UNIVERSITA’, TUTTI GLI OSTACOLI DELLA RIFORMA GLI ATENEI IN «TRINCEA» SULLA QUALITA’ PARTENZA DIFFICILE DELLE LAUREE ONLINE IL RISCHIO DI PERDERSI , NELLA BABELE DEI MASTER POST-UNIVERSITA’ L'UNIVERSITA’ "RISCRIVE" L'ACCESSO UNIVERSITA’: VECCHI ESAMI PROROGA AL 2006 LA RIFORMA DELLA SCUOLA E’ TRA LE PRIORITA’ SISTEMA UNIVERSITARIO A MISURA D'IMPRESA LE UNIVERSITA’ ROMANE E LA RIFORMA. "INFORMATICA E BANDA LARGA, IL GOVERNO NON FA ABBASTANZA" BILL GATES: SEI MILIARDI DI DOLLARI PER LA LOTTA ALLE EPIDEMIE PIU’ SPAZIO AGLI OSPEDALI DI RICERCA ================================================================== SIRCHIA:NESSUN TAGLIO ALLE RISORSE PER IL SSN MA INTERVENTI MIRATI UNA SANITA’ MIGLIORE CON TREDICI OBIETTIVI POLICLINICO AL PALO OSPEDALIERI IN RIVOLTA SOS ALLA REGIONE NO AI VIGILANTES NEGLI AMBULATORI SIAMO GLI SCHIAVI DELLA SANITA’ PUBBLICA TINNURA, I MEDICI DI TUTTA L’ISOLA PREPARANO LA MOBILITAZIONE POLICLINICO, POMODORI E UOVA CONTRO IL DIRETTORE GENERALE SCIENZIATI DIVISI SULLE OPPORTUNITA’ E I RISCHI DELLE SPECIE MODIFICATE CHIRURGIA REFRATTIVA, E’ GIA’ BOOM L 'AIDS BLOCCATO SUL NASCERE I VECCHI, ARMA SEGRETA DELL'EVOLUZIONE TRASFUSIONI DI SANGUE, ORA LA SPERANZA E’ UN VERME PROSTATA, UNA TECNICA INNOVATIVA TROVATA L' AREA DEL CERVELLO CHE REGOLA IL DOLORE L' ANDROPAUSA? NON ESISTE CREATA DALLA PIGRIZIA MASCHILE CESAREI IN AUMENTO: PIU’ 7 PER CENTO IN DUE ANNI IL SECONDO PARERE? VADO A CERCARMELO SULLA RETE L’AIDS "SOMMERSO" CROHN, FACILE DA DIAGNOSTICARE MA NON ALTRETTANTO DA CURARE NESSUN RIGETTO PER LE CELLULE STAMINALI NEURONALI COME L'IRIDE PROTEGGE L'OCCHIO DAI LINFOCITI T IL SEGNALE D’ALLARME PER PREVENIRE IL DIABETE GIOVANILE AMIANTO, NEMICO NON ANCORA SCONFITTO ================================================================== _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 19 lug. ’03 UNIVERSITA’, TUTTI GLI OSTACOLI DELLA RIFORMA Le nuove tipologie dei corsi triennali rischiano di rendere ancora piu’ complicata la fase di adattamento alle regole Si restringono gli spazi operativi delle sedi: alla Conferenza dei rettori il potere di istituire classi Il disorientamento di studenti e famiglie E necessario uscire dalle incertezze attuali DI ALESSANDRO MONTI* Gli atenei sono in fibrillazione da quando il Governo ha deciso di intervenire sulla controversa riforma universitaria (3+2). Vediamo di cosa si tratta. Restano i corsi di laurea triennali, ma sono previste due distinte tipologie. Una con l'obiettivo di assicurare «padronanza di metodi e contenuti scientifici generali»; l'altra, «specifiche competenze professionali». Entrambe richiedono una «base comune di conoscenze» da acquisire nel primo anno, identico per tutti i corsi (1+2). L'intento appare quello di superare le contraddizioni all'origine dell'impasse della riforma, che puntava su corsi triennali al tempo stesso generalisti e professionalizzanti’. Solo la laurea generalista apre ora la strada ai corsi biennali successivi (laurea magistralis), ma con accesso limitato a chi possiede particolari requisiti e adeguata preparazione (1+2+2). E prevista una deroga per la laurea magistralis alle professioni legali, cui si accede direttamente con il diploma di maturita’, fermo restando l'anno di base comune (1+4). Il modello di "laurea spezzata", dunque, non viene abbandonato, anzi risulta ulteriormente frantumato, con effetti forzatamente moltiplicativi dei corsi di studio. Vincoli invalicabili. La proposta ministeriale e’ destinata a scontrarsi con le difficolta’ di piegare a logiche professionalizzanti i corsi, prevalentemente generalisti, delle aree umanistiche e sociopolitologiche e a sconvolgere il precario assetto delle condizioni di accesso agli albi professionali. Resta la macchinosita’ del le "classi delle lauree", con i loro vincoli ordinamentali e organizzativi agli atenei (obiettivi formativi precostituiti, ambiti e settori disciplinari obbligatori, crediti formativi) che le griglie elettroniche dei controlli ministeriali rendono invalicabili. Anche se e’ possibile la riduzione del tetto di tali vincoli (dal 65 al 50%) e la loro limitazione agli ambiti disciplinari di "base" e a quelli "caratterizzanti", la rigidita’ delle classi si mantiene elevata. E si attenuano i doveri di trasparenza degli atenei, con l'abolizione dell'obbligo di dare la piu’ ampia informazione sui regolamenti didattici e sugli ordinamenti degli studi, anche attraverso l'utilizzo di strumenti informatici e telematici. Piu’ controlli. Gli spazi operativi degli atenei appaiono restringersi. Il potere di proposta per istituire e modificare le classi delle lauree, prima attribuito alle singole sedi universitarie, viene trasferito alla Conferenza dei rettori. Inoltre, la preventiva «consultazione con le rappresentanze del mondo della produzione, dei servizi e delle professioni», cui gli atenei sono tenuti prima di definire gli ordinamenti didattici, e’ ora estesa anche ai crediti da assegnare a ciascuna attivita’ formativa e ambito disciplinare e alla prova finale. L'avvio di nuovi corsi e’ reso piu’ oneroso. Potra’ avvenire solo nel rispetto di requisiti minimi (strutturali, organizzativi e di qualificazione dei docenti) stabiliti dal ministro. La compressione dell'autonomia degli atenei e’ motivata dagli eccessi "creativi" registrati nella prima applicazione della riforma., con la proliferazione di corsi (oltre 500) privi di adeguate risorse e di prospettive occupazionali. Rispetto all'esigenza di recuperare condizioni di piena funzionalita’ del sistema, le modifiche prospettate dal Governo sono elusive e, per certi versi, peggiorative. La correzione di alcune incongruenze c; i maggiori controlli ministeriali sulle scelte delle universita’ guardano piu’ al contenimento dei danni che alla rimozione delle cause che li determinano. Incertezze. La riforma del Centro-sinistra, dunque, non viene fermata, ma solo "aggiustata". Cio’ non perche’ abbiano perso peso le motivazioni alla base delle articolate critiche formulate da piu’ parti, ma perche’ ha prevalso la realpolitik. Si e’ preferito limitare gli inconvenienti di un intervento tardivo e le connesse tensioni per l'azzeramento dei nuovi equilibri accademici e corporativi, frutto di intense "negoziazioni" connesse alla riorganizzazione didattica. L'entrata in vigore dei criteri correttivi, tuttavia, e’ sottoposta a un lungo procedimento. Oltre la valutazione di merito degli organi consultivi del ministro (Cun, Crui, Cnsu) e delle Commissioni parlamentari, sono necessari il parere del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. Resta da vedere poi come e con quali tempi tali criteri saranno tradotti nei decreti attuativi, considerato che il previsto accorpamento di alcune classi delle lauree sta gia’ sollevando perplessita’, anche per le incerte ricadute sul valore legale e professionale dei titoli. Ne’ va sottovalutata la complessita’ della successiva fase di adattamento dei regolamenti di ateneo e di quella operativa, con il tourbillon di adempimenti burocratici richiesti dalla paradossale presenza di quattro tipi di laurea: "unitaria" ad esaurimento (1.470 corsi), "spezzata" ad esaurimento (3.192 corsi), "frantumata generalista", "frantumata professionalizzante". Si annuncia, pertanto, una non breve stagione di precarieta’ per gli atenei e di disorientamento per la popolazione studentesca. Il modello unitario. Un'alternativa piu’ ragionevole e’ quella di un graduale ritorno al modello gia’ sperimentato della laurea unitaria. Innanzitutto per i meno impegnativi corsi triennali si dovrebbe ripristinare il termine «corsi di’ diploma universitario» e il loro approccio operativo, assai apprezzato dalle imprese. Soltanto per i corsi di piu’ lunga durata si dovrebbe utilizzare il termine «laurea» e riconoscere la qualifica accademica di "dottore" (ora prevista anche per le lauree triennali). Si eviterebbero lo svilimento del valore professionale delle lauree e invenzioni improbabili, come quella di "dottore magistrale" per chi consegue la laurea magistralis. Si dovrebbe, inoltre, consentire agli attuali iscritti ai corsi di laurea triennali l'opzione per le tradizionali lauree quadriennali e quinquennali, delle quali dovrebbe essere sospesa la disattivazione., E’ anche augurabile la soppressione dei "crediti formativi" che sembrano rallentare e non facilitare la mobilita’ degli studenti e creare improprie gerarchizzazioni dei corsi e inammissibili interferenze sulla liberta’ d'insegnamento. * Presidente del corso di laurea in Scienze politiche, Universita’ di Camerino _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 14 lug. ’03 GLI ATENEI IN «TRINCEA» SULLA QUALITA’ ne sono stati attivati 900, sia di primo che di secondo livello: diversi gli sbocchi e l'accesso Valutazioni positive sui risultati della riforma master universitari, dopo la riforma del 2000, hanno avuto per la prima volta nel nostro Paese una regolamentazione ma soprattutto si e’ assistito a una massiccia proliferazione. Gli atenei sono consapevoli del rischio che un'offerta troppo ampia possa rivelarsi un problema, ma confidano molto sulla qualita’ dei prodotti proposti e rilevano l'importanza di questo strumento che permette’ la nascita di percorsi di formazione altrimenti assenti. Ha fatto da battistrata l'universita’ di Bologna, che lo scorso anno ha proposto 78 master e accolto 1.400 iscritti (3mila sono state le domande presentate): oggi dal capoluogo emiliano segnalano che le grandi aziende si stanno interessando a questo fenomeno e che l'offerta, per quanto ampia, non copre comunque la massiccia richiesta del mercato. La qualita’. «Le universita’ di prestigio non mettono sul mercato un'offerta scadente - sostiene Mauro Santomauro, delegato del rettore per la didattica del Politecnico di Milano - anche perche’ stiamo andando verso un sistema di tipo americano, dove le universita’ sono poste a valutazioni di qualita’ da parte ministeriale». A questo bisogna aggiungere che molti atenei prima di propone un master svolgono un iter di approvazione molto selettivo e, a posteriori, effettuano un monito raggio sull'indice di gradimento presso gli studenti, i docenti e le aziende coinvolte. «E’ un altro il problema che secondo noi deve essere affrontato - afferma Giuseppe Zollo, direttore del neonato Coinor, il centro di comunicazione e innovazione organizzativa della Federico II di Napoli - e riguarda la difficolta’ per gli studenti di avere le adeguate informazioni sia sui contenuti sia sulle possibilita’ occupazionali». I fattori di successo. L'offerta di titoli di master universitari e’ molto ampia, e a volte anche fantasiosa, questo puo’ rendere difficile la scelta. L'universita’ di Padova ha elencato i principali aspetti (si veda la scheda) da considerare per valutare la qualita’ dei titoli offerti dal mercato. Innanzittutto bisogna guardare i criteri di accesso, che possono essere piu’ o meno selettivi; segue la "fama" dell'ateneo e il know how che ha acquisito negli anni in specifiche aree tematiche, che vale come garanzia di qualita’; terzo fattore da considerare e’ la didattica, che puo’ prevedere una diversa percentuale di ore in aula e di laboratorio o stage, questo aspetto permette di capire il livello teorico e pratico del corso offerto. Sono importanti anche le strutture e le tecnologie messe a disposizione degli studenti, e in ultimo, ma non per importanza, bisogna guardare i partner esterni (come aziende o enti) e la ricaduta occupazionale. Enti e aziende possono affiancare il proprio nome a un master sia finanziando borse di studio sia offrendo opportunita’ di stage o tirocini, o attraverso propri testimonial che portano le loro esperienze in aula. E’ ovvio che piu’ il partner e’ coinvolto, piu’ e’ interessato al profilo formato dal master. Anche il "fattore tempo" e’ un indicatore importante: «Se un titolo proposto e’ consolidato da diversi anni vuol dire che il ritorno dal mercato e’ positivo - sottolinea Santomauro - anche se questo discorso non si puo’ applicare alle discipline nuove, dove non e’ possibile avere una tradizione». La necessita’ di una valutazione oggettiva della qualita’ delle proposte e’ sentita da tutto il mondo accademico, e la Crui (conferenza dei rettori delle universita’ italiane), sta considerando la possibilita’ di creare un sistema di valutazione che potrebbe tradursi in una vera e propria certificazione. Un discorso a parte sono gli Mba, che oramai da diversi anni vengono "graduati" a livello internazionale (tra le classifiche piu’ note segnaliamo quella del Financial Times). Secondo Domenico Renato Di Nubila, delegato alla formazione dell'ateneo padovano, «e’ necessario aspettare almeno un triennio, per trarre delle conclusioni sulla qualita’ dell'offerta. E chiaro pero’ che il mondo accademico e’ stato coinvolto nella ricerca di soluzioni per integrare i saperi nella vita e nel lavoro e che ora stiamo attraversando una fase di sperimentazione». Riforma e risultati. Le universita’ concordano nel valutare in modo positivo i cambiamenti in atto e contano sulle regole del mercato per la stabilizzazione dell'offerta. Come sottolinea il prorettore della Sapienza, Rena to Guarini, ora esistono delle norme che regolano un mercato della formazione che fino a oggi era disordinato e senza metodo; stanno aumentando i rapporti di collaborazione e cooperazione con atenei d'oltre confine ed esiste anche un'offerta locale di master rivolta a studenti stranieri, esperienza avviata sia dalla Bocconi con il master in Design, che dal Politecnico di Milano con 1'Mba. Il timore diffuso tra le universita’ e’ un altro: «Le voci che parlano di riforma della riforma - chiarisce il rettore di Udine Furio Honsell - creano un'incertezza e una confusione controproducente, anche perche’ i risultati del cambiamento in atto si cominciano a vedere ora. Quali? La riduzione degli abbandoni e il contenimento dei tempi di laurea e - conclude - prima di cambiare ancora le regole, forse vale la pena aspettare che la sperimentazione concluda il suo ciclo». FEDERICA MICARDI Garanzia di qualita’ I sei punti che, secondo l'universita’ di Padova, aiutano a valutare la qualita’ di un master 1) I requisiti di ammissione 2) La storia dell'universita’ e il profilo dei docenti e degli esperti 3) L'impianto didattico e formativo: metodologie di apprendimento, tecniche l'aula e di "oltre l'aula", lavoro di gruppo, stage aziendali, simulazioni, testimonials di qualita’, esperienze di studio guidato sul campo, projectwork, criteri di valutazione utilizzati 4) Le strutture, le tecnologie, i servizi messi a disposizione dei frequentanti 5) Gli enti partner e il tipo di coinvolgimento degli stessi (finanziario, stage, tirocini, didattico, eccetera) 6) La ricaduta occupazionale ' _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 19 lug. ’03 PARTENZA DIFFICILE DELLE LAUREE ONLINE Dalla Crui una lunga serie di contestazioni alla svolta ROMA Parto molto travagliato per la nascita delle universita’ on line. In teoria, le nuove strutture potrebbero gia’ partire nel prossimo autunno. Ma la Crui (Conferenza dei rettori delle universita’ italiane) ha ingaggiato una battaglia ostinata per sollevare obiezioni e critiche al recente decreto dei ministri Moratti (Universita’) e Stanca (Innovazione). La commissione ministeriale presieduta da Fabio Roversi Monaco, che deve esaminare i progetti dei nuovi atenei telematici, si e’ riunita per la prima volta mercoledi’ scorso, alla presenza dei due ministri, e ha poi aggiornato i lavori al primo settembre. Nel corso della riunione e’ emerso che in ballo ci sono finanziamenti europei per-circa 40 milioni di euro, in base al programma Ue di integrazione tecnologica dei sistemi di istruzione. Si tratta dunque di un'occasione da non perdere, visto anche il ritardo italiano che, secondo gli esperti, in questo settore e’ pari a 40 anni rispetto agli altri Paesi piu’ industrializzati. Proprio nei giorni scorsi si e’ svolto alla Camera un convegno sull'universita’ on line promosso da Antonio Palmieri, deputato di Forza Italia, che ha spinto molto nei mesi scorsi per sbloccare gli ostacoli normativi che impedivano la nascita degli atenei a distanza. In quella sede Alessandra Briganti, presidente del consorzio For. Com. - un'universita’ multimediale che nasce dalla collaborazione tra atenei italiane e stranieri - ha presentato un modello italiano di "Open university". La Briganti ha sostenuto, tra l'altro, che «nella struttura universitaria in Italia permane una salda struttura burocratica sotto la fragile pellicola di una presunta logica economico-aziendale. In questo quadro, che resta sostanzialmente immobile, l'universita’ telematica puo’ svolgere un ruolo fondamentale». Il ministro Stanca ha sottolineato che un ateneo on line offre «l'opportunita’ di studiare in aree geografiche marginali ed e’ un'occasione per categorie come gli studenti-lavoratori, i disabili o le casalinghe». Stanca, inoltre, ha sostenuto che il decreto ministeriale «prevede criteri molto rigorosi per l'accreditamento» delle strutture che vogliono accedere a questo tipo di offerta formativa. Ma la Conferenza dei rettori non ne vuole sapere e sta giocando tutte le sue carte. Proprio in questi giorni ha lanciato un osservatorio sull'e-learning nelle universita’ insieme a Opera Multimedia, editore multimediale per 1'e- learning. L'osservatorio, secondo la Crui, «monitorera’ le iniziative di e- learning degli atenei italiani e stranieri. Il decreto sulle universita’ telematiche - sostiene il rettore Alessandro Bianchi - solleva molti problemi applicativi e c'e’ il rischio che qualunque soggetto possa accedere a questo tipo di offerta formativa. Non e’ possibile che a decidere tutto sia una semplice commissione ministeriale, per quanto formata da componenti molto autorevoli». Ma i processi e le innovazioni viaggiano anche con le loro gambe, senza attendere tutte le discussioni che si svolgono intorno. Lunedi’ prossimo, preso il polo regionale di Como del Politecninco di Milano, saranno conferiti i primi sette diplomi di laurea on line in Italia, destinati agli studenti che hanno terminato il corso triennale di laurea in ingegneria informatica. MARCO LUDOVICO _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 14 lug. ’03 IL RISCHIO DI PERDERSI , NELLA BABELE DEI MASTER IL DIBATTITO SUI TITOLI POST-UNIVERSITA’ DI FRANCESCO GAGLIARDI * E STEFANO BOFFO ** I percorsi vanno ridisegnati per evitare sovrapposizioni Quasi 900 master attivati nell'anno accadermco 2002-2003 dalle universita’ italiane: e’ quanto emerge dalla rilevazione condotta da «Il Sole 24 Ore del lunedi’» e pubblicata il 9 e il 16 settembre 2002. Se si assume un dato medio di 20 alunni per corso e’ verosimile che al momento oltre 18mila studenti stiano frequentando questo percorso di studi. Proprio questa dimensione segnala un problema che rischia di assumere nel prossimo futuro contorni allarmanti. Secondo il decreto di riforma dell'ordinamento universitario (Dm 509/99), possono essere offerti due tipi di master: quelli di I livello, a cui e’ possibile iscriversi una volta ottenuti i 180 crediti della laurea triennale e quelli di II livello, che presuppongono invece cinque anni di studi universitari gia’ effettuati (cioe’ il possesso della laurea specialistica per 300 crediti). L'anomalia. Si mette in luce cosi’ un'anomalia tutta italiana. Anzitutto, uno stesso titolo (di master), viene articolato in due distinte tipologie che presuppongono differenti percorsi di studio antecedenti (rispettivamente di tre e di cinque anni), ingenerando evidenti ambiguita’. Una confusione accresciuta dal fatto che i master, sia di primo che di secondo livello, possono essere annuali (60 crediti, come avviene nella maggior parte dei casi), ma anche biennali (120 crediti) e aggravata - in un mercato non regolamentato come il nostro - dall'esistenza di corsi di alta formazione, anche non universitari, che offrono titoli con la medesima denominazione di "master" anche con sole 100 ore di frequenza. L'associazione che raggruppa le varie conferenze dei rettori nazionali (Eua-European University Association) ha indicato recentemente in almeno 300 i crediti necessari per conseguire un titolo definibile come master. Standard europei e autonomia. Sono necessari almeno cinque anni di studi post secondari, secondo modelli articolati in due cicli che possono essere di tre piu’ due oppure di quattro anni piu’ uno. Questa definizione europea rischia di rendere grave la divergenza del modello italiano, comportando una difficile spendibilita’ dei master universitari annuali di primo livello per i quali bastano 240 crediti (di cui 180 acquisiti con la laurea triennale). C'e’ poi un altro problema: la concreta applicazione che ha avuto sin qui l'autonomia curricolare nell'area dell'offerta post lauream, ha finito in molti casi per determinare un'insufficiente diversificazione di finalita’ e contenuti formativi tra i diversi percorsi, cosi’ da rendere difficile ai potenziali utenti un'individuazione immediata e una lettura chiara e univoca del percorso da scegliere. Percorso su due livelli. Questa insufficiente individualizzazione dei percorsi di alta formazione universitaria suggerisce la necessita’ di un'opportuna ridefinizione, per evitare sovrapposizioni parziali e/o totali tra le due tipologie di master universitario, corsi di perfezionamento, scuole di specializzazione e persino, per certi aspetti, dottorati. In particolare, rispetto alle scuole di specializzazione, si potrebbe ipotizzare - salvo per quelle dell'area sanitaria, in cui spesso prevalgono percorsi di durata superiore ai due anni - un'architettura su due livelli: un primo anno finalizzato ad acquisire un titolo di master e un secondo indirizzato al conseguimento della specializzazione. Analogamente, si potrebbero considerare alcuni master di II livello come primo anno del percorso di dottorato, cosi’ da rendere piu’ agevole la possibilita’ di sviluppare percorsi congiunti con universita’ straniere e arricchire, specie in alcune discipline, il dottorato con contenuti in grado di ampliare le possibilita’ di inserimento nel mercato del lavoro. Laurea specialistica. Alla stessa stregua, sarebbe opportuno ricondurre i master di primo livello all'interno del percorso delle lauree specialistiche, portandone obbligatoriamente la durata da uno a due anni cosi’ da consentire l'acquisizione di 120 crediti. In questo modo la laurea specialistica potrebbe, a tutti gli effetti, essere equiparata ai master degli altri Paesi e, con un'opportuna differenziazione dell'offerta, si potrebbe anche non sacrificarne la vocazione meno professionalizzante. Gli studenti potrebbero scegliere, cosi’ come avviene in Francia, tra un programma con un profilo piu’ professionale e uno piu’ orientato alla ricerca e quindi piu’ direttamente connesso con gli studi dottorali, mentre delle "passerelle" dovrebbero comunque garantire il passaggio da un percorso a un altro. * Irpps-Cnr ** Universita’ di Sassari _____________________________________________________________ Il Sole24ore 17 lug. ’03 L'UNIVERSITA’ "RISCRIVE" L'ACCESSO ROMA - Revisione degli esami di Stato e dell'accesso alle professioni ordinistiche. Il ministero dell'Istruzione avvia una stagione di interventi a tutto campo per modificare la disciplina dettata dal Dpr 328/01 e per regolamentare l'organizzazione e le modalita’ di selezione di quelle professioni non toccate dal provvedimento del 2001. L'occasione per il lancio dell'iniziativa l'ha offerta la conferenza, organizzata ieri dal Miur, a cui hanno preso parte i presidenti degli Ordini e dei Collegi professionali e i vertici delle Conferenze dei presidi delle facolta’. "E’ fondamentale - ha sottolineato il ministro dell'Istruzione Letizia Moratti presentando il piano - adoperarsi per costruire un tavolo permanente tra Miur, Ordini e Universita’ che operi un raccordo istituzionale teso a realizzare progetti formativi piu’ aderenti alle esigenze delle professioni". Tavolo che funga, ha aggiunto il ministro, anche da cassa di risonanza delle professioni, per far ascoltare i loro orientamenti nella "riprogettazione" del sistema universitario che dovrebbe incidere sull'attuale assetto del "3+2". Il modello di accesso alle professioni intellettuali tracciato dal Dpr 328, come e’ stato ricordato nel corso dell'incontro, ha mostrato negli ultimi tempi incongruenze. A seguito della riforma universitaria, infatti, e’ venuta meno la corrispondenza univoca tra il corso di laurea e lo sbocco professionale. Oggi e’ possibile accedere a una professione frequentando differenti corsi universitari e, d'altro canto, i corsi afferenti a una classe di laurea permettono di accedere a piu’ professioni. "Per questo - ha precisato il sottosegretario all'Istruzione, Maria Grazia Siliquini, che ha ricevuto a febbraio la delega per occuparsi della materia - l'esame di Stato deve essere non una semplice verifica della formazione universitaria ma deve permettere la valutazione delle competenze e delle attitudini professionali dei candidati". Entrando nello specifico, il progetto annunciato dal Miur comprende tre provvedimenti. Un disegno di legge delega finalizzato a disciplinare - sulla base di nuovi titoli universitari - l'accesso alle professioni di giornalista, tecnologo alimentare, statistico e consulente del lavoro (tralasciate dal Dpr 328), nonche’ a ripensare l'organizzazione ordinistica delle attivita’ professionali regolate dal Dpr 328, recependo i rilievi mossi dalle categorie interessate. C'e’ poi un regolamento governativo per correggere il Dpr 328 relativamente alla normativa dell'esame di Stato che punti a conferirle maggiore coerenza con i percorsi universitari. E, infine, un decreto ministeriale di variazione del Dm 9 settembre 1957 per rendere le prove di abilitazione piu’ eque su tutto il territorio nazionale (si veda la scheda a fianco). "Il regolamento 328 - ha aggiunto Siliquini - e’ stato un provvedimento importante, all'epoca idoneo per consentire ai nuovi laureati l'inserimento professionale. Ora si apre una seconda fase di verifica, che va effettuata prestando una maggiore attenzione ai bisogni dei professionisti. Abbiamo predisposto, percio’, un calendario settimanale che prevede fino a tre audizioni per ogni professione, al fine di avere una visione d'insieme in materia di competenze e figure professionali". "E’ la prima volta - e’ stato il commento di Raffaele Sirica, presidente del Cup, il coordinamento delle professioni ordinistiche - che il mondo dei professionisti e quello dell'universita’ si trovano a lavorare insieme in uno scenario cosi’ ampio. Va dato al merito al ministero di aver promosso l'iniziativa. Attendiamo percio’ fiduciosi gli esiti di questo confronto". MARCO BELLINAZZO _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 15 lug. ’03 VECCHI ESAMI PROROGA AL 2006 Per i laureati nell'ordinamento precedente ROMA a "Proroga" fino a12006 per i vecchi esami di Stato. Chi ha conseguito, o conseguira’, la laurea secondo 1'ordinamento previgente alla riforma universitaria del '99, potra’ svolgere le prove di abilitazione secondo la disciplina precedente alle novita’ introdotte dal Dpr 328/2001. L'estensione del periodo entro il quale sara’ possibile accedere all'Albo professionale, sostenendo un esame di Stato pienamente coerente con il percorso di studi seguito, e’ contenuta nella legge 170/2003 (pubblicata nella «Gazzetta Ufficiale» 160 del 12 luglio) di conversione del Dl 105/03. E concerne nove professioni: dottore agronomo e dottore forestale, architetto, assistente sociale, attuario, biologo, chimico, geologo, ingegnere e psicologo. II coordinamento del modello di selezione professionale con la riforma universitaria del «3+2» - oggetto del Dpr 328/2001 - continua a rilevare aspetti problematici. Non a caso, mercoledi’ 16 luglio, i vertici delle professioni ordinistiche incontreranno il ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, e il sottosegretario al Miur, Maria Grazia Siliquini, per avviare un tavolo di confronto che definisca, in un quadro organico e condiviso, le correzioni da apportare al provvedimento. «Sul regolamento dell'esame di Stato - spiega Raffaele Sirica, presidente del Consiglio nazionale architetti - restano aperte varie questioni. Soprattutto in materia di commissioni. Noi puntiamo ad avere delle commissioni di qualita’, il che comporta, in primo luogo, il fatto che siano proporzionate numericamente. Le soluzioni sono da trovare anche alla luce di cio’ che sta accadendo come, tanto per fare un esempio, l'esiguita’ dei laureati triennali partecipanti all'abilitazione». Per Sirica, ad ogni modo, la «gradualita’» nel processo di rinnovamento dell'esame di Stato si sposa con questa esigenza. Dopo l'emanazione' del Dpr 328, che prevedeva indiscriminatamente l'applicazione del "nuovo" esame di Stato a tutti i laureati, era gia’ stata prevista una proroga fino a12003 per coloro che avessero ottenuto il titolo nell'ambito dell'ordinamento previgente. «L'allungamento della fase transitoria al 2006 - sottolinea Romeo La Pietra, componente del Consiglio nazionale ingegneri - e’ tuttavia piu’ ragionevole. Cosi’ si evitera’ a tutti i possessori della "vecchia" laurea di dover affrontare un esame di Stato imperniato su un diverso sistema di studi. Verificheremo piu’ avanti se la proroga assorbira’ tutti gli interessati. Le posizioni di eventuali "fuori corso" dovrebbero essere residuali». E’ sulla stessa lunghezza d'onda Dina Porazzini, presidente del Consiglio nazionale dei dottori agronomi e dei dottori forestali. «Non possiamo che accogliere positivamente un atto di questo tipo. In questa maniera si dara’ anche la possibilita’ di migliorare l'impianto complessivo del "nuovo" esame di Stato che presenta ancora qualche difetto da eliminare». La proroga disposta dalla legge 170/2003 ha incontrato, dunque, il favore dei professionisti che, pur non avendo fatto pressioni per una conservazione fino al 2006 dell'abilitazione "vecchio stile", avevano comunque chiesto al ministero dell'Istruzione un intervento per rivedere le modalita’ d'accesso all'attivita’ professionale stabilite dal Dpr 328. «Per una professione come la nostra - dichiara Armando Zingales, che presiede il Consiglio nazionale dei chimici - afflitta da una cronica carenza di personale, e’ indispensabile una rettifica al Dpr 328 nel segno di una maggiore puntualizzazione dei contenuti dell'esame di Stato. E’ necessaria anche un'armonizzazione delle lauree che consentono l'ammissione alla nostra abilitazione. Secondo il nuovo ordinamento, infatti, oltre a quella in chimica, anche quella in farmacia risulta idonea a tal fine. Non e’ chiaro, pero’, se cio’ valga anche per le lauree equipollenti appartenenti al vecchio ordinamento». MARCO BELLINAZZO _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 17 lug. ’03 LA RIFORMA DELLA SCUOLA E’ TRA LE PRIORITA’ L'istruzione nel piano a medio termine, ma c'e’ ancora incertezza sulle sorse - Per l'universita’ in arrivo un miliardo ROMA La riforma della scuola e’ tra le priorita’ del Governo per il 2004. Ieri, uno dei nodi piu’ controversi del Dpef sembra essersi risolto - almeno in linea di principio - a favore di Letizia Moratti. Tra i punti cruciali della programmazione politico economica del prossimo anno, infatti, il riordino dell'istruzione e’ riuscito a trovare il suo posto. Ma va ancora risolto il vero problema, quello delle risorse a disposizione. Un tema sul quale la prudenza e’ d'obbligo: con ogni probabilita’, la vera partita comincera’ a giocarsi a settembre. Una prima bozza del documento di programmazione economica e finanziaria mostrava un quadro piuttosto incoraggiante per il ministero dell'istruzione, universita’ e ricerca. Si parlava di un incremento complessivo di 546 milioni di euro per la scuola e di 1005 euro per l'universita’. E nel testo si allegava, soprattutto, il piano quadriennale del ministro Moratti per gli investimenti dal 2005 al 2008, pari a 8,3 miliardi di euro. Un progetto di ampia portata che prevede finanziamenti aggiuntivi per la riforma dei cicli, l'istituzione di un servizio di valutazione nazionale, lo sviluppo delle tecnologie informatiche, l'edilizia scolastica e l'educazione degli adulti, la valorizzazione della professione docente. E’ un piano gia’ annunciato piu’ volte, ma che deve trovare ancora una ratifica ufficia le. Nell'attesa, la sfida della Moratti si gioca tutta sulle risorse per l'anno prossimo, a cominciare dall'avvio della riforma scolastica. Il dicastero dell'Economia frena perche’ ritiene che il riordino dei cicli scolastici potrebbe scatenare effetti finanziari rischiosi, che si trascinerebbero negli anni successivi e sarebbero difficili da gestire. Tanto che il Tesoro ha gia’ bloccato nelle settimane scorse lo schema di decreto legislativo per la partenza della riforma gia’ a settembre e Letizia Moratti ha dovuto ripiegare su un decreto ministeriale che consente un avvio piu’ graduale. Sul tema dei costi l'Istruzione non condivide le tesi di Tremonti e soprattutto ha dalla sua parte l'affermazione - fatta anche dal premier Berlusconi - della priorita’ politica della riforma dell'istruzione. In ballo, poi, c'e’ anche il finanziamento alla parita’ scolastica: per questo settore circola l'ipotesi di aumentare le risorse a disposizione con altri 150 milioni di euro nel 2004, 200 milioni nel 2005 e 250 milioni nel 2006. Anche in questo caso non e’ affatto facile avere certezze sui fondi stimati, mentre e’ certo che alcune forze di maggioranza - come i centristi e Forza Italia - mordono il freno da un pezzo per un tema annunciato all'inizio della legislatura e poi passato in secondo piano. Per quanto riguarda l'universita’, le bozze dei documenti del Governo ammettono una «situazione di relativo ritardo in confronto ai nostri partner europei». Oltre alle risorse necessarie, e’ stato anche definito un nuovo sistema di programmazione e finanziamento degli atenei, articolato in quattro punti: 1) definizione preliminare da parte del ministro, per ciascun triennio, degli obiettivi generali di sviluppo; 2) adozione, da parte di ciascun ateneo, di un piano programmatico in cui sono individuati obiettivi, risorse, risultati attesi; 3) valutazione dei programmi presentati dagli atenei; 4) assegnazione delle risorse in base a modelli di finanziamento finalizzati prevalentemente ai risultati ottenuti. MARCO LUDOVICO _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 15 lug. ’03 SISTEMA UNIVERSITARIO A MISURA D'IMPRESA Di MICHELE TIRADOSCHI Quale ruolo per le Universita’ nella riforma del mercato del lavoro? Se ne e’ parlato poco, in questi ultimi tempi. Eppure, nello schema di decreto di attuazione della legge Biagi, il sistema di istruzione universitaria rappresenta, assieme al nuovo contratto di apprendistato, il principale canale di sviluppo e valorizzazione delle risorse umane; un canale attraverso cui avvicinare, grazie a investimenti in ricerca e innovazione, le performance del nostro sistema economico-produttivo a quelle degli altri Paesi europei. Non poteva essere diversamente, in un'Europa che, da Lisbona in poi, dichiara di voler diventare l'economia basata sulla conoscenza piu’ competitiva e dinamica del mondo. Il ritardo dell'Italia rispetto agli altri Stati europei e’ ancora impressionante. E’ sufficiente ricordare come i tradizionali percorsi didattici abbiano sin qui determinato alti tassi di dispersione e un ingresso tardivo nel mercato del lavoro. Le rilevazioni statistiche parlano di ventotto anni, quando la media europea e’ intorno ai ventidue ventitre anni. Da tempo se ne discute, senza approdare a esiti concreti: le Universita’ italiane devono accelerare i processi volti a rafforzare la coerenza tra formazione erogata e fabbisogni del mercato del lavoro. Dieci anni fa, nel protocollo del 23 luglio 1993, Governo e parti sociali si erano proposti di valorizzare l'autonomia universitaria. L'obiettivo era migliorare l'offerta formativa post-diploma e post-laurea, nella convinzione che un piu’ stretto rapporto tra Universita’ e mercato del lavoro avrebbe potuto rilanciare una politica di qualificazione e formazione delle risorse umane coerente con le esigenze delle attivita’ produttive e i processi di sviluppo delle piccole e medie imprese. Ma non se ne fece nulla. Si e’ cosi’ dovuto aspettare il Patto di Natale del 22 dicembre 1998 per delineare le attuali linee della riforma del sistema di formazione universitaria. In questo accordo, che apre la strada alla autonomia degli Atenei, si definiscono per la prima volta precisi strumenti per elevare la partecipazione alla istruzione universitaria, contenere la durata dei corsi di diploma e di laurea, contrastare l'alto tasso di dispersione, aprire l'Universita’ al territorio assicurando la coerenza dei corsi con le esigenze di nuove professionalita’ emergenti dal tessuto economico-produttivo e sociale del Paese. La svolta verso l'autonomia - didattica, statutaria e finanziaria - ha costituito una tappa decisiva nella prospettiva di una reale integrazione tra percorsi di formazione universitaria e politiche del lavoro. Ma e’ insufficiente se non si creano le condizioni per avvicinare i singoli Atenei al mondo delle imprese e al territorio circostante. Per questa ragione il Libro Bianco dell'ottobre 2001 sollecitava una nuova . stagione di patti locali per 1'occupabilita’, assegnando degli Atenei un ruolo di regia e di motore dell'innovazione. Sempre per questa ragione il Libro Bianco invitava le Universita’ a compiere uno sforzo straordinario per assicurare a tutti gli studenti una occasione di occupabilita’, realizzando una insostituibile funzione: facilitare la transizione dalla scuola al lavoro. Proprio per agevolare la nuova funzione di orientamento al lavoro e un piu’ stretto raccordo con il mondo delle imprese la riforma Biagi affida oggi alle Universita’ due compiti centrali: il collocamento e la certificazione dei contratti di lavoro. Attraverso questi strumenti - gia’ avviati in alcune esperienze locali, grazie alla progettualita’ di Marco Biagi (si veda il sito www.csmb.unimo.it) - e’ possibile fare del sistema universitario il segmento strategico di un'articolata rete di relazioni giuridicoistituzionali che si pone l'obiettivo di un reale dialogo tra amministrazioni periferiche, organizzazioni rappresentative degli interessi dei lavoratori e sistema economico e produttivo locale. Non solo. Il ruolo centrale assegnato alle Universita’ appare emblematico della consapevolezza che il successo della riforma del mercato del lavoro dipendera’, piu’ che dalle soluzioni tecnico-normative adottate, dall'innalzamento della qualita’ e della formazione delle persone che, nei prossimi anni, saranno chiamate a dare concreta attuazione alle nuove regole del mercato del lavoro. Le riforme possono risultare efficaci soltanto se i soggetti coinvolti sono culturalmente preparati per accompagnare il cambiamento e l'innovazione. _____________________________________________________________ Il Messaggero 16 lug. ’03 LE UNIVERSITA’ ROMANE E LA RIFORMA. La sfida e’ aperta tra i tre poli per gli incentivi statali. Ma e’ polemica: «Si consideri anche la qualita’» Facolta’-parcheggio, sette anni per la laurea Gli atenei lontani dai nuovi standard allo studio del ministero per l’erogazione dei fondi di RAFFAELLA TROILI Se la qualita’ e’ una questione di numeri, gli atenei romani se la passano male: i laureati sono pochi, quelli in corso poi vanno cercati col lumicino, i tempi medi di laurea sono lunghetti (7 anni e poco piu’ di un mese a Roma Tre e alla Sapienza), gli abbandoni restano la spina nel fianco di tutto il sistema. E se nel giro di qualche anno gli incentivi economici statali andranno alle universita’ che lavorano meglio, allora la sfida e’ gia’ bella che aperta: meno abbandoni e meno fuoricorso, piu’ immatricolati, ma anche piu’ laureati, possibilmente nei tempi canonici, ripete il ministro Moratti. Obiettivo: migliorare l’offerta formativa inserendo (dall’anno accademico 2005-2006) standard di qualita’ ai quali far corrispondere fondi adeguati. Altri parametri che guideranno le valutazioni del ministero, saranno il rapporto adeguato studenti/docenti, la diffusione della figura del tutor, il successivo inserimento dei laureati nel mondo del lavoro. Scattera’ la corsa alla laurea? Tutti diverranno improvvisamente bravissimi? E se cosi’, quando verra’ alla luce il bluff, se anche l’Istat conferma che piu’ si e’ istruiti (o piu’ si ha un titolo di studio?) piu’ si trova facilmente lavoro? «Vorrei che tutti subissimo una verifica quinquennale didattico- scientifica - interviene il rettore di Tor Vergata, Alessandro Finazzi Agro’ - purche’ sia fatta con parametri condivisi prima. Il nodo e’ questo: come verranno valutate le prestazioni? Nessun parametro preso da solo da’ garanzie. Il rischio e’ che qualcuno pensi di promuovere tutti per ottenere finanziamenti a pioggia. Trovo invece singolare che quasi mai dal ministero venga annoverata tra i punti da valutare la “produzione di ricerca”: dagli anni ’80, in ogni monitoraggio che arriva dal ministero si continua a misurare la produttivita’ di un’universita’ solo in termini didattici. E’ riduttivo anche guardare solo alla capacita’ che ha un ateneo di funzionare da ufficio di collocamento. E’ ora di cominciare a valutare le universita’ sulla base della loro capacita’ scientifica». A Tor Vergata attualmente gli abbandoni sono alti, anche qualche punto in piu’ rispetto alla media nazionale: l’ateneo non nasconde il dato (33%, in base al parametro fissato a livello nazionale: la percentuale di immatricolati all’anno precedente che non si sono iscritti al secondo anno). Ma precisa: «Siamo tutto, tranne un parcheggio. Da noi, vista la posizione periferica e il numero minore di facolta’ vengono solo studenti motivati», spiega il rettore. Rincara la dose, il professor Giuseppe Francesco Italiano, che si occupa di queste rilevazioni: «Le universita’ che puntano alla qualita’, selezionano i primi anni. Personalmente, penso che sia meglio perderli subito, piuttosto che tenere “pesi morti” nel sistema». Questa filosofia si riflette in altri dati piu’ positivi: il numero di laureati, il tempo medio di laurea (5 anni). Il gigante, la Sapienza, continua a perdere lentamente peso. I 180mila studenti di qualche anno fa, sono diventati 146.960, i fuori corso sono diminuiti, ma continuano comunque a prendersela comoda visto che i laureati sono appena 14.960 (10%), di cui solo 2060 in corso. «Ma con la riforma in atto, con il 3+2, - dice il pro rettore Gianni Orlandi - gia’ c’e’ un’inversione di tendenza: piu’ studenti vanno avanti e si laureano nei tempi». Anche per Orlandi, e’ importante che i finanziamenti non siano basati solo su parametri quantitativi. «Vanno inseriti anche criteri di qualita’: uno puo’ essere come il mercato del lavoro accoglie il laureato». Roma Tre, a quota 36mila iscritti, e’ ormai ben piu’ che una promessa, forse e’ per questo che rischia di attaccarsi tutte le malattie piu’ comuni del sistema. Qualche dato significativo: il rapporto docenti/studenti (1 a 48) ma vedi l’esiguo numero totale di prof (750). I laureati (2.700), il tempo medio di laurea, gli abbandoni. «Sono d’accordo - chiude il rettore di Roma Tre, Guido Fabiani - bisogna procedere a un controllo qualitativo dei corsi di studio. E questo periodo va utilizzato dagli atenei e anche dal ministero per poter meglio modulare i criteri di valutazione. Noi stiamo sperimentando tutti quanti, il ministero ci deve aiutare: c’e’ grande differenza tra le condizioni di un’universita’ consolidata e quelle di una piu’ recente. I parametri devono tener conto delle differenze. E attenti a non utilizzare indicatori esclusivamente produttivistici che non si adattano bene a un’impresa culturale». _____________________________________________________________ Repubblica 14 lug. ’03 "INFORMATICA E BANDA LARGA, IL GOVERNO NON FA ABBASTANZA" LAURA KISS Per perseguire la strada dello sviluppo sociale il governo deve porre l’innovazione tecnologica al centro dei piani finanziari: e’ la convinzione di Confindustria che ha presentato nei giorni scorsi il "Piano di innovazione digitale", elaborato insieme a Federcomin e Anie, con lo scopo di stimolare imprese e governo a promuovere una cultura centrata sullo sviluppo tecnologico. Dal piano emerge che l’80% della spesa informatica si concentra in 20mila mediegrandi aziende, ed e’ viceversa sacrificata nelle piccole imprese e nelle pubbliche amministrazioni locali e centrali. Per superare l’analfabetismo tecnologico, si prevede di promuovere programmi di formazione dei piccoli imprenditori insieme alle organizzazioni e alle associazioni di imprese. E’ poi prevista la creazione di centri di consulenza per la diffusione delle tecnologie digitali e, per la formazione, organismi che possano agevolare i contatti tra chi ha seguito un corso di formazione e le imprese. Si pensa a un sistema di crediti formativi analogo a quello dell’universita’, valido sia per l’aggiornamento della carriera che per scopi previdenziali. Sempre nel piano, si pensa anche al sostegno finanziario alle imprese: si prevedono, insieme a strumenti di venture capital e project financing, misure per la capitalizzazione delle piccole e medie imprese ed opportuni fondi di garanzia tecnologici per facilitare l’accesso al credito. Il piano auspica lo sviluppo di un Polo tecnologico per la ricerca nell’Ict, a cui cooperino i centri di ricerca pubblici e privati, le piccole e medie imprese e le universita’. Per la p.a., si prevede la creazione di sportelli online interattivi in tutto il paese. Quanto allo sviluppo di infrastrutture base a partire dalla banda larga, il governo dovrebbe perseguire un obiettivo minimo di penetrazione e assicurare eque condizioni di accesso al mercato per tutte le piattaforme. Bisogna, dice il piano, incentivare le imprese e stimolare l’offerta di servizi ai cittadini che veicolati anche attraverso terminali interattivi pubblici. Si prevedono poi incentivi per la diffusione del digitale e della larga banda nei condomini, sotto forma di bonus. «Il piano dice Alberto Tripi, presidente di Federcomin e’ un contributo al rilancio dell’Ict. Abbiamo collaborato con entusiasmo al lavoro in Confindustria e siamo lieti che finalmente i temi delle nuove tecnologie abbiano conquistato un posto di rilevanza nel quadro economico e. Sviluppare l’innovazione digitale significa recuperare competitivita’, generare occupazione e appoggiare un processo di sviluppo irreversibile in tutto il mondo. Quello che ci proponiamo con questo piano e’ di chiedere al Governo, al mondo politico e alle forze sociali di vivere lo sviluppo tecnologico come l’inizio di un percorso in cui tutti contribuiscono. E’ nostra intenzione far seguire una proposta di legge quadro per l’innovazione tecnologica alla quale sta gia’ lavorando un gruppo di giuristi e che potra’ dare certezze alle imprese e ai cittadini». _____________________________________________________________ Il Messaggero 14 lug. ’03 BILL GATES: SEI MILIARDI DI DOLLARI PER LA LOTTA ALLE EPIDEMIE FILANTROPIA L’ultima rivoluzione di Bill Gates Sei miliardi di dollari per la lotta alle epidemie: gia’ salvati 100 mila bambini dal nostro corrispondente STEFANO TRINCIA NEW YORK - Un fiume di dollari in piena per immunizzare i suini e sconfiggere la piaga della tenia; per combattere la malaria alterando il codice genetico della zanzara anofele. Ed ancora per vaccinare milioni di bambini del Terzo e Quarto Mondo, ed arrivare il prima possibile ad un vaccino che neutralizzi l’Aids. Una montagna di biglietti verdi da far invidia all’Organizzazione Mondiale della Sanita’ e all’Unicef. Messa a disposizione da un unico individuo, l’uomo piu’ ricco del mondo, spesso accusato di nutrire ambizioni da Grande Fratello, di voler imporre il proprio dominio tecnologico sull’intero pianeta. Quello stesso pianeta che Bill Gates sta cercando di aiutare, almeno nella sua parte piu’ povera e dimenticata, con un impegno filantropico senza eguali: un totale di oltre sei miliardi di dollari erogati nell’arco di soli quattro anni dalle sue immense riserve, di cui tre miliardi duecento milioni destinati a salvare da morte sicura l’infanzia indigente e malata nelle zone piu’ misere del mondo. La Global Alliance for Vaccines and Immunization, cui il fondatore e padrone della Microsoft ha destinato ingenti risorse tramite la sua Bill e Melinda Gates Foundation - Melinda e’ la moglie - ha distribuito 180 milioni di dosi di vaccini nei paesi piu’ poveri del mondo a partire dal 2000, salvando almeno 100.000 bambini da morte sicura. Secondo i calcoli della fondazione Gates entro la fine del decennio, la vite salvate saranno almeno un milione, mentre il suo obiettivo a lungo termine e’ di strappare alla condanna delle epidemie alcune decine di milioni di persone. Le casse della fondazione - nonostante la crisi che il settore tecnologico ha attraversato negli ultimi anni - dispone di una dotazione record di quasi 33 miliardi di dollari, piu’ del triplo rispetto alla seconda in classifica, la fondazione Lilly. Nella storia lunga e gloriosa della filantropia americana, Gates - scrive il New York Times - entra di diritto affianco ai Rockefeller e ai Carnagie. Ma con una differenza: rispetto ai suoi predecessori, il boss della Microsoft smuove governi, organizzazioni non governative, strutture sovranazionali, centri di ricerca in una mobilitazione scientifico-umanitaria che non ha eguali. Come nel caso della vaccinazione dei suini e la mutazione genetica delle zanzare, ricerche di base condotte in collaborazione con importanti universita’ e l’Organizzazione Mondiale di Sanita’. Naturalmente, sostengono i non pochi critici di Gates, la straordinaria generosita’ dell’ipermiliardario di Seattle e’ finalizzata anche a difendere dall’assalto del fisco le proprie monumentali risorse. Ma almeno, sostengono i suoi ammiratori, Gates riesce a farlo in modo talmente innovativo ed efficace da surclassare governi ed organizzazioni benefiche: «Il mio criterio e’ molto semplice ha spiegato Gates al New York Times salvare una vita dopo l’altra, con grande concretezza. Sapere che un bambino povero non muore grazie alla mia iniziativa, che un altro sopravvive il giorno dopo e’ una consolazione. Risolvere tutti i problemi del mondo e’ impossibile ma provare ad alleviarli si puo’ e si deve fare». _____________________________________________________________ La Stampa 16 lug. ’03 PIU’ SPAZIO AGLI OSPEDALI DI RICERCA GLI eccezionali successi della biologia molecolare e delle discipline genomiche e postgenomiche stanno cambiando profondamente finalita’, modalita’ di esecuzione, quantita’ e tipologia dei prodotti e delle tecnologie a disposizione della ricerca applicativa clinica. Questa, sempre intesa a trasferire a vantaggio degli ammalati nuove informazioni e nuove acquisizioni concettuali, e’ ora costretta a un enorme processo di elaborazione di dati e ad affrontare pesanti carichi di gestione. E' bene pero’ sottolineare che le nuove conoscenze e le nuove tecnologie stanno apportando possibilita’ del tutto inaspettate alla medicina clinica. In particolare, medico e ricercatore clinico dispongono ora della possibilita’ di riscrivere, in modo piu’ diretto e obiettivo, i percorsi diagnostici e terapeutici delle piu’ importanti malattie, in ciascuna fase operativa. Per esempio lo studio del profilo genico (la funzione dei geni), effettuabile al momento della diagnosi per ogni ammalato di tumore che ne dia liberamente il consenso, e’ gia’ in grado di predire, con notevole accuratezza, l'evoluzione, l'aggressivita’, le potenzialita’ metastatiche e di recidiva della malattia neoplastica e di adattarne la terapia. Ovviamente, gran parte delle nuove procedure pongono, e porranno, nuovi problemi etici e di comportamento intesi a difendere l'inviolabilita’ delle persone umane, dei suoi valori e dei suoi diritti. I medici ricercatori ("physician scientists" degli anglosassoni), in quanto assommano la loro esperienza clinica e di assistenza agli ammalati alla conoscenza delle nuove tecnologie, all'adattamento clinico delle quali hanno spesso collaborato, sono indispensabili nelle fasi conclusive che finalizzano i nuovi percorsi medici, chiudendoli (cioe’ applicandoli) al letto del paziente. Purtroppo vi e’ una notevole carenza di ricercatori clinici, che sta diventando critica con l'aumento del fabbisogno. In alcuni paesi la reazione non si e’ fatta attendere e, con spirito piu’ pragmatico del nostro, si stanno ufficializzando nuovi metodi di reclutamento e di incentivazione. Con spirito meno pragmatico, da noi il problema non e’ ancora stato posto nella sua esatta definizione, almeno da chi e’ preposto a gestire ed a portare ad un livello europeo la ricerca pubblica. Tuttavia, dal "paese reale", vale a dire da enti ed associazioni private, o da singoli docenti e ricercatori, gia’ provengono alcune interessanti proposte: corsi di laurea e postlaurea idonei a formare medici e scienziati; ricerca di giovani laureati idonei a coniugare scienza ed applicazione clinica da aiutare con sussidi e crediti, istituzione di corsi di dottorato abbinati (Medical Doctor e Phylosophy Doctor) e altri suggerimenti atti ad implementare una classe di medici altrettanto bravi al letto del paziente come in laboratorio (vedi P.C. Marchisio, «Kos», 208/9-2003). La "nuova medicina" sta inoltre ponendo grandi problemi di ristrutturazione e di gestione agli ospedali ed ai centri specialistici. Diventa sempre piu’ centrale il concetto dell'"ospedale di ricerca", spinto a produrre ricerca clinica in maggiore quantita’ e con nuovi obiettivi, tra i quali quello di aumentare l'efficacia dell'assistenza stessa. Di fatto, nel nostro paese, gli ospedali di ricerca sono limitati, quasi esclusivamente, ai policlinici, agli ospedali universitari ed agli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS). In tutti questi enti l'attivita’ di ricerca clinica e’ "istituzionale" e, in parte di essi, e’ di buon livello e con dei risultati originali. Per quanto riguarda gli IRCCS, dove l'attivita’ di ricerca e’ gestita direttamente dal ministero della Salute, e’ stato riconosciuto ufficialmente "il carattere strumentale dell'attivita’ assistenziale rispetto allo studio ed alla ricerca" (Corte Costituzionale, sentenza del luglio 1992). D'altra parte e’ proprio in base all'attivita’ di ricerca clinica, alla sua qualita’ e quantita’, che vengono selezionati gli Istituti a carattere scientifico, ed e’ sempre in base a questi stessi criteri che vengono attualmente identificati e classificati i migliori centri specialistici. Tuttavia, l'esistenza di validi ospedali universitari e di centri di ricovero e di ricerca scientifica non significa che essi siano sufficienti e tutti idonei a recepire ed applicare i travolgenti successi delle nuove scienze mediche. Tutt'altro: il problema che si apre e’ enorme e non puo’ essere piu’ trascurato, ne’ nella sua dimensione ne’ nella qualita’. [TSCOPY](*)Universita’ di Torino ================================================================== _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 18 lug. ’03 Sirchia: dalle banche mutui a tasso zero per la ricerca SIRCHIA:NESSUN TAGLIO ALLE RISORSE PER IL SSN MA INTERVENTI MIRATI ALL'EFFICIENZA» ROMA a Un «tavolo» anche per la Sanita’, al quale partecipino anche imprese, banche e assicurazioni Un Fondo per la non autosufficienza alimentato da una tassa di scope che costera’ 500-600mi1a delle vecchie lire a testa l'anno. La promessa che per il Ssn non ci saranno tagli alle risorse gia’ previste, ma riforme nel segno dell'efficienza. E una richiesta che sara’ fatta la prossima settimana all'Abi: crediti anche a tasso zero dalle banche a sostegno della ricerca, per finanziare imprese e progetti «che danno garanzie». Il giorno dopo il varo del Dpef, il ministro della Salute, Girolamo Sirchia, spiega le prossime mosse del Governo sull'assistenza sanitaria. E avverte: servono nuove fonti di finanziamento, «aggiuntivi» a quelli pubblici. Ministro Sirchia, dalla versione finale del Dpef sono stati cancellati tutti i riferimenti a misure specifiche. Ora si afferma solo che si cerchera’ «il miglioramento del Ssn e la protezione della salute». Non e’ che, poi, arriveranno i tagli? Non ci sara’ alcun taglio. Le risorse restano quelle decise col patto di stabilita’. Le riforme riguarderanno il miglioramento dell'efficienza e dell'organizzazione del sistema. Che poi e’ quanto stiamo facendo con le Regioni. Per evitare gli sprechi e investire sulla qualita’. E questo significa che anche per la Sanita’, ci sara’ un tavolo? Certo. Io lo voglio fare. Ma anche con forze non solo strettamente "sanitarie". Penso alle imprese, alle banche, alle assicurazioni. A tutti coloro che possano trovare un motivo di investimento e di sviluppo in questo settore. Perche’ la Sanita’ non e’ solo un costo: e’ un motore di sviluppo, che si presta alla ricerca, agli investimenti, alle linee di credito agevolato. A proposito di credito, la prossima settimana incontrera’ i vertici Abi: cosa chiedera’ alle banche? Io vorrei che venisse smobilizzata una parte del grande risparmio accumulato, e improduttivo, che c'e’ nelle banche per ottenere finanziamenti alla ricerca con crediti minimi agevolati, a tasso zero per intenderci, per le imprese e i progetti che danno garanzie. O all'utilizzo di questi capitali per sostenere un certo margine di rischio imprenditoriale, una specie di venture capita] insomma. Vedremo dall'incontro se e come si potra’ tradurre la disponibilita’ del mondo bancario. Dalle misure ora non piu’ dette ufficialmente nel Dpef, che pero’ nell'obiettivo del Governo, salta agli occhi il possibile ruolo delle assicurazioni. Si vuole smantellare il Ssn, vi accusano. Ogni volta che si parla di assicurazioni, salta fuori la favola della privatizzazione del Ssn. Ed e’ un'imbecillita’. Speriamo che una volta tanto, chi lo dice, riesca ad aprire gli occhi. Per vedere cosa? Noi vogliamo la qualificazione, non lo smantellamento del Ssn. Ma a tutti deve essere chiaro che dobbiamo trovare risorse nuove e aggiuntive. Allora, dove trovarle se non dalla finanza privata? Gli ospedali sono in sofferenza e le risorse in piu’, in questo momento, non possono venire dalla finanza pubblica. Appena l'economia ripartira’ - e credo che questo Dpef abbia posto tutte le premesse - saremo pronti per investimenti ulteriori anche in Sanita’. Abbiamo i nostri programmi, ogni ministero ha i suoi. II nodo dell'invecchiamento e della non autosufficienza, e’ elencato nel Dpef tra i principali problemi da risolvere. Ci puo’ spiegare come funzionera’ il «Fondo» che state studiando? Pensiamo a un finanziamento obbligatorio con una tassa di scopo, sul modello della provincia di Bolzano, versata da ogni lavoratore. Non e’ altro che un'assicurazione contro i rischi della non autosufficienza che si dovessero presentare da vecchi, che garantira’ quelle cure domiciliati oggi impossibili. Ma quanto costerebbe e chi gestira’ il Fondo? Si e’ ipotizzato un costo annuo a testa di 500-600mi1a delle vecchie lire. Con una gestione da affidare allo Stato ó alle Regioni. E quali tempi prevede? Vedremo. Va valutata anche l'accettazione sociale e va verificato per bene tutto il sistema. II percorso sara’ fissato gia’ con la Finanziaria? Non so se ce le faremo. Dobbiamo ancora fare alcuni passaggi, anche perche’ la questione e’ legata al problema pensionistico. Anche per questo tutto il lavoro lo abbiamo fatto con Maroni. Ministro, quando ci sara’ la verifica finale sui farmaci con Tremonti e le Regioni? Credo che ormai ne riparleremo a settembre. Ma il «patto» sulla farmaceutica io mi auguro proprio di riuscire a raggiungerlo. Anche tagliando i brevetti? No, assolutamente no. ROBERTO TURNO _____________________________________________________________ Repubblica 17 lug. ’03 UNA SANITA’ MIGLIORE CON TREDICI OBIETTIVI Accordo SirchiaDel Barone. Punto su liste d’attesa e ruolo dei medici Tredici obiettivi di salute. Li hanno concordati il ministro della Salute, Girolamo Sirchia, e il presidente della FnomCeO, Giuseppe Del Barone, che hanno firmato un protocollo d’intesa tra ministero e Federazione, istituzionalizzando un «tavolo di consultazione permanente» che ha l’obiettivo di attivare iniziative comuni, finalizzate a favorire il processo di miglioramento del Ssn e il conseguimento prioritario degli stessi obiettivi. Il tavolo lavorera’ anche sulle liste d’attesa, su un maggior ruolo decisionale dei medici, sulla trasparenza e l’indipendenza della formazione e su come migliorare il rapporto fra medico e paziente. «Il medico», ha sottolineato Sirchia, «e’ alla base del successo della sanita’ italiana. La fiducia verso questa figura e’ indubbia, anche se si e’ un po’ incrinata nel recente passato, per qualche invadenza di campo e alcuni scandali che hanno turbato l’opinione pubblica. Per questo, insieme alla Federazione, dobbiamo intraprendere un percorso comune per riqualificare e rimotivare i medici e riportarli al centro della sanita’. "Make the doctor happy", se vuoi che la sanita’ funzioni bene: e’ uno slogan americano che condivido». Del Barone, in polemica con i sindacati ha affermato che «le soluzioni si trovano con il colloquio e non con scioperi e manifestazioni». Ma il protocollo d’intesa con l’ordine dei medici, ha precisato il ministro, non vuole rappresentare un’esclusione dei sindacati dal quel confronto richiesto dalle parti sociali. Ed ecco i 13 obiettivi. 1. Assumere e favorire tutte le iniziative e gli interventi per garantire ai cittadini maggiore equita’ negli accessi ai servizi e nei processi assistenziali e maggiore appropriatezza e qualita’ nelle cure. 2. Partecipare, anche con iniziative ed azioni comuni, all’attuazione del «Progetto per la salute 20032005», previsto dall’accordo StatoRegioni sul Piano Sanitario Nazionale. 3. Assicurare un maggior ruolo decisionale dei medici nell’organizzazione e nelle scelte aziendali, sia dell’ospedale che del territorio, e nel governo delle attivita’ cliniche, con l’assunzione di maggiori poteri e maggiori spazi di liberta’ professionale e conseguenti responsabilita’. 4. Promuovere le azioni necessarie affinche’ venga varata in tempi brevi la legge sul riordino delle professioni intellettuali, che riconosca la specificita’ della professione medica e dia un moderno assetto all’ordinamento della professione stessa. 5. Definire con il ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca criteri e modalita’ per il fabbisogno di operatori sanitari, del riordino delle specializzazioni e della rete formativa ospedaliera, avviando la discussione sulla formazione del medico del futuro. 6. Sviluppare nell’ambito del sistema dell’Educazione Continua in Medicina (ECM), iniziative e progetti mirati all’aggiornamento dei medici sulle innovazioni tecnologiche e terapeutiche, per erogare le cure piu’ appropriate e scientificamente fondate. Garantire la trasparenza e l’indipendenza dei processi formativi. 7. Definire iniziative atte a migliorare la comunicazione con i cittadini, attraverso gli Ordini professionali, sul ruolo del medico nel servizio pubblico. 8. Attuare iniziative che valorizzino in ogni ambito di cura il rapporto tra medico e paziente e l’etica della professione. 9. Promuovere azioni per aumentare la disponibilita’ dei medici all’ascolto dei pazienti e delle loro associazioni. 10. Affrontare il complesso problema della malpractice, attuando iniziative sperimentali di arbitrato conciliativo e proponendo le opportune modifiche legislative. 11. Porre allo studio proposte di miglioramento dell’informazione medico scientifica, con particolare riferimento alla regolamentazione dei conflitti di interesse. 12. Risolvere di comune accordo le problematiche sulla libera circolazione dei professionisti in Europa. 13. Definire le questioni sul rispetto della privacy nel sistema sanitario, tutelando il paziente e semplificando le procedure che rischiano di ostacolare il corretto rapporto medicopaziente. _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 17 lug. ’03 POLICLINICO AL PALO OSPEDALIERI IN RIVOLTA SOS ALLA REGIONE La crisi politica rende cupi gli scenari CAGLIARI. Il progetto azienda mista Regione-Universita’ e’ a un passo dal naufragio. S’era detto, infatti, non piu’ tardi di un mese fa, che ci sarebbe voluto tutto l’anno sino alla fine della legislatura per elaborare il protocollo ancora in alto mare, che ne sara’, adesso, se si andra’ avanti per grazia ricevuta attraverso qualche inghippo di potere? Ci sara’ spazio per definire serenamente chi deve fare che cosa nella facolta’ di medicina resa "moderna & competitiva" anche per la collaborazione permanente e normata con il sistema ospedaliero? Un ruolo di primo piano doveva assumerlo l’assessore regionale alla sanita’ convocando il tavolo Regione-Universita’: in quell’ambito le due realta’ avrebbero potuto finalmente scoprire le carte, presentare le richieste, indicare le strade e quindi trovare i punti d’incontro necessari per stendere un protocollo con obbiettivi condivisi attraverso percorsi concordati. L’assessore non ha mai convocato il tavolo, gli universitari hanno lavorato sodo e si sono muniti di un documento elencando tutto cio’ che occorre loro per mandare avanti una facolta’ davvero al passo con i tempi. Gli ospedalieri non hanno mostrato tutta questa compatezza, un sindacato, l’Anaao, a beneficio della commissione regionale sanita’ ha steso un rapporto sullo stato di salute della sanita’ in Sardegna e hanno offerto alcuni spunti di ragionamento per procedere alla costituzione dell’azienda mista. Soprattutto, in occasione della presentazione del documento, ha sottolineato la necessita’ di procedere con urgenza alla stesura del documento. La lentezza con cui si procede e la crisi regionale che certo non aiutera’ il cammino verso l’azienda mista renderanno piu’ acuto il conflitto universitari-ospedalieri che negli anni si era un poco stemperato e che invece e’ tornato a contenuti quasi esclusivi da quando c’e’ in ballo la costituzione del policlinico. Al San Giovanni di Dio la convivenza universitari- ospedalieri risulta abbastanza squilibrata. Ci sono reparti a gestione universitaria interamente mandati avanti da personale ospedaliero. Inoltre, in varie occasioni, gli ospedalieri hanno spiegato cosa c’e’ che non va nel rapporto con gli universitari. Questi ultimi in servizio in reparti ospedalieri devono dedicare un certo numero di ore all’assistenza, e sono pagati per questo, ma non rientrano nelle reperibilita’ e nei turni. Sabati, domeniche, festivi e notturni sono tutti a carico degli ospedalieri. Poi ci sono gli insegnamenti universitari cui accedono anche gli ospedalieri: questi tengono un corso, ma nella pratica non vengono remunerati. L’orgoglio di essere i docenti di altri medici alla lunga non basta: anche i soldi fanno parte delle gratificazioni derivate dal proprio lavoro. Poi ci sono le questioni di carriera: come si fa ad andare avanti se c’e’ sempre il "tappo" degli universitari? Domande senza risposta mentre le facolta’ di medicina sarde non tengono il passo coi modelli di formazione accreditati nel resto d’Italia e in Europa. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 20 lug. ’03 NO AI VIGILANTES NEGLI AMBULATORI «Meglio un infermiere insieme alle guardie mediche» Tinnura Vigilantes armati negli ambulatori della guardia medica? No grazie. A Tinnura i medici giunti da tutte le parti dell’Isola, i loro sindacati, professori universitari, i presidenti degli ordini dei medici di Oristano, Sassari e Nuoro con gli amministratori locali, hanno ribaltato clamorosamente le proposte arrivate subito dopo l’omicidio della dottoressa Roberta Zedda, per la sicurezza dei medici che operano in prima linea, di notte e nei giorni festivi. Nella riunione dell’altro ieri, organizzata dalla Conferenza dei sindaci del Distretto sanitario di Macomer e Bosa, oltre alle varie denunce e tante proposte, e’ emersa in particolare la necessita’ di infoltire gli ambulatori della guardia medica, magari assegnando ad ogni professionista un infermiere e comunque non un vigilante armato, che trasformerebbe l’ambulatorio in una sorta di caserma. Intanto gli ambulatori dove operano le guardie mediche, devono essere decorosi e sicuri e gli stessi medici, e’ stato detto, devono essere comunque difesi in primo luogo dai cittadini. E’ stato un dibattito costruttivo e propositivo quello di Tinnura, coi medici, sindacati, rappresentanti delle Asl e amministratori comunali, che si sono confrontati, cercando una soluzione al grave problema che assilla chi opera nelle Guardie mediche, soprattutto dopo il barbaro assassinio della dottoressa di Sanluri Roberta Zedda, avvenuto a Solarussa appena venti giorni fa. Medici che da vent’anni aspettano comunque un piano sanitario regionale, visto che attualmente, e’ stato denunciato dai sindacati, si opera con una programmazione estemporanea e dove comunque manca una visione unitaria. Da qui l’iniziativa di costituire un Osservatorio regionale, per mettere a punto tutte le proposte scaturite nella assemblea dell’altro ieri. Un Osservatorio per il quale hanno dato la disponibilita’ i medici, gli amministratori, comunali e regionali, quelli della Asl e soprattutto le Universita’. Nel corso della riunione ha commosso l’intervento di un giovane ingegnere di Borore, Enrico Frau, amico di Roberta Zedda. «Il sacrificio di Roberta poteva essere evitato - ha detto Frau - se i politici avessero svolto bene il loro ruolo. Cosi’ purtroppo non e’ stato e chi sbaglia se ne deve andare a casa». Enrico Frau ha quindi annunciato la costituzione di una associazione “Amici di Roberta”, la quale e’ gia’ all’opera per la realizzazione di un libro, dove saranno contenuti tutti i messaggi e anche poesie scritte dagli amici e parenti della dottoressa assassinata a Solarussa. Non solo. L’associazione sta organizzando una grande serata musicale, con la partecipazione di tutti gli artisti preferiti dalla dottoressa assassinata. «Quanto emerso dal dibattito - dice Giovanni Soro, presidente della Conferenza dei sindaci del Distretto sanitario di Macomer e Bosa - non puo’ e non deve essere ridotto a isolate rivendicazioni di categoria, ma la classe medica nel suo complesso deve far proprie queste problematiche e porle all’attenzione sia delle istituzioni che dell’opinione pubblica in maniera forte». Le proposte scaturite nella partecipata e accorata assemblea di Tinnura, verranno subito trasmesse all’assessore alla Sanita’ della Regione, che non ha partecipato all’incontro. «Invieremo il documento a tutti i presidenti e direttori generali della Asl - dice Giovanni Soro - e ovviamente a tutti i medici della nostra Regione». Francesco Oggianu _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 17 lug. ’03 «SIAMO GLI SCHIAVI DELLA SANITA’ PUBBLICA, CI CONSIDERANO MEDICI DI SERIE B» “Siamo gli schiavi della Sanita’ pubblica”. Lo sostengono oltre sessanta medici di guardia, in un documento che contesta l’accordo integrativo firmato nel dicembre dell’anno scorso da sindacati e Regione. L’esposto (inviato a tutte le autorita’ sanitarie nazionali e locali) e stilato dal dottor Gianfranco Mura, in servizio a Oristano, contesta “un’iniqua distribuzione delle risorse” tra le figure della Medicina generale: medici di base, del 118 e delle guardie. E considera questi ultimi dei “paria” rispetto ai colleghi del 118 “che, tra integrazioni economiche, indennita’ aggiuntive e maggiorazioni” riuscirebbero a raggranellare “quasi un doppio stipendio”. Per non parlare dei medici di base, che godrebbero di un numero tale “di indennita’ e voci di entrata pecuniarie” da rendere evidente il privilegio. Sul fronte opposto, - prosegue il documento - ai “medici di continuita’ assistenziale”, (piu’ conosciuti come medici di guardia), l’accordo ha riservato un’indennita’ oraria di euro 2,07, “per tutte le ore effettivamente svolte” ma a carattere sperimentale. Sara’ infatti rinnovabile solo dopo il raggiungimento di alcuni obiettivi, come la riduzione del numero di accessi al Pronto soccorso e il contenimento della spesa farmaceutica. Un “obolo”, lo definisce Mura, perche’ questa esigua indennita’ compensa anche la disponibilita’ ad anticipare l’inizio del turno fuori dall’orario di servizio e il trasferimento in ambulanza degli assistiti che necessitano di ricovero ospedaliero. Per la verita’, si legge nel documento, il contratto prevede anche un’indennita’ forfettaria di 51,65 euro per 12 ore, solo in concomitanza di 14 turni “super festivi”. Ma e’ un’eventualita’, precisa Mura, che per ogni medico si verifica non piu’ di tre o quattro volte all’anno. Insomma, un trattamento economico da ”Medici di serie B”, come quello “degli schiavi nei campi di cotone”. A questo punto, Mura (e i sessanta firmatari del documento) chiedono perche’ i sindacati, in sede di contrattazione, avallano queste discriminazioni. Domanda rivolta anche alla Regione, che firma contratti “smaccatamente favorevoli ai medici di base ed a quelli del 118”. Senza tener alcun conto delle responsabilita’ e del lavoro rischioso e usurante della Guardia medica. Da qui la minaccia di rivolgersi alla Corte europea per vedere riconosciuto un lavoro notturno, rischioso, poco dignitoso e mal remunerato. In pratica, i medici delle guardie rivendicano il diritto a un rapporto di lavoro da dipendenti, con uno stipendi equiparato a quello degli ospedalieri e un’indennita’ per lavoro usurante e notturno. L. S. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 16 lug. ’03 TINNURA, I MEDICI DI TUTTA L’ISOLA PREPARANO LA MOBILITAZIONE Tinnura Parte dalla Planargia la rivolta dei medici di tutta l’Isola, soprattutto quelli che operano in prima linea. Nella grande sala riunioni del centro sociale di Tinnura, infatti, per venerdi’ e’ stata convocata un’assemblea (inizio alle 18), alla quale parteciperanno soprattutto medici che operano nel turni di guardia medica, durante la notte, nei fine settimana e nei giorni festivi, ma anche i rappresentanti degli ordini professionali, le organizzazioni sindacali, i direttori generali dell’Asl, i presidenti delle conferenze dei sindaci, rappresentanti delle Universita’, Amministratori locali, forze dell’ordine. L’invito della conferenza dei sindaci del distretto sanitario di Macomer e Bosa e’ stato inoltrato anche all’assessore regionale alla Sanita’, al presidente della commissione del Consiglio regionale, ai prefetti e ai presidenti delle quattro province. «L’omicidio della dottoressa Roberta Zedda, commesso appena dieci giorni fa nell’ambulatorio di Solarussa, pone forte l’esigenza di una riflessione, non piu’ rinviabile, sull’inadeguatezza del servizio stesso», dice Giovanni Soro, presidente della Conferenza dei sindaci del Marghine-Planargia, «sia sotto il profilo della sicurezza sul posto di lavoro, sia sotto il profilo della qualita’, dovendo esso soddisfare una duplice aspettativa: quella dell’utenza e quella del professionista». E’ inderogabile l’elaborazione e la definizione di proposte capaci di dare a questo importante servizio un nuovo ruolo, un nuovo impulso e quindi diversa dignita’: «Tale elaborazione progettuale - dice ancora Soro - stanti le modalita’, la delicatezza e i contesti in cui il servizio viene svolto, non puo’ e non deve essere ridotto a isolate rivendicazioni di categoria, ma la classe medica nel suo complesso deve far proprie queste problematiche e porle all’attenzione sia delle istituzioni che dell’opinione pubblica in maniera forte». I medici sono a rischio soprattutto nei cosiddetti paesi caldi, dove gli ambulatori sono completamente isolati e i medici di guardia non possono contare neanche sull’intervento immediato delle forze dell’ordine. La tragica vicenda di Solarussa ha ora fatto venire a galla la paura e la contestazione dei medici. Giovanni Soro, anch’egli medico, dice: «Non e’ piu’ tollerabile lavorare in condizioni dove la sicurezza e’ inesistente: nella gran parte dei nostri paesi negli ambulatori di guardia non esiste nessun sistema di allarme che possa garantire l’incolumita’ di chi in quelli edifici deve operare e non esiste nessun collegamento diretto con la caserme che, dopo le 17, sono sguarnite». Francesco Oggianu _____________________________________________________________ Corriere della Sera 18 lug. ’03 POLICLINICO, POMODORI E UOVA CONTRO IL DIRETTORE GENERALE POLICLINICO, INCONTRO SINDACALE FINISCE IN RISSA Il direttore generale: «Sono stato aggredito». La Cgil: «Ci ha insultato». La Digos indaga Un megafono scagliato contro il manager ha colpito un vigilante e gli ha rotto un dente Contestato il provvedimento di Longhi che cancella 150 avanzamenti di carriera dopo un' ispezione del ministero del Tesoro Di Frischia Francesco Lanci di pomodori e uova, insulti, sputi e spintoni. E una guardia giurata ci ha pure rimesso un dente. Non e’ la descrizione di una zuffa tra ubriachi, ma l' esito di una riunione sindacale avvenuta ieri nel Policlinico Umberto I. Protagonisti della baruffa: da una parte il direttore dell' ospedale, Tommaso Longhi, che sta per passare alla Croce Rossa, ha presentato una denuncia contro tre sindacalisti e contro altre persone non identificate che lo avrebbero aggredito. E dall' altra un folto gruppo di lavoratori e sindacalisti universitari dello Snur-Cgil e della Rappresentanza sindacale unitaria (Rsu). Sara’ la Digos a indagare. Al centro del dibattito un provvedimento firmato da Longhi che cancella un avanzamento di carriera per 150 dipendenti amministrativi universitari. All' origine della decisione c' e’ il parere del ministero del Tesoro che, durante una ispezione all' Umberto I, ha scoperto la promozione e l' ha giudicata «irregolare». Quella decisione faceva parte di una intesa siglata il 22 marzo scorso tra il manager e i sindacati davanti al prefetto di Roma, Emilio Del Mese. Sull' andamento dell' incontro Longhi e i sindacati forniscono versioni diverse. «Ho solo cercato di spiegare che avevo anticipato 4 milioni di euro al personale - sostiene il manager - per l' equiparazione degli universitari agli ospedalieri. Questo non lo ha fatto nessun altro policlinico italiano». E sul passo indietro «che devono fare 150 dipendenti ho ribadito che si tratta solo di rispettare un parere del ministero delle Finanze - aggiunge il direttore -. Molti, invece di ascoltarmi, mi offendevano dicendo: "a noi i soldi non li vuoi dare, ma quanti soldi hai dato ai tuoi consulenti?" e qualcuno mi ha pure minacciato: "tanto ti mandiamo in galera..."». Appena uscito dal salone «sono stato aggredito e scalciato da una decina di persone, tra cui alcuni sindacalisti, con sputi, calci, pugni - aggiunge Longhi - e uno della Cgil, che ho riconosciuto, mi ha pure tirato un megafono rompendo un dente a un vigilantes». Replicano i sindacati: «I rappresentanti dello Sunr Cgil non hanno aggredito Longhi, semmai siamo stati provocati - ricorda Pietro Rosati, segretario generale dello Snur Cgil del Lazio -. Il direttore si e’ presentato alla riunione con dieci vigilantes. Il suo atteggiamento e’ stato arrogante e ha definito i lavoratori "deficienti e con gli occhi foderati di prosciutto"... Poi non ha voluto ascoltare i dipendenti dicendo che doveva andare via perche’ aveva un altro impegno: cosi’ l' incontro e’ durato neanche 15 minuti: quando e’ uscito dalla sala sono solo volati insulti e qualche spintone». E Giuseppe Polinari della Cisl Universita’ aggiunge: «E’ stata una fuga indecorosa del direttore generale che, dopo aver offeso i lavoratori, e’ scappato scortato da una quindicina di guardie giurate. Che, peraltro, sono pagate dalla collettivita’ e non sono sue guardie del corpo personali». Francesco Di Frischia _____________________________________________________________ La Stampa 17 lug. ’03 DENTISTI PREFERITI I PRIVATI ROMA Gli italiani, quando si tratta di denti, scelgono gli studi dei privati. Solo il 7%, nonostante il servizio pubblico sia piu’ economico, si rivolge al Servizio Sanitario Nazionale. Sono i risultati di uno studio dell'Associazione Sanita’ Giusta diffusi dall'onorevole Raffaele Costa di Forza Italia. La differenza tra i costi dei servizi pubblici e privati, secondo quanto emerso dallo studio, e’ significativa, soprattutto nel caso delle protesi dentarie: se l'Asl, spiega Costa, chiede al paziente di pagare il costo della dentiera (dai 500 ai 700 euro al massimo per entrambe le arcate) e un ticket (dai 16 ai 36 euro), in uno studio privato un'analoga protesi (di qualita’ medio-bassa) costa come minimo 1.500-2.000 euro per arcata (6 volte di piu’ quindi rispetto al pubblico). Perche’, si chiede Costa, gli italiani, quando possono scegliere (la situazione varia molto da regione a regione) decidono di spendere di piu’? «In molti casi - continua - (intere province) il servizio pubblico quasi non c'e’: altrove e’ inadeguato, in molti casi non si sa che esista. Il giudizio poi dato da professionisti sul Ssn (parte in causa) non e’ certo positivo: i prodotti sarebbero sovente di qualita’ modesta, le attrezzature inadeguate e le eccessive liste di attesa spingerebbero a lavorare in fretta, mancherebbe la continuita’ assistenziale e i trattamenti sarebbero spesso da rifare a pochi mesi di distanza». Non e’ pero’ cosi’ ovunque, secondo quanto riportato nella nota. «In molte Asl, ovvero ospedali - spiega Costa -, si lavora bene. Di sicuro lo studio privato (che si fa pagare, ma questo e’ un altro discorso) non conosce liste di attesa, mentre nel pubblico la coda puo’ passare da un mese ad un anno (uno studio recente dell'Associazione Sanita’ Giusta evidenzia fortissime anomalie)». _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 17 lug. ’03 SCIENZIATI DIVISI SULLE OPPORTUNITA’ E I RISCHI DELLE SPECIE MODIFICATE 11 giudizio dei ricercatori Vantaggi per la produttivita’ e riduzione dei pesticidi MILANO «Le novita’ si provano in modo empirico, gli organismi geneticamente modificati (Ogm) andrebbero almeno provati» sostiene Francesco Salamini, direttore del centro di studio per il miglioramento genetico e la fisiologia delle piante al Max Planck institute di Colonia. «Gli Ogni attualmente in commercio non sono convenienti per l'Italia e l'Europa» sostiene Marcello Buiatti, presidente del Centro interdipartimentale di biotecnologie di interesse agrario, chimico e industriale e professore di genetica all'Universita’ di Firenze. Mais, colza e soia, le specie candidate per il nostro Paese, sono state modificate per ottenere la resistenza ai diserbanti o ai parassiti. «Da diversi studi scientifici anche della Ue - chiarisce Buiatti - emerge che questi prodotti non sí adattano alla struttura della nostra agricoltura caratterizzata da appezzamenti piccoli e dimensioni aziendali ridotte. Servono ad aumentare la produttivita’. Negli Usa, in Canada, in Cina e in Argentina, che infatti li hanno adottati su larga scala, vi sono coltivazioni molto estese e monocoltura. Qui si punta ad aumentare il piu’ possibile la produzione e ridurre i prezzi. E la loro carta vincente. L'Italia non puo’ comprimere i costi piu’ di tanto e gia’ da diversi anni sta puntando sulla qualita’. Se gli Usa vogliono vendere da noi facciano prodotti che ci servono». «Lo dica agli agricoltori padani che producono 100 milioni di quintali l'anno di mais e che se il prezzo sale si ritrovano in rosso, se conviene puntare sulla qualita’ - controbatte Salamini -. Non si puo’ generalizzare». Anche fra i ricercatori che si occupano di questo settore il dibattito e’ incandescente. Nessuno si definisce contro gli Ogni in linea generale, ma i distinguo sono tanti e fra loro a volte contrastanti. «I vantaggi sono un' aumentata produttivita’ e una riduzione nell'uso di diserbanti e pesticidi - spiega Roberto Defez, biotecnologo del Cnr di Napoli -. Uno studio pubblicato su Science ha mostrato che nelle colture di cotone Ogm in India si aveva un aumento di produttivita’ fino all'80% e una riduzione dei pesticidi fino a170%. Ma i vantaggi non sono sempre di questa entita’. Per la soia resistente agli erbicidi il consumo di questi si riduce del 10-20%, secondo 1e multinazionali». Sui rischi per la salute le opinioni sono meno contrastanti: «Non possiamo dire a priori se siano pericolosi o no. Ci sono commissioni che li valutano accuratamente prima che arrivino sul mercato e io mi affido a loro» dice Salamini. «I rischi per i prodotti in commercio sono molto limitati - sostiene Buiatti -, il pericolo di allergie e’ potenziale ma non dimostrato, poi vi e’ il rischio di mangiare piu’ erbicidi perche’ nelle colture Ogm possono venire spruzzati fino al momento del raccolto perche’ le piante non muoiono». «E difficile tuttavia fare studi epidemiologici quando non si conosce la quantita’ e il tipo di Ogni consumati dalla popolazione» osserva Micaela Tosi del laboratorio per i controlli sugli Ogni del Centro di biotecnologie avanzate di Genova. «Gran parte dei mangimi sono fatti da Ogm, se chiudessimo questo rubinetto l'intera zootecnia europea entrerebbe in crisi - sostiene Defez -, oltretutto la resistenza ai parassiti fa si’ che vi siano meno tossine che danneggiano gli animali». «L'agricoltura biologica deve certificate che non vi siano ogni, poiche’ i geni possono trasferirsi anche dalle piante non trattate, la presenza di coltivazioni modificate puo’ danneggiare questa filiera» sostengono sia Buiatti sia Tosi, LARA RICCI _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 15 lug. ’03 CHIRURGIA REFRATTIVA, E’ GIA’ BOOM Oculistica / Mirare alla retina Un successo annunciato. L'impiego della chirurgia refrattiva con il laser in campo oculistico e’ diventato ormai di routine, in quanto sicuro, affidabile ed efficace. L'avventura e’ iniziata anni fa con gli interventi sulla retina, che e’ possibile cauterizzare senza alterare le altre funzionalita’ del sistema visivo. Poi, la realizzazione di sempre nuovi tipi di laser, in termini di lunghezza d'onda, profondita’ d'a2;ione e interazione con i tessuti, ne ha progressivamente esteso l'utilizzo, al punto che, oggi, gli interventi laser su glaucoma e cataratta sono pratiche consolidate. Cosi’ come e’ sempre piu’ diffuso il trattamento dei disturbi di messa a fuoco: un numero crescente di miopi, ipermetropi e astigmatici ha gia’ potuto liberarsi definitivamente di occhiali e lenti a contatto grazie al laser a eccimeri. Ma la ricerca in questo settore non si ferma, e al Congresso di Monaco sono stati addirittura messi a confronto i risultati dell'impiego del laser tout court con quelli della terapia fotodinamica. ][n particolare per il trattamento della maculopatia degenerativa, lo spauracchio di chi, a causa dell'eta’ o di una grave miopia, perde progressivamente la vista per un'alterazione della parte centrale della retina (macula). Solo in Italia, questa degenerazione riguarda almeno 50mila persone e fino a poco tempo fa si pensava fosse inarrestabile. Ora, invece, grazie all'integrazione laser-sostanza fotosensibile, in molti casi si riesce a bloccare il processo degenerativo. In pratica, si inietta per via endovenosa o, piu’ semplicemente, si instilla con un collirio la sostanza fotosensibile, che si lega esclusivamente ai vasi sanguigni anomali, rendendoli sensibili ai raggi emessi da un laser complementare a bassa potenza. L'interazione determina la produzione di radicali liberi dell'ossigeno che aggrediscono i vasi neoformati, determinandone la chiusura. Senza danneggiare la retina. FR.CE. _____________________________________________________________ Libero 16 lug. ’03 L 'AIDS BLOCCATO SUL NASCERE RICERCATORI ITALIANI SPERIMENTANO UNA INNOVATIVA TERAPIA Le cellule che diffondono il virus sterilizzate con anticorpi RIXM - [8.9.] Stanare il virus Hiv agli esordi per evitare che si diffonda nell'organismo. Ecco in sostanza il nuovo metodo per combattere 1' Aids adottato da un gruppo di ricercatori dell'Istituto superiore di sanita’ e dell'Universita’ di Roma Tor Vergata. Per il momento si e’ solo alla fase di sperimentazione nei topi. Enrico Garaci, Filippo Berardelli e Carlo Federico Perno sono gli autori della ricerca che e’ stata pubblicata alla rivista scientifica Proceedings of National Academy of Sciences. Il loro studio ha permesso di utilizzare degli anticorpi per bloccare il fattore di crescita dei macrofagi, le cellule responsabili della disgiunzioneone iniziale del virus. L'importanza di questo risultato e’ notevole perche’ i macrofagi, oltre a essere un serbatoio naturale dell'Hiv, hanno anche il potere di intaccare il sistema immunitario costituito dai linfociti T e di rendere la malattia inarrestabile. Ai topi sono stati inoculati macrofagi e linfociti umani per vedere le loro reazioni bloccando il fattore di crescita delle cellule. Alla fine si e’ potuto effettivamente appurare che negli animali bersagliati dagli anticorpi la malattia non progrediva. Il prossimo passo sara’ la sperimentazione sulle scimmie. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 16 lug. ’03 I VECCHI, ARMA SEGRETA DELL'EVOLUZIONE Una teoria spiega come mai gli individui vivono ben oltre la fine dell'eta’ fertile Perche’ esistono i nonni? Perche’ m alcune specie animali - fra cui uomini, delfini, ma anche alcuni uccelli e persino insetti - gli individui vivono ben oltre la fine della loro eta’ fertile? A dare una risposta a questa domanda, che sembra ovvia ma in realta’ non lo e’ affatto, ci ha pensato Ronald Lee, professore di demografia ed economia all'Universita’ della California a Berkeley. Nell'articolo pubblicato ieri su Pnas (Proceedings of the national academy of sciences) dal titolo: «Ripensare la teoria evoluzionistica dell'invecchiamento» Lee ha sviluppato una nuova teoria che tiene conto dell'azione economicamente positiva dei nonni verso figli e nipoti, siano essi delfini, scimmie, insetti o uomini. Soppesa cioe’ i vantaggi delle cure parentali rispetto allo svantaggio di non potere avere piu’ altri figli e formula un'ipotesi innovativa sulla forza che guida la selezione naturale: in gioco non c'e’ solo fertilita’ e mortalita’, e’ anche una questione economica. Partendo dal presupposto che il successo evolutivo di un individuo e’ basato sul numero di figli e sulla possibilita’ di questi di riprodursi (e dunque tramandare i geni), la teoria classica cerca di spiegare perche’ la mortalita’ aumenta con l'eta’: piu’ un organismo invecchia meno ha possibilita’ di avere figli, la selezione naturale percio’ agisce con meno forza nel cercare di migliorare la sopravvivenza degli individui anziani. In altre parole e’ meno efficace nell' eliminare quelle mutazioni negative che hanno effetto in eta’ avanzata, mentre altre che possono portare a un vantaggio da giovani, ma a un danno da vecchi, tendono ad accumularsi. Questo e’ vero per molte specie, perche’ tutto lo sforzo e’ concentrato nel creare il seme o l'uovo. I piccoli infatti, dopo la nascita, sono abbandonati a loro stessi. Tutti i mammiferi, alcuni uccelli, pesci e insetti si prendono invece cura della prole e spesso anche dei nipoti. E’ stato per esempio osservato che i delfini comuni e alcune balene (i globicefalo) fanno da baby-sitter ai nipoti, li proteggono e addirittura li allattano. Gia’ lo stesso William Hamilton, che formalizzo’ la teoria evoluzionistica dell'invecchiamento, aveva osservato che le madri, anche dopo la nascita possono favorire la riproduzione dei figli, e quindi indirettamente possono migliorare il loro successo riproduttivo. Altre ipotesi sul contributo dei vecchi alla sopravvivenza dei nipoti erano state avanzate, ma non erano state formalizzate. Lee ha percio’ cercato di trasformare queste osservazioni in una teoria completa, soste nuta da un modello economico che valuta gli scambi tra gli individui in un contesto evoluzionistico. «La teoria classica si concentra solo su fertilita’ e mortalita’ - spiega Lee - io credo invece che il limite al successo riproduttivo non sia solo basato su queste due variabili, ma sia invece dovuto alla possibilita’ di produrre piu’ di quello che consumiamo e quindi di potere investire queste risorse nei figli. Se la teoria classica prevede che l'efficacia della selezione naturale si riduca man mano che il periodo di fertilita’ rimasta diminuisce, io ipotizzo che dipenda da quanto potenziale economico e’ rimasto». Sugli adulti che aiutano i loro discendenti e dunque trasferiscono loro risorse, la selezione naturale continua, migliorandoli. La fertilita’ e’ infatti fondamentale nel processo evolutivo, perche’ consente la trasmissione dei geni, ma la produzione di un gran numero di replicati di materiale genetico (uova o sperma) e’ economica, mentre la trasmissione di cibo e cure e’ molto costosa e spesso diventa la maggiore limitazione a una riproduzione di successo. «Questa teoria - continua Lee - spiega anche perche’ la mortalita’ dei piu’ piccoli e’ molto alta e scende man mano che ci si avvicina all'eta’ riproduttiva: la selezione naturale protegge l'investimento dei genitori». Lee, che in passato ha lavorato soprattutto su modelli economici e demografici si e’ reso conto, leggendo la teoria evoluzionistica dell'invecchiamento, che mancava qualcosa: «Non teneva conto del trasferimento delle risorse», spiega. Ispirandosi a un'equazione del premio Nobel per l'economia, Paul Samuelson, Lee ne ha formulata un'altra che comprende diversi parametri, fra cui la produzione, il consumo e l'effetto della densita’ della popolazione. «Per esempio - spiega - se la fertilita’ e’ alta ne consegue che la popolazione. e’ giovane: ogni bambino deve consumare meno o produrre di piu’». La conclusione di Lee e’ che la selezione contro la mortalita’ senile, nelle specie che si prendono cura dei nipoti o almeno dei figli, e’ percio’ destinata a continuare. In quelle che riescono a ottimizzare il numero di figli e l'ammontare investito per ogni bambino, l'efficacia della selezione naturale non dipendera’ quasi per niente dalla fertilita’ rimasta agli individui. Per esempio nelle popolazioni di cacciatori raccoglitori, che in media hanno solo cinque o sei figli, ma un elevato investimento parentale. Nella loro evoluzione un cambiamento della fertilita’ non influisce molto. In accordo con questa teoria, studi sui primati mostrano che il sesso che piu’ si dedica alle cure parentali in media ha un aspettativa di vita maggiore. Gli uomini sono avvisati. LARA RICCI _____________________________________________________________ Avvenire 18 lug. ’03 TRASFUSIONI DI SANGUE, ORA LA SPERANZA E’ UN VERME Un verme delle coste bretoni potrebbe aiutare a risolvere la drammatica carenza di sangue da trasfusione: le emoglobine di questo invertebrato marino presentano infatti «proprieta’ funzionali molto vicine a quelle dell'emoglobina umana». Lo annuncia il Laboratorio di Oceanologia e di Biologia marina di Roscoff in Bretagna e che dipende dall'universita’ parigina Pierre e Marie Curie. Viene chiamato in Bretagna il verme del pescatore perche’ viene usato spesso come esca. II suo nome scientifico e’ arenicola marina e, spiegano i ricercatori Andre’ Toulmond e Franck Zal, ha «molecole di grandi dimensioni» cosicche’ se ne puo’ prospettare «l'iniezione diretta e il mantenimento nell'apparato circolatorio». Secondo l'universita’ Pierre e Marie Curie la scoperta costituisce «un'immensa speranza» per risolvere la carenza di sangue da trasfusione che su scala mondiale e’ stimata in 50 milioni di litri l'anno. La morale sarebbe disarmante, visti i pochi donatori: un verme, talvolta, ha piu’ cuore di un uomo. _____________________________________________________________ Il Giornale 19 lug. ’03 PROSTATA, UNA TECNICA INNOVATIVA Rischi ridotti al minimo al policlinico di Tor Vergata ANGELO RICCIARDI Le moderne tecniche chirurgiche consentono oggi di intervenire con successo nei confronti di malattie che fino a qualche decennio fa venivano considerate incurabili. Buona parte del merito va attribuito alle macchine, veri e propri robot che, opportunamente guidati dal chirurgo, si dimostrano sofisticati strumenti della tecnologia in grado di intervenire, senza il minimo errore, sul paziente. Un esempio di questa provvidenziale sinergia tra scienza e tecnica arriva dall'e’quipe diretta dal professor Francesco Micali, urologo di fama internazionale titolare, tra l'altro, della I cattedra universitaria presso il Policlinico di Tor Vergata. Della «squadra» dell'illustre clinico - che si occupa di molti interventi sul cancro alla prostata - fanno parte altri due insigni professori: Giuseppe Vespasiani, titolare della II Cattedra di urologia presso l'universita’ di Tor Vergala, e Guido Virgili. La specialista operatore dello staff e’ il dottor Enrico Finazzi Agro’, secondo il quale «l'intervento mediamente si protrae per due o tre ore e consente di risolvere positivamente circa il 93 per cento dei casi di cancro alla prostata, non ancora in metastasi». A spiegare nel dettaglio la metodologia interventistica e’ invece il professore Giuseppe Vespasiani: <,Questo tipo di intervento - puntualizza il clinico - si avvale dell'impiego di una sofisticata macchina denominata Ablatenn, gia’ testata negli anni passati in Francia e Germania. Questa complessa attrezzatura, grazie all'utili7zazione di un sondino, e’ in grado di sparare, con infinitesimale precisione, un focalizzato fascio di ultrasuoni che necrotizza i tessuti cancerosi, attraverso l'emissione di uno "sprazzo" energetico non inferiore a 100 gradi centigradi». Questo intervento, comunque - prosegue l'illustre clinico - comporta uno stress fisiologico molto basso, quindi puo’ essere facilmente sopportato anche da quei pazienti definiti non operabili, come ad esempio i’ cardiopatici. Va poi sottolineato che, rispetto al tradizionale intervento di asportazione della glandola, questa nuova tecnica non da’ luogo a sanguinamento o a successivi fenomeni di’ incontinenza" Anche sul piano della riproduzione permane una sicura funzionalita’, ovviamente proporzionata al danno gia’ provocato dalla malattia. Purtroppo - conclude il professor Vespasiani - al momento questo tipo di intervento puo’ essere praticato in solo quattro Policlinici italiani e, per convenzione, quello di Tor Vergata e’ stato designato ad accogliere tutti í pazienti del Centro-sud. Fortunatamente pero’ le degenze vengono, di massima, concluse nei tre giorni successivi alla data dell'intervento. E questo e’ il solo aspetto positivo di una malattia che purtroppo interessa circa il 5 per cento della popolazione laziale». A questo proposito c'e’ da ricordare l'importanza della prevenzione: con un normale prelievo di sangue e’ sufficiente richiedere anche il test del Psa, una sorta di «diagnosi precoce» che fa scattare un primo campanello d'allarme e consente di fare l'intervento senza alcun rischio. E le liste d'attesa a Tor Vergata? «La situazione - assicura Vespasiani - e’ abbastanza tranquilla. Dopo la prima visita ambulatoriale, il paziente viene iscritto in una graduatoria che noi esauriamo in un tempo massimo di 60 giorni. Comunque, per tutto quel periodo gli vengono prescritti idonei farmaci». _____________________________________________________________ Corriere della Sera 17 lug. ’03 TROVATA L' AREA DEL CERVELLO CHE REGOLA IL DOLORE Un aiuto nella terapia contro la sofferenza: la zona puo’ essere «spenta» con determinati farmaci Lo studio pubblicato su «Nature». Tra i ricercatori anche un italiano: «Si potra’ intervenire sul sistema nervoso centrale» De Bac Margherita ROMA - Il fachiro attraversa tranquillo un tappeto di chiodi come se passeggiasse per negozi. Non tradisce una sola smorfia di fastidio. Il pubblico lo guarda chiedendosi come riesca a sopportare quella tortura. Capacita’ che dipende dall' abitudine, dall' allenamento, dallo spesso strato calloso che riveste la pianta dei piedi. Il vero segreto pero’ e’ una piccola regione del cervello, chiamata insula. E’ qui che il dolore, qualunque origine esso abbia - dal molare trapanato dal dentista ad un calcio ricevuto su uno stinco -, una volta trasmesso dalla corteccia parietale viene rielaborato in sensazione sgradevole, negativa. Quando «l' insula e’ spenta», come dicono i neurologi, si soffre con minore intensita’. Cosi’ succede ai fachiri che si sottopongono anche a tecniche di ipnosi. Ed ecco perche’ ognuno di noi, probabilmente per predisposizione naturale, ha un livello piu’ o meno alto di sopportazione. Spegnere l' insula con i farmaci e’ una delle strategie contro il dolore. Un passo avanti in questa direzione e’ lo studio pubblicato oggi sulla rivista Nature. Per la prima volta e’ stato dimostrato - con esperimenti sui topolini - che iniettando in questa zona una sostanza prodotta dai neuroni per comunicare, il Gaba, si alleviano tutte le sensazioni negative. Si puo’ parlare di una sorta di «cabina di regia» del dolore costituita da due aree cerebrali. La corteccia parietale che riceve lo stimolo e l' insula che si attiva producendo una risposta emotiva, in questo caso non piacevole. Il lavoro apparso su Nature e’ firmato da Luc Jasmin, universita’ di California, uno dei piu’ noti scienziati in questo campo, diversi studi importanti pubblicati sulla prima lettura dei neurologi «Pain». Ha contribuito un italiano, Alberto Granato, dell' universita’ Cattolica di Milano: «Si aprono prospettive di nuove terapie del dolore, si potra’ intervenire a livello del sistema nervoso centrale e non periferico, come fanno gli analgesici piu’ comuni». Un futuro molto lontano, per ora si e’ ancora fermi agli esperimenti sui topi di laboratorio. «Il ruolo dell' insula e’ noto da tempo. Se un individuo mangia peperoncino, nel suo cervello si accendono diverse zone fra cui l' insula, che elabora una delle componenti del dolore, quella vegetativa ed umorale», spiega Piero Barbanti, docente di Neurologia all' universita’ «La Sapienza», clinico del dolore. La novita’ della ricerca italo californiana consiste nell' aver dimostrato che il neurotrasmettitore Gaba funge da inibitore e spegne i segnali dolorosi. Si potrebbe arrivare un domani a stimolare la produzione di Gaba con la terapia genica. «Le potenzialita’ antidolorifiche del Gaba erano gia’ note - ricorda Dino Amadori, l' oncologo di Rovigo molto impegnato nel campo delle cure palliative -. Una molecola, il gabapentin, prima utilizzata come antiepilettico, oggi puo’ essere impiegata per il dolore neuropatico, che non dipende cioe’ da infiammazioni o da stimoli esterni». Oggi sono disponibili due classi di analgesici. I Fans, contro i fenomeni infiammatori, e gli oppiodi (la morfina e’ il capofila) che possiedono recettori per intervenire sul sistema periferico e centrale. Margherita De Bac _____________________________________________________________ Corriere della Sera 18 lug. ’03 «L' ANDROPAUSA? NON ESISTE CREATA DALLA PIGRIZIA MASCHILE» Ricerca americana: dopo la mezza eta’ il testosterone cala pochissimo Scienziato accusa anche le industrie farmaceutiche: alimentano un mito per interesse De Bac Margherita Scienziato accusa anche le industrie farmaceutiche: alimentano un mito per interesse «L' andropausa? Creata dalla pigrizia maschile» Ricerca americana: dopo la mezza eta’ il testosterone cala pochissimo «Gli ormoni scendono soprattutto se uno mangia o beve troppo» ROMA - Tutta un' invenzione l' andropausa, intesa come modificazione dell' equilibrio ormonale maschile a scapito della sessualita’. «E’ un mito», sostiene a gran voce un ricercatore del Massachusetts, John McKinlay, istituto New England di Watertown. In realta’, secondo l' americano la perdita di vigore dell' uomo dopo una certa eta’ e’ dovuta ad altre modificazioni, indotte dagli stili di vita. Subentrano pigrizia, voglia di non fare, si beve e fuma di piu’. Per non contare che la vecchiaia porta inevitabilmente con se’ una serie di acciacchi. Fattori che messi tutti insieme addormentano il maschio. SOSTITUTIVI - McKinlay si dice certo che i maggiori sostenitori dell' andropausa sono le industrie farmaceutiche, interessate a vendere i sostitutivi del testosterone, l' ormone che superati i 60 comincia a scemare: «In tutto il mondo l' invecchiamento maschile alimenta interessi pubblici e anche, accidentalmente, il mercato lucrativo. Le industrie stanno producendo nuove cure». La stessa accusa che viene mossa, in altre sedi, a chi insiste sulla nascita di una nuova malattia, l' impotenza femminile, e sostiene la necessita’ di risolverla col Viagra rosa. McKinlay ha riesaminato i dati di uno dei piu’ ampi studi sull' invecchiamento dell' uomo, 1.700 pazienti. Ha concluso che gli ormoni del maschi declinano gradualmente con l' eta’, al ritmo del 0,5% all' anno, ma che non c' e’ evidenza dell' esistenza di una sindrome. IMPROPRIO - Andropausa si’ o no e’ un dibattito che va avanti da almeno 5 anni. Il termine e’ improprio perche’ nell' uomo non avviene quell' improvvisa caduta ormonale che determina la fine della vita riproduttiva nella donna. «Non c' e’ niente di definitivo. Fatalmente il livello di testosterone declina, ma spesso e’ un fenomeno che non viene avvertito - e’ d' accordo Giovanni Spera, internista endocrinologo dell' universita’ La Sapienza -. Un tempo questo processo prendeva avvio dopo i 50, mentre oggi e’ tardivo, dopo i 60, grazie al miglioramento della qualita’ della vita. Si e’ visto anche che il livello ormonale si ristabilisce con stili di vita sani, alimentazione corretta e attivita’ fisica». EUROPEO - L' Italia e’ coinvolta con alcuni centri in uno studio europeo che si prefigge di misurare il testosterone di 2.300 uomini negli anni. Per ora e’ stato concluso uno studio pilota su 200 individui tra 40 e 80 anni cui ha collaborato l' universita’ di Firenze: non sono state osservate «modificazioni significative del testosterone totale, quello che circola nel sangue - anticipa Gianni Forti, docente di andrologia -. Mostra invece un declino quello cosiddetto libero, che esercita certe funzioni tipicamente maschili, fa crescere la barba, da’ forza muscolare. Approfondiremo. Di sicuro c' e’ che la sessualita’ non e’ una risposta biochimica ma dipende da stato di salute della coppia, dall' atteggiamento psicologico, dalle condizioni della donna». L' Universita’ di Padova ha svolto un' indagine su una popolazione di ultra settantenni. Il 40% hanno affermato di aver mantenuto intatto il proprio desiderio sessuale. Margherita De Bac Dati scientifici I RISULTATI L' andropausa, a differenza della menopausa (che per la donna e’ segnata da una drastica caduta nella produzione di estrogeni) secondo alcuni studiosi americani non esiste. Hanno scoperto che i livelli di testosterone nell' uomo decadono solo di circa 0,5 per cento l' anno LA RICERCA Lo studio e’ stato effettuato su 1.700 pazienti. L' equilibrio ormonale comincia a variare dopo i 60 anni, ma il processo e’ cosi’ lento che non si traduce in un calo sensibile del desiderio sessuale INDUSTRIE FARMACEUTICHE Secondo John McKinlay, coordinatore della ricerca, sarebbero le case farmaceutiche ad avvalorare il «mito» dell' andropausa. Sono infatti interessate a vendere i sostitutivi del testosterone _____________________________________________________________ Corriere della Sera 18 lug. ’03 CESAREI IN AUMENTO: PIU’ 7 PER CENTO IN DUE ANNI Rodano (Ds) e Bonelli (Verdi): «C' e’ un abuso». I rimborsi: fino a 3.400 euro, 2.200 per il parto naturale L' Organizzazione mondiale della sanita’: la media degli interventi non dovrebbe superare il 20 per cento. I numeri. L' assessore Verzaschi: "Ispezioni in cliniche e ospedali." Il ginecologo: "Le madri soffrono meno per i medici e' piu' sicuro." Di Frischia Francesco Troppi parti cesarei nel Lazio: quattro bambini su dieci nascono cosi’. E negli ultimi due anni il numero di tagli chirurgici e’ cresciuto, senza valide motivazioni cliniche, di oltre sette punti percentuale. Il caso e’ ancora piu’ anomalo se si pensa che secondo l' Organizzazione mondiale della sanita’ (Oms) i cesarei non dovrebbero superare la quota del 20%, come avviene in Lombardia, Friuli e Toscana. Se negli ospedali del nord si rimane comunque sotto il 25-30%, in tutta l' Italia centro meridionale, invece, l' uso di cesarei interessa il 35-40% dei parti. Esaminando i dati diffusi dall' Asp, nel 2000 su 47.721 nati nella regione il 32,9% e’ venuto al mondo con il cesareo. Negli ultimi due anni, invece, gli epidemiologi hanno registrato un notevole aumento di casi: nel 2001 su 48.051 parti, i cesarei erano il 36,4% e nel 2002 la percentuale e’ arrivata al 39,9 su 49.723 nascite. A fare piu’ cesarei (61,3%) sono le cliniche private non convenzionate: il record spetta a Villa Europa all' Eur (75,9% su 170 parti), seguita dalla Quisisana (75,1% su 209 parti). La percentuale cala progressivamente nei policlinici universitari (45,7%), nelle cliniche accreditate (39,9%), negli ospedali classificati (38,4%), nelle aziende ospedaliere (36,5%) e nei presidi di aziende della Asl (34,8%). Il primo ospedale pubblico nella graduatoria e’ il Policlinico Umberto I con il 53% (su 1.714 parti), seguito dal Sant' Eugenio (50,5% su 1.714) e dal Santo Spirito (43,8% su 500 parti). La situazione viene vista con «allarme e preoccupazione» dai consiglieri regionali Giulia Rodano (Ds) e Angelo Bonelli (Verdi): «Si sta mettendo a rischio la sicurezza della donna, del neonato e la qualita’ del parto stesso. La crescita dell' uso, anzi dell' abuso di cesarei non e’ inevitabile». Per i consiglieri dell' opposizione dietro a questo incremento potrebbero esserci motivazioni economiche: «Saremo scandalizzati se dietro tutto questo si nascondessero gli interessi di chi specula sulla pelle di donne e neonati - precisa Bonelli -. Pero’ fa riflettere che per un parto cesareo con complicanze la Regione rimborsa a ospedali e cliniche convenzionate 3.400 euro e per un parto vaginale con complicanze 2.200. La differenza, 1.200 euro, non mi sembra trascurabile...». Analoga opinione da Giulia Rodano che aggiunge: «Il ricorso al cesareo e’ un emblema, il simbolo se si segua o no una politica sanitaria di qualita’: nel Lazio evidentemente questo non accade». Bonelli e la Rodano chiedono l' istituzione di una «commissione d' inchiesta», composta da medici. «Nel ' 99 la giunta di centrosinistra ha deciso incentivi economici per il parto naturale e disincentivi per le strutture che superano la percentuale fisiologica di cesarei - concludono -. E questi ultimi sono diminuiti nel 2000 del 2,5%. Poi la giunta Storace ha cancellato questi provvedimenti e il fiume in piena dei cesarei ha rotto gli argini». Francesco Di Frischia IL GINECOLOGO «Le madri soffrono meno, per i medici e’ piu’ sicuro» «Si tratta di un aumento irrazionale e ingiustificato». Alessandro Caruso, direttore dell' Istituto di clinica ostetrica e ginecologica del Policlinico Gemelli, usa parole pesanti per fotografare l' aumento di cesarei nel Lazio. «Escludo che il fenomeno abbia una natura economica - spiega l' esperto - perche’ con il cesareo crescono la durata della degenza e i costi di personale e della sala operatoria. Questo costringe il reparto a eseguire meno parti e quindi a incassare meno dalla Regione. Percio’ non e’ vero che con i cesarei ci si guadagna». Il frequente ricorso al taglio chirurgico «e’ causato da altri motivi di natura legale, culturale e antropologica - precisa Caruso -. I medici sono spinti al cesareo per rendere piu’ sicuro il parto e evitare il ricorso ai Tribunali quando ci sono cause legali per malformazioni del feto. E le donne lo preferiscono perche’ soffrono meno e lo giudicano un sistema sicuro, ma cosi’ non si salvaguarda di piu’ la salute di madre e figlio». I rischi di danni al nascituro «continueranno a verificarsi - fa notare il primario del Gemelli - a prescindere dall' uso del cesaero, ma la gente lo chiede, quasi lo impone al medico. E non tutti i miei colleghi hanno la forza per convincere la paziente a affidarsi al parto naturale». LA REGIONE L' assessore Verzaschi: «Ispezioni in cliniche e ospedali» «La giunta Storace ha approvato nel dicembre 2002 un meccanismo di incentivi per quelli naturali» «Mandero’ ispezioni in ospedali pubblici e cliniche convenzionate per verificare l' appropriatezza dell' uso dei cesarei: la Regione Lazio favorisce i parti naturali attraverso strumenti concreti di incentivazione economica». Marco Verzaschi, assessore regionale alla Sanita’, replica cosi’ alle critiche mosse dal centrosinistra, ricordando che «la giunta Storace ha approvato nel dicembre del 2002 un provvedimento che prevede, nell' ambito dei parti considerati a basso rischio, un meccanismo di incentivi per quelli naturali, da 300 a 450 euro, e disincentivi per il parto cesareo con penalizzazioni che vanno da 121 a 450 euro». I risultati, anche se parziali, di questa strategia «vengono da una prima valutazione di massima dei dati sui parti cesarei del primo trimestre di quest' anno - precisa Verzaschi - da cui emerge una flessione di un punto percentuale rispetto al 2002». In particolare, in base alla delibera di dicembre, le strutture che effettueranno tra l' 83 e l' 87% di parti naturali, percepiranno un incentivo di 300 euro. Il beneficio economico aumentera’ a 450 euro, se verra’ raggiunto un obiettivo compreso tra l' 88 e il 92,9%. Per le strutture che supereranno questa ultima quota, si prevede un incentivo di 300 euro per il 5% dei parti e di 450 euro a un altro 5%. Per i parti naturali eseguiti dopo un primo cesareo verra’ applicata una remunerazione aggiuntiva pari al 50% della tariffa. Le disincentivazioni economiche per i parti cesarei, prevedono una penalizzazione di 121 euro se verra’ superata la quota del 25%, mentre se il superamento e’ compreso tra il 30 e il 35%, si applichera’ una decurtazione di 121 euro sul 5% dei parti e di 170 euro sulla quota che supera il 30%. Oltre quest' ultimo limite verranno tagliati 121 euro al 5% dei parti, 450 euro ad un altro 5% e 243 euro sulla quota di parti che eccede il 35%. F. D. F. _____________________________________________________________ Carriere della Sera 16 lug. ’03 IL SECONDO PARERE? VADO A CERCARMELO SULLA RETE MOLTI GLI ITALIANI CHE CONSULTANO I SITI DEDICATI ALLA CONOSCENZA E CURA DI MALATTIE GRAVI E RARE Internet e’ sempre piu’ d'aiuto nell'immensa sfera della medicina. E di pari passo aumentano gli italiani (come figura anche dal grafico qui sopra) che si affidano alla rete per trovare conferme o pareri su diagnosi mediche ma anche per identificare velocemente quale struttura (o professionista) reale possa essere d'aiuto nella cura di malattie gravi e rare. Un atteggiamento piu’ libero, adeguato ai tempi, che segnala tra l'altro una predisposizione piu’ attiva nei confronti della scienza medica. Ecco dunque moltiplicarsi i siti che rispondono ai quesiti dei navigatori, offrono informazioni su tutti i settori della moderna medicina e aiutano a "interpretare" le diagnosi. "Cercare un confronto online - dice Guido Rosadini, professore emerito di neurofisiopatologia all'Universita’ di Genova - e’ sicuramente molto positivo. E fa parte di una crescente educazione sanitaria. Diverso invece cercare su Internet una vera e propria diagnosi, cosa che sconsiglio vivamente: in questo caso e’ indispensabile il confronto diretto con il medico che deve poter valutare oggettivamente i segni della malattia". Il primo sito che detta la politica in questo settore e’ quello gestito dal ministero della Salute (www.ministerosalute.it) . Dalle malattie rare, di cui e’ fornito un elenco aggiornato, ai centri per i trapianti, alla prevenzione: online viene esaminato con competenza e affidabilita’ ogni singolo aspetto fornendo con chiarezza informazioni e indirizzi. Sono invece gestite dall'Istituto Superiore della Sanita’ le pagine dedicate al Centro nazionale malattie rare (www.malattierare.iss.it) . Sul sito il problema e’ affrontato in profondita’: dalle questioni medico-normative alle informazioni sui cosiddetti "farmaci orfani", ovvero quelle medicine che non danno ritorno economico ai produttori. Da segnalare anche Dica33 (www.dica33.it) : secondo Nielsen NetRatings e’ il piu’ cliccato in Italia, con i suoi 200 mila e piu’ utenti unici al mese. Dica33.it fornisce un prontuario con tutte i quesiti gia’ affrontati dagli esperti e, ovviamente, la possibilita’ di ricevere online una risposta diretta. Ricco di rubriche, il sito offre un glossario di termini medici, un manuale di automedicazione e gli indirizzi utili nella sanita’. Le malattie rare sono affrontate in una sezione a parte. Su Sanihelp (www.sanihelp.it) , oltre a dialogare con l'esperto, si puo’ tra l'altro effettuare una sorta di minicheck-up in diversi ambiti scientifici, dalla sessuologia (per valutare le dipendenze), alla psicologia (per verificare gli stati d'ansia), all'alimentazione (per calcolare il peso forma). Da segnalare ancora Xagena (www.xagena.it) e Salus (www.salus.it) : anche questi tra i piu’ cliccati, offrono informazioni generiche e specifiche in ogni campo della medicina. Oltre 200 mila utenti per dica33.it Online anche mini check-up Paolo Salom _____________________________________________________________ Repubblica 17 lug. ’03 L’AIDS "SOMMERSO" In 50 mila non sanno di essere contagiosi Secondo "Icona", la piu’ grande indagine al mondo sulla malattia. Moroni: "Non si curano bene" DI ANTONIO CAPERNA L’Aids e’ in Italia la malattia dei quarantenni "normali": una persona su tre, che scopre di essere sieropositiva, ha piu’ di 40 anni e 1 su 2 (il 52,8 per cento) ha superato i 30: il 19,4 per cento ha un’eta’ variabile tra i 40 e i 50 e il 7 per cento e’ over 50. E’ questa la fotografia dell’Aids in Italia, in base al Rapporto 2003 di Icona (Italian CohOrt of Naive Antiretroviral patients), il piu’ grande studio osservazionale al mondo, presentato il 3 luglio a Roma. Iniziato nel 1997 per concludersi nel 2007, lo studio Icona, che vede in prima linea l’intera infettivologia italiana (69 centri clinici coordinati da 6 Universita’), coinvolge 5.469 pazienti (il 70,1 per cento maschi e il 29,9 per cento femmine) e anche quest’anno svela una nuova realta’ per il nostro Paese. L’Aids non e’ piu’ una malattia dei giovani e di alcune categorie definite ma di uomini e donne di mezza eta’ con esistenza delineata, famiglia stabile e carriera al top (il 30,6 per cento ha un diploma e il 5,2 per cento una laurea), che si sono probabilmente infettati alla fine degli anni Ottanta, sicuramente per via eterosessuale (il 35 per cento degli uomini e il 64,4 per cento delle donne). In particolare questo tipo di contagio e’ passato dal 30,7 al 43,6 per cento negli ultimi 3 anni. Diversa e’ la modalita’ di acquisizione del virus in base al sesso: Fra i maschi il 62,6 per cento si e’ infettato da un partner occasionale di cui ignorava la sieropositivita’, mentre, tra le femmine, il 36 per cento dal partner abituale di cui era perfettamente a conoscenza dello stato di malattia. Un contagio questo spesso sottovalutato, con la conseguenza di avere contribuito alla diffusione dell’Hiv, un virus che, secondo gli esperti, in Italia ha infettato fino ad oggi 110 mila persone, la meta’ delle quali e’ ancora inconsapevole del proprio stato e va ad alimentare quel fenomeno pericoloso che e’ il "sommerso". «L’infezione da Hiv in Italia», afferma Mauro Moroni, direttore dell’Istituto di Malattie Infettive dell’Universita’ di Milano e coordinatore di Icona, «fa il suo ingresso nella coppia veicolata dall’uomo, che si contagia attraverso rapporti occasionali e poi infetta la moglie o la compagna. Molti sono poi coloro che ignorano di aver contratto il virus, tanto che il problema del "sommerso" e’ destinato ad aumentare». Preoccupa poi il fatto che la visita dallo specialista avvenga a molti anni di distanza dal momento in cui ci si accorge di avere l’Hiv. «Un’indagine condotta su 968 pazienti arruolati in Icona, sovrapponibile alla situazione italiana», spiega Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Ospedale Spallanzani di Roma, «mostra come sia ben di 6 anni il tempo medio tra quando una persona si scopre HIV positivo e la prima visita in un centro specialistico, periodo durante il quale non si sottopone ad alcuna terapia ne’ esegue esami di laboratorio, come la conta dei linfociti CD4 o la viremia Hiv, indispensabili per una valutazione dell’infezione. Il 15 per cento di questi pazienti, inoltre, si reca dallo specialista per la prima visita quando l’infezione e’ in uno stadio avanzato, quindi con un’immunodeficienza grave o Aids conclamato». Ma anche chi inizia la terapia non riesce a seguirla fedelmente: ben il 20 per cento interrompe, pericolosamente, l’assunzione dei farmaci per 3 mesi. «Il progetto Icona», conclude Mauro Moroni, «e’ una felice intuizione, i cui meriti vanno equamente divisi tra le Universita’, gli ospedali e l’industria farmaceutica». _____________________________________________________________ Repubblica 17 lug. ’03 CROHN, FACILE DA DIAGNOSTICAREMA NON ALTRETTANTO DA CURARE Dissenteria, dolori addominali, sangue nelle feci, "febbricola" e calo di peso possono essere sintomi che anticipano la diagnosi del Morbo di Crohn (o ileite terminale), patologia infiammatoria cronica intestinale che colpisce circa 100 mila italiani dai 30 ai 40 anni di entrambi i sessi, anche se alcuni studi evidenziano una lieve predisposizione nelle donne. Diagnosticarlo e’ facile basta un esame del sangue curarlo e’ piu’ complesso: «Antibiotici, cortisonici, antinfiammatori possono essere efficaci nelle fasi acute ma non escludono il possibile intervento chirurgico che non sara’ comunque una soluzione definitiva: una recidiva resta possibile», spiega il direttore della Scuola di Specializzazione in endocrinologia, allergologia ed immunologia clinica dell’Universita’ Cattolica, Paolo Pola, al simposio "Malattie infiammatorie croniche intestinali". «Anche gli immunosoppressori sono utili nella cura di questa patologia che potrebbe essere causata da un agente immunologico contro la mucosa intestinale». Sconosciute le cause di questa malattia che puo’ colpire tutti gli strati della parete intestinale e dei linfonodi regionali, ma piu’ spesso l’ileo terminale ed il colon e che nei bambini ritarda la crescita. Efficace la dieta ad alto contenuto di fibre: pare che favorisca la formazione d’una flora batterica piu’ efficace e reattiva. Da aumentare il consumo degli "Omega3" contenuti negli oli di semi di lino e di pesce. (laura cappozzo) _____________________________________________________________ Le Scienze 19 lug. ’03 NESSUN RIGETTO PER LE CELLULE STAMINALI NEURONALI La scoperta potrebbe migliorare la qualita’ dei trapianti di retina e di tessuti cerebrali Per la prima volta gli scienziati hanno mostrato che le cellule staminali del cervello godono di un privilegio immunitario, vale a dire che sono invisibili al sistema immunitario del destinatario di un trapianto e percio’ non innescano un meccanismo di rigetto. Questi risultati, pubblicati sul numero di luglio della rivista "Stem Cells", indicano che l'uso di cellule staminali del sistema nervoso centrale nei trapianti per la cura di malattie dell'occhio, del cervello e del midollo spinale potrebbe eliminare la necessita’ di determinare il tipo di tessuti prima e di somministrare farmaci immunosoppressivi poi. Inoltre, potrebbero aumentare la possibilita’ di successo dei trapianti di retina, potenzialmente in grado di rigenerare la vista di milioni di persone che soffrono di degenerazione maculare, retinite pigmentosa e retinopatia diabetica, nonche’ dei trapianti cerebrali, per restaurare la funzionalita’ dei pazienti che soffrono di disturbi quali il morbo di Parkinson. "Sono scoperte molto interessanti, - commenta Michael Young, ricercatore dello Schepens Eye Research Institute e autore principale dello studio. - Anche se sospettavamo gia’ che le cellule staminali del cervello fossero protette in questo modo, questa ne e’ la prima prova documentata". Young e colleghi hanno studiato il potenziale delle cellule cerebrali nei trapianti lavorando con topi geneticamente modificati. _____________________________________________________________ Le Scienze 16 lug. ’03 COME L'IRIDE PROTEGGE L'OCCHIO Una proteina evita l'infiammazione Scienziati dello Schepens Eye Research Institute hanno scoperto che l'epitelio pigmentato dell'iride (IPE), un sottile strato di cellule che riveste l'iride dell'occhio, produce una molecola che disattiva le cellule T, quelle che normalmente attaccano ed eliminano i microbi estranei che invadono il corpo. I risultati dello studio, pubblicato sul numero del 7 luglio della rivista "Journal of Experimental Medicine", sono i primi a spiegare il meccanismo con cui l'iride protegge l'occhio da eventuali risposte immunitarie infiammatorie che potrebbero provocare la cecita’. Secondo gli autori, la scoperta potrebbe portare allo sviluppo di terapie contro malattie quali uveiti, herpes e infezioni virali dell'occhio che affliggono milioni di persone e che sono provocate da risposte immunitarie non opportune. "L'occhio gode di uno stato privilegiato per quanto riguarda il sistema immunitario - spiega J. Wayne Streilein, docente di oftalmologia alla Harvard Medical School - e il nostro studio rappresenta un grande passo avanti per cercare di comprenderne il meccanismo. Quando funziona bene, infatti, questo sistema protegge la nostra vista, ma se qualcosa va storto non e’ in grado di impedire all'infiammazione immunitaria di provocare gravi danni". Gli occhi, il cervello e il sistema riproduttivo hanno tutti il privilegio di ricevere la protezione del sistema immunitario senza essere soggetti ai danni dovuti all'infiammazione che spesso accompagna l'eliminazione di microbi estranei in altre parti del corpo. L'infiammazione, il metodo con cui di solito il corpo si difende, puo’ infatti danneggiare anche i tessuti degli organi che tenta di difendere. L'occhio necessita di questo stato privilegiato perche’ non e’ in grado di rigenerarsi: ogni infiammazione, anche se innescata dal sistema immunitario a fin di bene, puo’ danneggiare tessuti delicati e provocare una cecita’ permanente. Da anni gli scienziati sapevano che le cellule dell'IPE possono inibire le cellule T del sistema immunitario, ma ora Streilein e colleghi hanno descritto il meccanismo con cui lo fanno: mediante una molecola chiamata CD86, che si lega a un'altra chiamata CTLA-4 sulle cellule T, disattivandole. _____________________________________________________________ La Stampa 16 lug. ’03 DAI LINFOCITI T IL SEGNALE D’ALLARME PER PREVENIRE IL DIABETE GIOVANILE PROBLEMA SOCIALE IN ITALIA 50 NUOVI CASI ALL’ANNO PER MILIONE DI ABITANTI LA DIAGNOSI PRECOCE DEVE AVVENIRE PRIMA CHE VENGANO DISTRUTTE LE BETA-CELLULE PANCREATICHE. «TETRAMERI», EFFICACI ESCHE MOLECOLARI Paolo Cavallo-Perin (*) IL diabete giovanile (o diabete tipo 1, in contrapposizione al diabete tipo 2 dell'anziano) colpisce prevalentemente bambini e adolescenti, con una frequenza in Italia di 50 nuovi casi ogni milione di abitanti all'anno. Fa eccezione la Sardegna, dove il numero di casi annui e’ 6 volte maggiore rispetto alla media nazionale, simile a quello di altri paesi ad elevata incidenza, come la Finlandia. Nei bambini diabetici, le beta-cellule del pancreas che normalmente producono l'insulina vengono distrutte dal loro stesso sistema immunitario. Questo processo viene avviato da cellule del sangue chiamate linfociti T. I linfociti T normalmente difendono il nostro corpo attaccando invasori esterni quali virus e batteri, ma talora fanno lo stesso con i nostri stessi tessuti. Questo auto-attacco (detto anche autoimmunita’) causa la distruzione delle beta- cellule del pancreas deputate alla produzione di insulina, per cui viene a mancare l'ormone che normalmente controlla la quantita’ di glucosio presente nel sangue. Il glucosio non piu' controllato dall’insulina sale vertiginosamente, in particolare dopo i pasti, provocando "iperglicemia". I linfociti T distruggono erroneamente le beta-cellule del pancreas perche’ frammenti proteici di questo tessuto vengono impropriamente riconosciuti e scambiati per invasori esterni. In seguito a tale riconoscimento, i linfociti T si attivano, ovvero iniziano a distruggere i tessuti da cui questi frammenti derivano ed istruiscono altre cellule del sistema immunitario a fare altrettanto. Alcuni individui sono piu’ predisposti a sviluppare il diabete giovanile perche’ i loro linfociti T sono geneticamente piu’ suscettibili all'errore nel riconoscimento. Essendo la suscettibilita’ ereditata per via genetica, parenti di individui diabetici sono essi stessi soggetti a rischio per diabete giovanile. Tali soggetti a rischio possono essere identificati con test genetici ed altri esami, ma questa informazione e’ di limitata utilita’. Solo una piccola percentuale di soggetti a rischio finisce infatti per sviluppare il diabete e, nel momento in cui questo puo’ essere diagnosticato con certezza, la distruzione delle beta-cellule pancreatiche e’ ormai completa. A questo stadio, si puo’ ormai soltanto somministrare l'insulina mancante sotto forma di ripetute iniezioni quotidiane. Sarebbe invece molto piu’ soddisfacente poter arrivare prima alla diagnosi, in modo da preservare le beta-cellule ed evitare la dipendenza dall'insulina che caratterizza il diabete giovanile. A tale scopo, nuove molecole sintetiche chiamate "tetrameri MHC di Classe II" sono state sviluppate al Benaroya Research Institute di Seattle e potrebbero in futuro permettere una diagnosi piu’ precoce identificando chi, tra i soggetti a rischio, sviluppera’ il diabete. I tetrameri sono esche molecolari che riconoscono selettivamente quella piccola frazione di linfociti T autoreattivi responsabili del diabete. Si tratta di molecole sintetizzate in laboratorio che riproducono il frammento di proteina del pancreas riconosciuto dai linfociti autolesivi. Tale frammento e’ inserito in un'altra molecola detta MHC di Classe II, la "cornice di lettura" specifica per ogni individuo nel contesto della quale il frammento viene riconosciuto. Con i tetrameri, e’ possibile controllare periodicamente i soggetti a rischio e, in base al numero e/o alle caratteristiche dei loro linfociti T, predire se e quando l'attacco contro le beta-cellule pancreatiche avra’ luogo. Quando i linfociti T riconoscono erroneamente i frammenti di pancreas, essi iniziano a moltiplicarsi e ad attivarsi, distruggendo le beta-cellule. Pertanto, quando il numero o lo stato di attivazione dei linfociti T riconosciuti dai tetrameri aumenta, e’ possibile prevedere che la battaglia contro le beta-cellule e’ imminente. Questa previsione e’ molto importante in quanto indica il momento migliore per intervenire, tentando di fermare i linfociti T anomali. Si tratta di far riguadagnare a tali linfociti la cosiddetta "tolleranza immunologica" perduta, ovvero indurli nuovamente a non attaccare i tessuti propri dell'individuo, ma a convivere pacificamente con essi. Uno degli approcci piu’ promettenti a questo scopo e’ somministrare, sotto forma di vaccino, versioni lievemente modificate degli stessi frammenti proteici derivati dal pancreas. Tali frammenti modificati "ingannano" i linfociti, venendo riconosciuti ugualmente ma inducendo in essi uno stato di riposo piuttosto che di attivazione. Bloccare l'attacco al pancreas dall'inizio potrebbe potenzialmente curare la malattia. Grandi speranze sono riposte in questa nuova tecnologia. L'Istituto Superiore di Sanita' americano (NIH), ha finanziato un importante progetto di ricerca collaborativo chiamato Immune Tolerance Network, della durata di 7 anni e con 15 sperimentazioni cliniche attualmente in corso. Nell'ambito di questo progetto, giovani gia’ diabetici o a rischio vengono identificati, vaccinati periodicamente con frammenti proteici del pancreas e seguiti nel tempo con i tetrameri per valutare il loro rischio iniziale e la successiva risposta al vaccino. I risultati raccolti nei prossimi anni consentiranno di chiarire molti dei meccanismi alla base dell'autoimmunita’ nel diabete e di generare nuovi strumenti per una diagnosi piu’ precoce, creando le premesse per una terapia piu’ efficace. [TSCOPY](*)Benaroya Research Institute, Seattle (Usa) e Universita’ di Torino Roberto Mallone (*) _____________________________________________________________ La Stampa 17 lug. ’03 AMIANTO, NEMICO NON ANCORA SCONFITTO La legge non obbliga il possessore a rimuoverlo ma a mantenerlo in buone condizioni Da «Medical Tigullio» la garanzia di una corretta bonifica Con il termine Amianto si indica un gruppo di minerali a struttura microcristallina e dall'aspetto finemente fibroso, resistente, non infiammabile, a basso costo. Se n’e’ fatto ampio uso per le sue proprieta’ di fonoassorbenza e isolamento termico. Gia’ negli anni 20, pero’, la comunita’ medica individuo’ uno stato fibrotico del polmone, simile alla silicosi, in conseguenza all'amianto. In italia, secondo l'ultimo rapporto dell'Istituto Superiore di Sanita’, muoiono circa 1000 persone l'anno a causa dell'esposizione all'amianto la cui pericolosita’ dipende dalla capacita’ dei materiali di rilasciare fibre, potenzialmente inalabili. Anche a decenni da quando e’ avvenuta l'esposizione, si trovano i segni dell'amianto nei tessuti del polmone e pleurico, ed e’ stato dimostrato che una parte dell'asbesto respirato non viene espulsa e resta «intrappolata» nei polmoni. L'amianto puo’ provocare non solo un mesotelioma pleurico: rappresenta il 15% dei tumori che colpiscono persone affette da asbestosi, dove non vi e’ asbestosi e’ quasi inesistente il mesotelioma pleurico. Alla prima Conferenza Nazionale sull'amianto si e’ confermato che la concentrazione di piogge ha prodotto un rapido degrado delle superfici di tetti, in quanto a 5-10 anni di vita un manufatto in eternit puo’ rilasciare fibre in misura notevole. La legge non obbliga il possessore di questi materiali a rimuoverli, ma a mantenerli in buone condizioni di conservazione, ad una costante verifica (crepe o rotture, friabilita’, muschi, affioramenti di fibre), al fine di evitare dispersione di fibre. L'amianto puo’ essere di natura friabile (la piu’ pericolosa, presente nelle tubazioni o nei rivestimenti a spruzzo) e compatta (la piu’ frequente, nelle coperture e nelle canne fumarie). Le lastre piane o ondulate di cemento-amianto, impiegate per la copertura in edilizia, piu’ comunemente chiamate eternit, sono costituite da materiale non friabile, di una durata notevole (ci sono tetti che risalgono a 30 o 40 anni fa). L'amianto di natura friabile e’ considerato un rifiuto pericoloso e puo’ essere smaltito in una particolare discarica autorizzata detta di tipo C (con costi elevati rispetto alla Discarica A, dove si porta l'eternit); fino al 31/12/01 il manufatto in fibrocemento contenente amianto detto «Eternit» era considerato «speciale non tossico nocivo» ed era smaltibile in Discarica A. Dal 1/1/02 con la decisione 2001/118/ce, anche l’«Eternit» e’ diventato un rifiuto pericoloso, e dovra’ quindi essere smaltito in Discarica tipo C, ma per un periodo di transizione successivamente prorogato si puo’ ancora smaltire nella vecchia maniera (si e’ in attesa di regolamento in merito). La Medical Tigullio e’ un'impresa specializzata in bonifiche da amianto e si avvale di personale qualificato da corsi presso il C.I.P.E.T. tenuti dai docenti piu’ qualificati sul territorio nazionale, che come primaria attivita’ svolgono il ruolo di ispettori presso le A.S.L. territoriali. La Medical Tigullio e’ abilitata ad effettuare bonifiche di amianto sia per la rimozione delle lastre di copertura in «eternit» sia per quanto riguarda le bonifiche di amianto floccato per intonaci o coibentazioni di tubi, e’ inoltre iscritta presso la C.C.I.A.A. di Torino ed in possesso del Certificato di qualificazione all'esecuzione di lavori pubblici per le categorie OG1 (Manutenzioni edili) e OG12 (Bonifiche ambientali). La Medical Tigullio effettua sopralluoghi preliminari gratuiti, provvede ad effettuare il piano di lavoro adeguandosi al D.L. 277/91 e in particolare art.34 e D.M. 6.9.94, descrivendo dettagliatamente tutte le operazioni che si effettueranno. Nel piano stesso verranno contenute tutte le informazioni riguardanti i dipendenti, i sistemi di protezione adottati, di accantonamento temporaneo del materiale rimosso, dell'unita’ di decontaminazione, trasporto e smaltimento, il tutto corredato di schede di sicurezza e fotocopie dei documenti comprovanti il piano di lavoro, dopodiche’ il tutto sara’ sottoposto all'approvazione dell'ASL. La Medical Tigullio attua diverse metodologie di intervento, oltre la rimozione, quali l'impregnatura, l'incapsulamento, la sovraccopertura e qualsiasi copertura.