«CON IL MIT ITALIANO SI STRANGOLA LA RICERCA» BOSSI: PER IIT I BARONI SI RASSEGNINO D'AMATO: "SBAGLIATO IMITARE GLI USA COL MIT" IIT: LA CULTURA RASA AL SUOLO UNIVERSITA’: LE BUONE IDEE DI LETIZIA MORATTI NAZZARI: ECCO LA RICERCA DI FRONTIERA RICERCA,FONDI DA LOTTO E ALCOLICI MIUR: SOLDI ANCHE AGLI ATENEI SARDI L' UNIVERSITA’ ROMANA? MEGLIO QUELLA DI GUIABA’ PROF A CONTRATTO (DA FAME) 200 EURO PER CORSI ED ESAMI ASSUNZIONI BLOCCATE, 1.500 RICERCATORI PRONTI A FUGGIRE LA MORATTI AI RICERCATORI: FAREMO LE ASSUNZIONI SCIENZE POLITICHE: IL DUCE DELUSO DAI SUOI LAUREATI NASCE IN SARDEGNA L'INTERNET-PHONE DI DOMANI LA SFIDA DELLA TECNO-SANITA’ ================================================================== FACOLTA’ DI MEDICINA: LUNEDI’ LA PRIMA PIETRA IL POLICLINICO? PUO’ FAR MEGLIO I SUGGERIMENTI DEI DIABETICI AI RESPONSABILI DEGLI OSPEDALI DUBBI AL SAN GIOVANNI DOPO LA NOMINA DI MANCONI GOL DI MEDICINA: P.E. MANCONI S’INSEDIA AL SAN GIOVANNI DI DIO OSPEDALI UNIVERSITARI: LE REGIONI POSSONO DISCIPLINARE L'ASSISTENZA CHIRURGIA GENERALE: ALTRO CONCORSO TRUCCATO MEDICI E VETERINARI IN RIVOLTA CONTRO LA «SANATORIA ACCESSI» A SIENA IL POLO PER LO STUDIO AVANZATO SUI VACCINI NUOVI INDIZI SULLA SINDROME DI RETT «EFFETTO PLACEBO E MEDICINE VERE PER GUARIRE MEGLIO» ECCO LA TERAPIA SUPERVELOCE PER BATTERE ANSIE E PAURE UN PULSANTE DI RESET PER I NEURONI GLI AIUTI AI MALATI REUMATICI PER DIVENTARE PIU’ AUTONOMI COSI’ INVECCHIANO LE CELLULE UMANE ================================================================== ______________________________________________ La Stampa 4 nov. ’03 «CON IL MIT ITALIANO SI STRANGOLA LA RICERCA» PROTESTA CONTRO LA DECISIONE DI STANZIARE UN MILIARDO DI EURO AL NUOVO ISTITUTO ITALIANO DI TECNOLOGIA Il Cnr: ci tolgono i fondi e i giovani scienziati restano disoccupati ROMA Ormai la questione e’ se si arrivera’ ad uno sciopero, ad una manifestazione di piazza, insomma ad una protesta plateale. Perche’ di fatto il mondo della ricerca - sia universitaria che del Cnr - e’ ai ferri corti con il governo. Iniziarono i rettori delle 77 universita’ italiane, riuniti nella loro Conferenza nazionale (Crui) a reclamare contro le briciole che la finanziaria loro riservava, hanno continuato ieri i direttori dei 107 istituti del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche) riuniti anche loro in Conferenza. Peraltro non solo c’e’ il danno - secondo i direttori del Cnr - di una Finanziaria che lesina fondi alla ricerca, ma anche la beffa dell’istituzione di un organismo ex novo - l’Iit, istituto italiano di tecnologia - completamente svincolato dal resto del sistema della ricerca e alle dirette dipendenze del governo, che viene dotato da subito di un miliardo di euro da spendersi in dieci anni. Questa deliberazione, vidimata dal voto di fiducia del Senato, dice il presidente della Conferenza dei direttori del Cnr, Luigi Donato, «e’ un'offesa all'intero sistema di ricerca nazionale». «La Conferenza dei direttori - dice una nota - di fronte all'istituzione del cosiddetto Istituto italiano per la tecnologia, rinnova nel modo piu’ fermo la protesta gia’ espressa il 9 ottobre scorso per il superficiale, disinvolto pressappochismo che ha caratterizzato l'iniziativa». «All'inaccettabile assenza di contenuti - scrivono ancora i direttori - si somma l'offesa profonda, recata a tutta la comunita’ scientifica nazionale, con la dimostrazione che le risorse che gli Enti di ricerca e le Universita’ non ottengono, nonostante le innumerevoli giaculatorie pressoche’ quotidiane sulla importanza della ricerca come motore dello sviluppo economico e sociale, vengono reperite a tamburo battente per finanziare cervellotiche iniziative di una disarmante genericita’». I direttori degli istituti del Cnr ribadiscono la loro «piena solidarieta’ al professore Adriano De Maio (commissario del Cnr) e alla ferma protesta da lui espressa, per essersi trovato del tutto scavalcato dallo stesso Governo che l'ha nominato, nel pieno di un impegnativo processo di riassetto della rete scientifica del Cnr, condotto con rigore e determinazione e con la piena e costruttiva collaborazione dei direttori degli istituti». In effetti, a guardare i bilanci sia delle Universita’ che del Cnr, mai gli investimenti sono stati piu’ magri di questi ultimi anni. Il presidente della Crui, Piero Tosi, chiese in settembre al governo un finanziamento di almeno 10 miliardi in quattro anni per «europeizzare» l’Universita’ italiana. Il ministro Moratti fece - piu’ timidamente - la promessa di darne almeno uno fin dal 2004. La finanziaria ora in discussione stanzia, per tutta risposta, 160 milioni, di cui 70 vincolati (tra fondo di riequilibrio e diritto allo studio), per cui alle 77 universita’ non restano che 90 milioni. Al sistema universitario (didattica piu’ ricerca) il nostro paese dedica l’1,07% del Pil contro il doppio della media europea. E se guardiamo al Cnr, le cose non vanno meglio. Nel 2002, per esempio, lo Stato aveva stanziato 602 milioni di euro (su un bilancio di 814), che nell’anno in corso sono diventati 556 (su un budget di 680). La Germania - tanto per fare un raffronto - ha un budget per il suo «Cnr» pari a 1253 milioni, la Francia di 2533. Qui, invece, non si riesce neppure ad assumere i ricercatori vincitori di regolare concorso, perche’ non ci sono i soldi per pagarli. Venerdi’ questi ricercatori - ormai prostrati dalla situazione - terranno una conferenza stampa presso la facolta’ di ingegneria. Salvo poi unirsi al coro di chi gia’ in guerra con questa finanziaria. ______________________________________________________ Il secolo XIX 04 nov. ’03 BOSSI: «L'ISTITUTO DEVE PARTIRE A GENOVA BASTA DUBBI, I "BARONI" SI RASSEGNINO» intervista AL MINISTRO DELLE RIFORME Milano. Il ministro delle riforme e segretario della Lega Nord, Umberto Bossi aveva assunto un impegno preciso: appoggiare la proposta di dare a Genova la sedi dell'IITC, l'Istituto italiano di ricerca. Un affare a regime, da un miliardo di Euro di investi menti. Siamo al dunque. E Bossi riconferma, la scelta di Genova. Smentendo voci romani che vorrebbero tutto in discussione. «Per cominciare bastano 50 milioni d Euro e poi 100 milioni ogni anno fino a 2074. In Finanziaria i soldi ci sono». Chi fa ricerca storce il naso. Soldi pochi per tutti, tranne che per IITT... «I professori, i baroni universitari devono dedicarsi soprattutto all'insegnamento. L'li apre una nuova frontiera della ricerca, a massimo livello». Genova ha le carte in regola? «Si, certo. Ormai lo dicono tutti. So chi salteranno fuori quelli che invece... Quando Mussolini (dal quale sono lontano, la mia famiglia stava dall'altra parte) creo’ il CNR- (il Consiglio Nazionale delle ricerche, ndr) i baroni lo osteggiarono ma lui ando’ avanti e nomino’ Marconi alla presidenza. Alla fine baroni entrarono tutti nel Cnr, perche’ li’ c'erano i soldi. Riformare il sistema e’ difficilissimo. Meglio creare un ente di ricerca nuovo di zecca che si pone in parallelo con l 'Universita’ e non ha altri scopi. E' una fondazione, dove possono entrare anche i privati Serve per attirare le intelligenze migliori compresi i cervelli che si trovano all'estero Bisogna invogliarli riducendo le tasse, mi pare che la base imponibile dell'Irpef sia stata ridotta al l0%. E I'Irap per gli autonomi e’ azzerata». Ci sono volonta’ e accordo politici? «E gia’ passato al Senato, non mi pare proprio che sia in discussione, c'era pure la fiducia sopra... Non puo’ essere in dubbio». Le corporazioni e le clientele politiche non si arrendono fino all'ultimo. «II Cnr convoglio’ in un unico fondo le risorse per fare ricerca. L'Universita’ non c'entra, li si insegna. L'Iit deve essere una struttura di altissimo livello, di avanguardia, che apre una nuova frontiera nelle ricerca. Tutte le energie, mentali ed economiche, saranno dirette alla ricerca. La partita della globalizzazione la giochi se le tue imprese hanno un vantaggio tecnologico su quelle dei Paesi emergenti. Altrimenti sei morto». La concorrenza della Cina e la sua proposta dei dazi? «Appunto. Dobbiamo avere il nostro Mit un istituto eminentemente di ricerca che fa anche un po' di insegnamento. Stiamo cercando di mettere insieme un meccanismo che concentri cervelli e capacita’ di produrre invenzioni. Tenendo presente che in un paio d'anni i Paesi senza cultura industriale ti copiano». C'e’ il rischio di mettere su uno scatolone vuoto genere Prima Repubblica? No, non e’ roba del genere. Si parte con 50 milioni di Euro nel 2004 e poi 100 all'anno fino al 2014 per adesso. E poi aspettiamo i capitali privati. Perche’ Genova? Mi era venuta in mente l'Ansaldo, ora tutto e’ andato in malora. Ma niente scatoloni pubblici vuoti. Sarebbe molto piu’ difficile se avessimo scelto di passare attraverso le Universita’. Milano, nel dopoguerra, nel sottoscala dell Edison, una dependance del CNR lavorava per creare nuova energia. I ragazzi di via Panisperna sperimentarono il primo reattore nucleare che poi venne realizzato in America». Passiamo ad altro. Dopo lo strappo su voto agli immigrati lei aveva evocato addirittura lo spettro della crisi... A che punto siamo? «La crisi non puo’ venire. I voti li ha Berlusconi,l'unica forza politica che non ha paura del voto e’ la Lega. Gli altri ce l'hanno eccomi paura, l'Udc scomparirebbe, molti voti vanno via se periodicamente si fa la crisi per ledere la leadership di Berlusconi. Il voto agli immigrati e’ una follia, e comunque puo’ deciderlo solo il popolo. C'e’ un patto tra cittadini e Stato che ci ha fatto posare le armi e scegliere la cabina elettorale, un patto che non distingue tra voto politico e amministrativo. Non puo’ venire Fini o Berlusconi o io a cambiare le carte. Se dai il voto ai musulmani quelli porteranno la loro morale». La vicenda del crocifisso di Ofena arriva a fagiolo a confortare le sue tesi «E' tempo di dire basta ai giudici a concorso e farli eleggere dal popolo, in modo che siano collegati al territorio, alla gente e non volino nell'iperuranio illuministico e facciano sentenze meno astratte o fuori dal mondo come quella di Ofena. I giudici sono fuori dal mondo, hanno un potere troppo forte e non rispondono al popolo. Non a caso nelle dittature prevalgono i giudici». L'ultima proposta di Fini e’ la leva volontaria per gli extracomunitari. «II problema e’ che Fini cerca un'altra via per prendere i voti. Alla lunga queste cose ledono la leadership di Berlusconi. Il problema e’ che la Roma dei palazzi vuole i soldi che non ci sono piu’. Ma il tempo antico non torna. Non possiamo metterci a stampare titoli di Stato. C'e’ del malcontento per un governo che non ha fatto affari ma tenta di mettere d'accordo le fondazioni con la Cassa depositi e prestiti (ultima trovata di Tremonti, ndr). E' l'unica modo per privatizzare senza disperdere la concentrazione industriale dello Stato, cosa che ha fatto la sinistra. Cosi’ si chiude lo strada di palazzo Chigi agli avventurieri e qualcuno soffre... IL governo non ha fatto affatto male, con tutti i nemici che ha il cambiamento». Se si votasse la Casa delle Liberta’ rischierebbe di perdere? «Non credo. [I vero rischio e’ che non c'e’ alternativa a questo governo». Renzo Parodi ______________________________________________ Il Tempo 6 nov. ’03 D'AMATO: "SBAGLIATO IMITARE GLI USA COL MIT" Secondo D’Amato (Confindustria) meglio valorizzare quello che abbiamo "PENSO che disperdere risorse su nuove iniziative quando ci sono tante cose da completare non sia opportuno". Cosi’ il presidente di Confindustria, Antonio D’Amato, ieri a Napoli al convegno "Orientagiovani" organizzato dagli industriali partenopei, ha attaccato la istituzione di un "Mit" sul modello bostoniano prevista nel decreto che accompagna la finanziaria. "Abbiamo alcuni pezzi di eccellenza del sistema universitario italiano - ha detto D’Amato - abbiamo bisogno di concentrare le risorse laddove queste eccellenze ci sono. Il Mit, se parliamo del riferimento a quello che e’ negli Usa, e’ una struttura che affonda le radici in una storia, in una qualita’ di investimenti, in una tradizione straordinaria che non si replica, ne’ con i pochi milioni di euro che abbiamo a disposizione, ne’ nel tempo che abbiamo immaginato. Ed allora nel frattempo, valorizziamo quello che abbiamo e cerchiamo di valorizzare soprattutto le risorse su progetti che possono aumentare la capacita’ di fare ricerca". "Dobbiamo investire di piu’ sull’Universita’, sulle scuole e sulla ricerca", ha insistito D’Amato, sottolineando l’esigenza di far rientrare i "cervelli" espatriati. Il presidente di Confindustria ha poi posto l’accento sulla necessita’ dell’orientamento per i giovani che escono dal mondo della scuola, sottolineando che l’organizzazione degli imprenditori ha fatto molto su questo tema nel corso di questi anni "e sta cercando di aumentare in maniera significativa il numero delle scuole coinvolte in questo programma di qualita’ e sta aprendo le porte delle aziende ai giovani per fare stage, e per fare formazione". D’Amato, a margine del convegno, ha poi dichiarato che "per combattere il fenomeno della speculazione, nel settore del commercio, occorrono riforme che sono state interrotte a meta’", mentre invece si "potrebbe rendere piu’ trasparente e competitivo il prezzo di distribuzione che va dal produttore al consumatore". Ancora, il presidente della Confindustria ha chiesto che sia completata la riforma "relativa alla liberalizzazione e privatizzazione dei servizi pubblici locali. Anche per le tariffe e i prezzi di molti servizi erogati in condizioni di monopolio dalle municipalizzate - ha detto - c’e’ un rapporto prezzo-qualita’ assolutamente squilibrato". Al convegno ha partecipato, con un messaggio in videoconferenza, anche il ministro dell’istruzione Moratti. Durante il suo intervento qualche fischio e’ partito dagli studenti e dai giovani presenti. Il moderatore del convegno, Michele Mirabella ha duramente stigmatizzato l’accaduto, spiegando che era "vile" esprimere "in questo modo le opinioni, senza possibilita’ di dibattito". D’Amato dal canto suoi ha detto dal palco: "Avete fischiato la Moratti; la riforma puo’ piacere o non piacere, ma e’ una riforma che a noi convince molto perche’ apre il rapporto scuola e lavoro". ______________________________________________________ L’Unita’ 03 nov. ’03 IIT: LA CULTURA RASA AL SUOLO Carlo Bernardini Anni fa, verso il 1980, molti di noi avevano un peso sul cuore che induceva a uscire dalla propria nicchia di benessere professionale e a mettere il naso negli affari del mondo. Era l'incubo della guerra nucleare. Secondo gli strateghi dell'epoca> il rischio che un conflitto nucleare ira Usa e Urss avesse inizio, aveva una probabilita’ piccola ma non nulla; poteva partire per errore o per follia umana. In ogni caso, l'umanita’ cosi’ come la conosciamo sarebbe stata annientata: il numero di ordigni che avrebbe preso il volo per colpire indisturbati l'avversario (rispettivamente, il mondo «non comunista» e il mondo «non capitalista») sarebbe stato piu’ che sufficiente a incenerire il pianeta. Fu in quella occasione che molti d noi, militanti nelle associazioni d scienziati per il controllo sugli armamenti (Uspid, per l'Italia: la gloriosa Unione Scienziati Per Il Disarmo, tuttora attiva) si preoccuparono di spiegare che tutto il mondo sarebbe stato ridotto all'inabitabilita’, se non altro, dallo sconvolgimento climatico prodotto dalle enormi esplosioni. La gente pensava pero’ ancora che il conflitto avrebbe colpito solo i contendenti, i detentori di bombe nucleari, come nelle guerre storiche Sicche’ ci tocco’ descrivere che cosa sarebbe stato, invece, quello che, concordemente, chiamammo «l'inverno nucleare», la morte di ogni forma di vita sii Pianeta, piante e animali; e, soprattutto la miseria e la decadenza dell'uomo. Percio’, gli ordigni nucleari vennero classificati come ordigni di «distruzione di massa». La descrizione ebbe qualche successo: la gente incomincio’ a capire. Ecco, il concetto di «distruzione di massa» descrive una caratteristica degli effetti dell'impiego di certi strumenti. Non E’ semplicemente sinonimo di genocidio. perche’ perfino il genocidio e’, a suo modo, mirato e quindi parziale; cioe’, colpisce una parte della popolazione mondiale che appartiene a un particolare gruppo umano. Ebrei, curdi, armeni, cambogiani e centinaia di altri nei vari continenti sono esempi agghiaccianti, ma non totali. In ogni caso, sia la distruzione di massa che il genocidio hanno una proprieta’ in comune: I'irreversibilita’. Cio’ che e’ distrutto lo e’ per sempre: lo ha spiegato egregiamente Alan Cromer nel suo libro Uncommon sense, quando ha mostrato come la scienza greca sia sopravvissuta a stento ai colpi dell'autorita’ politica monocratica, laica o teocratica che fosse. Naturalmente l’irreversibilita’ riguarda soprattutto l'eventualita’ che la popolazione regredisca a condizioni generali di vita piu’ disagevoli e primitive; ma, in misura non minore, puo’ riguardare la scomparsa dei beni che l'umanita’ possiede e del loro stesso ricordo, fino a quel «bene immateriale» che va sotto il nome di conoscenza o know-how. La conoscenza e’ il punto di saldatura tra la popolazione e il suo livello di evoluzione culturale: e’ la popolazione stessa a essere portatrice di conoscenza e di cultura. La distruzione di massa puo’ avvenire percio’ proprio attraverso l'annientamento dell'idea stessa di cultura; il genocidio equivarrebbe invece, per esempio, alla soppressione della sola matematica o della storia. Un conflitto scatenato con missili intercontinentali non avrebbe risparmiato nulla e nessuno: tutta la Terra sarebbe diventata inabitabile, buia e radioattiva a causa delle immense quantita’ di polveri contaminate, sollevate ad alta quota, che avrebbero oscurato il Sole. L'inverno nucleare colpi’ dunque la pubblica opinione, i giornali ne parlarono, la televisione fabbrico’ immagini, la parola Apocalisse divenne rapidamente familiare e frequente, si scomodo’ Nostradamus e ogni tipo di profezia; gli scrittori e i registi di fantascienza si eccitarono e raccontarono la minaccia spargendo dosi robuste di paura. Qualcuno se ne ricordera’: la Terra del «dopo» era sempre descritta come un deserto pieno di pericoli, coperto di rifiuti radioattivi e popolato di orribili mutanti, esseri diversi da quelli che c'erano prima. Ed ecco che, per una analogia forse non azzardata, mi e’ venuto in mente che c'e’ un'altra possibilita’ di produrre la distruzione di una civilta’, che sinora non e’ stata molto praticata. Mi e’ venuto fatto di pensarla quando ho visto che la signora Moratti si era affrettata a togliere la P di Pubblica dal Mpi (Ministero della Pubblica Istruzione), trasformandolo in Miur con inclusione di U (Universita’) e R (Ricerca): sembrava un atto di pulizia ideologica come quelli che si fanno nei cambiamenti di regime: giu’ le insegne! Fu allora che mi accadde di capire, per banale che sia, che si puo’ benissimo mantenere in vita gli esseri umani che costituiscono una popolazione ma distruggere la loro tradizione culturale. Per questo, e’ sufficiente governare con «provvedimenti di distruzione di massa» di tutto cio’ che alla tradizione culturale e’ indispensabile. L'ambiente culturale, una volta eliminato ogni elemento che ne protegga la qualita’ collettiva, si contamina in fretta: il linguaggio si inaridisce e perde i suoi rami alti, aggredito dalle parole-erbacce dei messaggi pubblicitari. La verita’ non conta piu’ nulla rispetto alla bugia fantasiosa che fa vendere. I poeti, i pittori, i compositori classici, i matematici, i filosofi, non sono piu’ in catalogo, in commercio: non sono richiesti. Improvvisamente, si va verso l'inverno culturale: si elimina la scuola pubblica, si premia chi sa fare affari, si valutano i risultati con parametri aziendali, si ossequia il manager, si licenziano i’ professori passando per la precarizzazione, si vende il patrimonio artistico. Non si da’ piu’ un soldo alla cosmologia, alla filosofia del diritto, alla topologia astratta, allo studio della letteratura persiana; si finanziano lautamente i campionati di calcio, gli spettacoli televisivi, gli esperti di marketing. Le persone che contano hanno ville, yacht, servitori, potere, emittenti televisive e immunita’; gli altri, o sono utili a quelli che contano 0 sono poveri, percio’ colpevoli: chi e’ povero lo e’ perche’ e’ incapace e indisponibile (la mentalita’ dei governanti americani sembra gia’ a questo punto). Ecco, quando traspare il disegno di ridurre una popolazione in questo stato, e’ ormai evidente che chi la governa sta usando «provvedimenti di distruzione di massa della tradizione culturale». Il problema e’: come capire se si e’ gia’ raggiunto il punto di irreversibilita’, o no? In Italia, dopo i provvedimenti di indebolimento della scuola pubblica, anche le «prove di privatizzazione» degli enti pubblici di formazione e ricerca sono gia’ molte: il commissariamento del Cnr e’ un ottimo esempio di «privatizzazione surrettizia». Di fatto, il commissario si comporta come un padrone governativo che licenzia, chiude o accorpa secondo criteri suoi insindacabili che non e’ tenuto a discutere. La creazione di una universita’ voluta da un ministro che ne costituisce l'organico pescando tra i «suoi» funzionari e’ un bell'esempio: gia’ realizzato; Tremonti e’ un instancabile ideatore di siffatte istituzioni. Cosi’, il riconoscimento come «ente di ricerca» dell'universita’ privata San Pio V, per sbalorditivo che sia (che cosa vi si ricerchi, non e’ chiaro). E l'invenzione dell'Iit, Istituto Italiano di Tecnologia che, nato commissariato gia’ nella culla, piu’ che scimmiottare il Mit dara’ soldi agli «amichetti loro»? E l'invenzione del «Collegio Italiano» per fare ombra alle antiche Accademie? Eccetera. Questa volta, lo scontro riguarda il modo di concepire la vita. Per imporre un modo nuovo bisogna sradicare il modo vecchio: percio’, «distruzione di massa». Altri pur deprecabili modi erano piu’ circoscritti. L'attacco agli intellettuali c'e’ sempre stato, dappertutto: il McCartismo; le purghe in Urss; il processo Ippolito: ma, ecco, erano attacchi mirati. «assassini su commissione», con nome e cognome, ordinati dal potere politico ai danni di una o piu’ persone che davano fastidio ; di fronte ai condannati ci sono di solito i filo governativi, i delatori. Teller, Lyssenko; potrei facilmente fare nomi per l'Italia. Ma e’ un fenomeno piu’ piccolo, uno scontro di fazioni politicamente opposte, una estensione della lotta politica dura. Non e’ un tentativo di distruzione di massa. E pero’, il fenomeno denuncia la costante presenza di «traditori della tradizione», che si possono schierare con il potere persino quando il potere impiega provvedimenti di distruzione di massa. E quello che sta accadendo in Italia. Mi si dira’: ma l'Italia non e’ il mondo! Verissimo. Tuttavia, possiamo considerarci come il poligono di prova dove si fa il test dei provvedimenti di distruzione di massa: se avessero successo (secondo parametri aziendali, beninteso) si espanderebbero al mondo sviluppato, quindi al mondo intero, ricchi e poveri diverrebbero ugualmente ignoranti, avidi, disonesti. Scomparirebbe ogni opposizione, ogni resistenza: uno potrebbe essere insultato (ammesso che sia un insulto) con l'epiteto «comunista» perche’ tanto nessuno si ricorderebbe che cosa vuol dire. La storia non si studierebbe piu’: i traditori si auto qualificherebbero (come gia’ fanno) come scienziati piu’ importanti del mondo appoggiati dall'autorita’ della tv, i pregiudicati eccellenti nominerebbero i giudici adatti a giudicare chi non fa profitti, un portavoce del premier darebbe le notizie a reti riunite, il premier incarnerebbe ogni valore accettato e cosi’ via. Come si scongiura allora la distruzione? C'e’ una sola possibilita’ (ammesso che siamo in tempo): riconosciuto che le attivita’ culturali sono un bene dell'umanita’ e che il carattere attuale della cultura e’ intrinsecamente sovranazionale, la sola possibilita’ e’ quella di costituire una Onu della cultura che garantisca agli uomini di cultura la capacita’ e possibilita’ di autogoverno. Naturalmente tra le attivita’ culturali che sono un bene dell'umanita’ vi sono la creativita’ dell'artigiano, la perizia dei meccanico, la saggezza e la pazienza del contadino, le mille risorse - insomma - di quella grande parte di uomini che non lavorano per il profitto e l'attivita’ dei quali e’ alla base della crescita armoniosa di una civilta’ a misura d'uomo. Costituiamo un centro di riferimento sovranazionale di persone il cui interesse primario sia quello di promuovere e mantenere le attivita’ culturali e chiediamo, come unica prova di internazionalismo e impegno sociale (ma che sia gia’ troppo per gente come quella al governo, oggi?) che, a fronte della qualita’ dell'ambiente culturale pubblico di cui ci occuperemmo, ci venga corrisposta una quota fissa - in verita’ assai modesta - dei proventi realizzati nel mondo complementare. Non saremmo «mantenuti», saremmo pagati per un servizio che rendiamo all'umanita’ intera. Qualche percento basterebbe, anche per prevedere dei canali di informazione per offrire cio’ che ci compete ed attirare giovani nel nostro giro. Ci sarebbero cosi’ un mondo degli affari e un mondo degli uomini di cultura, complementari e possibilmente in buoni rapporti tra loro. Propongo, quindi, di studiare la possibilita’ di un mondo bipolare inedito: un mondo della cultura e un mondo degli affari, «quasi» completamente separati, che si autogovernano e si autovalutano. Naturalmente, sono completamente permeabili: ci si puo’ spostare dall'uno all'altro, accettando le regole di ciascuno. Quello che non si puo’ fare e’ imporre al mondo A di essere gestito con le regole del mondo B e viceversa. E’ terribilmente difficile. Ma non c'e’ scelta: o cosi’, o la sorte dell'umanita’ e’ segnata: non resteranno che soldi, bugie e desolazione. ______________________________________________ Corriere della Sera 5 nov. ’03 UNIVERSITA’: LE BUONE IDEE DI LETIZIA MORATTI Mieli Paolo In questi giorni si fa un gran parlare di «Centri di eccellenza» e di «Grandi scuole», che dovrebbero costituire, nel prossimo futuro, la punta di diamante del nostro sistema universitario, cui affidare l' alta e l' altissima formazione delle classi dirigenti del Paese. Ho notato pero’ che si stanno formando in proposito opinioni contrastanti, e che non mancano polemiche e voci critiche. Eppure questa mi appare come la la strada da percorrere, se vogliamo che anche l' Italia si doti di una rete di scuole superiori, simile a quelle che gia’ esistono in Francia, in Germania, o negli Stati Uniti... Andrea Giardina Roma Caro Giardina, i problemi che lei, illustre antichista all' universita’ «La Sapienza», solleva sono di grande rilievo. A me sembra che la riforma dell' universita’ che si e’ appena cominciato ad applicare abbia bisogno di «correttivi» e di completamenti. La decisione di non bloccare quel provvedimento, adottata dall' attuale governo, si sta rivelando sempre di piu’ una scelta saggia. Una soluzione diversa avrebbe gettato l' universita’ nel caos, come giustamente ha subito sostenuto la Crui (l' organismo che raccoglie i rettori di tutte le universita’ italiane). Si tratta adesso di migliorare e di completare. E il passo piu’ importante in questa direzione riguarda proprio, a mio avviso, la nascita di un sistema di «centri di eccellenza» o di scuole di alta formazione, di luoghi cioe’ dove si possa ricostituire in tutta la sua pienezza quel rapporto tra didattica e ricerca, tra formazione e innovazione, che e’ l' anima di ogni sistema universitario, e che senza dubbio il nuovo impianto didattico rischia di appannare, soprattutto nei percorsi di laurea triennale. Il criterio fondamentale cui ispirarsi mi sembra debba essere quello del rispetto delle nostre peculiarita’: le nuove istituzioni dovrebbero esaltare il meglio di quanto gia’ esiste nelle nostre universita’, con in piu’ il valore aggiunto di nuove connessioni e piu’ efficaci integrazioni. Dovrebbero esprimere insomma l' auto-organizzazione della parte migliore della nostra accademia, piuttosto che essere il prodotto di scelte solitarie, anche apprezzabili, ma comunque verticistiche. Si puo’ fare? Penso di si’. Come lei certamente sa, la costituzione dell' Istituto italiano di scienze umane, voluto e diretto da Umberto Eco e Aldo Schiavone (e nel quale sono gia’ impegnati decine di prestigiosi studiosi) si sta sviluppando proprio secondo questo principio. Ed e’ un grande merito e una buona idea del ministro Letizia Moratti l' aver sin dall' inizio incoraggiato, appoggiato e orientato con intelligenza e sensibilita’ questa iniziativa, che pure aveva preso l' avvio nell' ultimo anno del precedente governo (ulivista). L' Istituto nasce dall' accordo fra sette universita’ (Firenze, Bologna, Pavia, Siena, e tre atenei napoletani: Federico II, L' Orientale e il Suor Orsola Benincasa), cui auspicherei se ne aggiungessero altre, e ha gia’ importanti collegamenti con istituzioni quali l' Institute for advanced study o l' Ecole des hautes etudes en aciences sociales. Organizzera’ ricerche, avra’ corsi di dottorato residenziali e innovativi programmi di postdottorato. Potra’ attirare - e lo sta gia’ facendo - risorse private. E soprattutto e’, per ora, la dimostrazione che le buone idee possono anche non naufragare in questo paese, e che c' e’ ancora spazio per iniziative che riescono a sottrarsi alla gabbia micidiale della lottizzazione politica, e dello spirito di fazione. Di questi tempi, caro Giardina, non e’ poco. E, per quel che puo’ valere, mi impegno a dare una mano. ______________________________________________________ Il Giornale 03 nov. ’03 NAZZARI: ECCO LA RICERCA DI FRONTIERA «Concentriamo gli sforzi e gli investimenti, certezze dallo Stato» LUIGI CUCCHI «La ricerca post-genomica, le biotecnologie, le nanotecnologie, rappresentano la punta avanzata dell'innovazione dove l'Italia potrebbe ancora svolgere un ruolo determinante. Occorre pero concentrare gli sforzi e gli investimenti. Le imprese sono pronte, mentre lo Stato sembrerebbe non voler cogliere queste opportunita’». Vi e’ amarezza nelle parole di Federico Nazzari, presidente di Farmindustria, l'associazione che raccoglie tutte le industrie farmaceutiche presenti in ltalia. Le occasioni offerte da queste ricerche di frontiera sono in realta’ vitali per un Paese come il nostro che non dispone di ingenti capitali da poter investire, ma che ha parecchia creativita’. Idee, talenti e capitali modesti all'inizio potrebbero unirsi in Italia come e’ avvenuto nei poli della California. Gli Stati Uniti che hanno visto nascere, gia’ dagli anni '80, l'industria biotecnologica grazie ad una forte normativa di tutela brevettuale con l'adozione di incentivi soprattutto per le malattie rare, sono ora leader mondiali del settore, seguiti da altri Pae’si che hanno adottato quadri normativi analoghi. In ritardo, invece, l'Europa. «Tra il 1992 e il 2002 - ricorda Nazzari - gli investimenti in ricerca negli Usa sono aumentati di piu’ di cinque volte, mentre in Europa sono cresciuti solo di 2,5 volte. Tra i '91 e il 2001 il mercato farmaceutico Usa ha fatto un balzo in avanti dell'11,6% all'anno mentre quello europeo e’ stato stimato intorno al 7,4%. Il 62% delle vendite di nuovi farmaci commercializzati dal 1997 avviene negli Stati Uniti, solo il 21% in Europa». «Ma anche l'Italia potrebbe salire sul treno dell'innovazione - precisa ancora Nazzari - in alcuni settori dove siamo rappresentati da un livello di eccellenza della ricerca pubblica. L necessario pianificare lo sviluppo industriale del comparto con regole certe, che tutelino la protezione brevettuale, che favoriscano la collaborazione tra centri pubblici e privati e che consentano una pianificazione anche in funzione delle regole di mercato. Cosi’ come e’ necessaria una politica dei prezzi non piu’ finalizzata al risparmio pubblico che ha portato i prezzi dei farmaci rimborsabili in Italia al di sotto della media europea di circa il 15°l», creando di fatto una mancanza di risorse per l'autofinanziamento alla ricerca». Altri Paesi, invece, come il Giappone, hanno puntato sull'industria farmaceutica ne hanno programmato a tavolino la sua nascita e il suo sviluppo ed ora realizzano una parte importante dei farmaci piu’ innovativi che ogni anno vengono messi a punto. Maggiori investimenti in ricerca, incrementi di occupazione e in generale lo sviluppo del settore sono quindi possibili e dipendono in gran parte da come le istituzioni considerano le aziende farmaceutiche. «Nel nostro Paese - afferma il presidente ~ degli industriali del farmaco - si deve superare la politica dell'emergenza che ha prodotto sei provvedimenti negli ultimi due anni , che hanno colpito direttamente o indirettamente il livello dei prezzi dei farmaci rimborsabili per 1,6 miliardi di euro l'anno. Farmindustria e’ pronta a dialogare con il governo e le regioni per raggiungere un accordo che consenta all'industria di programmare il proprio sviluppo nei prossimi anni. E necessario volare alto - osserva ancora Nazzari - considerando l'industria farmaceutica non solo come un fattore di costo ma un settore che fornisce occupazione, fa innovazione ed esporta». Nel 2002 la spesa per la ricerca farmaceutica in Italia ha raggiunto quota 914 milioni di euro, qualcosa piu’ che nel 2001 (810 milioni di euro), ma sempre poco rispetto alla Francia (3351 milioni di euro), alla Germania (3381), al Regno Unito (5145), al Giappone (7499), agli Stati Uniti (26.384). E gli occupati sono circa 84mila di cui 5.000 ricercatori. Un mercato che nonostante tutto fa sentire la sua presenza in Europa e nel mondo ma che rischia di diventare di puro consumo se, come afferma Nazzari, si continuera’ con la politica dei sacrifici. «La Finanziaria (maxi-decreto) cosi’ come tutte le precedenti - puntualizza - comporta oneri a carico delle industrie senza prevedere alcun vantaggio. Le imprese sono chiamate a rimborsare l'intera quota del 60% addebitata ai privati dell'eventuale sfondamento del tetto di spesa farmaceutica negli anni futuri e si introduce una tassa del 5% sulle attivita’ promozionali, una parte delle quali (l'80°lo delle spese per convegni e congressi) e’ gia’ fiscalmente indeducibile. Una decisione che incide pesantemente sui bilanci gia’ fortemente deteriorati delle imprese ma che sarebbe meno grave se facesse parte di un accordo di programma tra Governo, Regioni e industrie per uscire dall'emergenza». ______________________________________________________ La Repubblica 02 nov. ’03 RICERCA,FONDI DA LOTTO E ALCOLICI Finanziaria, il Tesoro indica due strumenti per far cassa. Fiducia sul decretone alla Camera. Pensioni, l'Udc frena Tagli alla cassa integrazione, scoppia il caso. Maroni smentisce ROMA - Whisky e gioco per aiutare la ricerca scientifica. Con i fondi provenienti dal Lotto e con un aumento delle accise sui superalcolici il governo si propone infatti di trovare i milioni di euro necessari per sostenere l'attivita’ dei laboratori. E’ questa una delle mosse annunciate ieri dal sottosegretario all'Economia, Giuseppe Vegas, in vista della discussione sulla Finanziaria. Vegas ha invece escluso di ricorrere ad altri provvedimenti, come l'aumento del prezzo delle sigarette o l'introduzione di una tassa sui voli aerei. «La manovra - ha aggiunto - viene esaminata in commissione dove il clima e’ molto tranquillo e costruttivo. Dunque non prevedo che sara’ necessario porre la fiducia sul provvedimento». La fiducia verra’ invece posta, quasi sicuramente, sul maxi-decreto allegato alla manovra del 2004. Una scelta che il governo aveva gia’ compiuto nei giorni scorsi al Senato (suscitando l'irritazione del presidente Pera) e che ora si accinge a ripetere alla Camera: «Dipendera’ dal clima che troveremo a Monteci’torio», ha detto ieri il sottosegretario M aria Teresa Armosino. Ma negli ambienti del ministero si sostiene che e’ meglio «definire un'entita’ certa delle entrate approvando rapidamente il decreto» per poi «avere pi u’ margini di discussione con la Finanziaria». In via XX Settembre circola una metafora irriverente: «Meglio acquistare subito, con i risparmi garantiti dal decreto, il becchime da distribuire in Parlamento quando si discuteranno le spese da effettuare con la Finanziaria». Proprio sul decreto che il gover-no vorrebbe approvare rapidamente con il voto di fiducia e’ scoppiata ieri una dura polemica con opposizioni e sindacati. I senatori Tommaso Sodano (Prc) e Natale Riparnonti (Verdi) hanno sollevato il problema dell'articolo 44 del provvedimento che fissa l'erogazione della cassa integrazione «in un massimo di 12 mensilita’». Nella relazione tecnica allegata al decreto si sostiene che in questo modo si ottengono «risparmi per 900 milioni di euro» e che l'interpretazione vale «per tutta la cassa erogata dal 1993 al 2003». Gli esponenti dell'opposizione sono insorti: «In questo modo si escludono gli effetti delle tredicesime e si tagliano di 700-800 euro all'anno i redditi gia’ magri dei cassintegrati. Si rischia inoltre di chiedere la restituzione di alcune mensilita’ percepite negli ultimi dieci anni». In serata il ministero del Welfare ha precisato che la norma prevista dal decreto «non cambia in nulla» i criteri di erogazione sempre seguiti dall'Inps. Ma se nessuno dovra’ restituire nulla e se la cassa integrazione verra’ erogata con gli stessi criteri di oggi, in quale modo si risparmieranno i 900 milioni di euro? «Non si tratta di un vero e proprio risparmio - ha risposto il sottosegretario Maurizio Sacconi - ma della cifra che l'Inps dovrebbe sborsare se perdesse alcune cause in corso con lavoratori che chiedono criteri meno restrittivi nel calcolo della cassa. L'articolo del decreto e’ solo una norma interpretativa. Nessuno percepira’ meno di oggi e nessuno dovra’ restituire alcunche’». Sacconi si e’ difeso anche da una seconda accusa: in una lettera Cgil, Cisl e Uil denunciano il governo «per aver stornato 250 milioni di euro dal fondo per gli ammortizzatori sociali». «Quel che conta - ha risposto il sottosegretario - e’ che ci siano incassa i 780milioni di euro necessari a garantire le indennita’ di disoccupazione». Nello scontro governo-sindacati l'unica notizia in controtendenza viene dalla Commissione lavoro del Senato. Il presidente Tommaso Zanoletti (Udc) invita a non avere fretta: «Se puo’ servire a trovare un provvedimento condiviso dalle parti sociali, meglio rallentare l'iter della riforma delle pensioni». ______________________________________________ L’Unione Sarda 6 nov. ’03 MIUR: SOLDI ANCHE AGLI ATENEI SARDI La graduatoria Anche gli atenei di Cagliari e Sassari inclusi nella classifica nazionale: al primo posto si piazza La Sapienza di Roma seguita da Bologna, Firenze e Napoli Tre milioni e duecentomila euro in arrivo per la ricerca nelle universita’ di Cagliari e Sassari. Anche gli atenei sardi riceveranno a breve i fondi stanziati dal ministero dell’Istruzione, Ricerca e dell’Universita’ (Miur). Il 23 ottobre scorso, il ministro Letizia Moratti ha dato il via libera al cofinanziamento per il 2003 dei Progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale (Prin). L’importo che arrivera’ nelle casse dei responsabili dei singoli progetti ammessi - 945 su 2516 domande arrivate al ministero - sara’ di circa 137 milioni di euro e coinvolgera’ quasi tutti gli atenei italiani. La Sardegna avra’ la possibilita’ di spendere, per l’esattezza, 3 milioni 199mila euro ripartiti tra l’universita’ di Cagliari (1 milione 422mila euro) e quella di Sassari (1 milione 777mila euro). In particolare, l’ateneo del Sud Sardegna ha avuto il via libera per il finanziamento di 13 progetti di ricerca, quello del Nord per 12. Ogni progetto sara’ coordinato da un responsabile scientifico, cioe’ un docente universitario, che si potra’ avvalere di ricercatori e collaboratori. Le universita’ isolane, nella classifica delle proposte approvate dal ministero, occupano una posizione di mezzo: in testa si trovano La Sapienza di Roma (71 progetti), Bologna (58), Firenze e Napoli “Federico II” (57 ciascuna), Padova (47), Pisa (45), Milano Statale (44), Pavia (31), Torino e Genova (30 ciascuna), Roma “Tor Vergata” e Bari (27 ciascuna). In coda gli atenei di Bergamo (2 progetti), Macerata (2), Catanzaro (2), Cassino (2) e le universita’ di Foggia e del Molise, con un solo progetto ammesso ciascuna. Scorrendo poi tra le singole proposte delle universita’ di Cagliari e Sassari accettate dalla commissione scientifica del dicastero, si scopre che la maggior parte sono di carattere scientifico e riguardano i settori dell’ingegneria, delle scienze sociologiche, della biologia, della farmacologia. Pochissime invece toccano ambiti disciplinari strettamente umanistici, da quello letterario a quello storico, da quello filosofico al pedagogico. I docenti sardi, i cui progetti sono stati approvati, riceveranno «in tempi brevissimi», secondo il ministero, sul loro sito riservato la conferma che i fondi sono stati stanziati. Su 13 progetti di ricerca sovvenzionati a Cagliari, soltanto uno riguarda la tragedia greca (finanziamento per 46 mila euro, responsabile scientifico Patrizia Mureddu, della facolta’ di Lettere), gli altri vanno dal confronto delle culture del Mediterraneo (45 mila euro, responsabile Emilio Bottazzi, facolta’ di Scienze politiche) allo studio della vulnerabilita’ degli edifici nei centri storici (246 mila euro, coordinatore Gaetano Ranieri, facolta’ di Ingegneria). Cinque tra i tredici totali appartengono all’area farmacologica, tra cui uno sul ruolo degli steroidi gonadici nello sviluppo del sistema nervoso centrale (68 mila euro, responsabile Alessandra Concas, facolta’ di Farmacia), uno sulla neurobiologia dei disturbi della motivazione (cofinanziato per 200 mila euro e coordinato da Gaetano di Chiara, facolta’ di Farmacia) e ancora uno presentato da Gian Luigi Gessa sulle conseguenze dell’assunzione di cannabinoidi nel periodo prenatale e preburale, che potra’ contare su 185 mila euro. Anche Sassari non si discosta dal trend dell’altro ateneo sardo, che poi ricalca quello nazionale: ovvero, i fondi andranno a supportare ricerche in campo scientifico. Oltre ai 945 progetti finanziati a livello nazionale la commissione ne ha valutato positivamente altri 467, che potranno essere riproposti per il finanziamento col bando 2004. Non potranno, invece, presentare domanda per lo stesso bando i responsabili di ricerca che hanno ottenuto il finanziamento per quest’anno. L’elenco completo dei progetti approvati nelle varie universita’ italiane e’ disponibile sul sito web del ministero dell’Istruzione (www.miur.it). Daniele Casale ______________________________________________________ L’Unita’ 04 nov. ’03 PROF A CONTRATTO (DA FAME) 200 EURO PER CORSI ED ESAMI I tagli Alla Sapienza Dovrebbero coadiuvare ordinari e associati, invece tappano i buchi creati dal blocco delle assunzioni Si sono autodefiniti "professori fantasma" Si tratta dei cosiddetti "professori a contratto-v docenti - cioe’ - che vengono incaricati dalle universita’ di tenere dei corsi e che per questo sono pagati. Fino a qui, tutto regolare, pacifico. II problema si pone pero’ quando si va a vedere quale sia effettivamente la situazione II "caso" e’ scoppiato pochi giorni fa nella Facolta’ di Scienze della Comunicazione de "La Sapienza" di Roma. Un caso fatto di promesse non mantenute, compensi decurtati a lavoro svolto, proposte economiche per i prossimi corsi inadeguate, anzi irrisorie Una storia di ordinaria amministrazione. Surreale eppure possibile, addirittura istituzionalizzata. Basta pensare che, una Delibera del Senato Accademico della maggiore universita’ romana lo scorso giugno ha stabilito che un professore a contratto puo’ essere pagato anche solo 200 Euro lorde a corso, una cifra evidente mente simbolica, fissata per ovviare a fatto che un contratto come questo, per legge, non puo’ essere a costo zero. Chi applica questo tipo di trattamento economico si difende dicendo che insegna re alla "' Sapienza" e’ un fiore all'occhiello sul curriculum. Oppure ricordando che molti dei titolari di questi corsi hanno un altro lavoro. II regolamento del 1998, infatti, stabilisce che le universita’ e gli istituti di istruzione universitaria statali possono stipulare contratti «con studiosi ed esperti di comprovata qualificazione professionale e scientifica, non dipendenti di universita’ e anche di cittadinanza straniera». Dunque, si tratterebbe sostanziamente di professionisti esterni all'universita’, che prestano a questa la loro com petenza. A volte. Ma spesso, la situazic ne e’ molto diversa- Con questi docenti i scadenza, che tengono corsi affollatissi mi e spesso fondamentali, fanno ricevi mento, esami e lauree, le facolta’ tappa no i buchi causati dal blocco delle assun zioni stabilito con la Finanziaria del 200: e sostanzialmente mantenuto in quelli del 2003 Un blocco che crea anche un< serie di altre storture, sulla pelle dei pii deboli I professori interni (ordinari, asso ciati o ricercatori), se assumono sup plenze o tengono corsi per affidamento sono spesso co stretti a rinuncia ______________________________________________ Corriere della Sera 8 nov. ’03 ASSUNZIONI BLOCCATE, 1.500 RICERCATORI PRONTI A FUGGIRE Hanno vinto il concorso ma non ci sono posti nelle Universita’: «Abbiamo gia’ in tasca i biglietti per l’estero» ROMA - Li chiamano cervelli ma spesso vengono stipendiati quanto una colf: 6 euro all’ora. Hanno vinto un regolare concorso, alcuni da oltre due anni, eppure sono sempre rimasti disoccupati. E con la finanziaria 2004 che conferma il blocco delle assunzioni nelle universita’ almeno 1.500 ricercatori italiani sono pronti a trasferirsi all’estero. Molti peraltro gia’ allettati da offerte vantaggiose. Per prestigio e per busta paga. Si sono riuniti ieri, alla facolta’ di Ingegneria della Sapienza, sotto le insegne del Coordinamento nazionale dei ricercatori senza presa di servizio (Conri-Sps). Con passaporti e biglietti gia’ in tasca. Per contestare la politica del governo che «precarizza l’universita’ e la ricerca bloccando il ricambio generazionale». Riduzione di personale peraltro e’ prevista anche per il biennio 2005-2006. I millecinquecento cervelli quasi in fuga rappresentano poco meno del 10 per cento del totale dei ricercatori italiani. Rilevano i loro rappresentanti che la prossima manovra economica «da una parte introduce incentivi ambigui per il rientro dei cervelli, dall’altra ne impedisce l’assunzione di altri 1.700». Lo stop deciso con la finanziaria inoltre congela fondi che la maggior parte degli atenei hanno gia’ a disposizione. Alla protesta ha replicato cosi’ il ministro per l’Istruzione e la Ricerca, Letizia Moratti: «Contro il blocco delle assunzioni ho gia’ presentato un emendamento, che mi auguro sia accolto dal governo. E comunque abbiamo previsto e stanziato oltre 137 milioni di euro per 495 progetti di ricerca che daranno lavoro a ventimila ricercatori». I fondi per l’universita’, aggiunge, sono stati aumentati di 200 milioni di euro. Ma se la ricerca italiana «resta di alto profilo», come sottolineano gli stessi 1.500 «disoccupati organizzati», e’ proporzionalmente di scarso rendimento economico. I dati in un loro dossier. Lo stipendio di ingresso di un ricercatore italiano di ruolo e’ di circa 1.035 euro al mese, in alcuni casi appunto il compenso orario scende fino ai 6 euro per ora. Il contratto poi prevede (unica categoria) tre anni di prova. Nell’Unione europea un lettore guadagna mediamente tra i 2.000 e i 3.000 euro al mese. Un ricercatore a contratto ne prende altrettanti se lavora nei confini Ue, anche 4.000 se trova impiego negli Stati Uniti. «C’e’ una politica scellerata verso l’universita’ e la ricerca che dovrebbero essere considerati i motori di crescita del Paese», ha dichiarato il pro-rettore della Sapienza, Gianni Orlandi, a sostegno dei 1.500 potenziali emigranti. Ai quali sono arrivati messaggi di solidarieta’ anche da piu’ celebri cervelli come Franco Pacini, Umberto Eco, Lucio Bianco e Margherita Hack che rilancia la loro protesta: «Spero che i rettori decidano davvero di chiudere le universita’ per dare un segnale forte». ______________________________________________ Il Messaggero 8 nov. ’03 LA MORATTI AI RICERCATORI: FAREMO LE ASSUNZIONI di ROMEO BASSOLI LA LEGGE finanziaria blocca per il secondo anno consecutivo le assunzioni dei giovani ricercatori? E loro, in una manifestazione a Roma, brandendo il passaporto minacciano di andarsene a lavorare all'estero. Il ministro dell'Istruzione Letizia Moratti replica in serata da Catania dove si svolge la Conferenza interministeriale sull'istruzione euromediterranea: «Abbiamo previsto e stanziato oltre 137 milioni di euro su 495 progetti di ricerca nell'ambito delle universita’, che daranno lavoro a 20 mila ricercatori. In piu’ il mio ministero ha presentato un emendamento alla finanziaria, che mi auguro il governo, che lo dovra’ valutare nella sua collegialita’, accolga per rimuovere il blocco delle assunzioni per i ricercatori». Quest'ultimo e’ il vero nodo del problema. Stanchi di una situazione paradossale, che li vede lavorare all'Universita’ tenendo corsi a 6 euro all'ora (meno di una baby sitter), i rappresentanti di 1700 ricercatori vincitori di concorso ma in attesa di assunzione hanno espresso ieri a Roma tutta la loro rabbia contro la scelta del governo di bloccare le assunzioni per il 2004. «Se non ci saranno novita’ nei prossimi giorni», ha detto uno dei coordinatori del movimento, Carlo Cellamare ingegnere della Sapienza, «molti di noi finiranno per accettare le proposte di andare a lavorare all'estero, dove le nostre conoscenze e la nostra professionalita’ sembrano essere molto piu’ apprezzate che in Italia. Ci offrono stipendi doppi. E' paradossale che il governo vari provvedimenti per far tornare ricercatori nel nostro paese e non consenta a quelli italiani di avere il lavoro a cui hanno diritto». A scatenare la protesta dei ricercatori e’ una situazione che per le Universita’ ormai dura da due anni e per gli enti pubblici di ricerca da tre. «Per evitare che la spesa pubblica lieviti troppo e superi i paletti imposti dal patto di stabilita’, il governo ha deciso di bloccare ancora le assunzioni, congelando i fondi che in realta’ enti e Universita’ avevano gia’ stanziato», spiega Angelo Leopardi, ingegnere ambientale a Cassino. Una situazione questa che pesa in modo duplice sugli atenei costretti a sopportare spese aggiuntive per pagare i corsi a contratto. «Corsi che sono pagati molto poco», dice la ricercatrice della Sapienza, Roberta Sestini. «Per mettere insieme uno stipendio decente bisogna seguirne almeno tre all'anno, con una riduzione del tempo da destinare alla nostra attivita’ primaria, cioe’ la ricerca». ______________________________________________ Corriere della Sera 4 nov. ’03 L' UNIVERSITA’ ROMANA? MEGLIO QUELLA DI GUIABA’ La provocazione De Masi Domenico LA PROVOCAZIONE La grande proletaria si e’ mossa. L' Universita’ - un milione e seicentomila giovani, 50.000 docenti - ha riaperto i battenti per l' inizio del nuovo anno accademico. A Roma la popolazione universitaria - quasi 200.000 studenti, oltre 15.000 docenti, cui vanno aggiunti almeno altri 10.000 tra funzionari e impiegati - e’ una citta’ nella citta’. Interi quartieri, da San Lorenzo al Salario, dal Testaccio all' Aurelio, cambiano vita con i fuorisede che arrivano da tutto il Centro-Sud e con i giovani romani che convergono nelle varie sedi dislocate qua e la’. La vita culturale e la stessa economia ricevono una sferzata grazie all' avvio delle lezioni. Ma Roma puo’ essere orgogliosa della sua Universita’? Durante i due secoli della societa’ industriale, tra la meta’ del Settecento e la meta’ del Novecento, la forza di una citta’ si misurava in base al numero delle fabbriche, in base alla quantita’ degli addetti e alla qualita’ dei prodotti del settore industriale. CONTINUA A PAGINA 51 L' Universita’ romana? Meglio quella di Guiaba’ SEGUE DALLA PRIMA Duecentomila studenti, 15.000 docenti, 10.000 funzionari Fondi irrisori e scarsa attenzione Oggi le fabbriche tendono a spostarsi in paesi meno ricchi, come la Romania o il Brasile, e gli operai sono sostituiti sempre piu’ spesso dai robot. I paesi del Primo Mondo non vanno piu’ orgogliosi delle loro ciminiere, le fabbriche urbane vengono trasformate in auditorium, in supermercati, in scuole, in musei. Cio’ che rende moderno e ricco un paese non e’ piu’ la produzione di beni materiali, dalle automobili ai frigoriferi, ma e’ la produzione di beni immateriali: servizi, informazioni, simboli, valori, estetica. Per produrre questi beni intangibili ma imprescindibili, occorre creativita’ e professionalita’. La prima dipende in gran parte dalla fortuna che viene dal cielo; la seconda dipende esclusivamente dall' impegno, che dipende dagli uomini. Non si producono brevetti e sistemi di comunicazione, arte e farmaci, ricerche e idee senza scienziati, artisti, professionisti ed esperti. Ma non si dispone di scienziati, artisti, esperti, senza scuole, laboratori, biblioteche, professori, tecnici con cui prepararli. Senza Universita’. Oggi l' America mantiene la sua egemonia sul mondo intero non tanto perche’ ha l' esercito piu’ potente e l' economia piu’ forte, quanto piuttosto perche’, dietro quell' esercito e quell' economia, ci sono Stanford e Harvard, il MIT e la Columbia University: le universita’ piu’ prestigiose del mondo, capaci di attrarre i migliori cervelli da tutto il pianeta. Mai come oggi, lo stato dell' Universita’ rappresenta il migliore indicatore dello stato di un paese o di una regione. Qual e’, dunque, lo stato dell' Universita’ romana? Dieci mesi fa sono stato eletto preside della Facolta’ di Scienze della Comunicazione e ho sentito il dovere di fare un giro in molte facolta’ consorelle, sia italiane che straniere. Posso testimoniare che persino a Guiaba’, nel Mato Grosso, vi sono strutture universitarie di gran lunga migliori delle nostre. E Scienze della Comunicazione e’ solo la punta emersa dell' iceberg universitario romano, interamente disastrato. Come mai una citta’ come Roma, capitale della politica, dell' informazione, della diplomazia, dell' esercito, dell' arte, ha una universita’ ridotta in condizioni cosi’ inadeguate al suo sviluppo postindustriale? Una causa puo’ essere rintracciata nella forte attrazione che la citta’ esercita su tutto il Centro-Sud, per cui un numero esorbitante di giovani preferisce studiare nella capitale anziche’ nella propria zona di origine. Un' altra causa puo’ essere identificata nel nome prestigioso di molti professori che insegnano a Roma e che, con la loro fama, attraggono allievi anche da altre regioni. In entrambi questi casi, la crisi nascerebbe dalla lentezza con cui le strutture universitarie si adeguano ai loro utenti e il tracollo della nostra Universita’ sarebbe causato proprio dai suoi punti di eccellenza. La seconda causa dipende invece dalla situazione scolastica complessiva per cui tutte le Universita’ italiane, chi piu’ chi meno, fruiscono di fondi irrisori rispetto alle Universita’ straniere perche’ il Paese ottusamente sottovaluta l' importanza della formazione delle future generazioni. Quando dico «Paese» non intendo solo i Governanti, che nel nostro caso riducono ulteriormente il finanziamento gia’ irrisorio della nostra Universita’: intendo anche i giovani destinatari di una formazione cosi’ anchilosata, e intendo le loro famiglie, che si limitano a pagare le tasse scolastiche ma non si battono per una adeguata formazione dei loro figli. Domenico De Masi ______________________________________________ Corriere della Sera 2 nov. ’03 SCIENZE POLITICHE: IL DUCE DELUSO DAI SUOI LAUREATI OBIETTIVI Doveva essere il «seminario» per gli alti funzionari Scienze politiche, la facolta’ nata nel fascismo, non mantenne le promesse Di Nucci Loreto Nell' aprile del 1942, svolgendo a Firenze la relazione d' apertura di un convegno intitolato «Funzione e struttura delle facolta’ di Scienze politiche», Camillo Pellizzi, presidente dell' Istituto nazionale di cultura fascista, nonche’ ordinario di Storia e dottrina del fascismo a Messina, aveva detto chiaro e tondo che il fascismo non era stato capace di formare una nuova classe dirigente. E aveva addossato la colpa di questo fallimento anche alle facolta’ di Scienze politiche. Per quale ragione? Perche’ le facolta’ di Scienze politiche venivano trascinate sul banco degli imputati? Spettava, forse, ad esse il compito di educare la classe dirigente del Paese? Nell' Italia fascista la responsabilita’ di plasmare la classe dirigente ricadeva soprattutto sul partito, che doveva fascistizzare le masse e, in pari tempo, selezionare i quadri che avrebbero dovuto continuare a dirigere la rivoluzione. E’ altrettanto vero, pero’, che a forgiare quella che veniva chiamata «l' aristocrazia del comando» non doveva essere soltanto il Pnf, ma anche, come dimostra Emilio Gentile in questo pregevole volume curato da Fulco Lanchester, le facolta’ di Scienze politiche; facolta’ di cui il regime assecondo’ o promosse direttamente la creazione. Il primo passo in tal senso fu rappresentato dalla decisione del governo fascista di trasformare, nel settembre del 1925, la scuola romana di Scienze politiche in facolta’. Alla fine di quello stesso anno veniva nominato preside Alberto De Stefani, che avvio’ la fascistizzazione della facolta’ e ricopri’ la carica ininterrottamente fino al 1943. Contestualmente, Mussolini decise che l' Universita’ di Perugia doveva essere «l' Universita’ fascista» e incarico’ Sergio Panunzio, che dal 1926 era divenuto rettore di quell' ateneo, di progettare una «Scuola di studi fascisti». Incomincio’ cosi’ l' iter che avrebbe portato il Consiglio dei ministri a deliberare, nell' agosto del 1927, l' istituzione della Facolta’ fascista di Scienze politiche di Perugia. La facolta’, secondo le parole di Panunzio, doveva essere il «seminario del regime» e doveva sfornare «operai dello Stato». Panunzio era convinto che le facolta’ di Scienze politiche dovessero essere scuole di formazione della classe dirigente e, oltre a cio’, dovessero rappresentare, come scrive Emilio Gentile, i centri propulsori della «politicizzazione integrale della scuola e della cultura». Per questa ragione, fece di tutto per potenziarle e valorizzarle, ma certo il suo impegno non basto’ per mettere le facolta’ di Scienze politiche al riparo dalle critiche. Tali che, ad esempio, agli inizi del 1932 il bollettino dell' Associazione fascista della scuola, «La Scuola Fascista», poteva spingersi fino al punto di proporre in un articolo di abolirle. E del resto, che si nutrissero molti dubbi sulla loro capacita’ di funzionare davvero come «vivaio della nuova classe dirigente», lo prova il fatto che il Pnf decise di istituire, nel 1939, un proprio Centro di preparazione politica per addestrare i gerarchi. D' altra parte, per capire quanto poco i laureati in Scienze politiche avessero contribuito a irrobustire le gerarchie del regime, basta qualche numero. Fra i membri del direttorio nazionale del Pnf, in carica dal 1922 fino al crollo del regime, non vi era nessuno con la sola laurea in Scienze politiche. Nello stesso periodo, tra i segretari federali, erano solo in cinque ad avere la laurea in Scienze politiche. E nella Camera dei fasci e delle corporazioni, infine, i laureati in Scienze politiche furono in tutto, tra il 1939 e il 1943, 14 pari al 2,4%. Loreto Di Nucci Il libro: «Passato e presente delle Facolta’ di Scienze politiche», a cura di Fulco Lanchester, Giuffre’ Editore, pagine 318, euro 24 ______________________________________________________ La Repubblica 03 nov. ’03 NASCE IN SARDEGNA L'INTERNET-PHONE DI DOMANI La Abbeynet, operando in stretto coordinamento con l'universita’ di Cagliari, sperimenta le forme piu’ avanzate di comunicazione vocale e multimediale via web. Gia’ in attivita’ servizi per l'Inps, le banche, le aziende: ora con la Croce Rossa la prova cruciale EUGENIO OCCORSIO Cagliari Non c'e’ solo Tiscali nell'universo tecnologico in cui si sta trasformando la Sardegna. Un altro nome si sta imponendo rapidamente: quello di Abbeynet, un'azienda per lo sviluppo di tecnologie e piattaforme di comunicazione integrata nata a Cagliari nella primavera del 2000. La societa’ studia e realizza tutte le possibili soluzioni che valorizzino i protocolli di telefonia via Internet, portata a livello di comunicazione multimediale. «Fra i progetti che abbiamo realizzato - spiega l'amministratore delegato Gianluca Dettori - di particolare rilievo e’ quello che riguarda l’Inps, diventato operativo poco piu’ di un anno fa in continuo sviluppo». In pratica, Abbeynet ha fornito all'ente previdenziale una piattaforma che consente di inserire servizi evoluti sul web. Ora sul portale Inps si puo’ non solo calcolare direttamente la propria pensione, ma c'e’ una sezione per l'accesso diretto in voce via Internet al customer service. Con l'operatore in linea si possono risolvere le questioni inerenti la propria posizione, il tutto interagendo fra voce e dati sullo schermo. «Considerando che non in tutte le famiglie c'e’ un computer, abbiamo anche previsto la possibilita’ che la chiamata al call center avvenga attraverso il normale telefono, ma l'operatore rispondera’ anziche’ dal telefono dalla postazione al computer e avra’ sott'occhio su Internet la posizione del cittadino per poter risolvere tutti i problemi molto piu’ rapidamente», aggiunge Aldo Smolizza, presidente del consiglio di indirizzo dell' Inps al momento del lanci’o del servizio, oggi direttore del dipartimento risorse umane e organizzazione della Croce Rossa. Anche in questa nuova posizione mantiene il contatto con Abbeynet: «Su sollecitazione del ministero per l'Innovazione, gli abbiamo chiesto di sviluppare una soluzione per cui in casa di ogni cittadino si trovi una sorta di pulsante di sicurezza, che colleghi via Internet il centro assistenza: sara’ utile soprattutto per avere una pronta consulenza medica ed evitare di correre all'ospedale quando non cene si reale necessita’. L'importante anche in questo caso e’ inserire il pulsante d' chiamata non in un computer, perche’ non e’ realistico pensare che in una situazione di emergenza una persona magari anziana o disabile, si metta ad accendere il computer per chieder aiuto». Aggiunge Alfredo Sanguinetto, direttore generale di Banca Carige: «Anche noi siamo interessati a adottare in un prossimo futuro servizi del genere». I tecnici dell'Abbeynet, una cinquantina di ricercatori e sviluppatori guidati dal direttore tecnico Luca Filigheddu e dal responsabile delle strategie Massimo Gentili, lavorano in stretta collaborazione con l'Istituto nazionale di fisica della materia con il Dipartimento di ingegneria elettronica, due centri di eccellenza dell'universita’ di Cagliari. E questo secondo un modello di cooperazione che in settore come quello tecnologico e’ cruciale, come insegna l'esperienza della Silicon Valley, nata come una specie di grande spin-off produttivo dell'universita’ di Stanford. «Un'altra applicazione appena varata e’ una piattaforma per la comunicazione via web fornita al gruppo Banca Lombarda», riprende Dettori. In questo caso si apre sul video una finestrella in cui si guarda in faccia l'operatore, e insieme con lui si risolvono i problemi, e ci si scambia documenti: l'utente li stampa direttamente da Internet e li restituisce firmati per fax. Il prossimo passo sara’ la firma elettronica per cui tutto avverra’ direttamente su Internet. Fra gli altri servizi offerti dall'azienda cagliaritana, Choco Phone e’ un sistema di telefonia gratuita che serve da test per l'intera piattaforma dell'azienda. Abbeyphone.com e’ un servizio per cui si puo’ telefonare via Internet anche a telefoni fissi e cellulari: l'innovazione che sta per partire e’ l'inserimento dell'audioconferenza. Seguira’ la videoconferenza e poi la videosorveglianza. Caratteristica _di questi servizi e’ che si potra’ pagarti "a consumo", anche per pochi minuti, senza nessun investimento fisso. Mail&Speak e’ invece una soluzione per il direct marketing che da’ la possibilita’ di comunicare via voce nel l'e-mail advertising. Infine il Voi’ceBanner attiva una comunicazione telefonica quando il navigatore Internet clicca su un certo banner, entrando in comunicazione con il customer care dell'inserzionista. «Il futuro - dice Dettori - sara’ la messa in comunicazione delle macchine con le macchine: programmare una serie di attivita’ che avvengono in automatico, il tutto fatturabile come qualsiasi altro servizio». ______________________________________________________________ IL SOLE24ORE 6 nov. ’03 LA SFIDA DELLA TECNO-SANITA’ La societa’ di Larry Ellison ora punta a vendere database agli ospedali europei L a tecnologia sta cambiando il volto dei servizi sanitari nazionali, migliorando il dialogo tra i cittadini e gli ospedali, le Asl e i medici di base. Notevoli sono i benefici, in termini di chiarezza (delle informazioni, prenotazioni, tempi e costi delle prestazioni), qualita’ (degenze piu’ brevi) e tempestivita’ (referti immediati). Tutti gli ospedali dei Paesi occidentali usano, per esempio, programmi per memorizzare i dati dei pazienti, ma ora anche l'uso delle smart card si fa via via sempre piu’ comune. Ma tutto cio’ si scontra con obsolete infrastrutture tecnologiche di base. La sfida standardizzazione. «Chi si occupa di innovazione all'interno degli ospedali deve cambiare il modo di pensare, progettando una struttura a grande ombrello standardizzata. Saranno poi le software house ad adattarsi all'architettura disegnata». E’ questo l'invito di Charles Scatchard, vicepresidente europeo Healthcare di Oracle, agli addetti ai lavori dell'Oracle World che si e’ appena svolto a Parigi. Una considerazione che nasce dallo scenario che accomuna la maggior parte delle strutture ospedaliere, ovvero una situazione applicativa molto varia, cresciuta nel tempo mediante strati successivi e completamente priva di integrazione. Scenario legato all'aumento di dimensioni delle infrastrutture di healthcare (in linea da un lato con la crescita demografica, dall'altro all'espansione delle strutture private) che ha portato a investire in tecnologia in maniera non programmata. II risultato sono infrastrutture vecchie, non scalabili, con sistemi diversi e non compatibili. Basti pensare che proprio a Parigi ci sono 41 ospedali con 41 diversi sistemi software e applicativi: un problema difficile da gestire, in caso di emergenza. Ma Scatchard mette in luce anche un altro aspetto: «L'ospedale e’ un mercato, da un punto di vista tecnologico, molto sofisticato. Non puo’ essere approcciato come un prodotto finanziario: la medicina, infatti, offre un servizio di "benessere"- non di risparmio, variabile a seconda della malattia. Ecco perche’ Oracle non ha progettato un clinical software, ma una piattaforma capace di integrare le informazioni residue con le nuove e i diversi sistemi che caretterizzano ciascun reparto o specialita’. In altre parole, abbiamo elaborato uno standard di sistema sanitario in grado di mettere insieme tutti i pezzi del puzzle del sistema healthcare». Il sistema. Interamente basato sul Web e orientato ai pazienti, il sistema Oracle Healthcare consolida procedure di business e aspetti clinici, amministrativi e finanziari, abbracciando tutte le strutture organizzative delle aziende ospedaliere. Il fine? Migliorare l'efficienza, la razionalizzazione dei costi e la qualita’ dell'assistenza sanitaria fornendo una vasta gamma di applicazioni sviluppate sulla base di Htb, una piattaforma tecnologica caratterizzata da un'architettura aperta. L'utilizzo di standard, tra cui HL7, aiuta l'ospedale a massimizzare la portabilita’ e il riutilizzo dei dati clinici, abilitando implementazioni coerenti ed elevati livelli d'integrazione tra tutti i sistemi informativi. Htb fornisce infatti una panoramica comunitaria globale basata su tutti i record dei pazienti ed estesa a tutte le strutture organizzative. Il sistema-ospedale. Ma quali sono, in sintesi, le esigenze tecnologiche fondamentali per un sistema complesso come l'ospedale? Salvaguardia dei dati remoti, gradualita’ di sviluppo, sicurezza, elevata continuita’ di servizio. Lo dicono i responsabili dei sistemi informativi di tre grandi ospedali italiani, l'Azienda ospedaliera Universita’ di Padova, quella di Varese e l'Istituto clinico Humanitas di Milano che ora guardano con grande interesse l'arrivo, previsto per dicembre, dell'ultima soluzione Oracle. Vale a dire il database lOg che promette nuove capacita’ di automazione per la gestione e lo storage, con cluster che assicurano efficienza immediata e una roadmap definita verso il grid computing aziendale. Francesca Cerati ================================================================== ______________________________________________ L’Unione Sarda 8 nov. ’03 FACOLTA’ DI MEDICINA: LUNEDI’ LA PRIMA PIETRA Via all’appalto da 13 milioni di euro Lunedi’ nella Cittadella universitaria di Monserrato partiranno i lavori per la realizzazione della struttura didattica e di ricerca della facolta’ di medicina. L’appalto, da oltre tredici milioni di euro, e’ stato vinto da due imprese sarde che impegneranno oltre 150 persone tra operai e tecnici, fino alla consegna dell’edificio, prevista per la fine del 2006. La struttura prevede 11 aule, sessanta studi, una biblioteca e dodici sale riunioni. Lunedi’ alle 12 il rettore Pasquale Mistretta dara’ ufficialmente il via a un’opera che segna un significativo passo avanti verso il completamento del dipartimento medico- scientifico. L’edificio, denominato Struttura dipartimentale per la ricerca e la didattica avanzata, e’ la prima realizzazione dedicata al comparto medico sanitario in Cittadella e nasce per rafforzare le sinergie, le esperienze e gli scambi tra le attivita’ della facolta’ e il Policlinico universitario. Alla consegna dei lavori prenderanno parte anche il presidente del corso di laurea in Medicina, Armando Columbano, il direttore generale del Policlinico, Rossella Coppola, il direttore dei lavori, Antonio Pillai, responsabile dell’ufficio tecnico dell’ateneo cagliaritano, i rappresentanti degli studenti del consiglio di medicina e i responsabili delle due aziende sarde, la Tepor e la Opere Pubbliche, che in consorzio si sono aggiudicate i lavori. I dati tecnici La struttura si espande su 32.500 metri quadri e ha un volume di oltre tredicimila metri cubi. Il progetto - firmato dallo studio degli architetti romani Tommaso Bevino e Maurizio Costa - prevede 4670 metri quadrati dedicati al parcheggio e alla viabilita’, 1500 al verde e 130 a locali tecnici. Di taglio avveniristico, studiato per il pieno rispetto della fruibilita’ da parte dei portatori di handicap e con un occhio di riguardo all’impatto ambientale e all’aspetto cromatico, l’edificio verra’ realizzato curando particolarmente i servizi, le infrastrutture, gli impianti tecnologici e le rifiniture, La consegna e’ prevista a 900 giorni dalla data di consegna dei lavori. Le aule La struttura prevede 6 aule da 25 posti, 3 da 70, una da 50 e una da 120. Gli studi sono 48: 24 singoli, 24 multipli e 12 doppi. Inoltre sono previste 12 sale riunioni, 14 sale per segreteria d’istituto e specializzandi, 13 laboratori, un’ufficio amministrativo, una biblioteca scientifica da 425 metri quadri e 19 servizi igienici. I costi L’importo dei lavori e’ pari a oltre tredici milioni di euro. La gara fa capo ad un bando europeo al quale hanno preso parte sei consorzi di imprese. ______________________________________________ L’Unione Sarda 7 nov. ’03 IL POLICLINICO? PUO’ FAR MEGLIO Un trapiantato: che differenza tra Padova a Monserrato Dopo una lunga attesa, in maggio ho subito il trapianto di fegato in un ospedale di Padova. L’operazione, grazie alla professionalita’ e alle capacita’ del personale medico e paramedico, e’ riuscita perfettamente. Durante la degenza ho avuto inoltre il piacere di apprezzare le qualita’ del servizio sanitario offerto nell’ospedale di Padova, ma soprattutto l’umanita’ del personale che mi ha aiutato a superare i difficili momenti del dopo operazione. Al mio rientro in Sardegna ho dovuto, mio malgrado, confrontarmi con una realta’ sanitaria diversa. Come trapiantato devo infatti recarmi al Policlinico Universitario di Monserrato, per sottopormi a controlli periodici ed eventuali ricoveri. Durante questi controlli ho potuto rilevare che non tutto funziona come dovrebbe, soprattutto se si considera che stiamo parlando di una struttura ospedaliera. I locali sono sicuramente accoglienti e moderni e non si e’ badato a spese: credo che in Italia non ci sia un’altra struttura pubblica con tanti punti luce, e sempre accesi; ma si e’ risparmiato nel dotare il Policlinico di un’adeguata sala mensa: i pazienti sono costretti a pranzare in un ambiente di passaggio, con piatti di plastica e porzioni scarse, pane e frutta alla merce’ di tutti, e senza il sostegno di un dietologo. Ma il disagio maggiore riguarda il personale infermieristico, insufficiente e precario, oltre che costretto a ogni tipo di mansione (dal servire a tavola ad assistere i pazienti). Infine, quello che appare piu’ incomprensibile e’ che alcune analisi, indispensabili per i farmaci antirigetto, non vengono effettuate presso il Policlinico. Di conseguenza, i risultati si conoscono solo dopo qualche giorno, con non pochi problemi per i trapiantati che devono cambiare cura. Queste mie poche righe non vogliono essere la solita critica verso una malasanita’ isolana che non funziona, ma uno stimolo a migliorare e a fare di piu’. In Sardegna, e certamente al Policlinico, abbiamo mezzi e uomini per migliorare. Ma bisogna osare e investire e non solo tagliare e penalizzare chi, per propria sfortuna, ha dovuto subire un trapianto. Giorgio Manunza Pirri ______________________________________________ L’Unione Sarda 8 nov. ’03 I SUGGERIMENTI DEI DIABETICI AI RESPONSABILI DEGLI OSPEDALI Indagine del Tribunale per i diritti del malato Ridurre i tempi di attesa, orari meno rigidi e poter scegliere il proprio medico. Questi i suggerimenti avanzati da 447 pazienti diabetici ai reparti degli ospedali Brotzu, San Giovanni di Dio, Santissima Trinita’ e Policlinico universitario. Sono tutti contenuti nei questionari proposti dal Tribunale per i diritti del malato, in collaborazione con Sardegna solidale. Una ricerca difficoltosa, un punto di partenza per un confronto con gli stessi centri di diabetologia. I risultati dello studio sono stati illustrati ieri nel centro di via Ariosto, alla presenza di numerosi medici e di alcuni primari dei reparti interessati. «Le risposte hanno evidenziato che, nonostante il mondo della sanita’ non funzioni bene, i malati di diabete hanno un discreto gradimento del servizio»: questa la sentenza della responsabile del progetto, Franca Pretta Sagredin. La ricerca si e’ svolta in otto centri: oltre ai quattro cagliaritani, hanno partecipato i pazienti dei reparti di Carbonia, Iglesias, Muravera e Quartu Sant’Elena, e quattro centri pediatrici (Brotzu, Macciotta, Carbonia e Iglesias). In tutto 447 schede di pazienti adulti, 51 di bambini e 67 degli operatori dei reparti. Una goccia dell’1 per cento rispetto al vero oceano di persone afflitte dal diabete: nei reparti degli otto ospedali sono ben 31.556 i pazienti (nei quattro cagliaritani si raggiunge quota 18 mila adulti e, al Brotzu e al Macciotta, 750 bambini). «I dati che abbiamo raccolto non vogliono essere una statistica scientifica, ma il punto di partenza per avviare un confronto che possa servire a migliorare il servizio reso dagli ospedali», ha spiegato la coordinatrice del Tribunale del malato, Luisanna Cossu Giua. Cosi’ i 447 pazienti adulti (200 uomini e 247 donne) hanno dato un parere tutto sommato positivo ai reparti: il 23 per cento ha detto che le condizioni igieniche sono discrete, il 56 buone, il 66 ritiene adeguato il materiale fornito. «Si sono detti soddisfatti», ha commentato la Cossu Giua, «anche se andrebbe analizzato ogni singolo caso». Matteo Vercelli ______________________________________________ L’Unione Sarda 6 nov. ’03 DUBBI AL SAN GIOVANNI DOPO LA NOMINA DI MANCONI E la Patologia medica si sveglia con due direttori CAGLIARI. Due direttori per una patologia medica? Ieri mattina il San Giovanni di Dio s’e’ svegliato con questa domanda. Perche’ se e’ vero che la facolta’ di Medicina ha deciso di "mettere" l’immunologo Paolo Emilio Manconi alla direzione della patologia lasciata da Giorgio Aresu, e’ altrettanto vero che lo stesso reparto ha gia’ una guida: e’ il primario vincitore di concorso bandito dalla Asl 8 quando l’universita’ fece sapere, attraverso una lettera, che la facolta’ di Medicina avrebbe usato il posto apicale (la direzione) per un’altra cattedra, quella di chirurgia generale, da affidare al professor Farina. Succede infatti che Medicina e Asl lavorino assieme sulla base di una convenzione. Nella convenzione si prevede che alla facolta’ spetti un certo numero di direzioni, non importa per quali reparti. Il risultato di questa previsione e’ che l’universita’ puo’ passare le direzioni da un reparto all’altro in funzione delle proprie necessita’. Ecco perche’ quando l’universita’ annuncio’ di spostare la direzione dalla patologia medica alla chirurgia generale, alla Asl non si batte’ ciglio ma ci si affretto’ a bandire un concorso per trovare un primario della patologia medica. Lo vinse un universitario, il professor Pascalis, che in virtu’ del contratto firmato con la Asl svolge al San Giovanni attivita’ ospedaliera. Il professor Pascalis e’ tuttora primario del reparto e lo restera’ almeno per tutti gli anni previsti dal contratto di dirigente. Che sia la premessa per la costituzione di un dipartimento dove ci sono sia le figure dei primari (dei reparti) sia quella del direttore (del dipartimento che cui fanno riferimento vari reparti)? Si badi che l’argomento e’ delicato: e’ in corso di scrittura il protocollo d’intesa per l’azienda Regione-Universita’ (che regola il funzionamento dei nuovi corsi di studio di Medicina) e’ la gestione dei dipartimenti e’ fra gli scogli. Gli ospedalieri chiedono che i dipartimenti possano essere diretti anche da ospedalieri, gli universitari che la direzione del dipartimento sia universitaria, i primari anche ospedalieri. ______________________________________________ La Nuova Sardegna 5 nov. ’03 GOL DI MEDICINA: P.E. MANCONI S’INSEDIA AL SAN GIOVANNI DI DIO Dopo la lunga contesa con la Asl 8, Paolo Emilio Manconi s’insedia al San Giovanni di Dio Patologia, altro gol di Medicina La girandola delle nomine continua al Policlinico A giorni assegnata una direzione molto ambita: il posto di Manconi al centro di immunologia CAGLIARI. Tempo qualche giorno e l’immunologo Paolo Emilio Manconi entrera’ nella patologia medica del San Giovanni di Dio come direttore. Dopo 48 ore di incontri fiume, si racconta che universita’ e Asl si siano messe d’accordo. Deve esserci stato un lungo lavoro se la Asl e’ arrivata a rimangiarsi la "bocciatura" di Manconi espressa (si racconta anche questo) in una lettera che faceva il paio con quella inviata alla facolta’ di Medicina contro il primo designato alla direzione della patologia neonatale (sempre del San Giovanni), da sabato scorso nelle mani di Vassilos Fanos pediatra di fama gia’ selezionato per Cagliari in un concorso a suo tempo congelato per le dispute tra le varie scuole della pediatria cagliaritana. Il 31 luglio scorso la facolta’ di Medicina ha decretato che candidato unico alla successione di Giorgio Aresu debba essere Paolo Emilio Manconi. Appresa la novita’, risulterebbe che la Asl si sia affrettata a scrivere: dalla patologia medica dipende anche il pronto soccorso e si esprime parere non favorevole alla nomina di Manconi perche’ non se ne conosce il curriculum a proposito della medicina d’urgenza. La rissa e’ durata alcune settimane. La facolta’ era divisa in due anime: quella che accettava il principio che si dovesse informare anche la Asl dei requisiti del designato Manconi (non e’ un semplice ricercatore ma un "ordinario di medicina interna", dichiara il preside di Medicina) e l’altra decisa nel sostenere che la Asl non poteva sapere visto che, i curricula, i professori universitari sono tenuti a depositarli all’universita’ e non nell’azienda sanitaria convenzionata. Comunque, alla fine il chiarimento deve essere stato offerto se gli universitari, ieri, alla fine dell’ultimo incontro manifestavano piena soddisfazione sul risultato. La puntata successiva e’ nella seguente domanda: se Manconi va alla patologia medica chi dirigera’ il centro regionale di riferimento per l’Aids? Si sa soltanto che Manconi resta come consulente scientifico (insegna medicina interna, allergologia e immunologia clinica). Nelle settimane scorse circolava anche un altro dubbio: ma come fa l’universita’ a decretare per Manconi alla patologia medica se quella direzione la stessa universita’ tempo prima se l’era giocata per un’altra docenza universitaria, la chirurgia generale (Farina)? In questi giorni si e’ scoperto che si e’ trattato solo di una proposta e che la poltrona di direttore e’ rimasta nel reparto di patologia medica. Torniamo a Manconi. Della sua nomina a direttore della patologia medica lui stesso spiega: "Nel febbraio scorso avevo presentato richiesta per questo incarico. Se ne e’ discusso a lungo fra gli internisti e col preside, c’erano altri interessati, quando questo interesse e’ caduto ed e’ venuto il mio turno ho ribadito quel che avevo gia’ chiesto a febbraio. Per me la patologia medica e’ una posizione chiave della sanita’ cagliaritana ed e’ indispensabile per la didattica: l’urgenza internista fa parte delle basi che servono davvero agli studenti. A quella cattedra io sono legato anche dal punto di vista affettivo: e’ li’ che lavorato intensamente quando ho cominciato. Li’ sono passati tanti nomi illustri. Come Dioguardi e come Grifoni, il mio maestro". Sul centro di riferimento per l’Aids: "La successione al policlinico si discutera’ in questi giorni. Ci sara’, ma mi piace ricordare che al centro di immunologia ci sono miei collaboratori li’ da dodici anni ai quali cui io mi affido da molto tempo per la diagnostica e per la cura dei pazienti". Sul no della Asl sul suo nome: "Ho avuto un colloquio franco col direttore generale e ci siamo intesi perfettamente". Sul protocollo d’intesa per l’azienda mista Regione-Universita’ indispensabile al funzionamento della facolta’ rinnovata soprattutto nel campo della didattica: "Mi definisco un sarto che sta cercando di partecipare alla cucitura di questo rapporto che continuamente si sfilaccia e si rompe". (a. s.) ___________________________________________________________ CORTE COSTITUZIONALE 5 nov. ’03 OSPEDALI UNIVERSITARI: LE REGIONI POSSONO DISCIPLINARE L'ASSISTENZA Le Regioni possono sostituire con proprie norme le disposizioni dettate dallo Stato (applicando la riforma Bassanini) relative alle intese con le Universita’ per lo svolgimento delle attivita’ assistenziali delle aziende ospedaliere universitarie in virtu’ dei nuovi compiti previsti dal Titolo V della Costituzione. Lo ha precisato la Corte costituzionale (nella foto Imagoeconomica) che ha dichiarato inammissibili per sopravvenuta carenza di interesse i conflitti di attribuzione promossi dalle Regioni Lombardia e Lazio contro il Dpcm del 24 maggio 2001. Tale provvedimento infatti non ha avuto finora alcun effetto invasivo della sfera di attribuzioni regionali, La Consulta ha riconosciuto che in forza del principio di continuita’ il Dpcm mantiene la propria vigenza sia pure con carattere di cedevolezza rispetto all'eventuale intervento normativo regionale. ______________________________________________________ LA STAMPA 04 nov. ’03 CHIRURGIA GENERALE: CONCORSO TRUCCATO I fatti risalgono a quattro anni fa: 1999. Concorso di specialita’ in Chirurgia generale all'Universita’ di Torino. Secondo il professor Franco Tridico, ex segretario della scuola di specialita’, i professori Francesco e Mario Morino, padre e figlio, e egli stesso, avrebbero favorito un candidato di Napoli, figlio di un professore amico, il cui compito era risultato insufficiente alla prova scritta. «Glielo abbiamo rifatto completamente», ha raccontato Tridico alla procura della repubblica, che ha aperto un'inchiesta affidata al sostituto procuratore Enrico Arnaldi di Balme. Francesco Morino ______________________________________________________ Il Sole24Ore 01 nov. ’03 MEDICI E VETERINARI IN RIVOLTA CONTRO LA «SANATORIA ACCESSI» ROMA m Medici, dentisti e veterinari: e’ unanime la levata di scudi dei professionisti della salute contro la sanatoria per gli iscritti con riserva ai corsi di laurea a numero chiuso 2000-2001. Nel mirino delle categorie e’ il Ddl che reca «Norme in materia di regolarizzazione delle iscrizioni ai corsi di diploma universitario e di laurea per l'anno accademico 2000-2001». Dopo il primo via libera della Camera, il provvedimento e’ stato licenziato dalla commissione Istruzione del Senato con un nuovo "condono strisciante". In sostanza, gli studenti che non hanno superato la prova d'ammissione, ma sono stati iscritti con condizione dopo il ricorso al Tar, potranno proseguire l'iter di studio se avranno sostenuto anche solo un esame. Il testo, che a breve dovra’ incassare il "si’" dell'aula di Palazzo Madama, era stato approvato dalla Camera in una versione differente, accettata dalle categorie interessate. «Nel testo originario - spiega Giuseppe Del Barone, presidente della FnomCeO, la Federazione degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri - si prevedeva l'iscrizione al secondo anno di un altro corso di laurea a numero non programmato. L'emendamento che ha introdotto la sanatoria e’ invece un vero colpo di mano, sull'onda di un "mammismo" che punta a tutelare gli interessi di pochi, a scapito della qualita’ della formazione e a danno dei professionisti seri che gia’ esercitano la professione. Eppure, proprio due giorni fa il ministro Sirchia ha affermato che il numero programmato e’ troppo alto». A sottolineare l'ingiustizia per gli studenti che hanno superato regolarmente i test di accesso e per quanti, a suo tempo respinti, non avevano fatto ricorso al Tar, e’ Giuseppe Renzo, presidente della commissione odontoiatrica della FnomCeO: «Migliaia di. giovani rispettano le regole e si rimettono in discussione, mentre un pugno di loro coetanei tenta la scorciatoia con ogni mezzo». Ma in questo modo «si vanifica per il futuro il principio del cosiddetto numero programmato, previsto dalla legge 264 del 1999», fa eco il presidente dell'Associazione nazionale dei dentisti italiani, Paolo Amori. Contrari alla sanatoria anche i veterinari: «L'ammissione di studenti in sovrannumero - afferma Domenico D'Addario, presidente della Fnovi, la Federazione dei medici veterinari - "cozza" con l'esigenza dell'universita’ di garantire, con strutture e un numero di docenti adeguati, una formazione appropriata». BARBARA GOBBI ______________________________________________________ Il Sole24Ore 04 nov. ’03 A SIENA IL POLO PER LO STUDIO AVANZATO SUI VACCINI FIRENZE a Il vaccino per sconfiggere la Sars e’ praticamente pronto. Quello contro l'Hiv iniziera’ la fase di sperimentazione sull'uomo entro fine anno. Le buone notizie arrivano da Siena, dove il centro ricerche della Chiron, diretto da Rino Rappuoli, lavora ai test piu’ avanzati a livello internazionale sul fronte dei vaccini, attraverso lo studio del Dna e della genomica. Malattie gravi come epatite C, meningite di tipo B e buona parte dei tumori conosciuti potranno essere controllati e probabilmente debellati nel giro dei prossimi anni grazie ai cosiddetti vaccini di ultima generazione. «Piu’ che una speranza e’ una prospettiva certa, sulle cui ricadute sociali ed economiche gli Stati dovrebbero riflettere», dice Rappuoli, 51 anni, da dieci al timone della struttura di ricerca senese di Chiron, insignito ieri del premio Citta’ di Firenze per le Scienze molecolari, promosso dalla Fondazione, dalla Cassa di risparmio e dalla Camera di commercio del capoluogo toscano. Si tratta di un caso nazionale di successo che contraddice molti luoghi comuni sull'Italia. Chiron ha gia’ investito a Siena oltre 300 milioni di euro, con un ritmo di 20 milioni all'anno per la sola attivita’ di ricerca, e si appresta a spendere altri 50 milioni per una nuova struttura che sara’ realizzata nel prossimo triennio. Nella citta’ del Palio, dove lavorano piu’ di mille ricercatori, il colosso californiano ha basato la sede mondiale del settore vaccini, che complessivamente conta su 3mila addetti e 650 milioni di dollari di giro d'affari. «Questa buona riuscita e’ stata possibile perche’ un gruppo multinazionale come Chiron ha scommesso su Siena, dove c'era la tradizione Sclavo e un'universita’ fortemente impegnata in questo campo, ma il nostro successo e’ la prova che certi risultati si possono raggiungere anche in Italia, forse meglio che altrove - sottolinea Rappuoli -. Purtroppo nel nostro Paese gli investimenti per le vaccinazioni rappresentano meno dell' l per mille della spesa sanitaria e soltanto l'1% di quella farmaceutica: e’ un dato sconcertante, da cui emerge la sottovalutazione del tema da parte delle istituzioni, che spesso dimenticano come prevenire sia molto piu’ saggio e conveniente che curare». Il vaccino trivalente contro difterite, tetano e pertosse (in uso da alcuni anni in Italia), per ogni euro speso ha consentito di risparmiarne sette. Nel caso della poliomelite il rapporto e’ addirittura uno a 16. «Ma i benefici sono ben piu’ grandi, se consideriamo il valore della qualita’ della vita e in particolare della vecchiaia», aggiunge il direttore del centro ricerche di Chiron, che ricorda la campagna di vaccinazione contro la meningite C lanciata tre anni fa in Inghilterra dal governo di Tony Blair, in collaborazione proprio con i laboratori di Siena. «Investire in questa direzione e’ una scelta strategica, anche se l'Unione europea e l'Italia per ora dimostrano di non crederci fino in fondo - dice Rappuoli -. Noi, come Chiron, facciamo ricerca e sperimentazione in tutto il mondo e ci adeguiamo alle leggi del Paese in cui operiamo, in base alle possibilita’ e alla convenienza. La prove cliniche sul vaccino contro l'Hiv - conclude - si tengono negli Stati Uniti perche’ li’ sono gratuite». Ma la testa della ricerca, una volta tanto, e’ in Italia. CESARE PERUZZI ______________________________________________ Le Scienze 6 nov. ’03 NUOVI INDIZI SULLA SINDROME DI RETT La malattia dipende dalla regolazione dei geni durante lo sviluppo del cervello La sindrome di Rett e’ una delle principali cause di ritardo mentale nelle bambine. Anche se i ricercatori avevano identificato la proteina coinvolta nella malattia, il suo ruolo esatto era rimasto un mistero. Ora un gruppo di scienziati del Children's Hospital e del Whitehead Institute for Biomedical Research di Boston ha individuato la funzione della proteina: una scoperta che potrebbe rappresentare il primo significativo passo in avanti negli ultimi anni per quanto riguarda la ricerca su questo disturbo. Lo studio, pubblicato sulla rivista "Science", descrive come MeCP2, la proteina in questione, controlla l'espressione genica in cellule normali del sistema nervoso centrale. I ricercatori sospettano che mutazioni della proteina possano mettere a repentaglio la sua capacita’ di regolare i geni durante una fase critica dello sviluppo del cervello. "Riteniamo - spiega Michael Greenberg, principale autore dello studio - che questa deregolazione possa essere responsabile di alcuni dei difetti che si osservano nei pazienti di Rett". La sindrome, un disturbo neurologico che causa ritardo mentale, paralisi cerebrale e sintomi simili all'autismo, colpisce approssimativamente una neonata su 15.000 in tutto in mondo. Le attuali terapie, comprese quelle preventive, sono in grado di curare alcuni sintomi ma non di impedire l'insorgere della malattia. ______________________________________________ Corriere della Sera 8 nov. ’03 «EFFETTO PLACEBO E MEDICINE VERE PER GUARIRE MEGLIO» LA RICERCA / Gli scienziati americani vogliono unire la psicologia ai metodi tradizionali. «Ma senza tacere le eventuali controindicazioni» Se l’effetto placebo esiste, perche’ non usarlo per potenziare l’efficacia dei farmaci veri? Non si tratterebbe, dunque, di usare medicine finte spacciandole per vere, ma di usare medicine vere, convincendo i pazienti che la cura e’ quanto di meglio si possa loro offrire e sfruttando il potere del pensiero positivo. L’idea non e’ male: si sa che anche una pastiglia di zucchero, spacciata per farmaco, puo’ funzionare in molti casi. E si sa che un paziente risponde meglio alle cure e guarisce prima quando la prognosi della sua malattia e’ buona. Negli ambienti medici americani circola da anni la storia di un certo mister Wright: nel 1957 il signor Wright scopri’ di avere un cancro e pochi giorni di vita. Ricoverato in un ospedale della California, si fece iniettare una dose di siero di cavallo, presentato dai giornali come un portentoso antitumorale. Tutto ando’ bene per tre mesi, fino a quando Mr Wright non lesse un rapporto che lo definiva un rimedio da ciarlatani. Ricaduta e altre iniezioni con una nuova formulazione della medicina che, secondo il suo medico, era doppiamente efficace. Ebbe un altro miglioramento, ma dopo qualche tempo la terapia venne definitivamente stroncata: allora Mr. Wright mori’. Per uscire dal campo dell’aneddotica, i ricercatori americani stanno ora cercando di studiare scientificamente, con l’aiuto dei nuovi strumenti tecnologici, il modo per aumentare i benefici delle medicine attraverso il potere del pensiero positivo e hanno dato il via a una serie di ricerche per verificare come il cervello risponde ai farmaci attivi o al placebo. L’obiettivo e’ quello di sfruttare al meglio la «componente placebo» dei farmaci veri (secondo la maggior parte delle ricerche finora condotte, almeno un terzo dei pazienti reagisce positivamente alla somministrazione del solo placebo) e, di conseguenza, arrivare a ridurre le dosi del composto attivo e i suoi effetti collaterali, a migliorare la compliance del paziente alla terapia (cioe’ la capacita’ di seguire gli schemi di somministrazione) e persino a risparmiare sui costi. I National Institutes of Health americani stanno finanziando una mezza dozzina di studi che riguardano in particolare l’asma e l’ipertensione. «Sono due condizioni patologiche - commenta Gianpaolo Velo, responsabile del Dipartimento di medicina e sanita’ pubblica all’Universita’ di Verona - dove esiste anche una componente psicologica. E’ proprio in questi casi che l’effetto farmacologico della terapia e l’effetto placebo del farmaco potrebbero agire in sinergia». Uno studio, fra quelli attualmente in corso negli Stati Uniti vuole verificare se il montelukast , un antiasmatico, funziona meglio quando il medico ne parla al paziente con entusiasmo. Per questo i pazienti sono stati divisi in due gruppi. Al primo la cura viene presentata dal medico che ne sottolinea l’efficacia nel prevenire gli attacchi e nel migliorare la qualita’ della vita. I pazienti del secondo gruppo, invece, ricevono soltanto la prescrizione del farmaco accompagnata da un opuscolo informativo sull’asma e sull’importanza della cura. I risultati si conosceranno all’inizio dell’anno prossimo. «Il concetto che si puo’ aumentare l’efficacia terapeutica dei farmaci con altri sistemi e’ giusto - commenta Velo -. Ma con quali sistemi? Il migliore sembrerebbe appunto quello per cui il medico dedica piu’ tempo al malato. E’ risaputo che un medico comunicativo avra’ sempre migliori risultati con il suo paziente. Non a caso uno degli ingredienti del successo delle medicine alternative e’ proprio il fatto che il medico parla a lungo con il malato, e’ piu’ attento alla sua storia e agli aspetti psicologici della sua persona». Come dire che il medico puo’ in qualche modo somministrare se stesso e funzionare come una vera e propria medicina. Il tentativo di aumentare l’effetto di un farmaco attraverso la manipolazione del pensiero del paziente suscita, pero’, qualche perplessita’ di tipo etico. Tutti i farmaci possono presentare effetti collaterali che non devono essere nascosti al paziente, ma nel momento stesso in cui il medico ne parla, rischia di vanificare l’effetto placebo. «Una corretta informazione sul farmaco - conclude Velo - non puo’ comunque tacerne gli effetti avversi». Adriana Bazzi abazzi@corriere.it ______________________________________________ Corriere della Sera 8 nov. ’03 ECCO LA TERAPIA SUPERVELOCE PER BATTERE ANSIE E PAURE Ad Arezzo il primo convegno europeo. «E’ una sfida, a volte perdiamo» Niente farmaci e anche inganni a fin di bene per vincere i disagi DAL NOSTRO INVIATO AREZZO - Il fatto accadde lungo il Danubio negli Anni Trenta. Un giovane disperato si butta in acqua: vuole morire. Accorre gente. Tutti lo supplicano di nuotare, di salvarsi. Niente da fare. Arriva un gendarme. Invece di tuffarsi per soccorrerlo, gli punta il fucile contro, e urla: «Vieni fuori, altrimenti ti ammazzo». L’aspirante suicida ubbidisce, raggiungendo la riva. Giorgio Nardone, psicoterapeuta, sorride ricordando la storia. «Quel poliziotto, senza saperlo, ha fatto psicoterapia con un’azione paradosso. Ha applicato lo stratagemma dello "spegnere il fuoco aggiungendo la legna"». Paradossale ma vero: ecco un’osservazione sulla quale riflettere. Il primo convegno europeo sulla Psicoterapia breve strategica e sistemica fa il punto sullo stato dell’arte. In pratica la battaglia a mani nude (cioe’ senza uso di farmaci) contro alcuni nemici forti della vita all’occidentale, come attacchi di panico, anoressia, bulimia, disturbi ossessivi. Premessa. Dimenticate il lettino di Freud. Scordate le battute di Woody Allen. Qui non si parla di psicanalisi. Non c’entrano i sogni e l’inconscio. Le terapie-lampo puntano direttamente sul problema in una sfida diretta: o lo specialista riesce a vincere in tempi rapidi oppure deve essere leale con il cliente: «Cerchi uno migliore di me». Cosa che avviene di rado. Secondo Nardone gli attacchi di panico vengono sconfitti nel 95 per cento dei casi. Piu’ difficile la lotta contro i disturbi alimentari, ma con statistiche positive oltre l’80 per cento. I dati sono stati rilevati dal Centro di Terapia strategica di Arezzo, che ha organizzato il convegno assieme al Mental Research Institute di Palo Alto (Paul Watzlawick e’ considerato lo storico caposcuola del settore). La competizione fra farmaci si’ e farmaci no resta aperta. Ma Nardone non esita a denunciare che l’uso sfrenato e sbagliato delle pillole arriva a fabbricare i falsi malati. Il ricorso immediato alla chimica finisce per attaccare un’etichetta sbagliata al paziente, fino a quella piu’ spietata: psicotico. Pero’ dietro l’angolo ci sono anche gli psicoterapeuti tanto inefficaci quanto insistenti. «Ecco perche’ bisogna tutelare i diritti del cliente». Per esempio: «Con la chiarezza, non bisogna nascondersi dietro i paroloni, vanno negoziati gli obiettivi, una psicoterapia se dopo tre o quattro mesi non da’ risultati deve essere interrotta». Mali dell’anima o disagi della psiche? Comunque vengano chiamati, si calcola che, nelle classi medio alte un italiano su tre cerchi aiuto in materia dallo psicoterapeuta. Il 20 per cento della popolazione del mondo occidentale deve fare i conti con gli attacchi di panico, il 7 per cento con la depressione, il 5 per cento dichiara disturbi alimentari ma con il sommerso si puo’ pensare al raddoppio dei casi. Cala il ricorso al lettino dell’analista, aumenta la richiesta di terapie fast . La storia, secondo Nardone, propone grandi campioni del pensiero strategico: «Alessandro Magno, Sant’Agostino, Pascal, Darwin. E oggi un regista come Steven Spielberg». Ampio spazio e’ stato dedicato ai problemi che crescono dentro la famiglia. Cinque anni di monitoraggio condotto da un gruppo di trenta terapeuti ne hanno classificato sei modelli: iperprotettivo, democratico permissivo, sacrificante, intermittente, delegante e autoritario. Ad ognuno tende a corrispondere un particolare comportamento dei figli. Per esempio la famiglia iperprotettiva favorisce difficolta’ nello studio, disturbi alimentari, bassa autostima, mentre il modello autoritario puo’ indurre alla depressione e aggressivita’. «Pero’ la relazione non e’ cosi’ schematica, e la soluzione va ricercata nel presente non nel passato». I figli sono comunque i protagonisti. Gianfranco Cecchin, psicoterapeuta sistemico della famiglia, ha osservato il ruolo nuovo dei bambini con genitori in crisi: «Anche a cinque o sei anni danno ordini e dicono se papa’ e mamma devono separarsi. Ma guai se il compagno della mamma vuole proporsi come un papa’: si squalifica e gliela faranno pagare». I bimbi capiscono tutto molto presto: «Il mio papa’ e’ un altro, tu sei quello che adesso dorme con la mamma». Insomma, Cecchin mette in archivio l’idea benefica di una coppia che resta unita solo per il bene dei figli. Ai quali interessa conservare la sicurezza degli affetti e l’assistenza, non tanto la coabitazione. «Se invece si sentono ingannati, possono punire i genitori in vari modi, per esempio smettendo di mangiare e di studiare o con la droga». Vittorio Monti ______________________________________________ Le Scienze 5 nov. ’03 UN PULSANTE DI RESET PER I NEURONI Un interruttore molecolare protegge il cervello da un'eccessiva attivita’ neurale Un team di neurobiologi della Duke University ha scoperto come i neuroni del cervello si "spengono" quando sono troppo attivi. L'interruttore molecolare agisce in modo da aumentare o diminuire la sensibilita’ delle cellule del cervello alla stimolazione da parte delle cellule vicine. Questa "plasticita’ omeostatica" e’ fondamentale per adattare il cervello ai cambiamenti nell'ambiente circostante, per evitare che i neuroni siano spazzati via dall'aumento di attivita’ di una via neurale o che diventino troppo insensibili da rivelare gli impulsi provenienti da altri neuroni quando l'attivita’ neurale e’ bassa. Per gli scienziati si tratta di una plasticita’ distinta dai cambiamenti piu’ rapidi nei circuiti neurali che si verificano durante la formazione dei ricordi. Secondo i ricercatori, lo studio fornisce gli indizi da tempo cercati sul modo in cui i neuroni si proteggono durante attacchi cardiaci, epilessia e lesioni al midollo spinale. Le scoperte potrebbero anche contribuire a spiegare diversi mutamenti nel cervello che si verificano durante la prima infanzia e i malfunzionamenti tipici nei pazienti anziani che soffrono di Alzheimer o di Parkinson. Lo studio di Michael Ehlers e colleghi e’ stato pubblicato sul numero del 30 ottobre della rivista "Neuron". L'esistenza della plasticita’ omeostatica era stata teorizzata da tempo e dimostrata recentemente nei neuroni di mammifero, ma non era ancora stato scoperto il meccanismo del processo, legato ai livelli dei recettori NMDA. ______________________________________________ Repubblica 5 nov. ’03 GLI AIUTI AI MALATI REUMATICI PER DIVENTARE PIU’ AUTONOMI Domani a Roma convegno "dimostrativo" dell’Almar sull’economia articolare, nata trent’anni fa NOSTRO SERVIZIO Una nuova gestualita’ e un nuovo modo di rapportarsi all’ambiente circostante, modificandolo secondo le personali necessita’ per migliorare la propria autonomia: e’ questa l’economia articolare, un metodo riabilitativo per il malato reumatico che e’ insegnato e utilizzato da trent’anni. Domani a Roma, l’Almar, associazione laziali malati reumatici, sezione regionale dell’Anmar, (presieduta dal professor Alessandro Ciocci), presso la Biblioteca Nazionale Centrale ed alla Clinica Villa Pia, terra’ una conferenza proprio sull’economia articolare. L’obiettivo della conferenza, in collaborazione con l’Universita’ La Sapienza, dipartimento di clinica e terapia medica applicata cattedra di reumatologia, con l’aiuto del Comune di Roma e del Tribunale Diritti del Malato, e’ interamente divulgativo, con lo scopo di mostrare ai pazienti l’uso degli ausili che si trovano nei negozi di ortopedia sanitaria. I malati reumatici, e in particolare chi soffre di artrite reumatoide, soffrono di una riduzione delle capacita’ fisiche con conseguente difficolta’ e a volte frustrazione nello svolgimento delle attivita’ quotidiane. Ma esiste uno strumento di autonomia che e’ anche un meccanismo di prevenzione delle deformazioni, che consente di diminuire ed in alcuni casi eliminare la necessita’ di interventi chirurgici. E’ il metodo riabilitativo introdotto da L. Simon, che cosi’ lo defini’: «l’insieme dei mezzi che permettono, da una parte di superare gli ostacoli che si presentano ad ogni istante e, dall’altra, di diminuire i movimenti obbligati per prevenire o rallentare i deterioramenti articolari». La terapia farmacologica attuale ha sicuramente migliorato le condizioni dei malati reumatici e modificato l’evoluzione dell’artrite, ma poiche’ un certo grado di danno articolare e’ sempre presente, i farmaci da soli non possono garantire l’autonomia, la liberta’ dei movimenti e la possibilita’ del normale svolgimento delle attivita’ giornaliere. Nel trattamento globale del paziente, il ruolo dell’economia articolare e’ proprio quello di dare a ciascuno, secondo le necessita’, la capacita’ di vivere con il minimo di ostacoli ed il massimo delle possibilita’ la propria condizione. Il convegno di domani si terra’ nella mattina (dalle 9,30) alla Biblioteca Nazionale Centrale (viale Castro Pretorio, 105), nel pomeriggio (dalle 14,30) presso la Clinica Villa Pia (via B. Ramazzini, 93). Sono previsti pullman organizzati dall’Almar (per informazioni telefonare al 3283141261) con partenza alle ore 8 dalla stazione Tiburtina, 8,25 piazzale dei Partigiani, 8,40 stazione Trastevere, ore 9,00 piazza san Giovanni, angolo via Amba Aradam. ______________________________________________________ Il Sole24Ore 06 nov. ’03 COSI’ INVECCHIANO LE CELLULE UMANE MEDICINA Il ricercatore Fabrizio d'Adda spiega come ha svelato l'enigma dei telomeri corti - La scoperta servira’ a capire e combattere Lo studio pubblicato ieri su «Nature» proseguira’ a o nei laboratori dell'Istituto Ere di oncologia molecolare MILANO e Un ricercatore italiano ha risolto l'«enigma dei telomeri corti», un fenomeno all'origine dell'invecchiamento cellulare. I telomeri sono studiatissimi "pezzetti" di materiale genetico, collocati alla fine dei cromosomi, che si riducono un po' a ogni nuova divisione cellulare, marcando il tempo che resta prima che la cellula smetta di duplicarsi. Secondo alcuni sarebbero i custodi del segreto della vecchiaia. Fabrizio d'Adda di Fagagna, 37 anni, udinese, genetista molecolare da poco rimpatriato grazie a un contratto di cinque anni dell'Aire (l'Associazione italiana per la ricerca sul cancro) ha scoperto il modo per distinguere inequivocabilmente una cellula giovane da una vecchia. Quest'ultima infatti emette un segnale d'allarme, lo stesso usato quando il patrimonio genetico viene danneggiato. Fino a oggi l'unico modo per distinguerle era metterle in cultura e aspettare giorni o mesi, se non si replica vano piu’, erano vecchie. Lo studio, pubblicato ieri sera sul sito Internet di Nature, e’ stato condotto all'Universita’ di Cambridge e ora proseguira’ a Milano, all'Istituto Firc di oncologia molecolare (Ifom) dove d'Adda dirige la neonata unita’ di «Telomeri e senescenza». La ricerca aggiunge nuovi e importanti elementi alla conoscenza sui tumori, abbiamo chiesto a Fabrizio d'Adda di spiegarci perche’. In cosa consiste la sua scoperta? Se prendo delle cellule, come quelle della pelle, e le metto in coltura, si duplicheranno per un certo numero di giorni, poi si fermeranno. Allora sono dette senescenti: sono vive, continuano la loro attivita’ metabolica, ma non si dividono piu’. Questo si sapeva da molti anni. Si era ipotizzato che le cause fossero legate alle "punte", alle parti terminali dei cromosomi, i telomeri. Si era infatti osservato che si accorciano, si "consumano", ogni volta che la cellula si divide. L'ipotesi era che le cellule si fermassero quando i telomeri diventavano troppo corti. Un'altra cosa che si sapeva e’ che se prendo una cellula giovane e la danneggio, rompendo il Dna, parte un allarme: la cellula smette di duplicarsi e cerca di riparare il danno. Se ci riesce ricomincia a duplicarsi, altrimenti no. Questo segnale d'allarme e’ facilmente rilevabile in laboratorio con opportuni marcatori. Noi abbiamo fatto uno piu’ uno: abbiamo ipotizzato che forse, quando i telomeri diventano troppo corti, la cellula li scambia per Dna danneggiato e arresta la duplicazione. I telomeri quando sono danneggiati non si possono riparare e dunque la cellula e’ costretta ad arrestarsi entrando nella fase di senescenza. Quello che noi abbiamo dimostrato e’ che I° cellule senescenti hanno gli stessi marcatori che indicano il Dna danneggiato. C'e’ quindi un meccanismo comune. Si. Se prendo una cellula giovane grazie ai marcatori riesco a vedere in che punto e’ danneggiata, sappiamo infatti che alcune proteine si accumulano dove il Dna e’ rotto, si "appiccicano" li e cercano di ripararlo. Come dei minuscoli meccanici. Usando i marcatori su una cellula senescente trovo che esistono dei punti che vengono evidenziati come Dna danneggiato e questi non sono altro che i telomeri troppo corti. Ma se le cellule, duplicandosi, producono "figlie" con i tel0meri sempre piu’ corti, a un certo punto tutte le cellule "sorelle" diventeranno senescenti, da dove arrivano dunque le cellule giovani? Vengono prodotte dalle cellule staminali che sono le uniche che riescono a mantenere i telomeri lunghi all'infinito, gr4ie a un enzima, chiamato telomerasi. Quali sono le possibili applicazioni di questa scoperta? ' Abbiamo oggi a disposizione Idei marcatori per andare a cercare cellule senescenti in vivo, nei tessuti degli uomini o in modelli animali. Possiamo dunque vedere se esistono cellule senescenti nel giovane e nell'anziano, oppure in certe malattie. In che modo i suoi studi possono servire per capire meglio il cancro? Sappiamo che l'invecchiamento e’ statisticamente associato a una maggiore incidenza di cancro. Studieremo i legami tra la presenza di cellule senescenti e di tumori. Altri ricercatori hanno dimostrato che se mescoliamo cellule "vecchie" con cellule cancerose queste ultime crescono meglio, come se le cellule senescenti le stimolassero. Si dice pero’ che negli anziani il tumore procede piu’ lentamente, come puo’ succedere? E’ vero che nell'anziano il cancro e’ piu’ lento, e’ anche vero pero’ che i tumori sono molto piu’ frequenti. La maggiore lentezza potrebbe essere dovuta al fatto che le cellule che diventeranno cancerose, essendo mediamente piu’ vecchie, partono gia’ con i telomeri piu’ corti e possono proliferare meno. E’ stato anche suggerito che la senescenza sia una barriera al cancro: se la cellula "impazzisce" e inizia a replicarsi indiscriminatamente, come accade nel cancro, a un certo punto e’ costretta a fermarsi perche’ si accorciano i telomeri. Ma allora cosa accade nei tumori, perche’ le cellule malate continuano a prolificare? Penso che venga spento il segnale d'allarme di cui parlavo prima, che vengano cioe’ mutati i geni coinvolti nell'arresto della duplicazione cellulare. Per esempio la P53 e’ una delle proteine coinvolte nella senescenza ed e’ anche coinvolta in molti tumori. Se la tolgo la cellula senescente riparte, ricomincia a duplicarsi. Un'altra possibilita’ e’ che le cellule malate sintetizzino l'enzima che permette alle staminali di tenere i telomeri lunghi, e dunque duplicarsi all'infinito. Prima lavorava nel Regno Unito, ora e’ tornato, qual e’ stata la sua carriera? Ho studiato alla Scuola internazionale superiore di studi avanzati (Sissa) di Trieste, dove ho conseguito un dottorato internazionale in genetica molecolare, poi mi sono trasferito a Cambridge per sette anni perche’ li c'era Steve Jackson, grande esperto dello studio delle cellule quando il Dna viene danneggiato. Volevo cercare di applicare quello che sapevano agli studi sui telomeri e la senescenza. Sono tornato in Italia ai primi di settembre. Una scelta controcorrente. Perche’ ha deciso di tornare? L'Istituto Firc di oncologia molecolare mi ha fatto la proposta piu’ interessante, infatti volevo continuare a occuparmi di biologia molecolare, ma anche delle applicazioni di questa allo studio e alla cura delle malattie. Qui all'Ifom ci sono ricercatori con molta esperienza, colleghi molto stimolanti, vi sono gli strumenti e le competenze. La ricerca italiana puo’ essere competitiva? Si, gli istituti di eccellenza, come l'Ifom, il Dibit del San Raffaele, l'Istituto europeo di oncologia, a Milano, o il Tigem, l'istituto Telethon di Napoli, assolutamente non sfigurano a livello internazionale. Pero’ sicuramente il sistema Italia non compete a livello internazionale, per esempio con l'Inghilterra. LARA RICCI