il risultato che nell'anno accademico 200102 oltre 330 mila giovani hanno varcato per la prima volta la soglia di una facolta’, 36 mila in piu’ rispetto all'anno precedente. Un balzo in avanti dovuto soprattutto all'istituzione dei nuovi corsi di laurea di durata triennale che hanno largamente sostituito i tradizionali corsi di laurea. Una novita’ che potrebbe forse ridurre i livelli di dispersione registrati finora: nei tradizionali corsi di laurea portano a termine gli studi soltanto 47 su 100 immatricolati. La tendenza a inseguire un titolo di studio elevato non e’ sbagliata e semmai rende piu’ facile la ricerca di un posto di lavoro. E' la radiografia di un'indagine presentata in questi giorni dall'Istat sul mondo universitario e sulla condizione occupazionale di chi possiede un diploma di scuola media superiore, diploma universitario e laurea: lavora in modo continuativo i1 75 per cento dei diplomati universitari, il 63 per cento dei laureati e soltanto il 45 per cento dei diplomati di scuola media superiore. «La situazione sta cambiando spiega Giorgio Allulli, responsabile area sistemi formativi Isfol - In passato l'Italia si distingueva dagli altri paesi dell'Unione Europea per problemi di inserimento dei laureati e diplomati, ma negli ultimi tre anni la tendenza si e’ invertita e, soprattutto nel NordEst e al Centro, c'e’ un miglioramento. Un fenomeno dovuto all'andamento demografico delle leve in uscita e in entrata i giovani oggi sono almeno la meta’ di quella registrata dal 1955 al 1970 ma anche all'introduzione della flessibilita’ che permette alle aziende di assumere piu’ facilmente i giovani con nuove tipologie di contratto (formazione, parttime, tempo determinato, apprendistato). La possibilita’ per i laureati di trovare lavoro e’ ormai strettamente legata alla congiuntura economica: in passato l'assorbimento passava in gran parte per il pubblico impiego enti locali, scuola, amministrazione pubblica oggi e’ demandata al privato e quindi all'andamento del mercato. Resta il problema del forte squilibrio occupazionale tra Nord e Sud ma anche la tendenza a scegliere corsi di laurea che non introducono nel mondo del lavoro».I dati Istat non lasciano dubbi. Il successo professionale e’ strettamente legato al tipo di indirizzo prescelto: a distanza di tre anni trovano lavoro soprattutto i laureati del gruppo ingegneria (88 per cento), chimico farmaceutico (78) e scientifico (75). Buona posizione per le lauree in Relazioni Pubbliche e Scienze Internazionali e Diplomatiche (90), Economia politica (87), Chimica industriale (86), Odontoiatria (84), Scienze statistiche ed economiche e Farmacia (entrambe 83). Non naviga in buone acque chi sceglie corsi di laurea del settore letterario, linguistico e di insegnamento. Ottimi risultati anche per i diplomati universitari di ingegneria, scientifico, architettura, politico sociale con un'impennata per chi opta nel settore medico: i titoli in Fisioterapia, Terapia della riabilitazione e Scienze Infermieristiche garantiscono un'occupazione con punte superiori al 90 per cento.«Resta il problema del nostro mercato del lavoro spiega Maria Pia Camusi, responsabile area mercato del lavoro Censis e qui, nonostante le riforme e lo sforzo per le politiche sulle risorse umane, il peso della formazione resta basso. Se guardiamo gli occupati dipendenti in base alla qualifica, nel periodo 1993/2002 coloro che sono in possesso di laurea breve, dottorato o comunque un titolo di studio alto, sono cresciuti del 47,1 per cento. Ma se andiamo a vedere dove sono occupati nelle aziende ci si accorge che non vantano posti di alta professionalita’ ma orbitano nell'area degli impiegati e degli apprendisti. Vale a dire, tanta formazione non produce buon lavoro e siamo quindi di fronte ad una domanda che non riesce ad essere orientata verso livelli di formazione alti».Una conferma viene dal sistema di indagini Istat sulla transizione istruzione lavoro: tra i diplomati universitari solo il 64 per cento occupa un posto per il quale e’ effettivamente richiesto il titolo di studio posseduto; tra i laureati questa percentuale cresce fino a167 per cento, mentre il restante 33 svolge un lavoro per il quale la laurea non e’ un requisito necessario. Il prezzo maggiore lo paga circa la meta’ dei laureati in materie politiche sociali, linguistiche, letterarie e insegnamento, per i quali il livello di istruzione raggiunto resta lettera morta. E in futuro? Nicola Cacace, presidente di Onesis, societa’ di informatica (autore del saggio "2010 Scenario delle professioni, Ed: Riuniti), non vede mutamenti di rotta: «Il mercato del lavoro ha bisogno di manodopera a bassa qualificazione da inserire nei settori della pastorizia, agricoltura tradizionale e biologica, servizi, industria manifatturiera, di trasformazione. In termini numerici, trova lavoro il 50 per cento dei lavoratori per mansioni di basso livello, i140 per cento di diplomati e il 10 per cento di laureati purche’ qualificati e con una buona conoscenza delle lingue e dell'informatica. Il futuro occupazionale e’ riservato ai tecnici intermedi (grazie allo sviluppo tecnologico), addetti alle vendite (per vendere i beni di consumo occorre pubblicizzarli), operatori di servizi alle famiglie (anziani e nuclei familiari sono sempre piu’ soli), professionisti della Ict, (ingegneri, statistici, economisti), dell'ambiente e, infine, dirigenti (alla riduzione del peso delle grandi imprese subentrera’ una miriade di micro, piccole imprese)». CHI SVOLGE UN L VORO CONTINUATIVO A 3 ANNI DALLA LAUREA (2001 su laureati nel 1998; in % sul totale) Totale laureati 63,5 Ingegneria 88,4 Architettura 70,7 Politico-sociale 63,1 Economico-statistico 72,8 Chimico-farmaceutico 78,2 Scientifico 75,4 Insegnamento 50,8 Psicologico 62,7 Linguistico 62,8 Agrario 68,8 Letterario 56,7 Geo-biologico 58,4 Giuridico 48,1 Medico 18,3 Professioni Sanitarie >90 Fisioterapia, Terapia della riabilitazione e Scienze Infermieristiche ____________________________________________________ Repubblica 7 Lug. 03 Francesco Felici MA LE CAPACITA’ DIDATTICHE DEI DOCENTI VANNO CERTIFICATE PER GARANTIRE L'UTENZA II giudizio degli studenti va supportato da quello di professori magari esterni la capacita’ didattica del docente viene valutata in sede di concorso per l'immissione nel ruolo di docente di II fascia. Una successiva verifica, in cui e’ prevalente il peso dell'operosita’ scientifica, viene poi effettuata trascorso un triennio dall'immissione in ruolo». Francesco Felici, docente di Fisiologia umana e dell'esercizio fisico allo IUSM di Roma, l'Istituto universitario di Scienze motorie, esordisce cosi’ e avanza delle proposte per migliorare l'attuale sistema di reclutamento universitario «che dovrebbe essere gestito prevalentemente su base locale aggiunge e assegnando a ciascuna universita’ il compito di cooptare i docenti secondo i propri desideri e bisogni». Reclutamento che, in base alla legge 210/98, poggia sulla cosiddetta «valutazione comparativa» che prevede prove differenti per ricercatori, professori associati e ordinari e considera rilevanti per questi ultimi anche l'attivita’ didattica pregressa, i titoli scientifici e le pubblicazioni. Ma c'e’ qualcuno che continua a monitorare nel corso del tempo le capacita’ di insegnamento di coloro che sono stati "promossi"? «In realta’ no, se si escludono i questionari che gli studenti compilano per valutare corsi e docenti, i cui risultati vengono elaborati da ciascun ateneo e trasmessi periodicamente al Ministero dell'universita’ e della ricerca scientifica». Uno strumento valido secondo lei? «Senz'altro si’, anche se non lo ritengo sufficiente. Credo che il giudizio degli studenti debba essere supportato da quello di altri docenti, magari anche esterni alla facolta’, che valutino la didattica e la preparazione dei loro colleghi. Sicuramente sono da evitare gli eccessi ' di alcuni Paesi, come la Scozia, in cui sulla base dei risultati del questionario un Comitato puo’ decidere di licenziare un docente da un giorno all'altro». Quindi un monitoraggio costante che si avvalga dell'opera di professori e studenti insieme... «Esattamente. Penso agli Stati Uniti, in cui ho lavorato, dove l'attivita’ didattica e quella scientifica sono continuamente controllate: l'universita’ offre, oltre al salario di base, incentivi economici ai docenti che si dimostrano produttivi». Anche gli atenei italiani dovrebbero arrivare a "certificare" i loro insegnanti? «Sarebbe auspicabile e ci sono gli strumenti per poterlo fare. Si potrebbe offrire all'utenza una forma di "certificazione" su base locale e a quel punto lo studente potrebbe scegliere di optare per quell'ateneo o quella facolta’ perche’ li’ ci dovrebbero essere garanzie di qualita’ didattica e di risorse». ____________________________________________________ Repubblica 7 Lug. 03 PROGETTI DIDATTICI E NUOVE TECNOLOGIE Crescono programmi e impegni e il successo e’ garantito. Si allarga anche il fronte dell'e-government Enrico Sonno Roma Formare, educare, apprendere, tutto questo naturalmente on line. La nuova sfida di scuole, universita’, imprese e pubblica amministrazione sta tutta qui: diffondere la conoscenza attraverso la Rete per offrire al maggior numero possibile di persone nuove opportunita’ e risparmi sui costi. La Micro-soft ad esempio, in accordo con il Ministero della ricerca e dell'Universita’, ha lanciato gia’ dallo scorso anno il pro-gramma "Progetto docente" rivolto a 5.000 insegnanti che si e’ concluso nello scor-so mese di febbraio. Grazie alla partecipazione attiva di oltre il 95% dei professori sono stati realizzati oltre 900 progetti didattici sviluppati con l'ausilio delle nuove tec-nologie. Ed e’ solo un esem-pio: la Cisco Systems attra-verso le Networking Academy ha gia’ formato in Italia oltre 3.000 studenti che han-no potuto accedere al Ccna, (Cisco certified networking associate), che insegna a di-ventare esperti di calcolo di rete. Il Networking Academy program rappresenta un modello di insegnamento elettronico che si avvale di contenuti didattici con sup-porti avanzati basati sul web, verifiche ori line, valutazio-ne del profitto degli studen-ti, formazione e supporto de-gli insegnanti e laboratori pratici con computer forniti da Cisco o dai partners dell'azienda. Allo stesso tempo proprio in questi giorni si sta concludendo la prima fase del progetto "Septimus", lanciato un anno fa dall'universita’ di Sheffield in Gran Bretagna insieme ad altri 8 paesi europei tra cui l'Italia, che si prefigge di formare in modalita’ mista, on e off line, psicoterapeuti, privilegiando quegli studenti che abbiano difficolta’ di spostamento. Fa parte di un piu’ ampio progetto, denominato Leonardo, finanziato con Fondi della Comunita’ europea e prevede 30 settimane di insegnamento in psicoterapia teorica attraverso Internet: Aziende e universita’ non stanno certo a guardare: nel prossimo anno accademico, ad esempio, l'Universita’ di Firenze, attraverso un progetto realizzato in collaborazione con Ibm, offrira’ a 15.000 studenti la possibilita’ di accedere a corsi on line. I primi utenti impegnati nei corsi on line saranno, nel prossimo autunno, circa 2.500 studenti di 10 corsi di laurea e le materie insegnate inglese e informatica. Anche al Consorzio Nettuno, la prima universita’ telematica europea, i progetti si ampliano: proprio in questi giorni a Damasco si tiene una riunione che coinvolge le universita’ del Mediterraneo, per stabilire gli standard di un curriculum di studi comune in materie come ingegneria, organizzazione di un modello psicopedagogico e formazione degli insegnanti che’ dovranno gestire i corsi, tutti rigorosamente via satellite (fruibili su Rai Sat 1 e Rai Sat 2) e via Internet. Nella pubblica amministrazione, nonostante i tagli apportati con l'ultima finanziaria, i progetti di formazione a distanza si stanno moltiplicando: regioni, province e comuni utilizzano con sempre maggiore frequenza la modalita’ e-learning, non solo per la formazione dei propri dipendenti, ma per costruire data base e servizi ai cittadini che facilitino il disbrigo delle pratiche burocratiche. Cosi’ le tasse si pagano ori line, i permessi dal catasto si ottengono via web, le visite mediche si prenotano al computer: basta collegarsi ai siti dei comuni, delle province e delle regioni, come ad esempio www.comune.pisa.it, www.provincia.chieti.it, www.basilicatanet.it o www.regionelombardia.it. Tra gli ultimi progetti lanciati a fine 2002 c'e’ quello della regione Toscana, denominato Trio (www.progettotrio.it): realizzato in collaborazione con Somedia e K-solutions, societa’ del gruppo Espresso, e’ un vasto progetto di formazione a distanza che in collaborazione con alcune universita’ della regione e con le agenzie regionali delle categorie imprenditoriali intende realizzare 16 poli formativi distribuiti sul territorio. Anche in Sardegna stanno prendendo il via nuovi progetti di e-govemment tesi alla formazione nella pubblica amministrazione e nello sviluppo dei servizi ai cittadini e alle imprese. Tra questi, quelli gia’ approvati e finanziati sono il progetto Marte, che si propone di creare collegamenti tra tutte le scuole della regione, 1' 13gos, finanziato con un fondo di oltre 1 milione di euro, il progetto e-Mountain, che unisce tutte le comunita’ montane sarde e il Next della provincia di Nuoro, per la creazione di sportelli unici perle imprese, per lo sviluppo del protocollo informatico e per i servizi di telemedicina. ____________________________________________________ Repubblica 7 Lug. 03 UN COMITATO DI ESPERTI DECIDERA’ SUI CORSI DI FORMAZIONE A DISTANZA Dovra’ esprimere un parere su quali accreditare. Le aziende sono convinte che l’e-learning avra’ sempre piu’ spazio nei loro piani Roma Con decreto del Miur, ministero istruzione e ricerca, e’ stato appena nominato il comitato di esperti incaricato di esprimere un parere sulle richieste di accreditamento dei corsi di studio a distanza delle universita’. II presidente e’ Fabio Roversi Monaco, ordinario di diritto amministrativo nell'Universita’ di Bologna, affiancato da altri sei docenti esperi di informatica, diritto e didattica. Il compito del neonato comitato sara’ tutt'altro che facile, considerato che la tematica (per certi versi senz'altro promettente) sta suscitando non poche perplessita’. Da un lato, per quanto riguarda il versante della formazione aziendale, dopo alcune false partenze, oggi si sta registrando un certo sviluppo del web. Pochi giorni fa, in un convegno dal titolo "e- Learning. Stato dell'arte e prospettive di sviluppo", sono stati presentati dal1'ANEE (Associazione Nazionale dell'Editoria Elettronica) i risultati di una ricerca da-cui e’ emerso che l'incidenza dell'e-learning sul totale della formazione e’ passato dal 3,8% (nel 2002) all'8,2% (previsto per la fine del 2003), generando un giro d'affari che nel 2002 ha raggiunto i 108 milioni di euro e si-prevede superera’ i590 milioni entro i12004. La cosa particolarmente interessante e’ che sembra in crescita la percezione dell'efficacia rispetto alle altre metodologie formative (come per esempio i manuali, l'aula, la videoconferenza, ecc.), e la stragrande maggioranza delle aziende (oltre 1'80%) si dichiarano convinte che l'e-learning avra’ sempre piu’ spazio nei loro, piani di formazione. Dall'altro lato, sul versante universitario, la situazione e’ senz'altro piu’ complessa. Il dato di fatto e’ che ad oggi dei 79 atenei italiani, 57 offrono formazione a distanza, di cui solo 6 a regime (gli altri sono ancora in fase sperimentale). II numero di corsi complessivamente erogati secondo modalita’ non tradizionali passera’ dagli attuali 1.332 a 3.376 (nel 2006), con un spostamento dei classici corsi di laurea a distanza (FAD) verso il vero e proprio e-learning (attualmente offerto da 12 universita’) che aggiunge la interattivita’, anche interpersonale, e consente di costituire reti di comunita’ di persone. Fino ad oggi la diffidenza dei professori verso l'uso del web per la didattica e’ stata il principale ostacolo alla diffusione dell'e- learning nell'universita’, e non tanto per il timore di essere "sostituiti da un pc" (considerare questo un rischio reale implica una scarsissima considerazione del ruolo del docente), quanto piuttosto per una serie di considerazioni legate piu’ in generale al ruolo dell'universita’.«Un primo rischio di questa nuova normativa e’ la creazione di un canale universitario parallelo e privato, che senza avere i prerequisiti tipici di un ateneo pubblico (per esempio in termini di corpo docenti, laboratori, attivita’ di ricerca, ecc.) possa rilasciare titoli con valore legale, perfettamente equiparati a quelli attuali; infatti, le condizioni imposte dal decreto Moratti Stanca per attivare universita’ telematiche, attengono prevalentemente ad aspetti tecnologici e non di contenuto», sottolinea Daniele Marini, docente di Elaborazione delle Immagini presso l'universita’ di Milano e membro del Consiglio Universitario Nazionale. Non sorprende quindi che tra i piu’ entusiasti candidati all'accreditamento ministeriale ci sia il CEPU, che con 120 sedi, 5000 tutor e cento milioni di fatturato da investire sul progetto si presenta, in prospettiva, come la piu’ grande universita’ a distanza italiana.«In linea di principio, ritengo che la formazione a distanza vada benissimo per chi e’ impossibilitato a muoversi, e per la formazione professionale (anche post laurea), ma non dobbiamo dimenticare chi vuole "frequentare" l'universita’, e per loro occorrerebbe incentivare la presenza in facolta’, invece che favorire un ulteriore allontanamento aggiunge Marini affinche’ uno studente possa acquisire i veri benefici di una scelta universitaria occorre che frequenti i docenti, i colleghi, i laboratori, le biblioteche: la formazione accademica non puo’ esaurirsi con un semplice travaso di informazioni».E neanche i vantaggi economici sembrerebbero tali da giustificare particolari entusiasmi per l'e-learning universitario, perche’ il risparmio di costo per singolo studente e’ ancora da dimostrare. Basti pensare che per un'ora di lezione on line occorre prevedere dalle 20 alle 45 ore di lavoro del docente.(c.a.p.) ____________________________________________________ Repubblica 7 Lug. 03 POCA RICERCA, SPESSO NON E’ ROSEO IL POST-LAUREA PER I NEO-DOTTORI Poche imprese la fanno e l'Universita’ non hai fondi per pagare dignitosamente i giovani. Gli altri sbocchi nel mondo del lavoro SIMONA ROSSITTO Roma Boston un gruppo di laureati desto’ scalpore per aver dismesso i panni di impiegati di un grosso gruppo americano, e aver indossato quelli di tassisti. In Italia non siamo a questi estremi, ma e’ possibile trovare un fisico impiegato nell'industria oppure manager in azienda. Certo e’ che la ricerca, sbocco "naturale" per fisici, biologi, chimici non e’ molto in auge. Ne’ quella privata ne’ quella pubblica. «Poche grandi imprese la fanno, ancora meno svolgono ricerca di base», spiega il direttore del Sant'Anna, Riccardo Varaldo. Non va meglio all'universita’ dove la ricerca si fa, anzi e’ un primo approdo per molti giovani neolaureati, ma mancano i fondi per pagare dignitosamente i giovani dottori. Ma allora quale futuro per i laureati del ramo scientifico? Gli informatici sono quelli con i minori problemi di collocamento, per i fisici lo sbocco principale e’ il laboratorio, ma trovano lavoro nei campi piu’ svariati, Qui sopra, dalle tecnologie dei manufatti alla optoelettrica, co me statistici e anche come modellisti economici. L'orizzonte dei chimici e’ altrettanto ampio, inoltre possono essere impiegati nella ricerca applicata nelle piccole e medie imprese. «Tutto sommato il mercato del lavoro e le prospettive di collocamento afferma Varaldo sono abbastanza deludenti». Secondo l'ultimo monitoraggio del Consorzio interuniversitario Alma laurea, a un anno dal conseguimento del titolo, i dottori in discipline scientifiche trovano lavoro per il 37% nel ramo informatico, per il 27% nel settore istruzione (che comprende ricerca, insegnamento e simili), per l'8% nella metalmeccanica e nella meccanica di precisione. I chimici farmaceutici finiscono per il 30% nel settore della chimica, per i127% nella sanita’, per il 26% nel commercio. Una via di fuga sempre aperta rimane infine l'estero. «Solo pochi fanno questa scelta, ma quelli che vanno tornano sempre entusiasti», conclude il direttore di Alma laurea, Andrea Cammelli. ____________________________________________________ Italia Oggi 10Lug. 03 L'UNIVERSITA’ ASSUME PER I RICERCATORI SBLOCCATI 20 MLN € L impegno del governo durante la conversione del dl 105 DI GINEVRA SOTIROVIC Stop al blocco delle assunzioni nell'universita’. Sarebbe di 20 milioni di euro la cifra recuperata dal governo per offrire un posto a un centinaio circa tra ricercatori e professori in deroga al blocco delle assunzioni che era stato deciso nella Finanziaria 2003 per far fronte alla crisi economica. L'impegno e’ stato preso ieri dal governo, chiamato in causa da un emendamento di Giuseppe Valditara, senatore di Alleanza nazionale, che in sede di approvazione definitiva del decreto 105/03 recante misure urgenti per le universita’ ha presentato un ordine del giorno con la richiesta di sbloccare le assunzioni negli atenei. «Vista la necessita’ di supplire alle carenze di ricercatori e docenti di cui soffre l'universita’ italiana rispetto alle altre universita’ europee», ha spiegato Valditara, «e’ importante poter assumere gia’ nel corso dell'anno nuovi ricercatori e professori». L'esecutivo avrebbe anche gia’ trovato i fondi necessari per consentire l'ingresso di un centinaio, circa, tra ricercatori e docenti, che dovrebbe aggirarsi intorno ai 20 milioni di euro. Altri 80 il governo invece dovra’ stanziarne per finanziare i viaggi all'estero degli studenti. Le cosiddette borse di studio che il governo ha deciso di rimpinguare per «potenziare la mobilita’ internazionale». E’ quanto prevede, infatti, il decreto legge 105/03 approvato ieri in via definitiva al senato, dove contemporaneamente si discuteva anche della contestatissima legge Gasparri sul sistema radiotelevisivo. Il provvedimento e’ stato radicalmente modificato rispetto alla versione originale licenziata dal consiglio dei ministri. Ferma restando la decisione di rifinanziare i programmi di formazione all'estero nel decreto hanno trovato posto alcune norme che riguardano l'accesso alle professioni e il Consiglio universitario degli studenti che entro i12003 dovra’ eleggere un nuovo direttivo. Modifiche, apportate dalla camera, per volonta’ dello stesso ministero dell'istruzione e universita’ e in particolare del sottosegretario, Maria Grazia Siliquini, che segue da vicino i problemi dell'accesso alle professioni. Il provvedimento ha prorogato fino al 2006 la possibilita’ per i possessori di titoli di studio acquisiti prima della riforma dell'universita’ del '99 di sostenere gli esami di stato secondo il vecchio ordinamento, quello modificato poi dal decreto 328. Inoltre, accogliendo le richieste dell'ordine degli psicologi, il governo ha deciso di precisare che per l'esercizio della professione di psicologo e’ necessaria comunque una laurea specialistica di cinque anni. E nello stesso tempo ha dettato i criteri per lo svolgimento degli esami di stato dei laureati triennali, che non si chiameranno piu’ psicologi iunior, ma «dottore in tecniche psicologiche per i contesti sociali, organizzativi e del lavoro». Tra le altre novita’ e’ prevista anche l'istituzione di «un'anagrafe degli studenti e dei laureati delle universita’», cosi’ da poter valutare anche il grado di qualita’ dell'offerta formativa, sulla base della quale il ministro Letizia Moratti ha deciso di vincolare la concessione dei finanziamenti, non senza qualche contrarieta’ anche da parte della maggioranza. ______________________________________________________ Corriere della Sera 7 lug. ’03 NOI, STUDENTI LAVORATORI, PRIMI LAUREATI ONLINE Sono sette, hanno seguito i corsi da casa, grazie a Internet. «Soddisfatti, ma che fatica» Esperimento di «e-learning» universitario condotto dal Politecnico di Milano Il rettore, Giulio Ballio: «Il corso e’ identico agli altri, unica differenza e’ che gli allievi possono partecipare in orari diversi e da dove vogliono» Jacomella Gabriela Sono solo sette. Ma potrebbero essere l' avanguardia di un piccolo esercito. I primi laureati italiani online discuteranno la loro tesi il 21 luglio nella sede comasca del Politecnico di Milano. Nei giorni che precedono l' appuntamento con la commissione, come da tradizione fitti di ultime verifiche e riti scaramantici, tre futuri «dottori virtuali» raccontano la loro storia: chi sono, perche’ hanno scelto di fare da «cavie» al primo esperimento di e-learning universitario condotto nel nostro Paese. IL CORSO - Non si puo’ dire che il corso sia stato scelto in modo casuale: la «Lol», come la chiamano i quasi dottori, e’ infatti una laurea triennale per ingegneri informatici. Come a dire: qui si gioca in casa. «L' idea era abbastanza semplice: formare dei tecnici della information & communication technology, facendoli lavorare subito con i mezzi tipici della materia», spiega Alberto Colorni, docente di Ricerca operativa e socio fondatore di Sie-l, la Societa’ italiana di e-learning nata per promuovere la ricerca scientifica sull' insegnamento telematico. Una scelta consapevole, dunque, per una laurea senza «sconti»: «Il corso - afferma Giulio Ballio, rettore del Politecnico - e’ assolutamente identico a quelli "in presenza". Unica differenza: invece di avere un gruppo di individui presenti in un dato luogo, a un dato orario, abbiamo una classe virtuale di studenti che possono stare in posti diversi, a ore differenti». Delle vere e proprie sessioni live, dunque (il sistema funziona per classi di 20-25 studenti, una per ogni materia, ciascuna con un proprio tutor); ma anche 35 cd rom e una continua messa in rete di testi e aggiornamenti. Il commento, da parte dei futuri laureati, e’ unanime: «Il vantaggio - sostiene Mauro Noventa, 40 anni, da 20 attivo nel campo dell' informatica - sta proprio nella flessibilita’. Anche se poi il carico di lavoro e’ uguale a quello dei corsi "normali"». LA SCELTA - Un dato sui cui riflettere riguarda eta’ media e provenienza degli ingegneri informatici «virtuali»: quasi tutti lavoratori e over 30. Professionisti che scelgono di «tornare sui banchi» per soddisfazione personale, per aggiornarsi. «Dopo il diploma mi ero iscritto a ingegneria informatica a Palermo - racconta Paolo Alfisi, 32 anni, programmatore -. Ma andavo a rilento e a un certo punto ho abbandonato per lavorare. Pero’ non mi ero rassegnato e appena ho saputo di questo corso mi sono iscritto». «Io invece sono recidivo - sorride Mauro Noventa -. Nell' 89, in piena era pre-internet, mi sono laureato in Scienze politiche a Padova, la mia citta’. Ma che fatica organizzarsi le giornate da studente lavoratore. Ora posso essere ovunque, all' estero o in albergo a Milano, e collegarmi ai forum virtuali. Tutto un altro mondo». Non si puo’ proprio dire che i laureandi online siano studenti pigri, che preferiscono stare a casa piuttosto che alzarsi per andare a lezione. «Al contrario: io tornavo dal lavoro e mi mettevo subito a studiare - ricorda Alfisi -. Per tre anni ho dovuto rinunciare a hobby e sport». L' IMPEGNO - Se qualcuno avesse ancora dei dubbi, ecco qualche cifra: all' inizio gli iscritti erano quasi 200. Oggi ne sono rimasti 120 e solo in 7 arriveranno al traguardo nei tempi previsti. Molti hanno abbandonato («Soprattutto nei primi due mesi - precisa Ballio -; evidentemente avevano scoperto che era una cosa seria...»), altri hanno scelto un' opzione di lungo periodo (5 anni) offerta dal Politecnico su richiesta formale dei rappresentanti degli studenti. «Studiare con questi ritmi e’ davvero un' impresa - racconta Tiziano Radice, 39 anni, responsabile marketing per una societa’ americana di touch screen -. In tre anni ho dato 26 esami, 4 progetti e 4 relazioni, senza contare la tesi. Poi ci sono le prove in itinere: durano dal venerdi’ al lunedi’ mattina, nell' ultima ho lavorato per tutto il weekend, dormendo 5 ore a notte. E il lunedi’ si torna al lavoro...». Da sfatare anche un altro mito negativo: gli esami, lungi dall' essere virtuali, si fanno in presenza, a Como, con due sessioni di una settimana all' anno. VALORI AGGIUNTI - Ma perche’ un professionista affermato (nel gruppo spuntano anche un biologo e un neurologo) scommette su un' esperienza di questo tipo? «Dopo anni di lavoro sul campo - spiega Noventa - sentivo il bisogno di un completamento teorico. Il resto l' ha fatto il nome del Politecnico: la competenza dei suoi docenti ha fugato molti dubbi». «Uno studente viene da noi - riflette il rettore - perche’ la qualita’ della sua formazione e’ spendibile in massimo grado. L' obiettivo e’ mantenerla indipendentemente dal processo di formazione: non vogliamo laureati di serie A o di serie B». E la conferma viene proprio dagli ormai ex studenti: «Paradossalmente - conclude Noventa - i valori aggiunti hanno la meglio sull' universita’ tradizionale: la flessibilita’, il confronto con gente che ha gia’ esperienza nel settore, docenti motivati, un rapporto forte con i compagni di corso. Se non fosse che due lauree sono piu’ che sufficienti, nonostante la fatica lo rifarei». Gabriela Jacomella Tre futuri laureati «a distanza» PAOLO ALFISI 32 ANNI PROGRAMMATORE «Dopo il diploma mi ero iscritto a ingegneria informatica a Palermo, ma andavo a rilento e ho abbandonato. Pero’ non mi ero rassegnato, volevo tornare a studiare. Cosi’ e’ stato: negli ultimi tre anni, tornavo la sera dal lavoro e mi mettevo sui libri, o meglio sui cd-rom» MAURO NOVENTA 40 ANNI INFORMATICO «Sono uno studente-lavoratore recidivo: nell' 89 mi sono laureato in Scienze politiche a Padova, la mia citta’. Ma che fatica organizzarsi le giornate tra lavoro e lezioni... Ora invece posso collegarmi ai forum virtuali anche quando sono in viaggio all' estero» TIZIANO RADICE 39 ANNI RESPONSABILE MARKETING «Non e’ vero che gli studenti on line lavorano meno degli altri: in tre anni abbiamo dato 26 esami, 4 progetti e 4 relazioni, oltre alla tesi. Le prove in itinere duravano tutto il fine settimana, nell' ultima ho dormito 5 ore a notte. E il lunedi’ si tornava in ufficio...» 57 UNIVERSITA' che fanno formazione a distanza in Italia Solo 12, pero’, offrono e-learning 1.332 CORSI il numero di corsi on line passera’ da 1.332 a oltre 3.000 entro il 2006 3.000 EURO e’ il costo annuale del corso di laurea on line per ingegneri informatici 85 PER CENTO sono gli studenti lavoratori sul totale degli iscritti al corso del Politecnico ____________________________________________________ Repubblica 7 Lug. 03 COSI’ LE UNIVERSITA’ PRIVATE ALLETTANO GLI STUDENTI Le rette, 4.500-8.000 euro l'anno, contro gli 800-1.200 delle strutture pubbliche, vengono giustificate con una serie di servizi MASSIMILIANO DI PACE Roma Il 61,8% degli studenti di universita’ non statali (UNS) si dichiara soddisfatto della capacita’ e del metodo di insegnamento dei docenti, contro il 41,7% degli studenti delle universita’ statali (US). E' questo uno dei dati che emerge dalla ricerca "Eurostudent" condotta nel 2000 dalla Fondazione Rui su un campione di 7.000 studenti italiani. E se permane questo distacco per quel che riguarda le strutture (le aule sono adeguate per il 58,3% degli studenti di UNS contro i132,3% degli studenti di US) e i servizi (l'efficienza delle segreterie e’ valutata positivamente dal 49,3% degli studenti di UNS contro il dal 27,6% degli studenti di US), non altrettanto avviene, come fa notare Giovanni Finocchietti, responsabile della ricerca, sul fronte della qualita’ delle lezioni, che viene considerata da entrambi i gruppi molto soddisfacente (87,4% per studenti di UNS e 83,8% per studenti di US).Secondo i rettori di alcune universita’ private vi sono pero’ anche altre ragioni, oltre a quelle gia’ citate, che compensano il maggior costo delle loro rette (in media 4.5008.000 euro l'anno) rispetto a quelle della "pubblica" (800 1.200 euro). Adriano De Maio, Rettore della Luiss, parla di standard qualitativi migliori: «Il livello di un'attivita’ formativa non dipende solo dai docenti, ma anche dagli studenti: per questo la selezione all'ingresso consente di ottenere; studenti piu’ omogenei e stimolati, con grande beneficio per la didattica. Inoltre, se un tempo era la maggiore tranquillita’ dell'ambiente a determinare la preferenza delle famiglie verso l'universita’ non statale, oggi ha un ruolo piu’ importante la possibilita’ di usufruire di progetti formativi innovativi, che e’ possibile gestire bene solo presso atenei con un ridotto numero di iscritti, quale appunto e’ il caso delle universita’ non statali, che sono a numero chiuso. E non bisogna dimenticare che il prestigio dell'ateneo permette ai nostri laureati di trovare con maggiore facilita’ un impiego soddisfacente».Anche per Gianfranco Rebora, Rettore della Liuc (nota anche come Universita’ Cattaneo di Castellariza), un numero contenuto di studenti in rapporto ai docenti e’ importante per assicurare una maggiore qualita’ del processo formativo. «Il ridotto numero di iscritti consente ai docenti di essere loro piu’ vicini, e permette di impostare i corsi in modo piu’ aderente alle esigenze dei partecipanti». Per il professor Rebora un ruolo importante, per la scelta dell'ateneo da lui diretto, e’ giocato poi dall'ampia disponibilita’ di servizi, quali aule informatiche (1 Pc ogni 15 studenti), biblioteche (1 posto ogni 10 studenti), residence per gli studenti. «Infine sottolinea Rebora un punto di forza della nostra offerta e’ il placement, ossia l'assistenza per l'inserimento nel mondo del lavoro. Grazie allo stretto collegamento con il mondo delle imprese (la Liuc e’ nata su iniziativa degli imprenditori della provincia di Varese), i nostri laureati sono riusciti in media a trovare lavoro entro un mese dalla laurea».In alcuni casi e’ la personalita’ dell'ateneo a convincere le matricole ad iscriversi ad una universita’ non statale. Probabilmente e’ il caso dell'Universita’ Cattolica. Spiega infatti il rettore Lorenzo Ornaghi: «La qualifica "cattolica" non e’ casuale, perche’ nell'attivita’ didattica la persona dello studente e’ al centro delle nostre attenzioni, e questa attenzione si concretizza nell'assicurargli tutto quello che gli serve per condurre una soddisfacente attivita’ di studio. Mi riferisco al fatto che dall'iscrizione alle lezioni, sino al placement, il ragazzo e’ messo in condizione di realizzare le proprie aspirazioni». E' dunque elevato l'interesse delle matricole per le universita’ private, tanto che solo il 3050% degli aspiranti viene prescelto. Spiega Carlo Secchi, Rettore dell'Universita’ Bocconi: «Molti studenti, e le relative famiglie, giudicano le maggiori spese per la retta universitaria come un investimento per il futuro, dato che molti dei nostri laureati ottengono poi importanti successi professionali, se non diventano addirittura protagonisti della vita economica. Un altro motivo di grande interesse e’ l'innovazione delle modalita’ formative: dai corsi in lingua inglese alla possibilita’ di usufruire di corsi in e- learning, che si affiancano a quelli tradizionali, sino al contatto con professori all'avanguardia sul fronte della ricerca, fatto che costituisce non solo la base dell'insegnamento, ma anche la prova dell'eccellenza dei docenti. E infine come dimenticare lo stimolo rappresentato dall'appartenenza ad un ambiente multiculturale, visto che oltre i160% degli studenti pro_ viene da altre aree italiane ed europee». ================================================================== ______________________________________________________ L’Unione Sarda 7 lug. ’03 GUARDIE MEDICHE, FRA 7 GIORNI LA SCORTA Il prefetto Orru’: mai piu’ senza vigilantes, trovate altri soldi Iniziera’ la prossima settimana il servizio dei vigilantes nelle sedi di guardia medica della Sardegna: dovranno proteggere il medico nell’ambulatorio e scortarlo nelle visite domiciliari. E’ una delle misure decise dal Comitato di coordinamento delle forze di polizia, riunito ieri a Cagliari dal prefetto Efisio Orru’ per l’esame dei problemi legati alla sicurezza nei presidi sardi dopo l’omicidio della dottoressa Roberta Zedda. E’ stato l’assessore regionale della Sanita’ Giorgio Oppi ad annunciare di aver dato disposizione per le erogazioni finanziarie alle Asl e l’attivazione del servizio di guardia giurata in ogni punto di guardia medica sino al prossimo 31 dicembre. In seguito, come ha richiesto il prefetto, sara’ inserito un provvedimento nella Finanziaria regionale, in modo che il servizio diventi permanente e i fondi entrino a far parte della “spesa storica”. Il servizio di vigilanza privata dovra’ essere attivato entro la prossima settimana, e nelle more e’ stato disposto il raddoppio del servizio su ogni turno con l’impiego di personale medico e infermieristico. A questi interventi si aggiungeranno misure di difesa passiva, dopo una verifica - che sara’ attuata dal Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica in collaborazione con le associazioni di categoria e gli Ordini - nei 190 ambulatori di guardia medica per verificarne l’idoneita’ alle norme di legge. Si punta a dotare i locali di blindature, telecamere e sistemi allarme. Il prefetto ha anche richiamato l’attenzione della categoria sulla necessita’ che vengano immediatamente segnalate alle forze di polizia tutte le situazioni anomali. Le risposte stanno dunque arrivando, anche se resta il rammarico - come sottolinea Anna Rita Ecca, segretario regionale delle guardie mediche - «per aver ottenuto risultati che si attendevano da anni dopo un fatto cosi’ tragico». Le federazioni dei mediciIn una nota, il presidente della federazione regionale degli Ordini dei medici, Piepaolo Vargiu, sottolinea che «senza che possa essere manifestato alcun senso di soddisfazione, che striderebbe con la profonda tristezza per la morte di Roberta Zedda, prendiamo atto positivamente della volonta’ espressa dalle autorita’ istituzionali di garantire nell’immediato la tutela dei medici di guardia». La federazione regionale invita «tutti i medici di guardia a segnalare tempestivamente al proprio Ordine o ai sindacati ogni eventuale inadempienza degli accordi presi», e a denunciare alle autorita’ ogni eventuale tentativo di violenza che si dovesse verificare. In campo anche la federazione nazionale che, in una lettera al ministro Pisanu, sollecita provvedimenti concreti per la tutela dei medici, tra cui anche il pattugliamento del territorio e l’adozione di un mezzo di allarme sonoro per il medico e il presidio sanitario. I problemi delle guardie mediche sono anche al centro di una mozione sottoscritta dai consiglieri regionali dell’opposizione (primo firmatario Emanuele Sanna, Ds): si chiede all’assessore alla Sanita’ di riferire in Aula «sull’organizzazione dei servizi di assistenza primaria» e alla Giunta di impegnarsi a presentare in Consiglio un provvedimento per il reperimento delle risorse necessarie alla realizzazione di un piano straordinario per la sicurezza dei medici. C. Ra. ____________________________________________________ Il Sole24Ore 10 Lug. 03 CASSAZIONE, SI AL RIMBORSO PER GLI SPECIALIZZANDI ROMA E’ una guerra anche a colpi di sentenze, quella tra i medici specializzandi e lo Stato. La Cassazione (sentenza n. 7630 del 16 maggio scorso) ha riconosciuto il risarcimento del danno (piu’ di 25mila euro) a un laureato in medicina che aveva frequentato un corso di specializzazione all'Universita’ di Pisa dal 1986 al 1989 senza ricevere nessuna retribuzione. Secondo la Corte il medico e’ stato danneggiato dall'inadempienza dello Stato nell'attuazione delle direttive Ue. Il diritto alla retribuzione, sancito dall'Unione fin dal 1982, e’ stato ammesso nel nostro ordinamento col Dlgs 257/1991, che ha introdotto le borse di studio, ma soltanto per gli iscritti alle scuole a partire dall'anno accademico 1991 1992. Una sentenza «storica» per il Coordinamento nazionale medici specialisti ricorrenti (Cnmsr). Il pronunciamento della Cassazione, afferma il Coordinamento, «mette Tremonti con le spalle al muro: i medici interessati sono piu’ di 20mila, col rischio per le finanze pubbliche di dover sostenere un esborso di circa un miliardo di euro». Per risolvere la questione, il senatore Roberto Manzione (Margherita) ha presentato un Ddl ad hoc. Che giace nei cassetti di Palazzo Madama. ________________________________________________ La Stampa 9 lug. '03 TURISTA "PRIGIONIERA" AL PRONTO SOCCORSO (A SANREMO) LA DIFESA DEI MEDICI: C'E' UN ORDINE DI PRIORITA’ DEI CASI E IN ESTATE AUMENTANO I PAZIENTI Ha trascorso cinque ore nel corridoio in attesa di una visita SANREMO "A Sanremo non tornero’ piu’. Eppure c'ero gia’ stata e sono tornata con entusiasmo". Questa volta gli strali del lamento non sono indirizzati a strutture turistiche o ai prezzi troppo alti, ma alla sanita’, precisamente al Pronto soccorso del "Borea". La protesta e’ di una turista belga di mezz'eta’ che, dopo essere stata nella citta’ dei fiori alcuni anni fa, ha deciso di ritornarvi, soggiornando in un albergo a tre stelle. Ma era destino che le sue vacanze non dovessero svolgersi nel modo migliore. La donna, lunedi’ mattina al risveglio, si e’ accorta di uno strano e preoccupante sfogo sulla pelle. Si e’ recata cosi’ al Pronto soccorso e qui ha iniziato una paziente attesa. Perche’ c'erano casi piu’ gravi del suo. La turista non si e’ persa d'animo: un'ora, due, tre, quattro... Alla fine, cinque ore di "parcheggio" nella sala-corridoio per andare poi incontro a una delusione. "Dopo cinque ore - si e’ sfogata al ritorno in hotel - sono stata informata che il medico che avrebbe dovuto visitarmi era andato via. A quel punto non mi e’ rimasto altro da fare che tornare in albergo". La turista ha informato della "disavventura" la segreteria dell'albergo, che ha subito provveduto a richiedere l'interventoi della guardia medica. Solo dopo un'altra attesa la turista e’ stata finalmente sottoposta all'agognata visita. Non e’ escluso che la donna nel corso della sua permanenza al Pronto soccorso sia stata vittima piu’ di un malinteso che di un vero e proprio disservizio. Infatti, e’ possibile che quanto richiesto non fosse strettamente legato alle prestazioni urgenti offerte. Sta di fatto, pero’, che l'ospite arrivata dal Belgio e’ ripartita da Sanremo molto arrabbiata e delusa. Tanto e’ vero che ha salutato la citta’ con la "minaccia" di non farvi piu’ ritorno. Un altro motivo del disservizio e’ costituito dal superlavoro che il Pronto soccorso deve sopportare in questo periodo. Anche se non siamo ai "top" dei primi venti giorni d'agosto, le prestazioni si moltiplicano e crescono di giorno in giorno per effetto delle presenze turistiche. Nel 2002 il Pronto soccorso di Sanremo ha dovuto fronteggiare 41 mila accessi. Una media di oltre cento al giorno. In estate il numero aumenta fino a duecento e piu’ al giorno. Ma resta praticamente invariato il numero di medici e infermieri. Se il Pronto soccorso si trova a operare in condizioni difficili, da piu’ parti si rileva come sarebbe necessario predisporre, almeno nel periodo estivo, un potenziamento delle sue strutture in modo da soddisfare le necessita’ di tutti. Italiani e stranieri. Il dottor Gianni Oddone e’ il direttore del Dipartimento di emergenza. Dice: "Se la signora belga ha dovuto attendere per cinque ore siamo dispiaciuti. Ma e’ pur vero che si puo’ rischiare di attendere anche piu’. Dipende dalla patologia e dagli altri interventi che si susseguono. Operiamo secondo un codice di priorita’. Cosi’ il codice rosso, con paziente in pericolo di vita, ha priorita’ assoluta. C'e’ poi il codice giallo con paziente in condizioni critiche ma non in pericolo di vita. Quindi il verde e il bianco. Quest'ultimo riguarda patologie per le quali il richiedente avrebbe potuto rivolgersi all'esterno. La lunga attesa potrebbe essere stata determinata da una patologia di lieve entita’". ______________________________________________________ L’Unione Sarda 10 lug. ’03 CAGLIARI: SPINELLO DI MAMMA, BAMBINO SENZA MEMORIA Allarme dalle Neuroscienze di Cagliari Dannoso per il nascituro uno spinello fumato dalla mamma in attesa. Il messaggio arriva da uno studio del dipartimento di Neuroscienze dell’Universita’ di Cagliari. Gli effetti della marijuana fumata durante la gestazione non si rivelano subito: il piccolo nascera’ apparentemente normale, ma quando avra’ otto o dieci anni scoprira’ di avere poca memoria. Un giorno riuscira’ a imparare una poesia, il giorno dopo non se la ricordera’ piu’. D’altro canto, non e’ una novita’ che le droghe (o sostanze nocive in genere) consumate in gravidanza provochino gravi danni ai neonati. Come il fumo, che attraverso il monossido di carbonio (non la nicotina) provoca un deficit di memoria. Per non parlare dell’eroina, responsabile di far nascere piccoli drogati in crisi di astinenza con assoluto bisogno della dose quotidiana. Ed anche l’alcol non scherza, perche’ provoca gravi deficit cognitivi. Il caso della marijuana e’ ancora piu’ clamoroso perche’ si tratta di una droga (infatti da’ dipendenza) verso la quale si e’ ormai consolidata una vasta corrente di pensiero improntata all’indulgenza. Canne e spinelli sono infatti considerati “peccati veniali”, tant’e’ che c’e’ sempre piu’ gente favorevole alla depenalizzazione delle droghe leggere, in opposizione a chi non abbandona la linea dura. Ma quando si parla di droghe, il muro contro muro a volte non ha senso. Intanto bisogna distinguere gli effetti su un adulto e quelli su un bambino. La marijuana, ad esempio, e’ impiegata anche a scopi terapeutici, con la possibilita’ di utilizzarla, fra l’altro, come anestetico al posto della morfina. Deleterie sono invece le sue conseguenze, a lunga scadenza, sui bambini: come appunto ha scoperto un’e’quipe di farmacologi dell’ateneo cagliaritano (formata da Giampaolo Mereu, Mauro Fa, Raffaele Cagiano, Mario Tattoli, Veronica Ghiglieri e Gian Luigi Gessa dell’Universita’ di Cagliari) e delle Universita’ di Ferrara (Sergio Tanganelli e Luca Ferraro) e Bari (Vincenzo Cuomo). Tutti hanno collaborato a uno studio pubblicato sull’autorevole rivista scientifica americana Proceeding of the National Academy of Sciences, ripreso con un commento su Nature. La ricerca cagliaritana e’ stata eseguita su femmine di ratto cui e’ stata somministrata marijuana dalla prima settimana fino al termine della gestazione. Periodo che nella donna corrisponde a circa otto mesi. «Abbiamo notato che i piccoli ratti sono nati perfettamente normali Ń spiega il farmacologo Giampaolo Mereu Ń ma una volta cresciuti e stimolati ad apprendere e memorizzare, hanno manifestato gravi de’faillances». La pubblicazione dei risultati della ricerca ha suscitato notevole interesse negli Stati Uniti (la notizia e’ stata pubblicata anche sul Washington Post). Commenti entusiastici, in particolare, da parte di scienziati, P. A. Fried e ed A.M. Smith, che sull’argomento hanno eseguito una sperimentazione clinica. In pratica, lo studio sardo e quello americano si sono confermati a vicenda e diffondono lo stesso messaggio: mamme in attesa, alla larga dalla marijuana. Lucio Salis ____________________________________________________ Il Sole24Ore 10 Lug. 03 VIA LIBERA. AGLI STUDI SUGLI EMBRIONI a Commissione-Ue ha varato ieri le linee guida per finanziare l'impiego delle cellule staminali Stabiliti regole rigide e un diritto di «ultima parola» degli Stati membri - La proposta al voto del Consiglio entro dicembre DAL NOSTRO INVIATO Il commissario Busquin: «Garantito il no alla clonazione umana, ogni Paese decidera’ le sue regole» BRUXELLES o La Commissione europea ha varato ieri una precisa griglia di condizioni per disciplinare il finanziamento della ricerca comunitaria sulle cellule staminali. Il decalogo di Bruxelles e’ arrivato con una settimana di ritardo rispetto alle previsioni originarie, un'ultima «pausa di riflessione» che ha permesso qualche ritocco in extremis e di tenere maggiormente in conto delle riserve di quegli Stati, come l'Italia, meno propensi a finanziare ricerche sugli embrioni umani. Proprio sotto presidenza italiana dovrebbero tra l'altro essere varate le nuove regole. Il documento presentato ieri dal commissario alla Ricerca, Philippe Busquin, dovra’ infatti passare ora per l'ultima volta al vaglio del Parlamento, prima di finire sul tavolo dei ministri dei Quindici. E cio’ dovrebbe accadere prima della fine dell'anno, dato che i Governi e l'Europarlamento hanno gia’ preannunciato di voler porre fine all'attuale moratoria che impedisce il finanziamento della ricerca sulle cellule staminali entro il 31 dicembre. Le regole delineate da Busquin vietano la clonazione umana e prevedono che si possano utilizzare esclusivamente embrioni supernumerari creati prima del 27 giugno 2002, data dell'adozione del Sesto programma quadro di ricerca comunitario. Questo per evitare che «il finanziamento dell'Ue incentivi indirettamente la produzione di un maggior numero di embrioni». Inoltre, la Commissione ha ribadito a chiare lettere che i finanziamenti comunitari non potranno andare a progetti di ricerca proibiti in un determinato Stato europeo, lasciando percio’ ai Governi la decisione ultima. «Il nostro obiettivo ha assicurato Busquin non e’ dettare valori etici agli Stati membri, dal momento che questo e’ un tema su cui ogni Paese deve decidere da se’, ma di fornire delle linee guida».Il commissario ha anche ricordato che la decisione di finanziare la ricerca sulle cellule staminali era gia’ stata presa da Consiglio ed Europarlamento, che avevano pero’ anche prescritto la necessita’ di nuove "guideline" etiche da approvare entro la fine del 2003. «Finanziando questo tipo di ricerca ha precisato Busquin e fissando delle stringenti regole, l'Unione europea contribuisce in modo responsabile a far avanzare la scienza a beneficio dei pazienti di tutto il mondo, mentre al tempo stesso ci si assicura che cio’ accada in una chiara cornice etica».II commissario ha sottolineato l'utilita’ di finanziare ricerche che utilizzino esclusivamente embrioni umani, destinati comunque alla distruzione e «creati attraverso la fecondazione in vitto, per aumentare le possibilita’ di successo dei trattamenti di riproduzione assistita». Le regole proposte da Bruxelles prevedono che ogni progetto di ricerca finanziabile sia sottoposto alla consulenza di comitati etici, anche in quei Paesi in cui cio’ non e’ obbligatorio. Gli esperimenti potranno ottenere il via libera solo quando sia dimostrato che perseguono importanti obiettivi scientifici e che non esistono adeguate alternative all'utilizzo di cellule staminali. Gli embrioni supernumerari dovranno essere utilizzati solo con il consenso dei donatori, che non potranno ricavarne alcun vantaggio finanziario. La privacy dei donatori dovra’ essere rispettata e la rintracciabilita’ delle staminali sara’ richiesta. I consorzi di ricerca dovranno inoltre rendere disponibili nuove cellule embrionali ad altri ricercatori. La Commissione intende creare anche un registro europeo delle staminali per ottimizzarne l'utilizzo, limitando in futuro la necessita’ di ottenerne da embrioni supernumerari. ENRICO BRIVIO ____________________________________________________ Il Sole24Ore 10 Lug. 03 I RICERCATORI SI DIVIDONO TRA ETICA E SCIENZA Dibattito / Ora la palla passa all'Italia MILANO a «Un compromesso ipocrita», «una decisione cautelativa nel rispetto delle valutazioni dei singoli Stati», «una mossa da Ponzio Pilato». I ricercatori sono profondamente divisi sulle regole che guideranno i finanziamenti comunitari a progetti di studio che contemplino l'uso delle cellule staminali (nella foto Spl) di origine embrionale. Una delle linee guida prevede che «le cellule staminali umane possano essere ottenute solo da embrioni sovrannumerari che sono stati donati dai genitori a scopo di ricerca e che sono stati creati prima del 27 giugno 2002, la data di adozione del VI programma quadro (il maggiore strumento dell'Unione europea per finanziare la ricerca nei prossimi quattro anni, ndr). Embrioni che prima o poi sono destinati ad essere distrutti».«Se gli embrioni sono soprannumerari non si pone il problema etico: vuol dire che vengono buttati via, il problema e’ stato scavalcato in precedenza» dice Elena Cattaneo del centro di eccellenza sulle malattie neuro degenerative dell'Universita’ degli studi di Milano, che trova la proposta della Commissione rispettosa e cautelativa. «Un embrione senza l'utero e’ gia’ un cadavere, e’ staccato dalla macchina della vita, dall'ambiente che gli permette di svilupparsi. E nel momento in cui la donna che lo ha generato lo ha donato, quindi ha deciso di non usarlo piu’, ha solo due possibilita’: restare congelato o finire nel lavandino. E allora perche’ bisogna buttarlo, come avviene dopo alcuni anni che gli embrioni restano congelati, e non usarlo per ricerche che potrebbero portare a risultati nella cura di alcune terribili malattie?».«Mi sembra un compromesso un po' ipocrita, non si capisce come mai un embrione cambi di statuto morale dopo il 27 giugno 2002 dice Gilberto Corbellini, professore di storia della medicina e bioetica all'universita’ La Sapienza di Roma . Accontentiamoci di questa soluzione, ma con il "bizantinismo" etico politico l'Europa non va avanti. Questo continuo mettere paletti arbitrari alla scienza, l'aspettarsi che proceda per certezze non per diminuzione di incertezza, non fa bene all'Europa».«Ci sono 260 mila embrioni non utilizzati nel mondo. Bastano e avanzano, anche per gli anni a venire» dice Angelo Vescovi, voce "contro", condirettore dell'Istituto di ricerca sulle staminali del San Raffaele di Milano. Gli studi del suo gruppo non usano gli embrioni ma cellule staminali ottenute da tessuti adulti o feti. «Restringere ai soli embrioni sovrannumerari e’ positivo, ma temo che la data verra’ spostata. Inoltre sarebbe stato opportuno stabilire anche una scadenza, per essere sicuri che gli embrioni non avrebbero potuto attecchire». Vescovi, per cui la risoluzione Ue e’ ipocrita e di compromesso,spiega che gli embrioni, dopo alcuni anni da quando vengono congelati, decadono e non sono piu’ impiantabili, pero’ appena sono stati congelati sono molto vitali, questo rende l'estrazione delle staminali piu’ semplice, ma sarebbero ancora «esseri viventi». «Si parla delle cellule staminali embrionali come di una panacea contro tutti i mali continua . Vorrei vedere qualche fatto. Si cita per esempio l'opportunita’ di curare le malattie neuro degenerative. Ma le cellule staminali neuronali si trovano in grandi quantita’ nei tessuti adul ti, si possono ricavare dai cadaveri senza bisogno degli embrioni».«Non si puo’ a questo stadio della ricerca discriminare tra una strada e l'altra: dal punto di vista scientifico e’ un falso, non ci sono abbastanza evidenze per scegliere controbatte Elena Cattaneo . La plasticita’ delle cellule derivate da tessuti adulti non sembra enorme come ci avevano fatto credere, non e’ stato possibile riprodurre gli studi e le potenzialita’ sono ancora tutte da dimostrare. Sarebbe un errore grave riporre tutte le speranze su un'unica strategia».Ora la partita e’ tutta da giocare in Italia, con ben poche speranze di poter fare ricerca in questo filone: «Il comitato nazionale di bioetica non si e’ espresso favorevolmente» dice Cattaneo. «I soldi che l'Italia ha dato alla Ue verranno spesi in altri Paesi» ribatte Vescovi. ____________________________________________________ L’Unita’ 8 Lug. 03 LE MANI SUL DNA Le mani sul Dna. Hanno tentato letteralmente di metterle, nello scorso week end, alcune decine di persone comuni (insegnanti e ingegneri, casalinghe e pensionati, medici e contadini) che hanno partecipato a «Cose dall'altro mondo», il laboratorio aperto che costituisce quest'anno il piatto forte di Spoleto scienza, la manifestazione organizzata dalla Fondazione Sigma-tau giunta ormai alla sua XV edizione. Le mani sul Dna, dicevamo. Hanno tentato metaforicamente di metterle, qualche settimana fa, Malcom Simons e quelli della Genetic Technologies (CTG), azienda australiana di Melbourne che opera nel campo della genetica, quando hanno ricordato di aver chiesto (gia’ nel lontano 1980) e ottenuto (gia’ nel 1990) in Svizzera un brevetto a tutela della loro proprieta’ intellettuale sull'intero «junk Dna», ovvero quella parte in apparenza non funzionale (non codifica per nessuna proteina) del lungo filamento di acido deossiribonucleico che costituisce all'incirca il 98% del nostro Dna. Cosa accomuna i due eventi avvenuti in due mondi cosi’ lontani, quello squisitamente culturale di Spoleto e quello squisitamente economico di Melbourne e di Berna? Beh, non solo e non tanto l'oggetto della posa delle mani, il Dna, assurto a icona, culturale ed economica, del nostro tempo. Ma anche e soprattutto il fatto che i due mondi nei quali si muove ormai la biologia del Dna, quello culturale ed economico, in apparenza cosi’ lontani sono, in realta’, profondamente interpenetrati. E questa «interpenetrazione dei due mondi» e’ cosi’ importante da costituire uno dei problemi a priorita’ assoluta nell'agenda della governance globale. Insomma quello di verificare ed eventualmente controllare chi e come mette «le mani sul Dna» costituisce uno dei grandi temi della moderna democrazia. Prendiamo il caso delle decine e decine di persone «non esperte» che sabato e domenica hanno aderito con entusiasmo all'invito di Spoletoscienza e si sono presentate presso il " Chiostro di San Nicolo’ per mettere letteralmente le mani sul - Dna, aiutati dagli esperti del Laboratorio di Biologia dello - Sviluppo di Pavia. Cosa le motivava, mentre, provette alla mano e occhio sul microscopio, - passavano ore e ore a cercare di estrarre il ' Dna dal nucleo di una cellula di fegato, a cercare di fecondare in vitro un oocita, a cercare di trasferire il nucleo da una cellula a un'altra? A motivare quelle persone ci sara’ stato, certo, il «brivido della clonazione». Ovvero la curiosita’, peraltro sanissima, e il bisogno culturale, peraltro sanissimo, di vedere come si fa a mettere, letteralmente, le mani o la pipetta sul «codice della vita», il Dna. Tuttavia la spiegazione dell'entusiasmo di quelle persone non si esaurisce solo nella dimensione culturale della loro esperienza. C'era (c'e’) un bisogno di capire meglio per meglio decidere. E gia’, perche’ noi cittadini siamo sempre piu’ spesso chiamati a prendere decisioni, in modo diretto o indiretto, sul «mondo del Dna». La fecondazione in vitro, la clonazione terapeutica, la produzione degli organismi geneticamente modificati sono tra i temi rilevanti della politica. Sono tra i ' temi rilevanti dell'etica. Sono tra i temi rilevanti della «nostra» vita quotidiana. Decidiamo intorno al mondo del Dna. E, quindi, abbiamo bisogno di capirlo meglio. E’ anche per questo che a Spoleto si sono presentate a decine le persone comuni desiderose di mettere le mani sul Dna. Cosi’ come nei mesi scorsi presso 1'«Open Lab» di Pavia, insieme al giudice Amedeo Santosuosso, si sono presentati numerosi i magistrati e, insieme al caporedattore Gianna Milano, si sono presentati numerosi i giornalisti. Dovendo gli uni (i magistrati) e gli altri (i giornalisti) prendere sempre piu’ spesso decisioni, peraltro affatto diverse, che coinvolgono il Dna, volevano saperne di piu’. Volevano, in qualche modo, toccarlo con mano. Ma proviamo, ora, a ribaltare la domanda. Cosa spinge il direttore del Laboratorio di Biologia dello Sviluppo, Carlo Alberto Redi, e i suoi piu’ stretti collaboratori, da Silvia Garagna a Maurizio Zuccotti, a cercare quello che Pino Donghi, direttore a sua volta della Fondazione Sigma-tau, ha definito un dialogo senza mediazioni con il pubblico (i pubblici) di non esperti? Cosa li spinge ad aprire cio’ che una volta era considerata una torre d'avorio inaccessibile alla gente comune, il laboratorio? Beh, anche qui la risposta esige un certo grado di articolazione. Il motivo piu’ immediato che oggi spinge gli scienziati, e in particolare i biologi, a comunicare con il pubblico (i pubblici) dei non esperti e’ la consapevolezza che oggi i non esperti concorrono, in diverso modo, ad assumere decisioni rilevanti per lo sviluppo della scienza (e in particolare della biologia). Cosicche’ il dialogo da un lato e’ obbligato. E dall'altro, almeno in prima approssimazione, e’ conveniente: una maggiore conoscenza dei processi e delle logiche della scienza contribuisce a far si’ che i non esperti assumano decisioni piu’ informate intorno alla scienza. In realta’ i nostri comportamenti e le nostre decisioni intorno alla scienza sono il frutto anche di un immaginario scientifico la cui costruzione si alimenta, di continuo, attraverso diverse fonti, alcune esplicite (come l'informazione), altre implicite. E quella diretta con gli scienziati non e’ che uno dei canali di comunicazione attraverso cui noi tutti costruiamo il nostro immaginario scientifico. La costruzione di un ponte comunicativo con il pubblico (pubblici) di non esperti consente agli scienziati di attivare un dialogo, di fornire un contributo alla costruzione dell'immaginario scientifico, non di determinare meccanicisticamente delle scelte. Il motivo, dunque, che muove (o almeno concorre a muovere) all'entusiasmo divulgativo Carlo Alberto Redi, i suoi collaboratori e mille e mille altri scienziati e’ probabilmente anche un altro. La consapevolezza di assolvere a una funzione democratica. Se la societa’ ha sempre piu’ bisogno di assumere decisioni rilevanti che coinvolgono la scienza che a sua volta ha profonde ricadute sulla nostra vita quotidiana, allora la comunicazione della scienza non e’ solo un bisogno o una convenienza per l'uomo di scienza, e’ un bisogno e una convenienza per l'intera societa’. Una modulazione della democrazia. E cosi’ la comunicazione pubblica della scienza diventa un (forse «il») nuovo modo di declinare l'antico concetto di «responsabilita’ dello scienziato». Non e’, dunque, un caso che l'esperimento di laboratorio aperto e di dialogo senza mediazioni tra scienziati e pubblico avvengano mentre Pino Donghi faccia circolare un libro da lui curato, Il governo della scienza, appena uscito per i tipi della Laterza, che ripropone, appunto, il tema affrontato nella scorsa edizione di Spoletoscienza, quello della democrazia nell'era dominata dal sapere scientifico. E non e’ un caso che. in una delle attivita’ a latere dell'«Open Lab» di Carlo Alberto Redi e di Gianna Milano - ovvero nella simulazione di una riunione di redazione per sperimentare i processi della comunicazione di massa della scienza - emerga il tema dei brevetti e del diritto a mettere, metaforicamente, «le mani sul Dna». Quello dei brevetti e, in particolare, dei brevetti sul Dna e’ uno dei grandi temi dell'agenda economica e, quindi, sociale globale. E’ uno dei modi concreti in cui siamo chiamati a declinare il concetto di democrazia nell'era dominata dal sapere scientifico. La richiesta di sottoporre a tutela della proprieta’ intellettuale l'intero «junk Dna» e di assicurarsi, cosi’, il monopolio su tutto il «Dna-spazzatura», avanzata fin dal 1980, da Malcom Simons e dalla Genetic Technologies e’ cosi’ estrema da far venire al pettine tutti i grandi nodi di questo tema economico, sociale e democratico. Il 1980 fu, infatti, un anno particolare per l’economia del Dna». Fu fanno in cui l'Ufficio brevetti degli Usa riconobbe il diritto, sotto certe condizioni, a «brevettare la vita». E fu fanno in cui il governo federale degli Stati Uniti invito’ le pubbliche universita’ a brevettare la conoscenza, ivi incluso la conoscenza genetica. A partire da quell'anno, correndo lungo queste corse, si e’ sviluppata una nuova forma di scienza, imprenditrice. Un nuovo modo di lavorare degli scienziati che ha per finalita’ sia la produzione di nuova conoscenza che la produzione di nuova ricchezza. La svolta fu salutata con entusiasmo in molti ambienti, anche scientifici. Perche’, si diceva, avrebbe drenato risorse nuove e aggiuntive non solo per gli scienziati (e il loro privato conto in banca), ma anche per la scienza e per la produzione di nuova conoscenza. A oltre vent'anni di distanza possiamo trarre un qualche consuntivo. La tutela della proprieta’ intellettuale anche nell'ambito della nuova biologia ha prodotto effettivamente risorse nuove e aggiuntive per la produzione di nuova conoscenza scientifica. Tuttavia ha prodotto anche alcune distorsioni. Prima tra tutte, quella della costituzione di monopoli. A livello di paesi. E a livello di aziende. Di recente Kofi Annan, il segretario generale delle Nazioni Unite, ricordava su Science come il 20% della popolazione mondiale, quello che vive nei paesi dell'occidente industrializzato, controllasse l'80% della ricchezza attuale e il 99,5% dei brevetti (ovvero, della ricchezza futura). La situazione a livello di singole aziende e di singole aziende biotecnologiche non e’ molto diversa. Poche societa’, per esempio, controllano i prodotti geneticamente modificati oggi in commercio. Una, la Myriad Genetics, pretende di controllare tutte le attivita’, culturali ed economiche, che coinvolgono due geni corresponsabili del cancro al seno, da lei brevettata. Gli esempi potrebbero continuare. Allora il problema dei brevetti in ambito biomedico e’ un problema di democrazia globale imminente. Che andrebbe affrontato. Impedendo, per esempio, la possibilita’ di brevettare la conoscenza biologica «a monte» e la costituzione di monopoli, come propone il bioeticista Demetrio Neri, uno degli «umanisti» che a Spoleto hanno accompagnato l'esperimento del laboratorio aperto. Ecco, dunque, il principale insegnamento che possiamo trarre dall'esperienza spoletina. Guardare il meraviglioso mondo del Dna attraverso l'oculare di un microscopio e’ un arricchimento culturale che certo non esime dall'osservare l'altro mondo, quello che utilizza le tecniche del Dna per produrre ricchezza. Ma che, anzi, aiuta a comprenderlo meglio. Per meglio governarlo. ____________________________________________________ Il Manifesto 10 Lug. 03 COPYRIGHT ALLO STATO MINIMO Pubblicato il rapporto sulla proprieta’ intellettuale voluto dal governo francese. Si al diritto d'autore, ma senza limitare la diffusione del sapere. Forti le critiche verso la folle corsa ai brevetti che domina la ricerca scientifica europea e statunitense. Allo stesso tempo viene auspicato che i risultati delle ricerche sul vivente siano di pubblico dominio Fin dove la proprieta’ intellettuale deve essere considerata un bene privato (e quindi oggetto di brevetto)? A parte la questione del brevetto, la domanda, estremamente attuale, era gia’ stata posta all'epoca dell'Illuminismo. Allora, una polemica aveva opposto Denis Diderot a Condorcet. Secondo il primo, come gia’ per il filosofo scozzese Locke,la proprieta’ delle produzioni dello spirito era indispensabile per incitare alla ricerca, permettendo all'autore di vivere del proprio lavoro. Per Condorcet, invece, non era moralmente fondata la domanda di imporre una proprieta’ intellettuale troppo estesa. Oggi, il dilemma resta identico: da un lato, e’ necessario proteggere il diritto d'autore e la proprieta’ intellettuale, ma dall'altro c'e’ il fatto che ogni innovazione si basa su scoperte precedenti (siamo dei nani sulle spalle di giganti, diceva Newton). La collettivita’ deve tener conto dell'utilita’ sociale. A partire da questo dilemma, il «Consiglio di analisi economica del governo francese pubblica in questi giorni una ricerca» (commissionata ai tempi di Jospin) sulla «Proprieta’ intellettuale» (rapporti di Jean Tirole, Claude Henry, Michel Trommetter, Laurence Tubiana e Bernard Caillaud, edito da «La documentation francaise». Sito internet: www.cae.gouv.fr). Il rapporto si concentra su due campi: le biotecnologie, il software e le tecnologie dell'informazione, piu’ precisamente tutti i contenuti veicolati da tecnologie multimediali o le informazioni memorizzate, attraverso una loro rielaborazione, su supporti magnetici o su compact-disk. Non affronta la questione dal punto di vista morale, ma solo economico. Le conclusioni portano a una giudizio negativo, di disfunzionamento, degli uffici brevetti, sia negli Usa che in Europa. Un sistema «malato» nei paesi industrializzati, sottolinea l'economista Daniel Cohen nella parte dei «commenti» del rapporto, nefasto per la societa’. Oggi, la polemica infuria sull'estensione del campo del brevettabile e sulla sua profondita’, ma nel frattempo, il numero dei brevetti esplode: 344mi1a domande di brevetto presentate negli Usa nel 2001, con una crescita del 45% rispetto al `97. Una crescita esplosiva analoga e’ registrata in Europa, dove, a settembre, il parlamento europeo, dopo un rinvio provocato dalle mobilitazioni di alcune associazioni per il software libero, sara’ chiamato a votare sulla brevettabilita’ del software. Finora, in Europa il software era escluso dal campo del brevettabile, come le equazioni matematiche o le ricette di cucina. L'esplosione dei brevetti - cioe’ una protezione monopolistica concessa all'inventore per vent'anni - ha delle consegunze precise: la ricerca e’ frenata e la concorrenza mutilata dall'abuso di posizione dominante. Gli stati del sud del mondo ne soffrono particolarmente. Quello che e’ in gioco e’ la diffusione del sapere umano, da un lato, ma dall'altro e’ la protezione delle invenzioni per spingere all'innovazione. E' un dosaggio equo tra queste due esigenze contraddittorie che dovrebbe essere trovato, suggeriscono gli autori. Non solo per questioni morali, ma anche per ragioni economiche. Oggi, la frontiera tra ricerca di base e ricerca applicata e’ diventata vaga e questo nuoce alla diffusione di conoscenze a monte dei brevetti. Per non parlare della proliferazione di brevetti contestabili, dovuto anche, a volte, all'incompetenza dei giudici (da questo punto di vista, negli Usa l'ufficio brevetti, che e’ unico, funziona meglio che in Europa). Ma, rispondono i difensori dei brevetti, la ricerca e’ cara e, senza protezione, non c'e’ incitazione a proseguire. L'esempio dei brevetti sui medicinali e’ interessante: il rapporto affronta la questione della riduzione del prezzo sulle medicine per i paesi poveri, possibilita’ che dovrebbe essere considerata come facente parte di un contratto morale mondiale (per esempio sui medicinali per 1'aids, che gli Usa rifiutano di far circolare a prezzo ridotto nei paesi poveri). Ma se questo sistema puo' funzionare per medicinali che servono nel nord ricco come nel sud povero, non funziona per la ricerca su malattie tropicali, come la malaria: chi fara’ ricerca, se e’ sottoposto al vincolo di un prezzo basso? A questo punto, dovrebbe intervenire il finanziamento pubblico, anche a privati, sottoposti a precisi vincoli. Nel rapporto la «malattia» del sistema dei brevetti e’ illustrata da due esempi nel campo della brevettibilita’ dei geni. La societa’ statunitense Myriad Genetics possiede i diritti, garantiti da brevetti Usa> su due geni - brcal e brca2 - di predisposizione al cancro al seno. L'«Institut Pasteur» francese li contesta, perche’ questi brevetti hanno spinto i laboratori ospedalieri, anche negli Usa, a rinunciare a test clinici a partire dai geni brevettati. Inoltre, i brevetti Usa, troppo estesi, coprono tutte le funzioni dei due geni e tutte le applicazioni che ne possono derivare, anche se sconosciute al momento della domanda di brevetto da parte di Myriad Genetics. Il secondo caso esemplare riguarda I'aids. Nel `95, la societa’ Usa «Human Genome Sciences» deposita un brevetto sul gene che contiene la proteina ccr5, senza specificazioni ne’ sulla diagnostica ne’ sulla terapia. Ma, mentre la domanda e’ all'esame, alcuni ricercatori pubblici statunitensi e belgi scoprono che la proteina ccr5 funziona come un recettore per la penetrazione nelle cellule umane del virus dell'aids HIV. Ma il brevetto viene accordato alla «Human Genome Science» e copre tutte le funzioni della ccr5, anche quelle non scoperte dalla societa’. Da allora, la «Human Genome Sciences» percepisce delle royalties su tutte le nuove medicine contro 1'aids sviluppate a partire dalla scoperta del ruolo della ccr5, anche se questo ruolo e’ stato trovato da ricercatori pubblici che non avevano nulla a che vedere con la societa’. Il rapporto suggerisce di escludere i brevetti sui geni, poiche’ i diritti di proprieta’ attuali sul vivente sono eccessivamente estesi. Solo l'invenzione dovrebbe essere brevettabile, non la scoperta, invece ormai trattata come un'invenzione. Il brevetto e’ cosi’ diventato un fine in se’, per guadagnare poi con le licenze. Gli autori suggeriscono anche che, per le innovazioni, venga stabilito un sistema di licenze obbligatorie, a un prezzo abbordabile, soprattutto per i paesi in via di sviluppo e per la piccola e media impresa. Infine, escludere il brevetto sui geni e sul vivente impedirebbe alle grandi societa’ di depredare i paesi poveri dello loro risorse naturali, di cui perdono cosi' il controllo. Sul copyright per il software, il rapporto sottolinea che una forma di protezione e’ necessaria per evitare pirataggi e sfruttamento commerciale di software copiati. Questa protezione pero' dovrebbe essere «rara» (al contrario della tendenza dell'Ufficio europeo brevetti) e «profonda», ma relativamente «ristretta» (non deve coprire altri mercati, attraverso le interfacce). Inoltre, i brevetti in questo campo dovrebbero poter convivere con il «software liberi», cioe’ non sottoposto alle attuali leggi sulla proprieta’ intellettuali. Ma, nei commenti, l'economista Lionel Fontagne’, sottolinea i rischi nel mondo attuale: ridurre la protezione intellettuale in Europa spingerebbe la ricerca verso gli Usa. Purtroppo, la possibilita’ di un'intesa mondiale e’ ancora lontana e ogni sotto-sistema ha interesse a proteggere troppo cio’ che vi e’ a monte della scoperta, per garantirsi una rendita di posizione. ______________________________________________________ Corriere della Sera 11 lug. ’03 DISTROFIA, UNA SPERANZA DALLE STAMINALI La ricerca di quattro ospedali italiani finanziata da Telethon. Positivi i primi test sui topi Bazzi Adriana MILANO - Un topolino (malato di distrofia muscolare) e’ accasciato su un letto con una flebo di cellule staminali infilata nella zampa. Seconda immagine: il topolino corre veloce su uno sfondo di alberi verdi. Due disegni forse un po' troppo semplici, ma capaci di illustrare, anche ai non addetti ai lavori, il significato di una ricerca in pubblicazione su una delle piu’ autorevoli riviste scientifiche, l' americana Science: le cellule staminali, modificate geneticamente, possono rappresentare una nuova speranza nella cura della distrofia muscolare. Con un' avvertenza: stiamo parlando di topi, cioe’ di un esperimento che ha avuto un certo successo negli animali, ma non e’ ancora trasferibile all' uomo. I risultati della ricerca, frutto della collaborazione fra l' Istituto San Raffaele e il Policlinico di Milano, il San Matteo di Pavia e l' Universita’ di Roma, e finanziato principalmente da Telethon sono stati annunciati a Milano in una conferenza stampa congiunta del San Raffaele e della rivista Science. La forma di distrofia muscolare, protagonista dello studio, e’ quella cosiddetta dei cingoli (meno grave della classica Duchenne, colpisce i muscoli delle spalle e delle anche) ed e’ provocata dalla mancanza di un gene, quello della proteina alfa-sarcoglicano, che rende elastica la membrana delle fibre muscolari. Le staminali utilizzate nell' esperimento (si chiamano mesangioblasti) appartengono a una nuova famiglia, identificata un anno fa nei vasi sanguigni fetali dal coordinatore dello studio, Giulio Cossu del San Raffaele: sono cellule capaci di trasformarsi in sangue, muscolo, connettivo e osso. I ricercatori hanno manipolato geneticamente queste cellule, inserendo il gene sano della proteina alfa-sarcoglicano, e le hanno poi iniettate nei topi. Le cellule si sono rivelate capaci di migrare dalle arterie ai muscoli, e di dare origine a nuove fibre. «Tre mesi dopo una singola iniezione - ha detto Roberto Bottinelli del San Matteo di Pavia - i topi distrofici recuperavano quel 30% di forza muscolare che avevano perduto per la malattia, quasi tutte le cellule morte e buona parte della capacita’ motoria: messi su una ruota cadevano dopo 4-5 minuti e non dopo 13 secondi come prima». Secondo i ricercatori, convinti della grande importanza di questi risultati, non si tratta ancora di una vera terapia, ne’ per i topi ne’ per i pazienti. Prima di arrivare all' uomo (ci vorranno almeno 5 anni) e’ indispensabile risolvere una serie di problemi. Innanzitutto confermare i risultati in animali piu’ grandi. Poi studiare bene il virus attraverso cui introdurre il gene sano nelle staminali. Infine capire se i mesoangioblasti possono essere isolati dai malati e coltivati e se conservano l' iniziale capacita’ di differenziarsi in altre cellule, tra cui quelle muscolari. In altre parole, serve tempo per la ricerca e servono finanziamenti. «Dal 1991 in poi - ha ricordato a questo proposito il direttore amministrativo di Telethon, Angelo Maramai - Telethon ha finanziato il progetto di Cossu sulla distrofia muscolare con 800 mila euro. E proprio in questi giorni e’ stato approvato un nuovo finanziamento di un milione e 300 mila euro». E Ferruccio Bonino, direttore scientifico del Policlinico di Milano ha aggiunto che «oggi i finanziamenti dei privati sono indispensabili alla ricerca», ricordando il ruolo del Centro Dino Ferrari al Policlinico e ha ribadito l' importanza della collaborazione fra i grandi istituti di ricerca italiani impegnati nel campo delle staminali. Adriana Bazzi abazzi@corriere.it www.corriere.it In rete la scheda interattiva che spiega come funzionano le cellule staminali IN LABORATORIO La sperimentazione Cellule staminali, modificate geneticamente, possono curare la distrofia muscolare. La sperimentazione ha riguardato finora i topi distrofici, che, grazie all' iniezione di cellule mesangioblasti (quelle capaci di trasformarsi in sangue e muscoli) presenti nei vasi sanguigni dei feti, sono tornati a camminare su una ruota girevole Lavoro di e’quipe La ricerca e’ frutto di una collaborazione tra l' Istituto San Raffaele, il Policlinico di Milano, il San Matteo di Pavia e l' Universita’ di Roma. Il lavoro e’ stato finanziato fin dal 1991 da Telethon, che ha devoluto la somma di 800 mila euro, e si e’ impegnato a stanziare un altro milione e 300 mila euro. Lo studio e’ stato pubblicato sulla rivista Science Le prospettive Prima di essere sperimentata sull' uomo, occorrono altri 5 anni di ricerche. I risultati dovranno essere confermati su animali piu’ grandi dei topi. E soprattutto dovranno essere risolti due problemi: il primo, come isolare i mesangioblasti nei malati; il secondo, capire se le cellule coltivate rimarranno pluripotenti, cioe’ capaci di trasformarsi in cellule muscolari ____________________________________________________ La Gazzetta del Mezzogiorno 7 Lug. 03 EPATITE C NIENTE PIU’ VIRUS GRAZIE A UNA NUOVA TERAPIA Epatite C. Niente piu’ virus nel sangue dopo 4 anni di terapia innovativa. La dimostrazione dell'efficacia maggiorata di piginterferone alfa2a piu’ ribavirina rispetto agli altri trattamenti ha rivoluzionato il mondo scientifico. A1 Congresso dell'associazione europea per lo studio del fegato, in corso a Ginevra, e’ stato comunicato il risultato di uno studio eseguito su 400 pazienti: a quattro anni di distanza dall'inizio del trattamento: 396 di loro non presentano piu’ traccia del virus nel proprio sangue. Un successo terapeutico, questo, supportato dalle ricerche italiane (dr. Raffaele Bruno, universita’, Pavia) che hanno dimostrato che la concentrazione stabile del peginterferone alfa 2a, nel sangue, anche a distanza di una settimana, consente efficacia costante del farmaco. Questa concentrazione mette a dura prova le resistenze del virus il quale non trova scampo, pressato com'e’ dal farmaco che gli impedisce ogni possibile riproduzione. La concentrazione del farmaco, nel sangue ha dimostrato il dr. Bruno si mantiene stabile fino a 168 ore. Ed il virus non regge alla sfida. Pertanto e’ sufficiente una sola somministrazione per settimana per evitare la replicazione del virus dell'epatite C nel sangue. Dal congresso di Ginevra buone notizie per i pazienti cui l'epatite C ha causato la cirrosi. Il dr. Marcellin (ospedale francese Beaujon), usando peginterferone alfa 2a e ribavirina per 48 settimane, ha ottenuto la scomparsa del virus nel sangue nel 38% di questi pazienti. Nicola Simonetd ____________________________________________________ Libero 9 Lug. 03 CON MINIBISTURI NEL FETO SCONFITTA LA SPINA BIFIDA UM -Contro la spina bifida fetale in un centro di ostetricia e ginecologia dell'universita’ di Bonn si potra’ praticare 1'0perazione mininvasiva per endoscopia. Lo annuncia Thomas Kohl pioniere della tecnica in questo campo d'intervento. L'operazione consiste nel chiudere le vertebre laddove i nervi spinali sono rimasti scoperti, inserendo solo tre millimetriche cannule, una per la telecamerina, due per gli strumenti chirurgici ed operando con lo sguardo rivolto a un monitor per guidare gli strumenti. La telecamerina scivola tra la parete dell'utero materno e la spina dorsale del feto anestetizzato, finche’ il chirurgo non vede la parte di spina dorsale che non si e’ chiusa correttamente per lo sviluppo delle vertebre. Poi l'esperto, come precisato, applica cerotti in GoxeTex e li fissa con un materiale di titanio e nichel. La spina bifida e’ un'anomalia dello sviluppo fetale che puo’ portare alla nascita a gravi complicazioni come la paralisi della parte inferiore del corpo. ________________________________________________ La Stampa 9 lug. '03 SOLE-SALUTE: IL LEGAME TRA RAGGI ULTRAVIOLETTI E SISTEMA IMMUNITARIO LI amanti dell'abbronzatura probabilmente saranno gia’ immersi nella luce dorata di una spiaggia. E' bene pero’ munirsi di creme e filtri per proteggersi dagli effetti dannosi dei raggi ultravioletti (in sigla, UV). La luce solare ne contiene di tre tipi: gli UV-A, gli UV-B e gli UV-C. I primi hanno una lunghezza d'onda che va dai 320 ai 400 nanometri (miliardesimi di millimetro) mentre quella degli UV-B varia dai 290 ai 320. Gli UV-C sono fortunatamente bloccati dall'atmosfera. Sia gli UV-A sia gli UV-B danneggiano la pelle, ma quelli piu’ pericolosi sono gli UV-B. Un aspetto del binomio sole-salute in parte ancora misterioso riguarda l'influenza dei raggi ultravioletti sul sistema immunitario. L'esposizione alla luce solare puo’ infatti promuovere o esacerbare alcune malattie autoimmuni; la cosa sorprendente e’ pero’ che in altre, la luce del sole sembra avere un effetto benefico. Le malattie autoimmuni sono malattie derivanti da errori del sistema immunitario che attacca cellule o organi del proprio corpo come se fossero estranei. Per esempio, l'esposizione prolungata ai raggi ultravioletti produce danni al DNA delle cellule, cioe’ al loro patrimonio genetico. Il sistema immunitario puo’ interpretare il DNA danneggiato come una sostanza estranea e attaccarlo. In questo caso cio’ che ne risulta e’ una malattia grave: il Lupus eritematoso sistemico, una malattia cronica che puo’ colpire vari organi del corpo, ma specialmente la pelle, il sangue, le articolazioni e i reni. L'incidenza del Lupus aumenta andando da Nord verso Sud e questa distribuzione geografica e’ stata messa in relazione con la presenza ambientale di raggi UV, ovviamente piu’ frequente e importante a Sud. Se consideriamo che la luce solare e’ anche causa principale dei tumori della pelle, il quadro che ne risulta e’ alquanto sconfortante. Quali sono, allora, gli effetti benefici del sole? Prima di tutto senza raggi ultravioletti non potremmo produrre la vitamina D, essenziale per le ossa, e poi, almeno un'altra grave malattia autoimmune sembra essere tenuta a bada proprio dal sole. Si tratta della sclerosi multipla o a placche, una patologia che, nei casi piu’ gravi, porta progressivamente alla paralisi e alla morte. La causa di questa terribile malattia e’ la distruzione ad opera del sistema immune della guaina mielinica dei nervi, una specie di manicotto che circonda il nervo e che e’ necessario per la conduzione degli stimoli nervosi. La distribuzione geografica della sclerosi multipla e’ opposta a quella del lupus e la sua incidenza e’ minore nelle persone che pur vivendo a nord, sono pero’ cresciute in un paese meridionale. Alcuni ricercatori pensano che l'effetto protettivo dei raggi UV dipenda dal loro effetto diretto su particolari cellule della pelle, le cellule di Langerhans. Queste cellule sono molto importanti in quanto in grado di allertare il sistema immunitario sulla presenza di microbi infettivi. L'esposizione alla luce solare causerebbe una diminuzione di queste cellule, producendo una sorta d'immunodeficienza che avrebbe poi un effetto protettivo contro l'insorgere della sclerosi multipla. Non tutti gli studiosi sono pero’ d'accordo con questa interpretazione. Alcuni pensano che l'effetto protettivo dei raggi ultravioletti non sia diretto ma dipenda dalla vitamina D, che poi andrebbe ad influenzare il sistema immunitario. La pigmentazione della pelle, scientificamente si parla del "fototipo cutaneo", gioca un ruolo importante in tutti gli effetti dei raggi ultravioletti. Per esempio, la sclerosi multipla e’ rara tra gli immigrati di colore, ma diventa poi piu’ comune nei loro figli. Sembra che la causa possa ascriversi ad un deficit di vitamina D durante l'infanzia. L'evoluzione ha infatti selezionato la pelle chiara negli ambienti nordici per permettere una maggiore produzione di vitamina D. I figli degli immigrati di colore crescendo a latitudini temperate producono sicuramente meno vitamina D dei loro padri che alla stessa eta’ vivevano in paesi tropicali. D'altra parte, la vitamina D puo’ prevenire l'aggravarsi dei sintomi nella sclerosi multipla ma e’ di difficile uso perche’ alle dosi farmacologiche puo’ essere molto tossica. Sole o non-sole, questo e’ dunque il dilemma. Spaventati dalla prospettiva del cancro della pelle, molti potrebbero essere tentati di evitare completamente l'esposizione alla luce solare o di usare filtri solari assoluti, aumentando cosi’ il rischio autoimmunitario. [TSCOPY](*)Istituto di patologia sperimentale, Locarno ________________________________________________ La Stampa 9 lug. '03 CON LA TALANINA SI "PREVEDONO" I CALCOLI DEI RENI UN passo avanti nello studio della calcolosi renale (nefrolitiasi da acido urico) e’ stato fatto in Sardegna, nella regione dell'Ogliastra (Nuoro), grazie alla Shardna Life Sciences, una societa’ di ricerca italiana (nata dall'incontro tra capitale pubblico e privato) che collabora con il Cnr. L'Ogliastra e’ abitata da nuclei di popolazioni che sono state isolate per secoli (elevato tasso di consanguineita’, alto numero di matrimoni interni alla comunita’, tasso minimo di immigrazione) e pertanto le loro caratteristiche genetiche, demografiche, ambientali, sono considerate ideali per l'identificazione delle cause delle malattie multifattoriali e dei fattori di rischio ad esse associate (ipertensione, nefrolitiasi, obesita’, calvizie). Grazie alla creazione di estesi alberi genealogici (fino a 20 generazioni), i ricercatori possono raggruppare in grandi famiglie, con antenati comuni, tutti gli affetti da patologie complesse, razionalizzando la selezione dei campioni da sottoporre ad analisi e identificando di conseguenza con piu’ facilita’ le regioni genomiche associate alle patologie. Le ricerche (riportate da "American Journal of Human Genetics") sono iniziate nel comune di Talana. La popolazione di questo paese infatti, e’ caratterizzata da una prevalenza di calcolosi renale da acido urico superiore al resto della Sardegna. Lo studio ha consentito dapprima di individuare una particolare regione cromosomica di suscettibilita’ e successivamente di attuare una precisa definizione di questa regione tramite lo studio di diversi individui dello stesso paese, fino all'individuazione di un marker genetico statisticamente associato alla Uan (Uric Acid Nephrolithiasic). Si e’ visto che questo nuovo gene codifica una particolare proteina che e’ stata chiamata "talanina" (in onore del paese di Talana), la cui variante e’ associata alla nefrolitiasi da acido urico. L'identificazione della talamina consentira’ una maggior comprensione dei fattori genetici, di migliorare diagnosi e prevenzione. Nei prossimi anni, sara’ possibile anche una terapia. La formazione dei calcoli renali non deriva solamente dalla precipitazione dei sali di acido urico. La calcolosi puo’ realizzarsi anche a causa dell'aumentata produzione endogena di acido ossalico, di cistina, dall'elevata escrezione di sali di calcio. In assenza di cause note, viene definita "nefrolitiasi calcica idiopatica" ed e’ una patologia ampiamente diffusa e in costante aumento nei Paesi industrializzati: la prevalenza stimata e’ del 5-6% della popolazione adulta, con un rapporto maschi-femmine di 2-3/1. Dati internazionali riportano che, dopo un anno dal primo episodio, circa il 10% dei pazienti va incontro a ricaduta, e dopo 20 anni le recidive superano il 75%. Gli studi attuali ritengono che questa patologia sia il risultato di uno sbilanciamento tra fattori che promuovono la cristallizzazione dell'ossalato e del fosfato di calcio (acido urico, acido ossalico, calcio) e fattori che la inibiscono (citrato, pirofosfato, glicosaminoglicali, proteine). L'eccesso di promotori e il difetto di inibitori portano ad un forte aumento della sovrasaturazione urinaria per questi sali, con conseguente aggregazioni cristalline. Oltre alle cause genetiche, gioca un ruolo determinante l'alimentazione non corretta (sovrappeso, obesita’, eccesso di proteine di origine animale, eccesso di sale, scarso apporto di frutta e verdura, scarsa idratazione). La stagione estiva e’ gravata da un numero superiore di coliche renali soprattutto quando lo stile di vita facilita la disidratazione (eccessive sudorazioni). Per aumentare il volume urinario il liquido piu’ adatto e’ l'acqua oligominerale a basso contenuto di calcio alla dose giornaliera di 2-2,5 litri nell'arco della giornata. ____________________________________________________ Le Scienze 12 Lug. 03 DISTURBI DEL SONNO E CHIMICA DEL CERVELLO La carenza di neuroni produttori di dopamina e acetilcolina e’ alla base dei disturbi notturni Due studi condotti da ricercatori dell'Universita’ del Michigan suggeriscono che gli squilibri chimici nel cervello possono essere in parte responsabili di determinati disturbi del sonno. In due articoli pubblicati sul numero dell'8 luglio della rivista "Neurology", gli scienziati guidati dal neurologo Sid Gilman descrivono gli apparenti legami fra carenze nella chimica del cervello e due problemi relativamente comuni, l'apnea ostruttiva del sonno (OSA) e il disturbo del sonno REM (RBD), che danneggiano il riposo, e di conseguenza l'attivita’ giornaliera, di milioni di persone in tutto il mondo. Le nuove scoperte sono state fatte usando due tipi di scansione cerebrale neurochimica e dettagliati studi del sonno di 13 pazienti soggetti ad atrofia multisistemica (MSA), una rara e letale malattia neurologica degenerativa che e’ sempre accompagnata da gravi disturbi del sonno. I risultati degli studi sui pazienti di MSA, che presentavano tutti apnea del sonno e disturbi del sonno REM, si sono rivelati molto differenti da quelli su 27 soggetti di controllo in piena salute. In particolare, i pazienti di MSA presentavano una densita’ molto inferiore di particolari neuroni che producono le sostanze chimiche dopamina e acetilcolina. Piu’ queste scarseggiavano, peggiori erano i problemi legati al sonno: i pazienti con carenza di neuroni produttori di dopamina nel cervello erano soggetti ai peggiori sintomi di RBD, quelli con i livelli inferiori di neuroni che producono acetilcolina subivano invece il maggior numero di interruzioni respiratorie durante il sonno.