TREGUA FRA RETTORI E MORATTI I RETTORI: GLI ATENEI VICINI AL COLLASSO MORATTI, INDIETRO TUTTA SULLE UNIVERSITÀ GIUSTO VALUTARE LE UNIVERSITÀ, NON SIAMO TUTTI UGUALI PANEBIANCO: LA COMPETIZIONE AL RIBASSO PANEBIANCO: LE AULE VUOTE DELLE SCIENZE PANEBIANCO:TROPPI DOCENTI FATTI IN CASA LA SFIDA DEGLI ATENEI ATENEI E QUALITÀ LIBERTÀ DI RICERCA,L'APPELLO DEI 2000 ATENEI: AUMENTANO PUBBLICAZIONI E LAUREATI GESSA: IL CASO NEUROSCIENZE DAL 1º AL 3 OTTOBRE: FACOLTÀ APERTE A RAGAZZI E FAMIGLIE ANCHE GLI ISTITUTI DI RICERCA IN RIVOLTA: ORA BASTA FEDERICO II: ACCUSE DOCENTI CON TROPPI INCARICHI FEDERICO II: GIUDIZI IMPIETOSI SUI DOCENTI FEDERICO II: MEDICINA, PROVA D'ESAMI IN PIAZZA PER SALIRE IN CATTEDRA SI PUNTA AL «3+2» UN BONUS NELLA RICERCA PER IL RIENTRO DEI «CERVELLI» LA CULTURA IGNORANZA E SPECULAZIONE ================================================================== SPECIALIZZAZIONI MEDICHE, ITALIA FUORI ROTTA UE MEDICINA IMBATTUTA NELLA GARA DEI CORSI DI SPECIALIZZAZIONE DAL GARANTE. VADEMECUM SULLA PRIVACY DEI DATI CLINICI LA PRIVACY FA SPAZIO ALLA FIRMA DIGITALE «MINISTRO, SPOSTI DI UN’ORA LA LANCETTA DEGLI OSPEDALI» UN OSPEDALE «INTELLIGENTE» MEDICI TRA SALUTE E COSTI II CHIRURGO DEL FUTURO? SARÀ IL ROBOT LE LACRIME RIVELANO IL DIABETE IL VIAGRA PER PREVENIRE l'ICTUS IL FEGATO SARÀ UNA FABBRICA DI INSULINA ANTIBIOTICI, CURE SBAGLIATE PER DUE BAMBINI SU TRE SIRCHIA: "LE DROGHE FANNO MALE, CANNABIS TERAPEUTICA: STUDIAMOLA PIORREA E CADUTA EVITIAMOLE DAL DENTISTA TERAPIE, RICERCA, MALATI UNA QUESTIONE DI ETICA ORTODONZIA: APPARECCHI "DISCRETI" DIETA SBAGLIATA, TROPPI RAGAZZI MIOPI ================================================================== ______________________________________________________ Il Sole24Ore 24 Sett.03 TREGUA FRA RETTORI E MORATTI L'Istruzione abbandona il progetto sulla gestione delle spese ROMA a Tregua armata tra i rettori e il ministero dell'Istruzione. L'ipotesi di una riforma della gestione delle risorse degli atenei per riportare al centro il flusso delle spese del settore, presentata nelle scorse settimane, «è stata abbandonata dal ministro» che intende, invece, ricercare con i rettori «le soluzioni più adeguate».E' quanto ha riferito la Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane) dopo l'incontro avuto ieri a Roma con il ministro, durante il quale Letizia Moratti ha annunciato sottolineano i rettori di «voler destinare al sistema universitario la maggior parte delle risorse disponibili per il suo ministero».La Conferenza ha valutato positivamente anche «l'assicurazione del Ministro di sbloccare le assunzioni del personale amministrativo e di quello docente». Uscendo dalla riunione, Letizia Moratti ha parlato di «collaborazione» e «obiettivi condivisi» Letizia Moratti (Imagoeconomica)con gli universitari, giudicando l'incontro «molto positivo».Riguardo la bozza di riforma della programmazione e del finanziamento degli atenei, il ministro ha detto che «non c'è nessun provvedimento del Governo» e l'articolato circolato nei giorni scorsi «era soltanto una nota tecnica frutto di una serie di incontri bilaterali o trilaterali, che ha bisogno di approfondimenti».II ministro ha poi sottolineato la volontà di collaborare con i rettori «per trovare quelle formule tecniche che meglio si adattano al raggiungimento degli obiettivi, affinché le università possano contribuire a creare livelli di istruzione più elevati».Sulla necessità di valutare processi e risultati, poi, il Ministro ha evidenziato come la questione «sia in linea con le decisioni emerse alla conferenza di Berlino, durante la quale è stato chiaramente detto che la valutazione è uno degli elementi essenziali per lo sviluppo qualitativo del sistema. A livello europeo ha continuato Moratti esiste un unico ente che è l'Enea, deputato alla definizione degli standard qualitativi per tutta l'Europa».I rapporti con i rettori assumono, dunque, toni più distesi, ma la tregua resta subordinata alla quota di finanziamenti per gli atenei che il Governo stanzierà nella Finanziaria per il 2004. In ogni caso, la posizione ufficiale della Conferenza dei rettori sarà resa nota solo giovedì, quando il presidente della Conferenza Piero Tosi presenterà a Roma la prima relazione sullo stato delle università italiane. I "toni diversi" di Moratti sono stati apprezzati anche dall'Ulivo. «La politica tentennante e punitiva del Governo nei confronti delle università ha detto Luciano Modica (Ds) speriamo sia giunta al termine con l'abbandono del progetto neo centralista e dirigistico dei ministri Moratti e Tremonti, rifiutato non solo dalla Crui, ma anche da autorevoli docenti di ogni parte politica. II nuovo tono conciliante che Moratti ha mostrato dopo l'incontro con la Conferenza dei rettori ha aggiunto Modica sembra invece il modo giusto di affrontare un problema così importante e difficile». ALESSIA TRIPODI ________________________________________________________ Il Messaggero 26 Sett.03 I RETTORI: GLI ATENEI VICINI AL COLLASSO Tosi, presidente della Conferenza: «Disponibili a far valutare il nostro lavoro, ma l’autonomia non si tocca». Il ministro Moratti: «Nessuno strappo, ho chiesto nuovi fondi» Il rapporto sullo stato delle Università: servono 10 miliardi di euro di ANNA MARIA SERSALE ROMA - Dieci miliardi di euro. Tanti sono i soldi necessari per dare ossigeno alle Università italiane ed evitare il tracollo annunciato dai rettori. «Non chiediamo la luna nel pozzo - ha detto Piero Tosi, presidente della Conferenza dei responsabili degli atenei - ma già da quest’anno, nella Finanziaria, deve essere previsto il primo stanziamento. La Moratti lo ha chiesto, vedremo». Se i soldi non arriveranno i rettori non ingoieranno il rospo. «Non potremmo più garantire i servizi agli studenti - dice Tosi - perciò non resteremo a guardare. Anche perchè gli atenei non possono diventare dei “magazzini della conoscenza”, le “multiversità” di Clark Kerr, magari con delle occasioni o delle “boutique di lusso”». Equivale a dire che l’università non può abbassare i livelli. I rettori hanno presentato la loro prima relazione sullo stato delle università, davanti a mezzo governo schierato nella sala affollatissima dell’Auditorium della Capitale. Tosi ha messo sul piatto la richiesta dei “magnifici”: «L’autonomia non si tocca, ma occorrono più fondi per non morire di asfissia, anche utilizzando i residui passivi dei soldi non spesi da altre amministrazioni». Più distesi i rapporti con la Moratti: «Non c’è stato alcuno strappo - ha detto il ministro dell’Istruzione - ho chiesto un miliardo di euro, spero di ottenerlo». I rettori alzano il tiro. Usano la diplomazia, ma vanno al sodo. Chiedono i finanziamenti («altrimenti sarà il collasso»). Al tempo stesso accettano il monitoraggio delle università, a patto che i criteri siano decisi con loro. «Non si può pensare di disgiungere i finanziamenti dai risultati ottenuti», ammette con convinzione il presidente della Crui. Tosi nella relazione boccia quei professori che continuano a sentirsi «al centro di un sistema tolemaico». Ne è convinto al punto da aprire la strada alla «valutazione delle università e dei docenti». «C’è un aspetto della vita universitaria che riguarda direttamente “noi” - osserva Tosi - E va affrontato con coraggio. Siamo pronti ad una verifica delle condizioni di qualità che consentono di premiare comportamenti virtuosi e disincentivare condotte errate. Vanno elaborati indici di qualità per misurare il contributo di ciascun ateneo, secondo regole precise. Non si può valutare calcolando la quantità dei ”30 e lode”, potrebbe scattare un meccanismo perverso. Si può, invece, considerare il numero dei laureati, dei tutor o che cosa un certo corso abbia prodotto. Quanto ai laureati, rispetto al ’94, sono aumentati del 60%». Si fa strada anche il concetto di «concorrenza» purchè questa non venga confusa con «il modello economico che è tipico delle imprese». «Il nostro paradigma - continua Tosi - ha funzionato per secoli, ma è entrato in crisi, sotto l’incalzare di processi tumultuosi». Poi, il presidente della Crui usa parole dure nei confronti del mondo politico: «A lungo siamo sopravvissuti danzando pericolosamente sulle crepe di queste contraddizioni, mentre i nostri Governi, in un clima di generale disattenzione adottavano solo provvedimenti tampone». Sono trascorsi dieci mesi dalle dimissioni di massa dei rettori delle 72 università d’Italia e la Crui si prepara ora ad un salto istituzionale. In nome dell’autonomia, che è stata difesa anche dagli ultimi attacchi (era in preparazione il decreto Moratti-Tremonti per controllare le università), la Conferenza dei rettori si pone come interlocutore. I “magnifici” non si rivolgono solo al Governo, ma anche al Paese: «La discussione non può restare confinata nella cerchia di élite culturali». Università, ha sottolineato Tosi, equivale a dire ricerca. Ma l’Europa investe meno del Giappone e l’Italia meno della media europea. «Nonostante l’aggravarsi dello scenario - dice ancora Tosi - l’università italiana mostra una straordinaria, quasi disperata, vitalità». Però, ancora per poco. ______________________________________________________ L’Unità 24 Sett.03 MORATTI, INDIETRO TUTTA SULLE UNIVERSITÀ Il ministro alla Conferenza dei rettori: nessun decreto del governo toccherà l'autonomia Mariagrazia Gerina ROMA L'altolà dei rettori ha funzionato. L'autonomia degli atenei, almeno per il momento, non si tocca. Dalla sede nazionale della Conferenza dei rettori, a Roma, ieri Letizia Moratti è uscita alzando bandiera bianca. «Non c'è nessun provvedimento del governo a riguardo», recita la ritirata del ministro. Di quel decreto che, anticipato dalla stampa nei giorni scorsi, ha riacceso la rivolta dei rettori, ieri, Letizia Moratti avrebbe dovuto illustrare ufficialmente i contenuti. E invece, ancor prima di entrare nel parlamentino dei magnifici, ha preso bozza e schemi che in poche mosse avrebbero dovuto restituirle il controllo stretto sugli atenei italiani e ha ripiegato tutto come se niente fosse. «Quella era soltanto una nota tecnica frutto di una serie di incontri bilaterali o trilaterali», ha spiegato poi al termine di un lungo confronto: «Non c'è nessun provvedimento da parte del governo». Che, fuor dallo stile che la contraddistingue, significa: marcia indietro. Davanti ai rettori, il ministro ha nascosto la mano. Eppure il sasso, il decreto che aveva scatenato la rivolta nei giorni scorsi, era stato pubblicato in prima pagina dal Corriere della Sera. E proprio dalle colonne della Sera, è arrivato ieri l'ultimo colpo basso per Letizia Moratti: un'intervista ad Adriano De Maio suo stretto collaboratore, nonché rettore della Luiss, nonché da lei nominato commissario del Cm che prende le distanze dal ministro («Guardi né io né gli altri consulenti siamo mai stati coinvolti, non saprei che dire», dice all'intervistatore). E segue la via già tracciata non certo a sinistra da Galli Della Loggia e da Angelo Panebianco, entrambi firmatari di un appello in difesa dell'autonomia universitaria comparso sempre sul Corriere della Sera. È stato tutto giocato sulla carta stampata, infatti, il primo tempo della partita tra rettori e governo, che, alla vigilia della finanziaria, hanno riaperto duramente le ostilità culminate lo scorso autunno nel clamoroso gesto delle dimissioni di massa: La tensione, a dire il vero non è mai del tutto rientrata da allora. Sul tavolo sempre le stesse questioni: quella degli aumenti di stipendio, a carico degli atenei che, cifre alla mano, non sono più in grado di sostenere la spesa. Ma soprattutto quella dei fondo per il funzionamento ordinario dell'università: i rettori dicono che le risorse individuate dal governo negli ultimi anni non sono sufficienti a mantenere in vita gli atenei italiani. E di questo parlerà domani, il presidente della Crui, Piero Tosi, rettore dell'università di Siena, presentando il «primo rapporto sullo stato dell'università italiana» al cospetto del presidente della Repubblica, che su questi temi si è già dimostrato particolarmente sensibile. Davanti a lui, in sostanza, Tosi reciterà ancora una volta, cifre alla mano, il ben noto cahier de doléances. Perché lo hanno ripetuto fino all'esasperazione i rettori che, se il governo non invertirà la rotta, non riusciranno più a garantire servizi adeguati agli studenti senza ritoccare al rialzo le tasse universitarie e danneggiare così sensibilmente il diritto allo studio. Nonostante questo appello, lo scorso anno il governo provò a ridurre i soldi stanziati per quel fondo. Poi fu costretto dalle dimissioni alla retromarcia. Ma il risultato che allora sembrò una vittoria, un anno dopo appare come un pareggio. Forse anche peggio. Visto che le risorse individuate allora dall'esecutivo al termine di un estenuante braccio di ferro sono state sufficienti solamente a rimandare la bancarotta. E visto che alla vigilia della finanziaria, i rettori hanno scoperto che l'asso nella manica di Moratti e Tremonti quest'anno sarebbe stato un drastico taglio all'autonomia universitaria. Controllo in cambio di risorse. E un ribaltamento dei rapporti tra atenei ed esecutivo da introdurre direttamente in finanziaria. Il colpo è stato sventato. Resta ora da affrontare il capitolo risorse. «Il ministro Moratti ha chiesto l'incremento di un miliardo di curo per il fondo di finanziamento ordinario delle università, necessario per allineare il sistema universitario italiano a quello dei paesi europei più progrediti», recita asettico il comunicato emesso ieri dalla Conferenza dei rettori, al termine dell'incontro. I magnifici sanno che la partita si giocherà tutta in queste ore. E che non c'è da fidarsi. «La Moratti ha detto inoltre di voler destinare al sistema universitario la maggior parte delle risorse che si renderanno disponibili per il suo ministero e ha anche assicurato di voler sbloccare le assunzioni del personale amministrativo e di quello docente», registrano seccamente. Però, intanto un punto, l'hanno incassato di certo: «L'ipotesi tecnica di riforma della programmazione e del finanziamento degli atenei presentata nelle scorse settimane, è stata abbandonata dicono i magnifici per ricercare con la stessa Crui le soluzioni più adeguate». E la Moratti annuisce con parole come «collaborazione», «sintonia» e dichiara addirittura che «occorre potenziare l'autonomia delle università». Sic.«Apprezziamo i toni diversi della Moratti, ma le parole non bastano, chiediamo dignità per gli atenei italiani», replica Luciano Modica a nome di tutto Ulivo, censurando «la politica tentennante e punitiva del Governo nei confronti delle università» e augurandosi sarcasticamente che quella linea politica «sia giunta al termine con l'abbandono del progetto neo centralista e dirigistico dei ministri Moratti e Tremonti, rifiutato non solo dalla Conferenza dei rettori ma anche da autorevoli docenti di ogni parte politica». ________________________________________ Corriere della Sera 23 Sett.03 GIUSTO VALUTARE LE UNIVERSITÀ, NON SIAMO TUTTI UGUALI Adriano De Maio: la vera autonomia si accompagna alla responsabilità. «Dovremo accettare il monitoraggio» «E' bene premiare e punire, altrimenti si arriva alla discrezionalità pura» LA RIFORMA DEGLI ATENEI / Oggi il ministro Moratti incontra i rettori italiani per illustrare il piano Vecchi Gian Guido «Vogliamo che i problemi dell' università vengano risolti, ma nel rispetto della nostra autonomia. Che, ricordo, è sancita dalla Costituzione italiana». Piero Tosi, presidente della Conferenza dei rettori, si prepara all' incontro decisivo con il ministro dell' Istruzione e dell' Università Letizia Moratti. I temi che verranno discussi al vertice di oggi sono molti, dalla richiesta urgente di finanziamenti da inserire nella prossima finanziaria alla presunta bozza di un decreto Moratti-Tremonti. Un provvedimento che, secondo i responsabili degli atenei, potrebbe minare l' indipendenza del sistema universitario. Il ministro ha dichiarato che le divergenze potranno essere ricomposte «trovando insieme una soluzione». Richieste di finanziamenti maggiori per la ricerca, tagli alle spese, controlli sugli sprechi: sono queste le questioni sul tavolo. Due i punti più delicati: i rettori chiedono che i fondi per pagare l' aumento degli stipendi dei professori universitari siano assicurati dalla prossima finanziaria e, soprattutto, non vogliono perdere il controllo del Fondo di finanziamento ordinario delle università. «Introdurre una cultura della valutazione significa dire che prima o poi ci sarà un rating delle università, una classifica di merito. Ed è una cosa che contraddice tutta la nostra tradizione, sa com' è, in Italia siamo sempre tutti uguali, non è che si possa fare in un amen...». Per forza, la prima università al mondo è nata in Italia, a Bologna, e proprio fondandosi sull' autonomia... «Sì, ma anche allora erano già controllate: dagli studenti. Visto che pagavano loro, se i professori non andavano bene li cacciavano e tanti saluti... Una cosa è certa...» Quale? «Oggi bisogna educare all' autonomia vera, di tipo anglosassone, che significa responsabilità nella gestione delle risorse ma anche impegno a rendere conto di quello che fai, responsability and accountability. Perché altrimenti è discrezionalità pura, non autonomia». Adriano De Maio parla a raffica, un' esplosione d' energia. Ha guidato il Politecnico di Milano e ora è rettore dell' Università Luiss «Guido Carli» di Roma, commissario straordinario del Cnr nonché coordinatore del gruppo di consulenti di Letizia Moratti, «sono convinto che il ministro percorrerà un cammino difficile ma necessario, l' unico in grado di fare crescere l' università italiana. Detto senza offesa per gli atenei, è come far diventare adulto un ragazzo: bisogna dargli responsabilità ma anche sapere che può sbagliare e, nel caso, intervenire: premi e sanzioni, impariamo dai nostri errori, solo così si educa all' autonomia vera. Ora l' università è autoreferenziale: lei mi dà i soldi e io li spendo come mi pare. Non le darebbe un po' fastidio?». Che effetto le ha fatto la famosa bozza ministeriale? «L' effetto di un testo che poteva essere molto migliorato...». Ma ne sapeva qualcosa? Da dove salta fuori? «Guardi, né io né gli altri consulenti siamo mai stati coinvolti, non saprei che dire». Il professor Salvatore Settis, direttore della Normale di Pisa, spiegava che il problema degli sprechi esiste ma la centralizzazione delle risorse è la soluzione sbagliata... «E ha ragione, sono d' accordo in tutto con lui, la responsabilità è fondamentale, sennò gli sprechi non sono mai colpa di nessuno...». Però Piero Tosi, presidente dei rettori italiani, diceva: non accetteremo il monitoraggio del ministero. «Eh, no, certo che dobbiamo accettarlo, se è sui risultati! Gli atenei devono essere responsabili delle proprie risorse, a cominciare dalle persone, avere libertà totale sulla programmazione, la didattica, la ricerca, ma devono anche rispondere dei risultati, nessuno può avere rimborsi a piè di lista ed è bene che i controlli siano duri. Chi ha aumentato gli organici, creato corsi senza fondi o fatto il passo più lungo della gamba va sanzionato. Chi ha agito bene, invece, va premiato». Sarà il lavoro del comitato nazionale di valutazione del sistema universitario? «Lì siamo ancora al prologo, a una fase di riequilibrio delle università, non è ancora la valutazione di qualità. Mi spiego: quando arrivai al Politecnico, nel ' 94, scoprii che il contributo dello Stato per studente era fra i più bassi d' Italia, atenei simili avevano il doppio. Per i motivi più vari, alle università sono state date risorse disomogenee rispetto alla propria attività. Alcuni avevano di più, altri meno, così. Quindi bisogna anzitutto stabilire degli standard di costi secondo gli atenei, delle fasce con variazioni intorno al 5 per cento. A quel punto può scattare la valutazione di qualità». E come si fa? «Qualcosa si è già fatto. Il comitato lavora ai requisiti minimi per nuovi corsi di laurea, una giusta reazione al fatto che si è esagerato, specie per il biennio specialistico è saltato fuori di tutto. Si "vendono" corsi sapendo già che il livello di disoccupazione sarà altissimo». Scusi, ma non c' è il rischio di usare criteri di mercato con la cultura? Economia non è greco... «Macché, chi fa bene letteratura greca o filosofia il posto lo trova al volo. Non è questione di materie, ma di qualità dei corsi. Uno dei criteri più semplici, per dire, è vedere chi riesce ad attrarre gli studenti migliori. E qui c' è il problema grossissimo della mobilità». Sarebbe a dire? «Se sono uno studente capace che ha finito il liceo, devo poter scegliere le facoltà migliori e avere un rating che mi dica quali sono, non la vox populi. A quel punto devo potermi spostare, non è detto che abbia la fortuna d' averla sotto casa. Ora se lo possono permettere solo i ricchi. E invece ci vorrebbero più borse di studio, prestiti d' onore che uno rimborsa dopo la laurea con il proprio lavoro, cose così. Le risorse vanno distribuite meglio». Questo presuppone una selezione degli studenti, no? «In Italia è vietato, se lo possono permettere solo le private. Noi alla Luiss abbiamo una grande fortuna, il vero patrimonio delle università sono gli studenti. Quest' anno abbiamo anticipato le selezioni a primavera dell' ultimo anno delle superiori, con un test che tiene conto dei risultati degli ultimi due anni: è più affidabile del voto di maturità». E gli altri? «Si può cominciare a fare una selezione con le lauree di secondo livello, alla Luiss stiamo lavorando per poter selezionare da tutta Italia laureati del primo triennio, oltre ai nostri. Ma questo presuppone la mobilità». La richiesta dei ragazzi come criterio di qualità? «Uno dei criteri. Il problema degli indicatori è assai complesso, nella ricerca poi è difficilissimo, ma bisogna pur cominciare a farlo: i parametri sono migliorabili, certo, ma solo operando, sbagliando e correggendosi, si riescono a trovare criteri corretti, non si può fare a tavolino». Gian Guido Vecchi Il dibattito su finanziamenti e controlli L' INCONTRO DI OGGI Durante il vertice previsto oggi, il ministro dell' Istruzione, dell' Università e della Ricerca Letizia Moratti (foto) incontrerà i rettori degli atenei italiani, riuniti nella Conferenza presieduta da Piero Tosi. Tra i temi da affrontare anche la richiesta urgente di fondi da inserire nella prossima finanziaria, per pagare l' aumento degli stipendi ai docenti e per sviluppare la ricerca LA DISCUSSIONE Al centro del dibattito ci sarà la bozza di decreto Moratti-Tremonti che ha già suscitato molte reazioni da parte dei rettori. I responsabili degli atenei si sono schierati in difesa dell' indipendenza del sistema universitario e contro una forma di controllo centralizzato del Fondo di finanziamento ordinario delle facoltà ________________________________________ Corriere della Sera 22 Sett.03 PANEBIANCO: LA COMPETIZIONE AL RIBASSO Viaggio nei problemi dell' università Panebianco Angelo L' autonomia universitaria, ora al centro delle polemiche, non è uno «stato», o una condizione, in cui l' Università italiana oggi si trovi. E' un processo in fieri, cominciato nei primi anni Novanta, quando il potere politico prese atto del fatto che un' Università diventata di massa non poteva più essere gestita, per le disfunzioni che ormai quel sistema provocava, secondo le logiche centralistiche del passato. L' autonomia delle Università non doveva essere fine a se stessa. Scopo dell' autonomia è favorire una competizione virtuosa fra gli atenei che ne migliori la qualità complessiva. Ma, passato più di un decennio dall' avvio di quel processo, una piena autonomia è ancora di là da venire. Esiste un' autonomia dimezzata, priva degli strumenti per favorire una competizione virtuosa (come mostra il rapporto testé pubblicato dall' Associazione Treelle). La logica centralistica del passato non è mai stata archiviata. Per esempio, non è mai stato riformato il Consiglio universitario nazionale (Cun), tipico relitto dell' epoca centralistica. Né il Cun né la burocrazia ministeriale hanno mai accettato l' i dea che l' autonomia richieda controllo sui risultati, non sui processi o le procedure: da qui la grande quantità di vincoli, vecchi e nuovi, che partendo dal centro continuano ad avviluppare le Università, mortificandone ogni giorno l' autonomia. Si aggiunga che buona parte del corpo docente era impreparata a vivere in regime di autonomia e ha commesso errori gravi (soprattutto, un esasperato assemblearismo) quando ha ridisegnato gli organi di autogoverno. Così come impreparato era, ed è, in larga misura, il personale amministrativo universitario (spesso più pronto a recepire rigidamente le direttive tuttora provenienti dal centro che a porsi al servizio dell' autonomia). Fra i tanti vincoli c' è, per esempio, quello per cui le Università non possono decidere liberamente l' ammontare delle tasse studentesche (una norma iniqua impedisce che questo ammontare superi il 20 per cento del finanziamento che o gni sede riceve dallo Stato). E' una scelta che penalizza le Università, le quali si trovano nell' impossibilità di offrire migliori servizi agli studenti (il problema può essere risolto senza demagogia, lasciando liberi gli atenei di fissare l' ammontare delle tasse e prevedendo prestiti d' onore per gli studenti meno abbienti). Alla sopravvivenza dei vincoli del passato si affianca la mancanza degli strumenti di controllo che, necessariamente devono essere presenti. Si lamenta, giustamente, la competizione al ribasso fra gli Atenei al fine di catturare più studenti, che ha portato a una proliferazione eccessiva di corsi di laurea, una parte dei quali di cattiva qualità. Si lamentano, giustamente, un aumento non sempre giustificato dei posti di ruolo e un reclutamento dei docenti su base localistica. Ma non è stato il «prezzo» dell' autonomia. E' stato il prezzo della mancanza di un serio sistema di valutazione, della ricerca come dell' insegnamento, che, premiando la qualità (della ricerca dei docenti e della preparazione degli studenti) anziché la quantità (numero di iscritti o di laureati), solo può responsabilizzare gli atenei nell' uso delle risorse, e alimentare il meccanismo di premi e punizioni indispensabile in un sistema universitario autonomo. Scopo dell' autonomia, si è detto, è permettere una competizione «al rialzo», virtuosa, fra le Università. La competizione al ribasso, le infornate di professori di ruolo anche non meritevoli, la caccia a sempre più studenti, lo sforzo di laurearne sempre di più, non importa se impreparati, sono mali che non si curano eliminando l' autonomia ma dotandola di ciò che serve per farla funzionare. (Il primo articolo è stato pubblicato il 22 settembre) ________________________________________ Corriere della Sera 22 Sett.03 PANEBIANCO: LE AULE VUOTE DELLE SCIENZE Viaggio nei problemi dell' università/1 Panebianco Angelo Un luogo comune, anzi comunissimo, della discussione pubblica sul nostro sistema universitario è quello secondo cui noi avremmo «pochi laureati». Ma siamo davvero sicuri, ad esempio, che in un Paese con una così alta concentrazione di avvocati siano necessari «molti più» laureati in Giurisprudenza? Siamo sicuri, per citare un corso universitario oggi di grande successo, che abbiamo un' impellente necessità di «molti più» laureati in Scienza della comunicazione? E che, se questi laureati in più ci fossero, troverebbero facilmente lavori coerenti con i loro curricula? In realtà, è falso che noi si soffra per avere pochi laureati in ambito umanistico o in ambito giuridico-economico-sociale. E' vero invece (ma nelle discussioni pubbliche non salta mai fuori) che soffriamo del fatto di avere troppo pochi laureati (con la parziale eccezione di Ingegneria) nelle materie tecnico-scientifiche. Parlo di chimica, fisica, matematica, scienze naturali e così via. La «fuga» dalle Facoltà tecnico- scientifiche, la tendenza dei ragazzi a privilegiare quelle umanistiche, che si è manifestata da diversi anni a questa parte, non è solo un male italiano. E' l' intera Europa a soffrirne. Ma in Italia, dove questo fatto si somma al disinteresse, e all' esiguità dei finanziamenti, per la ricerca scientifica, ha effetti particolarmente gravi. La fuga dalle Facoltà tecnico-scientifiche è l' altra faccia di quel rischio di deindustrializzazione (di cui è presagio l' attuale perdita di competitività sui mercati internazionali) che minaccia il futuro del Paese. Qualche cifra aiuterà a capire. Nell' anno accademico in corso (2002- 2003) le Facoltà che fanno la parte del leone nel reclutamento di nuovi iscritti sono Lettere e Filosofia (con 54 mila iscritti e passa), Economia (44.500), Ingegneria (38 mila), Giurisprudenza (36 mila). La composita Facoltà di Scienze (dove sono allocati i corsi di laurea di fisica, chimica, biologia, matematica, eccetera) raggiunge soltanto la metà (27 mila) degli iscritti di Lettere. Cifre bassissime raccolgono poi tutte le rimanenti Facoltà scientifiche. Insomma, solo Ingegneria, peraltro la più applicativo- professionale fra le tecnico-scientifiche, continua ad avere una discreta capacità di attrazione. Né devono essere scambiati per un rovesciamento del trend i contenuti aumenti di iscritti che le Facoltà scientifiche hanno registrato a causa del passaggio della riforma che ha introdotto la laurea triennale. Quella riforma ha scatenato un boom generalizzato di iscrizioni dovuto alla diffusione della (sciagurata) idea secondo cui gli studi universitari sarebbero oggi «più facili» di prima. Ma è stata Lettere e Filosofia (con un balzo spettacolare) a beneficiarne maggiormente. A Chimica, a Fisica, a Matematica, si continua, in quasi tutti gli Atenei, a vivacchiare con pochi studenti. Le cause sono complesse. Si va dalla scarsa preparazione in matematica di tanti giovani al momento della scelta della facoltà, ai pregiudizi antiscientifici diffusi nel Paese (che contribuiscono a spiegare anche il disinteresse della classe politica per la ricerca scientifica), al declino di interi comparti industriali (perché iscriversi a Chimica se l' industria chimica italiana non c' è più?). Il risultato è un circolo vizioso: lo spettro del declino industriale e il cattivo stato della ricerca scientifica in Italia tolgono ai giovani lo stimolo per tentare carriere in ambito tecnico-scientifico e, a sua volta, la mancanza di scienziati e tecnici promette di favorire il declino. Forse, se la smettessimo di ripetere che abbiamo pochi laureati e guardassimo con più attenzione ai fatti, potremmo cominciare a ragionare sui rimedi. ________________________________________________________ Corriere della Sera 27 Sett.03 PANEBIANCO:TROPPI DOCENTI FATTI IN CASA di ANGELO PANEBIANCO Uno dei problemi più seri che deve fronteggiare oggi l’Università riguarda le modalità di reclutamento dei docenti, soprattutto dei professori ordinari e associati. Da quando, alcuni anni fa, è entrata in vigore la nuova normativa sui concorsi (che si svolgono ora nella sede che ha bandito il posto di ruolo con una commissione composta, oltre che da un membro interno, da professori di altre sedi) si è verificato un fatto negativo: si è accentuato il carattere localistico del reclutamento. In pratica, salvo eccezioni, vale lo ius loci : nella sede che ha bandito il posto vince il candidato locale. Tutto bene quando il candidato locale è bravo. Ma questo, ovviamente, non è sempre vero. Si è ridotta la mobilità dei docenti fra un Ateneo e l’altro. E’ raro, per esempio, che una Facoltà metta a bando un posto di ruolo «per trasferimento», al fine di accaparrarsi un bravo professore incardinato in un’altra sede o un ricercatore straniero: nella maggior parte dei casi preferisce bandire il posto «per concorso» a vantaggio del candidato locale. Se questo è oggi il principale problema nel reclutamento dei docenti, si può rimediare solo se se ne conoscono le cause e si è disposti a incidere su di esse. Le cause del localismo sono fondamentalmente quattro: la convenienza economica, l’assemblearismo, l’assenza di un sistema di valutazione sulla ricerca e sulla didattica collegato alla distribuzione dei fondi ministeriali, le regole concorsuali. Quanto al primo punto, la questione è semplice: la Facoltà spende molto meno, intacca una quota molto più piccola del budget a sua disposizione promuovendo il candidato interno piuttosto che reclutando un esterno. Il solo modo per superare lo scoglio è che il ministero sostenga le Facoltà impegnandosi a pagare la differenza che corre fra il costo del candidato locale eventualmente promosso e quello del professore esterno. Pesante è anche, spesso, il vincolo dell’assemblearismo. Non è infatti facile per molte Facoltà resistere alla pressione dei candidati locali, alla loro domanda di promozione interna. Occorre ripensare gli organi di autogoverno dell’Università: non è accettabile (è un caso patente di «conflitto di interessi») che, in nome di una malintesa «democrazia», abbiano diritto di intervento sull’uso e la destinazione delle risorse proprio coloro la cui carriera ne può essere avvantaggiata. Gioca poi un ruolo assai importante l’assenza di una distribuzione di fondi alle diverse sedi sulla base di un rigoroso sistema di valutazione della ricerca e della qualità (non della quantità) della didattica. Se le sedi venissero premiate o penalizzate a seconda della qualità della ricerca e della didattica, avrebbero tutto l’interesse a chiamare bravi professori esterni. Oggi questo incentivo non esiste. Da ultimo c’è un sistema di regole concorsuali che non si è dimostrato efficiente. La migliore proposta resta quella avanzata alcuni anni fa da Umberto Eco: una lista nazionale (bloccata) di candidati riconosciuti «idonei», per la qualità dei loro titoli scientifici, da cui le Facoltà possano liberamente attingere. Ricordo che questa proposta non piacque agli accademici italiani (molti professori temettero di perdere il controllo fino ad allora esercitato sui reclutamenti nelle rispettive discipline). Oggi forse i tempi sono maturi per riproporla. Se combinata a un meccanismo di premi e punizioni connesso alla valutazione della ricerca e della didattica, la lista d’idoneità potrebbe, col tempo, ridare mobilità al corpo docente e innescare una competizione «virtuosa» fra le Facoltà, rendendo conveniente il reclutamento dei più bravi. ________________________________________ Corriere della Sera 26 Sett.03 LA SFIDA DEGLI ATENEI Lavoro e corsi di specializzazione Brevini Franco Si stanno chiudendo le iscrizioni alle lauree specialistiche. La riforma universitaria va lentamente a regime e, ora che i corsi triennali hanno prodotto i primi laureati, le facoltà si stanno impegnando nell' attivare i corsi biennali che completeranno il profilo del 3+2: tre anni di laurea di primo livello e due di perfezionamento. A pochi giorni dalla scadenza dei bandi, però, l' informazione resta scarsa e le facoltà lombarde si trovano in qualche caso ad avere un numero di iscritti inferiore al minimo previsto per far partire il corso. E pensare che da indagini condotte presso gli studenti dei corsi triennali risulterebbe che il 60-70% è interessato a proseguire con la specializzazione. Basta scorrere i siti delle università, per scoprire che le offerte sono stimolanti. Ad esempio a Bergamo parte il corso in Progettazione e gestione dei sistemi turistici, unico in Italia, mentre a Pavia sono accesi Studi afro-asiatici e Teoria politica, a Scienze politiche a Milano prenderà il via Istituzioni e sistemi di governo delle autonomie territoriali, allo Iulm, Strategie, gestione e comunicazione dei beni e degli eventi culturali e con lo slogan «Opera per l' ambiente del futuro» l' Insubria, sede di Como, propone Analisi e gestione delle risorse naturali. Forse a molti, proprio perché ancora agli inizi, continua a sfuggire il carattere innovativo dei bienni specialistici. Un tempo si diceva: mi laureo, poi mi cerco un lavoro. Oggi con i bienni è l' università che accompagna lo studente verso il lavoro, esercitando quella funzione che gli inglesi chiamano mentoring, che vuol dire insieme guidare e chiarire una vocazione. Non per nulla i programmi sono individualizzati e prevedono itinerari formativi con stages, tirocini, incontri, che favoriscono un avvicinamento al mondo del lavoro. Va chiarito che il compito delle lauree triennali dovrebbe essere di assicurare i fondamenti, mentre spetta al secondo livello di condurre verso l' alta specializzazione universitaria. Quanto al loro riconoscimento sociale, basti dire che il ruolo dirigente negli enti pubblici dovrà essere riservato a chi abbia frequentato i bienni e anche le aziende private guardano con interesse a questi soggetti per il top management di domani. Insomma, stando allo spirito del legislatore, è questo il curriculum formativo che dovrebbe seguire la futura classe dirigente lombarda. Ed è altrettanto chiaro che la scommessa della riforma universitaria si gioca in larga misura sui bienni specialistici. Sarebbe un peccato che tutto questo dovesse saltare per un banale problema di scarsa informazione. ______________________________________________________ Il Sole24Ore 22 Sett.03 ATENEI E QUALITÀ E possibile applicare il modello organizzativo di aziende del terziario, basato su criteri di eccellenza, al modello formativo delle università? L'esperienza positiva dell'Università di Urbino "Carlo Bo" lascia ben sperare . Infatti i Corsi di laurea di Marketing e Comunicazione d'azienda, Informatica applicata e Sociologia sono i primi in Italia ad avere ricevuto in settembre la certificazione di qualità Uni Iso 9001, uno standard di certificazione internazionale attribuito usualmente alle aziende. Ottenerlo significa aver adottato e assimilato una cultura della qualità che pone a! centro dell'erogazione del servizio il cliente, in questo caso lo studente. Il cliente studente si trasforma da utente passivo a «cliente attivo». Operativamente per rinnovare e , migliore l'offerta formativa spiega Tonino Pencarelli, docente di Economia e gestione delle imprese dei servizi, oltre che promotore del progetto ci siamo appoggiati all'Istituto di Ricerca Csa di Rimini, che ha formato i docenti incaricati di attivare il percorso di certificazione dei tre corsi: i docenti hanno scomposto l'attività formativa in tanto microattività in modo da individuare meglio le criticità e mettere a punto procedure innovative». Due di queste hanno riscosso particolare successo: un archivio per ogni studente, contenente l'intero suo percorso universitario e un monitoraggio costante del corsa tramite questionari anonimi.«Applicare i criteri dell' Uni iso 9001, declinato secondo le specificità dell'Università permette agli studenti di avere servizi più affidabili e forra " ' contrattuale. Ai docenti consente di formalizzare e ottimizzare i1 lavora quotidiano». f prossimi corsi ad essere certificati saranno farmacia; Lingua e Cultura per l'impresa, Biotecnologie e tutti i corsi di laurea di Economia. ______________________________________________________ Repubblica 26 Sett.03 ATENEI: AUMENTANO PUBBLICAZIONI E LAUREATI MA SULLA RICERCA SI INVESTE ANCORA POCO La fotografia degli atenei: dalla crisi degli alloggi alla produzione scientifica ROMA - «Autonomia, responsabilità delle scelte, valutazione dei risultati, premi o sanzioni. Questo lo schema che il sistema universitario condivide». Ma principi a parte, gli atenei italiani, tra errori e indecisioni, hanno fatto miracoli. Ecco le cifre dell'indagine della Conferenza dei rettori. Tra il '94 e il 2002 il numero dei docenti è aumentato dell' 11 per cento, quello amministrativo è diminuito del 5 percento. Nei prossimi5anniilnumero dei prof scenderà di 800 unità l'anno. Il costo del personale è aumentato per gli atenei del 77per cento, superiore a quello dei fondi statali che sono cresciuti del 74 per cento. Se l'Europa investe nella ricerca meno del Giappone e degli Usa, l'Italia spende meno dell'Europa. Eppure i nostri atenei mostrano una incredibile vitalità: il 53 percento dei lavori scientifici proviene dalle università, i135 dei fondi europei per la ricerca Ue vanno agli atenei. Ed il numero delle pubblicazioni ad alto indice scientifico è almeno pari a quello europeo e statunitense. E a proposito di fuga di cervelli: tra il 2001 e i12003, 249 tra ricercatori e docenti sono entrati nel sistema universitario I dall'estero. Di questi 133 sono stranieri. Negli ultimi tre anni, dall'inizio della riforma, l'aumento medio delle iscrizioni è stato del 10percento, anche se c'è una grave carenza di immatricolazioni nelle facoltà scientifiche come Matematica, Chimica e Fisica. Dal '99 a12002 la percentuale dei laureati sugli immatricolati è cresciuta dal 38 a152, gli abbandoni sono scesi dal 62 al 48 per cento.(ma. re.) ______________________________________________________ L’Unità 26 Sett.03 LIBERTÀ DI RICERCA,L'APPELLO DEI 2000 Medici, ricercatori e accademici contro la legge sulla procreazione assistita Mariagrazia Gerina ROMA «Leggi scevre da ogni impostazione ideologica e rispettose delle esigenze della ricerca e della Scienza». È quello che chiedono, allarmati, duemila scienziati italiani: medici, ricercatori, accademici. Duemila uomini di scienza (tra cui Margherita Hack, Ferdinando Aiuti, Gilberto Corbellini) che assistono in queste ore al dibattito sulla fecondazione assistita e hanno deciso di aderire all'appello lanciato da Luca Coscioni e dai radicali per rivolgersi direttamente ai parlamentari italiani. Ricordando loro quanto è scritto nella Costituzione, all'articolo 33: «L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento». Già, perché la legge sulla procreazione assistita non ha a che fare solo con la libertà di cura, la libertà di procreare con l'aiuto delle varie tecniche messe a disposizione dalla medicina, ma anche con quella di ricerca. «Si tratta di una brutta legge che intende solo proibire e di fatto renderà impossibile in Italia fare ricerca sulle cellule staminali embrionali», spiega il professor Giulio Cossu, direttore dell'Istituto per le cellule staminali del San Raffaele di Milano e ordinario di istologia alla "Sapienza" di Roma. Uno dei firmatari dell'appello.Il dibattito sulle cellule staminali embrionali non è nuovo in Italia. Si tratta di un campo di ricerca delicato, non ancora regolamentato da legge e dove scienza ed etica si intrecciano in modo stretto. La legge che il parlamento si appresta a varare è altra cosa però rispetto a una riflessione bioetica. «Qui siamo di fronte a un'alzata di scudi del mondo cattolico, che, forte del sostegno politico che sente di avere in questo momento, cerca di riportare l'Italia drammaticamente indietro», spiega Cossu: «La Commissione Dulbecco dava dei suggerimenti, questa legge ha scelto un'altra strada, quella della proibizione. Miope, perché tutte le obiezioni alla sperimentazione sulle cellule staminali embrionali si basano sulla sacralità dell'embrione umano, mentre i laboratori sono pieni di embrioni che ogni giorno vengono buttati via e per portare avanti le sperimentazione non servirebbe produrne di nuovi. Doppiamente miope, perché gli altri paesi andranno avanti. Senza di noi».Alcuni anni fa, il professor Giulio Cossu, con gli altri ricercatori del San Raffaele di Milano, è riuscito a dimostrare che nel midollo osseo ci sono cellule capaci di generare tessuti muscolari, ovvero che cellule di un tessuto possono dare origine a cellule di altri tessuti. Una scoperta che ha accresciuto le speranze di quanti credono che sarà proprio la ricerca sulle cellule staminali a suggerire come riparare le cellule danneggiate e quindi come curare malattie attualmente incurabili come la sclerosi laterale amiotrofica, fAlzheimer, il morbo di Parkinson, malattie muscolo scheletriche e malattie degenerative della retina> della cornea, ma anche i danni provocati al mliscolo cardiaco dall'infarto. Un successo quello raggiunto nei laboratori dei San Raffaele che ha posto l'Italia all'avanguardia. Oggi, invece, «l'Italia rischia di perdere l'ennesimo treno», dice amareggiato Cossu. E spiega: «Siamo a un punto della ricerca in cui ancora non sappiamo se le cellule staminali embrionali funzioneranno 0 meno come cura per tutta una lunga serie di malattie disabilitanti. Noi in Italia non lo sapremo mai».Italia da una parte, Europa dall'altra. E in mezzo, i malati che, come Luca Coscioni guardano con speranza alla ricerca sulle cellule staminali embrionali. La barriera che ci dividerà dagli altri paesi è tutta «ideologica» avvertono gli scienziati: «Riteniamo che l'approvazione di una tale impostazione che è assai più restrittiva della direttiva comunitaria che l'Italia è chiamata a recepire impedirebbe al nostro Paese di competere internazionalmente sul fronte della ricerca scientifica togliendo a milioni di cittadini italiani la speranza concreta di cura e guarigione in un futuro che appare sempre più prossimo», recita il testo dell'appello da loro firmato. Non è il primo, non sarà l'ultimo grido d'allarme che viene dal mondo della scienza. «I motivi per essere preoccupati in effetti non ci mancano», annuisce il professor Cossu. Motivi economici, che mettono indiscriminatamente a dura prova tutta la ricerca: «Non ci sono soldi in Italia per la ricerca e il governo non fa altro che ridurre gli stanziamenti> penalizzando con il sapere e l'istruzione, la cultura stessa di un paese. Se a tutto> si aggiungono anche i vincoli ideologici... Ecco, allora proprio passa la voglia di continuare a fare questo mestiere in Italia» ______________________________________________________ L’Unità 26 Sett.03 ANCHE GLI ISTITUTI DI RICERCA IN RIVOLTA: ORA BASTA L'appello firmato da Cnr, fisica nucleare, sanità, Istat e altri a Berlursconi, Tremonti e Moratti: ci state strangolando Emanuele Perugini ROMA Gli enti di ricerca pubblici sono in grave crisi, in pratica sono sul lastrico e non hanno nemmeno i soldi per le bollette. E le notizie che vengono sugli orientamenti del governo in materia di ricerca non fanno presagire nulla di buono. Anzi, sembra proprio che non ci sia nemmeno un euro di investimento diretto, solo detassazioni e altre proposte innovative di tipo «colbertiano». Per questa ragione il Comitato di Settore degli Enti Pubblici di ricerca, un organo in cui sono rappresentate le principali istituzioni scientifiche del paese, ha deciso di rivolgere un appello al presidente del consiglio Berlusconi e ai ministri Tremonti e Moratti, perché venga «invertita la tendenza delle passate leggi finanziarie che hanno ridotto le risorse destinate alla ricerca».L'appello è stato firmato da Luigi Buggeri, presidente dell’Istat, Enzo Boschi, presidente Istituto nazionale di geologia e vulcanologia, Adriano De Maio, commissario straordinario del Cnr, Enrico Garaci, presídente dell'Istituto superiore di sanità, Enzo Jaroccí, presidente dell'Istituto nazionale di fisica nucleare, Alberto Majocchi, presidente dell'Istituto studi e analisi economiche e da Antonio Moncaldi presidente dell'Ispesl, l'istituto superiore per la sicurezza sul lavoro. Molti di loro lo scorso anno, quando il ministro Moratti aveva presentato il piano di riforma degli enti di ricerca, avevano approvato il progetto del governo, nonostante la mobilitazione di massa della intera comunità scientifica contraria alla riforma. Alcuni di loro sono stati messi alla guida di importanti enti di ricerca. Questo non è stato però evidentemente sufficiente a placare le loro preoccupazioni.Ad allarmare i ricercatori sono state le indiscrezioni trapelate sulla stampa in merito alle risorse che il ministro Tremonti ha deciso di destinare alla ricerca nella prossima legge finanziaria. II provvedimento allo studio al ministero dell'economia, secondo quanto si è appreso finora, non prevede infatti nessun finanziamento diretto agli enti pubblici. Solo qualche norma per favorire il rientro dei cervelli in Italia e molte iniziative per defiscalizzare gli investimenti delle imprese. Giulio Tremonti ha previsto una misura da lui stesso definita «colbertiana»: si tratta della cosiddetta «Tecno Tremonti» che permetterà di detassare gli investimenti nel settore del 50 per cento. Infine saranno favoriti anche nei bandi gli imprenditori con idee nuove e si cercherà di avvicinare il più possibile le Università e le imprese.Si tratta di una serie di iniziative che difficilmente potrebbero aiutare gli istituti di ricerca ad uscire da quella condizione di «grave crisi» che, come hanno scritto i membri del comitano nel loro appello vale soprattutto per gli enti «sottoposti a recenti provvedimenti di riordino» e cioé il Cnr. «Neanche quei ricercatori che avevano dimostrato fiducia in Berlusconi e nella Moratti ha spiegato alter Tocci, responsabile della ricerca dei Ds hanno potuto tacere davanti alla mancanza di proposte concrete di questo governo nei confronti del mondo della ricerca. È la prova del nove che dimostra come questo governo voglia in realtà affossare del tutto la ricerca nel paese». ________________________________________ L’Unione Sarda 25 Sett.03 GESSA: IL CASO NEUROSCIENZE Quelle intese non rispettate Nel suo equilibrato intervento sulla vicenda "Neuroscienze" il rettore ha evitato diplomaticamente di chiarire il vero motivo della mia uscita da quella società. Nel 1996 la Regione mi ha concesso un consistente contributo per realizzare un centro di ricerca da inserire nel parco Scientifico e tecnologico. Ho proposto a Luca Pani, Giancarlo Colombo, Paola Castelli e altri allievi di collaborare. Pani scelse di svolgere principalmente le attività promozionali e di marketing. Con i miei allievi decidemmo di acquistare la maggioranza delle quote, per evitare che altri potessero condizionare la vita della società. Feci avere a Pani il danaro per acquistare le quote appartenenti al dottor Antonio Mele (primo amministratore delegato della società) e al Consorzio 21. Il denaro era preso in prestito dalla donazione "Everett" che gestisco per conto dell’Università. L’intesa era che le quote acquistate dovessero essere poi divise tra i ricercatori. Così non è stato. Pani ha restituito il prestito, ma ha deciso di non dividere con altri le quote ed è diventato il padrone della società, nel cui consiglio di amministrazione è rappresentato da tre membri su cinque. Ovviamente non chiedevamo che condividesse gratuitamente le sue quote. Qualsiasi offesa verbale Pani possa proferire nei miei confronti, non potrà eludere queste domande: è vero che ha avuto il denaro per acquistare le quote? È vero che doveva condividerle con noi? È vero che è diventato il socio di maggioranza? Gian Luigi Gessa Direttore Dipartimento di Neuroscienze Università di Cagliari ________________________________________ La Nuova Sardegna 26 Sett.03 DAL 1º AL 3 OTTOBRE: FACOLTÀ APERTE A RAGAZZI E FAMIGLIE CAGLIARI. "UniverCity, facoltà aperte" è la manifestazione che verrà presentata oggi dal sindaco Emilio Floris e dal rettore Pasquale Mistretta. La manifestazione è in programma dal primo al 3 ottobre prossimo. Organizzata dall’università in collaborazione con il Comune, l’amministrazione provinciale, l’Ersu, il Ctm e il Cus Cagliari, l’iniziativa punta a far meglio conoscere alle matricole non soltanto l’offerta formativa dell’ateneo cagliaritano ma anche la città e i suoi servizi. A tal fine sono previsti incontri con docenti e tutor, visite alle facoltà con consegna di materiale illustrativo sui diversi corsi, oltre ad attività culturali, sportive e di intrattenimento dedicate agli studenti e alle loro famiglie, un elemento spesso trascurato nella gestione dei problemi degli universitari. ______________________________________________________ Il Giornale di Napoli 21 Sett.03 FEDERICO II: ACCUSE DOCENTI CON TROPPI INCARICHI GLI STUDENTI PREPARANO UN DOSSIER SUI "BARONI" DELLA FEDERICO II Non si placano le polemiche sui tagli previsti agli Atenei campani (tranne Salerno) da parte del Comitato di valutazione del Ministero dell'Università. I rappresentanti della Confederazione degli Studenti stanno elaborando un dossier per denunciare i professori assenteisti, quelli che ricoprono innumerevoli incarichi e che hanno comportamenti "scorretti" col corpo studentesco. «Dobbiamo estirpare le mele marce, spiega Francesco Surrelli, presidente della Confederazione degli Studenti e membro dei Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari per impedire il collasso dei nostri Atenei e, in particolare della Federico II. A fronte di una maggioranza di docenti che lavorano bene e con dedizione abbiamo ancora un numero troppo elevato di "baroni" che intendono il loro ruolo come esercizio di potere e non servizio alla collettività:Il Rettore della Federico II sta operando bene ma è ora di imprimere una svolta anche sulla didattica. Il questionario che in questi giorni stiamo distribuendo tra gli studenti comprende alcuni quesiti legati a quante volto i docenti fanno realmente ricevimento o lezione e soprattutto il loro comportamento durante gli esami. Ci domandiamo, quanti docenti hanno più di un incarico oltre a quello legato all'insegnamento. Quanti hanno studio professioni che li tengono spesso loti: tanti mesi dall'Università (in cui mettono piede una volta al mese), quanti si sono sospesi dall'insegnamento quando si sono resi conto di non riuscire a seguire adeguatamente la loro professione:a molti docenti - riprende Luca Ventriglia - portavoce della C.d.S. hanno importanti incarichi istituzionali e questo fa onore all'Università. Ma non devono dimenticare che il loro primario dovere è l'insegnamento. Abbiamo casi oramai di Facoltà che per venire incontro alle esigenze dei docenti e del loro poco tempo hanno previsto durante l'anno tre soli appelli o professori che pretendono di fare lezione alle 8 del mattino. Ci sona casi in cui uno studente dovrebbe in uno stesso giorno e alla stessa ora svolgere più esami. Dobbiamo mettere un freno, serenamente, a questa situazione prima che esploda irreparabilmente» Il 30 settembre conclude Rosario Pugliese Senatore Accademico della C.d.S. nel Consiglio degli studenti di Ateneo proporremo un nuovo sistema di valutazione del corpo decente: Ci sono Corsi di Laurea alla Federico II che in un anno prevedono lo svolgimento di 14 esami. Di questo passo dal 52,9% di fuori corso nel giro di due anni passeremo al 60% quest'anno scade il primo triennio della riforma». ______________________________________________________ il Giornale di Napoli 22 Sett.03 FEDERICO II: GIUDIZI IMPIETOSI SUI DOCENTI E durato più di un ora l'incontro tra i rappresentanti della Confederazione degli Studenti, il Rettore della Federico il Guido Trombetti e il Prorettore Vincenzo Patalano sui problemi della didattica. «Stiamo distribuendo alla Federico II e in altri Atenei racconta il presidente della C.d.S. Francesco Emilio Borrelli dei questionari agli studenti dove gli chiedimao un giudizio sui loro professori. Quante volte hanno ripetuto un esame prima di superarlo, quante volte il loro professore si è presentato in ritardo alla lezione ci all'orario di ricevimento e quante volte si è fatto sostituire. Nello specifico chiediamo di sapere se il docente ha atteggiamenti poco consoni al suo ruolo. li Rettore come, al solito è stato disponibile e aperto al dialogo continua Borrelli ci ha chiesto di poter visionare i risultati dl questa inchiesta che poi trasmetterà al nuclei di valutazione dell'Ateneo, inoltre a gennaio sarà convocata una seduta con tutte le facoltà per affrontare i problemi della didattica con una serie di proposte che dovrebbero diminuire e razionalizzare i carichi didattici. L'iniziativa è nata all'indomani della notizia del decurtamento da parte del Governo di fondi alla università giudicata non eccelsa da poter competere. «Stiano monitorando conclude Gerutaro Faligati, Senatore Accademico della Sun per la Confederazione - i professori che hanno troppi incarichi, doppie, triple o quadruple cattedre, che si dedicano alla professione tralasciando l'insegnamento. Vogliamo razionalizzare la loro presenza negli Atenei non creando danno agli studenti. Tutti i docenti dovranno sapere che se ottengono risultati saranno gratificati, ma se invece si dedicano poco e male all'insegnamento saranno penalizzati. Nessuna caccia alle streghe ma una semplice verifica della didattica degli atenei». Durante l'incontro si è logicamente parlato anche del problema degli appelli d'esame "tagliati" dalla facoltà. «Ci siamo accordati su una sessione straordinaria di novembre e dicembre raccontano i rappresentanti di legge Michele Merlino e Simona Milano e poi sulla diminuzione dei carichi formativi per gli esami». Altro clima si respira nelle facoltà di Medicina dove i rappresentanti degli studenti hanno deciso di chiedere ai Presidi di denunciare chi sta speculando e mettendo in cattiva le stesse facoltà. «Non si era mai visto -racconta Tommaso Pellegrino della Confederazione degli Studenti una speculazione così vergognosa - realizzata da avvocati e soggetti esterni agli atenei che non si sono rivolti né ai Presidi né ai Rettori per denunciare presunte irregolarità. Tutta questa vicenda puzza di bruciato e noi vogliamo vederci chiaro».«Se ci sono state irregolarità continuano Michele Cestari e Stefano Trace rappresentanti di Medicina alla Federico II siamo i primi a volerle denunciare, ma se le uniche irregolarità le apprendiamo dai giornali e non il giorno dei test ma dopo che sono usciti i risultati la vicenda non ci convince. Per questo abbiamo chiesto agli organi di governo dell'Ateneo di tutelare il nostro nutrie a livello giudiziario se si verificherà che siamo preda di una speculazione». ______________________________________________________ Il Giornale di Napoli 23 Sett.03 FEDERICO II: MEDICINA, PROVA D'ESAMI IN PIAZZA I GENITORI HANNO DATO MANDATO AI LEGALI PER IL RICORSO AL TAR II Comitato delle mamme esegue un test provocazione. I partecipanti e gli esclusi insistono: l’inizio con troppo ritardo. Questo gap avrebbe consentito ad alcuni studenti di entrare in possesso dei test e dei quiz di partecipazione.Il Comitato delle mamme degli aspiranti studenti di medicina annuncia di aver inviato alla seconda Università di Napoli una copia del ricorso al Tar che verrà presentato al più presto. Il Comitato, durante il presidio tenutosi ieri in piazza Vanvitelli, ha chiesto l'annullamento del test svoltosi il 4 settembre scorso. Disillusi, ma con la voglia di riscattarsi gli studenti, non vincitori ciel concorso per l'accesso alla facoltà di Medicina passeranno alle vie legali per contestare le modalità con cui si è svolta la prova. a Alle otto dei 4 settembre spiega Marco Monzoni, uno dei non vincitori al test di ammissione ci siamo presentati a Monte Sant'Angelo sede dell'esame di ammissione. La prova sarebbe dovuta iniziare alle 10 come era stabilito dal ministeri) della Pubblica istruzione ma alle 12 la maggior parte di noi studenti era ancora fuori a fare la fila e il riconoscimento». Gli studenti e i loro genitori insistono: «La prova nelle altre città italiane si è svolta regolarmente, mentre nel secondo ateneo alle 12.45 alcuni studenti sono venuti a conoscenza che la stessa prova svoltasi alla Federico II era già terminata». Il Comitato, dopo aver raccolto numerose testimonianze, avanza l'ipotesi che a causa del ritardo di inizio della prova al secondo ateneo, rispetto alla Federico II i test potrebbero essere stati diffusi e quindi portati a conoscenza degli studenti in procinto di svolgere l'esame in ritardo. Gli avvocati Angelo Pisani, Andrea Orefice e Vittorio Scaringia che hanno avuto mandato di presentare ricorso al Tar affermano: «Non sono state rispettate le norme sia nazionali sia di bando che avrebbero dovuto garantire la trasparenza e la procedura del concorso. In tutta Italia il concorso si doveva tenere alle 10, solo alla seconda Università di Napoli l'orario non è stato rispettato» ______________________________________________________ Il Sole24Ore 22 Sett.03 PER SALIRE IN CATTEDRA SI PUNTA AL «3+2» Il Ministero si sta orientando verso la creazione di un biennio specialistico ad hoc Incomincia a chiarirsi il nuovo scenario della formazione degli insegnanti, previsto dall'articolo 5 della legge 53/2003 sulla riforma della scuola. Mentre il Consiglio dei ministri vara un disegno di legge che modifica l'attuale assetto dell'ultimo scaglione delle graduatorie permanenti del personale docente (si veda II Sole24 Ore di sabato 20 settembre), una commissione ministeriale sta mettendo a punto le principali coordinate del nuovo modo di accedere alla professione.Il «3+2». Tra le ipotesi formulate negli scorsi mesi, quella prescelta sembra il «3+2» con laurea di base caratterizzata sulla materia più un corso di laurea specialistica ad hoc per l'insegnamento. Questo significa la trasformazione dell'attuale laurea in scienze della formazione primaria per le scuole dell'infanzia ed elementare e l'addio al diploma di specializzazione all'insegnamento secondario gestito dalle attuali Ssis, che conferisce l'abilitazione nonché il diritto all'inserimento nelle graduatorie permanenti degli insegnanti. Con le nuove disposizioni, invece, saranno istituiti curricoli universitari di durata identica tanto per gli insegnanti della scuola dell'infanzia e della primaria, quanto per quelli della scuola secondaria. La differenza sarà relativa alla scelta dei contenuti formativi che terranno conto della diversa destinazione lavorativa dei corsisti. I corsi di laurea specialistica, a numero programmato in base alla previsione dei posti effettivamente disponibili in ambito regionale, saranno articolati in almeno 120 crediti disciplinari, pedagogici e didattici. All'interno dei crediti troveranno luogo esperienze di tirocinio (dal 5 al 10% dei crediti) da svolgersi nelle classi con la supervisione di un docente tutor. Questo, almeno, l'orientamento della commissione, ma il dibattito sul modello da adottare non sembra ancora chiuso. «Si tratta di capire se verrà veramente istituita una nuova classe delle lauree specialistiche per l'insegnamento afferma Umberto Margiotta, direttore della Ssis del Veneto oppure la formazione degli insegnanti secondari diverrà un percorso didattico all'interno delle lauree specialistiche disciplinari esistenti. In breve, se un laureato in archivistica diplomatica con laurea abilitante insegnerà, oppure se ci saranno lauree specialistiche che esaltino la specificità dell'insegnamento». Giorgio Chiosso, vicepreside della facoltà di scienze della formazione di Torino, è invece più ottimista e pensa che il nuovo corso delineato dal ministero verrà presto attuato. «Ritengo che a ben lavorare si possa partire con il nuovo modello di reclutamento sin dall'anno accademico2005/2006 afferma . Dipende innanzitutto da quando verrà licenziato definitivamente il Dlgs e dai tempi di ricezione degli atenei nell'ambito della loro autonomia».Il futuro delle Ssis. È probabile che le attuali Scuole possano gestire in futuro le lauree specialistiche: l'articolo 5 della legge 53/2003 prevede, infatti, che siano istituite dall'Università, apposite strutture per la gestione dei corsi di laurea. In questo modo si ottimizzerebbe l'esperienza già fatta. Il lavoro. Ma quale futuro avranno, dopo la formazione quinquennale, gli aspiranti docenti? Sempre secondo l'articolo 5 gli aspiranti docenti svolgeranno, previa stipula di appositi contratti di formazione lavoro, specifiche attività di tirocinio «ai fini dell'accesso nei ruoli organici del personale docente delle istituzioni scolastiche». Questo tirocinio durerà probabilmente un anno, un anno e mezzo, dopo il quale il lavoro dovrebbe essere assicurato. Tuttavia, non è ancora chiaro quale sarà il criterio di assegnazione alle cattedre, una volta cancellato il doppio canale per le immissioni in ruolo che oggi attinge il 50% degli aspiranti dalle graduatorie dei concorsi ordinari e il restante 50% dalle graduatorie provinciali permanenti. E soprattutto come verrà risolto l'attuale "intasamento", in diverse classi di concorso, delle attuali graduatorie provinciali e di istituto, dal momento che per il loro esaurimento si calcolano anche 1520 anni. DANIELA GIRGENTI ________________________________________ Il Tempo 22 Sett.03 LA CULTURA IGNORANZA E SPECULAZIONE di FABIO TORRIERO IL RAPPORTO tra cultura e politica che dovrebbe far rima con una seria politica culturale da noi, sappiamo perfettamente, è stato sempre difficile. Col risultato sconsolante di ottenere al massimo e per periodi limitati, una cultura astratta, luogo di esercizi accademici e divisioni filosofiche, e una politica senza riferimenti alti, qualità e spessore. Cioè, quello che viviamo quasi ogni giorno, in modo "bi" o "tripolare". Ernesto Galli della Loggia sul Corsera ha riproposto la questione e, in particolare si è scagliato contro la cultura di destra che dovrebbe partecipare a pieno titolo alla costruzione della nuova Italia e che invece è assente, latitante e si identifica col nulla, il sottovuoto spinto, le battute del Cavaliere e l'ignoranza generalizzata. Il discorso avrebbe un senso se non partisse da un pregiudizio: la destra è impresentabile, sua vecchia tesi dal sapore "razziale". Vediamo di chiarirci: 1) La cultura italiana, meno che mai quella di destra che ha occupato massicciamente il nostro secolo (dagli uomini della rivoluzione conservatrice tedesca a Prezzolini, da Croce a Gentile, da Bernanos a Del Noce, etc, giusto per amore di contaminazione) non ha bisogno di professori, bacchettate, legittimazioni e voti. Semmai potremmo chiederci in che misura i partiti facciano politiche culturali e siano in linea, nelle decisioni specifiche, con i loro filoni di appartenenza. E qui, piaccia o meno a Galli Della Loggia, dai liberali ai cattolici, dai socialisti ai comunisti neo e post, non si salva nessuno; 2) Se la cultura di sinistra ha manipolato la storia e la realtà politica del nostro ultimo cinquantennio, drogando l'opinione pubblica, ciò non vuol dire che la destra debba necessariamente seguirla, imitarla. A una lettura esclusivamente marxista, ad esempio, di Croce, Gentile, Prezzolini (il problema dell'egemonia), è sbagliato replicare con un'egemonia uguale e contraria. Un'egemonia "liberale" da pensiero unico rovesciato. La prova di civiltà e raggiunta maturità dovrebbe essere una pluralità, una coralità di interpretazioni e di scuole a confronto; 3) Se la cultura di destra trova poco spazio nella politica di governo della Cdl, la cultura di sinistra non sta meglio (si pensi al dialogo negativo tra Cacciari e la Quercia). Da decenni ha perso la propria spinta propulsiva e non produce quasi più nulla. Non c'è più un intellettuale, uno scrittore (diciamolo, salvo Baricco), non c'è più un'idea degna di nota, se non meri luoghi comuni. Gli ultimi discendenti della cultura di sinistra degli anni Settanta non riescono ad uscire dal dilemma conservazione-modernizzazione. Continuare a sostenere la superiorità della cultura di sinistra è, quindi, un pregiudizio razziale, pure se arriva da un intellettuale liberale ( è il bipolarismo dei pregiudizi?); 4) Il Cavaliere, questo è vero, con la sua comunicazione nazional-popolare e impolitica, intercetta il comune sentire di una società poco informata, poco preparata e molto televisiva. Attenzione, però, a mortificare l'Italia profonda. Un'Italia che senz'altro va ricondotta e rieducata secondo gli standard europei, ma che il teatrino della politica, la cultura faziosa e la nostra Università non aiutano certamente a risalire. Il dramma è a 360 gradi. Il problema di un'Italia che non legge, non studia, non approfondisce è di destra come di sinistra e riguarda tutta la classe politica e intellettuale nazionale. Mettiamola così (e invitiamo Ernesto Galli della Loggia a un pubblico dibattito): la presunta ignoranza della destra è speculare alla manipolazione ideologica della sinistra. Quale rimedio? ______________________________________________________ Il Sole24Ore 22 Sett.03 UN BONUS NELLA RICERCA PER IL RIENTRO DEI «CERVELLI» ROMA a Un bonus fiscale per agevolare il rientro in Italia dei nostri ricercatori andati all'estero. È la carta a sorpresa messa a punto dal ministero dell'Economia per il capitolo "Ricerca" della Finanziaria e la proposta peserà non poco soprattutto in termini di immagine nella partita con il ministero dell'Istruzione e con le forze politiche di maggioranza, tutte pronte a sostenere la necessità di nuovi fondi per il settore. Il bonus fiscale deve essere definito nei dettagli e non è ancora una norma articolata. Ma il principio, nelle attuali intenzioni del Tesoro, è semplice: prevedere uno sconto fiscal per gli scienziati italiani all'estero che vogliono tornare nel nostro Paese. Un modo, quindi, per contrastare o ridurre la cosiddetta «fuga dei cervelli».Fiato sospeso, invece, sulle risorse per l'università. Sulla questione si attende l'esito dell'incontro che il ministro Letizia Moratti avrà oggi con i vertici della Crui (Conferenza dei rettori italiani). Nella riunione si discuterà del provvedimento che dovrebbe stabilire un accentramento al Miur della programmazione finanziaria degli atenei e lo spostamento al dicastero dell'Economia dei flussi di spesa del personale universitario. I rettori hanno già gridato «giù le mani dall'autonomia» e questa posizione, se fosse confermata, potrebbe rendere problematico un finanziamento maggiore agli atenei per il prossimo anno. Sia pure con intensità diverse, infatti, Moratti e Tremonti vogliono controllare la gestione amministrativa ed economica delle università ed è questa l a contropartita chiesta ai rettori per dare loro risorse in più nella Finanziaria. È una sfida al momento dall'esito imprevedibile e l'unica certezza sta nell'alta tensione in campo. Resta poi da vedere quali potranno essere i fondi disponibili per la scuola. C'è da risolvere la patata bollente dei servizi di pulizia degli istituti svolti dagli Lsu (lavoratori socialmente utili) e sembra che questo capitolo possa avere una soluzione positiva: ci dovrebbero essere i soldi necessari, che ammontano a diverse centinaia di milioni di curo. Una boccata d'ossigeno dovrebbe averla anche l'attuazione della riforma della scuola, ma non si parla di grandi cifre. La Moratti aveva chiesto un miliardo di curo per l'università, 1,2 miliardi per la ricerca e 550 milioni per la scuola. Oggi si saprà qual è l'intenzione del Tesoro. Ma saranno comunque numeri di gran lunga inferiori. MARCO LUDOVICO ================================================================== ______________________________________________________ Il Sole24Ore 23 Sett.03 SPECIALIZZAZIONI MEDICHE, ITALIA FUORI ROTTA UE Tredici tipologie di corsi senza passaporto europeo ROMA a Ben 13 specializzazioni mediche rischiano di non trovare casa nell'Unione europea. O perché in altri Stati non esistono, come tossicologia o psicologia clinica. Oppure perché hanno denominazioni diverse rispetto a quelle elencate (in quanto "notificate" dagli Stati) nella direttiva Ue sulla libera circolazione dei medici. È il caso di medicina legale, neurofisiopatologia, cardiochirurgia. II risultato è il caos, come anticipato su «II Sole24 Ore Sanità» di questa settimana. A lanciare l'allarme sugli «specializzandi solo per l'Italia» è l'Associazione medici specialisti della Comunità europea e specialisti in formazione (Amsce). «Stiamo ricevendo molte richieste di aiuto spiega il presidente, Marilena Celano da medici che si sono specializzati in Italia e che non riescono a far valere il loro titolo all'estero».È il danno oltre la beffa: da un lato lo Stato italiano risulta inadempiente per la mancata attuazione del Dlgs 368/1999, che ha recepito le direttive Ue sulla formazione specialistica dei camici bianchi, trasformando (sulla carta) le borse di studio in contratti di formazione lavoro. Dall'altro, rischia di sfornare medici che in Europa possono non essere riconosciuti automaticamente come specialisti, al termine di sei anni di corso di laurea e quattro di specializzazione. L'Amsce ha individuato 13 scuole non a norma, sulla base dell'allegato C alla direttiva 93/16/2001, come modificata dalla 2001/141Ce: audiologia e foniatria, cardiochinugia, farmacologia, genetica medica, igiene e medicina preventiva, medicina dello sport, medicina di comunità, medicina legale, neurofisiopatologia, oncologia, psicologia clinica, scienza dell'alimentazione e tossicologia medica. Insieme, rappresentano il 24,5% delle 53 denominazioni di specialità attivate nell'anno accademico 2002/2003, per un totale di 629 borse di studio assegnate dal ministero dell'Istruzione (pari al 12% delle 5.320 erogate). In soldi, si tratta di 566mila euro al mese (a ogni specializzando va una borsa di circa 900 euro).«Queste scuole, attivate in Italia per "specifiche esigenze del Servizio sanitario nazionale", come consentito dal Dlgs 368/1999, non sarebbero neppure tenute a seguire le direttive Ue», spiega Celano. «Una sentenza della Corte di giustizia del 1999 (causa C131/97) stabilisce che solo chi ha frequentato le scuole riconosciute a livello Ue continua Celano ha diritto al rimborso dei danni subiti dallo Stato italiano, che non si è adeguato alle normative europee».Le altre scuole «potrebbero quindi avere statuti diversi, senza le rigide regole imposte dalla direttiva (frequenza obbligatoria, divieto della libera professione, e così via).Se il ministero della Salute non commenta, conferma l'esistenza di difficoltà Francesco Maria Avato, direttore dell'Istituto di medicina legale dell'università di Ferrara ed ex presidente della Conferenza dei presidi di medicina: «La diversificazione tra Stato e Stato non è di per sé sbagliata, ma occorre avvisare gli studenti e studiare soluzioni». Gli fa eco Giuseppe Del Barone, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici: «Alcune specializzazioni sono di fatto inesistenti. La Fnom sta attivando commissioni ad hoc che lavorino sul quadro europeo. Ma attenti: le specializzazioni sono già troppe. La strada non è quella di aumentarle».Con l'intensificarsi della mobilità dei lavoratori dell'Unione, la questione diventa scottante. Un caso tra tanti: Margherita Popolo, laureata in medicina e specializzata in tossicologia medica all'Università di Catania, non riesce a lavorare come specialista in Francia, dove la "tossicologia" è una subspecialità. «Per i francesi denuncia io sono un medico generalista». MANUELA PERRONE ______________________________________________________ Repubblica 27 Sett.03 Il settore sanitario prevale sull'area dell'economia mentre fioriscono iniziative nel campo enogastronomico MEDICINA IMBATTUTA NELLA GARA DEI CORSI DI SPECIALIZZAZIONE MILANO. II mondo del lavoro; si sa, richiede sempre maggior specializzazione. E la laurea, spesso, non può più essere sufficiente. Si calcola, in media, che il 20% dei laureati italiani non trova lavoro dopo un anno dal conseguimento della laurea.' È in questo contesto che viene in soccorso l'ampia offerta di master di specializzazione, generalmente suddivisi in tre gruppi: generalisti, specialisti ed Mba (Master in business administration). Quest'ultimo è certamente il più ambito e il più diffuso, e si rivolge specificatamente a quanti hanno già un'esperienza lavorativa. I primi, invece, servono ad acquisire ulteriori conoscenze rispetto ai corsi universitari, in modo da facilitare l'approccio al mondo del lavoro. Sono circa 1000 i master organizzati dalle Università italiane. Alla varietà di tematiche proposte, però, non corrisponde ancora un'eguale distribuzione sul territorio. I corsi sono concentrati in poche grandi città.: Roma offre addirittura il 23,79 del totale, Milano i116% e la sorprendente Padova il 9,6 per cento. Per quanto riguarda le discipline, la maggior parte dei corsi è nella medicina, con circa i118% sul totale, seguita da economia (17%) e ingegneria (8 per cento). Molti corsi, però, sono organizzati da enti privati, in particolare nei settori marketing e risorse umane. Diverse aziende, infatti, preferiscono formare i giovani direttamente al loro interno, per renderli flessibili alle esigenze societarie. Fra i master più prestigiosi vanno ricordati quelli delle maggiori università private, come le milanesi Cattolica e Bocconi (recentemente inserita dalla rivista Usa Forbes fra le migliori del mondo). Ma l'elenco sarebbe lunghissimo. Meglio, dunque, citare alcuni fra i master più curiosi. Fioriscono quelli in ambito eno-gastronomico: l'Università di Teramo e quella di Pisa organizzano corsi per la produzione e la commercializzazione dell'olio. L'Università di Roma, invece, propone un master in progettazione e adeguamento di Chiese. Le applicazioni tecnologiche in ambito medico, invece, hanno suggerito all'Università degli Studi di Milano di allestire il master in Telemedicina e telesanità. Ce n'è, insomma, per tutti i gusti. ________________________________________ Il Sole24Ore 25 Sett.03 DAL GARANTE. VADEMECUM SULLA PRIVACY DEI DATI CLINICI ROMA - Una sorta di vademecum rivolto alle pubbliche amministrazioni e ai privati (tra i quali, gli avvocati) per orientarsi nell'intricata materia dell'accesso ai dati sanitari. Le risposte contenute nel documento che il Garante della privacy ha diffuso ieri non sono esaustive - bisogna sempre valutare caso per caso - ma indicano alcuni principi da tenere ben presenti. A iniziare dal fatto che la richiesta da parte di terzi di un'informazione sanitaria (per esempio, l'accesso a una cartella clinica) può essere esaudita solo se il diritto che il richiedente deve tutelare è almeno di rango pari a quello che la richiesta stessa mette in discussione, cioè la salvaguardia della privacy. E quando si parla di diritto di "pari rango" non si deve intendere - avverte il Garante - il "semplice" diritto, pure costituzionalmente garantito, ad acquisire prove da far valere in giudizio. In questo caso bisogna operare un bilanciamento più accurato: il diritto, scrive l'Authority, "può essere ritenuto di "pari rango" rispetto a quello dell'interessato - giustificando quindi l'accesso o la comunicazione di dati che l'interessato stesso intende spesso mantenere altrimenti riservati - solo se fa parte della categoria dei diritti della personalità o è compreso tra altri diritti o libertà fondamentali e inviolabili". Principio espresso a chiare lettere nel nuovo Codice della privacy, che diventerà operativo a partire dal primo gennaio 2004. In tutti gli altri casi la richiesta di dati sanitari deve essere disattesa, perché muove da interessi legittimi o diritti soggettivi che possono anche essere rilevanti, "ma che restano - spiega il Garante - comunque subvalenti rispetto alla concorrente necessità di tutelare la riservatezza, la dignità e gli altri diritti e libertà fondamentali dell'interessato". Andando più nel pratico, una richiesta d'accesso per tutelare "meri diritti di credito" è votata all'insuccesso, mentre è diverso, per esempio, il caso dell'acquisizione di una cartella clinica nell'ambito, ha chiarito l'Authority, di una "controversia risarcitoria per danni ascritti all'attività professionale medica documentata nella cartella". Si tratta di criteri a cui si deve attenere anche l'avvocato che, per conto di un cliente e utilizzando le regole sulle indagini difensive, chieda di conoscere i dati sanitari. Quello del "pari rango" non è, però, l'unico principio da tenere in considerazione. Ci sono anche quelli di pertinenza e non eccedenza nell'uso dei dati personali e, non ultimo, c'è da valutare se le informazioni richieste rientrino fra quelle per le quali il giudice dispone automaticamente l'acquisizione. In alcuni casi può essere superfluo anticipare un'operazione che comunque avrà luogo, seppure da parte dell'autorità giudiziaria. A.CHE. ________________________________________ Il Sole24Ore 27 Sett.03 LA PRIVACY FA SPAZIO ALLA FIRMA DIGITALE Dal 1° gennaio la firma digitale potrà sostituire l'autenticazione della sottoscrizione autografa nei ricorsi presentati al Garante per la privacy. Il nuovo Codice in materia di protezione dei dati personali, approvato con il decreto legislativo 196/03, introduce alcune disposizioni che prevedono ampie possibilità di utilizzo della firma digitale. L'articolo 38.2, sulla notificazione del trattamento dei dati personali, dispone infatti che «La notificazione è validamente effettuata solo se trasmessa per via telematica utilizzando il modello predisposto dal Garante e osservando le prescrizioni da questi impartite, anche per quanto riguarda le modalità di sottoscrizione con firma digitale e di conferma del ricevimento della notificazione». La disposizione circoscrive la possibilità di utilizzare solo la «firma digitale» nell'ambito della vasta gamma - ancora piuttosto confusa e indefinita - di «firme elettroniche» introdotte con il recepimento della direttiva 1999/93/CE (Dlgs 10/02, Dpr 137/03, si veda «Il Sole-24 Ore» del 1° luglio scorso). Viene così confermata la linea fissata dal legislatore per l'invio di istanze, atti e documenti nei confronti della pubblica amministrazione (articolo 38.2 del Dpr 445/00, Testo unico sulla documentazione amministrativa), che consente l'utilizzo solo della firma digitale «qualificata» (articolo 1.1, lettera ee, del Testo unico) rilasciata da un certificatore accreditato. Ma una disposizione ancora più innovativa si trae dall'articolo 147.4 del Codice in materia di ricorsi al Garante, in cui è previsto che «Il ricorso è rivolto al Garante e la relativa sottoscrizione è autenticata. L'autenticazione non è richiesta se la sottoscrizione è apposta presso l'Ufficio del Garante o da un procuratore speciale iscritto al l'Albo degli avvocati al quale la procura è conferita ai sensi dell'articolo 83 del Codice di procedura civile, ovvero con firma digitale in conformità alla normativa vigente». In sostanza, il legislatore "codifica" un orientamento già sostenuto da autorevole dottrina sin dalla legislazione del 1997 (Dpr 513/97) - poi rafforzato dal nuovo articolo 10.3 del Testo unico (si veda «Il Sole-24 Ore» del 21 febbraio 2002) - per cui la firma «qualificata» surroga la tradizionale autenticazione apposta da un pubblico ufficiale sul documento su carta in quanto autentica di per sé. Si pensi all'avvocato che deve autenticare la procura speciale conferita dal cliente, al notaio o a un altro pubblico ufficiale competente a effettuare l'autenticazione del ricorso. La firma digitale fornisce piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da parte del sottoscrittore, come sancito, in via generale, dagli articoli 2702 - 2703 del Codice civile per le scritture private «legalmente riconosciute». Essa potrà consentire di confezionare - con un notevole risparmio di costi - un documento informatico (un semplice file) equivalente alla scrittura privata su carta autenticata o accertata giudizialmente. Titolo, peraltro, idoneo, per l'iscrizione in pubblici registri: si pensi al l'iscrizione nel Registro delle imprese di atti costitutivi e modificativi di società di persone per i quali non è richiesto necessariamente l'atto pubblico. Il Codice della privacy (a conferma di quanto già statuito dal nuovo articolo 10.3 del Testo unico) sembra pertanto superare e rendere sostanzialmente inutile l'articolo 24 del Testo unico - norma peraltro rimasta lettera morta - che prevede ancora la «firma digitale autenticata». L'articolo 10 della legge 229/03 vincola la futura disciplina che dovrà «graduare la rilevanza giuridica e l'efficacia probatoria dei diversi tipi di firma elettronica in relazione al tipo di utilizzo e al grado di sicurezza della firma». Anche se l'equiparazione tra firma qualificata e autenticazione della firma su un documento cartaceo sembra, non solo «non manifestamente infondata», ma rappresenta un ulteriore incentivo all'utilizzo della firma digitale già nella disponibilità di circa un milione di persone attualmente in possesso della smart card. MAURIZIO PIRAZZINI ________________________________________________________ Corriere della Sera 27 Sett.03 «MINISTRO, SPOSTI DI UN’ORA LA LANCETTA DEGLI OSPEDALI» Perché i malati devono ancora svegliarsi all’alba, pranzare a mezzogiorno e cenare alle 18? di BARBARA PALOMBELLI Caro ministro Sirchia, nel corso dell’ultimo mese, per diversi problemi familiari, ho frequentato vari ospedali italiani, dalla Sardegna alla Toscana, al Lazio. Ho incontrato medici appassionati, infermieri garbati e capaci, ho visto camere a due letti finalmente umane, con bagni puliti e asciugamani in ordine. Al policlinico universitario romano di Tor Vergata ho perfino molto ammirato le sale lettura e computer per i pazienti, le docce per i parenti dei malati e le hostess che ti accolgono come all’aeroporto. La sanità pubblica nazionale e regionale ha fatto progressi immensi. Ma... E’ questo il motivo che mi ha spinto a scriverle una lettera aperta: è mai possibile che gli orari che regolano la vita delle persone siano così folli, impossibili, irrazionali e, in ultima analisi, inutili? Le sembra saggio svegliare tutti prestissimo, ogni mattina, senza alcuna pietà, anche quelli che sono stati «sedati» con pasticche o flebo perché recuperassero ore di sonno? Le sembra così necessario dare il pasto di mezzogiorno alle undici e la cena alle diciotto? Mi chiedo da tanti anni: chi ha voluto tutto questo? L'Italia è cambiata, per fortuna in meglio. L'orologio dell'ospedale, invece, è fermo e immutabile. Si è bloccato al tempo in cui il ricovero somigliava a una condanna, a una detenzione. Lei è un medico e avrà certamente sperimentato quella sensazione terribile che provano i malati, quella distanza enorme con la vita normale che si avverte appena ci assegnate un letto e un pigiama. Altre volte avrà notato che, proprio a causa dello sfasamento con il resto del mondo, ci si sente come dei bambini indifesi e le ore del cibo coincidono - a essere buoni - soltanto con quelle delle prime poppate dei neonati. Con il sistema attuale, i giorni o le settimane di degenza diventano un incubo per chi è dentro e un inferno per chi sta fuori e deve sintonizzarsi con i propri cari utilizzando un fuso orario inesistente nel mondo dei sani. Immagino le obiezioni più immediate: all'arrivo dei sanitari, i pazienti debbono essere svegli e, se possibile, puliti e medicati. E' giusto, ma è anche vero che difficilmente le visite nei reparti sono fissate prima delle nove. Una sveglia generale alle sette sarebbe già una conquista, salvo casi eccezionali. Questo significherebbe che - grazie ai telefoni cellulari, veri alleati contro la solitudine - al risveglio chi soffre potrebbe subito fare (o ricevere) una chiamata alla famiglia, il che non è così semplice prima delle sette. Non credo poi che le necessità diagnostiche siano influenzate dall'orario del consumo della colazione e della cena. Ho visto tante persone svegliarsi di pessimo umore, con la violenza e con i rumori di un orario diverso da quello normale. Ho visto anche tanti ammalati - nell'estate più calda della nostra storia - che non avevano alcun appetito alle diciotto. E che faticavano a prendere sonno con il sole delle venti... Forse, per raggiungere una qualità più umana del servizio ospedaliero, basterebbe mettere un'ora in avanti tutti i tempi attuali. Sarebbe una piccola rivoluzione. Ci provi, se non può farlo ovunque, sperimenti la novità soltanto in qualche istituto-campione. Vedrà che milioni di persone vivranno un po' meglio. Barbara Palombelli ______________________________________________________ Il Sole24Ore 24 Sett.03 UN OSPEDALE «INTELLIGENTE» Al San Raffaele si studiano soluzioni It per ridurre il rischio di errori, come il carrello per la distribuzione informatizzata dei farmaci Si chiama Drive (acronimo di Drug in virtual enterprise) il progetto pilota dell'ospedale intelligente, promosso dal San Raffaele di Milano (Hsr) e finanziato all'interno del quinto programma quadro comunitario con un budget di 4,1 milioni di euro. Ne sono stati presentati di recente i risultati delle prime sperimentazioni sul campo, che hanno coinvolto soggetti diversi, dai reparti dell'ospedale a quelli distributivi di Astra Zeneca e di Glaxo Smith Kline. Un esempio di una tecnologia innovativa che procede di pari passo con la ricerca e la produttività dell'industria farmaceutica. Ospedale intelligente. Concepito come naturale evoluzione del cosiddetto "carrello intelligente" utilizzato in corsia per la distribuzione informatizzata dei farmaci (ideato all'Istituto scientifico San Raffaele grazie all'impegno congiunto di un ingegnere e di un ricercatore diagnostico), Drive vuole essere l'ospedale di un futuro forse ravvicinato. Lo confermano, secondo gli esperti, le caratteristiche tecnologicamente avanzate dei suoi tre moduli integrati: "Clinica sicura" per prescrizione, preparazione e somministrazione del farmaco; Supply chain per la logistica ospedaliera; Trust per la sicurezza digitale e la protezione della privacy dei pazienti. L'impegno che viene speso su Drive giustifica una situazione di fatto non rosea nel mondo, e ovviamente in Italia, sulla criticità degli ospedali. Si tratta comunque di una conseguenza dello stesso progresso tecnologico e scientifico che comporta tempi sempre più ristretti nei ricoveri ospedalieri, nel susseguirsi delle terapie e dei trattamenti diagnostici cui il paziente è sottoposto. Con altrettanto conseguente rischio di errore probabile. In proposito, uno studio americano dell'istituto di medicina Iom rileva che in Usa circa il 4% dei pazienti ricoverati sono danneggiati da errori medici che si potevano evitare con probabilità pari al 58%, mentre per la somministrazione dei farmaci i casi mortali sarebbero 7mila all'anno, una cifra superiore a quelli dovuti a incidenti sul lavoro. Inoltre, un'indagine condotta nel 2001 da Pharmacopea ha confermato che su 101.500 errori rilevati in 368 ospedali americani, il 47% era dovuto a scarsa attenzione o distrazione del personale medico e paramedico. In Italia - pur non essendoci oggi indagini accurate in proposito - secondo le informazioni fornite dal progetto integrato per la tutela della salute (Pit) a cura del Tribunale dei diritti del malato, la maggioranza degli errori riguardano l'interpretazione corretta degli esiti degli esami diagnostici e le varie fasi delle terapie somministrate ai degenti. Qui giocano la fretta nel gestire le attività di routine e anche l'identificazione non corretta del paziente pari, secondo un'indagine campione condotta al San Raffaele, a circa un terzo dei rischi di errori. Protezione dagli errori. Ed è proprio sulla protezione dai rischi di errore che i risultati preliminari di Drive sono incoraggianti. Grazie al «carrello intelligente", che con software specifici ha un ruolo di supporto al modulo "clinica sicura", l'abbattimento del rischio nella somministrazione del farmaco è del 71% e sale al 100% nell'identificazione del farmaco appropriato per lo stesso paziente. Altrettanto incoraggianti sono í dati sul miglioramento dell'efficienza nella filiera logistica del farmaco, a partire dal letto del paziente per arrivare attraverso Internet al produttore farmaceutico, con una riduzione di oltre il 30% dei costi operativi grazie al controllo costante del fabbisogno e del consumo di un farmaco, utile inoltre per la previsione della domanda. Collaborazione. Al di là del suo apporto in campo biomedico, Drive è un esempio della validità collaborativa di dieci partner coordinati all'Hsr dal capo progetto Alberto Sanna, Figurano fra questi, oltre ad Astra Zeneca e a Gsk, il Politecnico di Milano per la valutazione e il controllo delle prestazioni nel sistema logistico; lo svedese Karolinska Institute con il suo centro per la salute telematica; l'azienda Favero Health Projects per lo sviluppo delle apparecchiature integrate ergonomicamente con i processi informatici; l'Università tecnica di Danzica per lo sviluppo del modulo Trust, una sorta di mappa che raccoglie ed esplicita i fattori inerenti alla sicurezza e alla privacy; il Centro comunitario di ricerca di Ispra per le sue esperienze consolidate in cybersicurezza e quindi la garanzia della inaccessibilità dei dati. Una collaborazione integrata a livello europeo che, secondo gli esperti, rappresenta una soluzione moderna di standardizzazione con risultati capaci di apportare benefici, oltre alla messa a punto di nuovi standard per uno sviluppo equilibrato e sostenibile del processo clinico e amministrativo. A condizione tuttavia che sussistano, nel futuro che ormai è presente, le premesse finanziarie per l'adozione allargata del progetto. Paola De Yaoli ______________________________________________________ Giornale di Brescia 24 Sett.03 MEDICI TRA SALUTE E COSTI II 3 ottobre un convegno promosso dall'ordine professionale di Brescia La qualità delle prestazioni dev'essere garantita malgrado le ristrettezze economiche «Per essere liberi nelle cure non si deve pensare alla spesa» Anna Della Moretta Non è facile lavorare con una spada di Damocle che pende sul capo. La spada dei costi, della necessità di risparmiare, di fare i conti con un «budget» prestabilito spesso insufficiente. Eppure da qualche anno, e negli ultimi tempi in modo più accentuato, i medici devono lavorare tenendo conto anche e, spesso, soprattutto, della spesa sanitaria.«Da quando l'economia è entrata nella sanità in modo così pesante, la situazione è diventata difficile: se essa condiziona la sanità, può inficiare la stessa natura dell'essere medico e proprio il medico rischia di non essere libero nella sua espressione professionale», ha spiegato Raffaello Mancini, presidente dell'Ordine dei medici di Brescia, nel presentare un convegno in programma per venerdì 3 ottobre nella sede dell'Ordine in via Lamarmora 167 avente per tema: «La sanità in Lombardia tra economia e qualità: le responsabilità del medico». Insieme a lui, anche Giuliano Cozzaglio, consigliere dell'Ordine deimedici e sovraintendente sanitario delle Case di cura S. Anna e Città di Brescia e Piergiorgio Muffolini, tesoriere dell'Ordine.«Abbiamo recepito il disagio in cui versano i nostri colleghi che lavorano nella sanità pubblica ha spiegato Mancini . Un disagio che sta assumendo un peso sempre maggiore e frequentemente pone i sanitari in situazioni di incertezza nei confronti del loro quotidiano rapporto con i pazienti. In queste situazioni i nodi deontologici, tecnici e burocratici si aggrovigliano sempre più, aumentando di molto il già grave fardello che ogni medico si trova costantemente a sopportare».Una situazione che ha spinto il direttivo dell'Ordine dei medici ad organizzare un convegno, «nell'intento di aiutare amministratori e medici a chiarire al meglio i rapporti tra il momento economico e quello sanitario: l'Ordine non si schiera con alcuna fazione, né propone soluzioni preconfezionate ma vuole essere solo struttura valida ad apportare chiarezza di proposte e lucidità di applicazione».II convegno, come è stato spiegato nella sede dell'Ordine dei medici, «non vuole entrare in polemica con nessuno. Cercherà di analizzare la situazione e di fornire ai medici gli strumenti per svolgere a1 meglio la loro missione. Cercherà di approfondire gli aspetti positivi e quelli negativi sia della legge di riforma sanitaria nazionale sia di quella regionale».La valutazione economica della situazione sanitaria crea, nei medici, momenti di «grande stridore » con la loro deontologia professionale. Rischiano come hanno sottolineato in via Lamarmora di dimenticare che il malato è il protagonista del rapporto che si instaura in ambulatorio o in unacorsia d'ospedale. Ancora, rischiano di farsi condizionare nel decidere sia gli esami diagnostici sia la terapia da eseguire da aspetti economici che hanno certo la loro importanza, ma che non dovrebbero essere i protagonisti del rapporto medicopaziente.II convegno è in programma per venerdì 3 ottobre nella sede dell'Ordine di via Lamarmora, palazzo «Il Diamante». Alle 19,30Raffaello Mancini presenterà la quotidianità del medico tra econorma e professione; Carlo Luechina, direttore generale della Sanità in Regione, parlerà del sistema sanitario lombardo; responsabilità politiche e tecniche; Ovidio Brignoli e Giuliano Cozzaglio, consiglieri dell'Ordine, parleranno della stretta economica, alibi o realtà; Emanuele Vendramini, docente alla Bocconi, parlerà di economia, sanità e qualità.Alle 20,45 è prevista una tavola rotonda su economia e salute alla quale interverranno Carlo Lucchina, Pier Maria Morresi (delegato della Federazione nazionale degli Ordini dei medici), Amedeo Bianco (componente del comitato centrale della federazione), Lamberto Pressato (componente della commissione nazionale per la formazione continua) e Dario Beretta, vicepresidente regionale del1'ospedalità privata). La tavola rotonda sarà moderata da Ottavio Di Stefano e Giuseppe Romanelli, consiglieri dell'Ordine di Brescia. Alle 22 le conclusioni e le proposte saranno affidate a Marino Casella, vicedirettore del Corriere Medico. ______________________________________________________ Libero 26 Sett.03 II CHIRURGO DEL FUTURO? SARÀ IL ROBOT LE NUOVE FRONTIERE DEGLI INTERVENTI HI TECH PRESENTATE IN UN CONGRESSO INTERNAZIONALE A ROMA Gli automi hanno bisturi infallibili, che operano con precisione anche nelle situazioni più delicate La chirurgia del futuro? Si baserà sulla robotica. Se ridurre enormemente le possibilità di errore umano è la massima aspirazione di tutti i chirurghí del mondo, chi meglio di un automa è capace di operare con una precisione quasi infallibile? Di questa nuova frontiera della medicina si è parlato a Sorrento, dal 21 al 23 settembre scorso, in occasione del IX congresso internazionale della Società italiana di chirurgia endoscopica (Sice). Dall'assise è emerso che la robotica e le tecnologie informatiche saranno sempre più protagonisti nei centri d eccellenza ospedalieri. Bisognerà però aspettare qualche anno. Ma, come ha detto uno dei più autorevoli relatori del congresso, il professor Michael R. Marohn dell'Università di Bethesda, negli Usa, «le sale operatorie già nel 2020 subiranno uno sviluppo globale, in cui i chirurghi potranno avere prima un quadro clinico in tempo reale, poi potranno avviare un intervento virtuale attraverso il quale potranno conoscere l'esito dell'operazione. Infine avvieranno l'operazione vera e propria facilitati da una visione tridimensionale del campo operatorio. Realizzeranno così gli interventi con la massima precisione possibile». Ecco come cambierà la sala operatoria: «Il paziente prima dell'intervento ha proseguito Marohn verrà disteso su uno speciale lettino pre operatorio capace di monitorare, registrare e visualízzare tutte le sue funzioni vitali. Il tavolo trasmetterà poi le informazioni alla sala operatoria, dove un robot chirurgico interverrà sulcorpo del paziente, cambiando gli strumenti, dispensando medicine e ossigeno e, infine, comunicando al reparto farmaceutico quali e quante sostanze sono state utilizzate». Il robot non può sbagliare, perché esegue automaticamente tutte le manovre che il chirurgo ha studiato al millimetro. «Per il momento la chirurgia mininvasiva laparoscopica, pur avendo raggiunto un alto grado tecnologico e di precisione, offre su un monitor televisivo la visione a due dimensioni di uno spazio che nella realtà è tridímensionale. Pratichiamo cioè la chirurgia del XXI secolo con tecnologie del XX secolo», ha osservato ancora Marohn. «I robot, invece, possono migliorare la capacità di visione umana, la forza, la precisione e la capacità di movimento del medico. Un robot non è semplicemente una macchina, ma un computer dotato di braccia e gli scanner sono computer forniti di occhi precisissimi».Rodolfo Vincenti, primario di chirurgia del Fate benefratelli di Napoli, nel precisare che anche i chirurghi italiani si stanno preparando all'ingresso del robot nella sala operatoria, ha ricordato che la chirurgia mininvasiva italiana occupa i primi posti al mondo, per il suo grado di affidabilità. ______________________________________________________ Libero 21 Sett.03 LE LACRIME RIVELANO IL DIABETE Un innovativo sisterna per calcolare la quantità di glucosio presente nel sangue: consiste nel misurare gli zuccheri contenuti nel liquido lacrimale, la scoperta che arriva da un team di ricercatori indiani del Regional Institute of Ophtamology di Kollcata. Secondo gli esperti si tratta di un metodo indolore e efficace che permetterebbe ai diabetici di verificare immediatamente se c'è qualcosa che non va. La ricerca è stata pubblicata di recente stille pagine del` Journal of Association of Physicians of India. Gli studiosi indiani hanno analizzato il liquido lacrimale di 200 volontari. Lo hanno raccolto su una particolare carta assorbente e lo hanno infine confrontato con le analisi del sangue. Alla fine hanno potuto appurare che le stime della prese di zuccheri nell'organismo erano assolutamente comparabili. Nelle loro intenzioni c' è ora quella di allargare il test ad altre popolazioni, soprattutto a quelle sottosviluppate. L'esame del liquido lacrimale infatti oltre a essere rapido e indolore è anche assolutamente economico. ______________________________________________________ Il Secolo XIX 22 Sett.03 IL VIAGRA PER PREVENIRE l'ICTUS uno studio ISLANDESE ADRIANA ALBINI Ogni giorno, nella sola Italia, cinquecento persone vengono colpite da ictus cerebrale. Si tratta di una patologia grave, spesso improvvisa che può portare a disabilità ed essere fatale. Ictus vuol dire: colpo, percossa, in latino. Le statistiche lo pongono nei paesi occidentali quale prima causa di invalidità. Il disturbo è causato dal mancato arrivo di sangue, e quindi di ossigeno, ` in una zona del cervello. Di ictus esistono diverse forme. La meno frequente è dovuta a emorragia, mentre quella di tipo ischemico è responsabile dell'85% dei casi. Il rischio di ictus cresce in proporzione all'avanzate dell'età, con la pressione sanguigna, il colesterolo alto e il fumo. Grazie alla moderna medicina molecolare sappiamo ' che nell'insorgenza delle malattie giocano sempre due ordini di fattori: quello ambientale legato alle abitudini di vita, e quello genetico, di "suscettibilità", ovvero il rischio attribuibile al patrimonio ereditario di un individuo. Mentre per numerose patologie, tra cui i tumori, molto si è scoperto sul coinvolgimento del Dna, poco o nulla è noto per quello che riguarda la genetica dell'ictus. E' ovvio che conoscere in anticipo quali geni possono comportare un rischio dl stroke consentirebbe di prevenire l'insorgenza e di combattere quella che è la terza causa di morte nei paesi occidentali. Sono riusciti in questo intento gli scienziati islandesi del folto gruppo dl Jeffrey Gulcher a Reykjavic. Lo comunica la rivista internazionale Nature Genetics. II nostro Dna è organizzato in cromosomi, strutture filamentose a forma di bastoncino presenti all'interno del nucleo; ne possediamo 46. E' il cromosoma 5 a nascondere il segreto del colpo. La caccia al gene, all'interno di questa vasta area, si è fatta più serrata . L' indagine genetica, condotta in Islanda su oltre 800 pazienti e novecento controlli sani, ha permesso di catturare il responsabile: si chiama Pde4D. Esso "fabbrica" un enzima, la fosfodiesterasi 4D, importante nel regolare la funzione dei vasi sanguigni. Un'alterazione di alcune forme di questa proteina sembra essere responsabile dell'ictus di tipo ischemico. I ricercatori islandesi suggeriscono quindi di utilizzare dei farmaci che blocchino la fosfodiesterasi per prevenire I'ictus in individui a rischio genetico. In commercio vi sono già diversi farmaci che hanno 'parenti' di questa proteina come bersaglio. Tra di essi ricordiamo il Viagra e il Cialis, inibitori della fosfodiesterasi 5. Infatti anche la disfunzione erettile è causata dalla stessa classe di enzimi!Dunque assumere alcuni "farmaci dell'amore", non dovrebbe necessariamente aumentare il rischio di ictus ischemico nei pazienti di sesso maschile, ma semmai ridurlo. E' tutto ancora da vedere, in ogni caso prevenire lo stroke si avvia, da ora, ad essere più facile. ______________________________________________________ Il Sole24Ore 26 Sett.03 IL FEGATO SARÀ UNA FABBRICA DI INSULINA VENEZIA Cellule staminali prelevate dal fegato, trattate e trapiantate in un paziente diabetico, si trasformano in un microscopico pancreas in grado di produrre insulina. E l'ultima frontiera della ricerca per la cura del diabete, presentata al congresso dell'Associazione europea per gli studi sul fegato (Easl) di Venezia. L'esperimento è stato condotto sugli animali da un'èquipe di New York, guidata da Sanjeev Gupta, che adesso punta ai test sull'uomo. «So no risultati molto importanti - commenta Patrizia Buna, ricercatrice di Gastroenterologia e trapianto di fegato dell'Università di Padova e promotrice del congresso -. II fegato sta diventando una piccola farmacia perché con le sue cellule staminali, opportunamente manipolate a livello genetico, non solo contribuirà a migliorare la cura del diabete, ma potrà anche produrre sostanze antivirali contro il virus dell'epatite B, responsabile della cirrosi epatica». ________________________________________ Corriere della Sera 22 Sett.03 ANTIBIOTICI, CURE SBAGLIATE PER DUE BAMBINI SU TRE Studio su 500 piccoli malati. Sotto accusa l' ansia dei familiari De Bac Margherita Ricerca su 500 piccoli malati. Sotto accusa l' ansia dei famigliari Antibiotici, cure sbagliate per due bambini su tre ROMA - Bastano qualche linea di febbre, un raffreddore che non vuole andarsene, un' otite ostinata. E il genitore troppo ansioso o male indirizzato ricorre alla cura che crede magica. L' antibiotico. Ma in due casi su tre si tratta di una scelta sbagliata: quel farmaco, si scoprirà quando è troppo tardi, non serviva. Un' altra evidenza sullo spreco e l' uso inappropriato di questi prodotti, che rappresentano anche da noi una delle categorie maggiormente prescritte nella popolazione, è contenuta in uno studio canadese, sovrapponibile alla situazione italiana. «Hanno controllato oltre 500 bambini con mal di gola sottoposti a terapia antibiotica - dice sfogliando i dati Manuel Castello, direttore della clinica pediatrica all' università la Sapienza, vicepresidente della Società italiana di pediatria -. Solo nel 30% dei casi la terapia era opportuna perché si trattava di infezioni batteriche, da streptococco. Le altre erano di origine virale». E contro i virus, è noto, gli antibiotici agiscono come l' acqua fresca. Alla vigilia della stagione con i brividi, alleata dei microbi (la scorsa settimana i bambini colpiti da malattie respiratorie erano 2,5 su 1.000, la curva ha ripreso a salire, ancora assente l' influenza), Castello rinnova la raccomandazione a sfoderare le armi contro i batteri solo secondo le corrette indicazioni: «Sotto i due anni l' 80% delle infezioni sono virali, compresa la comune tonsillite. Sotto i 5 anni il germe dello pneumococco è responsabile appena del 30% delle polmoniti. Ed è virale l' influenza. Prima di decidere la cura sarebbe consigliabile un' analisi». Perché oltretutto gli antibiotici non sono innocui. C' è il rischio di effetti indesiderati (a cominciare dal più grave, lo shock anafilattico) e di sviluppare resistenze. Un altro errore molto frequente riguarda il dosaggio. Ai bambini lo sciroppo antibatterico viene dato quando non serve e con modalità imprecise: il ciclo viene spesso interrotto troppo presto, prima dei 5 giorni che costituiscono la media, e non sempre si rispetta l' intervallo tra l' una e l' altra somministrazione. Al Policlinico vengono monitorate in ambulatorio circa 3 milioni di tonsilliti all' anno in bambini dai 3 ai 10 anni. Meno del 40% sono batteriche, eppure in 7-8 situazioni su 10 entrano in gioco gli antibiotici. Un messaggio a moderarne l' uso è contenuto nella Guida all' uso dei farmaci per i bambini, pubblicazione del Ministero della Salute cui ha collaborato l' Istituto Mario Negri, laboratorio di salute materno infantile, progetto realizzato per «dare una prima risposta al bisogno, non solo italiano, di maggiore conoscenza e appropriatezza nel disporre e utilizzare medicinali per bambini», scrive nella prefazione il ministro Girolamo Sirchia. Nel capitolo sulle infezioni si ricorda ai medici che «la crescente resistenza nei confronti degli antibiotici impone che se ne faccia un uso oculato e si eviti di impiegarli nelle infezioni banali che si risolvono spontaneamente. Gli studi dimostrano che i genitori in genere accettano di buon grado di non utilizzare un antibiotico quando viene loro spiegato perché non serve. Usarli con attenzione significa ridurre effetti indesiderati». Margherita De Bac 80 PER CENTO Gli antibiotici sono prescritti in 7-8 casi di tonsilliti su 10, ma solo il 40% sono di origine batterica 30 PER CENTO I casi di bambini con mal di gola (su 500 sottoposti a controllo), per cui la terapia antibiotica era opportuna ________________________________________ Repubblica 27 Sett.03 SIRCHIA: "LE DROGHE FANNO MALE, Il ministro della Salute dichiara il suo totale accordo con il Consiglio Superiore di Sanità: "La cannabis è nociva" non ascoltate i falsi maestri" Il ministro Sirchia ROMA - "Non ci sono droghe che non fanno male come vorrebbero far capire alcune frange radical-chic". Il ministro della Sanità ribadisce il suo no a tutte le sostante stupefacenti, comprese quelle "leggere". Intervenuto a Marsala (Trapani) alla cerimonia di consegna dei lavori di completamento dell'ospedale, Girolamo Sirchia si dichiara "assolutamente d'accordo con il Consiglio superiore di Sanità" e con le sue conclusioni in fatto di stupefacenti: "La cannabis non è droga leggera". Non ci sono più dubbi, per il ministro della Salute: "Il responso sugli effetti collaterali della cannabis pone fine a polemiche inutili e sterili che distorcono quella che è la verità sul fenomeno". Il suo attacco è contro "tutti quei falsi maestri che sostengono che la droga non faccia male", creando "solo un danno alla popolazione". Quanto alla legalizzazione, quello del ministro è un veto assoluto: "Se la droga è illegale, non capisco perché dovrebbe essere legalizzata". "Se la droga fa male, e non c'è alcun dubbio che sia così - dice Sirchia - noi non vogliamo che venga usata perché danneggia la salute". Una replica a quanto ha sostenuto ieri lo psichiatra Vittorino Andreoli, che ha bocciato il documento ufficiale del Css. "Non so neanche chi sia questo signore - ha detto il ministro - e non so neanche quali competenze abbia. La sua è una voce isolata che non interessa nessuno. So soltanto che c'è una dottrina secondo la quale la droga fa male. Il compito delle istituzioni è quello di evitare che il danno si produca". Un obiettivo che si raggiunge, secondo Sirchia, "prima di tutto evitando che la droga venga venduta, ovviamente, anche se qui abbiamo la criminalità che è un problema non semplice". E allo stesso tempo, "cercando di rieducare la gente a far capire che ogni sostanza stupefacente fa male". Bisognerà quindi "contrastare con i mezzi di legge, l'uso, lo spaccio, l'importazione e, spero, la coltivazione della droga". ________________________________________ Repubblica 25 Sett.03 CANNABIS TERAPEUTICA: STUDIAMOLA Per alleviare il dolore del suo male, una forma tumorale cerebrale, un 25enne, poi purtroppo deceduto, si era avvalso anche dell’uso terapeutico della marijuana che gli era stata consigliata dai medici che lo avevano in cura. Il ragazzo, che non era un consumatore di cannabis, aveva dunque seguito un protocollo terapeutico che includeva la marijuana che doveva anche servire a combattere gli attacchi epilettici conseguenti al suo male. Senza entrare negli aspetti legali e giudiziari della questione, ricordo che i suoi familiari sono stati perseguiti perché avevano piantato per espressa volontà del ragazzo una pianta di cannabis sulla sua tomba. Semplici riflessioni scientifiche ma anche etiche. L’uso medicale della marijuana (Cannabis sativa var. indica; Fam.: Cannabinacee) non è certo una cosa nuova: discuterne qui ha il solo scopo di stimolare, sulla base di considerazioni scientifiche ed etiche, lo sviluppo di "nuovi strumenti terapeutici" che possano aiutare persone ammalate a combattere i loro mali. Che la situazione da noi (a parte qualche esempio) sia quantomeno stagnante, è un eufemismo, basti pensare (cose già dette da "Salute") che il governo olandese, con il plauso del direttore dell’ufficio della Cannabismedica del ministero della Sanità, ha già autorizzato la vendita nelle farmacie, solo dietro prescrizione medica, della cannabis come antidolorifico nelle persone sofferenti di dolore cronico nei casi di sclerosi multipla, Aids e malattie tumorali. Una nazione dove si "agita" un notevole interesse sulla cannabis medicinale è il Canada e l’Office of Medical Bioethics dell’Università di Calgary, allo scopo di valutare la diffusione della cannabis terapeutica tra i malati di sclerosi multipla, ha inviato a 780 persone un questionario conoscitivo. Delle 420 che avevano completato in ogni sua parte il questionario, la maggior parte (96 per cento) erano consapevoli delle possibilità terapeutiche della cannabis e ne sostenevano, per tale scopo, la legalizzazione. La maggioranza delle persone che la utilizzavano ritenevano, inoltre, in base alla loro esperienza, l’uso portava al miglioramento della sintomatologia della malattia. In un altro questionario redatto dalla Mc Gill University, Pain Center (centro del dolore) del General Hospital di Montreal, sempre in Canada, e distribuito a 209 persone affette da dolore cronico non di origine tumorale, emergeva, dalle risposte ottenute, non solo il frequente uso di cannabis ma anche il miglioramento del dolore, dell’umore e del sonno mentre veniva lamentata una notevole secchezza della bocca. Questi ovviamente sono solo i risultati di alcune indagini che poco hanno a che fare con lavori clinici (molti però effettuati e diversi in corso) che offrono però informazioni interessanti sulle possibilità e sulla diffusione dell’uso medico della cannabis che contiene, oltre a numerosi componenti di altro genere (200250), circa sessanta sostanze chiamate, appunto, cannabinoidi. Tra queste la più nota è il Delta (9)tetraidrocannabinolo, detto THC, e il cannabidiolo (CDB) che non possiede azione psicoattiva e che invece ha dimostrato azione antidolorifica e anticonvulsivante. È recente la notizia che derivati sintetici del THC (dronabinolo) potrebbero ridurre l’agitazione e migliorare l’appetito dei malati di Alzheimer, mentre l’American Cancer Society sta "lavorando" a un nuovo e pionieristico uso dei cannabinoidi. La questione della utilità scientifica della marijuana, dei suoi derivati sintetici, non può essere ulteriormente rimandata. ________________________________________ Repubblica 27 Sett.03 PIORREA E CADUTA EVITIAMOLE DAL DENTISTA All’inizio si manifesta come gengivite, un problema di gengive infiammate che risulta diffuso tra otto europei su dieci. Se però non s’interviene con più accurata igiene della bocca e opportuna visita dal dentista il problema si allarga ai tessuti che saldano i denti all’osso alveolare: arriva così la parodontite, infezione causata da batteri presenti nella "placca". Un po’ alla volta vengono corrose le strutture di sostegno dei denti che quindi cominciano a muoversi, spostarsi (formando "tasche" che diventano un vero e proprio ricettacolo di batteri) e tendono a cadere. È piorrea, problema ancora sottovalutato ripetono gli esperti ricordando che dai 40 anni in poi è la causa più frequente di perdita dei denti. «L’odontoiatria si sta focalizzando sempre più sulla diagnosi precoce e il trattamento», ha assicurato Pierre Baehni dell’Università di Ginevra all’ultimo convegno dell’European Federation of Periodontology e si stanno studiando le nuove informazioni genetiche per "comprendere" meglio la malattia, sviluppare specifici protocolli di cura, ripristinare i tessuti deteriorati dall’infezione. Nessuna ricerca potrà però mai sostituire il controllo periodico del dentista. Con due test si può giocare d’anticipo e sapere se si è carioricettivi o se si rischia di restare sdentati per piorrea. Oggi basta infatti analizzare il Dna da un campione di saliva e verificare di conseguenza l’interleuchina, il mediatore chimico presente nei processi infiammatori. ________________________________________ Repubblica 25 Sett.03 TERAPIE, RICERCA, MALATI UNA QUESTIONE DI ETICA Corsi e programmi per gli operatori sanitari. Dal mondo cattolico un impegno e un convegno il 30 settembre DI ROSSELLA CASTELNUOVO Tra i tanti sapienti e bravi medici che incontriamo ogni giorno, non pochi crollano in un attimo, davanti ai nostri occhi, per una risposta sgarbata, un gesto di insofferenza o una ostentata laconicità di fronte alle legittime richieste di chi a loro si rivolge. Medici di grande valore professionale, spesso, ma di assai scarsa disposizione all’ascolto e al colloquio. Un difetto intollerabile, oggi. Non più solo per le proteste dei paziente, ma per diffusa opinione nel mondo medico stesso. Non è solo questione di buona creanza. Saper trattare con gli altri – malati attuali o potenziali che siano – è diventato un requisito indispensabile in medicina. Si insegna nelle università il rapporto "medicopaziente" e tra le numerose iniziative in questo campo c’è Scienthetic, un programma di attività sull’etica della ricerca scientifica, della clinica e della tecnologia sanitaria promosso dalla Fondazione Tera, impegnata da anni nel campo dell’oncologia. Il primo appuntamento è a Orta, il 30 settembre, con un convegno intitolato "Quale uomo per quale cura?" in cui vari esponenti del mondo cattolico offriranno strumenti di analisi filosofica, bioetica, psicologica e religiosa a medici e operatori sanitari che vorranno migliorare il loro lavoro. Tutti a scuola di "rieducazione" dunque? «Sì. Ne hanno bisogno i medici e gli operatori sanitari. E ne hanno bisogno anche i cittadini – risponde Paolo Cattarini, relatore al corso e professore di bioetica alla facoltà di medicina dell’università Insubria di Varese – Tutti devono rendersi consapevoli dei propri diritti e abituarsi ad affrontare questioni etiche che riguardano sia le ricerche che l’uso delle terapie. Viviamo in un mondo pluralistico in cui non si può più fare a meno di discutere e negoziare, volta per volta, quale sia la cura migliore per ogni singolo ammalato. Quali siano i suoi valori e i suoi desideri rispetto alle proposte del medico. Quali siano i suoi bisogni profondi di fronte a una malattia grave che rimette in discussione ogni rapporto con le cose, le persone, la fede (per chi ce l’ha) e il mondo intero». Dialogo, incontro, scambio, confronto. Queste le parole d’ordine degli esperti di Scienthetic, come conferma Antonio Filiberti, psicologo del centro di ascolto della Fondazione Tera: «Ci interrogheremo su cosa significhi essere ‘etici’ oggi, di fronte a nuove tecnologie e a una malattia, in particolare, come il cancro che può essere considerata il paradigma della sofferenza. Parleremo del dolore, aldilà degli aspetti fisici e farmacologici, per analizzarne quelli relazionali, psicologici ed esistenziali. Perdere il lavoro per una malattia grave, per esempio, può essere devastante per chi opera in ambienti fortemente basati sulla produttività. La malattia può sconvolgere i rapporti familiari e quelli affettivi. La malattia, infine, porta a pensare da vicino alla propria morte e chiede di dare un senso alla tragedia che si sta vivendo. Con gli strumenti della religione, a volte, o con quelli della filosofia e della psicologia. I medici, in tutto questo, sono in prima linea e sono i primi a dover affrontare questi confronti attraverso una maggior conoscenza di se stessi, prima ancora che degli altri». Il mondo sanitario sembra quindi voler affrontare con sempre maggior impegno quella "questione morale" che riguarda sia la loro professione che la qualità della vita dei cittadini. Nessuno ne è fuori. Il medico che detta le regole ha finito il suo tempo, così come è diventato pericoloso, per i cittadini, rinunciare a esprimere il proprio punto di vista e i propri bisogni. Un dialogo "tra persone e non tra individui", come sottolinea Cattarini, sempre che i camici bianchi non continuino a sgattaiolare lungo i corridoi per sfuggire l’incontro con un malato "difficile" o con un suo parente. Dimenticando che anche per loro, in caso di bisogno, sta crescendo la disponibilità di "consulenti bioetici" nei servizi ospedalieri. ________________________________________ Repubblica 25 Sett.03 ORTODONZIA: APPARECCHI "DISCRETI" Ortodonzia, il boom dei correttivi per adulti Mascherine trasparenti, da cambiare ogni 15 giorni, eliminano qualunque difetto di dentatura. Parla Siciliani della "scuola" di Ferrara DI ANNAMARIA MESSA Sorridere senza più denti storti, accavallati o sporgenti? Ora è possibile anche dopo l’età canonica per ponti e ferretti in bocca... Già tanti adulti, con un apparecchio ortodontico "invisibile" hanno risolto il problema di ripristinare estetica e funzionalità senza l’imbarazzo di un trattamento fuori tempo. Con mascherine trasparenti che ricoprono i denti da spostare e li inducono a muoversi fino alla posizione corretta. Si cambiano ogni 15 giorni. «Sono allineatori di plastica con una memoria e per ogni allineatura spostano i denti di 0,20 mm.», spiega Giuseppe Siciliani, il "papà" italiano di questo apparecchio, che dirige la Scuola di specializzazione in ortodonzia dell’Università di Ferrara, dove è nato il 1º Centro di ricerca. Nel periodo di cura (12 anni) l’apparecchio si toglie per mangiare e per l’igiene orale, non dà problemi di pronuncia, nè di pulizia come avviene con la tecnica "linguale", fissa, con le placchette incollate sul retro dei denti. Molti dentisti non sono però convinti. «Gli apparecchi stanno dimostrando una buona affidabilità, specie per gli adulti. La difficoltà come in tutta la medicina è nelle decisioni terapeutiche... questa tecnica non è molto amata perché prevede all’inizio della terapia una diagnosi e un piano di trattamento molto ben fatti: gli allineatori si costruiscono tutti insieme e se il piano di trattamento è stato sbagliato... non c’è possibilità di aggiustamento, quindi il dentista deve sapere molto bene ciò che fa». L’impianto tecnologico, spiega Fabrizio Lambertini, referente in Italia dell’azienda americana che nel ‘98 ha avviato l’innovazione, «costruisce in sequenza le mascherine di copolimero (materiale plastico che consente di calzare come un guanto l’apparecchio sopra i propri denti), quindi la seconda mascherina che servirà dopo 15 giorni è già prodotta in funzione dello spostamento di 0,2 mm dei denti avuto con la prima mascherina. E così di seguito». Con una tecnologia tridimensionale si possono visualizzare i denti "che si muovono" fino al corretto allineamento possibile e, prima di cominciare, si vede sul computer il risultato finale del trattamento. Gli apparecchi invisibili restituiscono il sorriso ma a volte... possono anche toglierlo, di fronte alla parcella. «Gli apparecchi sono realizzati negli Usa, dobbiamo fare riferimento all’unica azienda che li produce e già il corredo di mascherine costa circa 2 mila euro. Poi c’è l’onorario del professionista. Stiamo lavorando per creare un centro in Europa che diminuirebbe i costi», commenta Siciliani. In media, aggiunge Lambertini, il trattamento completo viene a costare un 30 per cento in più rispetto all’ortodonzia tradizionale. Info: n. verde 800077760 o www.invisalign.com ________________________________________________________ La Stampa 25 Sett.03 DIETA SBAGLIATA, TROPPI RAGAZZI MIOPI IN ITALIA UN QUARTO DEGLI ADOLESCENTI HA PROBLEMI DI VISTA E IL FENOMENO È IN AUMENTO ROMA L’Oms la ritiene una patologia seria. La miopia, secondo gli studi più recenti, non può più considerarsi solo un piccolo difetto. Inoltre, è in aumento. In Italia un adolescente su quattro ha problemi di vista. Lo hanno ricordato gli esperti nel corso della presentazione del sesto Congresso mondiale sulla miopia, organizzato dalla Fondazione Bietti per lo studio e la ricerca in oftalmologia, iniziato ieri a Roma. Una patologia, è stato ribadito, che non dev’essere sottovalutata perché potrebbe avere gravi conseguenze. «Per i miopi - ha sottolineato Monica Varano - il pericolo di distacco di retina è otto volte maggiore rispetto a chi ci vede bene. C’è, poi, correlazione con altre gravi malattie dell'occhio, come il glaucoma. Infine, dei 50 mila nuovi casi di maculopatia che si registrano ogni anno nel mondo occidentale, il 2-3 per cento riguarda persone affette da grave miopia, con meno di 6 diottrie e oltre». A che cosa si deve la crescita di questo pericoloso handicap? Gli esperti hanno messo sotto accusa lo stile di vita dei giovani, la sedentarietà e l'obesità, le diete scorrette, sbilanciate e prive dei nutrienti essenziali; inoltre, per rallentare il progressivo abbassamento della vista bisognerebbe bandire i fritti e privilegiare frutta e verdura a tavola, sottolinenando ancora una volta i benefici effetti della dieta mediterranea. Utile anche «favorire la vita all'aria aperta - ha spiegato Mario Stirpe, presidente della Fondazione Bietti - e l'attività fisica. Mantenere il giusto peso corporeo, infatti, è molto importante perchè anche i dimagrimenti favoriscono l'insorgere o il progredire della miopia». Controllare il metabolismo è dunque essenziale: prima i ragazzi si muovevano di più, erano abituati a spostarsi a piedi e col tram, ora ci sono le palestre ma l'effetto non è identico. Ancora poco si sa, invece, sull'eventuale effetto deleterio dello schermo del computer o del televisore. Le cause della miopia non sono del tutto note ma oltre all'origine genetica, sono in gioco anche fattori ambientali. Infatti, in alcuni Paesi a forte urbanizzazione, come Hong Kong, Singapore e Taiwan, l'incidenza della miopia tra gli adolescenti tocca punte vertiginose, fino al 90 per cento. «Per prevenire la miopia - ha osservato Massimo Bucci, direttore dell'Istituto di oftalmologia dell'università di Roma Tor Vergata - è necessario che i genitori si rendano conto presto se il bambino ha difficoltà nella visione, prima che sia lui a dirlo. Gli occhi dei bambini vanno protetti sin dai primi anni perchè la miopia non corretta tende ad aggravarsi». Sì, quindi, a controlli «precoci», già a tre anni «soprattutto se si notano difficoltà del piccolo a guardare da lontano». La prevenzione dev’essere al primo posto. Evitare le merendine che non contengono i nutrienti giusti, consigliano gli esperti, per salvaguardare gli occhi, ed è importante fare in modo che gli ambienti nei quali i piccoli giocano e studiano siano ben illuminati. Tra le novità presentate al Congresso ci sono anche i primi risultati di un farmaco-gel, a base di pirenzepina, che potrebbe aiutare a rallentare il progredire della malattia. Il medicinale è in sperimentazione in uno studio multicentrico asiatico-americano su cinquecento ragazzi. I ricercatori attendono i dati del secondo anno di sperimentazione. «E dal 2004 - annuncia Ernest Goldschmidt, direttore del Danish institute for myopia research - partirà uno studio di terza fase che coinvolgerà diversi Paesi europei: vi parteciperanno due Centri italiani. Non ci aspettiamo che sia la panacea ma che possa almeno frenare l’avanzare della patologia». d. dan.