L'ISTRUZIONE: IL CAMMINO PER L'AVVENIRE CONOSCENZA DA CONDIVIDERE GLI ATENEI ITALIANI, L'ETERNA MALATTIA DEL PROVINCIALISMO GERMANIA: FACOLTA’ IN CRISI DI EFFICIENZA, E’ SCOCCATA L'ORA DELLE RIFORME FRANCIA:IL «DOPPIO SISTEMA» PREMIA L'E’LITE DELLE GRANDI SCUOLE CNR: CAMICI BIANCHI, CAMICIE NERE «NON RIESCO A LAUREARMI»: ORA CI PENSA LO PSICOLOGO LAZIO: LA REGIONE TAGLIA 3.164 BORSE DI STUDIO ZICHICHI: CARO BERLUSCONI, NON DELUDA LE ASPETTATIVE DEI RICERCATORI L’UNIVERSITA’ DI SASSARI INVESTE IN LABORATORI E ISTITUTI DI RICERCA L'UNIVERSITA’ E I TEST SENZA CONTROLLI NUMERO CHIUSO A MEDICINA: INGIUSTO PARLARE DI CASUALITA’ UN LAVORO IN ATENEO PER GLI STUDENTI IL GOVERNO PREMI CHI FA RICERCA NON I BUROCRATI DELLA SCIENZA ================================================================== RICETTE, LETTURA OTTICA ANTISPRECHI UN’ODISSEA DI SEI ORE AL PRONTO SOCCORSO LEGGE SULLA DROGA ADDIO RICERCA SCIENTIFICA EPATITE C, BASTA UN BACIO O LO SPAZZOLINO DA DENTI CORSA AI FARMACI PER COMBATTERE LA LEUCEMIA MIELOIDE DIABETE, SVOLTA NELLA CURA TRAUMI IN CERCA DA GUARIGIONE «L' ANGIOPLASTICA SARA’ PIU’ SICURA» IPERTENSIONE: SE IL PESO DIMINUISCE CALA LA PRESSIONE ALOE CONTRO I TUMORI, OFFRE L’ORTO BOTANICO UROLOGIA STUDIA CURE INNOVATIVE PER LE PATOLOGIE PROSTATICHE EUROPA UNITA DEI TRAPIANTI IL MAGGIOR CARCINOGENO E’ LA VECCHIAIA NUOVI INIBITORI DELL'ARTRITE UN NUOVO METODO PER INDIVIDUARE ECOLI DA OTTOBRE IN FARMACIA LA GERMANIA TAGLIA LA SANITA’ ================================================================== _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 29 Sett. 03 L'ISTRUZIONE: IL CAMMINO PER L'AVVENIRE In questi ultimi dieci anni, i Paesi industrializzati si sono messi alla ricerca del mezzo migliore per stare al passo con i cambiamenti, per non essere sopraffatti dalla loro velocita’. Tutti hanno dato priorita’ assoluta alla politica della formazione. Il valore in se’, pare non consista piu’ nella terra, nell'energia o nella forza lavoro. Il valore e’ ormai nell'intelligenza degli uomini ed e’ questa risorsa che bisogna coltivare con cura. A questa presa di coscienza, e’ seguito un lungo periodo di riflessione e d'iniziative in materia d'istruzione e formazione permanente. E non e’ ancora finito. Sul reclutamento dei giovani, le imprese hanno spesso un atteggiamento che puo’ sembrare contraddittorio. Da un lato pretendono che i giovani abbiano una buona formazione generale, che conoscano 1' ambiente, che siano in grado di gestire l'incertezza e che sappiano andare all'essenziale delle cose; dall'altro lato vorrebbero che i giovani conoscessero gia’ il mestiere per il quale sono stati assuntí, che siano adatti e adattabili. E’ un po' come volere la quadratura del cerchio; non si puo’ chiedere tutto alla scuola: imparare un mestiere e sapere anche di storia, geografia, francese, matematica, lingue, educazione civica... Non e’ tutto. Il mestiere cui ci si prepara, diviene sempre piu’ complesso e sempre meno manuale a motivo dell'innovazione tecnologica. Imparare a gestire, una catena automatizzata di produzione esige una preparazione intellettuale piu’ importante che saper fare la fresatura dei metalli. I mestieri invecchiano presto. Come fare affinche’ i giovani, trovato un impiego, siano capaci di affrontare i cambiamenti? A questo problema, i Paesi industrializzati hanno dato risposte diverse. La Germania, con un sistema duale, associa, per la maggioranza dei giovani, la formazione professionale nelle imprese e la formazione generale nella scuola. Formula seducente, che vede affidato alle imprese l'avviamento al lavoro (considerato come un periodo di apprendistato) e alla scuola una solida formazione per il futuro. II Giappone, competitivo quanto la Germania, ha adottato la soluzione inversa. Tutti i giovani seguono, fino all'esame di maturita’ una formazione generale, poi alcuni vanno all'universita’. Quelli che si avviano al lavoro ricevono la formazione professionale dalle imprese che li hanno assunti. I laureati cominciano come operai e avanzano in carriera solo se sanno adattarsi alle varie mansioni. In Francia, la risposta [al problema della formazione] e’ ibrida. Vi sono due tipi d'insegnamento secondario: uno, organizzato e gestito con le imprese, ha come obiettivo la. forniazione professionale; l'al~ tro, detto "generale", si conclude, di solito, all'universita’. Nessun Paese detiene la formula magica per trasformare la scuola in strumento di punta per gestire il cambiamento. La soluzione tedesca sacrifica forse troppo l'adattabilita’ all'adattamento; quella giapponese trasforma i bambini, fin dall'infanzia, in "animali da competizione"; quella francese non fa testo perche’ tutto e’ sempre rimesso in discussione. Quanto agli americani, grazie al loro sistema molto decentralizzato, essi adottano soluzioni flessibili come gli inglesi, salvo lanciare periodícamente grida d'allarme sullo stato catastrofico dell'insegnamento. La questione e’ sempre la stessa: quale scuola per í giovani perche’ sappiano gestite il cambiamento e perche’ nessuno di loro si senta emarginato dal progresso? Una prima risposta, purtroppo illusoria, consiste nel cautelarsi prevedendo le richieste di qualificazione. _________________________________________________________ Il Manifesto 29 Sett. 03 CONOSCENZA DA CONDIVIDERE La «privatizzazione» delle scoperte scientifiche viene praticata anche dai centri di ricerca «pubblici» per impedire che i privati :e’ ne approprino in via esclusiva. Una costrizione «sistemica» che limita la crescita della conoscenza (impresa sempre e comunque collettiva). Si cerca una via alternativa, che potrebbe mutuare, alcuni principi fondativi del software open source FRANCO CARLINI Sembra che uno dei motivi per cui Valentino Rossi e la Honda non si sono ancora messi d'accordo per il rinnovo del con tratto dipenda dal fatto che la casa motociclistica giapponese intende fornire a 6 piloti e non al solo Valentino la moto ultimo modello, la migliore. Il ragazzo di Tavullia sostiene che quella supermoto e’ frutto del suo lavoro di collaudatore e consigliere, oltre che del resto della squadra e dei capitali messi a disposizione dalla Honda; non chiede soldi ulteriori ma un monopolio d'uso almeno temporaneo perche’ quell'oggetto della velocita’ e’ il risultato anche della sua conoscenza e del suo saper fare. Il che e’ senza dubbio vero e a ben pensarci questo e’ esattamente il principio della proprieta’ intellettuale: un inventore ottiene dallo stato un diritto temporaneo a utilizzare in regime di monopolio il frutto della sua creativita’, passato il quale essa ricadra’ nel pubblico dominio. II piccolo episodio conferma quanto cruciale e diffusa in tutti settori sia ormai la questione della proprieta’ intellettuale: se e’ societa’ della conoscenza, allora attorno ad essa si accumulano interessi, conflitti e contese. Lo stesso avviene sempre piu’ spesso anche nel campo della ricerca, anche in quella pura, accademica e disinteressata. Di chi sono le idee della Scienza? Se lo e’ chiesto la settimana scorsa la giornalista Rossella Castelnuovo, conducendo la trasmissione Radio3 Scienza. La stessa domanda campeggia nel titolo di un libro americano, scritto da Corinne McSherry della Stanford Law School: «Who owns academic work?». La puntata radiofonica e’ disponibile in rete, all'indirizzo http://www.radio.rai.it/radio3/terzo-anello/scienza/archivio_2003/audio/ scienza2003_09_23.ram. La questione sta diventando sempre piu’ calda, da quando i fondi universitari scarseggiano e le universita’, americane come italiane, sono sollecitate sempre piu’ frequentemente a cercare i finanziamenti in un virtuoso (?) rapporto con il mercato. L'effetto tuttavia e’ spesso devastante, nel senso che mentre rimane formalmente indiscussa l'idea che le universita’ siano li apposta per produrre conoscenza a beneficio dell'umanita’, i dipartimenti, ma anche i singoli ricercatori vengono spinti a reclamare diritti, brevetti e copyright su quelle stesse idee e ricerche. Il caso che apre il libro di McSheny e’ esemplare: Huguette Pelletier nel 1993 studiava all'universita’ di California a San Diego, nel laboratorio di Joseph Kraut, un noto biochimico, e li aveva messo a punto un sistema per la crescita cristallina di una proteina dei ratti, la polimerasi beta, decisiva per la riparazione del Dna Ma un'altra ricercatrice dello stesso laboratorio, Michele McTigue, alla sera raccontava quelle ricerche al marito Jay Davies, della casa farmaceutica Agouron (in seguito assorbita dalla Pfizer). Battendo tutti sul tempo, i risultati vennero pubblicati dalla Agouron Pharmaceuticals sulla rivista Cell i125 marzo 1994. Anche Pelletier pubblico’ a sua volta, sulla rivista Science, ma arrivando inevitabilmente secondaNe segui’ una causa legale e nel 1998 il tribunale condanno’ la Agouron a pagare 200 mila dollari come risarcimento. Huguette tuttavia non ottenne il risultato morale che piu’ le stava a cuore, ovvero il ritiro ufficiale dell'articolo «rubato». Nell'anno 2000 poi, un tribunale d'appello confermava la sentenza di primo grado, ma riduceva il risarcimento al valore simbolico di un dollaro, sostenendo che Pelletier non aveva ricevuto un danno reale dal fiuto delle sue idee. Nel frattempo, delusa da tutta la storia, la ricercatrice aveva abbandonato la carriera scientifica, dedicandosi a un centro di supporto sociale di Los Angeles. Al di la’ dell'esito monetario, la questione sembrerebbe lineare: la conoscenza sulla polimerasibeta proveniva dal lavoro di Pelletier e altri ne avevano rivendicato abbusivamente la priorita’; il tribunale ha dunque correttamente ripristinato il diritto del primo inventore. A ben scavare, tuttavia, le cose sono un po' piu’ complicate. Come segnala il libro di McSherry, per vincere la sua causa Huguette Pelletier ha dovuto in sostanza rivendicare una proprieta’ personale su un bene pubblico, le idee prodotte nella sua ricerca Nel caso specifico i legali vinsero la causa vestendola sotto la fattispecie della appropriazione di segreti commerciali, che poi e’ la stessa legislazione cui fa ricorso la Coca Cola per difendere la sua non molto misteriosa ricetta.E' un processo che gli studiosi del settore chiamano «proprietarizzazione». Salvo i casi rarissimi di pensatori solitari, la ricerca scientifica avviene in sedi a vocazione pubblica come le universita’, e i singoli progetti sono finanziati da enti statali. Non solo: chi fa ricerca sperimentale, usa attrezzature di laboratorio che gia’ li trova e ci lavora con del personale universitario di staff Piu’ in generale il ricercatore si inserisce in un flusso e in un ambiente culturale che a lui preesiste e che e’ anch'esso un bene pubblico. Certamente egli ci mette del suo: passione, intelletto, cultura, ma e’ difficile sostenere che quei risultati siano soltanto suoi. Lo stesso articolo pubblicato da Pellettier, non per caso portava la firma di altri quattro autori e quelli di fisica delle particelle possono avere addirittura anche un centinaio di autori, trattandosi di squadre enormi. In altre parole le idee delle scienza sono sempre figlie di un processo storicamente situato e di una moltitudine di contributi. La contraddizione dunque e’ questa: che i ricercatori universitari per difendere la libera circolazione delle idee devono reclamarne la proprieta’. L'ideologia e’ quella della conoscenza come bene pubblico, la pratica diventa quella della «proprietarizzazione». Dunque a brevetti e copyright ricorrono anche le universita’ e i ricercatori che credono nel valore pubblico della conoscenza finiscono per praticare una doppia morale e si giustificano dicendo che altrimenti qualche altro privato potrebbe brevettare al posto loro, rinchiudendo le idee anziche’ liberarle. Una buona indicazione alternativa e’ venuta fanno scorso da un gruppo di esperti che si sono riuniti a Yale. Essi propongono che le universita’ aderenti al progetto Cipra (centro per le ricerche interdisciplinari sull'Aids) si impegnino a non brevettare le loro scoperte nei paesi in via di sviluppo e ad offrire a questi paesi, invece, delle licenze che rendano i farmaci relativi disponibili a un costo appropriato, in quantita’ sufficienti e rapidamente. In pratica si tratta di una forma moderata di licenza «Open Source» simile a quella del software aperto e piu’ avanzata della mediazione tra nord e sud del mondo raggiunta recentemente, poco prima della conferenza di Cancun.Questa probabilmente e’ l'unica strada praticabile anziche’ mettersi in gara con i privati per brevettare le ricerche, piu’ ragionevolmente quelli che ci credono dovrebbero rilasciarle sotto una licenza pubblica, analoga a quella usata per i software alla Linux: tutti possono usare quelle idee e quei risultati, ma nessuno li puo’ rivendere e farli propri. ______________________________________________ Il Sole24Ore 1 Ott. 03 LA SFIDA DEGLI ATENEI Reclutamento dei docenti, valutazione della didattica, modalita’ di assegnazione degli incentivi, nuovo rapporto con gli studenti: solo con un radicale rinnovamento i corsi di laurea possono raggiungere standard internazionali Universita’, cosi’ si compete in Europa La percentuale dei nostri laureati e’ molto inferiore a quella degli altri Paesi sviluppati; nelle principali pubblicazioni scientifiche internazionali sono poche le citazioni di lavori svolti dai nostri ricercatori (un indice assai affidabile per valutare lo stato del settore); e’ troppo bassa la nostra capacita’ dli attirare studenti stranieri . Questi tre indicatori dimostrano corne il nostro sistema non funzioni a dovere. II contrastato cammino dell'autonomia universitaria e la complessa realizzazione della riforma didattica del «3+2» (oggi tutte le facolta’ sono tenute a creare corsi di laurea triennali, seguiti, ma solo per i meritevoli, da due anni di studio «specialistico») offrono agli atenei nuove opportunita’, ma hanno anche esasperato le anomalie e le debolezze strutturali del sistema: elevata percentuale di abbandoni, cronica scarsita’ di investimenti, moltiplicarsi senza regole dei corsi, reclutamento dei docenti che favorisce i candidati locali e non premia i migliori, livellamento degli stipendi, assenza di motivazioni di studenti e professori.Di qui la necessita’ di confrontarci con i sistemi degli altri Paesi. Dove esiste un'universita’ dell'eccellenza? Come funziona e quali ne sono i costi? Come si reclutano e si pagano eventualmente in base alla produttivita’ i docenti? «Il Sole24 Ore» illustra in questa, prima puntata i casi di Germania, Francia, Spagna e Gran Bretagna. Per capire, come sottolinea Giacomo Vaciago, quali percorsi di qualita’ il nostro Paese sara’ obbligato a seguire, pena una perdita ulteriore di competitivita’ sulla scena internazionale. ______________________________________________ Il Sole24Ore 4 Ott. 03 GLI ATENEI ITALIANI, L'ETERNA MALATTIA DEL PROVINCIALISMO DI GIACOMO VACIAGO Chiunque di noi riconosce una buona universita’ quando ne vede una. Suggerisco tre criteri per accertare la qualita’ di un'universita’. Anzitutto, la sua capacita’ di attrarre gli studenti migliori: la reputazione di un'universita’ puo’ essere con qualche approssimazione misurata dalla somma dei chilometriche gli studenti percorrono per raggiungerla. Se ci vanno solo gli studenti nati e residenti li, quella cifra sara’ piccola e tale sara’ la qualita’ dell'universita’, simile a un liceo. Nel caso invece, in cui quella cifra sia molto grande, vorra’ dire che gli studenti si sono mossi anche da molto lontano; da tutto i1 mondo! Cosa che di solito si fa solo se ne vale davvero la pena, cioe’ per universita’ considerate le migliori. Il secondo criterio e’ dato dalla varianza degli stipendi pagati ai professori. I professori con i migliori "curriculum vitae" guadagnano piu’ dei professori meno bravi. Le universita’ migliori cercano di avere i professori piu’ famosi, e quindi pagano stipendi, piu’ alti. Piu’ grande e’ la varianza degli stipendi e piu’ e’ probabile che la migliore universita’ sia quella che e’ riuscita ad attirare i migliori professori, ovunque essi inizialmente fossero. Infine, il terzo criterio riguarda i metodi di valutazione. In un sistema che funziona bene se c'e’ meritocrazia, questa deve essere praticata anche nei confronti degli studenti. I quali saranno quindi sottoposti a giudizi e valutazioni di cui devono essere affidabili e stabili nel tempo i principali criteri. Le universita’ migliori sono in grado di confrontare i loro studenti e di giudicarli in modo ordinale secondo parametri preordinati che vengono rispettati anno dopo anno. Essere stato il "primo" vent'anni fa o esserlo adesso deve avere la stessa interpretazione. Possiamo applicare questi tre criteri al nostro Paese, e cosi’ sapere quali sono le migliori universita’ italiane? Ovviamente, no. Perche’ noi soprattutto dopo il '68 abbiamo fatto leggi e scelte politiche che vanno in direzione opposta. Abbiamo speso molti soldi per raddoppiare le sedi universitarie, riducendo cosi’ la mobilita’ degli studenti. Facendo tante universita’ "provinciali" ma formalmente indistinguibili dalle altre. La contrattazione di ogni universita’ con i docenti per definire stipendi individualmente meritati non e’ neppure stata mai pensata. E anche la valutazione degli studenti e’ lasciata alla discrezionalita’ di ciascun docente e non puo’ comunque essere di tipo comparativo. In Italia il "primo della classe" e’ un'invenzione letteraria! Infatti, mentre ogni anno il «Times» pubblica i nomi dei laureati che sono "first" a Oxford e a Cambrige, da noi cio’ e’ semplicemente impensabile: la legge italiana vieta esami seri (chi di noi li fa, deve tenerlo segreto). Pensate che financo per i concorsi a cattedra, l'elenco dei vincitori e’ da fare in ordine alfabetico: guai in Italia a dire o scrivere che un professore e’ meglio di un altro! Questa essendo la situazione dall'impasse che e’ andata peggiorando negli ultimi trent'anni comene usciamo? Ho una sola risposta: guardiamo a che cosa fanno i migliori al mondo, e cerchiamo di competere con loro. Seguiamo cioe’ il metodo dell'emulazione, che e’ l'unico nella storia dell'umanita’ che ha sempre dato buoni risultati. Qualcosa del genere lo sta facendo il Governo inglese che nel gennaio scorso ha pubblicato un bel "Libro Bianco" sui problemi dell'universita’ nel Regno Unito. Mentre noi prima facciamo le riforme e poi ne discutiamo, gli inglesi si rendono conto dell'attrazione esercitata dalle piu’ famose universita’ americane sui loro migliori diplomati, che in numero crescente non vanno piu’ quindi a universita’ pur famose come Oxford e Cambrige. Noi non abbiamo neppure quel problema, avendone uno ancora piu’ di base, che e’ quello di garantire che sia speso bene cio’ che va oggi all'universita’, privi come siamo di strumenti di valutazione della qualita’ degli studenti e dei loro professori. L'abbiamo appena visto quando il Governo seppure in modo un po' sgraziato ha tentato di riaffermare la sacrosanta necessita’ di valutazione dell'efficienza dell'universita’ italiana.Nei Paesi in cui l'universita’ forma la classe dirigente, e’ importante priorita’ politica e non e’ lasciata al caso, la qualita’ con cui quella missione viene svolta. Noi quando vogliamo iniziare ad occuparcene? E pensiamo che a farlo dovranno essere solo gli ispettori del ministro, o anche i nostri migliori studenti, potendo tornare a scegliere tra le universita’?A Milano, un'importante novita’ e’ appena venuta dal nuovo Collegio promosso dall'Asperi con l'aiuto di un gruppo di imprenditori illuminati. Qualcosa del genere lo stiamo progettando con il Collegio di Piacenza, dove Universita’ Cattolica e Politecnico di Milano hanno la fortuna di poter contare su tanti antichi conventi disponibili ad accogliere studenti universitari, con un adeguato progetto formativo. Ma queste pur pregevoli iniziative devono essere ancora accompagnate da una piu’ profonda riflessione sul futuro della nostra universita’: con quali nuove regole riusciremo a garantirne la qualita’? GIACOMO VACIAGO ______________________________________________ Il Sole24Ore 4 Ott. 03 GERMANIA: FACOLTA’ IN CRISI DI EFFICIENZA, E’ SCOCCATA L'ORA DELLE RIFORME DAL NOSTRO CORRISPONDENTE FRANCOFORTE e Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento la Germania guglielmina era la meta di educatori e insegnanti che venivano da ogni parte del mondo, soprattutto dagli Stati Uniti, per visitare le universita’ del Paese, modello d'eccellenza. Oggi gli atenei tedeschi sono alle prese con un lento declino. Con una legge del 1998, il sistema universitario ha scelto la via della deregolamentazione per essere piu’ competitivo, ma cio’ rischia di non bastare. «Dobbiamo renderci conto che la Germania ha un ruolo limitato nel mercato internazionale dell'istruzione ha osservato tre anni fa il presidente della Repubblica Johamnes Rau. Ne e’ passato di tempo nel mondo accademico da quando Heidelberg poteva dirsi piu’ importante di Harvard».Di recente a mettere il dito sulla piaga e’ stata 1'Ocse, nel ben noto Rapporto Pisa (Program for irtternational student assessment), che ha rivelato quanto grave sia il ritardo dei quindicenni tedeschi, i quali nei test relativi alle nozioni letterarie, matematiche e scientifiche si sono collocati sotto la media Ocse (ma, va riconosciuto, nettamente sopra gli studenti italiani). Le statistiche rivelano anche che il mondo universitario in Germania non e’ piu’ quello che contribui’ nell'Ottocento alla rivoluzione industriale tedesca, nonostante molte eccezioni. Come in altri Paesi europei, l'universita’ e’ diventata un immenso parcheggio temporaneo: solo il 32% degli iscritti ottiene un diploma (la media negli altri Paesi Ocse e’ del 48%). In media gli studenti tedeschi hanno bisogno di sei anni per laurearsi (la media Usa e’ quattro, in Gran Bretagna appena tre e mezzo). Naturalmente, pero’, questi tempi non sono da imputare solo alla malavoglia dei giovani universitari, ma anche alle differenze tra le lauree: quella tedesca equivale spesso a due diplomi americani, il Bachelor of Arts e il Master of Arts. Il mondo universitario tedesco e’ in mano al settore pubblico e, come in altri Paesi europei, si diventa professori dopo aver fatto una lunga anticamera. Lo stipendio e’ considerato elevato (in Germania i titoli di Profe’ssor e di Doktor sono presi molto sul serio) e, soprattutto, la legge prevede un aumento automatico, indipendente dal merito, ogni due anni. Nonostante la Germania sia uno dei sei Paesi Ocse nel quale l'universita’ e’ finanziata da fondi pubblici, gli atenei mancano cronicamente di denaro. II ricorso al numero chiuso e’ ancora poco frequente, e non esistono rette, neppure per gli studenti piu’ abbienti. Quando alcuni rettori, in difficolta’ nel far quadrare i conti, osano porre il problema vengono subito messi a tacere. Secondo alcuni osservatori prevalgono la burocrazia e un egualitarismo che riduce la qualita’ e il livello degli studi. Potra’ l'universita’ tedesca continuare in questo modo? No certo, tanto che non mancano i primi segnali di cambiamento, anche sulla scia delle pressioni del ministro dell'Istruzione federale Edelgard Bulmahn. L'Universita’ Humboldt di Berlino, nata nel 1810 per iniziativa del celebre letterato Wilhelm von Humboldt, e’ stata la prima, qualche anno fa, a decidere che la gestione dell'ateneo sarebbe stata affidata a tempo pieno a cinque amministratori. Dal gennaio 2002 gli stipendi dei professori di nuova nomina sono stati ridotti e sono previsti premi di fine anno. L'associazione delle universita’ tedesche Hrk vuole che gli atenei che dipendono dalle autorita’ regionali possano essere finanziariamente sempre piu’ autonomi. «Le universi ta’ dovrebbero decidere per se stesse che cosa intendono per bonus e come intendono premiare il merito» ha detto in luglio il presidente uscente dell'associazione, Klaus Landfried. Infine, e’ migliorato anche il rapporto con il mondo delle imprese, sulla falsariga di quello ormai tradizionale nelle scuole tecniche. Per esempio, Siemens accoglie ogni anno circa quattromila studenti universitari per degli stage professionali, e la societa’ bavarese collabora con il Politecnico di Monaco in alcuni programmi di scambio con le universita’ di Singapore, Hong Kong e Bangkok. BEDA ROMANO ______________________________________________ Il Sole24Ore 4 Ott. 03 FRANCIA:IL «DOPPIO SISTEMA» PREMIA L'E’LITE DELLE GRANDI SCUOLE DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI a «Sull'universita’ si gioca il futuro del Paese». Il ministro dell'Economia, Francis Mer, non ha dubbi. Tanto che nella Finanziaria 2004, nonostante le spese siano state congelate, quella per l'istruzione e’ salita del 2,8% e quella per l'universita’ addirittura del 3%, a 9,1 miliardi di curo. Eppure secondo l'ultimo rapporto Ocse lo sforzo della Francia rimane insufficiente: la spesa per l'istruzione superiore e’ solo dell' 1,1 % del Pil, rispetto a11'1,3% della media Ocse e al 2,7% Usa. Come dire che le universita’ sono l'anello debole del sistema scolastico francese. Solo il 59% degli iscritti arriva alla laurea (11 punti meno della media Ocse), a causa di carenze che vanno dai locali ai materiali didattici vetusti, alle attivita’ di ricerca e sviluppo insufficienti. Infatti il costo annuo per studente e’ di 7.475 curo: 13% in meno rispetto agli 8.545 curo della media Ocse. II mondo universitario francese chiede riforme.Ma queste non soddisfano e devono essere rimandate; come quella avanzata prima dall'estate dal ministro Luc Ferry, che proponeva di dare maggiore autonomia alle universita’ e di formare dei raggruppamenti, in modo da evitare la grande dispersione esistente sul territorio, che e’ anche sinonimo di iniquita’ nella qualita’ dell'insegnamento. In Francia, unico tra i Paesi europei; esiste pero’ un doppio sistema. Vi sono le "Tac", vale a dire le comuni facolta’ universitarie, e le Grandi Scuole di e’lite, con forti disparita’ anche nei costi d'iscrizione annuale: 200 curo nelle universita’ contro, ad esempio, 1.050 a SciencePo. «Ma quest'ultima dichiara l'economista JeanPaul Fitoussi sta per introdurre una retta basata sul reddito, con un allargamento della base delle iscrizioni e un aumento delle borse di studio».La diversita’ tra i due "sistemi" incide anche sugli stipendi dei professori, generalmente di un buon3040% superiori nelle Grandi Scuole (fino a 4.500 curo al mese, cui bisogna aggiungere vari premi). Inoltre, se l'accesso agli istituti universitari e’ libero, quello alle Grandi Scuole avviene attraverso un esameconcorso, dopo aver passato da uno a due anni postmaturita’ di severa selezione nelle scuole «preparatorie».I docenti vengono selezionati attraverso un concorso pubblico; ma’ ci sono anche figure diverse, come i "maîtres de conference" (l'equivalente dei nostri ricercatori), che accedono all'insegnamento grazie alla loro esperienza e professionalita’ in campi specifici.Inutile dire che le Grandi Scuole sono considerate il fiore all'occhiello del Paese, quelle che sfornano i grands commis di Stato,1'elite che guida da sempre la Francia colbertista. «Ma se gli uomini di punta dell'amministrazione pubblica spiega l'universitario Jacques R. Fayette si formano nelle Grandi Scuole, nelle materie scientifiche essi si formano nelle universita’». Da parte sua il ministro per il Commercio estero, Frangois Loos, dichiara al Sole24' Ore che in generale il livello e’ buono, ma insiste sulla necessita’ che il sistema universitario francese si internazionalizzi maggiormente, con la creazione di una sorta di Airbus (il consorzio aeronautico europeo) delle universita’ europee.Come incide questo doppio sistema sulla qualita’ degli studi, e quanto e’ stretto il rapporto fra atenei e imprese? «La qualita’ dell'insegnamento risponde Fitoussi e’ assai irregolare. In generale le Grandi Scuole selezionano i professori piu’ capaci. Da noi a SciencePo si fa una severa selezione, altrove non so. Per quanto riguarda le imprese, il mecenatismo in Francia e’ poco sviluppato. Ci sono poche fondazioni».Ora pero’ il Governo francese sta spingendo in questa direzione, per aumentare la collaborazione tra pubblico e privato e incrementare la ricerca. C'e’ da dire, comunque, che le imprese pagano una tassa sull'insegnamento e che tutti i principali gruppi industrali francesi, da Michelin a France Teleconi, da Eads a Edf, finanziano gli atenei e collaborano con molti di essi. Non solo in Francia. MICHELE CALCATERRA ________________________________________________ Il Sole24Ore 28 Sett. 03 CNR: CAMICI BIANCHI, CAMICIE NERE ACCADEMICI DI REGIME Gli scienziati al servizio del fascismo: come inizio’ il regresso tecnologico dell’Italia Anticipiamo un brano tratto dal libro di Roberto Maiocchi «Gli scienziati del Duce. Il ruolo dei ricercatori e del Cnr nella politica autarchica del fascismo» (Carocci, Roma 2003, pagg. 330, € 25,50) che sara’ in libreria nei prossimi giorni. DI ROBERTO MAIOCCHI Alle ore 20.30 della domenica 12 giugno 1938 gli italiani udirono uscire dai loro apparecchi radio la voce di Pietro Badoglio che cosî raccontava: «Dopo la sua visita alla nuova sede del Consiglio nazionale delle ricerche e prima di allontanarsi in automobile, il Duce mi disse: "Allora, siamo intesi: si lavora per l'autarchia"». Questa rapida battuta degna di un'operetta, con cui un dittatore comanda al suo capo di Stato maggiore generale, che da qualche mese era, casualmente, alla guida del maggior organismo scientifico del Paese, quale programma dovesse seguire la ricerca scientifica italiana, esprime meglio di tanti discorsi la situazione in cui si venne a trovare la comunita’ scientifica in Italia negli anni Trenta, chiamata pressantemente a partecipare alla realizzazione di un sistema produttivo quanto piu’ possibile autarchico in vista della preparazione di una guerra. Due elementi "irragionevoli", l'autarchia e la guerra, venivano cosi a condizionare lo sviluppo della razionalita’ scientifico- tecnica. Sul ruolo svolto da scienziati e tecnici nel corso del processo di attuazione del programma autarchico e, ancor prima, nella definizione di tale programma, non si sa nulla e forte e’ la tentazione di risolvere la questione descrivendo l'autarchia come un aspetto della nostra storia sostanzialmente irrazíonale, imposto da scelte politiche ,che prescindevano completamente dalle ragioni della scienza e della tecnica. Dell'autarchia si ricordano il surrogato della lana fatto con la caseina, le suole degli scarponi dei nostri soldati che si scioglievano con l'acqua, le pentole offerte alla Patria per fare cannoni, emblemi di un regresso tecnologico che allontano’ l'Italia dagli sviluppi internazionali piu’ avanzati; si identifica questo fenomeno storico come. uno dei vari aspetti di una crisi ella ragione occidentale, di un ritorno all'indietro della _ civilta’ di cui i campi di sterminio nazisti furono il drammatico e disumano culmine. L'evento piu’ significativo dal nostro punto di vista degli anni Venti fu la nascita del Consiglio nazionale delle ricerche. Dopo una lunga trafila che partiva dall'Ufficio invenzioni e ricerche di Volterra, con il regio decreto l6 novembre 1923, n. 2895, venne istituito in ente morale il Cnr aderente al Consiglio internazionale di ricerche con sede a Bruxelles, insieme con l'Unione accademica nazionale inserita nell'Unione accademica internazionale anch'essa con sede in Bruxelles. Gli scopi di questi due enti, collocati presso l’Accademia nazionale dei Lincei, erano quelli gia’ fissati dagli statuti delle due istituzioni internazionali cui aderivano. La struttura del Cnr era modellata su quella del consiglio di Bruxelles e si articolava in vari comitati nazionali ognuno dedicato a un campo disciplinare. Mancavano, poiche’ assenti a Bruxelles, due comitati economicamente rilevanti come l’ingegneria e agricoltura. Fin d'allora fu stabilito un collegamento con il ministero della Pubblica istruzione, nel cui stato di previsione di spesa venne stanziata per il Cnr la somma annua di ti 275mi1a lire, ma all'ente per 3° anni ne arrivarono solo 175mila. La presidenza fu assunta da Vito Volterra. Volterra era tuttavia un personaggio estremamente scomodo per il fascismo dal punto di vista politico, soprattutto al governo non piaceva affatto farsi rappresentare nei consessi scientifici internazionali da un noto antifascista (fu, tra l'altro, uno dei firmatari del Manifesto Croce e poi fu tra i pochi docenti universitari a rifiutarsi di giurare fedelta’ al fascismo). Fu messa in atto una pressione fortissima per far dimettere Volterra, in primo luogo bloccando di fatto i finanziamenti e impedendo al nuovo ente di poter funzionare. L'attivita’ del Cnr nei suoi primissimi anni di vita non ha lasciato tracce di qualche rilievo; l’istituzione non riusci’ ad andare al di la’ di un'attivita’ di censimento delle nostre strutture di ricerca e ad alcune partecipazioni a riunioni internazionali, fino a che non fu riorganizzato nel 1927. A quest'epoca il fascismo aveva gia’ iniziato a coinvolgere anche gli enti culturali e scientifici nella ristrutturazione delle istituzioni, operata per renderle piu’ funzionali alla propria politica, approfittando delle scadenze delle cariche per procedere a un ricambio delle dirigenze, laddove queste erano affidate a persone invise al regime. Fu questo il caso di Volterra che, allo scadere del proprio mandato, non vide rinnovata la sua nomina quale presidente del Cnr. Si provvide in quella circostanza a ritoccare radicalmente le funzioni del Cnr distaccandolo dall'Accademia nazionale dei Lincei e collegandolo invece all'Accademia d'Italia nella persona del nuovo presidente Guglielmo Marconi. Mussolini alla fine del 1930 non era ancora persuaso che il Cnr fosse stata una buona scelta ed era in dubbio se proseguire su questa via, oppure sopprimere l'ente e trasferirne le funzioni alla neonata Accademia d'Italia: Le incertezze di Mussolini spiegano in parte (l'altra parte e’ costituita dalle enormi difficolta’ finanziaríe dello Stato italiano in quel momento l'evidente ritrosia del Duce a concedere fondi adeguati ai compiti che, nelle enunciazioni programmatiche, erano riservati al Cnr. Le ragioni dei dubbi di Mussolini sembrano sufficientemente chiare. Il primo gennaio 1925 egli aveva inviato a Marconi un "messaggio" che fissava le linee programmatiche da seguire da parte del nuovo ente. Questo testo evidenzia una concezione del Cnr nella quale appaiono preponderanti le funzioni propagandistiche e di controllo politico. Nessun accenno veniva fatto a una eventuale azione di promozione, coordinamento e conduzione della ricerca, ne’ alla centralizzazione dei fondi in poche, grandi strutture a carattere nazionale, i due aspetti che erano sempre stati al centro del dibattito che aveva accompagnato la nascita del Cnr. Diversa era invece l'opinione degli uomini posti al vertice del Cnr, che sin dall'inizio zio cominciarono a concepire progetti per fare del Cnr il centro motore della ricerca scientifica italiana. Fin dalle prime riunioni i infatti, nel direttorio si discusse dei laboratori nazionali, si penso’ di fare un censimento dei laboratori scientifici italiani e di ricevere da essi delle relazioni annuali in modo da aver sotto controllo lo stato della ricerca italiana e si parlo’ dei problemi scientifico tecnici prioritari da affrontare nell'interesse della Nazione. A dirigere le scelte culturali iniziali del Cnr furono Parravano, Marconi e, in sott'ordine, Blanc. Tutti e tre erano ben addentro negli ambienti industriali e vi e’ da supporre che le loro preferenze non fossero semplicemente personali, ma che questi tre personaggi rappresentassero i centri di confluenza di molteplici spinte industriali, oltreche’ accademiche. Gia’ nel 1927, quando ancora Marconi stava a Londra, erano stati individuati alcuni grandi problemi nazionali cui furono dedicate 4 apposite commissioni di studio: alimentazione, fertilizzanti, idrocarburi aromatici e combustibili sintetici, cioe’ a dire «battaglia del grano», prodotti chimici fondamentali per molti rami della chimica fine di cui eravamo carenti, questione dei combustibili. Mancarono del tutto nei primi mesi di lavoro iniziative in linea con il messaggio programmatico di Mussolini e solo nel giugno 1928 venne presa in considerazione l'attivita’ di controllo sulle delegazioni italiane ai congressi, che Mussolini aveva invece enfatizzato. In occasione dell'insediamento ufficiale del riformato Cnr, avvenuto i12 febbraio 1929, l'intervento di Mussolini e quello di Marconi esprimevano chiaramente due posizioni differenti. In particolare Marconi poneva un esplicito rapporto di filiazione tra il rinnovato Cnr e il nazionalismo scientifico-tecnico sorto durante la prima Guerra mondiale. Varie questioni legate allo sviluppo dell'economia nazionale furono affrontate in questo lungo periodo di gestazione dell'istituzione. Marconi, appena arrivato dall'Inghilterra, pose subito sul tappeto il problema dello sviluppo in Italia delle trasmissioni radio e in breve tempo riusci’ a racimolare, fuori dal Cnr, i fondi necessari a impiantare il Centro radioelettrico sperimentale di Torre Chiaruccia, che comincio’ a funzionare nel 1932. Notevole attenzione raccolse il problema della produzione nazionale del vetro ottico, fondamentale per strumenti ottici e di precisione, che aveva evidente interesse dal punto di vista militare. Era questa una questione considerata con interesse da piu’ parti e gia’ avevano preso il via alcune iniziative. La piu’ importante tra queste fu quella fiorentina che diede origine all'Istituto nazionale di ottica, che diverra’ un centro Cnr. Nel 1930 sotto la direzione di Vasco Ronchi nacque un'istituzione frutto della collaborazione tra ambienti accademici, militari e industriali che compi’ un'azione decisa nel tentativo di rendere l'Italia autonoma nella produzione di un prodotto di valore strategico, il vetro ottico, per l'appunto. Attorno all'istituto si manifesto’ un ambiente nel quale erano evidenti caratteristiche che possiamo definire pre autarchiche, su tutte la chiara convinzione che le produzioni industriali connesse con le esigenze dell'indipendenza del Paese dovessero sfuggire al mero calcolo del tornaconto economico. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 29 Sett. 03 ZICHICHI: CARO BERLUSCONI, NON DELUDA LE ASPETTATIVE DEI RICERCATORI DI ANTONINO ZICHICHI a LETTERA APERTA AL PREMIER L’imminente discussione della Finanziaria 2004-2006 pone in drammatica evidenza la necessita’ da parte del Governo di affrontare, ormai senza indugi, i problemi determinati dalla progressiva perdita di competitivita’ del nostro Paese. I problemi sono economici. e politici. Politici perche’ in assenza di strategie moderne, adeguate a sostenere lo sviluppo dell'Italia, il Governo ed il suo premier corrono il rischio di alienarsi la fiducia che tanti italiani hanno in loro riposto. Economici se si considera che oltre il 25% della produzione industriale italiana e’ esportata in tutto il mondo. E’ su questa capacita’ del sistema paese di competere a livello internazionale che si basa la sopravvivenza di una parte consistente della nostra struttura industriale. II grande pubblico e’ in attesa di un fermo indirizzo politico e strategico che definisca gli interventi su cui concentrare le risorse per lo sviluppo, tenuto conto che le nostre quote di commercio mondiale stanno diminuendo in importanti settori tecnologici, quali macchine e apparecchi meccanici, autoveicoli, beni strumentali. Le parti sociali, Confindustria e organizzazioni sindacali, hanno indicato in un accordo congiunto la necessita’ di attuare una concreta strategia basata su quattro grandi priorita’ condivise: ricerca, formazione, infrastrutture e mezzogiorno. Da parte sua il Governo ha approvato, fin dal 20021e "Linee guida per la politica scientifica e tecnologica del Governo" e dispone quindi di un complesso di regole, programmi e indicazioni sulle modalita’ operative che evitando indiscriminati finanziamenti a pioggia permettono di attuare una netta svolta rispetto alle politiche dei precedenti governi. Questi governi, caso unico tra tutti i paesi industrializzati, hanno portato gli investimenti in ricerca e sviluppo dall'1,30% del Pil (1992) all' 1 % del 2001, provocando una decadenza economica e industriale dell'Italia. Il ministro per l'Economia, contrariamente a quanto affermava un suo illustre predecessore, Guido Carli, («il ministro del Tesoro non parla mai, e se parla dice no») di fronte a questa situazione ha proposto una serie di interventi nel settore della ricerca scientifica e tecnologica, insufficienti per delineare una politica incisiva. C'e’ di piu’. Tali interventi devono essere opportunamente corretti ed indirizzati secondo strategie gia’ adottate dai Paesi nostri concorrenti. Queste strategie, peraltro, sono alla base delle "Linee guida" di questo Governo. Si dara’ luogo altrimenti a una inutile e dannosa dispersione delle gia’ esigue risorse. Risorse che sarebbero preziose se orientate su obiettivi strategici. La mia lunga esperienza mi porta a pensare che stia prevalendo nei nostri massimi esponenti politici un antico senso di sfiducia nella componente impegnata nello studio e nelle ricerche scientifiche e tecnologiche. Non mancano esempi di successo delle nostre strutture scientifiche. Senza citare i settori in cui sono impegnato da diversi decenni ad esempio i magneti superconduttori ci sono campi nei quali i nostri ricercatori hanno conquistato record mondiali. Nel settore dello svilúppo di prodotti ad alta tecnologia sono stati ottenuti risultati che hanno prodotto rilevanti ricadute economiche per il nostro Paese. Alcuni esempi. Le scoperte di Natta nel campo delle materie plastiche, come il polipropilene, che hanno rivoluzionato questo importante settore produttivo. Il primo calcolatore da tavolo prodotto al mondo, 1'Olivetti 101. La scoperta italiana di nuovi antibiotici come la rifampicina, ancora oggi il farmaco di elezione nella cura della tubercolosi e delle cefalosporine. I nuovi farmaci antitumorali, e, ancora, lo sviluppo dei treni a inclinazione variabile. I nuovi motori "common rail" che hanno rivoluzionato il settore dei motori diesel. Per non annoiare il lettore mi limito ad aggiungere solo altri due esempi. Una fabbrica grande come due campi di calcio che, una volta completata nel 2004, dara’ lavoro a 1500 tecnici altamente specializzati, sta sorgendo nel Sud d'Italia. Questa e’ una delle realta’ di StMicrcelectronics, il gigante del chip italiano, guidato da Pasquale Pistorio. Questa realta’ ha trasformato la periferia di Catania in una piccola "Silicon Valley italiana". In essa la stessa azienda impiega gia’ circa Smila persone. E’ un'impresa cui hanno contribuito l'Universita’ di Catania e il Cnr in uno sforzo di ricerca con 7700 ricercatori nel mondo, con un investimento di 1,2 miliardi di dollari in ricerca, pari al 17% del fatturato aziendale. La recente vendita a "Corning" del settore fibre ottiche, fornisce un secondo esempio per indurre il nostro Governo a credere nei nostri giovani e nella nostra ricerca. La cessione di questo centro ricerche localizzato a Sesto S. Giovanni, in cui e’ concentrata l'attivita’ di circa 400 ricercatori italiani che operano strettamente collegati ai nostri centri universitari, ha fruttato oltre 7000 miliardi di vecchie lire. Quanto esposto dimostra che, anche in Italia, la ricerca sa produrre concreti e importanti risultati. Illustre e caro presidente Berlusconi, ritengo che una risposta forte del Suo Governo sia attesa da tutto il Paese, e in particolar modo da coloro che, impegnati nello studio e nelle ricerche scientifiche e tecnologiche, producono ricchezza e benessere e ripongono in questo Governo e nel suo premier la fiducia e la speranza di una svolta che valorizzi la scienza e le sue conquiste. _________________________________________ Il Sole24Ore 29 Sett. 03 UN LAVORO IN ATENEO PER GLI STUDENTI Part time, Gli iscritti possono guadagnare fino a 1.400 € per 150 ore All'universita’ non ci si limita a studiare e seguire i corsi, ma si puo’ anche lavorare. L'occasione e’ offerta dai rapporti di collaborazione part time di 150 ore degli studenti, un'opportunita’ che ogni anno interessa sempre piu’ ragazzi. Nei 45 atenei che hanno risposto all'inchiesta realizzata dal Sole24 Ore che rappresentano i 2/3 del totale delle universita’ italiane, quest'anno lavoreranno oltre 23mila studenti, contro 121.207 dello scorso anno. Il compenso previsto varia a seconda degli atenei, oscillando da un minimo di 5,17 curo a un massimo di 9,3 curo (per un totale quindi che va da 775 a 1.400 curo). In alcune universita’, inoltre, la durata dell'impiego e’ inferiore a 150 ore. Coinvolgere gli studenti. Questa possibilita’ esiste da molto tempo, perche’ e’ stata prevista dalla legge 39011991sul diritto allo studio, ma e’ solo negli ultimi anni che si e’ registrata un'impennata nel numero degli studenti coinvolti.«Con la riforma che ha introdotto il sistema del 3+2 argomenta Marisa D'Alessio ' coordinatrice del centra Orientamento dell'Universita’ La Sapienza di Roma l'universita’ italiana ha cambiato ottica; prima era iperselettiva e tendeva all'esclusione, mentre oggi svolge un servizio culturale destinato al maggior numero di studenti possibile. Questa rivoluzíone comporta una distanza minore fra docenti e studenti, e questi ultimi vengono a sentirsi una parte integrante e attiva dell'ateneo».Modello anglosassone. Per raggiungere questi scopi l'universita’ italiana ha guardato oltre confine, rivolgendosi soprattutto al modello dei campus universitari d'impronta anglosassone. «In Italia conferma Marisa D'Alessio gli studenti sono sempre stati poco utilizzati, e solo oggi si sta facendo strada un piu’ ampio coinvolgimento». La scelta della Sapienza, e di molti altri atenei, e’ quella di impiegare gli studenti nei servizi destinati direttamente ai loro colleghi, «perche’ rappresentano l'interfaccia migliore tra i ragazzi e la struttura burocratica». Un ruolo tipico del collaboratore parttime e’ quello di orientamento, perche’ uno studente inserito da qualche anno puo’ essere una miniera di informazioni per le matricole. Un ruolo fondamentale. Non sono solo ragioni culturali, pero’, a determinare l'ampio ricorso agli studenti, che si e’ rivelato anche fondamentale per sopperire alla carenza di organico legata al blocco delle assunzioni. «Senza di loro spiega Gigliola Di Renzo Villata, direttore dell'istituto di Storia del diritto italiano alla Statale di Milano sarebbe impossibile offrire molti servizi, e ci spiace che i ragazzi cambino periodicamente perche’ arrivano a1 termine del loro impiego con un'esperienza che risulterebbe molto preziosa, ad esempio nella gestione della biblioteca di dipartimento, che. raccoglie milioni di dati ed e’ altamente informatizzata».Nonostante il crescente successo di queste iniziative, sono ancora molti gli studenti che ignorano questa possibilita’ e la pubblicazione dei bandi sui siti e nelle bacheche delle facolta’ raggiunge una minoranza di persone. «Quando entro in aula per la prima lezione racconta la docente e’ mia abitudine informare i ragazzi di questa possibilita’, e mi rendo conto che molti di loro non sanno neppure di cosa sto parlando». a cura di Federica Micardi Gianni Trovati LO STUDENTE FA ANCHE DA TUTOR I ntrodotta dalla riforma universitaria, la figura del tutor si sta facendo largo in molti atenei italiani. Il tutor rappresenta una guida per lo studente sia per i singoli esami che per tutti gli altri aspetti curricolari (tesi, piani di studio, stage). Quest'attivita’, che inizialmente era svolta solo dal personale accademico (docenti, ricercatori e dottorandi), vede sempre piu’ coinvolti in maniera attiva anche gli studenti che, giunti a buon punto nel loro iter di studi, possono dare una mano ai colleghi piu’ giovani. Un'attivita’ in crescita, «Noi crediamo molto in quest'attivita’ - sottolinea Mauro Magnani, prorettore vicario dell'Universita’ di Urbino - e contiamo di estenderla nei prossimi anni». Un successo che si registra anche fra gli studenti, i quali «si trovano molto a proprio agio avendo a che fare con loro colleghi e possono chiedere informazioni e supporti di vario tipo». A Urbino il tutoraggio svolto dagli studenti e’ ormai un'attivita’ strutturata. «I tutor - prosegue il prorettore - sono specifici per corso di studio, devono aver svolto gli esami di cui diventano referenti e spesso vanno scelti dopo un'ulteriore fase di selezione. Quasi tutti í nostri corsi prevedono ormai la presenza d:i questa figura, e in alcuni casi promuovono iniziative di formazione specifiche». Tra studenti e insegnanti, A1 Politecnico di Milano, invece, il tutar non e’ una novita’ degli ultimi anni, ma in passato questo ruolo era ricoperto solo da dottorandi o insegnanti di scuola superiore. «Il tutor - chiarisce Anna Zaretti, delegata del rettore per 1'orientamento - continuz. a essere un docente nei corsi di nuova istituzione e con un numero di iscritti contenuto, mentre nei corsi piu’ ampi che vantano una lunga tradizione si tende sempre piu’ spesso ad affidare il compi to agli studenti, anche perche’ il corpo docente e’ insufficiente per svolgere anche questo ruolo». Scarsa diffusione. La risorsa dei tutor, pero’, e’ ancora dispersa e utilizzata m maniera discontinua, in quanto «il servizio e’ organizzato dalle singole facolta’, e non esiste un ufficio centralizzato. Inoltre - aggiunge Anna Zaretti - i nostri studenti sono impegnati al massimo nelle lezioni e nei laboratori, e vedono il rapporto con il tutor come una fatica ulteriore, piuttosto che come un aiuto di cui avvalersi>, Per reclutare i ragazzi gli atenei emettono i bandi dopo aver valutato le esigenze delle facolta’. Di solito, inoltre, gli studenti che svolgono questa funzione ricevono un compenso superiore a quello dei loro colleghi impegnati nelle 150 ore. Ad esempio al Politecnico di Torino i tutor ricevono 11,4 curo all'ora, contro i 9.3 curo dei collaboratori part-time. La Legge Le attivita’ a tempo parziale svolte dagli studenti all'interno dell’universita’ sano regolate dall’articolo 13 della legge 390191 sul diritto agli studi universitari. Secondo la norma l'impegno assunto dallo studente comporta un corrispettivo esente dall’imposta locale sui redditi e dall’Irpef. Questo tipo di collaborazioni «non configura in alcun modo un rapporto di lavoro subordinato e non da’ luogo ad alcuna valutazione ai fini dei pubblici concorsi». Il testo precisa che sono escluse tutte le attivita’ legate «alla docenza, allo svolgimento degli esami nonche’ all'assunzione di responsabilita’ amministrative». In pratica lo studente puo’ essere impiegato nelle seguenti attivita’: a Assistenza per )'agibilita’, i! funzionamento e !a custodia di biblioteche, centri studio e altro ancora • Inserimento dati r Servizi informativi e di orientamento r Servizi straordinari di pulizia, trasloco, archiviazione e manutenzione r Servizi di reception in occasione di congressi e convegni r Altri servizi non didattici a favore degli studenti, autorizzati dal Senato accademico I Requisiti I requísiti che lo studente deve possedere per iniziare un'attivita’ di collaborazione part-time sono stabiliti dai bandi delle universita’, sulla base di quanto predisposto dalla legge e delle esigenze specifiche dei singolo ateneo. Questo e’ quanto prevede la legge. r I compensi possono essere assegnati a studenti che abbiano superato almeno i 215 degli esami previsti dal piano di studi ' r A parita’ di condizione dei curriculum formativo, prevalgono le condizioni di reddito piu’ disagiate .Al termine della collaborazione l'ateneo deve rilasciare un giudizio sull'attivita’ svolta dallo studente. Un giudizio negativo preclude la possibilita’ di riproporsi negli anni successivi. Accanto a cio’ che stabilisce la legge, le universita’ fissano nei bandi regole proprie per il reclutamento. Di solito si tratta dei seguenti requisiti r Essere iscritti a un anno superiore al primo r Non aver superato il primo anno fuori corso r La media conseguita negli esami affrontati r Aver superato specifici esami r L'iscrizione ad una determinata facolta’ r Non essere inseriti, al momento della richiesta, nel programma Erasmus In alcuni atenei, infine, sono esciusi gli studenti eletti negli organi accademici di rappresentanza. _______________________________________________ L’Unione Sarda 3 ott. ’03 L’UNIVERSITA’ DI SASSARI INVESTE IN LABORATORI E ISTITUTI DI RICERCA In arrivo anche i fondi del Pon, utilizzati dalla Facolta’ di medicina e dal Dipartimento di biologia Con 1,2 milioni di euro si realizzeranno le postazioni del centro linguistico Una pioggia di finanziamenti in arrivo per l’Universita’ di Sassari e decine di progetti che prendono il via. L’ultimo bando di gara pubblicato, in ordine di tempo, e’ quello relativo alla realizzazione di nove laboratori linguistici, con annesso sistema di audioconferenza, che mettera’ in connessione le sedi periferiche di Oristano, Alghero, Olbia e Nuoro con il Centro linguistico dell’ateneo sassarese. Il bando, finanziato con un milione e 200 mila euro e apparso nell’ultimo numero della Gazzetta ufficiale, scadra’ il 31 ottobre e i lavori dovranno essere conclusi entro il 30 ottobre del prossimo anno. Nelle facolta’ di Sassari e nelle sedi staccate verranno realizzate complessivamente oltre 150 postazioni, collegate poi con il Centro linguistico. «In questo modo si potra’ realizzare anche l’insegnamento a distanza e soprattutto eliminare gli sprechi, oppure sfruttare meglio le risorse, realizzando corsi o esercitazioni allo stesso orario oppure rendendo possibili le attivita’ di autofinanziamento», spiega Simonetta Sanna, coordinatrice del centro linguistico, «i primi laboratori saranno disponibili gia’ in questo anno accademico, a partire da febbraio». Gli altri progettiCon il Pon, piano operativo nazionale, sono arrivati numerosi finanziamenti all’Universita’ di Sassari. I progetti che si stanno portando avanti sono numerosi e interessano diverse facolta’. «Uno dei piu’ importanti», spiega il pro rettore Attilio Mastino, «riguarda l’acquisto da parte della Facolta’ di medicina dei macchinari per la risonanza magnetica, con cui si potranno cosi’ effettuare le diagnosi sulla sclerosi». Il progetto costera’ complessivamente un milione e 394 mila euro e si va ad aggiungere alla realizzazione di un Centro sulla filiera delle carni fresche trasformate, che dipendera’ dal dipartimento di Biologia. La Facolta’ di veterinaria ha invece ottenuto 486 mila euro da investire sulle nuove tecnologie, mentre il Miur, ministero dell’istruzione, dell’universita’ e della ricerca scientifica, ha fatto arrivare a Sassari 995 mila euro per finanziare un progetto sull’alta formazione e la formazione a distanza. A questo scopo, l’ateneo ha infatti progettato di realizzare un centro di trasmissioni a Porto Conte. Infine, un altro progetto che dovra’ essere realizzato a breve riguarda l’adeguamento tecnologico della Facolta’ di giurisprudenza, per il quale e’ prevista una spesa di 713 mila euro. RicercaAnche sul fronte della didattica, l’ateneo sassarese continua a portare avanti numerosi progetti, come si puo’ apprendere dal ricco sito internet dell’Universita’, utilizzando diverse fonti di finanziamento. Tra questi, ha assunto senza dubbio una notevole importanza il Centro di eccellenza per lo studio delle biodiversita’ in Sardegna e nell’area del Mediterraneo. Il centro, diretto dal professor Bruno Masala, e’ stato finanziato con circa un milione e 800 mila euro, arrivati dal Ministero. La nuova struttura, che raggruppa ricercatori di diverse discipline, rientra fra quelli che ogni anno il ministero finanzia, coprendo le spese di realizzazione e funzionamento nei primi tre anni di vita. _______________________________________________ Il Messaggero 29 Sett. ’03 Universita’ LAZIO: LA REGIONE TAGLIA 3.164 BORSE DI STUDIO di ALESSANDRA MIGLIOZZI Dalla Regione Lazio non arrivano buone notizie per gli studenti universitari. La previsione di bilancio per il diritto allo studio parla chiaro: quest’anno ci saranno 9.800.000 euro in meno a disposizione. Si tratta di una decurtazione che andra’ ad incidere prevalentemente sulle borse di studio: per il 2003/2004 ce ne saranno 3.164 in meno. Gli idonei ad ottenere il sussidio diventeranno cosi’ 14.438 contro i 17.602 dello scorso anno. Il dato e’ confermato dallo stesso assessorato regionale alla Scuola formazione e lavoro. A causare la diminuzione dei fondi disponibili sono stati diversi fattori. Primo fra tutti il calo dei contributi statali, i fondi integrativi, che sono passati dai 13.899.540 euro del 2002/2003 agli attuali 11.119.632. Per un taglio complessivo di piu’ di 2 milioni di euro. Scarseggiano, poi, anche le risorse interne delle singole Adisu (Aziende per il diritto allo studio), provate gia’ negli scorsi anni dall’elevata richiesta di borse. L’assessorato regionale per la Scuola formazione e lavoro ha chiesto alla Regione 9 milioni di euro in piu’ per integrare il bilancio per il diritto allo studio. Ma ne sono arrivati 4.500.000 che colmano solo in parte il vuoto di quei 9.800.000 euro in meno presenti nel bilancio annuale. «Si tratta comunque di uno sforzo enorme da parte della Regione», spiega Giorgio Simeoni, assessore regionale alla Scuola, che non demorde: «Speriamo di riuscire a coprire lo stesso il 70% delle domande di borse facendo leva su due fattori: la possibilita’ che qualche studente abbia perso i requisiti per ottenere il sussidio, lasciando il posto ad altri, e l’intenzione che abbiamo di destinare qualunque fondo residuale agli aiuti economici per gli universitari». Nel frattempo arrivano dalle universita’ i primi dati sul numero di borse richieste (le domande dovevano essere consegnate entro il 25 settembre): 32.399 contro le 25.000 dell’anno scorso. Resta da vedere quanti studenti risulteranno idonei ad ottenere il sussidio. Ad oggi, se il dato fosse confermato, solo meno della meta’ degli studenti potrebbe essere accontentata. _______________________________________________ L’Unione Sarda 30 Sett. ’03 «NON RIESCO A LAUREARMI»: ORA CI PENSA LO PSICOLOGO Universita’. Scienze politiche mette a disposizione un’e’quipe di specialisti Un servizio antiansia per aiutare gli studenti in difficolta’ Studiare e’ troppo faticoso? Ore e ore passate sui libri non producono i risultati sperati? Nessun problema: da quest’anno gli studenti universitari possono dormire sonni tranquilli, perche’ al loro fianco ci sara’ uno psicologo esperto di problematiche legate alle difficolta’ di apprendimento. I primi a godere del servizio di assistenza psicologica attivato dall’ateneo sassarese saranno gli allievi di Economia, Scienze Politiche e Lettere, le tre facolta’ in cui l’esperimento e’ stato gia’ avviato da alcuni giorni. Si tratta di un servizio gratuito, rivolto a tutti gli studenti che durante il loro corso di studi, caratterizzato da numerose insidie e difficolta’, si sono persi per strada o hanno pensato di lasciar perdere. L’idea e’ quella di affiancare agli studenti un’e’quipe psicopedagogica di esperti, professionisti in grado di aiutare i ragazzi a ripensare il proprio metodo di studi, capaci di insegnare loro ad affrontare con meno ansia gli esami e gli altri ostacoli che normalmente presenta un corso di laurea. Ma allo psicologo l’universita’ intende soprattutto affidare il compito di orientare le scelte degli studenti nel migliore dei modi, aiutandoli a individuare i percorsi formativi piu’ adatti alle loro capacita’. Per questo motivo, ogni studente che vorra’ avvalersi del servizio fornito dal centro di consueling psicologico sara’ coinvolto in attivita’ finalizzate a migliorare la sua capacita’ di analizzarsi e valutarsi autonomamente. L’universita’ di Sassari e’ uno dei primissimi atenei d’Italia ad aver attivato il servizio in via sperimentale. Una tempestivita’ che nasce dall’esigenza di dotarsi di ogni strumento possibile pur di combattere in maniera efficace il problema della dispersione degli studenti. Lo psicologo di ateneo, infatti, e’ solo l’ultimo dei tanti mezzi con cui il Centro di orientamento universitario, in stretta collaborazione con le Facolta’, tenta di affrontare una situazione decisamente complicata. «L’obiettivo e’ quello di sconfiggere un fenomeno grave come quello della dispersione, che interessa tutti gli atenei d’Italia», spiega Carlo Ibba, preside di Economia. «Il problema ci sta a cuore perche’ a Sassari, e nella nostra facolta’ in particolare, ha gia’ prodotto troppi guasti per non tentare di correre ai ripari - prosegue Ibba - I numeri ci dicono che e’ ancora troppo alto il numero di studenti fuori corso e di allievi che abbandonano». E anche per chi ce la fa, i tempi sono troppo lunghi. «Mediamente ci si laurea in piu’ di sette anni - precisa il preside della facolta’ di Serra Secca - Eccessivo, per dei corsi di laurea che dovrebbero durare la meta’». Lo sforzo dell’universita’ «che in questi anni ha lavorato tanto per il recupero e la prevenzione del problema dei fuori corso - dice il professore - e’ quello di aiutare chi arriva a non sentirsi disorientato come avveniva in passato». In particolare Economia, Scienze Politiche e Lettere, che essendo le facolta’ piu’ popolose corrono maggiori rischi, non hanno perso tempo. «Abbiamo gia’ ottenuto dei buoni risultati con la revisione dei programmi, che talvolta risultavano troppo pesanti», ammette Carlo Ibba. «Ma se le cose vanno meglio - aggiunge - e’ merito soprattutto dell’istituzione di due nuove figure: lo studente - tutor e il manager didattico, grazie ai quali gli studenti dei primi anni non si sentiranno piu’ soli». Per capire perche’ gli studenti sassaresi impiegano cosi’ tanto per finire l’universita’, fondamentale e’ stata l’indagine condotta da alcuni allievi di Economia. «Il censimento degli studenti ci ha permesso di fare alcune osservazioni destinate ad agevolare le politiche di orientamento che l’ateneo intende attuare - conclude Ibba - Ora abbiamo tutti gli elementi per venire a capo di un problema che comunque, negli ultimi anni, siamo gia’ riusciti a ridimensionare notevolmente». Gian Mario Sias ____________________________________________________ La Repubblica 02/10/2003 L'UNIVERSITA’ E I TEST SENZA CONTROLLI CARO dottor Augias, diplomata al classico a pieni voti, volevo fare Medicina. Il 4 settembre ero pronta per il test. Molti candidati sono venuti accompagnati dai genitori (affermati professionisti), o da fratelli e amici gia’ studenti di biologia o farmacia. Un commissario, credendomi una dei tanti "furboni", mi ha chiesto sottovoce se l'accomodarmi ai primi posti poteva crearmi disturbi nel copiare: io avevo con me solo due bic nere! Quando sono andata a guardare le "graduatorie di merito" ho visto che tra i primi cento ammessi, circa una decina erano nati fra il 1950 e il 1975. Ecco la prova della "serieta’" dei controlli. Mariella Sabe CARO Augias, le racconto la mia esperienza al test di medicina. Dopo tre ore d'attesa viene consegnata la busta del test. Subito mi accorgo che molti studenti svolgono il test coadiuvati da parenti o amici certamente competenti. Quando manca poco piu’ di mezz'ora dal termine, il mio banco e’ invaso da fogli miei e non miei giunti da chissa’ dove e destinati a chissa’ chi. Tutto nella completa indifferenza dei commissari. Scaduto il tempo mi affretto ad imbustare il mio test. Mentre sono in fila, mi accorgo che molti stanno ancora copiando senza ritegno le ultime risposte. CARO Augias ero il presidente della Commissione di aula presso la quale si sarebbero verificate le situazioni illecite descritte. I disservizi rimarcati fanno parte, purtroppo, della carenza di strutture delle Universita’ italiane. Ma nella sostanza il test di ammissione a Medicina e’ blindato contro le raccomandazioni (non e’ poco in Italia). I quiz sono randomizzati:il quiz n° 1 per il candidato A e' il n° 54 per il candidato B ed il n° 22 per il C' e cosi’ via. La risposta esatta e’ anch'essa in posizione diversa da studente a studente, cosicche’ copiare e’ improduttivo e rischioso. Solo a prova finita si restituiscono i cellulari. Nel caso denunciato (padre e figlio nella stessa aula) 12 sono finiti oltre Il 250mo posto, mentre la sua lettrice e’ 133esima, come dire che e’ "sopra la nonna" ed il test lo ha riconosciuto. Le par poco? Antonio Aniorow GENTILE prof Amorosa, can ogni rispetto, la sua risposta non mi rassicura. La "carenza di strutture" (intollerabile, da noi spesso denunciata) e’ una cosa, gli omessi controlli, le piccole truffe confermate da troppe testimonianze, sono cosa diversa. Piu’ grave. Se mancano i soldi il problema e’ di bilancio e politico. Ma se non si impedisce ai piu’ furbi "di copiare o di farsi "assistere" la faccenda acquista un brutto odore: favoritismo di casta. Ogni singola facolta’ dovrebbe tenere, anzi lottare, per assicurarsi la presenza dei piu’ meritevoli, lo dicono la Costituzione, il senso comune, l’interesse del Paese, perfino l'interesse spicciolo di ogni preside di facolta’. A prevalere invece e’ spesso quell'ottica di assai diversa natura che si ripete pari pari per i primariati e i concarsi a cattedra In una parte della sua lettera che ho dovuto tagliare lei afferma che la Sapienza si fara’ una ragione del disincanto di tanti candidati. Non mi sfugge il sarcasmo. Certo che se ne fara’ una ragione, ma mi creda, non e’ per niente una buona ragione. _______________________________________________ L’Unione Sarda 1 ott. ’03 NUMERO CHIUSO A MEDICINA: INGIUSTO PARLARE DI CASUALITA’ Chi s’impegna supera i test Mi dispiace, ma non ci sto. Ho letto l’intervento del presidente dell’Ordine dei medici Raimondo Ibba sui test d’ammissione alle facolta’ a numero chiuso (“Terno al lotto/ Ammessi alla fine solo gli studenti che hanno messo piu’ crocette al posto giusto”, pubblicato il 14 settembre). Mia figlia ha partecipato ad uno di quei test. E’ determinata a fare il medico e voleva studiare senza abbandonare gli amici e la citta’. Ha accettato regole che non ha scelto (ne avrebbe fatto volentieri a meno), ha studiato con metodo e costanza, sacrificando estate e vacanze, pur avendo alle spalle un faticosissimo e stressante periodo di intensa applicazione per diplomarsi (con 100/100) al liceo classico “Siotto Pintor”. E’ senz’altro vero che il valore di una persona non puo’ essere misurato con un’unica prova, ma tutto l’iter scolastico di mia figlia, caro dottor Ibba, e’ stato positivo. Come potrebbero confermare tutti gli insegnanti che, negli anni, l’hanno affettuosamente seguita, contribuendo ad aprirle la mente ed il cuore (a proposito: grazie ancora ad ognuno di loro). Sono certa che mia figlia ce la mettera’ tutta per diventare un bravo medico. Come moltissimi altri, non ha messo “a caso” alcuna crocetta, non ha copiato, non era “accozzata” da nessuno. Si e’ preparata, ha letto molto, come sempre, va al cinema, segue telegiornali e quotidiani; vive una vita da ragazza normale che si “attrezza” per il futuro. Detto tutto questo, chiedo al dottor Ibba: perche’ offendere la sua fatica, perche’ sminuire con gratuite insinuazioni i suoi risultati (tredicesima in graduatoria) e, soprattutto, perche’ offuscare la sua gioia di essere passata? Sara’ stata anche fortunata, non penso di negarlo, ma la sua “fortuna” - se cosi’ vogliamo definire quel quid incontrollabile che ci sfiora qua e la’ - fa parte della vita di tutti noi. In ogni circostanza dell’esistenza umana, anche a parita’ di meriti, c’e’ chi vince e chi perde. Niente di nuovo sotto il sole. Elisabetta Corte Diana Cagliari ____________________________________________________________________ La Padania 29 Sett. 03 IL GOVERNO PREMI CHI FA RICERCA NON I BUROCRATI DELLA SCIENZA MASSIMO TEODORANI (astrofisica CNR-Asi) Voglio raccontare cosa sta succedendo adesso presso alcuni istituti del Cnr e all’Asi, l'Agenzia Spaziale Italiana. Entro tempi molto brevi ma non si capisce esattamente entro quando qualcuno che conta all'Agenzia Spaziale Italiana potrebbe decidere di firmare o non firmare contratti per circa 60 miliardi delle vecchie lire. Contratti relativi sia a progetti di ricerca, che a stipendi per ricercatore a contratto. Se non firma, mandera’ a spasso molte centinaia di ricercatori giovani e meno giovani. Mi riferisco in questo al settore "astrofisica". Questa fatidica firma e’ in forte ritardo, tanto per essere in tema di usuale italianita’, a Roma nessuno risponde sul come, quando, perche’, e qui siamo ancora in ambito di usuale italianita’. Se non firmera’, ovviamente sappiamo il perche’: "Occorre risparmiare per fare contenti gli attuali ministri preposti alla funzione sia della ricerca che del tesoro...". E quindi non vede niente di meglio che tagliare cio’ che e’ piu’ facíle tagliare subito, appunto per "risparmiare". II sottoscritto, peraltro leghista di ala socialista ma anche secessionista, si domanda allora, a distanza di due anni, COSA ha fatto la coalizione di governo guidata dal signor Silvio Berlusconi per porre fine, nel ramo specifico della ricerca scientifica alle nefandezze prodotte da decenni di malgoverno democristiana prima e comunista poi. Con almeno 50 anni di ritardo, l’attuale governo della cosiddetta "Cdl" ha preso atto che l"impact factor" prodotti della ricerca scientifica italiana in generale e’ di livello scarsissimo e che quindi spendere troppo per la ricerca pura che non abbia almeno una ricaduta applicativa, e’ uno spreco. Che la ricerca fatta in Italia sia di livello mediocre e’ assolutamente vero, il che non puó affatto dire che i ricercatori italiani non siano ammirati. Sono ammirati perche’ semplicemente "i ricercatori" se ne vanno all'estero, mentre i 'burocrati della scienza" restano qui. A parte le poche isole c/o gruppí di eccellenza esistenti, in Italia, e individualita’ di talento che lavorano ancora qui, di qualunque colore politico, perche’ la scienza non ha colori, ma solo forma e sostanza la ricerca italiana e’ dunque un CESSO in rapporto al potenziale che potrebbe offrire. Lo e’ soprattutto per i "criteri di scelta" attuati nei concorsi in quella latina peculiarita’ che sono i "posti di ruolo" e dove, i dare "le perle ai porci" e’ la regola da almeno 50 anni. Quando va benissimo, ci si ritrova spesso con ricercatori con molte pubblicazioni ma con un bassissimo potere innovativo, e sono tutti ricercatori con "posti di ruolo". Ma loro accumulano carta che li portera’ inesorabilmente ad una cattedra per professore ordinario. E come se non bastasse aggiungete la presenza di mansioni assolutamente inutili, alla ricerca di posizioni fantasma o strane figure di "tecnico ; messe li per trovare il modo di mettere il culo a posto a qualcuno ben collocato politicamente (ovvero con la doubleface del crocifisso di dietro e la falce e martello davanti,(che vale ancora adesso senza variazioni di sorta), e per finire, un esubero di personale amministrativo non solo, inutile ma, se si escludono valide eccezioni, anche nullafacente. Questa gente campa e ha campato alle spalle dello Stato e si godra’ a vita una rosea e serena pensione. Gli sprechi, e non si tratta di sprechi occasionali ma di sprechi secolari. E allora: finalmente arrivano i "nostri"! »Niente paura Adesso comandiamo noi e ripuliremo tutto». E infatti, un consenso tra questi cervelloni, nonche’ "nobili liberatori dallo stalinismo", avrebbe pensato bene di "risparmiare" tagliando quello che e’ facile tagliare subito. Cosi’ oltre che di zelo nei confronti dei ministeri gestiti dalla "Cdl", si punta tutto sulla «efficienza" (romanana... ndr), e non si trova niente di meglio che buttare il bambino lasciando l'acqua sporca al suo posto (di ruolo)un po’ per far vedere che risparmiano, e un po' per "tenersi buoni" i nemici della opposizione, i quali di fatto mantengono il comando assoluto in TUTTE le strutture predisposte alla ricerca scientifica. (delle scienze fisiche in particolare). E chissenefrega dei sacrosanto senso di giustizia che da loro ci si sarebbe aspettato e del prestigio della scienza che potrebbe fare grande una "nazione". Tagliando i fondi per la ricerca, tagliamo i nuovi talenti, mandiamo a casa chi con cento pubblicazioni e idee innovative si trova; , vergognosamente per qualcun altro, a dover ancora brancolare con contratti per fare ricerca. Tagliamo quello che e’ piu’ facile tagliare, ovvero i "posti a contratto" (ad es. assegni di ricerca o gli "art. 23") dei quali chissa’ perche’ ne "godono" molto spesso ricercatori 'orfani politicamente' ma che lavorano e producono 12 are al giorno. Unico peccato di alcuni di essi pensare con la propria testa e rifiutare direttive inette. Cosa resta, se il suddetto notabile dell'Asi non firma? Restano gli stipendi per i "pasti ruolo". Di essi, i meritevoli aguzzeranno l'ingegno teorico per inventarsi una ricerca con un budget di pochi euro decade. I cretini, e credetemi ce ne sono parecchi nelle strutture della ricerca italiana, gongoleranno per potersi fare adesso anche 12 mesi di vacanza all'anno pagati dallo Stato. Questa e’ la riforma che si atteggiava a "cura anticomunista" della ricerca scientifica che il ministro Moratti voleva? Ma non si rende conto che cosi’ facendo, oltre a disintegrare la ricerca italiana e il prestigio di una "nazione", lascia nelle strutture di ricerca SOLO il peggio del peggio prodotto dai governi che si sono succeduti prima di questo? Non bastava schedare gli eunuchi di regine, ovvero il plotone di raccomandati, messi dentro di ruolo e sbatterli ora gentilmente fuori (intendo: FORA) : per risparmiare? Per quello che riguarda almeno il settore della ricerca scientifica, questo governo ha tradito la fiducia di molti elettori. Mi sento sinceramente invitato a spingere con la forza la Lega Nord ad uscire dall'alleanza con gli altri 3 colori (il blu, il bianco e il nero, che nei fattí sembrano piu’ alleati con il rosso che non con il verde). Nella sostanza informo che, preso atto della china presa da questo "governo", molti tra noi ricercatori (di qualunque colore politico, se e’ il caso) se ne stanno andando all'estero per poter lavorare e vivere in pace magari con la prospettiva di tornare solo se si presenteranno due possibili scenari: a} un Italia diventata finalmente Paese realmente federalista e non piu’ centralismo delle banane, b} per alcuni (compreso il.. sottoscritto), una Padania nazione indipendente, modernamente democratica, mitteleuropea e scientificamente.: competitiva a livello internazionale. ================================================================== ____________________________________________ Il Sole24Ore 30 Sett. 03 RICETTE, LETTURA OTTICA ANTISPRECHI SANITA’ a Nasce l'Agenzia nazionale dei medicinali: si occupera’ anche di ricerca Farmaci: le industrie pagheranno il 60°Io dello sfondamento della spesa regionale ROMA a Nascono le ricette mediche a lettura ottica anti spreco. Con due obiettivi: controllare a tappeto la spesa sanitaria e accelerare i rimborsi ai fornitori del Ssn. E’ con questa novita’, inserita all'ultimo momento nella bozza del maxi decreto legge di accompagnamento alla Finanziaria, che si presenta la manovra sanitaria 2004. Una manovra che anche quest'anno riserva gli interventi principali al settore farmaceutico: con la nascita dell'«Agenzia italiana del farmaco», con l'obbligo solo per le industrie di ripianare il 60% degli eventuali sfondamenti e con la creazione di un Fondo per l'informazione, scientifica indipendente al quale ancora le industrie verseranno il 5% delle proprie spese «autocertificate» di marketing. Il testo del decreto legge approdato a Palazzo Chigi non si occupa del finanziamento del Ssn per il 2004. E’, infatti, la Finanziaria a riservare le sorprese meno gradite alle Regioni, a cominciare dalla conferma (implicita) delle dotazioni gia’ previste dal patto di stabilita’ dell'8 agosto 2001. Somme che per le Regioni significano «rosso» pressoche’ certo, anche grattando quel che resta da grattare dal fondo del barile di una spesa non sempre, e non del tutto, sotto controllo. Il beneficio del recupero dell'Iva sulle esternalizzazioni di Asl e ospedali, o la stessa iniezione di due miliardi per l'edilizia sanitaria, rappresentano solo una goccia nel mare di un sottofinanziamento stimato almeno in otto miliardi. Anche perche’ ormai incalzano contratti e convenzioni da rinnovare. Agenzia, spesa e ripiani. Sara’ l'Agenzia il nuovo strumento di controllo della farmaceutica pubblica. Avra’ un Cda con presidente designato dal ministro della Salute (d'intesa con le Regioni) e quattro membri (due scelti dalla Salute, due dalle Regioni). E proprio sull'Agenzia graveranno le principali responsabilita’ in materia di governo della spesa di settore. Il tetto di spesa e’ fissato nel 2004 al 16% della spesa complessiva del Ssn, inclusa quella ospedaliera, ma come «valore di riferimento». Se il tetto sara’ sfondato, le industrie contribuiranno per il 60% al rosso accumulato con una procedura di recupero da parte del Ssn che chiama in causa i farmacisti. Il 40% residuo sara’ a carico delle Regioni, che potranno agire con ticket, tasse locali e meccanismi alternativi di distribuzione dei farmaci. Proprio la questione del ripiano ha provocato ieri un botta e risposta tra Farmindustria e Federfarma, con i farmacisti che non hanno affatto gradito (si veda «Il Sole-24 Ore» del 28 settembre) la richiesta degli industriali di coinvolgerli nelle responsabilita’ finanziarie. Confezioni e bugiardini. Dal 30 giugno 2004 dovranno essere sul mercato le confezioni «ottimali», tarate per ciclo di cura nelle patologie croniche, con prezzi proporzionati. ~ Le industrie che non si adegueranno si vedranno ridotti i prezzi del 30 per cento. E da gennai io prossimo (non piu’ dal 2005) ~ i foglietti illustrativi dei medicinali, i cosiddetti «bugiardini», A dovranno essere «leggibili e 1 comprensibili».e Informazione trasparente. Nasce un Fondo ad hoc per 1'informazione scientifica trasparente, cui le industrie verseranno il 5% delle spese di promotion: si occupera’ di farmaci orfani per le malattie rare, ricerche e sperimentazioni comparative, farmacovigilanza. Appositi provvedimenti regionali interverranno poi su pubblicita’ dei farmaci destinata a tutti gli operatori sanitari e consegna di campioni gratuiti e omaggi. Nuove ricette al via. Nasce la «ricetta medica a lettura ottica», secondo un modello che verra’ approvato dal ministero dell'Economia. Comparira’ un codice a barre per identificare i medici e le Asl cui appartengono e riportera’ sempre il codice fiscale dell'assistito. Le Regioni riceveranno ,come "premio" il riconoscimento dell'accesso ai finanziamenti aggiuntivi dal 2003 a12005. Con questo sistema, oltre che fare un check costante della spesa e negare l'esenzione a chi non spetta, si conta di accelerare i rimborsi a farmacie, laboratori di analisi ed erogatori di servizi sanitari in genere. ROBERTO TURNO _____________________________________ Repubblica 29 Sett. 03 LEGGE SULLA DROGA ADDIO RICERCA SCIENTIFICA Prof. Franco Chimenti Prof. Vincenzo Cuomo Universita’ La Sapienza LE linee guida che ispirano il disegno di legge sulla regolamentazione delle sostanze d'abuso provocano notevoli perplessita’. L'approccio culturale al complesso problema delle sostanze d'abuso finisce per stravolgere quello che negli anni si era sviluppato, grazie ai contributi delle scienze sociali psicologiche e biomediche. La sensazione che il problema venga inesorabilmente semplificato, scotomizzando molti dei suoi aspetti. Crea non pochi disagi, e questo non solo nel mondo’ scientifico, l'acritica offensiva contro ogni tipo di droga, considerate tutte alla stessa stregua. Qui non si vuole riproporre la fuorviante distinzione fra "droghe buone" o "droghe cattive", ma ricordare che non si possono ignorare completamente quelle che sono le evidenze scientifiche sviluppate negli ultimi decenni. Espressioni del tipo "ogni droga, compreso lo spinello, ha effetti devastanti e irreversibili sulla psiche e sul fisico" sono errate, confondenti e non aiutano ad affrontare con responsabilita’ un problema tanto rilevante. Problema che richiede capacita’ di analisi e di intervento in grado di considerare le misure di prevenzione di importanza prevalente rispetto a quelle di controllo e di repressione, soprattutto in un periodo storico nel quale la ricerca farmacologica e neurobiologica cerca di rispondere in maniera concreta alla domanda di sempre perche’ in una popolazione solo alcuni soggetti, dopo le prime esperienze, diventano dipendenti? tentando di definire circostanze, condizioni e meccanismi biologici responsabili dello sviluppo della dipendenza. E’ con questa consapevolezza che ci si puo’ interrogare su cosa si deve fare per poter prevenite, ridurre o migliorare l'impatto provocato dalla dipendenza a sostanze stupefacenti. _______________________________________________ L’Unione Sarda 2 ott. ’03 Tempi di attesa lunghissimi negli ospedali cittadini UN’ODISSEA DI SEI ORE AL PRONTO SOCCORSO «Qualche settimana fa ho aspettato piu’ di tre ore». Mariano Puzzoni parla a voce bassa e respira a fatica. Sta seduto su una panca dentro l’angusta sala d’attesa del pronto soccorso dell’ospedale Santissima Trinita’. Aspetta il suo turno. Non ha neanche il fiato per sbuffare. «Sono stato operato e adesso sto nuovamente male Ñ commenta Ñ spero che i medici mi chiamino subito perche’ mi mancano le forze». Una decina di persone aspettano per la visita. C’e’ chi ha mal di pancia, chi dolori al ginocchio, chi febbre. Quando arrivano al pronto soccorso suonano il campanello, l’infermiere apre la porta e accerta la patologia del paziente. Poi da’ un’occhiata alla tabella e prima di assegnare l’intervento individua il colore del cosiddetto codice di gravita’. Uno stato di agitazione rientra tra i casi critici della fascia gialla. Un’emorragia e’ «molto critica» e quindi rosso. C’e’ anche il codice azzurro, quello piu’ grave: indica il decesso. Poco dopo le dieci al Santissima Trinita’ arriva un paziente in coma. Ovviamente non rispetta la fila. «Quasi tutte le persone che arrivano in ambulanza Ñ spiegano gli infermieri Ñ hanno la precedenza». Gli altri pazienti non protestano. E’ chiaro che si tratta di situazioni di estrema gravita’. «Per carita’ Ñ commenta Maria Grazia Marcialis Ñ in questi casi bisogna sperare che i medici riescano a intervenire in tempo». La donna tiene tra le mani una busta di carta gialla piena di ricette e referti medici. «Sono di mio marito Ñ sottolinea Ñ purtroppo veniamo spesso al pronto soccorso e sappiamo che ogni volta e’ sempre lo stesso problema. Si suona il campanello e poi si deve aspettare. La settimana scorsa ho atteso il mio turno per quattro ore». Alla signora Patrizia Cordedda di Assemini e’ andata peggio. «Sembrera’ incredibile Ñ racconta Ñ ma due settimane fa ho aspettato sei ore». Questa volta va un po’ meglio. La donna arriva al pronto soccorso alle 11 meno un quarto. «Ho la prescrizione medica Ñ afferma Ñ c’e’ scritto urgente, mia figlia ha accusato mal di pancia. Spero che venga visitata in fretta». Detto, fatto. Passano trenta minuti, la bambina varca la grande porta bianca ed entra nell’ambulatorio. «Noi siamo qui dalle dieci meno venti Ñ dice Franca Bachis di Siliqua Ñ mio marito ha accusato coliche renali e siccome la patologia non e’ considerata tra quelle piu’ urgenti dobbiamo aspettare ancora». Antonio Pili, un giovane cagliaritano, invece e’ esasperato. «Sono rimasto coinvolto in un incidente stradale Ñ sbotta Ñ mi fa male un piede e ho dolori al collo. Ieri sera sono venuto al pronto soccorso e mi hanno detto di ritornare oggi. Spero facciano in fretta. Le lunghe attese mi fanno perdere la pazienza». I medici fanno quel possono. Non rilasciano dichiarazioni al cronista. Parlano poco e lavorano tantissimo. A taccuini chiusi lamentano problemi di organico e strutture fatiscenti. Anche la direzione sanitaria dell’ospedale conosce bene la situazione. I vertici della Asl sanno che tutto si complica quando cresce il numero delle emergenze, quando arrivano i pazienti con le ambulanze del 118. Cosa che accade anche negli altri ospedali cittadini. Con l’istituzione del ticket il numero di interventi non e’ diminuito. Molte persone quando non trovano il medico di famiglia vanno al pronto soccorso e spesso pagano 15 euro. Accade al Santissima Trinita’ cosi’ come negli altri ospedali cittadini. «Il pediatra di mia figlia e’ in ferie Ñ dice Giuliana Agus Ñ e per questo sono venuta al pronto soccorso del Brotzu. La bambina ha un prurito alle mani. Spero sia cosa di poco conto». Insomma, le emergenze non mancano. E i sindacati lo sanno bene. «I pronto soccorso Ñ dice Gigi Maxia del Cimo Ñ rappresentano un serio problema per tutte le aziende sanitarie». Secondo Elisabetta Perrier, segretaria regionale della Cgil-Politiche socio sanitarie «la situazione in citta’ e’ emblematica. Il ticket e’ servito a poco. Le strutture sanitarie continuano ad essere subissate di richieste». La sindacalista suggerisce una soluzione al problema. «Bisogna intervenire Ñ sottolinea Ñ sul rapporto tra pazienti e medici di famiglia. Purtroppo c’e’ poca informazione e nel territorio le strutture dell’emergenza spesso sono prive di coordinamento. Molti non trovano il proprio medico e allora decidono di rivolgersi al pronto soccorso. E a volte non ne vale davvero la pena». Per informazioni chiedere a chi si e’ sobbarcato anche sei ore d’attesa. A Cagliari succede anche questo. Purtroppo. Francesco Pintore __________________________________________________ Il Sole24Ore 30 Sett. 03 EPATITE C, BASTA UN BACIO O LO SPAZZOLINO DA DENTI ROMA - Basta un bacio o lo scambio occasionale dello spazzolino da denti, e il virus dell'epatite C si puo’ trasmettere con la saliva. Lo hanno scoperto ricercatori dell'Universita’ di Washington. Secondo quanto riferito alla Conference on Antimicrobial Agents tenutasi a Chicago, uno su 5, cioe’ 52 dei 248 campioni di saliva di pazienti infetti esaminati, portava tracce del pericoloso virus che colpisce nel mondo 170 milioni di persone che, secondo stime dell' Oms, ne sono Y esso inconsapevolmente portatori. L'epatite C si trasmette di solito attraverso il sangue, e’ un virus subdolo perche’ spesso si nasconde essendo del tutto asintomatico e, quindi, rimanendo anche tutta la vita nel corpo della persona infettata provocando a lungo andare danni molta gravi, anche fatali. Per una persona su 5 invece il virus si manifesta a sei mesi dall'infezione ed i sintomi piu’ comuni sono affaticamento, sintomi simili a quelli influenzali, nausea, mancanza di concentrazione, perdita di peso ed ittero, cioe’ colorazione giallastra della cute e delle mucose per accumulo di sostanze biliari. Secondo quanto riferito la saliva e’ tanto piu’ a rischio quando la persona ha problemi alle gengive che sono facili a sanguinare per esempio dopo l'uso dello spazzolino. Quanto al rischio di un gesto comune come il bacio, spiega Basi Williams, capo esecutivo del National Hepatitis C Resource Centre, bisogna attendere ricerche piu’ approfondite. _____________________________________________________________ Il Secolo XIX 30 Sett. 03 CORSA AI FARMACI PER COMBATTERE LA LEUCEMIA MIELOIDE Rapallo Esperti a convegno Rapallo. E' stata la prima grave malattia del sangue ad avere un farmaco, imatinib, capace di "azzerare" il difetto della cellula impazzita, e quindi a tenere sotto controllo la patologia. Ed ora la leucemia mieloide cronica, che colpisce una ventina di persone in Liguria nel corso di un anno, si avvia a diventare un vero e proprio "battistrada" nella cura dei tumori. L'obiettivo degli studiosi e’ infatti quello di trasformare la malattia in una sorta di infezione, da curare nel tempo con farmaci capaci di "vincere" le resistenze della cellula malata. Attualmente la cura per eccellenza di questa forma patologica rimane il trapianto di midollo, ma queste alternative diverranno fondamentali nei casi in cui questo non possa essere eseguito. Presente e soprattutto futuro della leucemia mieloide cronica emergono dalla quarta Conferenza internazionale sulla leucemia mieloide cronica, che ha riunito da sabato ad oggi qualche centinaio di "superesperti" giunti da tutto il mondo all'Hotel Excelsior di Rapallo. Ad organizzarlo John Goldman, Direttore del Dipartimento di Ematologia dell'Imperial College di Londra e Angelo Michele Carella, direttore del Dipartimento di Oncoematologia della Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo.«Il trapianto di midollo e’ la prima terapia per questa patologia, ma puo’ essere effettuato solamente sotto i cinquant'anni e ovviamente necessita di un donatore compatibile spiega Carella. Per cui molti pazienti non possono essere avviati a questo trattamento. Per loro oggi esistono alternative che fino a qualche anno fa non esistevano e questo e’ un grande progresso della medicina».La rivoluzione nelle cure e’ giunta grazie ad imatinib, un farmaco che si assume per bocca ed e’ capace di agire su un "ibrido" presente solo nelle cellule tumorali. Questo induce la produzione di uno specifico enzima, che a sua volta funziona da "motore" per lo sviluppo e l'accrescimento di cellule malate, e da’ loro la forza di aumentare a scapito di quelle sane. «Ma in qualche caso, piu’ o meno nel 510 per cento dei malati, le cellule tumorali sono "resistenti" a questo farmaco fa notare Carella. Cio’ accade soprattutto quando il tumore e’ particolarmente "maligno". L'obiettivo finale e’ quello di ottenere una serie di medicinali capaci di "alternarsi" riducendo il rischio che le cellule diventino resistenti ai medicinali. E secondo gli esperti si sta realizzando una vera e propria «corsa", come accade per gli antibiotici, perche’ i farmaci riescano a dominare completamente la leucemia mieloide cronica. «In piu’ ci sono buoni risultati dai primi "minitrapianti", che possono essere fatti anche fino a 6065 anni dice Carella. Le cellule staminali del sangue di un donatore compatibile vengono infuse nell'organismo del malato preparato con medicinali immunosoppressori senza che si effettui un "azzeramento" del midollo come avviene nel trapianto tradizionale, e possono "competere" con quelle malate nel midollo osseo. A due anni dal trattamento circa 1'80 per cento dei malati non presenta segnali di ripresa della malattia».Federico Merita ______________________________________________ Il Sole24Ore 1 Ott. 03 DIABETE, SVOLTA NELLA CURA La ricerca punta su un ormone prodotto dall'intestino che stimola la produzione di insulina Insieme con due milioni di diabetici «consapevoli», vivono in Italia altri due milioni di individui che hanno il diabete senza saperlo. L'aumento della glicemia che colloca comunque questi ignari malati oltre i limiti della normalita’ (pqr porre diagnosi di diabete oggi al medico basta il riscontro di un tasso di glucosio nel sangue uguale o superiore a 126 milligrammi per decilitro in due diverse giornate) li espone in realta’ al rischio di sviluppare in modo silente le temibili complicanze della malattia: a carico di occhi, reni e nervi ma soprattutto del cuore e dei vasi sanguigni. Ecco perche’ l'impegno degli esperti si concentra oggi sull'identificazione di questi diabetici inconsapevoli: «Nelle fasi iniziali della malattia chiarisce Francesco Giorgino, professore straordinario di Endocrinologia e Malattie del metabolismo dell'Universita’ di Bari una modesta iperglicemia puo’ passare inosservata e senza sintomi eclatanti, a parte magari quelli legati a un'infezione vaginale nella donna o delle vie urinarie nell'uomo». Il problema non e’ tanto legato all'elevazione del tasso di glucosio circolante in se’, quanto al fatto che anche questa lieve iperglicemia che non da’ segni della sua presenza puo’ provocare danni alle cellule dell'apparato cardiovascolare e di altri distretti bersaglio. Bomba a orologeria. Le cifre parlano di una vera e propria epidemia globale di diabete e in particolare di quello definito di tipo 2, che ne rappresenta la forma piu’ comune (in Italia il rapporto tra diabetici di tipo 2 e quelli di tipo 1, ossia gli insulino dipendenti, e’ di 10 a 1) e piu’ subdola. Si manifesta in genere dopo i 40 anni di vita, ma tende oggi ad anticipare la sua comparsa in epoche piu’ precoci della vita. Il boom del diabete e’ favorito da una serie di condizioni che ne facilitano lo sviluppo: l'obesita’, la scarsa attitudine all'esercizio fisico, la facile disponibilita’ di alimenti a elevato contenuto calorico e ricchi in grassi. Le prospettive sono tutt'altro che confortanti, visto che l'American diabetes associationprevede il raddoppio dei casi nel mondo nei prossimi 20 anni. E’ questo scenario che fa del diabete una specie di bomba a orologeria: anche perche’, come un congegno a tempo, la malattia mina alcuni organi vitali e incrementa considerevolmente il rischio di infarto e ictus.Prevenire le complicanze. La migliore comprensione dei meccanismi attraverso i quali l'iperglicemia provoca la disfunzione delle cellule dei vasi, dei reni e di altri organi puo’ consentirci nuove possibilita’ di intervento, con farmaci in grado di prevenire il danno o ritardare la progressione delle complicanze. Giorgino accenna, per esempio, ai cosiddetti inibitori della «proteinkinasi C»; un enzima attivato dall'iperglicemia e che appare come un importante mediatore del danno indotto dall'aumento del glucosio ematico. «Ma i fattori in gioco aggiunge il ricercatore barese sono molteplici. Non solo l'iperglicemia, ma anche e soprattutto le continue oscillazioni. del tasso di glucosio nel sangue. Poi la presenza di dislipidemia e ipertensione arteriosa, assai frequenti nel diabetico. E’ importante la formazione di proteine "glicate" (o Age, acronimo da Advanced glycosylation endproducts) come l'albumina: legandosi a specifici recettori sulle cellule delle pareti vascolari, queste inducono un danno che poi si traduce in disfunzione e morte cellulare».I primi farmaci che inibiscono questi meccanismi sono stati sperimentati nell'uomo nella prevenzione e nel trattamento della retinopatia diabetica, nella quale la proliferazione incontrollata di vasi sanguigni puo’ causare emorragie, intraretiniche e cecita’. In questo settore sono allo studio anche altri inibitori: come un antagonista del Vegf (Vascular endothelial growth factor), sostanza che svolge un ruolo fondamentale nella produzione di neovasi (angiogenesi) di significato patologico. Ancora, sono in corso di valutazione nuovi farmaci in grado di ridurre la generazione di radicali liberi (il cosiddetto stress ossidativo) indotta dall'iperglicemia.Nuove possibilita’ di cura. Il diabete e’ una malattia dalla quale non si guarisce ma che si puo’ (e si deve) curare. E’ importante nei malati prevenire la comparsa di complicanze sottoponendosi a controlli periodici. Ma prevenzione significa soprattutto controllo attento della glicemia: «Il cattivo compenso metabolico avverte Giorgino ha un ruolo determinante sia nell'origine sia nella gravita’ delle complicanze». Il diabete di tipo 2 si cura con farmaci che stimolano la produzione di insulina (l'ormone che riduce la glicemia) o che ne migliorano il funzionamento. Purtroppo col tempo le cellule beta del pancreas che normalmente secernono l'insulina perdono questa loro capacita’. I ricercatori stanno percio’ mettendo a punto nuove sostanze capaci di stimolare la secrezione di insulina prevenendo la disfunzione delle cellule beta: «Interessante in questa prospettiva riferisce Giorgino si sta rivelando un ormone che tutti abbiamo e che viene prodotto da alcune cellule dell'intestino. Si chiama Glp1, stimola la produzione di insulina e aumenta la performance delle betacellule del pancreas». So'no in corso studi per definire le possibilita’ di impiegare il Glp1 nei pazienti con diabete di tipo 2. Programma Arado. Francesco Giorgini e’ anche il responsabile scientifico fi un programma di ricerca e di formazione all'Universita’ di Bari (nome: Arado, da Advanced research on angiopathy in diabetes and obesity) e focalizzato sulla malattia vascolare nel diabete e nell'obesita’. Col supporto della Pfizer, l'obiettivo del progetto e’ la comprensione delle basi molecolari delle complicanze di tipo vascolare presenti in queste due malattie che comportano costi umani ed economici elevatissimi (invalidita’, costi assistenziali diretti e indiretti, terapie) insieme con l'attuazione di protocolli innovativi di prevenzione e trattamento. Arado prevede inoltre la formazione di ricercatori, dietisti e personale tecnico. Edoardo Altomare ______________________________________________ Il Sole24Ore 1 Ott. 03 TRAUMI IN CERCA DA GUARIGIONE di Eugenio E, Mutler * Cellule staminali ed estrogeni sono la speranza della ricerca per un recupero delle lesioni di midollo spinale, fra le conseguenze piu’ inabilitanti degli incidenti stradali. Si ritiene che l'incidenza annuale di queste lesioni sia in Italia di almeno 20 casi su un milione, piu’ di mille casi ogni anno, ai quali vanno aggiunti un ulteriore 40% di origine non traumatica (infezioni, cisti).Terapia. I dati sperimentali mostrano che la somministrazione periferica o il trapianto in loco di cellule neurali staminali, embrionali o fetali meglio se arricchite di cellule gliali che producono fattori di crescita riempiono lo spazio della lesione, aumentano la vascolarizzazione, migliorano la motilita’. Promettenti anche i risultati ottenuti con gli estrogeni, dotati di attivita’ neuroprotettiva e antinfiammatoria, con l'ipotermia, con la tossina botulinica, un agente bloccante neuromuscolare, utile nei trattamento delle paralisi vescicali. Altre strategie farmacologiche per attenuare gli effetti della lesione secondaria sono ora in via di sviluppo, anche se per ora solo a livello preclinico. In clinica, un modesto effetto benefico lo consegue il metilprednisolone, uno steroide sintetico corticosurrenalico, somministrato ad alte dosi entro 8 ore dalla lesione. Gravita’. La lesione del midollo da trauma rappresenta una delle patologie piu’ gravi che possano colpire un individuo. Per la disabilita’ che ne consegue e la giovane eta’ delle vittime: colpisce prevalentemente soggetti maschi giovani (il gruppo di eta’ piu’ colpito, 16-30 anni, rappresenta 1'80-85% dei casi) Un altro elemento che va considerato e’ lo svolgimento dell’intero organismo, poiche’ si possono manifestare, oltre al danno neurologico, squilibri cardiorespiratori, metabolici, genitourinari, e altri, cui si aggiunge lo stress psicofisico originato dal repentino passaggio da una condizione di benessere e abilita’ a quella di disabilita’. L'elevatissima mortalita’ della fase acuta (circa il 65%), un elemento costante fino a qualche decennio fa, si e’ notevolmente ridotto negli ultimi anni. Molteplici le ragioni di questo cambiamento: miglioramento dei metodi di intervento iniziale e di riabilitazione, consapevolezza dell'importanza della immobilizzazione dopo la lesione, uso di mezzi di contenzione, air bag nelle macchine e, da ultimo, ma non per importanza, la istituzione delle Unita’ spinali, centri specializzati nella cura dei medullolesi. Carenza di Unita’ spinali. La lesione di midollo spinale, per l'importanza vitale, la delicatezza delle strutture di cui compromette la funzione, esige infatti un approccio specialistico, multidisciplinare, realizzabile attraverso la costituzione di un nucleo di assistenza globale. Nelle Unita’ spinali, il lavoro del neurochirurgo si integra con quello dell'internista, del fisiatra, del fisioterapista, di un personale infermieristico altamente specializzato. Esse sono le uniche strutture che possono assicurare una gestione unitaria e coordinata dei pazienti, gli interventi piu’. tempestivi e di maggiore efficacia, evitando al paziente gravose peregrinazioni. Ma le unita’ spinali in Italia sono molto scarse: ne esistono solo sette sull'intero territorio nazionale, cinque al Nord, con alcune buone strutture di secondo livello, due al Centro e, incredibile, nessuna da Roma in giu’. Cosi «i pazienti che provengono dal Sud affollano le poche unita’ spinali esistenti, e "competono" anch'essi per lo scarso numero di letti disponibili», dice Tiziana Redaelli, responsabile dell'unita’ spinale dell'Ospedale di Niguarda a Milano, una delle migliori del settore. Un altro punto dolente e’ la carenza di infermieri specializzati, figure professionali molto importanti nell'economia gestionale dell'unita’, anche se ci augura che la recente introduzione della laurea triennale in Scienze infermieristiche rendera’ piu’ appetibili queste posizioni e permettera’ di sanare l'attuale carenza. Cause. Gli incidenti stradali sono responsabili del 5060% del le lesioni, ma sono in aumento le cause di natura sportiva o ricreativa (paracadutismo, deltaplano, surf free climbing) che rappresentano i120% circa, mentre le misure di sicurezza ora applicate sul lavoro, almeno in diversi Paesi, hanno portato a una diminuzione di questi incidenti (20%). Costi. Al di la’ dei costi emotivi, fisici e sociali della lesione di midollo spinale acuta, il reale costo economico e’ enorme. Comprende molteplici voci di spesa: costo iniziale di degenza tre mesi in Usa, sei mesi in Italia di riabilitazione; modificazioni dell'ambiente (casa, auto); assistenza; supporti tecnologici; carrozzella normale e da viaggio (ricambio ogni 34 anni); mancato guadagnofdisoccupazione. In Usa, il costo di un soggetto tetraplegico (paralisi di tutti gli arti) nel primo anno ammonta a 341.000 dollari; in Italia, nei sei mesi di degenza, il costo giornaliero e’ di mille euro.Un processo a tre tappe. La lesione spinale acuta e’ un processo a tre tappe. II danno primario e’ dovuto al trauma diretto del tessuto nervoso esteso soprattutto alle strutture vascolari circostanti. Tale trauma e’ provocato dallo spostamento delle ossa vertebrali e dei tessuti molli che circondano il midollo osseo, oppure da’ corpi estranei che penetrano nella teca vertebrale (proiettili, lame). Il danno secondario e’ sostenuto da una cascata di reazioni biochimiche, iniziate dal processo primario, che possono causare lesioni sino alla morte cellulare. Il danno terziario, invece, deriva dalle conseguenze negative sull'intero organismo della lesione nervosa centrale (esempio, insufficienza respiratoria, lesioni da decubito, paralisi dell'apparato urinario). * Universita’ Statale di Milano, Centro di eccellenza per le malattie neurodegenerative _______________________________________________ Corriere Della Sera 2 ott. ’03 «L' ANGIOPLASTICA SARA’ PIU’ SICURA» Nuova tecnica per non danneggiare i reni messa a punto dal Monzino a Milano Porciani Franca MILANO - Delle persone che si sottopongono all' angioplastica, la dilatazione col palloncino di una delle arterie che nutrono il cuore, solo il 25% ha i reni indenni; in quasi la meta’ dei casi c' e’ una compromissione, pur lieve, della loro funzionalita’. Messa ulteriormente a rischio dalla tossicita’ del mezzo di contrasto indispensabile per eseguire la dilatazione con una buona visione del vaso ristretto. Allora i pazienti con un' insufficienza renale sono esclusi dal palloncino? No, ora possono accedervi grazie alla procedura sperimentata dalla cardiologia interventistica del Centro Cardiologico Monzino di Milano, diretta da Antonio Bartorelli. La ricerca in proposito pubblicata oggi sulla rivista New England Journal of Medicine indica, infatti, una strada per far si’ che la sostanza radiopaca non peggiori l' equilibrio precario di reni gia’ sofferenti. «L' idea che abbiamo avuto - spiega Bartorelli, professore di cardiologia all' Universita’ di Milano - e’ di usare una metodica disponibile in tutti gli ospedali dove esista una nefrologia: l' emofiltrazione che preleva il sangue del paziente e, facendolo passare attraverso un filtro, lo depura dalla sostanza tossica». L' e’quipe milanese ha preso in esame un centinaio di malati di reni candidati all' angioplastica o alla coronarografia, l' esame che grazie al mezzo di contrasto, ""fotografa"" le coronarie. A meta’ di questi e’ stata proposta l' emofiltrazione; agli altri - il gruppo di controllo - l' idratazione per endovena. I risultati rivelano che questo ""lavaggio"" funziona: dopo l' angioplastica, un terapia di sostegno dei reni e’ stata necessaria nel 3% dei pazienti sottoposti ad emofiltrazione, contro il 25% dei malati che non l' hanno fatta. Solo il 9% del gruppo il cui sangue e’ stato depurato, inoltre, ha avuto complicazioni (calo della pressione, necessita’ di trasfusioni, problemi respiratori),percentuale che e’ salita al 52 in quello di controllo. L' angioplastica e’ in ascesa: nel 2001, rispetto al 2000, il ricorso a quest' intervento e’ cresciuto in Italia del 17%. Benvenuta, percio’, la possibilita’ di aumentarne la sicurezza come sottolinea sul New England, John W. Hirshfeld, dell' Universita’ della Pennsylvania. Franca Porciani _______________________________________________ Corriere Della Sera 28 Sett. ’03 IPERTENSIONE: SE IL PESO DIMINUISCE CALA LA PRESSIONE Perdere peso fa abbassare anche la pressione: a dimostrarlo e’ uno studio dell' Universita’ di Perugia, che ha analizzato gli effetti del calo di peso su 181 soggetti ipertesi sovrappeso. Durante i 4 anni dello studio, il peso, complessivamente, non si e’ ridotto di molto, ma nei singoli pazienti che sono calati la pressione si e’ ridotta parallelamente ai chili persi: piu’ si e’ ridotto il peso, piu’ si e’ abbassata la pressione e piu’ si sono ridotte le dimensioni del cuore, il cui ingrandimento e’ indice di sofferenza e possibile scompenso. Viceversa, pressione e dimensioni cardiache sono aumentate in chi ha guadagnato peso. Che cosa significa Anche una modesta perdita di peso e’ di notevole beneficio negli ipertesi sovrappeso, e puo’ addirittura essere il solo intervento terapeutico per ridurre la pressione. In pratica Dimagrire assicura anche un abbassamento consistente e duraturo della pressione e diminuisce il volume del cuore, riducendo il rischio cardiovascolare. Fonte: Fonte: American Journal of Hypertension _______________________________________________ L’Unione Sarda 2 ott. ’03 Sanita’. Seicento in fila anche se mancano certezze ALOE CONTRO I TUMORI, OFFRE L’ORTO BOTANICO Una foglia di aloe allunga la vita, se non altro da’ speranza. Lo sanno centinaia di malati di tumore che vanno a prenderla all’Orto botanico. Gratis, naturalmente. E’ un esperimento dal sapore francescano: curare i pazienti con un prodotto naturale senza spendere un soldo. Inizia sei anni fa, il direttore Luigi Mossa decide di battere una strada semisconosciuta. Il compito di seguire la coltivazione e’ affidato ad Antonello Valente, "massimo esperto sardo di piante grasse". "Il prezzo dell’aloe stava salendo di giorno in giorno, speculavano in troppi. E allora ho deciso di intervenire. - spiega Mossa - Adesso basta compilare un modulo con tutti i dati, compreso il numero di telefono. Chi crede in questa pianta ha il diritto di provarne gli effetti. L’unico impegno e’ comunicarci se ne ha tratto un qualche giovamento". Seicento persone hanno gia’ fatto la fila per avere qualche foglia, tanto che si puo’ tracciare un primo bilancio: "C’e’ chi e’ guarito da un tumore, altri hanno vinto la depressione, nessun effetto collaterale". La via della speranza passa per quel gioiello verde che e’ l’Orto botanico. Tra fiori di loto e palme washington c’e’ un fazzoletto di terra coltivato ad aloe. A disposizione tre varieta’: vera, coesia e arborensiens. "Il primo a parlare dell’aloe come antitumorale e’ stato padre Zago. L’aveva scoperta in Brasile, i poveri la usavano come medicinale" racconta Antonello Valente. A dire la verita’ lui non vorrebbe che il suo nome comparisse sul giornale, ma il direttore la pensa diversamente: "E’ lui l’esperto, il suo parere e’ importantissimo". Tornando all’aloe: c’e’ una ricetta semplicissima per poterla utilizzare. Valente la sintetizza cosi’: "Ne servono 350 grammi, piu’ altri 500 di miele biologico e 3 cucchiai di distillato con alta gradazione alcolica, senza zucchero. Benissimo grappa, whisky e fil’e ferru. Frullare tutto e conservare in frigo. Basta un cucchiaio un quarto d’ora prima dei pasti". In citta’ c’e’ anche l’associazione Aloe Felice che dal ’94 si batte per far conoscere gli effetti della pianta. Costantino Mazzanobile e’ il vice presidente: "Non abbiamo fini di lucro e da 10 anni distribuiamo le foglie gratuitamente. Cristina Sanni’a, medico dell’Asl 8, si occupa della parte sanitaria". Un po’ di storia: "L’aloe, varieta’ coesia, e’ stata portata all’Orto botanico nel 1866. In Sardegna e’ diffusa piu’ o meno dappertutto". Questo non significa che sia cosi’ nel resto d’Italia: "Un paio d’anni fa a Milano la vendevano all’ingresso dei centro oncologici". Mazzanobile cita lo studio dell’universita’ di Padova che per la prima volta ne riconosce i pregi, poi vira verso un argomento a sorpresa: "Ha guarito persone e cani malati di leishmaniosi, anche a Cagliari. Senza parlare dei miracoli che fa su ferite e ustioni. Non e’ casuale che anche le universita’ inizino a testarne gli effetti". Paolo Paolini _______________________________________________ La Nuova Sardegna 29 Sett. ’03 UROLOGIA STUDIA CURE INNOVATIVE PER LE PATOLOGIE PROSTATICHE SASSARI. Sale operatorie come set (ma solo per gli addetti ai lavori) per illustrare le piu’ moderne tecniche chirurgiche utili a ridurre le patologie prostatiche, benigne e tumorali. Per il primo corso da lui stesso organizzato il professor Giuseppe Morgia, direttore della clinica Urologica dell’Universita’ di Sassari, ha operato alcuni pazienti davanti agli urologi arrivati da tutta Italia per capire i passi avanti fatti dalla ricerca. Erano presenti anche Enzo Usai e Mario Motta - rispettivamente direttore della clinica Urologica dell’Universita’ di Cagliari e di quella di Catania - ma anche Francesco Crotti, ordinario di Neurochirurgia a Sassari. Proprio in collaborazione con Crotti, la clinica Urologica ha messo a punto un intervento di prostatectomia radicale, con innesto del nervo brachiale, al fine di preservare la funzione sessuale del paziente. L’intervento, assolutamente innovativo, viene eseguito gia’ qualche mese in citta’. _______________________________________________ IlSOle 24Ore 29 Sett. ’03 EUROPA UNITA DEI TRAPIANTI Per la prima volta, l'Italia e’ capofila. Massima trasparenza, rispetto assoluto della privacy di donatore e ricevente, regole certe per l'accertamento della morte e per la tracciabilita’ degli organi. E altola’ al traffico di organi, alla remunerazione degli espianti, a criteri sommari per la gestione dei pazienti e delle liste d'attesa. Sono queste le linee guida di una futura direttiva comunitaria sui trapianti. Li hanno definiti i tecnici di 25 Paesi - gli Stati membri Ue piu’ quelli che stanno per entrare a farvi parte - riuniti a Venezia a meta’ settembre per la conferenza sulla "Sicurezza e qualita’ nella donazione e nel trapianto degli organi nell'Unione europea". Obiettivo: confrontare i propri sistemi nazionali, ma soprattutto stabilire i paletti di un documento comune a cui, fin da ora, possono cominciare ad armonizzarsi. L'idea e’ di creare una "Europa unita dei trapianti", basata su criteri che annullino almeno le differenze piu’ macroscopiche tra i Paesi, nella gestione dell'intero processo: dalle modalita’ per ottenere il consenso all'espianto, alla garanzia di anonimato per donatore e ricevente; dall'inserimento dei centri-trapianto in elenchi nazionali certificati, alla formazione specifica degli operatori coinvolti nelle singole fasi della terapia. Standard ancora lontani per molti Paesi, anche se ormai quasi scontati per una fetta d'Europa, Italia compresa. Il caso Italia. Al terzo posto in Europa dopo Spagna e Francia per generosita’, con 18 donatori per milione di persone (pmp), l'Italia si piazza al di sopra della media Ue, pari a 17 donatori pmp. Ed e’ quarta nella classifica mondiale, che include gli Stati Uniti. Il nostro Paese e’ primo in classifica, nella Ue, per trapianti e donazioni di tessuti: cornee, segmenti di ossa, vasi sanguigni, valvole cardiache e pelle. L'obiettivo e’ ora raggiungere la soglia di 30 donatori pmp, affiancando la Spagna, prima nella Ue. E per un Paese che negli ultimi dieci anni ha registrato la crescita piu’ alta di donatori d'organo - passando dai 5,8 pmp del 1992 agli attuali 18 - il traguardo sembra a portata di mano. L'importante, come sottolineano al Centro nazionale trapianti, e’ avere messo in campo un sistema a rete, basato su professionalita’ molto qualificate. Non a caso, pur registrando per il 2003 una stabilita’ nelle donazioni, il numero dei trapianti e’ in aumento, grazie alla migliore qualita’ complessiva dell'intero processo. Resta pero’ da fugare una serie di ombre, prima tra tutte la difficolta’ di alcune Regioni ad allinearsi al trend nazionale. Tra le grandi, Lombardia e Lazio segnano ancora il passo rispetto alle capolista Emilia Romagna, Liguria e Veneto, mentre la Sicilia e’ ultima in classifica. C'e’ poi il problema delle liste d'attesa: va impostato un programma sanitario capace di prendere di petto il dramma dei pazienti che aspettano di ricevere un organo. Attese che sono calate, ma che sono ancora inaccettabili: in Italia un paziente attende in media 3,1 anni per il rene, 2,8 per il polmone, 2,3 per il cuore, 1,3 per il fegato. Gli accordi internazionali. Proprio la gestione delle liste, insieme con le definizione di una serie di procedure - accertamento della morte, lavoro nelle rianimazioni, criteri di allocazione degli organi - e’ stato il tema al centro di un primo incontro, organizzato la scorsa settimana a Praga tra Repubblica Ceca, Italia, Austria, Germania, Grecia e i Paesi in via di adesione all'Ue. I risultati del gruppo di lavoro saranno presentati a dicembre in occasione della riunione del Consiglio dei ministri della Salute della Ue. E, per la prima volta, l'Italia e’ capofila. BARBARA GOBBI _______________________________________________ Le Scienze 2 Ott. ’03 IL MAGGIOR CARCINOGENO E’ LA VECCHIAIA Con il passare degli anni, l'organismo e’ soggetto a una forte instabilita’ genetica Alcuni scienziati del Fred Hutchinson Cancer Research Center hanno fatto una scoperta fondamentale che potrebbe rivelare perche’ l'invecchiamento rappresenta il maggiore fattore di rischio di cancro negli esseri umani. I risultati dello studio sono apparsi sul numero del 26 settembre della rivista "Science". Daniel Gottschling e Michael McMurray hanno trovato impressionanti similarita’ fra gli esseri umani e il lievito per quanto riguarda i cambiamenti che i loro geni subiscono con l'invecchiamento. "Anche se il lievito non sviluppa tumori, - spiega Gottschling - puo’ presentare una delle principali caratteristiche distintive dei carcinomi maligni, ovvero l'instabilita’ genetica. Abbiamo scoperto che nel lievito, proprio come nell'uomo, l'instabilita’ genetica cresce in modo drammatico negli ultimi periodi di vita". I ricercatori hanno scoperto che, quando le cellule del lievito raggiungono l'equivalente della tarda eta’, sperimentano un improvviso aumento nella produzione di alterazioni genetiche, che si manifestano tipicamente nella perdita di eterozigosita’ (LOH), una condizione caratterizzata da cromosomi mancanti o mutati. La scoperta indica che il lievito Saccharomyces cerevisiae, un organismo semplice e monocellulare, potrebbe costituire un modello ideale per studiare le complessita’ dello sviluppo di tumori negli esseri umani legati all'eta’. _______________________________________________ Le Scienze 2 Ott. ’03 NUOVI INIBITORI DELL'ARTRITE Le proteine impediscono l'attivazione del fattore di necrosi tumorale Un team di ricercatori del Southwestern Medical Center dell’Universita’ del Texas di Dallas ha sperimentato alcune nuove proteine, create dall'azienda californiana di biotecnologie Xencor, in grado di bloccare l'attivita’ di una molecola che regola l'infiammazione. La scoperta potrebbe tradursi in nuove possibili terapie per coloro che soffrono di artrite reumatoide. In un articolo pubblicato sulla rivista "Science", gli scienziati affermano che inibendo l'attivazione di un regolatore dell'infiammazione chiamato fattore di necrosi tumorale (TNF), e’ possibile ridurre del 25 per cento il gonfiore in un modello animale dell'artrite reumatoide umana. Livelli elevati di TNF sono associati con l'insorgere di questa patologia. La caratteristica unica dei nuovi inibitori, secondo gli scienziati, consiste nella loro progettazione e nel modo in cui agiscono. A differenza dei farmaci attualmente disponibili, la struttura e la sequenza di queste nuove molecole e’ simile a quella delle proteine prodotte naturalmente, rendendo meno probabile l'innesco di una risposta immunitaria del corpo per ostacolare agenti estranei. "Gli inibitori - spiega il fisiologo Malu’ Tansey - sono in realta’ versioni modificate della proteina TNF che si trova naturalmente nel corpo, con alcune mutazioni che impediscono loro di legarsi ai recettori ma non ai normali TNF. Come risultato, le proteine allontanano i TNF attivi dai recettori che mediano le risposte infiammatorie coinvolte nell'artrite reumatoide e in diverse altre malattie autoimmuni". _______________________________________________ Le Scienze 2 Ott. ’03 UN NUOVO METODO PER INDIVIDUARE ECOLI L'identificazione del suo DNA viene confermata con la reazione a catena della polimerasi Alcuni ricercatori dell'Universita’ della Florida del Sud (USF) hanno trovato un metodo migliore e piu’ rapido per individuare Escherichia coli, il pericoloso batterio che puo’ nascondersi nel cibo o nell'acqua e provocare gravi malattie. Gli attuali metodi di identificazione si basano su colture che possono richiedere da 24 a 48 ore prima di confermare la presenza di E. coli. Il metodo sviluppato all'USF e descritto nel numero di ottobre della rivista "The Journal of Microbiological Methods" (vol. 55, n. 1), invece, usa una combinazione di biosensori a fibra ottica e anticorpi per individuare inizialmente E. coli nel cibo e nell'acqua, seguita dal recupero di batteri vivi e da un'identificazione confermatoria della loro sequenza di DNA con la reazione a catena della polimerasi (PCR). Il nuovo metodo e’ in grado di fornire una risposta entro 10 ore. "Una rapida individuazione e identificazione - afferma il biologo Daniel Lim - puo’ impedire malattie dovute al cibo e all'acqua e consentire ai medici di cominciare le cure sui pazienti molto in anticipo. Nello stesso tempo, eventuali rapidi risultati negativi potrebbero impedire costose distruzioni di cibo". Ovviamente, e’ importante essere in grado di dimostrare che i campioni testati siano batteri vivi, e non morti. Secondo Lim, usando insieme due test rapidi, uno basato su una reazione immunologica e uno che identifica il DNA, la conferma dell'organismo specifico sarebbe praticamente certa. _______________________________________________ La Stampa 27 Set. ’03 DA OTTOBRE IN FARMACIA NUOVO FARMACO ANTI-ALLERGIE Dal prossimo ottobre sara’ nelle farmacie italiane la Levocetrizina, un nuovo, piu’ potente farmaco contro le allergie, di cui soffre nel nostro Paese circa il 20 per cento della popolazione: nove milioni di persone. Prodotto da Ucb-Pharma, «e’ l’evoluzione della sostanza piu’ utilizzata al mondo (Cetirizina), con oltre 16 miliardi di dosi giornaliere somministrate dal 1989 a oggi». Un antistaminico potentissimo perche’ selettivo contro i ricettori dell’istamina, la sostanza responsabile dell’insorgenza delle reazioni allergiche. Il farmaco e’ stato presentato da diversi specialisti di piu’ Universita’ italiane presso il Loft di Ugo Nespolo, in via Susa 12/14: «Le caratteristiche della Levocetrizina aprono nuove possibilita’ di approccio terapeutico, perche’ questa molecola consente un trattamento potente e sicuro per diverse manifestazioni cliniche, sia respiratorie (come ad esempio la rinite e l’asma), sia oculari (prurito), sia dermatologiche (orticaria)». _______________________________________________ La Stampa 28 Set. ’03 LA GERMANIA TAGLIA LA SANITA’ Niente piu’ taxi gratis per malati urgenti cancellati anche i «sussidi della morte» corrispondente da BERLINO Niente piu’ taxi per chi deve andare dal medico, anche se e’ urgente; niente piu’ «sussidi della morte» (contributo in denaro donato dallo Stato tedesco per partecipare alle spese di sepoltura dei cittadini); niente piu’ occhiali pagati dalla mutua (a meno che non si tratti di minori o di casi gravi); niente piu’ protesi dentarie gratuite; fine delle sterilizzazioni pagate dallo stato per motivi «non medici» e limitazione dell’accesso ai trattamenti di fecondazione artificiale a costo zero per le coppie regolarmente sposate (gli altri pagano). Gerhard Schroeder ce l’ha fatta. La tanto attesa riforma della sanita’ e’ stata approvata ieri dal Parlamento tedesco a larga maggioranza, con la coalizione di governo che malgrado i forti dissidi interni e’ riuscita a mantenersi compatta, e a votare per l’approvazione mettendo insieme una propria maggioranza (anche se di soli nove voti). La stagione dello stato sociale a trecentosessanta gradi si e’ chiusa, e la Germania degli assistiti – tanti, troppi – guarda con timore ai tempi che si stanno preparando. Sempre nella giornata di ieri, il Parlamento ha approvato la riforma del mercato del lavoro messa a punto dal governo rossoverde nell'ambito dell’«Agenda 2010», il pacchetto di misure diretto a riformare lo stato sociale. I punti principali riguardano l'ammorbidimento della normativa a difesa dei lavoratori dal licenziamento (il corrispettivo dell’articolo 18 italiano) e i tagli ai sussidi di disoccupazione. Per fine ottobre e’ in calendario la riforma delle pensioni. Che altro succedera’? Con il voto di ieri, il cammino delle riforme sembra avviato e destinato al successo. Come ha detto il ministro degli Esteri Joschka Fischer – tornato apposta dagli States per partecipare al voto - «questo significa che nei momenti cruciali la coalizione di governo e’ salda». Il successo del voto, comunque, era stato largamente preparato dall’intesa tra il ministro socialdemocratico Ulla Schmidt e l’esperto di sanita’ della Csu Horst Seehofer (vera anima del provvedimento), che erano giunti a un accordo molto prima che si arrivasse al Bundestag. Tra le misure della nuova riforma sanitaria, una maggiore responsabilizzazione dei pazienti, tagli nel catalogo delle prestazioni, ma anche una riduzione dei contributi dal 14,4% al 13%. Il governo tedesco si aspetta risparmi di oltre 20 miliardi di euro. La riforma prevede inoltre un contributo trimestrale di 10 euro per le visite mediche e in generale un pagamento supplementare del 10% per ogni prestazione sanitaria. Il governo pero’ ha stabilito, che gli oneri non devono superare il 2% del reddito lordo del paziente e per famiglie e malati gravi sono comunque previste eccezioni. Aumentera’ poi l’imposta sul tabacco: dal 2004 il prezzo delle sigarette salira’ progressivamente di un euro. Insieme alla riforma, Gerhard Schroeder intasca un successo personale e esce rafforzato dal confronto con l’ala sinistra del suo partito. «Se non volete votare a favore di questa riforma allora trovatevi anche un altro cancelliere» aveva detto ai suoi poco prima del voto. E nel timore dei franchi tiratori, aveva chiesto il voto palese e la menzione per nome dei deputati. Due parlamentari dell’Spd che erano malati sono stati richiamati d’urgenza; un terzo, sofferente di cuore, ha votato in un’aula separata, e alla fine mancava solo il sottosegretario all'economia Gerd Andres, con una febbre troppo alta per poter lasciare il suo letto. «Sulla riforma della sanita’ – ha potuto dire alla fine Schroeder con evidente soddisfazione - la coalizione ha messo sulla bilancia piu’ voti dell'opposizione». E sulle leggi del mercato del lavoro e’ stata raggiunta addirittura la cosiddetta «maggioranza del cancelliere» (la meta’ piu’ uno). «Pertanto - ha dichiarato il cancelliere a fine giornata - sono molto contento».