I RETTORI: L' AUTONOMIA DELL' UNIVERSITA’ E’ IN PERICOLO TOSI: NON ACCETTIAMO IL MONITORAGGIO CONTROLLI SULLE UNIVERSITA’, IL GOVERNO FRENA UNIVERSITA’, QUEL 3+2 VA RIVISTO MORATTI: «DOTTORATI DA POTENZIARE» SCUOLA: CIAMPI DIFENDE L’ISTRUZIONE PUBBLICA TAGLI AI FONDI DELLE SCUOLE PUBBLICHE: MENO 10MILIONI IL MONDO DELLA RICERCA NON AMA LE DONNE MORATTI: MENO TASSE SULLA RICERCA UNIVERSITA’, IL GOVERNO TAGLIA I FONDI RICERCA, I TAGLI METTONO A RISCHIO I FONDI STRATEGIE PER IL MOTORE INNOVAZIONE RICERCA E TECNOLOGIA ECCO LA NUOVA 488 URBINO: L'UNIVERSITA’ CERTIFICATA PER LA QUALITA’ I GARANTI EUROPEI DELLA PRIVACY: MANEGGIARE CON CURA I DATI BIOMETRICI UNIVERSITA’, POLEMICHE SULLE AMMISSIONI ALLA LAUREA IN MEDICINA LA LOTTA A1 TERRORISMO PUNTA SULLA BIOMETRIA ================================================================== LA SANITA’ E’ IN LISTA D'ATTESA SANITA’ SARDA: I CONTI SONO IN ROSSO: DEBITI PER 240 MILIONI DI EURO SANITA’ SARDA: L’ORA DELLE SCELTE I PICCOLI OSPEDALI E IL PIANO SANITARIO SANITA’, EMERGENZA PER LE CASE DI CURA FARMACI, DANNOSI I TAGLI AI BREVETTI ALLERGIE, LA MALATTIA DEL SECOLO NEGLI USA E’ CACCIA A NUOVE CURE IL GENE-REGISTA DELLA PSORIASI NA LE ORE CONTATE LE STAMINALI RICOSTRUISCONO LA DENTIERA LE CELLULE STAMINALI POSSONO «RIPARARE» IL CUORE E BOOM PER I TEST GENETICI MA SPESSO SONO, INUTILI ALZHEIMER, COME NON DIMENTICARSI DEI MALATI CHE DIMENTICANO CALCOLARE L'ASPETTATIVA DI VITA COME BLOCCARE LA MORTE NEURALE NELLE ISCHEMIE IMPEDIRE LA TRASMISSIONE VERTICALE DELL'HIV MALATTIE RARE, CANCRO, FIBROSI STESSA CURA? LA TERAPIA ORMONALE TRA DUBBI E BENEFICI ================================================================== _________________________________________________________ Corriere della Sera 15 Sett. 03 I RETTORI: L' AUTONOMIA DELL' UNIVERSITA’ E’ IN PERICOLO I rettori: c' e’ una bozza di riforma del Tesoro e dell' Istruzione. «Controlli su stipendi, cattedre e programmi» Latella Maria ROMA - Sta per crollare lo jus cathedrae, il diritto sacro e inviolabile a nominare un ordinario qua, un ricercatore la’. E' a rischio quel delicato e complicato sistema di potere grazie al quale si sono costruite carriere e magari anche alimentati amori clandestini, d' accordo. Vero e’ che, proprio usando in autonomia le risorse, i rettori piu’ bravi son riusciti, in questi anni, a far galleggiare le universita’ italiane, nonostante tutto. Sotto accusa, nei rettorati d' Italia, e’ oggi la coppia governativa piu’ ascetica e lombarda, Letizia Moratti e Giulio Tremonti, attualmente sospettata di aver ordito un colpo di mano, una mossa spregiudicata che «loro», i rettori, non faranno passare perche’, dicono, «di fatto cancella la nostra autonomia». Il golpe sta tutto in due sottili paginette e in una dozzina di commi: una bozza stilata, si dice, da due stretti collaboratori dei ministri. Al comma 2 si spiega che il ministro dell' Istruzione, dell' Universita’ e della Ricerca, sentiti i rettori e il consiglio degli studenti universitari, determina con proprio decreto - nei limiti stabiliti dalla finanza pubblica - le risorse da destinare al perseguimento degli obiettivi. Al comma 3 si precisa che, previa intesa con il ministro dell' Economia e della Finanza, «si determinano le risorse destinate al reclutamento del personale docente, ricercatore e tecnico amministrativo delle Universita’». Al comma 4 si illustra come dovranno comportarsi le Universita’: adotteranno «programmi triennali scorrevoli, coerenti con le linee generali di indirizzo», tendenti a individuare «il fabbisogno di personale docente, i corsi di studio da attivare, il programma di sviluppo della ricerca, i programmi di internazionalizzazione». Ogni programma triennale elaborato da ciascuna universita’ verra’ «monitorato», c' e’ proprio scritto cosi’, dal ministero dell' Istruzione, dell' Universita’ e della Ricerca e «gli esiti del monitoraggio saranno comunicati anche al ministero dell' Economia e delle Finanze, ai fini della verifica dell' andamento della spesa». Secondo i capi dell' universita’ italiana in quei due fogli c' e’ la prova provata che il ministro dell' Economia Tremonti, d' accordo questa volta con Letizia Moratti, ha intenzione di avocare al suo ministero non solo la gestione degli stipendi del personale docente e non docente dell' universita’, ma, di fatto, gran parte delle scelte finora lasciate ai rettori. I gradi della preoccupazione conoscono, ovviamente, una vasta gamma di sfumature: si va da chi dissente per meta’ dalla proposta Tremonti-Moratti a chi dissente in toto e, memore delle clamorose dimissioni di massa minacciate l' anno scorso, si dice disposto a ripresentarle formalmente. In ogni caso, il giorno della rivolta e’ vicino: il 23 settembre, quando Letizia Moratti incontrera’ tutti i rettori d' Italia. Massimo Egidi, a capo dell' universita’ di Trento, non e’ tra i piu’ critici, riconosce la saggezza di «voler mettere sotto controllo la crescita dei salari». «Altra cosa, pero’, e’ gestire il denaro che resta una volta pagati gli stipendi. La questione e’ delicata: chi decidera’, per esempio, la politica delle cattedre?». Le cattedre, gia’: suolo sacro e inviolabile dei rettori, un vasto territorio sul quale si costruiscono ascese e discese, amicizie, carriere. L' universita’ non accetta, si dice, un controllo cosi’ invasivo. Per di piu’ imposto attraverso un articolato della finanziaria: «Questa e’ una vera e propria riforma e non si puo’ farla passare con un trucco. Una riforma si discute e si vota in Parlamento», protestano i piu’ irritati. Enrico Decleva, rettore della Statale di Milano, non e’ tra questi, ma riconosce di essere allarmato: «Se questa bozza passasse cosi’ com' e’, sarebbe, di fatto, la fine dell' autonomia universitaria». Tutto nasce, si capisce, dal solito problema di soldi. Prima i rettori procedevano a pagare gli aumenti di stipendio quasi automaticamente. Da qualche tempo, invece, il sistema e’ in sofferenza. Cercando un soluzione, al ministero della Moratti avrebbero trovato questa: gli stipendi li paghera’ il ministero dell' Economia, inclusi quei benedetti aumenti. In cambio, ogni altra scelta dovra’ essere attentamente valutata. I rettori, ovviamente, diffidano e, come Massimo Egidi, si chiedono perche’, per far passare gli stipendi universitari sotto il controllo del ministero di Tremonti, a Tremonti si debba dare anche il controllo delle altre decisioni. Finora ogni universita’ poteva contare sul fondo ordinario di finanziamento col quale pagava gli stipendi. Se poi le restavano denari, si decideva come investirli. Accanto a istituzioni virtuose come il Politecnico di Milano, che agli stipendi devolve solo il 63 per cento del proprio budget, ve ne sono altre che per i dipendenti prosciugano quasi tutto il finanziamento, ma sono una minoranza. «Per colpa loro, ci rimetteremo tutti?», si interrogano i rettori buoni. Quelli «cattivi», e’ vero, magari hanno finanziato l' apertura di cattedre a destra e a manca, talvolta pure demenziali, ma «si colpiscano loro, non noi». Il professor Decleva sintetizza: «Un' universita’ finora poteva decidere se aumentare il numero dei ricercatori o invece assumere un professore ordinario. Se comprare un macchinario o un altro. Con questa proposta, il meccanismo sarebbe molto piu’ farraginoso. Bisognerebbe presentare un piano triennale, farlo valutare dal ministero dell' Istruzione, sperare che il monitoraggio del ministero dell' Economia non lo blocchi... Qualcuno, in questi anni, ha sgarrato? Si intervenga sul singolo errore. Non sull' autonomia di tutta l' universita’». Maria Latella www.corriere.it Sul sito del Corriere il forum sulla scuola La riforma IL TESTO La bozza di riforma stilata dai ministeri dell' Istruzione e dell' Economia prevede nuove modalita’ di gestione delle risorse economiche nelle universita’. Il testo, di due pagine, contiene una dozzina di commi LE RISORSE Il comma 3 precisa che, previa intesa con il ministro dell' Economia e della Finanza, «si determinano le risorse destinate al reclutamento del personale docente, ricercatore e tecnico amministrativo delle Universita’». I PROGRAMMI Il comma 4 stabilisce che le Universita’ dovranno adottare «programmi triennali scorrevoli, coerenti con le linee generali di indirizzo» tendenti a individuare «il fabbisogno di personale docente, i corsi di studio da attivare, il programma di sviluppo della ricerca, i programmi di internazionalizzazione» MONITORAGGIO Ogni programma triennale elaborato da ciascuna universita’ verra’ «monitorato» dal ministero dell' Istruzione, dell' Universita’ e della Ricerca e «gli esiti del monitoraggio saranno comunicati anche al ministero dell' Economia e delle Finanze, ai fini della verifica dell' andamento della spesa» I RETTORI I capi dell' universita’ italiana temono che il ministro dell' Economia Tremonti, d' accordo con Letizia Moratti, voglia avocare al suo ministero non solo la gestione degli stipendi del personale docente e non docente dell' universita’, ma gran parte delle scelte finora lasciate ai rettori. Il 23 settembre il ministro Moratti incontrera’ tutti i rettori I numeri GLI STUDENTI Nell' anno accademico 2001-2002 erano iscritti complessivamente nelle universita’ italiane 1.673.049 studenti. Le matricole dell' anno accademico 2002-2003 erano invece 346.528, piu’ 4,6% rispetto all' anno precedente (dati aggiornati al 25 novembre 2002, fonte www.miur.it/ustat). Le facolta’ piu’ gettonate sono quelle umanistiche seguite dall' area giuridico-politica ed economico-sociale. Ultime come indice di gradimento le facolta’ dell' area scientifico-tecnologica precedute da quelle dell' area sanitaria I FONDI Secondo le ultime analisi dell' Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) i finanziamenti delle imprese alle universita’ italiane sono piu’ bassi rispetto agli altri Paesi europei. Tra gli aiuti economici agli studenti, sono completamente assenti i prestiti d' onore I DOCENTI Oggi ogni universita’ nomina con concorso i docenti universitari AUTONOMIA Il decreto di riforma dell' universita’ italiana presentato nell' agosto del 2000 stabilisce che la struttura di ciascun corso di studio debba essere definita autonomamente da ogni singola universita’ Il rettore dell' universita’ di Trento La questione e’ delicata: chi decidera’ la politica delle cattedre? Il rettore della Statale di Milano Assunzioni, acquisti? Con questa proposta il meccanismo e’ piu’ farraginoso Fine modulo _________________________________________________________ Corriere della Sera 18 Sett. 03 POSSIAMO AVERE FATTO ERRORI, MA NON ACCETTIAMO IL MONITORAGGIO» L' INTERVISTA / Piero Tosi: pronti a cercare una mediazione sui criteri di valutazione e a rivedere i meccanismi di governo degli atenei Latella Maria ROMA - Dicono: non avete saputo gestire l' autonomia... «Possono esserci stati errori di gestione, ma se passasse il provvedimento anticipato dal Corriere della Sera verrebbe interrotto un cammino prezioso. Sarebbe un errore storico. In questi anni di autonomia gestionale molte buone cose sono state fatte: per esempio e’ diminuito il tasso di abbandono degli studenti. E' passato dal 70 al 47 per cento». Piero Tosi e’ il presidente dei rettori delle universita’ italiane e, come quasi tutti i suoi colleghi, si oppone al contenuto della proposta elaborata nei ministeri dell' Istruzione e del Tesoro. Ma riconosce la possibilita’ di una mediazione: «Siamo pronti a rivedere i meccanismi di governo degli atenei», annuncia. Anche perche’, rettore, in questi anni nessuno ha controllato la saggezza dei criteri con i quali spendete i denari. Si poteva anche creare una cattedra per il serissimo approfondimento della vita e morte di Marilyn Monroe. «Forse bisogna prima spiegare in che cosa consista l' autonomia dell' universita’, tutelata dalla Costituzione e diffusa in tutta Europa. Direi che e’ il principio sul quale si regola il rapporto con i governi. Le universita’ gestiscono con senso di responsabilita’ le risorse e i governi dettano le cornici normative». A quanto si desume, la prima bozza elaborata dai ministeri dell' Istruzione e dell' Economia vorrebbe colmare una lacuna. Vale a dire: chi controlla che il senso di responsabilita’ ispiri sempre ogni scelta dei rettori? «E' vero, questo e’ il nesso che manca tra l' attivita’ del governo che delinea le cornici normative e l' autonomia delle universita’. Il Comitato Nazionale per la valutazione del sistema universitario, presieduto da Giuseppe De Rita, ha dettato una serie di requisiti minimi ai quali l' azione dei rettori deve ispirarsi, ma un criterio di valutazione dei risultati, un criterio europeo, ancora non c' e’. Siamo noi rettori a chiedere che venga introdotto, perche’ e’ l' elemento mancante per rendere funzionante il sistema». Sui criteri di valutazione, dunque, siete pronti ad una mediazione. Dov' e’ che invece la mediazione si presenta impossibile? «Non e’ possibile rivedere lo stato giuridico delle universita’, e gli stessi meccanismi di governo degli atenei, inserendo degli articoli nella finanziaria. Non e’ possibile. Si va ad incidere radicalmente su un sistema, senza che ci venga spiegato come e perche’. Per dirne una, come verrebbe eletto il rettore dell' universita’?». Si sara’ dato una spiegazione... «L' Italia, come il resto d' Europa, attraversa un periodo di difficolta’ sul fronte economico. Ribadisco: sono d' accordo sulla necessita’ di un criterio di programmazione, l' autonomia dell' universita’ non significa licenza. Siamo pronti a rivedere i nostri meccanismi di governo degli atenei, ma non possiamo accettare il «monitoraggio» del ministero dell' Economia sulle nostre scelte». Secondo la bozza in mano ai rettori, (un documento, si dice, gia’ modificato), il ministero dell' Istruzione, dell' Universita’ e della ricerca comunicherebbe a quello dell' Economia l' esito del monitoraggio. «E' giusto che il ministero dell' Economia controlli le spese. Punto. Noi dobbiamo essere liberi di assumerci le responsabilita’ delle scelte didattiche. E poi, mi lasci aggiungere una riflessione: tutti dicono che serve una sana competizione tra universita’ europee. Bene: ma come possiamo attrarre studenti dall' estero, richiamare i cervelli in fuga, in una parola essere competitivi se lo Stato non si impegna seriamente a finanziare l' universita’? Sa di quanto e’ aumentato il numero dei docenti universitari tra il ' 94 e il 2002? Ammetto l' ignoranza. «Del 10 per cento. E il personale non docente e’ cresciuto, in tutto, del 2 per cento». Tra le critiche che vengono mosse all' universita’, c' e’ quella di aver favorito i docenti locali nei concorsi a cattedra. Non proprio in linea con l' invocata competitivita’ tra atenei. «E' vero, in qualche caso si e’ ecceduto, ma e’ sempre una questione di soldi. Il docente locale finisce col costare meno». Qualcuno, tra voi rettori, pensa che se non si trovera’ una mediazione dovreste dimettervi tutti, in blocco. Come l' anno scorso. «Non credo che si arrivera’ a un muro contro muro. Ci opponiamo al provvedimento che limita nei fatti la nostra autonomia, ma sono convinto che i ministri Moratti e Tremonti vogliano procedere insieme a noi e trovare una soluzione. Sempre che si sia tutti d' accordo sul principio per cui un Paese competitivo non puo’ fare a meno di un' universita’ competitiva». Maria Latella L' ABBANDONO In questi anni abbiamo fatto buone cose: il tasso di abbandono degli studenti e’ diminuito dal 70 al 47 per cento LA COMPETITIVITA' Non arriveremo a un muro contro muro. Un Paese competitivo non puo’ fare a meno di avere atenei competitivi _________________________________________________________ Corriere della Sera 18 Sett. 03 CONTROLLI SULLE UNIVERSITA’, IL GOVERNO FRENA Il ministero dell' Economia: piano non previsto in questa Finanziaria. La Moratti incontrera’ i rettori Gli studenti: il valore dell' autonomia non va messo in discussione Arachi Alessandra ROMA - Un provvedimento per stabilire un controllo del governo sugli atenei? La risposta di Giulio Tremonti, ministro per l' Economia, e’ secca: «Non e’ certo previsto in questa Finanziaria». Tutto da rivedere, dunque? Probabilmente. Di certo e’ che chi temeva un golpe sull' autonomia finanziaria e gestionale delle universita’ puo’ tirare un sospiro di sollievo, almeno per adesso. Perche’ la bozza di quel provvedimento, 12 commi in due paginette, sicuramente non prendera’ la scorciatoia della Finanziaria. Di quella bozza il ministro per l' Istruzione Letizia Moratti ne parlera’ il 23 settembre, quando incontrera’ tutti i rettori d' Italia. Ma contro quel provvedimento, stilato dal ministero di Letizia Moratti e da quello di Giulio Tremonti, sono pronti ad una levata di scudi non soltanto i rettori, ma anche i presidi di facolta’ e i professori e persino gli studenti. E' Tommaso Agasisti, studente di Bologna, a parlare per tutti. Lui e’ il presidente del Consiglio nazionale studenti universitari, un organo istituzionale con poteri consultivi all' interno del ministero dell' Istruzione. «Il valore dell' autonomia dell' universita’ non puo’ in nessun modo essere messo in discussione», dice Tommaso Agasisti. Poi aggiunge: «Noi, formalmente, non abbiamo ancora ricevuto nessuna bozza. Ma qualora ne dovesse arrivare una contenente l' intento di privare gli atenei della loro autonomia saremmo pronti ad opporci. Di piu’: lanceremmo una controproposta al ministro Moratti. Per risolvere il problema della gestione finanziaria e decisionale perche’ non si mette seduta attorno ad un tavolo a decidere con i rettori le universita’ da premiare in base ai risultati?». Nessuno nega le difficolta’ delle universita’ italiane. Nessuno ha alzato barricate per difendere le scelte decisionali di ogni rettore. Anzi. Basta leggere l' appello pubblicato ieri dal Corriere della Sera e firmato da sette uomini della nostra cultura: qui si mettevano in luce molti errori delle nostre universita’. Ma si sosteneva anche che questi errori non possano essere risolti svuotando l' autonomia degli atenei. E c' e’ anche l' associazione «Treellle» che non esita, virtualmente, a sottoscrivere l' appello dei nostri uomini di cultura. E' Umberto Agnelli il presidente di questa associazione di cui Attilio Oliva e’ presidente esecutivo e tra i soci fondatori ci sono anche Fedele Confalonieri, Gian Carlo Lombardi, Luigi Maramotti, Pietro Marzotto. E' il miglioramento dell' educazione il loro obiettivo ed e’ sulle universita’ che hanno puntato con una ricerca che ha comparato atenei italiani ed europei. Ne usciamo sconfitti. La spesa per l' istruzione universitaria in Italia e’ l' 0,8% del Pil contro l' 1,2% della media Ue e l' 1,3% dei paesi dell' Ocse. E in Italia si laureano il 42% degli immatricolati, nella Ue il 67% e nell' Ocse il 70. Alessandra Arachi 0,8 PER CENTO E' la spesa per l' istruzione universitaria in Italia sul totale del Pil. La media Ue e’ dell' 1,2%, mentre quella dei Paesi Ocse si attesta sull' 1,3% 42 PER CENTO Gli studenti italiani che conseguono la laurea, sul totale degli immatricolati. Nella Ue si laurea il 67% degli iscritti, nell' Ocse il 70% La bozza di riforma LE RISORSE I fondi destinati «al reclutamento del personale docente, ricercatore e tecnico amministrativo delle Universita’» verranno determinati previa intesa con il ministro dell' Economia e delle Finanze I PROGRAMMI Gli atenei dovranno adottare «programmi triennali scorrevoli» per individuare «il fabbisogno di personale docente, i corsi di studio da attivare, il programma di sviluppo della ricerca, i programmi di internazionalizzazione» I CONTROLLI Ogni programma triennale sara’ «monitorato» dal ministero dell' Istruzione, dell' Universita’ e della Ricerca. L' esito sara’ comunicato al ministero dell' Economia e delle Finanze, che verifichera’ le spese _________________________________________________________ Il Sole24Ore 20 Sett. 03 UNIVERSITA’, QUEL 3+2 VA RIVISTO La frammentazione esplosiva dei corsi puo’ pregiudicare il livello degli studi caso emblematico delle facolta’ umanistiche DI PAOLA POTESTIO Con il prossimo anno accademico si chiudera’ in moltissime Universita’ il primo ciclo delle nuove lauree triennali. Il compimento del triennio impone alle facolta’ e ai corsi di laurea un bilancio delle nuove esperienze. Una revisione piu’ o meno estesa degli schemi adottati apparira’ probabilmente opportuna in moltissime sedi e sarebbe altamente auspicabile che tale revisione consentisse il raggiungimento di una qualche uniformita’ degli schemi organizzativi di lauree caratterizzate da obiettivi formativi analoghi. Oggi emerge, infatti, una diversificazione enorme degli schemi adottati, priva di basi oggettive e fonte di seri problemi di comparabilita’ dei curricula. Una parziale misura del problema e’ fornita da una prima indagine sui corsi di laurea delle Classi 28 "Scienze economiche" e 17 "Scienze dell'economia e della gestione aziendale", pubblicata dalla «Rivista italiana degli economisti». Citando solo gli aspetti principali, l'indagine mostra quanto profondamente la struttura modulare degli insegnamenti,la definizione della composizione dei crediti formativi, la numerosita’ degli esami siano diverse nelle singole sedi. Il numero degli esami nei corsi di laurea di queste due classi, ad esempio, si distribuisce tra 19 e 39 prove di esame, con la meta’ dei corsi che si concentra in una fascia di 2530 esami!Se l'obiettivo di un comune miglioramento degli schemi e di una maggiore uniformita’ e’ assolutamente auspicabile, non si vede per quali strade e con quali referenti possa aver luogo il necessario coordinamento tra le sedi per il perseguimento di tale obiettivo. Ruoli istituzionali che possano svolgere questo compito non esistono. La frammentazione esplosiva dei corsi che la riforma ha creato puo’ essere superata soltanto con un intervento legislativo che ridefinisca l'autonomia degli atenei delineando basi comuni di insegnamenti e convenzionali schemi organizzativi, almeno in parte comuni a tutti i corsi di studio. Una seconda strada e’ naturalmente un intervento legislativo piu’ radicale che, raccogliendo le tante critiche all'impianto 3+2 delle lauree in successione, modifichi tale impianto orientando le lauree verso una struttura e un percorso unitario. Lungo nessuna di queste due strade sembra muoversi il Governo. Le linee di revisione della riforma, contenute in una bozza di articolato diffuso prima dell'estate, mantengono l'impianto 3+2, seppure con una rilevante modifica: l'introduzione di un percorso a Y, vale a dire un primo anno della laurea triennale comune, cui fanno seguito due percorsi distinti, uno per coloro che proseguiranno gli studi con la laurea specialistica, e l'altro piu’ professionalizzante per coloro che puntano a una immissione piu’ rapida nel mercato del lavoro. Non si interviene in alcun modo per porre riparo all'anarchia organizzativa che domina le sedi. Anzi: l'articolato sopprime addirittura ogni vincolo sulla distribuzione delle ore di un credito tra docenza e studio individuale. Una ragionevole uniformita’ di schemi organizzativi appare cosi’ ancora piu’ lontana. Complessivamente, dunque, lo scenario della nostra Universita’ e’ sempre piu’ caratterizzato da una preoccupante incertezza. Da un lato i corsi di studio hanno urgenza di rivedere i propri curricula (l'iter burocratico per apportare modifiche nel 2004OS richiede che il progetto di revisione sia pronto all'inizio del 2004, cioe’ tra pochi mesi); dall'altro l'incertezza delle modifiche legislative alla riforma rende questo lavoro assai problematico. Elevato e’ il rischio che non si tocchi nulla eche si lasci avviare un secondo ciclo di lauree triennali senza aver varato, ne’ da parte degli atenei ne’ da parte del legislatore, interventi sulla struttura attuale. Naturalmente il ruolo principale e’ svolto dal legislatore, che detta le regole all'interno delle quali gli atenei operano. Il Governo attuale, purtroppo, e’ rimasto finora immobile sulle brutte riforme (concorsi e ordinamenti didattici) attuate da Governi precedenti, senza peraltro mostrare visibile attenzione a temi diversi e di ben altro rilievo (valore legale dei titoli di studio, protezioni monopolistiche di categorie professionali) sui quali interventi di liberalizzazione avrebbero un impatto di enorme importanza per la nostra societa’. All'auspicio che obiettivi piu’ ambiziosi si aprano al confronto politico e all'iniziativa governativa, occorre associare l'auspicio di un rapido intervento sugli ordinamenti didattici. E auspicabile che un'estesa informazione sui risultati conseguiti e un ulteriore approfondimento del dibattito possano sorreggere un intervento legislativo per una struttura unitaria dei corsi di laurea. Nella mia opinione, questo e’ un obiettivo massimo. In subordine, si introducano almeno correttivi che rendano agevoli comparabilita’ di curricula e uniformita’, almeno parziale, di schemi. Francamente, non appaiono condivisibili le esortazioni a un rinvio di interventi corretti vi e a una prosecuzione dell'attuale fase di sperimentazione. A chi ha ben presente cosa sta accadendo nelle nostre facolta’ (umanistiche in particolare), queste esortazioni appaiono del tutto simili a quelle di un signore che invita un genitore il cui bimbo sta curiosando sull'orlo di un precipizio: «Non intervenire! Lascia che il bimbo soddisfi la sua curiosita’. Lascia che veda cosa c'e’ nel fondo!». E’ molto pericoloso, per il bimbo e per chi opera nell'universita’, vedere bene. coca c'e’ nel fondo. _________________________________________________________ Il Sole24Ore 20 Sett. 03 MORATTI: «DOTTORATI DA POTENZIARE» Centri d'eccellenza europei ROMA a Potenziare i dottorati di ricerca per farli diventare un terzo ciclo di istruzione universitaria. E’ uno degli obiettivi annunciati ieri dal ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, durante la conferenza che ha riunito a Berlino tutti i ministri Ue dell'Istruzione per fare il punto sulla creazione - entro il 2010 - di uno "Spazio europeo dell'istruzione superiore". Moratti ha sottolineato la necessita’ di «rafforzare il ruolo del dottorato di ricerca, incentivandone l'internazionalizzazione, garantendone la qualita’, promuovendo i centri di eccellenza universitari e il loro collegamento in rete». In quest'ottica, secondo il ministro, il dottorato puo’ diventare quasi un terzo ciclo di alta formazione, successivo alla laurea di primo livello e al biennio specialistico. Moratti ha ricordato che il Governo ha gia’ aumentato da 3mila a 8mila il numero dei dottorati di ricerca, attraverso uno stanziamento di 78 milioni di euro, e ha creato 3.500 nuove borse Era smus per la mobilita’ studentesca. «E’ necessario - ha detto - realizzare una piu’ stretta integrazione tra i nostri sistemi di istruzione superiore e diversificare i percorsi formativi», che non devono essere limitati all'universita’ ma debbono comprendere anche gli Ifts (i corsi di formazione tecnica superiore) «per offrire a tutti - ha concluso - migliori possibilita’ di inserimento nel mondo del lavoro». AL. TR. _________________________________________________________ L’Unione Sarda 17 Sett. 03 SCUOLA: CIAMPI DIFENDE L’ISTRUZIONE PUBBLICA Cerimonia col ministro Moratti per l’avvio delle lezioni Roma La Costituzione impone alla responsabilita’ pubblica dello Stato di istituire scuole statali e di garantire il diritto all’istruzione a tutti. E’ compito invece dei genitori educare i figli e trasmettere loro anche una sfera privata dei valori. Lo ha detto Ciampi all’inaugurazione ufficiale dell’anno scolastico che si e’ svolta con una solenne cerimonia all’Altare della Patria in piazza Venezia. «Alto e nobile e’ il compito degli insegnanti - ha aggiunto il capo dello Stato - e’ dovere di tutti, ciascuno nel proprio ruolo, non lasciarli soli nel loro lavoro». «La scuola - gli ha fatto eco il ministro dell’Istruzione Letizia Moratti - deve recuperare velocemente la sua missione educatrice rendendo i ragazzi i veri protagonisti del proprio destino e di quello del Paese». Messaggi diversi per la stessa platea: 1.500 scolari provenienti da tutta Italia con un contorno di docenti, ministri, sottosegretari, autorita’ civili e militari, personaggi del mondo dello sport e dello spettacolo. Il presidente della Repubblica ha richiamato i valori della Costituzione sottolineando il ruolo delle scuole pubbliche e il nobile compito degli insegnanti, il ministro ha insistito sull’opportunita’ di una visione comune del bene, della giustizia, della solidarieta’ in Europa e sulla necessita’ di investire di piu’ sull’istruzione. Europa, solidarieta’ e giovani, «la piu’ grande risorsa strategica per lo sviluppo» sono stati al centro del discorso della Moratti che ha invitato i ragazzi a impegnarsi nello studio perche’ «chi studia di piu’ ha posti di lavoro migliori, piu’ remunerati, piu’ qualificati». I dati lo confermano . Il tasso di occupazione per chi ha un titolo di studio inferiore al diploma - ha ricordato il ministro - e’ del 44% mentre sale all’81% per chi e’ in possesso della laurea. E il reddito medio annuo, nella fascia di eta’ tra i 30 e i 44 anni, e’ quasi il doppio in Italia per chi ha un titolo universitario rispetto a chi ha un titolo di studio inferiore al diploma. «Ecco perche’ - ha spiegato - stiamo lavorando per adottare strategie e misure per aumentare gli interventi pubblici nel campo dell’istruzione». Ha preferito restare invece con il pensiero soprattutto in Italia il Capo dello Stato che ha fatto della Costituzione italiana il perno del suo intervento. «Leggetela, commentatela con i vostri insegnanti: e’ un testo di cui essere orgogliosi come lo siamo del Tricolore e dell’inno di Mameli». Un forte richiamo dunque ai valori nazionali - dai doveri inderogabili di solidarieta’ alla pari dignita’ di tutti i cittadini davanti alla legge, dalla promozione della cultura all’impegno della pace. Ma anche l’occasione per ricordare con autorevolezza il ruolo centrale della scuola statale nel nostro Paese. _________________________________________________________ Repubblica 20 Sett. 03 TAGLI AI FONDI DELLE SCUOLE PUBBLICHE: MENO 10MILINI Autonomia, 10 milioni in meno a presidi e direttori In tre anni la riduzione e’ stata del 40 per cento "Costretti a ridurre i programmi" ROMA - La stangata sull'autonomia scolastica e’ in arrivo. I fondi per il funzionamento degli istituti e l'offerta formativa sono scesi di 10 milioni di euro rispetto allo scorso anno. Con gli 83 milioni a disposizione quest'anno, quasi tutte le scuole dovranno rivedere i loro piani e tirare ancora una volta la cinghia. Ma i dieci milioni tolti alle scuole sono andati a rimpinguare altri capitoli del bilancio sull'autonomia: piu’ di cinque alle scuole "paritarie" per incrementare la loro offerta formativa ed altri cinque al settore comunicazione, cioe’ quello che serve per le campagne pubblicitarie sulla riforma che ancora non c'e’. Un settore che negli ultimi due anni ha segnato un'impennata impressionante: nel 2001 il governo di centro-sinistra aveva destinato alla comunicazione poco piu’ di due milioni di euro, passati a sette e mezzo l'anno successivo e a 13 milioni quest'anno. "La gestione governativa dell'istruzione pubblica ha inaugurato un meccanismo perverso che diminuisce i trasferimenti alle scuole per l'autonomia di piu’ del 20 per cento ogni anno - commenta Armando Catalano, responsabile nazionale dei Dirigenti scolastici della Cgil - le scuole ricevono ormai solo la meta’ di quanto avevano avuto tre anni fa. Si costruisce cosi’ una scuola pubblica povera, rendendo l'autonomia gestionale dei Dirigenti e l'autonomia didattica dei docenti un guscio vuoto, pronto ad essere riempito dalle scuole private, finanziate violando la Costituzione dal ministro Moratti". I finanziamenti per l'autonomia, che non sono compresi nel bilancio del ministero dell'Istruzione, sono stati fissati da una direttiva del ministro Moratti firmata lo scorso 8 maggio. Lo stanziamento e’ di 225 milioni di euro, 700 mila in meno dello scorso anno, e ben 25 milioni in meno rispetto al 2001. Sul totale, pero’, solo 83 milioni di euro finiranno nelle casse delle scuole. Gli altri servono a rimpinguare i bilanci delle scuole paritarie, all'orientamento dei giovani e al coinvolgimento dei genitori nell'attivita’ didattica. Anche quelli, pochi, destinati all'offerta formativa sono sottoposti ad una ripartizione ferrea: la meta’ alle materne e alle elementari per alimentare la riforma che ancora non e’ legge dello Stato. Solo il quaranta per cento alle medie e alle superiori. Il restante dieci finira’ alle direzioni regionali. In questi giorni le segreterie amministrative degli istituti sono alle prese con il magro bilancio di quest'anno. Molte scuole saranno costrette a tagliare le attivita’ didattiche pomeridiane, i gruppi di assistenza sociale e piscologica agli alunni handicappati. Di questo passo, l'autonomia scolastica, una delle poche innovazioni positive degli ultimi anni rischia di restare solo un ricordo. (ma. re.) _________________________________________________________ L’Unita’ 18 Sett. 03 IL MONDO DELLA RICERCA NON AMA LE DONNE Sono poche e relegate ai gradini piu’ bassi della carriera. Cosa fare contro la discriminazione? Mary Sommerville era una signora inglese. Nata nel 1.780 da una buona famiglia, non aveva ricevuto una vera e propria istruzione, come quasi tutte le donne del suo tempo. Tuttavia da autodidatta si creo’ una solida cultura scientifica, tanto da diventare insegnante di matematica e scienze naturali. Fu l'autrice di importanti libri, tra cui quello che rese accessibile al pubblico inglese la matematica e l'astronomia del filosofo francese Laplace e che divenne un testo obbligatorio all'universita’ di Cambridge (universita’ in cui la Sommerville non poteva insegnare e le sue figlie non potevano studiare per questioni di sesso). In un libro di memorie scritto negli ultimi anni della sua lunga vita, la Sommerville scriveva cosi: «Io ho perseveranza e intelligenza, ma non genio. Quella favilla celeste non e’ concessa al nostro sesso; noi siamo esseri della terra, esseri terrestri. Se piu’ alti poteri possano esserci conferiti in un'altra esistenza, soltanto Dío (o sa; ma, almeno in questa vita, il genio originale nella scienza ci e’ irrimediabilmente precluso»(«Un mondo senza donne», Bollati Boringhieri editore). Una testimonianza drammatica di come i pregiudizi del tempo sulle donne fossero tanto forti da essere introiettati dalle vittime di quegli stessi pregiudizi. Molta acqua e’ passata sotto i ponti da allora. E l'esclusione delle donne dal mondo della scienza (e dell'istruzione) e’ stata superata quasi ovunque. Non si creda pero’ che il processo sia stato rapido (basti pensare che a Cambridge le donne furono ammesse agli esami nel 1881, ma solo nel 1948 venne loro concesso di laurearsi), ne’ che sia concluso. 1 dati sulla presenza femminile nel mondo della ricerca, in effetti, ci dicono che le donne sono poche, e che, quando ci sono, si trovano per lo piu’ ai gradini bassi della gerarchia. La Commissione Europea ha condotto un'indagine su quello che avviene nei paesi membri e i risultati sono poche le donne che seguono una carriera scientifica a e, nel complesso, esse svolgono un ruolo decisamente limitato nei processi decisionali sulle politiche scientifiche. Oltre a costituire un problema per le donne, sottolinea il rapporto, questo costituisce un problema per la societa’ in genere, in quanto si tratta di una perdita secca di risorse. Cosa si puo’ fare? Innanzítutto studiare piu’ da vicino il problema. Giovedi scorso nello spazio «L'Unita’ della scienza> alla Festa dell' Unita’ di Bologna si e’ cercato di mettere un altro tassello al quadro della situazione. Erano presenti Flaminia Sacca’, responsabile per la ricerca e l'universita’ dei Ds nonche’ organizzatrice dell'Unita’ della scienza, Flavia Zucco, biologa del Cnr, Sveva Aveaduto, dell'Istituto di politica della ricerca del Cnr, Maria Chiara Acciarini, capogruppo dei Ds in Commissione cultura al Senato e Simona - Lembi, coordinatrice delle donne - Ds della Federazione di Bologna. Conduttura che perde Ci sono due metafore che spiegano - bene il fenomeno: la conduttura che perde e il tetto di cristallo. Sulla base dei dati raccolti dal rapporto Etan in - sei stati (Germania, Spagna, Finlandia, Svezia, Regno Unito e Olanda) ' si e’ visto che, mentre la proporzione di uomini e donne tra gli studenti dei corsi di lauree e’ simile, la presenza delle donne diminuisce rapidamente dopo il dottorato e continua a decrescere salendo nella gerarchia: goccia a goccia le donne lasciano la ricerca scientifica, proprio come si trattasse di una conduttura che perde. Uno studio del Cnsono stati pubblicati in un rapporto (noto come il rapporto Etan) uscito p nel 2000. Sono risultati abbastanza deprimenti: («Le figlie di Minerva. Primo rapporto sulle carriere femminili negli enti pubblici di ricerca italiani», Franco Angeli editore) dimostra che la situazione italiana e’ analoga. In effetti, ha detto Flaminia Sacca’, le discriminazioni all' universita’ cominciano subito dopo la laurea, quando alle studentesse vengono affidati compiti meno qua-lificanti rispetto ai loro colleghi maschi. Spesso relegate al ruolo di segretarie, le studentesse abbandonano la carriera universitaria motto presto. E cosi, ha ricordato Sveva Avveduto, accade che al Cnr su 4.300 ricercatori í163% siano uomini, il 36% donne. Ma la cosa piu’ preoccupante e’ che, se si guarda ai direttori, la percentuale di presenza femminile crolla miseramente all'1,8%. Le donne non accedono alle posizioni di comando: ecco il tetto di cristallo che non riescono a sfondare. II tempo e’ tiranno La discriminazione passa attraverso tante porte. La prima e’ quella del tempo. Per le donne il momento in cui la carriera comincia a prendere forma, ovvero tra i 30 e i 40 anni, coincide con il momento in cui mettere al mondo dei figli. Cosi, coloro che hanno intrapreso la carriera di ricercatrici vengono tagliate fuori per lunghi periodi dalle maternita’. Questa discontinuita’ verra’ loro fatta pagare. Ma anche dopo, il tempo a con le donne e’ tiranno: costrette a e dividersi tra un lavoro e una famiglia che chiedono entrambi dedizione totale, le donne spesso cedono. Non e’ lo stesso per gli uomini. Anzi. Uno studio francese sugli ingegneri ha mostrato che gli uomini che si trovano ai livelli elevati della carriera sono per lo piu’ sposati e con molti figli, mentre le donne sono single e senza figli. La seconda porta e’ quella dei criteri di ingresso. Nel mondo della ricerca e dell'universita’ il sistema tende a perpetuare se stesso e la chiamata nominale e il nepotismo si favoriscono le donne, sostengono le esperte europee. La trasparenza nelle modalita’ d'accesso alla carriera puo’ essere una soluzione? Maria Chiara Acciarini prende ad esempio quello che sta avvenendo nella magistratura dove negli ultimi anni la presenza delle donne e’ molto aumentata, perche’? Forse il fatto che l'accesso alla carriera avviene attraverso un concorso con prove scritte in busta chiusa ha favorito questo fenomeno? Sembra che laddove non c'e’ discrezionalita’ e cooptazione le donne ce la facciano _________________________________________________________ Il Sole24Ore 18 Sett. 03 MORATTI: MENO TASSE SULLA RICERCA al lavoro sulla defiscalizzazione MILANO a La ricerca rappresenta un forte moltiplicatore del Pil. Ecco perche’ l'Italia deve fare sforzi aggiuntivi su questo fronte, magari ricorrendo alla leva fiscale. Un'analisi che vede d'accordo imprenditori e manager, il mondo universitario, gli esperti del settore e lo stesso ministro, Letizia Moratti, che ha annunciato di lavorare in tal senso con il responsabile dell'Economia. L'occasione per un confronto in presa diretta e’ stata offerta ieri da un incontro al Politecnico di Milano dove e’ stata inaugurata la nuova sede del Corecom, il Consorzio fondato dal Politecnico e Pirelli per promuovere gli studi sulle reti in fibra ottica. «Collaborazione tra universita’ e industria nella ricerca: questo l'argomento che ha visto un'agile tavola rotonda, moderata da Bruno Vespa, alla quale hanno partecipato il ministro dell'Universita’ e della ricerca, Letizia Moratti ,il Commissario straordinario del Cnr, Adriano DeMaio; il rettore del Politecnico di Milano,Giulio Ballio; il presidente di StMicroelectronics, Pasquale Pistorio; il presidente di Pirelli e di Telecom Italia, Marco Tronchetti Provera; Giorgio Grasso, presidente del Corecom, e amministratore delegato dei Pirelli Labs. E’ toccato agli esponenti del mondo industriale sollecitare maggiori aiuti per un settore chiave in grado di rilanciare la competitivita’ del sistema. «Servono maggiori investimenti da destinare alla ricerca e allo sviluppo», ha detto a chiare lettere il presidente di Telecom Italia, Marco Tronchetti Provera, sottolineando che «investire nell'innovazione significa creare ricchezza per tutto il Paese». E Telecom, nell'ultimo biennio, ha letteralmente raddoppiato gli sforzi. Per Tronchetti Provera e’ «necessario ripartire dai settori in cui abbiamo una posizione di leadership tecnologica internazionale come ad esempio le telecomunicazioni o i nuovi materiali, favorendo la diffusione della cultura scientifica a tutti i livelli della societa’». Anche il leader della StMicroelectronic, Pasquale Pistorio, ha detto che «si puo’ vincere solo con l'innovazione», sottolineando che la multinazionale da lui guidata copre da sola 1'8% della spesa nazionale privata in ricerca. Adriano De Maio commissario del Cnr ha accennato allo squilibrio esistente tra personale amministrativo e tecnici: rimettere in sesto il tutto non sara quindi facile, anche perche’ c'e’ una polverizzazione spinta delle competenze, pur in presenza di aree eccellenti. Prendendo la palla al balzo, il ministro Moratti ha ricordato che la ricerca non e’ solo un problema di risorse, ma anche di organizzazione: «Grazie agli interventi sul fondo qualita’ della didattica, e’ stato possibile portare da 3mila a 8mila i dottorati di ricerca, allineandoci con l’Europa». Moratti si e’ detta favorevole, in varie forme, alla defiscalizzazione degli interventi in ricerca: «Stiamo lavorando ha detto con il titolare dell'Economia, Giulio Tremonti, per trovare le soluzioni e i termini di attivazione delle misure adatte. Anche perche’ abbiamo una situazione della ricerca che non puo’ non destare preoccupazioni: dal 1991 al 2001 c'e’ statoun decremento delle risorse dall' 1,3%all' 1 % del Pil. Il 2001 e il 2002 sono rimasti invariati. Il 2003 ha pero’ registrato un incremento di 400 milioni di euro, che e’ molto inferiore al dovuto per essere in media con l'1,9% Ue e all'obiettivo 3% per il 2010, ma e’ un segnale di maggior attenzione». R.E. _________________________________________________________ Il Sole24Ore 18 Sett. 03 UNIVERSITA’, IL GOVERNO TAGLIA I FONDI Il ministero dell'Economia vuole accentrare il pagamento degli stipendi Sul piede di guerra i rettori che chiedono 7-800 milioni in piu’ per il 2004 RoMA • Costi per 2 Miliardi di euro, a causa del proliferare dei corsi universitari: circa 3mila in piu’, nel triennio 2000-2002. Mancato rispetto dei vincoli di legge, che impongono agli atenei di non spendere per gli stipendi del personale piu’ del 90% dei fondi a disposizione: la Conferenza dei rettori ha ammesso che sarebbero 11 su 75 gli atenei «inadempienti», secondo l'Economia potrebbero essere circa il doppio. Da luglio i rappresentanti delle universita’ sono in uno stato di tensione incessante, a causa di una serie di misure che potrebbero modificare notevolmente la vita nelle universita’: e’ il caso, per esempio, della riforma dello stato giuridico degli accademici, gia’ pronta in bozza al ministero dell'Istruzione. Ma i nervi adesso Sono tesi come corde di violino perche’ e’ alle porte la Finanziaria. Memori della battaglia gia’ affrontata l’anno Scorso che li ha portati a minacciare le dimissioni di massa suscitando perfino le ire del premier Berlusconi, i rettori ora sono pronti a una nuova offensiva. Il primo e piu’ urgente punto all'ordine del giorno si chiama Ffo, fondo statale di finanziamento ordinario, distribuito ogni anno agli atenei. Ammonta a 6,235 miliardi di euro, ma per gli universitari non basta piu’: «Le casse degli atenei sono vuote e saremo costretti ad aumentare le tasse di iscrizione» e’ il peana che recitano ormai continuamente. Per questo, al ministero dell'Economia e’ arrivata una richiesta di risorse fresche per 7-800 milioni, che non sara’ mai accolta integralmente. Ma non e’ soltanto questo il problema per il Governo e, in particolare, per i ministri Letizia Moratti e Giulio Tremonti. Il tira-e-molla sulle risorse da assegnare si complica a causa dei mancati pagamenti degli incrementi di stipendio, questi si impossibili da saldare per la penuria delle casse degli atenei. Si tratta di aumenti in busta paga che sono, per la cronaca, automatici e previsti per legge: in ballo circa 2-300 milioni di versamenti non fatti. La trattativa tra i vertici della Crui, il Tesoro e il Miur va avanti da un pezzo. E sembrava anche vicina all'accordo. Ma finita in mano alla «base» dei rettori, la bozza del provvedimento, che riduce l'autonomia finanziaria degli atenei e da’ al Miur compiti di programmazione e previsione SUi fondi universitari, e’ diventata un'autentica patata bollente. E adesso la protesta potrebbe allargarsi a macchia d'olio. Il presidente della Crui Piero Tosi, dice che «l'autonomia non si tocca» anche se poi aggiunge che «non siamo contrari ai cambiamenti, se servono per migliorare la situazione». II nervosismo di questi giorni, comunque, non spunta all'improvviso: i rettori ,avevano gia depositato un documento ufficiale di protesta alla fine di luglio. II confronto tra Governo e universitari si e’ fatto teso quando Miur e Tesoro hanno obiettato che, se mancano i fondi per pagare gli stipendi, a loro avviso e’ anche vero che gli atenei non hanno poi una gestione amministrativa e finanziaria cosi virtuosa. II caso piu’ eclatante: la riforma degli ordinamenti (il cosiddetto "3+2") avrebbe consentito un'esplosione dei nuovi corsi, con relative cattedre e stipendi da pagare. L'intervento del Governo dovrebbe essere un provvedimento collegato alla Finanziaria. Tra le proposte che hanno fatto saltare sulla sedia gli accademici, il trasferimento dei pagamenti degli stipendi al Tesoro: un nodo, insomma, per controllare rigorosamente posti e buste paga. Ma per questo progetto. adesso. la strada e’ tutta in salita. MARCO LUDOVICO _________________________________________________________ Il Sole24Ore 20 Sett. 03 RICERCA, I TAGLI METTONO A RISCHIO I FONDI Il ministero dell'Universita’ ha chiesto 1,3 miliardi ROMA I fondi per la ricerca pubblica sono di nuovo sotto le forche caudine. Perche’ nella Finanziaria in discussione le prospettive per il settore si fanno di nuovo difficili. In concreto: insieme alla ricerca occorrera’ accontentare la scuola, l'universita’, i contratti del pubblico impiego,le infrastrutture, e non solo. In ballo 5 o forse 6 miliardi di euro che, divisi per un numero piuttosto elevato di aspiranti destinatari, rischia di diventare briciole o poco piu’. Per ora la divisione non e’ stata fatta e tutti stanno con il fiato sospeso, in attesa delle decisioni del ministero dell'Economia. Circolano solo le voci delle richieste del Miur, che dovrebbero essere pari a circa 1.300 milioni di curo. Certo, ci sono allo studio una serie di ipotesi di intervento. Si parla di potenziare i fondi di dotazione degli enti pubblici come il Cnr, per esempio. Ma ci potrebbero essere anche altre soluzioni possibili. Alcune, in particolare, sono mirate a sviluppare il rapporto con le imprese. La scelta di rilanciare gli investimenti di Stato nella ricerca (pubblica e privata) e’ innanzitutto «politica» perche’, nelle attuali condizioni finanziarie, non puo’ non avvenire a discapito di altri settori. Un «fattore di rigidita’», per esempio, potrebbe essere costituito dai rinnovi dei contratti nel pubblico impiego: un capitolo che potrebbe costare attorno a 1,4miliardi di curo e che, da solo, prenderebbe una parte molto consistente dei soldi sul tavolo. Sulle risorse da destinare alla ricerca l'anno scorso si scateno’ una battaglia feroce nell'agone politico e un braccio di ferro estenuante tra i ministri Tremonti (Economia) e Moratti (Istruzione). Quest'anno la prospettiva e’ in parte cambiata, perche’ Letizia Moratti gioca sulla carta del rilancio «della competitivita’ e del capitale umano» la sua scommessa, dopo aver creato alleanze che vanno dai centristi ad An.Senza contare che sulla necessita’ di investire di piu’ nel settore della ricerca hanno fatto sentire la loro voce nei mesi scorsi anche le piu’ alte cariche dello Stato. Ma la partita e’ ancora tutta da giocare.MARCO LUDOVICO _________________________________________________________ Il Sole24Ore 20 Sett. 03 STRATEGIE PER IL MOTORE INNOVAZIONE L'obiettivo di spesa del 3% in R&S fissato dalla Ue puo’ essere avvicinato dall'Italia avviando un ~ che affianchino la defiscalizzazione agli «incentivi a sportello» Airi e Anie chiedono Finanziarie di continuita’ MILANO Defiscalizzazione, otto per mille, rientro dei cervelli. In questi giorni di Finanziaria il Governo e la maggioranza stanno mettendo in campo ogni genere di misura per sostenere la ricerca e lo sviluppo, considerata il motore della competitivita’ del Paese. Ma sia le risorse sia gli strumenti da soli non bastano: secondo i ricercatori industriali italiani la politica nazionale a favore dell'innovazione ha bisogno di coordinamento e «servono Finanziarie che diano continuita’, non si puo’ navigare a vista nella ricerca, basta con le politiche dello yoyo», spiega Renato Ugo, presidente dell'Airi, l'Associazione italiana ricerca industriale a cui partecipano le maggiori industrie e i principali enti pubblici. Con circa 8 milirdi di euro l'industria italiana rappresenta quasi il 50% dello sforzo nazionale in termini di ricerca e sviluppo.«Marzano (nell'intervista al So1e24 Ore di 18 settembre, ndr) ha lanciato segnali positivi spiega Ugo . Stiamo a vedere. Come ha detto di recente Jose’ Aznar: in politica si prendono decisioni e si governa».Fondi a singhiozzo. Insomma, se l'Italia ha deciso di rilanciare la competitivita’ attraverso la ricerca e lo sviluppo, il Governo oltre a stabilire gli strumenti e le misure deve prevedere adeguate risorse sul lungo periodo perche’ i progetti di ricerca hanno bisogno di pianificazione.«Basta pensare ai fondi Far e Fit spiega Ugo che sono praticamente bloccati per mancanza di finanziamenti. Da tempo diciamo che c'e’ una richiesta da parte delle imprese che non e’ stata soddisfatta per almeno 2,5 miliardi di euro». Che peraltro corrisponde alla cifra che il presidente del Consiglio Berlusconi ha citato nei giorni scorsi, riferendosi al complesso degli investimenti che il Governo riuscira’ a mettere in campo. Tornando al Far, il Fondo agevolazioni alla ricerca, che fa capo al ministero dell'Universita’ e della ricerca, e’ stato bloccato il finanziamento di progetti di ricerca applicata condotti nelle aree del Centronord, incluse quelle a Obiettivo 2. «E le risorse destinate alle aree a Obiettivo 1 sono ferme per effetto del Bloccaspesa», aggiunge Ugo. Per quanto riguarda il Fit, il Fondo per l'innovazione tecnologica, anche'esso fermo, Marzano pensa a un rifinanziamento. «In pratica tutta la ricerca industriale finanziata con risorse pubbliche e’ rimasta ferma negli ultimi due anni spiega Ugo . In Italia si fanno solo miglioramenti marginali in termini di innovazione, gli stessi che sono in grado di far anche i cinesi o ali indiani».Il modello canadese. Accanto alla politica degli «incentivi a sportello» (Marzano ha anche rilanciato la 488per le Pmi che investono in innovazione), le imprese invocano anche misure come la defiscalizzazione, sulla quale il ministro per l'Universita’ e la ricerca, Letizia Moratti sta lavorando assieme al ministro per l'Economia, Giulio Tremonti. «E’ uno strumento importante sia per incentivare le nostre imprese, sia per attrarre investimenti dall'estero, sia per far emergere tutta la parte di ricerca e sviluppo che non viene dichiarata soprattutto dalle imprese piu’ piccole spiega Gian Francesco Imperiali, presidente dell'Anie, che raggruppa le imprese dell'elettronica e dell'elettrotecnica, che con 2.137 milioni di euro di spesa in R&S intramuros nel 2001 rappresentano quasi la meta’ della spesa in ricerca industriale . E’ assolutamente indispensabile introdurre misure automatiche di incentivazione da affiancare alle misure di cui ha parlato in questi giorni Marzano. In particolare ho apprezzato la distinzione degli strumenti in base alle dimensioni d'impresa».Fino a oggi in Italia sono stati scarsi e sporadici i tentativi di defiscalizzare le spese in ricerca e sviluppo. Ma «la defiscalizzazione e’ un importante strumento complementare spiega Ugo gia’ adottato all'estero, in Spagna, in Australia e in Canada. Penso a un modello con una defiscalizzazione bassa, poniamo intorno al10%, concessa solo a chi dimostri nei bilanci investimenti pluriennali in R&S». E come in Canada si potrebbe pensare a una commissione di valutazione che effettui controlli sulla veridicita’ di cio’ che l'azienda ha dichiarato nella richiesta di decontribuzione.Il divario con l'Europa. Secondo imprese e ricercatori, solo il mix tra defiscalizzazioni ed erogazioni a sportello pare essere la strada da percorrere per raggiungere il lontanissimo traguardo europeo del 3% di investimento in R&S sul prodotto interno lordo fissato a Barcellona. L'Italia ora e’ attorno all'1%, contro una media dell' 1,9 per cento.II rapporto con le universita’. Un enorme serbatoio potenziale di ricchezza sta in una maggior collaborazione tra aziende e atenei, come ha auspicato nei giorni scorsi, il ministro Moratti. «Sono d'accordo, purche’ i dipartimenti non facciano il doppio gioco. Certo si puo’ lavorare insieme, ma l'industria non e’ un mecenate e non si puo’ sostituire allo Stato», aggiunge Ugo. Eppure per il trasferimento tecnologico il ruolo degli atenei pare essenziale. «L'universita’ e’ molto concentrata sulla grande impresa mentre trascura la media e piccola, che spesso non ha la forza per andare a bussare nei centri di ricerca aggiunge Imperiali . Molto quindi rimane da fare per l'incontro di questi due mondi». Per favorire il dialogo 1'Anie pensa a strutture intermedie e mette in campo una nuova iniziativa: assieme ad altre due associazioni imprenditoriali, alla Camera di commercio e probabilmente al Cnr creera’ una societa’ ad hoc in cui l'industria avra’ una quota del 50 per cento. L'idea e’ creare una struttura che vada nelle piccole e medie imprese per trovare e aiutare a sviluppare i progetti di innovazione piu’ significativi. E quindi che tenga per mano l'impresa in tutte le fasi dal preprogetto alla ricerca di finanziamenti allo sviluppo. ALESSIA MACCAFERRI _________________________________________________________ L’Unione Sarda 18 Sett. 03 RICERCA E TECNOLOGIA ECCO LA NUOVA 488 tecnici ministeriali studiano incentivi per sostenere le imprese hi-tech Roma Inventiva, creativita’ e soprattutto tecnologia. La Finanziaria potrebbe dare nuove chance agli Archimede e i Leonardo italiani. Se i poeti dovranno attendere ancora e i navigatori hanno gia’ nel recente passato ottenuto qualche sconto fiscale, sara’ ora la volta degli inventori. Per loro la Finanziaria del 2004 potrebbe portare fondi ad hoc, finalizzati all’ideazione di progetti innovativi. I tecnici di alcuni ministeri stanno infatti lavorando ad una riorganizzazione della legge 488, che a quanto si apprende da alcune indiscrezioni potrebbe essere quasi esclusivamente finalizzata a incentivare la ricerca e l’innovazione. Certo, molto probabilmente cambieranno anche le modalita’ di attribuzione dei fondi: da contributi a fondo perduto diventeranno, a partire dal 2006, dei prestiti, magari a tasso agevolato, o meglio dei mutui a lunga scadenza. Ma per fare in modo che lo strumento non perda di efficacia, l’ipotesi che a quanto pare e’ rimasta sul campo e’ quella di adottare un meccanismo di fondi misti: una quota verra’ messa dallo Stato e la parte rimanente invece arrivera’ da privati, sotto forma di prestiti. Questi ultimi pero’ avranno minori costi, perche’ le garanzie saranno totalmente a carico dello Stato. I nuovi bandi della legge 488, per i quali non sono ancora stati stabiliti nel dettaglio gli importi, dovrebbero cosi’ essere focalizzati sull’innovazione tecnologica. Per dare maggiore incisivita’ alle risorse che saranno stanziate, si penserebbe di incanalarle solo su alcune tipologie di progetto. La prima riguarda l’investimento in nuove tecnologie (Itc), con attenzione all’informatizzazione dei processi critici delle aziende. Servira’ a dare loro maggiore competitivita’ commerciale oppure a riposizionare la loro attivita’ in modo da reggere le nuove tendenze di mercato. Saranno poi finanziati i progetti che puntano sulla ricerca, stabilendo collegamenti tra le imprese e le universita’. L’altro canale per l’accesso ai nuovi fondi della 488 potrebbe essere proprio quello dell’ideazione di nuovi prodotti: ovviamente i nuovi Archimede dovranno essere al passo con i tempi e l’idea geniale dovra’ concretizzarsi in un progetto fattibile. _________________________________________________________ Repubblica 15 Sett. 03 URBINO: L'universita’ certificata per la qualita’ Dopo i prestigiosi conoscimenti intenazionali perla qualita’ della ricerca, i corsi di laurea in Marketing e comunicazione d'azienda, Informatica applicata e Sociologia dell'Universita’ Carlo Bo di Urbino, hanno ricevuto per primi in Italia nelle rispettive discipline, la certificazione di qualita’ secondo fa normativa Uni Iso 9001:00. Un riconoscimento importante che mette in risalto lo sforzo innovativo avviato gia’ da tempo dall'Ateneo, che oggi conta ottre 22mila studenti, impegnato nella modernizzazione delle strutture e nel miglioramento dell'attivita’ didattica versa livelli di eccellenza. Ma da cosa nasce l'esigenza della Certificazione degli atenei? Oggi l’universita’ deve far fronte a dinamiche di tipo aziendale: autonomia, efficienza economica, competitivita’, confronto internazionale. Gli atenei cosi devono avviare un processo di trasformazione per soddisfare le aspettative degli studenti, recuperare margini di profitto, puntare sull'eccellenza. «Per valorizzare gli allievi dobbiamo perseguire - dice Giovanni Bugliolo rettore dell'Universita’, l'obiettivo della qualita’ nella formazione degli studenti fornendo servizi validi e innovativi. La certificazione e’ un segnale importante alle famiglie, alle imprese e agli studenti». Raggiungere la certificazione non e’ semplice. I prossimi corsi di Urbino a certificarsi saranno quelli di Economia, Lingue,Cultura per l'impresa e - Biotecnologie. (a. d'u) _________________________________________________________ Il Sole24Ore 17 Sett. 03 I GARANTI EUROPEI DELLA PRIVACY: MANEGGIARE CON CURA I DATI BIOMETRICI ROMA a Iride, palmo della mano, Dna, postura: sono solo alcuni dei metodi di riconoscimento personale. Metodi che diventano sempre piu’ diffusi: come oggi accade che l'identita’ venga accertata attraverso un documento, in un domani non troppo lontano la conferma si avra’ sempre di piu’ dalla "lettura" dell'occhio o delle linee dei polpastrelli della mano. E siccome si tratta di dati personali, per quanto poi le immagini possano essere scomposte in algoritmi, e’ importante gestirli con attenzione e utilizzarli solo per le finalita’ per cui vengono raccolti. Con la fondamentale premessa che l'interessato venga sempre informato e se ne acquisisca il consenso. Queste indicazioni arrivano dal gruppo dei Garanti della privacy europei presieduto da Stefano Rodota’, presidente dell'Authority italiana che hanno sottoscritto un documento su come gestire i dati biometrici. C'e’ il rischio, hanno sottolineato, che l'uso sempre piu’ diffuso dei nuovi strumenti di riconoscimento diventi, alla fine, talmente normale che le persone finiscano per assuefarsi anche a utilizzi che possono compromettere la riservatezza. In Italia e’ gia’ accaduto ed e’ dovuta intervenire 1'Authority. Il fatto risale a tre anni fa, quando una banca chiedeva ai clienti di fornire le impronte digitali, che erano poi associate alle immagini rilevate da una telecamera. Tutto questo senza alcuna informativa preventiva e senza l'acquisizione di alcun consenso. Il Garante aveva, dunque, rilevato un eccesso di misure di sicurezza, che comprometteva la sfera di liberta’ delle persone che si recavano allo sportello. La proporzionalita’ cioe’ il bilanciamento tra le informazioni personali raccolte e gli obiettivi perseguiti e’ uno dei principi ricordati anche dai Garanti europei. Bisogna, infatti, verificare se gli stessi fini possono essere raggiunti anche con modalita’ meno invasive.Inoltre, avvertono i Garanti, i dati biometrici non devono essere utilizzati per finalita’ incompatibili con quelle per cui sono stati raccolti: se, per esempio, le informazioni servono per verificare l'accesso dei dipendenti a determinate settori dell'azienda, non possono poi essere gestiti anche per monitorare l'attivita’ dei lavoratori. Altro accorgimento, suggeriscono i Garanti, e’ di evitare, se possibile; i grandi archivi centralizzati. E’ preferibile utilizzare smart card, nei cui chip inserire i dati biometrici. A.CHE. _________________________________________________________ Il Giornale di Napoli 17 Sett. 03 UNIVERSITA’, POLEMICHE SULLE AMMISSIONI ALLA LAUREA IN MEDICINA il responsabile della Sanita’ di Alleanza Nazionale, Antonio Pianelli, ha inviato un una nota al Ministro dell'Universita’ e della Ricerca Scientifica, chiedendo di predisporre un'indagine per accertare le, motivazioni che hanno indotto la II Universita’ di Napoli ad iniziare le prove di ammissione al corso di laurea in Medicina e Chirurgia, svoltesi il 4 settembre scorso, alle ore 13 anziche’ alle 10, come inizialmente previsto. Tanti, infatti, sono stati i problemi causati dallo spostamento dell'orario. Il responsabile della sanita’ di AN ha infatti sottolineato che, parrebbe che i quiz che sono stati oggetto di esame d'ammissione al corso di laurea in medicina e chirurgia fossero usciti su internet gia’ dalle ore 12 di quel giorno. E, dunque, sarebbero stati facilmente conosciuti in anticipo da molti dei candidati a quel corso. Non solo. La cosa ancora piu’ grave, per Pianelli, sarebbe rappresentata dal fatto chi parrebbe anche che alcuni candidati al corso, dopo aver sostenuto la prova di ammissione alla Federico II, iniziata regolarmente alle ore 10 come stabilito avrebbero poi successivamente sostenuto anche la prova della II Universita’ di Napoli, iniziata alle ore 12. Questo, a discapito, naturalmente, degli altri concorrenti che non hanno avuto uguale possibilita’ e che quindi sarebbero stati, in tal caso, notevolmente svantaggiati. In questo caso sarebbe addirittura doveroso, nell'ottica di un'eguaglianza totale, far ripetere ai candidati gli esami d'ammissione al corso.«E’ assolutamente necessario ha dichiarato Pianelli effettuare quanto prima un severo riscontro dei nominativi di tutti i candidati che hanno partecipato al corso di laurea in medicina e chirurgia tra le due Universita’. Bisogna infatti accertare se siano realmente avvenute doppie iscrizioni alle prove di ammissione alla Federico II e, al contempo, anche alla II Universita’. Questo, infatti, sarebbe molto grave. E va da se ha concluso il responsabile della Sanita’ di An che se venisse confermato, denoterebbe un grave dilettantismo, oltre che improvvisazione e manifesta incapacita’ di gestire con professionalita’ l'Universita’ a Napoli». _________________________________________________________ Il Sole24Ore 20 Sett. 03 LA LOTTA A1 TERRORISMO PUNTA SULLA BIOMETRIA Il mercato delle soluzioni biometriche per aumentare la sicurezza di luoghi a rischio come gli aeroporti e’ in fase di partenza. Proprio questa settimana la A4Vision - societa’ lanciata dal fondo di venture capital MyQube, partecipato, fra gli altri, da Pirelli, Benetton, Caltagirone, Mediobanca e Fondo per gli investimenti europei - ha reso noto di aver ricevuto dal Governo americano la commessa per realizzare uno strumento mobile per il riconoscimento biometrico. Una tecnologia 3D per captare figure in movimento e identificarle in poche frazioni di secondo sotto qualunque condizione di luce. La commessa da 420mila dollari si inserisce all'interno di un piu’ ampio contratto stipulato da Unisys. II Governo Usa punta proprio sugli strumenti biometrici di identificazione per rivoluzionare le procedure di accesso, non solo per coloro che richiedono il permesso di soggiorno, ma anche per quelli che devono entrare nel Paese per motivi di studio e di affari. Il Dipartimento per la sicurezza interna ha infatti ufficializzato un programma di controllo dei cittadini stranieri, denominato U.S. Visit, suddiviso in due parti. La prima vede entro dicembre l'adozione in 31 "porti" di sistemi biometrici per identificare tutti i possessori di visto. La seconda prevede l'obbligo di avere passaporti con dati biometrici anche per gli Stati, come l'Italia, che non sono obbligati al visto. La scadenza e’ il 26 ottobre 2004, ma potrebbe slittare, visto l'allarme-privacy sollevato da molti, oltre alle oggettive difficolta’ tecniche. Per completare il quadro, a partire dal primo ottobre (ma e’ molto probabile una proroga di un anno), i passaporti dovranno comunque essere dotati di sistemi a lettura ottica. Si tratta di documenti (gia’ in fase di rilascio in Italia) che hanno all'interno due linee di codici e possono essere passati attraverso una macchina per la lettura ottica. Chi ha un passaporto tradizionale, invece, dovra’ richiedere un visto presso i consolati, previo pagamento di una somma di 100 dollari. Mentre anche in Europa si sta studiando un sistema di questo genere (una commissione del G8 e’ alla ricerca del "miglior" metodo di identificazione biometrica), dal punto di vista tecnologico negli Usa si valuta l'ipotesi di una combinazione tra riconoscimento delle impronte digitali, iride e fotografia. Ma vediamo come funzionano i sistemi principali per l'identificazione biometrica. Per il riconoscimento facciale si proietta sul viso del soggetto una griglia di raggi infrarossi invisibili. Le caratteristiche uniche del volto vengono poi rielaborate con degli algoritmi e confrontate con i dati biometrici in archivio. Il tutto in poche frazioni di secondo. Il riconoscimento della retina si basa sulla scansione della mappa vascolare della membrana, attraverso un fascio di raggi infrarossi a bassa intensita’. E’ comunque un processo costoso e richiede un'ampia collaborazione da parte del soggetto. Uno dei metodi piu’ affidabili e’ l'analisi dell'iride, che ha una quantita’ di proprieta’ distintive sei volte superiore alla retina o alle impronte digitali. L'acquisizione dell'immagine avviene in bianco e nero attraverso una camera stereo ad alta precisione. Infine, la rilevazione delle impronte digitali. Nella maggior parte dei casi l'analisi avviene tramite scansione ottica. Altri dispositivi, poco diffusi o ancora in fase di prova, si basano invece sugli ultrasuoni, sul rilevamento termico o della pressione. Dal punto di vista tecnico esistono comunque delle limitazioni per l'integrazione e la diffusione dei sistemi. Parte delle applicazioni che dovranno poi essere praticamente utilizzate in frontiera e altre dei sistemi di riconoscimento "puri" sono ancora in fase di sviluppo. Altro problema e’ quello relativo alla sicurezza dei dati biometrici, nonche’ la loro integrabilita’ con le normative vigenti, quali il Testo unico sulla protezione dei dati personali e altre normative statunitensi. Un'altra incognita, inoltre, e’ quella relativa alla protezione dei sistemi biometrici nella loro globalita’. Da circa due anni, infatti, i ricercatori (non solo quelli indipendenti che fanno capo ai gruppi hacker, ma anche quelli accademici) si stanno "accanendo" sulla violazione dei sistemi basati su impronta digitale, mentre qualche tentativo andato a buon fine ri guarda anche il riconoscimento dell'iride. Questo significa, fondamentalmente, che - nonostante i progressi sulla biometria "pura" siano ormai indiscutibili - lo stato dell'arte della protezione non sarebbe in grado di garantire una sicurezza adeguata a informazioni cosi delicate. Un ulteriore problema deriva dal rapporto tra privacy e iridologia. Secondo alcuni studiosi, questa branca della medicina naturale sarebbe in grado di identificare patologie di una certa rilevanza anche su immagini non proprio nitide. II che, in astratto, potrebbe esporre il titolare di un dato di questo tipo a una perdita della riservatezza riguardo al proprio stato di salute. E sceso in campo persino un consorzio chiamato Bioprivacy, che ha il compito di studiare l'impatto delle tecnologie e dei metodi di riconoscimento biometrico sulla privacy dei potenziali utilizzatori. La Bioprivacy technology risk (questo il nome dell'iniziativa) ha il fine di attribuire un fattore di rischio a ognuna delle categorie di riconoscimento biometrico. DARIA FARTF ================================================================== _________________________________________________________ Il Sole24Ore 15 Sett. 03 LA SANITA’ E’ IN LISTA D'ATTESA La reversibilita’ del rapporto di lavoro esclusivo dei medici pubblici. La regolamentazione della procreazione assistita. La tutela degli anziani non autosufficienti. E ancora: disciplina degli informatori scientifici del farmaco, sangue ed emoderivati, responsabilita’ professionale dei medici, malattie rare, biotech, erboristeria, medicine non convenzionali. Sono cassetti che scoppiano di leggi sanitarie in naftalina quelli che da questi giorni deputati e senatori delle due commissioni competenti di Camera e Senato riapriranno dopo le lunghe ferie estive. Per una ripresa parlamentare che si annuncia incandescente, all'insegna del solito autunno di fuoco. Niente di nuovo, per la verita’, per un settore sanitario che continua a vivere nell'incertezza di quel che e’ e di quel che potra’ essere. Tra una riforma ter in vigore, cosi’ poco amata dalla maggioranza (l'abrogazione annunciata nel programma di Governo non e’ mai stata affrontata in Parlamento) ma non del tutto applicata, e annunci di cambiamenti che restano lettera morta. Un magro bottino. Ed e’ proprio questa incertezza ad aver fatto da padrona nei primi due anni di vita della XIV Legislatura. Basta vedere il desolante bottino legislativo fin qui racimolato: tutti i provvedimenti varati in materia sanitaria sono frutto di conversione di decreti legge - ben 15, dai farmaci al patto di stabilita’, dai ragni alle acque di balneazione - di misure contenute in due leggi Finanziarie (per il 2002 e per il 2003), da due Comunitarie e dal maxi Ddl sulla pubblica amministrazione collegato alla manovra 2002, nel quale sono state inserite le piu’ severe norme sul fumo e quelle sugli Irccs. Per il resto, nessun altro provvedimento governativo, e tanto meno di origine parlamentare, e’ riuscito finora a incassare l'approvazione definitiva. Ingessato da un federalismo che non ha ancora del tutto chiarito i confini tra le competenze di Stato e Regioni, il Parlamento e’ insomma rimasto alla finestra in materia di legislazione sanitaria. Non sono infatti casuali i malumori che sempre piu’, neppure tanto sotto traccia, affiorano tra i parlamentari che si sentono espropriati di un ruolo sempre esercitato in esclusiva. Non che il Governo - o quanto meno il ministro della Salute, Girolamo Sirchia - non ci abbia provato a cercare di far uscire da Palazzo Chigi qualche Ddl: basta pensare alla riforma del rapporto di lavoro esclusivo dei medici del Ssn, che tra infiniti tira e molla con le Regioni (e con Tremonti), dopo decine e decine di versioni e’ rimasto nel limbo. Proprio la partita del federalismo e della riforma istituzionale che il Governo ha in serbo, non a caso, sara’ per il settore sanitario la sfida decisiva. E cosi’ per la discussione del patto di stabilita’ dell'8 agosto del 2001, come per la valutazione della tenuta dei Lea, i livelli essenziali di assistenza che ancora nel 2001 si sono rivelati sottofinanziati per 8 miliardi di euro. Insomma, per Camera e Senato non manchera’ di sicuro la materia del contendere anche sulla sanita’. Quali chance. Dopo due anni di paralisi, peraltro, le commissioni Affari sociali (Camera) e Igiene e sanita’ (Senato) potrebbero pero’ prendersi qualche "rivincita". Sia pure in alcuni casi con fortissimi contrasti tra maggioranza e opposizione. Un caso per tutti: il Ddl di regolamentazione della procreazione assistita, motivo di scontro trasversale tra le forze politiche, che proprio in autunno potrebbe tagliare al Senato il traguardo del varo definitivo. A guardare i calendari e le intenzioni dei gruppi parlamentari, le commissioni di Camera e Senato hanno pero’ a portata di mano altre chance legislative. A cominciare dal leit motiv della reversibilita’ del rapporto di lavoro dei camici bianchi: i presidenti (forzisti) delle due commissioni, Giuseppe Palumbo (Camera) e Antonio Tomassini (Senato), giurano che anche senza il Ddl del Governo, la maggioranza e’ pronta da subito a fare la sua parte (Regioni permettendo). Mentre per gli anziani non autosufficienti, il centro- sinistra e’ pronto a far discutere la sua proposta di legge, con la maggioranza che invece nicchia in attesa dell'annunciato Ddl di Sirchia e Maroni impigliato nella ragnatela dei finanziamenti. A uscire dalle secche potrebbero essere ancora le misure sugli informatori scientifici e quelle sulla disciplina degli emoderivati. Sempre nelle intenzioni. Perche’ in realta’ i desideri dei parlamentari dovranno misurarsi con la battaglia del federalismo. E fare i conti con la Finanziaria 2004. ROBERTO TURNO _________________________________________________________ L’Unione Sarda 18 Sett. 03 SANITA’, I CONTI SONO IN ROSSO: DEBITI PER 240 MILIONI DI EURO Congelati i contributi per i viaggi della speranza, l’acquisto di sangue e la formazione professionale Ma l’assessorato non spende: fermi i due miliardi del bilancio 2003 Il buco della Sanita’ continua a crescere (200-240 milioni di euro, secondo gli ultimi dati ancora parziali), ma i fondi dell’assessorato continuano a rimanere bloccati. Colpa forse, come dicono in Giunta, del ritardo con cui e’ stata approvata la manovra e della lunga crisi politica. Sara’. Il problema, pero’, e’ che congelati nelle casse della Regione ci sono ancora oltre 2 miliardi di euro del 2003. Fondi che dovrebbero andare alle Asl, agli ospedali, ai corsi di formazione. Contributi destinati a coprire (almeno in parte) le spese dei viaggi della speranza per quei sardi che sono costretti ad andare oltre Tirreno o all’estero per farsi curare. Tutto congelato. E a complicare la situazione ci si mettono pure le commissioni. Ieri sono saltate quasi tutte le sedute perche’ le designazioni sono irregolari. E la commissione Sanita’ non ha potuto neppure esaminare un provvedimento della Giunta che stanzia oltre 20 milioni di euro da destinare ai Comuni per i servizi socio-assistenziali. Sanita’ in rossoI conti della Sanita’ continuano a essere in rosso. In profondo rosso: secondo dati ancora parziali i debiti delle Asl sarde si aggirano attorno ai 200-240 milioni di euro. Questo nonostante un’iniezione di denaro arrivata nei mesi scorsi dall’assessorato. Eppure di soldi la Sanita’ ne dispone in abbondanza, ma sono (quasi) tutti bloccati. Poco o nulla e’ stato speso per i contributi destinati ai cosiddetti viaggi della speranza: su 1 milione in bilancio, e’ stato staccato un assegno di appena 9 mila euro. Solo 224 mila euro (su 750 mila) sono stati erogati, invece, per le spese di acquisto e distribuzione di sangue ed emoderivati, mentre nulla (sui 5 milioni previsti) e’ stato assegnato alle Asl per le spese di formazione e riqualificazione del personale. Commissioni bloccateTutto questo, mentre proprio ieri e’ scoppiato un altro caso: la commissione Sanita’ e’ saltata ancora una volta e non ha potuto approvare un provvedimento che stanzia ben 20 milioni ai Comuni per i servizi socio-assistenziali. Il capogruppo della Margherita, Paolo Fadda, ha scritto al presidente del Consiglio, Efisio Serrenti, per sollecitare «tutte le iniziative necessarie» a sbloccare l’attivita’ dell’Assemblea. «La pazienza delle opposizioni ha un limite», afferma Fadda, puntando il dito contro la crisi «che ha dilaniato la coalizione dei centrodestra e prodotto danni incalcolabili. Non si hanno piu’ parole per definire la grande irresponsabilita’ di quanti, essendo a conoscenza che la costituzione delle commissioni permanenti non e’ regolare non provvedono a effettuare quelle modifiche necessarie e indispensabili per consentire la ripresa dell’attivita’ del Consiglio». Amadu e la spesa bloccataIntanto per sulla spesa bloccata alla Regione interviene l’assessore ai Trasporti, Tore Amadu. «l ritardi accumulati nel varo della manovra di bilancio - osserva l’assessore - non consentono di giudicare la situazione della spesa al 14 luglio scorso come «attendibile», in quanto il lasso di tempo riservato alle operazioni contabili (circa 60 giorni) e’ innegabilmente molto limitato. Sarebbe forse piu’ corretto parlare di tempi della politica». Nel 2003, spiega Amadu, «e’ stato previsto per l’assessorato regionale ai Trasporti uno stanziamento di bilancio di 167.912.310 euro. Gli impegni assunti al 15 settembre sono pari a 99.774.693 euro e i pagamenti effettuati ammontano a 68.499.097 euro. I rimanenti 99.413.213 euro sono destinati e impegnati formalmente per interventi riguardanti le metropolitane leggere di Cagliari e Sassari relativi al Por, contratti con concessionari del trasporto pubblico, servizi per il collegamento con isole minori, acquisti di materiale rotabile gommato. Se ne deduce che nella quasi totalita’ i fondi sono destinati a specifici interventi la cui definizione e’ da attuarsi in concorso con altri soggetti». Fabrizio Meloni _________________________________________________________ L’Unione Sarda 18 Sett. 03 FRANCO MELONI: L’ORA DELLE SCELTE ll Servizio sanitario regionale e’ uno dei settori di maggiore importanza nella vita dei sardi sia per il suo peso sociale che per quello economico, e la mancanza di un forte apparato industriale ne fa un’area quasi senza raffronti per ricadute occupazionali (oltre 22.000 occupati diretti ) e finanziarie (circa 2 miliardi l’anno). I nostri risultati assistenziali sono sostanzialmente comparabili con quelli delle regioni piu’ avanzate del paese, la rete dei servizi e’ piuttosto diffusa nel territorio, in generale nessun cittadino deve fare grandi trasferte per trovare prestazioni anche di discreta complessita’ clinica e tecnologica, il 118 funziona bene in tutta l’isola anche durante la difficilissima stagione estiva. Le liste d’attesa sono ragionevoli quasi dappertutto ma soprattutto non esistono in caso di urgenza, sono state drasticamente ridotte per molte patologie importanti e nel complesso e’ innegabile che negli ultimi anni sono stati fatti progressi notevoli. Questo non significa certo che e’ tutto perfetto, c’e’ sicuramente ancora molto da lavorare e da correggere: pero’ siamo gia’ ad un livello soddisfacente, tanto e’ vero che dal Lazio in giu’ la Sardegna e’ la regione con il saldo di mobilita’ interregionale di gran lunga piu’ basso. Negli ultimi tre anni sono stati impostati interventi di ammodernamento e ristrutturazione di portata storica, considerando che si tratta di lavori per circa 300 milioni di euro e di acquisti di attrezzature per altri 65 circa, che consentiranno di qui a poco tempo di migliorare ulteriormente prestazioni e tempi di attesa specie nei settori piu’ delicati. Anche in Sardegna negli anni trascorsi dalla approvazione della riforma DeLorenzo e’ progressivamente cambiato il sistema di regole entro cui operano le Aziende Sanitarie tanto che oggi perseguire performances di efficienza ed efficacia e’ senz’altro molto piu’ agevole: addirittura esiste il problema di volere utilizzare le sfere di autonomia che la legislazione rende disponibili. Ma il vero punto critico e’ la perenne sottostima della spesa, da parte dello Stato ma anche del Consiglio Regionale, tanto che gli ultimi dati ufficiali di cui disponiamo (2001) dimostrano che pur includendo lo sforamento di circa 240 milioni rispetto al preventivato, la Sardegna era la quart’ultima regione italiana per la spesa sanitaria procapite con un valore di 1226 euro a cittadino rispetto ad una media nazionale di 1301, con una differenza percentuale di sei punti. Quindi non e’ che si spende troppo a causa di gestioni dissennate, anzi , ma pur tenendo conto che la situazione economica del paese e’ quella che e’, il finanziamento in misura equa del Sistema sanitario deve essere guardato come un utile investimento e non come improduttiva spesa pubblica. La spesa deve essere messa sotto controllo, devono essere ripianati i passivi e finanziato il servizio con risorse esattamente correlate a quello che si vuole ottenere perche’ questo e’ un aspetto cruciale sul quale bisogna agire velocemente se non si vuole che di qui a pochi anni la spesa per la sanita’ travolga l’intera finanza regionale: la popolazione invecchia sempre di piu’ e la tendenza e’ verso un progressivo quanto inarrestabile incremento nel consumo delle risorse sanitarie. Ed e’ un compito della politica, nel suo significato piu’ alto, distribuire le risorse tra le varie necessita’ della gente e, in questo caso, definire quali e quante prestazioni il Servizio sanitario deve offrire ai cittadini. Inoltre solo il corretto finanziamento delle Aziende consentira’ di responsabilizzare davvero i Direttori Generali i quali, una volta stabiliti obbiettivi ragionevolemente perseguibili in termini di servizi da rendere ai cittadini e di proporzionali risorse da spendere, dovranno dimostrare le loro capacita’ oppure andare a casa e fare spazio ad altri. E’ indubbio che occorrano interventi innovativi, ma questo con l’aiuto di tutti e’ un punto su cui bisogna lavorare. * Direttore generale dell’Azienda ospedaliera Brotzu di Cagliari _________________________________________________________ L’Unione Sarda 18 Sett. 03 I PICCOLI OSPEDALI E IL PIANO SANITARIO Bloccato in Regione da 16 anni Mauro Cavagna La questione della difesa dei piccoli ospedali, e di quello di Ghilarza in particolare, e’ divenuta ormai troppo importante perche’ continui ad essere oggetto di sterili assemblee di sindaci o di sia pur meritevoli raccolte di firme di pochi cittadini, giustamente, ma inutilmente, protesi a scuotere l’indifferenza qualunquista di troppi. Occorre prima di tutto, per essere concreti, rimettere in ordine le responsabilita’ di chi, nel settore sociosanitario, ha l’obbligo istituzionale di assumersele e invece non ne risponde come dovrebbe. E’ necessario percio’ denunciare lo scandalo di un Consiglio regionale che dal 1987 - sono passati ben sedici anni - non e’ ancora stato in grado di produrre un nuovo Piano sanitario, adeguato ai bisogni reali della nostra gente. Cosicche’ la situazione sociosanitaria dell’isola continua ad essere priva di qualsiasi parvenza di programmazione e ognuno naviga a vista, con scelte parziali assurde ed irrazionali. Mentre continua l’invasione massiccia della sanita’ privata, che in questa situazione trova terreno fertile ai propri profitti: basti pensare che nella provincia di Oristano i posti letto privati sono oggi gia’ il 32 per cento del totale. E soprattutto senza che tale concorrenza elevi la qualita’ dei livelli essenziali di assistenza, che in Sardegna restano tra gli ultimi in Italia: questa e’ la ragione per cui il Fondo sanitario nazionale ci ha assegnato solo il 2,8 per cento contro il 4,5 delle altre regioni. Mentre il nostro deficit finanziario in materia di sanita’ raggiunge i 156 milioni di euro e abbiamo sette managers delle Asl tra i piu’ pagati d’Italia: 185.000 euro all’anno! E poi c’e’ l’assemblea dei sindaci che, nel Distretto, e’ l’organismo che dovrebbe tracciare le linee di programmazione sociosanitaria per il nostro territorio. Quel distretto di Ghilarza che, all’interno della Asl 5, ha il record assoluto in Sardegna per quanto riguarda gli indici di invecchiamento, di vecchiaia e di dipendenza. Questo dato, sommato all’indice di natalita’ in vertiginosa diminuzione dal 1992, disegna un quadro sanitario dove l’eta’ della popolazione e’ il primo fattore di rischio nel determinismo delle malattie. E dove percio’ la pressione sulle strutture sanitarie sara’ sempre piu’ alta, e dove allora i servizi dovranno essere mirati ed organizzati su strutture e prestazioni sempre piu’ flessibili. Perche’ in presenza di una popolazione vecchia - e che invecchia ancora - bisognera’ investire su nuovi modelli organizzativi, che operino prevalentemente sul territorio, come i servizi di rieducazione e di riabilitazione, di prevenzione delle patologie dell’anziano, l’assistenza domiciliare integrata, le Rsa pubbliche, per arrivare fino all’assistenza ospedaliera domiciliare. Solo avviando una tale politica di programmazione sara’ possibile ripensare la funzione del nostro piccolo ospedale di Ghilarza che, non essendo piu’ l’unico ed essenziale presidio sul territorio, potra’ essere riorganizzato e riconvertito attraverso servizi specialistici integrati e funzionali all’insieme, e potra’ allora essere, oltre che difendibile, a tutti gli effetti insostituibile nel suo ruolo anche sociale ed economico di questa zona interna della Sardegna. _________________________________________________________ L’Unione Sarda 19 Sett. 03 SANITA’, EMERGENZA PER LE CASE DI CURA Pagamenti sospesi da otto mesi I ritardi della Regione e delle Asl mettono in crisi anche la sanita’ privata. In particolare le 13 case di cura che operano nell’Isola (1524 letti accreditati e circa duemila dipendenti) continuano a non essere pagate: le aziende sanitarie locali, che ricevono i soldi dalla Regione, non hanno ancora trasferito i fondi di febbraio. L’ultima mensilita’ si ferma a gennaio, con un ritardo di otto mesi che conferma che nulla e’ cambiato. Nonostante la delibera, adottata ad agosto dalla precedente Giunta regionale con l’intento di dare respiro alla sanita’ privata, le case di cura continuano a restare in attesa, mentre il loro credito lievita attestandosi, secondo l’ultima stima, intorno ai 7 milioni e mezzo di euro. A distanza di quasi un mese dalla sua adozione, peraltro effettuata con procedura d’urgenza, la delibera non ha avuto ancora oggi seguito: non decolla il nuovo sistema che prevede che le case di cura possano cedere le loro fatture a societa’ di factoring le quali, a loro volta, dovrebbero anticipare una quota alle cliniche. Certamente - come fa notare il presidente regionale dell’Aiop (associazione italiana ospedalita’ privata), Piero Bua - «la delibera regionale e’ solo un piccolo aiuto, che non risolvera’ tutti i problemi». Per esempio quello del tariffario: e’ dal ’92 che nell’Isola (a differenza di altre regioni) non viene aggiornato. «Intanto - ricorda Bua - e’ in arrivo il quarto contratto di lavoro dei dipendenti: sara’ un’altra mazzata per i nostri bilanci che devono fare i conti anche con i prezzi salatissimi dei prodotti sanitari. Dobbiamo poter garantire un’assistenza di qualita’ senza essere costretti a fare salti mortali per svolgere le nostre prestazioni». In queste condizioni diventa difficile garantire ogni mese lo stipendio ai dipendenti. «Ora siamo in regola ma se si va avanti cosi’ diverse cliniche chiuderanno o manderanno a casa il personale». Una situazione di sofferenza che interessa un po’ tutte le cliniche, in particolare quelle che fanno capo alla Asl di Cagliari, la piu’ coinvolta nei debiti verso la sanita’ privata. «I finanziamenti regionali trasferiti alle Asl - denuncia l’Aiop - sono assolutamente insufficienti per pagare tutti. La nostra speranza e’ che i problemi si risolvano al piu’ presto, altrimenti migliaia di occupati si ritroveranno sulla strada». Intanto il sindacato promette battaglia: «Tra i tagli annunciati dal Governo e la prossima Finanziara regionale - denuncia Giovanni Pinna della Cgil - la prospettiva per la sanita’ sarda e i lavoratori privati, ma anche pubblici, sara’ davvero critica». _________________________________________________________ Il Sole24Ore 20 Sett. 03 FARMACI, DANNOSI I TAGLI AI BREVETTI DI ANTONIO NICITA* E FABIO PAMOLLI** Serve una riforma per ricerca e concorrenza L’intervento di Francesco Ciranna («Il Sole24 Ore» del 2 settembre 2003) tocca alcuni punti rilevanti per l'assetto e l'evoluzione del mercato farmaceutico italiano e riafferma il nesso tra diffusione dei generici, dinamiche di competizione di prezzo, efficienza. Sulle cause e sulle ricette, alcune considerazioni sono necessarie. In merito alla vexata quaestio dei certificati di protezione complementare (Cpc), la legge 112/02 costituisce gia’ un compromesso tra l'obiettivo di assicurare una piu’ rapida apertura alla concorrenza di prezzo per mercati di ingenti dimensioni e la tutela di un diritto considerato dalle imprese come acquisito in sede di programmazione degli investimenti. Risulta priva di fondamento, invece, ogni connessione diretta tra un'eventuale ulteriore riduzione della protezione brevettuale e la messa a punto di misure di sostegno all'innovazione (premium price, defiscalizzazione delle spese di ricerca). Ciranna rileva, correttamente, il permanere di disparita’ di andamento dei prezzi tra mercati che hanno registrato l'entrata di prodotti generici e mercati popolati solo da prodotti copia. Nel quadro vigente, l'assenza di trend al ribasso dei prezzi sui mercati dei prodotti copia e’ spiegata proprio dal fatto che, quei mercati, per caratteristiche e attrattivita’ commerciale, non sono interessanti per il generico. Questa disparita’ si registra comunque in un quadro complessivo di mercato nel quale, come rileva una recente elaborazione Ims, i prezzi sono in Italia piu’ bassi del 15% rispetto alla media europea. Inoltre, l'eventualita’ di azioni di dumping, prospettata da Ciranna, grazie alle quali il ribasso dei prodotti "vecchi" eroderebbe spazi di mercato per i generici, non puo’ essere utilizzata come grimaldello per rivedere le modalita’ di determinazione del prezzo di rimborso. Questo non puo’ che essere fissato al valore minimo dei prezzi di farmaci considerati "uguali", in quanto ogni diversa ponderazione corrisponderebbe a introdurre barriere all'entrata di produttori piu’ efficienti, con nuovi limiti alla concorrenza. Peraltro, la considerazione secondo cui il prezzo medio dei prodotti "vecchi" sarebbe piu’ alto in Italia rispetto ai maggiori Paesi europei e’ infondata se riferita al totale dei principi attivi, mentre e’ vera solo per alcuni.A1 di la’ di ogni ulteriore considerazione di merito, il vero interrogativo rimane come far si’ che il settore farmaceutico nel suo complesso sia regolato attraverso un maggiore ricorso alla concorrenza. Due le aree di intervento sulle quali riflettere, da subito. In primo luogo, l'assenza di un sistema organico di misure di regolazione economica della domanda, nella forma di schemi pro concorrenziali di compartecipazione alla spesa, capaci di tenere viva la sensibilita’ al prezzo, una volta introdotte necessarie clausole di garanzia in relazione a reddito e natura della patologia. La compartecipazione alla spesa deve essere intesa non tanto come mera leva fiscale, ma piuttosto come strumento per agire sul funzionamento dei mercati e sugli incentivi degli agenti economici.In secondo luogo, l'introduzione di una maggiore concorrenzialita’ sul mercato nazionale passa per la messa a punto di un disegno organico di riforma strutturale del comparto distributivo, incentrato sulla rimozione dei vincoli all'entrata di nuovi operatori e sulla liberalizzazione dei margini. Riforme su queste direttrici possono realizzare una sostanziale riduzione dei costi e dei prezzi di cui puo’ beneficiare l'intero sistema. In questo ambito, la vera sfida che il comparto dei generici deve saper porre e’ data dal suo ruolo di gatekeeping per l'ingresso di nuovi operatori e per il potenziamento della concorrenza nell'industria chimico farmaceutica. L'auspicio e’ di poter osservare, nei prossimi mesi, un'ampia convergenza sulla necessita’ di introdurre regole e agenzie capaci di curare il malato con la medicina della concorrenza. * Universita’ di Siena e Cerm ** Universita’ di Firenze e Cerm _________________________________________________________ Repubblica 15 Sett. 03 ALLERGIE, LA MALATTIA DEL SECOLO NEGLI USA E’ CACCIA A NUOVE CURE In crescita fra i piu’ piccoli, sotto accusa l'inquinamento JE RYADLER Cento anni fa se una rivista avesse dovuto pubblicare un articolo sui problemi medici dell'infanzia, con ogni probabilita’, avrebbe parlato prima di tutto di difterite o di colera, minacce che l'Occidente ha vinto can gli antibiotici e con adeguate misure igieniche. Oggi, invece, dobbiamo preoccuparci per le allergie, un pericolo da noi stessi creato, l’esito di una sfasatura tra il nostro sistema immunitario e l’ambiente in cui viviamo. Le allergie sono infatti una delle principali sfide del nuovo secolo. Prendiamo ad esempio la cosiddetta "febbre da fieno", detta anche "rinite allergica stagionale": secondo il Centro Nazionale di Statistica Medica, l'incidenza di questa seccante sensibilita’ al polline degli alberi e delle piante e’ aumentata considerevolmente dal 1'1996, e tra i bambini e i minori di 18 anni in America la percentuale e’ passata dal 6 al 9 per cento. In realta’ tutti questi disturbi sembrarlo essere in forte impennata, e ,non solo i bambini sono sempre piu’ allergici- come ha dichiarato il dottor Mare Rothemberg, direttore del centro allergie e immunologia presso l’ospedale pediatrico di Cincinnati «Anche la gravita’ delle allergie e’ aumentata». L'allergia e’ una reazione esorbitante del nostro sistema immunitario ad una sostanza estranea, che puo’ entrare nel nostro organismo in vario modo: tramite inalazione, come il polline in minuscole particelle del pelo degli animali domestici; tramite iniezione come il veleno degli insetti o la penicillina, con il semplice contatto, come il latex dei guanti medici; e infine tramite ingestione. Secondo la Food Allergy & Anaphylaxis Network, in teoria tutti gli alimenti possono scatenare reazioni allergiche, sebbene 8 categorie di alimenti raccolgano da sole il 90 per cento delle reazioni: il latte, le uova, le arachidi (un legume, dal punto di vista tecnico), le noci, il pesce, i frutti di mare, la soia e il grano. Per ragioni ancora poco chiare, in alcune persone queste sostanze generalmente inoffensive possono scatenare le medesime reazioni con le quali il corpo umano cerca di eliminare da solo gli agenti patogeni pericolosi. Parliamo quindi di starnuti, di vomito, e di tutte quelle manifestazioni localizzate e multifunzionali del sistema immunitario conosciute come infiammazioni. Possono dunque essere colpiti anche i polmoni e si ritiene che le allergie siano un fattore scatenante degli attacchi di asma. Nei casi piu’ estremi, la reazione coinvolge teoricamente tutti gli organi e precede l’anafilassi, un drammatico crollo della pressione accompagnato da gravi difficolta’ respiratorie che senza un adeguato intervento puo’ essere, letale. Ma che cosa implica una tale reazione autodistruttiva? Un neonato che in presenza di un centinaio di arachidi si ammali violentemente QUAsI SICURAMENTE ha una predisposizione genetica all'allergia, cosa tutt'altro che infrequente. La componente ereditaria delle allergie e’ infatti un dato di fatto: se uno dei genitori soffre di un'allergia - secondo l'Astmia and Allergy Foundation of America - i suoi figli avranno una probabilita’ su tre di esserlo anche loro. Se entrambi i genitori sono allergici, invece, le probabilita’ salgono al 70 per cento. Cio’ che potrebbe parere singolare, tuttavia, e’ che non necessariamente i figli di allergici sviluppano le stesse allergie dei genitori e questo, ovviamente, implica che deve esserci un'altra causa in gioco, perche’ la genetica, oltretutto, non spiega il considerevole aumento delle allergie degli ultimi anni o addirittura negli ultimi secoli, geneticamente la razza umana non e’ cambiata granche’ negli ultimi duecento anni- Allora fu segnalato un solo caso di febbre da fieno, che richiese il dottore e resto’ agli atti», spiega Andrew Saxori, primario del dipartimento di immunologia dell'Ucla. Di conseguenza e’ lecito presumere che qualcosa sia cambiato nell'anbiente, specificatamente nell’ambiente delle nazioni sviluppale e ancor piu’ precisamente nelle grandi citta’, dove le allergie sono di gran lunga piu’ numerose rispetto alle campagne della Cina, per esempio, e dell'Africa. Il primo imputato potrebbe essere l'inquinamento dell'aria. Alcuni studi condotti da Saxun e dal suo collega David Diaz-Sanchez hanno evidenziato una stretta correlazione tra gli agenti inquinanti - gli scarichi dei motori diesel e il fumo di sigaretta e lo sviluppo di allergie. I ricercatori pero’, sono del parere che il solo inquinamento non possa spiegare l'estendersi del fenomeno. L'industrializzazione ha da parte sua comportato un calo delle malattie infettive e dello stretto contatto con gli animali. L'Ipotesi igienista" sostiene che il diffondersi delle allergie dipenderebbe proprio da questi (in gran parte auspicabili) fattori e da queste tendenze. II sistema immunitario dell'uomo, che si e’ evoluto in un contesto naturale nel quale doveva lottare contro batteri e parassiti, si sarebbe trovato inutilizzato nell'antisettica dimensione delle moderne citta’, e avrebbe finito con lo sviluppare delle allergie per sostanze inoffensive come le _________________________________________________________ Libero 18 Sett. 03 IL GENE-REGISTA DELLA PSORIASI NA LE ORE CONTATE Quaranta team di scienziati daranno la caccia alla patologia Undici Paesi coinvolti nel grande progetto di ricerca E' caccia aperta al gene-regista della psoriasi, la malattia della pelle che soltanto in Italia colpisce 2,5 milioni di persone e le cui cause sono ancora sconosciute. Si sono infatti incontrati a Roma i componenti di 40 team di ricerca, appartenenti a 11 diversi Paesi che uniscono le forze per portare a compimento il progetto, «Un'impresa che permettera’ di accelerare i tempi della ricerca», ha detto il coordinatore scientifico, il genetista Giuseppe Novelli. Trovare la causa genetica della patologia permettera’ di mettere a punto terapie efficaci. _________________________________________________________ Libero 18 Sett. 03 LE STAMINALI RICOSTRUISCONO LA DENTIERA Cellule staminali per rimettere a nuovo un sorriso rovinato dalla piorrea, malattia che porta alla perdita dei denti e colpisce fino al 85% degli anziani. La novita allo studio sugli animali ma entro pochi mesi disponibile per interventi sull'uomo stata, annunciata ieri a Monza. Un gruppo di ricercatori dell'ospedale San Gerardo sta infatti perfezionando una tecnica che permettera di utilizzare le cellule madri dello stesso paziente per ricostruire non solo osso alveolare, ma anche le varie strutture di sostegno indispensabili per l’impianto dei nuovi denti artificiali: cemento, legamento e gengiva. La ricerca ha una durata triennale ma ha gia' fornito risultati molto incoraggianti, nei primi sei mesi di applicazione sugli animali, cavie e roditori. Dati che hanno consentito di stilare un protocollo clinico su un numero selezionato di pazienti AL San Gerardo e' gia' stata allestita una aletta operatoría. _________________________________________________________ Il Sole24Ore 19 Sett. 03 LE CELLULE STAMINALI POSSONO «RIPARARE» IL CUORE m Uno studio italo-americano ha dimostrato la capacita’ di autoriparazione del cuore mediante cellule staminali (nella foto Spl). Il gruppo di scienziati - guidati da Piero Anversa dell'Istituto per la ricerca cardiovascolare del New York Medical college - ha identificato piccole popolazioni di staminali cardiache nel cuore di ratti adulti. E’ stato osservato in provetta come queste cellule possano differenziarsi in quelle cardiache e nei vari tipi di cellule dei vasi sanguigni. Se iniettate in cuori danneggiati da ischemia, riescono poi a ricostituire i tessuti lesionati, ripristinandone la funzionalita’. La scoperta smentisce dunque che il cuore sia prive di capacita’ rigenerative e apre nuove possibilita’ nella cura delle insufficienze da infarto. «Abbiamo identificato dove si trovano queste staminali - ha dichiarato il dottor Anversa - ora studiamo come dirigerle verso i tessuti danneggiati». Lo studio e’ pubblicato su «Cell». _________________________________________________________ Il Sole24Ore 19 Sett. 03 E BOOM PER I TEST GENETICI MA SPESSO SONO, INUTILI o Gli italiani si affidano sempre di piu’ a esami e analisi del Dna, ma dietro a questo fenomeno si nasconde spesso un business estraneo alla salute. Nel 2002 la crescita delle analisi cromosomiche (come il test per la sindrome di Down) e molecolari (come quello per l'anemia mediterranea e la fibrosi cistica) e’ stata del 31,5% rispetto a12001 e del 42% sul 2000. Effettuati soprattutto i test prenatali: una partoriente su cinque viene sottoposta ad analisi invasive a volte dannose. Lo rivela l'ultimo censimento, presentato ieri, dell'Istituto Mendel di Roma e della Societa’ genetica umana che avvertono sul rischio di un "Far west" del Dna: «Solo il 19% dei test genetici e circa un quinto delle analisi molecolari spiega Bruno Dallapiccola, direttore dell'Istituto sono collegati a una consulenza genetica, quando anche il piu’ preciso esame genetico puo’ essere inutile, se non inserito in un'attenta analisi della storia personale e familiare». Intorno al parto molti laboratorifanno affari d'oro: nel 2002 le donne che hanno fatto ricorso a test genetici sono cresciute del 30% rispetto al 2000, soprattutto per l'amniocentesi e l'analisi dei villi coriali. Sono analisi invasive con una piccola percentuale di rischio, ma nel 20% dei casi sono effettuate su donne giovani che non ne avrebbero bisogno. «Emerge l'urgenza di investire nella formazione dei medici aggiunge Dallapiccola ma anche quella di dare informazioni chiare al pubblico». C'e’ poi molta strada da fare sulla sicurezza: solo un centro su quattro e’ certificato e non esiste una rete che permetta il confronto e il trasferimento dei risultati scientifici. In piu’, i laboratori sul territorio sono distribuiti in modo disomogeneo: grande maggioranza al Nord (i148% sul totale) e una diffusione inferiore nel Centro (22%), al Sud (19%) e nelle isole (10%). «Un numero folle conclude Dallapiccola che non esiste in nessun altro Paese». (Marzio Bartoloni) 1.a’ _________________________________________________________ L’Unita’ 19 Sett. 03 ALZHEIMER, COME NON DIMENTICARSI DEI MALATI CHE DIMENTICANO Il 21 settembre la nona giornata mondiale. La ricerca procede, ma ancora non si sa cosa scateni qesta malattia che ha costi sociali elevatissimi Silvia Bencivelli Non dimentichiamoci dei malati di Alzheimer. Anche perche’ sono tanti: piu’ di mezzo milione solo nel nostro paese. E non dimentichiamoci delle loro famiglie, troppo spesso lasciate sole ad affrontare la malattia. E’ questo il richiamo delle associazioni dei malati e dei loro familiari, che il 21 settembre prossimo si preparano a celebrare la nona giornata mondiale dell'Alzheimer. Un'occasione per ricordare a tutti che la demenza e’ un problema sociale, che non deve ricadere solo sulle spalle di chi ha un genitore, un nonno o un marito malato. E che le strategie politiche di gestione della malattia devono essere lungimiranti, perche’ la durata media della vita si sta allungando e il numero dei malati di Alzheimer nei prossimi dieci anni potrebbe quasi raddoppiare. Chi di sicuro non si sta dimenticando dell'Alzheimer sono i medici e gli scienziati, alla febbrile ricerca della chiave per la comprensione della malattia. Ma la strada e’ lunga e, per quanto si proceda a passo lesto, non si riesce ancora ad intravederne la fine. Ancora oggi, infatti, non si conoscono cause e meccanismi della malattia, ne’ si sono trovati dei criteri che permettano di fare una diagnosi con certezza e soprattutto non esistono terapie efficaci per rallentarne la progressione. Gli unici farmaci che vengono oggi usati hanno solo un effetto, modesto e temporaneo, su alcuni sintomi della malattia. La ricerca, pero’, sta procedendo su diverse vie parallele. Si studia per esempio la possibilita’ di impiegare gli inibitori dell' acetilcolinesterasi, enzima che degrada il neurotrasmettitore acerilcolina, carente nei malati di Alzheimer. Oppure l'utilizzo di inibitori di un altro neurotrasmettitore, il glutammato, che viene ritenuto responsabile del danno ai neuroni. O anche i farmaci antinfiammatori non steroidei, dotati di una certa efficacia nel ridurre l’infiammazione a livello cerebrale, considerata tra le cause dei sintomi. Ma anche la possibilita’ di indurre una reazione immunitaria contro alcune componenti delle lesioni presenti nel cervello dei malati. II problema principale di questi studi rimane pero’ sempre lo stesso: ancora non si e’ scoperto che cosa scatena la malattia, ne’ come questa procede. Per chi vive la malattia di un parente tutti i giorni, e’ difficile dimenticare cosa e’ 1'Alzheimer; una lenta evaporazione della memoria, dell'orientamento e delle capacita’. Accompagnata da disturbi comportamentali, capaci di trasformare un uomo mite in un violento, di provocare paure immotivate e di far perdere l'autosufficienza poco a poco. «Nel 90 % dei casi, la cura e i bisogni dei malati di Alzheimer sono esauditi dai familiari. Difficile rivolgersi alle strutture pubbliche, perche’ sono poche, hanno pochi posti e spesso non sono attrezzate per accogliere un malato cosi difficile», denuncia Patrizia Spadin, presidente dell'Associazione Italiana Malattia di Alzheimer. «L'assistenza del malato ricade soprattutto sulle donne di famiglia, che nella meta’ dei casi sono costrette a lasciare il lavoro per dedicarsi a lui. E spesso i familiari che assistono i malati finiscono per ammalarsi a loro volta; il 30 % di loro, infatti, prende degli psicofarmaci». «Sono i frutti di una politica che giudica il vecchio malato non degno di essere curato prosegue Spadin praticamente solo uri peso per la societa’. Ma sono frutti che pagheremo tutti nei prossimi anni, perche’ le scelte finora prese vanno solo nella direzione di tamponare la situazione». «L'assistenza domiciliare, per esempio, non puo’ sempre essere attivata nel caso dei malati di Alzheimer e poi serve a poco: il demente ha bisogno di un'assistenza ventiquattro ore su ventiquattro. L'infermiere a casa per un'ora al giorno puo’ essere utile solo in fase terminale, quando il malato ha bisogno di medicazioni particolari o di un catetere vescicale, cose che per i familiari sono impossibili da gestire». _________________________________________________________ Le Scienze 19 Sett. 03 CALCOLARE L'ASPETTATIVA DI VITA I metodi attualmente usati forniscono risultati distorti Una nuova formula matematica, descritta in un articolo pubblicato il 15 settembre sul sito della rivista "Proceedings of the National Academy of Sciences", potrebbe consentire di stimare in modo piu’ accurato l'aspettativa di vita delle persone. Attualmente, questo calcolo viene fatto per mezzo di formule sviluppate originariamente a meta’ del diciannovesimo secolo. John Bongaarts e Griffith Feeney, dell'organizzazione non-profit Population Council, sostengono che queste formule producono stime distorte quando la longevita’ media, in seguito a miglioramenti senza precedenti nella cura della salute, nella tecnologia medica o per altre cause, cambia rapidamente. Per stimare le aspettative di vita in maniera piu’ precisa, gli autori hanno costruito una nuova formula che prende in considerazione il tasso di cambiamento della mortalita’. Nei casi in cui l'eta’ media della morte e’ in crescita, la nuova formula evita una sovrastima dell'aspettativa di vita, mentre quando l'eta’ media e’ in calo evita una sottostima. I calcoli con il nuovo metodo mostrano che per i paesi dove l'aspettativa di vita e’ in crescita, come gli Stati Uniti, le attuali stime di longevita’ delle donne sono errate per eccesso di due anni. _________________________________________________________ Repubblica 18 Sett. 03 COME BLOCCARE LA MORTE NEURALE NELLE ISCHEMIE TORINO Nuova proteina riesce a impedire la morte neurale nelle ischemie cerebrali. La scoperta di un gruppo di scienziati svizzeri e italiani, e’ stata pubblicata su "Nature". La somministrazione intraventricolare fino a 6 ore dopo l’occlusione dell’arteria cerebrale ha ridotto il volume della lesione di ben il 90 per cento nella sperimentazione effettuata su i topi. La morte neurale nelle ischemie cerebrali e’ nella maggior parte dei casi dovuta a meccanismi tossici che avvengono nella zona colpita, spiegano i ricercatori (Universita’ di Losanna e Torino). Un meccanismo di morte cellulare causato dalla stimolazione o attivazione abnorme dei neuroni nel cervello determinata dagli aminoacididi glutammati, sostanze che si trovano in alcuni cibi ma vengono anche prodotte dalle cellule. L’eccesso di glutammato funge cosi’ da neurotrasmettitore uccidendo velocemente le cellule. «Abbiamo ottenuto una forte protezione di questo peptide, una cellula penetrante resistente alla proteasi, in ben due modelli differenti di occlusione dell’arteria cerebrale: transiente e permanente», scrivono gli scienziati. «Questo peptide appare promettente anche come fattore neuroprotettivo nei soggetti a rischio». (s. j. s.) _________________________________________________________ Le Scienze 18 Sett. 03 IMPEDIRE LA TRASMISSIONE VERTICALE DELL'HIV Un regime di nevirapina prima e dopo il parto e’ in grado di ridurre l'infezione virale Un nuovo studio pubblicato sul numero del 13 settembre della rivista "The Lancet" conferma l'efficacia della nevirapina nell'impedire la trasmissione verticale dell'HIV-1 da madri infette ai figli appena nati. La somministrazione di terapie antiretrovirali, alle donne all'inizio del travaglio e al neonato per un breve periodo dopo il parto, e’ ritenuta sufficiente per diminuire la trasmissione verticale al momento della nascita e all'inizio dell'allattamento. Nei paesi in via di sviluppo, in particolare, rappresenterebbe un trattamento utile. Gia’ nel 1999 uno studio riportava che, rispetto a un breve regine di zidovudina, una singola dose di nevirapina faceva calare il rischio di trasmissione di HIV-1 da madre a figlio del 47 per cento quando l'87 per cento dei bambini del trial aveva raggiunto l'eta’ di 14-16 settimane. Ora gli stessi ricercatori, guidati da Brooks Jackson della Johns Hopkins University, hanno dimostrato la sicurezza e l'efficacia della nevirapina in uno studio sulle madri fino a sei settimane dopo il parto e sui bambini fino a 18 mesi di eta’. Dal 1997 al 1999, a 645 donne incinte e infetti di Kampala, in Uganda, e’ stata somministrata nevirapina (200 mg all'inizio del travaglio e 2 mg/kg per i bambini entro tre giorni dalla nascita) o zidovudina (600 mg per via orale all'inizio del travaglio, 300 mg ogni tre ore fino al parto, e 4 mg/kg per via orale due volte al giorno per i bambini fino a 7 giorni). I test dell'HIV-1 per i bambini sono stati fatti alla nascita, dopo 6-8 e 14-16 settimane, e dopo dodici mesi. Rispetto a coloro che avevano ricevuto la zidovudina, i bambini avevano una probabilita’ inferiore del 40 per cento di ricevere l'infezione di HIV-1 dalle madri se a queste e a loro era stata somministrata la nevirapina. _________________________________________________________ Repubblica 18 Sett. 03 MALATTIE RARE, CANCRO, FIBROSI STESSA CURA? NEW YORK Un farmaco per una malattia genetica assai rara, la malattia di Wilson, attualmente in sperimentazione clinica in fase tre, avrebbe dato promettenti risultati negli studi che riguardano vari tipi di cancro (seno, rene, fegato), fibrosi (polmonare e cistica) cirrosi, psoriasi. Gli studi sul farmaco (tetrathiomolybdate), sviluppato dall’Universita’ del Michigan, sono stati presentati a New York al recente meeeting dell’American Chemical Society, dal professor George Brewer dell’universita’ del Michigan. Mentre sulla malattia di Wilson (congenita, causata da una ridotta escrezione biliare del rame che si accumula nel cervello, nel fegato, nel rene e nella cornea: provoca lesioni degenerative del cervello e cirrosi epatica) la sperimentazione clinica indica effetti migliorativi rispetto ad altri trattamenti, sulle altre malattie che hanno un collegamento per il ruolo che il rame svolge nell’angiogenesi, siamo ad una fase antecedente (fase II). «Il farmaco sembra avere potenzialita’ in varie malattie», ha detto Brewer, «se i primi risultati nel cancro e nelle malattie infiammatorie saranno confermati dalla nuova fase di trial, ci saranno sviluppi positivi per molti malati». Il meccanismo con cui agisce il farmaco (composto da zolfo e molibdeno) e’ di inibizione dell’angiogenesi e dei fattori di crescita combinandosi al rame nel sangue e alla proteina semplice albumina. Il farmaco blocca i segnali nervosi, impedendo alle cellule tumorali di inviare segnali per formare nuovi vasi sanguigni. _________________________________________________________ Repubblica 18 Sett. 03 LA TERAPIA ORMONALE TRA DUBBI E BENEFICI Gli esperti correggono il tiro: il rischio di aumento di tumore al seno c’e’ ma non e’ alto e i vantaggi restano DAL NOSTRO INVIATO ELVIRA NASELLI Montecarlo La Terapia ormonale sostitutiva (Tos) e’ ancora sul banco degli imputati. Gli studi e gli allarmi si sono moltiplicati, le donne si sono legittimamente preoccupate se non impaurite e molte hanno deciso di sospendere comunque la terapia, se si considerano i dati di vendita dall’inizio dell’anno. Negli Stati Uniti, secondo i dati forniti al Simposio Novo Nordisk di Montecarlo sulla Tos dopo lo studio WHI (del quale riferiamo nell’articolo in basso), si e’ verificato addirittura un tracollo. Eppure per molti ginecologi esperti in menopausa la Tos, prescritta come si fa in Italia, in cerotti e con dosaggi bassi, tagliati su misura di ogni donna e verificati ogni anno, rimane l’unica strada percorribile per tutti quei disturbi tipici della menopausa vampate, disturbi del sonno e dell’umore, depressione, secchezza vaginale, aumento di peso con distribuzione del grasso tipica dei maschi, su braccia e pancia che fanno molto scadere la qualita’ della vita di donne che, per il resto, sono giovani e sane. Beninteso, non tutte le donne hanno questi sintomi, anzi piu’ del 30 per cento, secondo alcuni persino la meta’, non ne ha affatto. E dunque non ha bisogno della terapia. Per le altre, pero’, la supplementazione di ormoni finora ha dato dei grandi vantaggi. Gia’, ma come la mettiamo con l’aumento dei casi di tumore al seno? Che un aumento ci sia e’ infatti indiscutibile, anche se i numeri non sono cosi’ eclatanti come sembrava. «Sappiamo che la Tos agisce come fattore che promuove la crescita di un tumore gia’ presente. Gli ormoni non causano nuovi cancri mammari», premette il dottor Marco Gambacciani, ginecologo all’universita’ di Pisa e membro del consiglio direttivo della Societa’ Italiana Menopausa, «pero’ un aumento della diagnosi c’e’. Per fare un esempio: se mille donne fanno la terapia ormonale il loro rischio passa da 28 casi su mille a 35 casi su mille dopo cinque anni di terapia. Il rischio cresce dunque dello 0,7 per cento. Che e’ un aumento, ma non cosi’ preoccupante da spingere a non prescrivere piu’ la Tos a donne che ne hanno bisogno perche’ sintomatiche, o per la prevenzione dell’osteoporosi». Anche perche’ di fatto le donne che possono beneficiarne non sono poi cosi’ numerose. «Dieci anni fa si prescriveva la Tos a tutte», premette il professor Giovanni Scambia, ginecologo e oncologo all’universita’ Cattolica di Roma, «oggi, grazie anche agli studi, seppure in parte criticabili, sia gli specialisti che i medici di base e soprattutto le donne, hanno molti dubbi e interrogativi che pero’, a mio parere, non dovrebbero indurre ad abbandonare la Tos. Io mi regolo cosi’: intanto prescrivo la terapia soltanto sui sintomi, sicuramente non con l’indicazione di prevenire danni vascolari ne’ l’osteoporosi. Poi, se la donna non ha familiarita’ con tumori o problemi tromboembolici, la incoraggio a iniziarla perche’ i rischi sono abbastanza bassi e gli effetti positivi. Se poi capisco che la donna ha difficolta’ ad accettare la Tos propongo un ciclo di fitoestrogeni per almeno 68 settimane: il 2530 per cento ne trae benefici e non ci sono dati sull’induzione dei tumori degli estrogeni vegetali, semmai il contrario». E poi, puntualizza il professor Paolo Quartararo, direttore della Clinica Ostetrica e Ginecologica dell’universita’ di Palermo, «bisogna sempre fare un bilancio costibenefici. E in questo caso non ho remore, prescrivo la Tos, al dosaggio minore possibile e ovviamente in presenza di sintomi, faccio un controllo dopo qualche mese per controllare se la donna accetta la terapia, in caso contrario passo ai fitoestrogeni o la sospendo».