L'UNIVERSITA’ NEL LABIRINTO GLI ATENEI «SI DIVIDONO» 170 DOCENTI ALBERONI: UNIVERSITA’, LA CASA DOVE NON ABITANO GLI SCIENZIATI OTTO PROFESSORI REPLICANO AD ALBERONI ALLA CAMERA SI SOLLECITA LA PARTENZA DEGLI ATENEI «A DISTANZA» ITALIANI SBRONZATEVI, AIUTERETE LA RICERCA CAGLIARI: 2003, FUGA DALL’UNIVERSITA’ CAGLIARI: AUMENTANO I LAUREATI, PIU’ BREVI I TEMPI DELLO STUDIO SASSARI: CITTA’ PER GLI SCIENZIATI DA 40 MILIONI DI EURO CNR, PARTE. LA RISTRUTTURAZIONE COME TI SPRECO I FONDI DEL-C.N.R CARA MORATTI COME SCEGLIE LE RICERCHE DA FINANZIARE? PER LA RICERCA GLI USA SI AFFIDANO A STRANIERI PRODI: CROLLATI I CONTRIBUTI DEI PRIVATI PER LA RICERCA CONFINDUSTRIA A PRODI: «GLI INVESTIMENTI PRIVATI CI SONO, MA NON SI VEDONO» CARA MORATTI, CI VUOLE UN DECRETO «SALVA-RICERCA». FIRMATO CNR CHI BLOCCA DAVVERO I RICERCATORI RICERCATORI ASSUNTI? MA NO, QUELLO DELLA MORATTI E’ UN BLUFF E ORA PROTESTANO I NEOPROFESSORI PER LA RICERCA NON SERVONO I GRANDI ISTITUTI QUANDO I CERVELLI FUGGONO VERSO L'ITALIA ================================================================== SANITA’, INDIVIDUATI I POSTI PER LE LAUREE SPECIALISTICHE LA NUOVA FRONTIERA DELLA TELEMEDICINA SI CHIAMA TELBIOS LAUREE BREVI PARALIZZATE IN SARDEGNA ASL E UNIVERSITA’: CHI NON VUOLE LE "AZIENDE"? CHIRURGO SCAGIONATO DAL GIUDICE RIVENDICA L’INCARICO AL BROTZU SANITA’ IN SARDEGNA DISAVANZO RECORD IL BUCO NERO DELLA SANITA’ SARDA CELLULE STAMINALI, FALLISCE LA TRAPPOLA YANKEE ANTIBIOTTICI 2:LA VENDETTA LA RICERCA GENETICA? VA PIÚ VELOCE DAL POMODORO L'ANTIDOTO ALLA TBC SCOPERTO IN ISRAELE UN LASER SOLIDO CHE RIVOLUZIONA LA CHIRURGIA RETINICA IN ITALIA IL LASER A ELETTRONI LIBERI» NANOPARTICELLE A CACCIA DEI VIRUS CURE ANTIDOLORE, IN ITALIA LE RICEVE IL 30 PER CENTO SCLEROSI MULTIPLA USARE CANNABIS E’ UTILE A 3 SU 4 IL SAN RAFFAELE AVRA’ IL PRIMO SUPERCOMPUTER BLU GENE" CELLULE DELLA MILZA PER PRODURRE INSULINA SEMPRE PIU’ ALLERGIE ================================================================== ___________________________________________ Repubblica 21 nov. ’03 L'UNIVERSITA’ NEL LABIRINTO ADESSO sembra proprio che saranno assunti. Ha fatto dunque bene il presidente Ciampi a intervenire, l'altra settimana. I mille e settecento ricercatori vincitori di concorso ma nell'impossibilita’ di prendere servizio (e dunque di ricevere lo stipendio) per il blocco delle assunzioni stabilito nella passata Finanziaria e rinnovato in quest'ultima sono stati un intollerabile scandalo - anche se e’ una grottesca deformazione immaginarli tutti giovanissimi (purtroppo non lo sono: ed e’ un problema), e tutti in partenza per l'estero. Il risparmio che si e’ realizzato ritardando l'inizio del loro lavoro e’ comunque per lo Stato micidiale e autolesionistico: sospese e minacciate non sono state solo un paio di migliaia di carriere, ma le speranze e il futuro stesso di un Paese che non sa far altro, per far quadrare i conti, se non di colpire e compromettere i suoi studi e la sua intelligenza. C'e’ pero’ di piu’. Perche’ il blocco non riguarda soltanto il primo gradino della carriera accademica (quello di ricercatore, appunto), ma anche tutti gli sviluppi successivi: e dunque i posti di professore associato e ordinario. Certo, in questi casi il problema si presenta in modo meno drammatico, perche’ quasi sempre non si tratta di nuove assunzioni – e dunque di studiosi che la sospensione riduce alla condizione di disoccupati - bensi di progressioni di carriera perchi e’ gia’ nell'Universita’. Ma si sconvolge egualmente un meccanismo delicatissimo, che in Italia, per molte ragioni, stenta a funzionare correttamente: quello del ricambio (e dell'allargamento, ove necessario) della docenza universitaria, e proprio alla soglia di un quinquennio in cui si concentrera’, per ragioni anagrafiche, il pensionamento di una quota rilevante (oltre il cinquanta per cento) degli attuali professori. La verita’ e’ che queste scelte profondamente sbagliate vengono prese - come altre piu’ generali in materia di finanziamenti al sistema universitario -sulla base di pregiudizi molto diffusi: che l'Universita’ italiana sia, nel suo insieme, un luogo di sprechi e di parassitismi, dove ogni lesina e ogni risparmio e’ accettabile, ed e’ addirittura pensabile di realizzare una grande riforma a costo zero (anche questo e’ accaduto), perche’ non si incide mai sulla carne viva, ma solo su incrostazioni perniciose e attese corporative. Un bel concentrato di questi luoghi comuni e di falsita’, lo si poteva leggere sul "Corriere della Sera" per la penna di Francesco Alberoni. Sono idee inappropriate e ingiuste, di cui varrebbe la pena di scrivere la storia: sostanzialmente figlie di una cattiva lettura dei processi di trasformazione delle nostre strutture accademiche, che hanno fatto da alibi a molte politiche pubbliche, non solo di centrodestra, e che rischiano oggi di produrre conseguenze disastrose, se non si corre ai ripari. Certo, vi sono stati e vi sono sprechi e inefficienze. Ma questi non si combattono con i tagli indiscriminati, ma introducendo una cultura della valutazione e della competizione, una prassi di proporzionalita’ tra finanziamenti e risultati (non solo in termini di quantita’, ma di qualita’). Un altro terreno cruciale, su cui simili pregiudizi rischiano di avere conseguenze gravi, e’ quello della creazione dei cosiddetti "centri di eccellenza", di cui si e’ molto parlato in queste settimane. Che vadano costituiti, per quanto con cautela, nessuno piu’ seriamente dubita (su questo giornale, lo si sostiene da almeno un decennio): ed era ora. Ma se si parte dall'idea che nell'Universita’ e negli Enti di ricerca italiani non vi sia quasi niente da salvare - perche’ tutto e’ disordine, clientele e sperpero - e che per far bene si debba ripartire per forza da zero, la linea che finisce con l'emergere e’ che queste nuove strutture vadano concepite se non proprio contro, almeno al di fuori del sistema universitario - in una posizione tendenzialmente antagonista - attraverso decisioni inevitabilmente centralizzate e verticistiche. Se cosi’ accadesse, non cominceremmo nel modo giusto, e rischieremmo di bruciare molte buone idee: lo dico anche a proposito della costituzione dell'Istituto Italiano di Tecnologia: un progetto che merita attenzione, se realizzato in maniera corretta. L'Universita’ italiana e’ uno straordinario serbatoio di risorse, di esperienze, di talenti. La si (leve orientare, nel rispetto della sua autonomia; non ignorare o lasciare morire d'inedia. La nuova rete delle "eccellenze"-un completamento indispensabile della riforma, che ristabilisce equilibri altrimenti spezzati -va predisposta al suo interno: scegliendo, valutando, distinguendo: l'autentico compito di una politica pubblica degna di questo nome. Incoraggiando il momento dell'auto -organizzazione, piuttosto che quello del disciplinamento esterno. Ci vuole tempo, pazienza, e collaborazione tra forze diverse, ma si puo’ fare. Per le scienze umane e’ in corso un esperimento importante in questo senso, appena ricordato da Paolo Mieli. Un'iniziativa al di sopra di qualunque appartenenza, passata indenne attraverso tre governi e un cambio di maggioranza. E' un esempio da non lasciare in controtendenza: dovrebbe divenire la regola, indicando un metodo. La posta e’ troppo importante per poterla mancare: e c'e’ molto bisogno del sostegno di un'opinione pubblica informata e attenta, e capace di farsi sentire. ___________________________________________ Il Sole24Ore 21 nov. ’03 GLI ATENEI «SI DIVIDONO» 170 DOCENTI Il Governo approva la ripartizione tra universita’ - Misure per gli agrotecnici ROMA a Universita’, via libera a 170 assunzioni. Il consiglio dei Ministri ha approvato ieri un decreto presidenziale che, secondo il programma di assunzioni approvato nel luglio scorso, ripartisce tra gli atenei le 170 nuove figure professionali gia’ autorizzate, sulla base di criteri definiti dalla Conferenza dei Rettori (Crui). Le universita’ potranno, in caso di necessita’, assumere anche personale con professionalita’ diverse da quelle richieste e autorizzate (dando, pero’, la precedenza ai docenti e ai ricercatori), nell'ambito delle risorse assegnate. Sempre in tema di universita’, ieri il Presidente della Crui, Piero Tosi, ha detto che gli stanziamenti per l'universita’ ottenuti nella Finanziaria rappresentano «un primo risultato positivo, ma che ser ve solo a tamponare l'emergenza». Tosi ha sottolineato che - rispetto allo scorso anno - lo stanziamento per il Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) e’ aumentato del 5%. E, i 150 milioni di cure previsti all'inizio dalla Finanziaria sono diventati 270 per le universita’ statali, ai quali vanno aggiunti 10 milioni di euro per gli atenei non statali, 20 milioni per il diritto illo studio e 46 milioni per l'assunzione di ricercatori. Unico neo i fondi per l'edilizia universitaria, che sono diminuiti di 150 milioni di euro. Novita’ in arrivo anche per le associazioni studentesche. Sempre al Consiglio dei ministri e’ stato approvato ieri, in via preliminare, uno schema di regolamento proposto dal ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, che modifica la disciplina relativa ai «Forum nazionali delle associazioni studentesche e dei genitori». Il testo detta requisiti di maggiore rappresentativita’ per l'ammissione ai Forum e definisce le procedure di accreditamento. Sul provvedimento sara’ acquisito il parere della Conferenza Stato-Regioni. Via libera, infine, a uno schema di regolamento che, in esecuzione di una sentenza dei 'Tar Lazio, include gli agrotecnici tra i professionisti esentati dalla prova di valutazione per il rilascio del certificato di abilitazione alla vendita dei fitofarmaci. Sul testo saranno acquisiti i prescritti pareri. ALTR. _____________________________________________________ Corriere della Sera 17 nov. ’03 ALBERONI: UNIVERSITA’, LA CASA DOVE NON ABITANO GLI SCIENZIATI PUBBLICO & PRIVATO Alberoni Francesco Negli Stati Uniti o in Inghilterra la parola «ricercatore» indica uno scienziato impegnato in una ricerca. Puo’ essere giovane o anziano, avere un basso grado accademico o uno alto, puo’ anche essere un premio Nobel. In Italia la parola, invece, indica il piu’ basso livello della gerarchia universitaria. Quando i giornali scrivono che ci sono 17 mila ricercatori che aspettano di essere assunti, non si riferiscono a scienziati che, non trovando lavoro in Italia, porteranno il loro prezioso cervello e le loro eccezionali competenze all' estero. No, parlano di 17 mila persone che hanno ottenuto l' idoneita’ al piu’ basso concorso universitario. E poiche’ in ogni concorso ci sono tre vincitori ma ne viene assunto uno solo, gli altri sono dichiarati idonei e aspettano di trovare un posto. Naturalmente fra questi idonei ci possono essere potenziali premi Nobel, ma il concorso non e’ certo indicato per scoprirli. Nell' universita’ italiana, infatti, i risultati dei concorsi, non solo quello di ricercatore, anche quelli di professore associato e di professore ordinario, sono abitualmente decisi anni prima in base a complicate alchimie clientelari e politiche. Per evitare equivoci, nei consueti lamenti sulla «fuga dei cervelli» io suggerisco a tutti, giornalisti, commentatori, ministri, presidenti, di smetterla di parlare di ricercatori, ma di usare l' espressione «scienziati». E' degli scienziati che abbiamo bisogno. E sono gli scienziati veri, o coloro che ne hanno la vocazione e le capacita’, che tendono ad andarsene. E perche’ se ne vanno? Perche’ nel sistema universitario italiano si trovano male, non vengono riconosciuti, non contano, vengono scavalcati dai mediocri appoggiati da professori potenti. Per diventare scienziato bisogna averne la vocazione e l' ingegno, ma poi lavorare in un importante centro di ricerca, accanto a veri scienziati, in un ambiente intellettuale ricco, stimolante, d' avanguardia. La maggior parte delle scoperte vengono da questi luoghi, dove i veri grandi studiosi si scelgono, si invitano, si scambiano informazioni, discutono, polemizzano. E' qui che si stabiliscono le frontiere della scienza. Al di fuori di questi centri non sai nemmeno che cosa cercare. Ma in questi posti ci arrivi solo se vali, e ci resti soltanto se inventi. La fuga dei cervelli e’ la conseguenza della natura della nostra universita’. Qualcuno immagina che in universita’ i professori passino il loro tempo a fare ricerca e, quando si incontrano, discutano di problemi scientifici, appassionatamente, animatamente. No. L' universita’ italiana non e’ un cenacolo culturale, scientifico, una fucina di idee. Io non ricordo, negli ultimi trent' anni, una sola volta, una sola ripeto, che, trovandomi con alcuni colleghi, qualcuno si sia messo a parlare di qualche problema scientifico. Neanche a cena. Nemmeno nei congressi, perche’ quasi tutti restano nei corridoi a fare manovre elettorali per i concorsi, per eleggere i presidi, i rettori, o accordi politici. I veri scienziati, di solito, restano fuori da questo giro, stanno fra di loro, passano il proprio tempo nei laboratori, a studiare, a scrivere, vanno all' estero. Chi domina la scena, chi decide, chi promuove, sono gli altri. www.corriere.it/alberoni _____________________________________________________ Corriere della Sera 18 nov. ’03 OTTO PROFESSORI REPLICANO AD ALBERONI UNIVERSITA' Asor Rosa Alberto Sulla prima pagina del «Corriere della Sera» di ieri, nella rubrica «Pubblico & Privato», Francesco Alberoni ha evidenziato alcuni dei problemi che, secondo la sua tesi, affliggono l' universita’ italiana e contribuiscono a innescare la fuga di ricercatori e scienziati. In particolare, Alberoni ha attaccato il sistema dei concorsi «decisi anni prima in base a complicate alchimie clientelari». L' analisi e le critiche di Alberoni hanno provocato la reazione di otto accademici. Pubblichiamo la lettera dei professori e la replica di Alberoni. Proprio mentre eravamo riuniti presso l' Universita’ di Siena a discutere nell' ambito di una apposita Commissione istituita dalla CRUI (Conferenza dei Rettori delle Universita’ Italiane) su quali proposte avanzare all' opinione pubblica e alle forze politiche per migliorare le condizioni non proprio felici delle nostre Universita’, abbiamo letto l' articolo di Francesco Alberoni nel «Corriere della Sera» di ieri. Dobbiamo dire la verita’: ci sono cascate le braccia. Alberoni mette insieme dati di fatto sbagliati (non e’ vero, ad esempio, che i concorsi per ricercatori designano tre idonei; in realta’ - com' e’ giusto - si limitano a indicare un solo vincitore; cosi’ come e’ sbagliato che i vincitori assommino alla cifra di 17 mila), giudizi puramente denigratori sul conto dei docenti universitari, dipinti tutti come dei loschi traffichini impegnati soltanto in giochetti accademici, nonche’ come totalmente disinteressati, sempre e comunque, a qualsivoglia discussione scientifica. Si tratta di considerazioni sommarie che forse solleticano i diffusi pregiudizi qualunquistici di tanta parte del pubblico italiano sul conto dell' Universita’ come di molte altre istituzioni del nostro Paese, ma che non fanno fare neppure il piu’ piccolo passo avanti ad una discussione seria per dare all' Italia un' Universita’ migliore. Alberto Asor Rosa Alessandro Bianchi Massimo Egidi Alessandro Figa’ Talamanca Ernesto Galli Della Loggia Angelo Panebianco Aldo Schiavone Piero Tosi Per migliorare la qualita’ dell' Universita’ del nostro Paese bisogna avere il coraggio di ammetterne i difetti. In particolare l' infernale meccanismo dei concorsi universitari fatto di incessanti manovre, liste elettorali, accordi, anche politici, su chi promuovere e chi bocciare stipulati anni prima. Come potete negarlo? E siete veramente sicuri che chi si dedica completamente alla ricerca, alla scienza, chi ha valore, ma resta fuori da queste manovre, venga riconosciuto e premiato? Francesco Alberoni ___________________________________________ Il Sole24Ore 22 nov. ’03 ALLA CAMERA SI SOLLECITA LA PARTENZA DEGLI ATENEI «A DISTANZA» ROMA a Il Parlamento spinge per il decollo delle universita’ a distanza. Anche perche’, dopo diversi mesi dall'insediamento della commissione ministeriale ad hoc che deve valutare la nascita degli atenei ordine, non ci sono ancora segni ufficiali di decisione. L'istituzione delle "open university" e’ avvenuta con la legge n. 289 del 27 dicembre 2002 e con il decreto dei ministri Letizia Moratti e Lucio Stanca del 17 aprile scorso. La commissione d'esame per le richieste di apertura di questi atenei ha cominciato di fatto i lavori a settembre. In questo scenario, Giuseppe Marinello (Forza Italia) ha presentato un'interrogazione a risposta immediata al ministro dell'Istruzione che dovrebbe essere discussa la prossima settimana. Marinello chiede a Letizia Moratti «cosa intenda fare affinche’ la legge 289/2002 diventi operativa nel piu’ breve tempo possibile accelerando i tempi di valutazione del comitato di esperti, sbloccando gli indispensabili processi di modernizzazione che consentano all'Italia di allinearsi al resto d'Europa»: In effetti le open university sono gia’ una realta’ consolidata da anni in molti altri Paesi, quelli anglosassoni in particolare. In Italia, pero’, la nascita degli atenei a distanza ha suscitato forti perplessita’ e resistenze da parte del mondo accademico. Marinello, tuttavia, obietta che con le strutture online e’ possibile «ridurre la grave dispersione scolastica che caratterizza l'universita’ italiana e agevolare l'utenza disagiata che va dal lavoratore al disabile, ai residenti lontani dalle sedi didattiche». M.mD. ___________________________________________ Il Sole24Ore 21 nov. ’03 ITALIANI SBRONZATEVI, AIUTERETE LA RICERCA DI GILBERTO CORBELLINI Geniale! Dobbiamo riconoscere ai parlamentari' e ai ministri di questo Paese un'abilita’ unica nell'escogitare soluzioni originali e dagli effetti combinati per risolvere i problemi piu’ difficili. In Italia non si riescono a trovare finanziamenti per la ricerca scientifica e per assumere nuovi ricercatori, in particolare coloro i quali hanno gia’ vinto un concorso e non possono prendere servizio a causa del blocco delle assunzioni, e che minacciano di andare all'estero sfruttando la leggenda della fuga dei cervelli. In 1.500 avrebbero gia’ altrettante proposte da istituti di ricerca all'estero? Non stiamo forse un po' esagerando? Ma non sottilizziamo. Spaventato dalla risonanza mediatica che ha avuto la minaccia, il Governo ha pensato bene di reperire i fondi aumentando le tasse sugli alcolici. Di per se’ non e’ molto elegante e forse neppure educativo sfruttare economicamente comportamenti che vanno a danno della salute individuale e pubblica. Ma non sottilizziamo neppure in questo caso, e non stiamo a notare la contraddizione con le campagne contro il consumo di alcolici e le stragi del sabato sera. Quello che suscita ammirazione e’ che si e’ trovato il modo di incentivare il consumo di alcol. Come? Con il decreto che equipara droghe leggere (cioe’ la cannabis, che rispetto agli effetti dell'alcol e’ praticamente innocua) e droghe pesanti. Infatti, tra le deleterie conseguenze di questo assurdo decreto, oltre a estendere pericolosamente l'area del crimine giovanile, ci sara’ un aumento del consumo delle droghe di Stato. Prima di tutte l'alcol. E cosi’ abbiamo i soldi per assumere i ricercatori. Ma dove trovare il danaro per consentire ai ricercatori di fare ricerca? Che diamine? Il problema si Puo’ risolvere vietando le ricerche di frontiera. Quelle che costano. basta continuare a sabotare la ricerca sugli ogni e approvare la legge sulla fecondazione assistita. In questo modo si sterilizzeranno in una buona parte i settori di ricerca agganciati alle biotecnologie, come quelli riguardanti la biologia della riproduzione e delle staminali embrionali. Magari si fara’ della sana ricerca autarchica. Chi se ne importa (un tempo si diceva, «me ne frego!») se il 65% degli italiani e’ d'accordo con la clonazione terapeutica (sondaggio Gallup pubblicato lunedi’ scorso). Geniale, quasi come la «via italiana» alla ricerca sulle staminali. Come la via italiana al liberalismo, che ci sta portando dritti verso lo stato etico e le piu’ improbabili forme di paternalismo. _____________________________________________________ L’Unione Sarda 18 nov. ’03 CAGLIARI: 2003, FUGA DALL’UNIVERSITA’ Cali evidenti soprattutto tra le matricole di Giurisprudenza, Economia e Lettere Ottocento iscritti in meno rispetto all’anno scorso Forse e’ colpa del calo delle nascite. Oppure molti giovani cagliaritani hanno sentito il richiamo delle Universita’ d’oltremare. Altrimenti, ed e’ l’ipotesi meno rassicurante, tra i diplomati di questa estate in tanti, in troppi hanno sentito l’urgenza di dare la caccia a un lavoro piuttosto che a una laurea. Qualunque sia il motivo, il dato certo e’ che le iscrizioni all’ateneo cagliaritano calano. E non di poco: ottocento matricole in meno rispetto all’anno scorso. O per essere piu’ precisi, 797. Vale a dire che la coda di ragazze e ragazzi davanti alle segreterie quest’autunno si e’ accorciata di oltre il dieci per cento, e non perche’ la burocrazia universitaria sia diventata piu’ veloce. Un mese fa, quando gia’ il calo si profilava in modo evidente, il rettore Pasquale Mistretta aveva messo le mani avanti, spiegando che il boom delle iscrizioni di ultraquarantenni - universitari di ritorno - a corsi come Storia o Beni Ambientali e’ finito. Eppure il calo interessa solo in parte le facolta’ umanistiche, e si fa sentire severamente sul polo economico-giuridico. A salvare in parte la situazione e’ Farmacia, per fare un esempio di crescita netta: l’anno scorso 308 iscritti, quest’anno 346, quasi quaranta in piu’. Meglio ancora per Medicina: alla fine del 2002 furono 170 a scegliere la lunga e difficile strada verso il camice. Stavolta ben 264: una crescita del 35 per cento. Ed e’ virtuoso anche il rapporto tra nuovi arrivati e studenti che concludono con successo, visto che anche il numero delle lauree e’ in crescita costante: le discussioni delle tesi sono quasi raddoppiate in cinque anni, passando dalle 150 del 1998 alle 293 del 2002. Tiene duro, perdendo appena qualche matricola, la facolta’ d’Ingegneria, che ha immatricolato 1043 nuovi studenti contro i 1060 dell’anno passato. Le botte peggiori sono per Giurisprudenza, Economia e Lettere e Filosofia. Calano nettamente gli aspiranti avvocati (o magistrati, ma per questi ultimi sarebbe comprensibile viste le incertezze sul bando dei concorsi nazionali): nel 2002 scelsero di studiare Legge in 903, quest’anno sono stati 724. Quasi il venti per cento in meno. Peggio ancora per quanto riguarda Economia, dove la flessione e’ del 23 per cento, con 221 iscritti in meno rispetto ai 963 di dodici mesi fa. Meglio, decisamente, la tendenza di Scienze Politiche, che dalle 864 iscrizioni del 2002 passa a 901 con un aumento, modesto ma prezioso proprio perche’ controcorrente, del 4 per cento. E in tema di buone notizie, si sta contraendo la tendenza ad andare fuori corso. Tra l’anno accademico ’91/92 e il ’99/2000 gli studenti ritardatari a Cagliari erano cresciuti dal 37,2 per cento al 57,1 per cento del totale. Secondo i dati elaborati dall’Universita’ ai primi del mese, ora i fuori corso cagliaritani sono 16.644 su 35.375 iscritti, vale a dire il 47 per cento della popolazione studentesca. Celestino Tabasso CAGLIARI. I numeri dell’ateneo 3643 sono le tesi discusse nell’arco dell’anno scorso. I dati di quest’anno sono complessivamente in linea: all’11 di novembre i laureati del 2003 erano 3008. 1424 sono i laureati all’Universita’ di Cagliari del 1993. Nell’arco di dieci anni le lauree sono cresciute del 155 per cento. 791 sono i laureati in Ingegneria nel 2002, contro 163 di dieci anni prima. Gli iscritti sono 6132, le matricole 1043 (vale a dire sostanzialmente lo stesso numero dell’anno scorso, quando i nuovi iscritti furono 1060). 309 sono i laureati in Scienze Politiche nel 2002, una delle facolta’ che hanno registrato l’aumento piu’ forte nelle tesi discusse: dieci anni prima furono 40, nel ’94 66, 156 nel ’99. 385 sono i laureati in Giurisprudenza nell’arco del 2202. Oggi gli iscritti sono , gli studenti immatricolati quest’anno 724 (contro i 903 dell’anno prima).4438 _____________________________________________________ L’Unione Sarda 21 nov. ’03 CAGLIARI: AUMENTANO I LAUREATI, PIU’ BREVI I TEMPI DELLO STUDIO Le tesi discusse sono cresciute del 97 per cento nell’arco degli ultimi sei anni Ma com’e’ giovane, dottore Le iscrizioni scendono, i laureati aumentano, i fuori corso pian pianino tolgono il disturbo. In due battute e’ il ritratto dell’Universita’ di Cagliari, che rispetto agli anni scorsi sta sfornando un numero di neo dottori sempre piu’ alto. Basta dire che nell’arco di sei anni la tesi discusse sono praticamente raddoppiate: 1840 nel 1997, 3643 nel 2002, un aumento del 97 per cento. E se la soglia di chi esce - con profitto - dall’Universita’ aumenta costantemente, quello di chi entra decresce in modo sensibile. Eppure, a fronte del secco meno ottocento registrato dall’ateneo confrontando le matricole del 2003 con quelle dell’anno scorso, ci sono alcune facolta’ che riescono a essere doppiamente virtuose: piu’ laureati che in passato, piu’ iscrizioni di prima. A parte Scienze Politiche - uno dei casi piu’ confortanti, gia’ illustrato nel servizio di martedi’ 18 - tra le facolta’ che figurano meglio per numero di iscrizioni e di lauree ci sono Medicina e Scienze della Formazione. «Probabilmente i ragazzi sentono il fascino di un corso di studi particolarmente interessante - sorride il preside di Medicina, Gavino Faa - che tra l’altro offre un vantaggio non da poco: non costringe a scegliere subito. I cinque anni di specializzazione arrivano dopo i sei del corso di laurea, c’e’ tutto il tempo per decidere quale ramo scegliere». E gli innamorati del camice sarebbero molti di piu’ rispetto a quel che dicono le statistiche dell’Universita’, «ma per via del numero programmato possiamo accogliere solo 170 domande su circa sei- settecento, ed e’ un peccato perche’ sicuramente escludiamo studenti che potenzialmente sarebbero ottimi medici». Ma tra i 293 che hanno scelto la facolta’ di Faa (contro i 235 dell’anno scorso) ci sono anche i giovani che frequenteranno le lauree brevi: «Per loro nessun problema a trovare lavoro, ma anche per medici specializzati come gli anestesisti o i radiologi: non fanno in tempo a uscire dall’Universita’ che trovano gia’ un concorso ad aspettarli». Meno entusiasmanti le prospettive di occupazione per chi esce dall’altra facolta’ macina-lauree e trita-iscrizioni, Scienze della Formazione. Come spiega il preside Alberto Granese, per i laureati - che in dieci anni i laureati sono passati dai 99 del 1993 ai 541 dell’anno scorso, e i dati parziali di quest’anno sembrano confermare l’aumento di oltre il quattrocentoquaranta per cento - le probabilita’ di lavoro «sono discrete, a patto che ci si sappia in qualche modo inventare un’occupazione. Lo sbocco naturale un tempo era l’insegnamento, ma ormai quel mercato e’ saturo e i tempi medi d’attesa per un impiego sono lunghi». Eppure gli iscritti aumentano e cosi’ pure i laureati, «probabilmente perche’ i giovani attribuiscono piu’ valore che in passato alla laurea, che e’ vissuta anche dalle famiglie con grande partecipazione, come una promozione sociale: vedo molti piu’ fiori, piu’ parenti e piu’ macchine fotografiche che in passato». I festeggiamenti aumentano, le lauree pure. I problemi cominciano dopo. Celestino Tabasso Direttiva del rettore Sempre meno ritardatari FUORICORSO RAZZA A RISCHIO Benvenuti ma non trattenetevi troppo. Potrebbe essere questo il motto da incidere all’ingresso dell’Universita’ cagliaritana. Un po’ per il nuovo corso di presidi e docenti, che tengono sempre piu’ a non trattenere troppo a lungo gli studenti tra le mura della facolta’, un po’ per via della direttiva 6 del Rettore Pasquale Mistretta (nella foto), un documento di circa due anni fa che in sintesi dice: vediamo di non ostacolare troppo chi vuole concludere proficuamente il suo corso di studi. Semplificazioni burocratiche, sia chiaro: «Non c’e’ stata una facilitazione selvaggia degli esami - chiarisce il preside di Scienze della Formazione Alberto Granese - Dal punto di vista didattico pero’ il sistema dei crediti elimina qualche fantasia formativa che il docente potrebbe nutrire, evitando che il carico sullo studente sia piu’ pesante del docuto». Ma la ricetta prevede anche il tutoraggio: «Se la meta’ dei nostri studenti si laurea in corso o con al massimo un anno di ritardo - spiega il preside di Medicina Gavino Faa - e’ anche perche’ li prendiamo per mano da subito, seguendoli sempre piu’ da vicino nella loro carriera e organizzando piu’ di un’attivita’ in gruppi piccoli e piu’ efficaci». _____________________________________________________ L’Unione Sarda 18 nov. ’03 SASSARI: CITTA’ PER GLI SCIENZIATI DA 40 MILIONI DI EURO Il Polo naturalistico lancia l’Universita’ su standard europei Il rettore Maida: «Facciamo un salto nel futuro» Una citta’ della scienza alla periferia della citta’. Un mostro sacro della moderna architettura che si estendera’ per 12 ettari in muratura e vetrate. E’ il polo naturalistico della facolta’ di Scienze matematiche, chimiche, fisiche e naturali, che oltre all’agognato orto botanico ospitera’ anche aule e laboratori di Medicina, Agraria, Giurisprudenza e Scienze politiche. Il progetto, realizzato dal preside della facolta’ di Architettura Vanni Maciocco, segna un passo nel futuro per un’universita’ che non vuole restare indietro rispetto a quelle del resto d’Europa. I lavori iniziati nel 1999, con un finanziamento di 38 milioni e 734mila euro stanziati dal Ministero dell’universita’, dovrebbero essere completati a cavallo tra il 2005/2006. Nei cantieri di Piandanna fervono i lavori e proprio nei giorni scorsi gli operai hanno iniziato a mettere in opera gli infissi e il rivestimento esterno. «L’opera rientra nel piano edilizio dell’ateneo Ñ dice il rettore Alessandro Maida Ñ che punta a raggiungere requisiti di altissimo livello per quanto riguarda edilizia, assistenza, corpo docente e servizi offerti agli studenti. Facciamo l’impossibile perche’ la nostra universita’ sia competitiva con quella degli altri Paesi dell’Unione europea». E il polo naturalistico consentira’ di combattere con armi adeguate. Ma ecco i dettagli: «Tre ettari saranno occupati da una piccola parte edificata, gli altri nove saranno lasciati liberi per realizzare l’orto botanico vero e proprio» spiega Maida. Il primo lotto, piu’ piccolo, ospitera’ dieci aule per un totale di 1400 posti. Le piu’ capienti grandi potranno accogliere sino a 200 persone e saranno utilizzate esclusivamente per svolgere le normali attivita’ didattiche. Ci sara’ spazio anche per le aule dei vari dipartimenti della facolta’ di Scienze e per i numerosi e sofisticati laboratori sparsi in diverse zone del centro cittadino. I corpi del polo naturalistico saranno collegati tra loro, rendendo piu’ agevole ed efficiente il lavoro di studenti e ricercatori. Una parte del futuro orto botanico sara’ al coperto, con numerose serre, l’altra sara’ all’esterno e ospitera’ orti acquatici e terrestri. Una volta conclusi i lavori pero’ occorrera’ trovare altri finanziamenti per poter impiantare le specie vegetali. «Al termine dei lavori ci penseremo - taglia corto Maida - e’ presto per ipotizzare altre spese, si vedra’ in base alla tipologia e all’organizzazione dell’orto botanico. Che certamente non spuntera’ come i funghi nel giro di una notte: cittadini, studenti e turisti dovranno pazientare. Ci vorranno almeno vent’anni per vedere i risultati di questo progetto». In ogni caso lo spettacolo sara’ assicurato e il pubblico potra’ godere di uno scenario naturalistico insolito e suggestivo. D’altra parte il rettore non nasconde la sua soddisfazione per un’opera «avveniristica, imponente e prestigiosa». E conclude: «L’unico rammarico e’ che gli standard architettonici di quest’opera siano difficilmente raggiungibili per tutte le altre strutture universitarie». Gina Falchi __________________________________________ Il Sole24Ore 18 nov. ’03 CNR, PARTE. LA RISTRUTTURAZIONE «Quello che serve e’ un intervento pesante e radicale basato su scelte prioritarie» - Perplessita’ sull'Iit ROMA a Concentrare le risorse, su pochi fronti, scommettendo sulle eccellenze e mescolando il tutto con dosi massicce di valutazione. E’ questo il cocktail di misure del nuovo piano di riorganizzazione del Cnr annunciato, ieri, dal commissario straordinario Adriano De Maio, in occasione dell'ottantesimo anniversario del Consiglio nazionale delle ricerche. Un piano, questo, che comincera’ a prendere corpo verso gennaio con l' intenzione di ridare slancio alle attivita’ scientifiche e cambiare il volto al piu’. grande ente di ricerca italiano nel giro di 4-5 anni. Entro Natale il commissario, nominato lo scorso giugno per traghettare per 12 mesi il Cnr appena riformato, concludera’, infatti, la mappatura dei vari centri e istituti e dara’ il via libera al restyling. Ispirandosi a una filosofia che sara’ al centro anche del nuovo Piano nazionale della ricerca 2004-2006 in dirittura d'arrivo nelle prossime settimane: quella, cioe’, di scommettere sulle eccellenze presenti nel nostro Paese senza disperdere su troppi fronti le poche risorse a disposizione. E proprio sul capitolo finanziamenti non sono mancate le critiche: nel mirino e’ finito, soprattutto, il progetto, annunciato dalla Finanziaria, di dare vita a un Istituto italiano di tecnologia. Che i ricercatori del Cnr bocciano senza appello come uno spreco di risorse: «Perche’ invece, - e’ stata la provocazione lanciata ieri - non fare un decreto salva- ricerca dopo quello salva-calcio?». Il Cnr si riorganizza. Il rettore della Luiss ha deciso di lasciare il segno nei mesi che gli mancano alla conclusione del suo mandato: «Gli 80 anni del Cnr - ha detto De Maio - sono un momento di svolta simbolico e di frattura rispetto alla situazione precedente. Quello che serve e’ un intervento pesante e radicale». Un intervento che si basera’ su alcuni pilastri: una rete di centri e di istituti nella quale spicchino poche strutture di eccellenza capaci di attrarre ricercatori dall'estero e la capacita’ di puntare su settori strategici e rigidi criteri di valutazione. Si prepara, dunque, un cambio di rotta basato su «scelte prioritarie» che superino barriere e paletti tra istituti e discipline: «Perche’ - si e’ chiesto De Maio - non trasformare l'edificio del Cnr in un Palazzo della Scienza che sia la sede dei quartieri _ generali degli istituti di ricerca, per rendere piu’ agevole scambiare conoscenze e definire strategie»? Quello di cui soffre il Cnr, secondo il commissario, e’ «un eccesso di sparpagliamento, che quasi ovunque impedisce di raggiungere dimensioni critiche. II numero di istituti e sezioni e’ assolutamente eccessivo, cosi come il numero dei temi di ricerca». Bisogna, quindi, concentrare le risorse di eccellenza e mettere in atto un sistema di valutazione «rigido». La strada sara’ «dolorosa e difficile da affrontare», ma per De Maio «va assolutamente affrontata». Una strada, questa, che condivide anche l'ex presidente del Cnr, Lucio Bianco, a patto che «non si applichi la recente riforma voluta dalla Moratti». Tutti contro L’IIT. Sul nuovo istituto di tecnologie, difeso a spada tratta da Tremonti, De Maio sospende ogni giudizio: «Per ora non so che cosa sia l'Iit, non c'e’ un progetto - ha detto il commissario - tuttavia sono felice che la Ragioneria dello Stato e il ministro dell'Economia abbiano trovato i fondi per la ricerca. Allora ci candidiamo per utilizzare quelle risorse». Molto piu’ duro il presidente della conferenza dei direttori degli istituti del Cnr, Luigi Donati che parla di «denaro buttato al vento». «Non abbiamo paura dell'arrivo di strutture e cervelli migliori - ha detto Donati - quello di cui abbiamo paura e’ lo spreco. Ci vogliono almeno dieci anni per mettere in piedi l'Iit». MARZIO BARTOLONI ___________________________________________ Il Sole24Ore 21 nov. ’03 PER LA RICERCA GLI USA SI AFFIDANO A STRANIERI Gli Stati Uniti dipendono sempre di piu’ da ingegneri e scienziati provenienti da Paesi stranieri: lo afferma una ricerca del National Science Board. Intanto diminuisce il numero di cittadini statunitensi che scelgono di studiare scienza e tecnologia. «Ai politici si pone la sfida di creare e formare, nei prossimi anni, talenti sufficienti provenienti sia dagli Stati Uniti che dall'estero», ha spiegato Warren Washington, presidente del National Science Board. ___________________________________________ L’Unita’ 18 nov. ’03 CARA MORATTI, CI VUOLE UN DECRETO «SALVA-RICERCA». FIRMATO CNR Partite ieri le celebrazioni per gli ottant'anni del Centro nazionale delle ricerche. E, chissa’ perche’, la proposta di ristrutturazione del] 'Ente assomiglia alla riforma Berlinguer Federico Ungaro ROMA II commissario del Cnr, Adriano De Maio, ha promesso: entro la meta’ di gennaio rendera’ pubblica la proposta di ristrutturazione del Cnr. Qualcosa che non sembra proprio la riforma Moratti, per la verita’. E che si basa invece su due dei capisaldi della riforma Berlinguer: la riduzione e la concentrazione delle strutture di ricerca da una parte e la valutazione dall'altra. Cosi’, ieri, al Cnr che celebrava i suoi 80 anni, si e’ assistito ad un passaggio ulteriore della complessa vicenda della ristrutturazione della ricerca italiana. Il commissario ha fatto un intervento basato non tanto sulle indicazioni del governo contenute nel famoso decreto di qualche mese fa, quanto sulla necessita’ di rilanciare la ricerca come bene prezioso del paese. E sull'obbligo di ,farlo rompendogli schemi accademici, le rigide divisioni disciplinari, le posizioni di rendita. Una proposta, apparentemente provocatoria, l'ha lanciata Luigi Donato, presidente della conferenza dei direttori degli istituti del Cnr. Dopo il decreto salva-calcio perche’ non un decreto salva-ricerca? «In Italia - ha detto - ci si preoccupa che non si chiuda il campionato di calcio, ma non ci si preoccupa del fatto che possano chiudere i laboratori». Se davvero, ha aggiunto, «la ricerca e’ considerata essenziale per lo sviluppo di un Paese, questa convinzione deve tradursi nei fatti nello stanziamento di risorse». Soltanto questo, ha osservato, potra’ evitare la fuga di cervelli e «tutto sommato - ha aggiunto - si tratta di una somma modesta a confronto di cio’ che il Paese spende in altre iniziative». E ce ne sono state pure per il fantomatico Istituto Italiano di Tecnologia voluto da Tremonti e dalla sua cerchia, ma ignoto alla comunita’ scientifica: «L' ]IT non e’ un progetto - ha detto De Maio - e’ solo un annuncio. Sono contento che il governo abbia trovato tanti soldi per la ricerca». E non e’ certo sfuggita l'ironia tagliente di un commissario che vede finanziare con decine di milioni di euro un progetto vago, esterno alla comunita’ scientifica, proprio mentre si stenta a trovare i soldi per assumere i ricercatori vincitori di concorso. A rendere ancora piu’ surreale un quadro nel quale ogni protagonista espresso dalla maggioranza che governa il paese sembra muoversi per canto suo, e’ venuto il commento dell'ex presidente del Cnr, Lucio Bianco: «Ho sentito il commissario De Maio. Vuole fare le cose che noi avevamo iniziato a mettere in piedi prima che ci bloccassero. In piu’ non parla della riforma Moratti. Se fa quel che ,lice e non la riforma Moratti, ha il mio 7ieno appoggio». In questa situazione, De Maio, da parte sua, ha dettato la rotta alla base del piano che, dopo una consultazione con il mondo della ricerca, presentera’ a meta’ gennaio. Le strade sono tre, ha detto. Primo: tenere al centro le risorse per la ricerca di base, che deve essere fatta dalla mano pubblica «dal momento che i grandi gruppi industriali investiranno sempre meno in ricerca dai tempi lunghi e ad alto rischio». Secondo: risorse per progetti, non su bandi, ma liberi, purche’ organizzati in modo tale da rendere con chiarezza obiettivi e risorse. Terzo: la centralizzazione delle decisioni strategiche attraverso linee guida che guardino nella lunga prospettiva e individuino pochi temi strategici su cui puntare. Insomma, altro che federalismo: occorre una «forte strategia della ricerca», occorre selezionare ulteriormente i centri di eccellenza. ___________________________________________ Economy 20 nov. ’03 COME TI SPRECO I FONDI DEL-C.N.R Prima o poi la Vedremo, una tassa per ola ricerca. Un modo per spingere gli italiani a fare uno sforzo per non perdere il rapporto con l’Europa in un settore strategico. Ma per chiedere questi soldi, secondo Adriano De Maio lo Stato «deve avere le carte in regola». De Maio parla da commissario del Cnr mentre e’ impegnato a preparare la sua proposta di ristrutturazione del piu’ importante istituto di ricerca nazionale. E le carte del Cnr, che assorbe un budget annuo di 814 milioni di euro, non sono affatto in regola», come dimostra il sua bilancio consuntivo in corso di stampa. Molti fondi sono erogati a pioggia e bagnano una giungla di 384 istituti, ridotti, solo sulla carta, a 108 unita’. Non ci sono tracce di una seria valutazione delle ricerche con la distinzione tra i progetti degni di finanziamento, che esistono, e quelli che non hanno alcun valore scientifico. Ancora: la gestione dei beni immobiliari si perde in una girandola di costi. Il Cnr e’ proprietario di sedi sparse in tutta Italia, con una spesa di 15 milioni di euro per le rate dei mutui, e al tempo stesso inqulino di edifici con affitti che superano i 17 milioni di euro. Tra gli immobili di proprieta’ risultano sei piccoli fabbricati ad Anacapri, acquistati nel 72' e mai affittati, in compenso spende 3 milioni di euro per ristrutturarli. Tra gli affitti brillano la sede di Venezia, un palazzo affrescato dal Tiepolo, che costa piu’ di 1 milione di euro l'anno; e quella di Palermo (1,5 milioni di Euro di affitto) intestata a una societa’ della famiglia Rappa,.accusata di riciclare denaro di Cosa nostra. _____________________________________________________ La Repubblica 20 nov. ’03 CARA MORATTI COME SCEGLIE LE RICERCHE DA FINANZIARE? Caro Ministro dell’Istruzione, dell’Universita’ e della Ricerca, che i soldi destinati in Italia alla ricerca scientifica siano scarsi e’ cosa nota a tutti. Rimangono invece oscuri, all’opinione pubblica e, talvolta, anche a noi addetti ai lavori, i criteri con cui vengono assegnati. Lo testimonia il fatto che Le voglio raccontare. Come Lei ben sa, il MIUR distribuisce annualmente i principali fondi per la ricerca scientifica attraverso il cosiddetto "COFIN", la modalita’ di finanziamento dei progetti di ricerca. I progetti sono il risultato della collaborazione di 2 o piu’ laboratori, con un coordinatore responsabile. I progetti devono essere presentati a fine marzo e il 24 ottobre scorso sono stati comunicati i risultati. Nell’area delle Scienze Mediche sono stati finanziati 170 progetti, per un totale di circa 27 milioni di euro. Esistono due elementi assoluti, applicati universalmente, che servono a stabilire il valore di un progetto scientifico: 1) la sua qualita’ intrinseca (interesse dell’argomento, fattibilita’, originalita’, importanza dei risultati previsti); 2) il curriculum del proponente, corrispondente alla qualita’ dei risultati ottenuti negli ultimi anni, pubblicati su riviste scientifiche. La qualita’ del lavoro di uno scienziato e’ facilmente individuabile, attraverso la somma del "fattore d’impatto" delle riviste su cui ha pubblicato i propri lavori. Inoltre, i progetti sono valutati da almeno 2 revisori anonimi, che dovrebbero essere esperti dell’argomento del progetto e non avere conflitti d’interesse con il proponente. Ed ecco la mia esperienza. Abbiamo presentato un progetto sullo studio dei meccanismi patogenetici della malattia di Alzheimer, di cui sono il coordinatore. Il progetto consta di quattro parti, che corrispondono ad altrettanti gruppi di ricerca, guidati rispettivamente dal sottoscritto, da Roberta Ricciarelli, da Oliviero Danni e da Luciano D’Adamio. Ques’ultimo e’ stato professore all’Albert Einstein College of Medicine di New York ed e’ ora professore Ordinario (nominato per Chiara Fama) all’Universita’ Federico II di Napoli. Il nostro progetto pero’ non e’ stato finanziato, nonostante meriti ed evidenze a parer mio innegabili: a) parte del progetto e’ stato considerato degno di finanziamento dal National Institute of Health (NIH, USA) e dall’American Alzheimer Association, istituzioni notoriamente serie, selettive e rigorose; b) il fattore d’impatto dei nostri lavori degli ultimi 5 anni e’ superiore al 95% dei 170 progetti finanziati; c) il progetto e’ mirato allo studio biologico della malattia di Alzheimer, patologia per cui in Italia non esistono fondi specifici, diversamente da cio’ che accade nei paesi leader. Un’ultima considerazione. E’ stato finanziato, con 141.000 euro, un progetto dedicato alla Storia della Medicina. Con tutto il rispetto per questa disciplina e per l’autorevolezza del proponente, mi sembra stridente che non sia stato sostenuto un progetto cosi’ qualificato, riguardante una malattia di crescente interesse sociale, oltre che scientifico, come l’Alzheimer. Prof. Massimo Tabaton, Dipartimento di Neuroscienze, Universita’ di Genova ___________________________________________ Il Riformista 18 nov. ’03 CHI BLOCCA DAVVERO I RICERCATORI OGGI SONO GLI ATENEI A PAGARE GLI STIPENDIO a ALESSANDRO Fiad TauumaNCa C’e’ un bel po' di confusione intorno al problema del blocco delle assunzioni nelle universita’. Una confusione forse voluta, da tutti gli attori, per fini diversi. Il principale elemento di confusione e’ la credenza diffusa che il blocco delle assunzioni dia luogo ad un risparmio per il bilancio dello Stato e che quindi, per eliminare il blocco, sono necessarie nuove risorse. Questo era vero quando gli stipendi erano pagati direttamente dal Tesoro. Ma da dieci anni le universita’ hanno autonomia finanziaria e pagano direttamente gli stipendi dei propri dipendenti. Se hanno bandito ed espletato un concorso significa che hanno impegnato i soldi per pagare lo stipendio del nuovo assunto. Con il blocco questi soldi saranno spesi in altro modo, in alcuni casi (quando le carenze di personale sono gravi) saranno spesi peggio. C'e’ di piu’. II blocco attuato nel 2002 prevede un sistema di deroghe, cioe’ di eccezioni al blocco, che non tiene conto della responsabilita’ finanziaria delle singole universita’; infatti, per ogni deroga concessa, il fondo di finanziamento dell'universita’ viene opportunamente incrementato. Se non fosse che i soldi disponibili per le deroghe relativamente al sistema universitario sono molto pochi (8 milioni di euro per l'intero sistema nel 2002) si potrebbe dire che il blocco fa spendere piu’ soldi del necessario allo Stato, perche’, sia pure in pochi casi, fornisce un finanziamento aggiuntivo per una spesa per la quale le universita’ avrebbero dovuto impegnare il loro bilancio. Come si spiega questo paradosso? C'e’ una spiegazione semplice e amara. II blocco, e specialmente le deroghe al blocco, fanno comodo ai funzionari dei diversi ministeri, ed in particolare del dipartimento della funzione pubblica, che li gestiscono. Saranno infatti questi funzionari a centellinare sapientemente almeno alcune deroghe secondo arcani criteri a loro solo noti. A loro conviene dunque far finta che gli stipendi delle universita’ siano ancora pagati dal Tesoro, e che quindi il blocco comporti un risparmio. Fa comodo anche ai rettori saltare sul treno della protesta dei vincitori di concorso in attesa di nomina, per ottenere un po' piu’ di fondi, e sottrarsi alla responsabilita’ di far fronte agli impegni presi quando hanno bandito i concorsi. Ma la confusione non contribuisce al buon governo del sistema universitario. Ci sono universita’, in particolare quelle di nuova istituzione, che devono assumere personale, altre universita’ che farebbero meglio a bloccare ogni assunzione. In altri casi c'e’ un eccesso di personale in alcune aree e paurose carenze in altre. Globalmente il pensionamento previsto, nei prossimi 10-12 anni di un quarto del corpo docente, dovrebbe indurci a reclutare ora i giovani che li dovranno sostituire. In questo contesto, il sistema di finanziamento dovrebbe incentivare i comportamenti virtuosi cioe’ premiare le universita’ che spendono i soldi dove e’ necessario e punire quelle che li sprecano. Il blocco fa di ogni erba un fascio, ed ogni successivo stanziamento per superare il blocco rende inefficace qualsiasi modello di finanziamento basato sui risultati ottenuti. Naturalmente i rettori sostengono che il sistema universitario e’ comunque sotto finanziato. Non hanno tutti i torti. Ma la questione dovrebbe essere discussa su un altro tavolo e con altri argomenti, senza perdere di vista il principio che chi impegna una somma per un concorso ha l'obbligo (e non solo il diritto) di far fronte alle relative assunzioni. ___________________________________________ L’Unita’ 21 nov. ’03 RICERCATORI ASSUNTI? MA NO, QUELLO DELLA MORATTI E’ UN BLUFF Dopo l'appello di Ciampi il ministro aveva rassicurato; tutto risolto. Ma i ricercatori potranno avere il posto solo dalle universita’ con bilanci ok: cioe’ solo un quarto di quelle italiane Eduardo Di Blasi ROMA Sono 1700, nemmeno tanto «ragazzi». Hanno buona testa e, soprattutto, ottima costanza. Sono ricercatori, in Italia. Vincitori di concorso. Per arrivare li dove sono (e poi spiegheremo dove) si sono laureati (diciamo intorno ai 24 anni), hanno fatto tre o quattro anni di dottorato (dopo aver superato un esame) pagato 750 curo al mese, poi, essendo stati parecchio "fortunati", hanno ottenuto un "assegno di ricerca", che, per due anni, gli ha fruttato la bellezza di 8-900 curo al mese. Alla fine hanno superato, loro 1700, anche l'ultimo esame, e sono diventati «ricercatori». Attirati li evidentemente non dalla sete di danaro (li pagherebbero 1050 euro al mese), i ricercatori italiani (si dice «i piu’ vecchi d'Europa», giacche’, dopo il lungo corso di studi, spesso intervallato da anni di "buco" dove non si studia in attesa di un esame o di un progetto, si arriva a ricoprire il compito intorno ai 40 anni). Adesso, dopo tanto studio, e tanta abnegazione, sono dove sono. Vale a dire: a spasso. Fortunatamente, perche’ con questo governo i fondi ai loro «datori di lavoro» (le universita’) sono stati tagliati del 12%, adesso qualcuno ha pensato a loro. Saranno finalmente ricercatori con «presa di servizio»: avranno un posto dove andare a fare «Ricerca», quella parola che compare anche nella dicitura del ministero del l'Istruzione. Come pero’ in tutte le scelte di questo governo, il trucco c'e’: li assumeranno solo quelle universita’ che avranno bilanci «virtuosi». Tradotto: meno di un quarto di quelle italiane, sicuramente non le maggiori, per buona parte non quelle presso cui hanno vinto i propri concorsi da ricercatore. Flaminia Sacca’, responsabile Universita’ e Ricerca dei Ds: «Questa e’ una questione che va sbloccata subito, ma, soprattutto, serve anche un piano straordinario per quello che sta per succedere nelle universita’». E che stara’ per succedere, ancora? «Da qui al 2010 piu’ della meta’ dei professori universitari andra’ in pensione. La cifra oscilla tra il50% e il70%. Se le universita’ non si fanno carico, e con questi finanziamenti e’ gia’ difficile badare alla sopravvivenza stessa degli atenei, di formare una nuova classe di professori, ci troveremo in una situazione ingestibile. Il ricambio deve essere attuato per tempo». Anche perche’, aggiunge la Sacca’: «I nostri professori sono i piu’ anziani d'Europa». C'e’ anche un altro punto: l'Italia spende in Ricerca l0 0,8% del Pil. Il Patto di Lisbona, contratto con gli altri partner dell'Unione, ha come traguardo il3%. La media degli altri Paesi europei e’ del 2,5%. Sotto il governo dell'Ulivo si era arrivati all' 1,06%. Ecco perche’ oggi, alle 15, al Centro Congressi Cavour (sito nell'omonima via di Roma) ricercatori, professori e Democratici di Sinistra sono a convegno sul tema: «Il futuro della ricerca: i giovani, l'Europa». _____________________________________________________ Corriere della Sera 20 nov. ’03 E ORA PROTESTANO I NEOPROFESSORI «Abbiamo vinto il concorso per associati e ordinari, ma le assunzioni sono congelate». «Anche noi siamo pronti ad andare all' estero. Alcuni potrebbero persino smettere di fare lezione» UNIVERSITA' / Il blocco riguarda 1.600 nuovi docenti. Quasi 600 adesioni in due giorni Fittipaldi Emiliano ROMA - Ora tocca ai professori. Dopo la clamorosa protesta dei 1.700 ricercatori universitari (pochi giorni fa, passaporto alla mano, hanno minacciato di fuggire all' estero se il governo non avesse sbloccato le assunzioni) anche gli associati e gli ordinari freschi vincitori di concorso sono scesi sul piede di guerra. L' emendamento alla Finanziaria, infatti, «dara’ il via libera solo alle chiamate per i neo-ricercatori - spiega Pierluigi Contucci, uno degli organizzatori del "Comitato professori idonei" - disinteressandosi completamente della sorte dei circa 1.600 tra ricercatori e associati che sono passati di grado». Il Comitato si e’ formato due giorni fa, e grazie alla creazione di un sito Internet ha raccolto in poche ore quasi seicento adesioni. Da tutta Italia. «Anche noi abbiamo vinto il concorso, io dovrei poter insegnare una disciplina di fisica matematica. E' una situazione grave: lo Stato non ci permette di esercitare il ruolo che ci spetta». Chiedono lo sblocco delle assunzione per gli idonei nelle "valutazioni comparative" a posti di professore di prima e seconda fascia, almeno per coloro che sono stati gia’ chiamati dalle universita’. Se il ministero dell' Istruzione di Letizia Moratti non intervenisse con un nuovo provvedimento, «saremmo costretti ad azioni eclatanti. Molti di noi potrebbero partire per gli Stati Uniti - spiega Contucci - e alcuni ricercatori stanno considerando di smettere di fare lezione. Noi non abbiamo l' obbligo di insegnare, mentre gli associati potrebbero ridurre al minimo le ore di didattica. Le assicuro che per contratto facciamo molto piu’ di quel che dobbiamo». Paradossalmente, il blocco delle assunzioni per i nuovi professori non serve, almeno nell' immediato, a tagliare i costi. «Per i primi tre anni gli immessi in ruolo subiscono un congelamento dello stipendio - spiega il ricercatore dell' Universita’ di Bologna -. Differentemente dai colleghi che hanno vinto il posto da ricercatori, l' assunzione in ruolo non costerebbe praticamente nulla». Secondo i protestatari, si e’ verificata una sorta di confusione linguistica, per cui «sembra che oggi in Italia solo i "ricercatori" conducano analisi scientifiche. Ma i professori - conclude Contucci - insieme con la didattica hanno le stesse identiche funzioni di studio e d' indagine». Oggi pomeriggio i cattedratici incontreranno i parlamentari dei Ds, e imitando i colleghi ricercatori sventoleranno biglietti aerei e passaporti, pronti a lasciare l' Italia. Altri stanno pensando di ricorrere ad azioni legali, per ottenere per vie giudiziarie lo sblocco delle assunzioni. «Il Tar del Molise - racconta Silvio De Siena, associato di fisica teorica all' universita’ di Salerno - ha sentenziato che e’ illegittimo sospendere senza motivo una carriera professionale. Si lede il diritto della persona. In realta’, credo che da anni si voglia indebolire l' universita’ italiana, innanzitutto attraverso la svalorizzazione dei concorsi». Il rischio, secondo il docente, e’ quello di alimentare la precarizzazione della figura dei professori. «Tra 5-10 anni circa un terzo del personale docente andra’ in pensione. Mi sembra che ci sia la volonta’ di sostituirli con contratti a termine. Si prospetta una situazione inaccettabile, ma non resteremo con le mani in mano. Molti miei colleghi, estremamente qualificati, pensano gia’ di partire. Sarebbe un danno gravissimo per il Paese». Emiliano Fittipaldi Il precedente IN FUGA Il 7 novembre centinaia di ricercatori hanno detto di essere pronti a lasciare l' Italia perche’ non hanno un posto di lavoro nonostante un concorso vinto. La causa? Il blocco delle assunzioni SOTTOPAGATI Un ricercatore italiano all' inizio della carriera guadagna in media 1000 euro al mese. Un collega Usa quattro volte tanto L' ETA' MEDIA Il 35% dei ricercatori italiani ha piu’ di 50 anni. Negli ultimi dieci anni l' eta’ media e’ passata da 40-45 anni a 50-55 anni _____________________________________________________ Corriere della Sera 18 nov. ’03 PRODI: CROLLATI I CONTRIBUTI DEI PRIVATI PER LA RICERCA Moratti: con gli sgravi fiscali piu’ fondi dalle aziende Il presidente della Commissione Ue propone di puntare sui centri d' eccellenza Bazzi Adriana MILANO - Pensare alla ricerca biotecnologica come a un mezzo per migliorare la salute e il benessere dell' uomo e’ giusto, ma non sufficiente. Oggi investire nella ricerca scientifica significa creare occupazione, aiutare la crescita economica di un Paese, incrementarne la competitivita’ e favorire lo sviluppo sociale. Lo hanno capito potenze mondiali come la Cina e l' India, che si affacciano sul mercato globale puntando a produzioni innovative a basso costo. Lo hanno capito gli Stati Uniti, che stanno abbandonando l' approccio lineare allo sviluppo scientifico e tecnologico, basato su una ricerca di base, prevalentemente condotta da grandi istituti di ricerca, e su una ricerca applicata che mette poi a disposizione delle imprese i risultati, per una nuova politica basata sul finanziamento di azioni congiunte fra universita’, enti di ricerca e imprese. Europa e Italia si trovano ad affrontare una duplice competizione e rischiano di rimanere nelle retrovie se non affronteranno subito la sfida. «Ecco perche’ - sostiene Letizia Moratti - e’ fondamentale mantenere e accrescere l' eccellenza nella ricerca di base e nella formazione di capitale umano di alta qualificazione. E' indispensabile rafforzare la collaborazione tra universita’, enti pubblici di ricerca e sistema industriale. Ed e’ inevitabile concentrare le risorse sulle aree piu’ competitive, abbandonando la politica dei finanziamenti a pioggia». Il ministro dell' Istruzione, dell' Universita’ e della Ricerca ha parlato a Milano nel corso di una tavola rotonda, moderata dal condirettore del Corriere della Sera Paolo Ermini, che ha concluso una settimana di incontri e di iniziative sul futuro della ricerca post-genomica organizzata dall' Ospedale San Raffaele in collaborazione con l' Ibm, la Farmindustria e la Camera di Commercio di Milano. «Nella Finanziaria 2004 - ha aggiunto Letizia Moratti - sono previsti 1,6-1,7 miliardi di euro in piu’ per la ricerca, un incremento pari allo 0,1 per cento del Pil. L' investimento pubblico salirebbe cosi’ dall' attuale 0,53 allo 0,63 del Pil, contro una media europea dello 0,66». Nel 2004 si avra’, dunque, un incremento dei finanziamenti in ricerca a carico dello Stato pari a circa il 22-25 per cento. I finanziamenti privati, invece, rimangono inferiori alle medie europee «ma ci auguriamo che con le misure fiscali e di incentivazione presenti nella Finanziaria, si colmi anche questo divario» ha aggiunto il ministro. La manovra interviene su piu’ fronti, come, per esempio, la detassazione di parte dei costi per le imprese che fanno investimenti in ricerca e sviluppo, o il bonus fiscale a favore dei ricercatori che rientreranno in Italia nei prossimi anni. Presente all' incontro anche il ministro per l' Innovazione e le tecnologie, Lucio Stanca, che a proposito dei finanziamenti pubblici ha ricordato: «Occorre selezionare le aree di intervento su cui concentrare gli investimenti, ma occorre anche tenere presente la multidisciplinarieta’: il triangolo magico per il futuro saranno le bio-info- nanotecnologie». A conclusione dei lavori Romano Prodi, presidente della Commissione europea, ha ricordato che l' Ue e’ destinata all' emarginazione se non attuera’ una politica di incentivi alla ricerca. «Gli Stati dell' Unione europea - ha detto Prodi - si sono allontanati dall' obiettivo fissato a Lisbona di investire entro il 2010 almeno il 3 per cento del Pil in ricerca. Gli investimenti pubblici hanno tenuto, ma quelli privati hanno subito un crollo». Di fronte a questo stato di cose, secondo Prodi, e’ evidente che l' Europa deve mettere a punto una nuova strategia per la ricerca che si muova sia dall' alto sia dal basso. La linea dal basso prevede il rafforzamento delle universita’ che devono tornare ad «attrarre» gli studenti di tutto il mondo. «Dall' alto, invece - ha aggiunto Prodi - dobbiamo creare punti di eccellenza, per stimolare il desiderio di tornare a vincere». Adriana Bazzi abazzi@corriere.it I numeri IN ITALIA Secondo il ministro Letizia Moratti nel 2004 i finanziamenti alla ricerca avranno un incremento del 22-25% IN EUROPA Il commissario Ue Prodi ha detto che gli Stati europei si sono allontanati dall' obbiettivo di investire entro il 2010 il 3% del Pil in ricerca _____________________________________________________ Corriere della Sera 19 nov. ’03 CONFINDUSTRIA A PRODI: «GLI INVESTIMENTI PRIVATI CI SONO, MA NON SI VEDONO» «Patti atenei-aziende per il futuro della ricerca» I progetti del Politecnico e di altre universita’. Confindustria a Prodi: «Gli investimenti privati ci sono, ma non si vedono». Giorgio Squinzi, vicepresidente degli industriali: «I poli pubblici non incentivano il personale» Sideri Massimo MILANO - All' indomani delle parole del presidente della Commissione europea Romano Prodi e del ministro Letizia Moratti sul crollo dei contributi privati per la ricerca, la Confindustria non ci sta a fare la parte del bradipo nell' innovazione. E non crede nemmeno al progetto del «Mit» nostrano, l' Istituto italiano di Tecnologia (Iit), che «rischia di essere solo un nuovo carrozzone». La ricerca privata in Italia, secondo Confindustria, c' e’ ma e’ «sommersa», mentre gli investimenti pubblici ci sono ma talvolta e’ come se non ci fossero visto che «servono spesso solo per pagare gli stipendi al personale senza che sia possibile misurarne i risultati». Tutti vorrebbero tornare agli anni di Giulio Natta che arrivo’ a Stoccolma nel 1963 per ritirare il Nobel grazie ai laboratori della Montedison e dell' Universita’. E diversi atenei stanno puntando sempre di piu’ sulla collaborazione stretta con le aziende, seguendo l' esempio del Politecnico di Milano. Ma mettere sulla bilancia ricerca pubblica e privata per dire quale corre di piu’ e’ comunque difficile per Giorgio Squinzi, che dopo 6 anni al vertice di Federchimica, comunque uno dei settore piu’ innovativi, oggi e’ vicepresidente di Confindustria con delega per la ricerca. LABORATORI PRIVATI «SOMMERSI» - I motivi sono tanti e Squinzi tiene a sottolineare che anche se parla a nome delle imprese, puo’ portare la testimonianza diretta di amministratore delegato della Mapei, che «come tante investe in ricerca il 5% del proprio fatturato». «Il dato Istat sul contributo alla ricerca da parte delle aziende e’ sottostimato. In Italia si puo’ parlare di ricerca "sommersa" perche’ per la maggior parte delle piccole e medie imprese, dominanti nel nostro tessuto industriale, non c' e’ nessun incentivo per farla emergere». E quindi «non si possono confrontare le due voci: Stato da una parte e privati dall' altra». Secondo l' Ocse dal 1995 al 2002 la spesa per la cosiddetta R&S, la ricerca e sviluppo, del settore privato e’ costantemente cresciuta e nel 2001 (con un aumento registrato anche dall' Istat del 6,8% nell' attivita’ di ricerca) l' Italia ha superato Francia, Germania e Regno Unito. VALUTAZIONE PROIBITA PER LO STATO - «In molti poli di ricerca pubblica - continua Squinzi - e’ proibita la valutazione del personale e questo taglia gli incentivi a fare meglio. Il problema e’ anche come vengono spesi i soldi». Proprio per questo l' Iit rischia di essere un «carrozzone, sarebbe piu’ opportuno finanziare quello che c' e’». D' altra parte in Italia si sta sviluppando una rete tra Universita’ e aziende, senza l' esclusione del pubblico. L' uovo di Colombo e’ stato importato dal Politecnico di Milano che ha sviluppato una fondazione con un fondo high tech sul modello di Cambridge. «Sono gia’ attivi diversi progetti - spiega Giampio Bracchi, prorettore del Politecnico e vicepresidente di Banca Intesa - come i laboratori sulla domotica con Merloni e della fotonica con Pirelli. Altre universita’ inoltre stanno seguendo il nostro modello, la Gabriele D' Annunzio di Chieti-Pescara e quella di Padova. Il problema e’ far funzionare le cose che gia’ ci sono». Bracchi e’ d' accordo con la valutazione di Confindustria: «Dire che in Italia la spesa privata media e’ inferiore a quella europea e’ sbagliato. I valori andrebbero depurati perche’ molte piccole e medie imprese italiane non operano in settori ad alta tecnologia e quindi e’ chiaro che non fanno ricerca. Inoltre chi la fa non ha interesse per ora a contabilizzarla, quindi rimane nascosta». Si tratta di vedere, conclude Squinzi, «se la tecno-Tremonti riuscira’ a far emergere i laboratori privati "sommersi"». Massimo Sideri msideri@corriere.it IL CASO 1 La protesta dei «cervelli» Senza un posto in 1.700 Hanno vinto il concorso ma sono senza un posto fisso 1.700 ricercatori italiani, che minacciano di andare all' estero. Su questa emergenza e’ anche intervenuto il presidente Carlo Azeglio Ciampi 2 Stipendi da mille euro Eta’ media sempre piu’ alta Un ricercatore italiano guadagna circa mille euro al mese, dopo 28 anni di servizio arriva a 2 mila euro. Negli Usa ci sono stipendi da 4 mila euro. L' eta’ media e’ passata dai 40-45 anni ai 50-55. 3 L' appello all' Europa Moratti: servono piu’ fondi Il ministro dell' Istruzione Letizia Moratti ha chiesto ai 15 colleghi della Ue di aumentare i fondi e migliorare le condizioni di lavoro dei ricercatori («riceviamo 6 euro all' ora, come una colf») 4 La denuncia di Prodi: crollo dei contributi privati «Sono crollati i contributi dei privati per la ricerca». Ormai siamo sotto la media europea, secondo Romano Prodi. Saremmo lontani anche dall' obiettivo di investire in ricerca il 3% del Pil entro il 2010 5 Discussioni e polemiche sul «Mit» italiano Si discute sulla realizzazione di un Mit italiano, indicato nella Finanziaria. Nuove candidature per la sede dell' Istituto italiano di tecnologia (Iit): dopo Genova e Pisa, Piemonte e Lombardia ___________________________________________ La Repubblica 17 nov. ’03 PER LA RICERCA NON SERVONO I GRANDI ISTITUTI ELSERINO PIOL In tema della scarsa competitivita’ del Sistema Italia si da’ quasi sempre una spiegazione semplicistica: l'Italia spende poco in ricerca e sviluppo e, in particolare, nella ricerca di base. In questo contesto si sollecitano investimenti e contributi da parte dello Stato. Non e’ in gioco solo la nostra competitivita’, ma la capacita’ di tutti noi di operare in sincronia con i cambiamenti prossimi venturi. 1. Nello scorso decennio le tecnologie informatiche, la tempistica e l'implementazione del cambiamento sono diventati temi dominanti sia del pensiero economico, sia della societa’ nel complesso. Si dovrebbe realizzare un nuovo modello di management, basato sull'idea che il futuro ci riservera’ non stabilita’ ma volatilita’, non prevedibilita’ ma continue sorprese. Il return on time non ha ancora sostituito il return on equity come unita’ di misura dei risultati di business, ma gia’ risulta evidente come la vera risorsa scarsa sia il tempo. Il costo del cambiamento non e’ piu’ un onere straordinario, ma un costo corrente. La minimizzazione dei costi del cambiamento diventera’ per il management il prossimo imperativo da seguire. 2. In questo scenario, di rapido e veloce cambiamento, ci si domanda che senso abbia l'iniziativa recentemente annunciata dell'Istituto Italiano di Tecnologia (Iit), a cui lo Stato dovrebbe dare una dote di un miliardo di Euro. Non solo, ma e’ subito apparsa la notizia di un progetto edilizio affidato ad un famoso architetto, per costruire l'edificio. Il mattone e’ sicuramente un investimento interessante di questi tempi, ma non e’ certamente i( "mattone" il collante per la ricerca, che richiedera’ sempre piu’ strutture immateriali collegate a network. Pare che non ci sia molta consapevolezza su che cosa significhi la nascita di un organo di questo tipo. Per cominciare a raccogliere qualche frutto da una istituzione nuova occorrera’ una decina d'anni; nel frattempo le scenario tecnologico ed economico di riferimento sara’ interamente cambiato. Le speranze di innovazione, specie nella ricerca di base, sono legate alla mobilitazione degli Enti di ricerca gia’ esistenti, che possono fare le stesse cose del costituendo Iit. Come dice Rubbia, riferendosi a questi enti: "Risolviamo i problemi che hanno, ma salviamo cio’ che di buono offrono e sosteniamoli con una politica di sviluppo". Nel valutare una politica per la ricerca, bisogna anche considerare la crisi delle grandi cattedrali di R&S che, nel passato, venivano considerate come punti di riferimento. I grandi laboratori come Bell Laboratory, Xerox Park, etc., hanno perso il loro fascino e la loro importanza. Ci si e’ resi conto che queste strutture di ricerca hanno generato innovazioni e scoperte significative (il Beli Laboratory ha avuto 7 premi Nobel), ma di scarso o nessun interesse per l'azienda che li ha finanziati o, peggio, non utilizzati dall'azienda finanziatrice e utilizzati dalla concorrenza. Inoltre, nei grandi laboratori, il problema maggiore e’ stato quello di rendere fruibili i risultati della ricerca, come sperimentato anche nel CSELT (STET e poi Telecom Italia). E’ per questo che viene raccomandato di individuare, in parallelo alla ricerca, il contenitore industriale che la utilizzi. II Battelle Memorial Institute, altro grande ente di ricerca no-profit, ha lanciato un proprio fondo di venture capita) con lo scopo di "sviluppare tecnologie possedute, gestite o influenzate dal Battelle in iniziative industriali". Si ritiene che ogni cinque investimenti in ricerca, quattro possano dar luogo a nuove iniziative industriali. Anche assimilare l'Iit al Mit (Massachussets Institute of Technology) non e’ del tutto corretto. Mit svolge attivita’ di ricerca non su direttive ricevute dall'alto, ma su specifici contatti con l'industria (che Mit contatta in modo autonomo e pro-attivo), gestendo il rischio del l'innovazione anche con i propri fondi. 3. La R&S del futuro sara’ sempre piu’ appannaggio di laboratori di dimensioni limitate, molto specializzati e focalizzati, tra di loro collegati in network che garantiscano complementarieta’ e sinergie. E’ necessario valutare, tra i centri di ricerca esistenti, quelli che hanno maggiori possibilita’ di successo, in funzione dei ricercatori presenti, esperienza acquisita e temi di ricerca, per poi avviare un processo di consolidamento, in modo da aumentare il potenziale dei centri migliori, eliminando i centri che non hanno massa critica, investendo nei quali si avrebbe dispersione di risorse. Come d'altra parte sta accadendo nell'industria e nella finanza. Bisogna inoltre innovare nel modo di fare ricerca e stabilire alleanze. Una delle esperienze piu’ interessanti di R&S resta quella dell'Olivetti Research Laboratory (ORL), di Cambridge (Regno Unito), inserito fisicamente dentro l'Universita’, e affidato ad un docente della stessa (Andy Hoper). La sinergia tra Universita’ e Industria non poteva essere migliore, condividendo spazi, infrastrutture, aule e persone. Dal laboratorio sono state spin-offate aziende di successo, finanziate dal venture capital (tra queste Virata, che e’ oggi leader mondiale per i componenti della tecnologia XDSL). Il segreto dell'ORL (venduto in seguito all'AT&T) e’ stato l'integrazione tra Universita’ (studenti e docenti), Industria e Venture Capital, senza burocrazia e senza vincoli, che non fossero quelli del rispetto dei piani di ricerca e di spesa. Due direttive strategiche: la ricerca doveva riguardare il mondo delle tlc (quindi focalizzazione); doveva sostenere iniziative industriali, innovative ed autonome. Non vedo perche’ l'esperienza Cambridge non possa essere replicata in Italia, Bisogna che l'Universita’, invece di attendere sovvenzioni, cerchi industrie q investitori interessati ai temi che l'Universita’ stessa propone, ospitando ricercatori e tecnici (vi e’ sempre un sottoscala o un garage disponibile). Se vi sono idee, si puo’ materializzarle in iniziative specifiche; se le idee mancano, non e’ che nascono avendo capitale a disposizione, o aspettando sovvenzioni. 4. Un altro tema, spesso dibattuto, e’ di attirare i ricercatori italiani che lavorano all'estero. Oltre alla difficolta’ ad attirarli, spesso ci si domanda se cio’ sia utile. Le attivita’ di ricerca, che devono essere collegate al network mondiale dei centri di ricerca, molto probabilmente potrebbero avvantaggiarsi dei contatti piu’ facili con i ricercatori espatriati. Le esperienze di Cina e India dovrebbero insegnare qualcosa. Da un lato sara’ necessario importare ricercatori, anche non di origine italiana, in funzione del loro contributo a ricerche specifiche, dall'altro dobbiamo preoccuparci dei ricercatori che sono in Italia. Abbiamo tanti cervelli eccellenti che non hanno le possibilita’ di esprimersi: pensiamo a loro prima di rimpatriare uomini con il miraggio di non far pagare le tasse per incentivarli. Pensiamo a non far scappare i talenti che abbiamo. Un esempio significativo e’ offerto dal Canada, dove sono state varate politiche locali e nazionali volte esplicitamente alla attrazione di talenti. 5. Investire in R&S e’ condizione necessaria per l'innovazione, ma non sufficiente. Nel passato, a livello nazionale ed Europeo, i contributi alla R&S sono stati rilevanti, ma con risultati poco apprezzabili. Credo che nell'Information Technology i contributi pubblici siano stati piu’ elevati in Europa che in USA. ll cosiddetto "Plan Calcul" del Governo francese, che avrebbe dovuto consentire alla Francia di poter competere con l'industria informatica USA, e’ miseramente fallito, per aver investito in ritardo in una battaglia gia’ persa, quella dei "main-frames". Gli investimenti Esprit dell'Ue, per progetti di collaborazione tra aziende europee nell'IT, non hanno creato nulla. Bisgona quindi evitare errori come: a. Disperdere il capitale disponibile in troppe attivita’ di R&S, per voler essere presenti ovunque. II rischio e’ di non avere alcuna area con la necessaria massa critica. b. Investire in aree in cui e’ gia’ emerso il vincitore e partire in ritardo non offre alcuna probabilita’ di successo. c. Investire ove, in caso di successo della R&S, non sia gia’ disponibile o pianificato il relativo contenitore industriale, con le necessarie risorse umane e finanziarie, per sfruttare tale successo. Poiche’ non e’ ovviamente possibile una pianificazione centralizzata dei contributi alla R&S, coerente con i principi esposti, bisogna individuare un sistema non burocratico, che garantisca che si investa solo nelle aree in cui si ha alta probabilita’ di ritorno. Non significa eliminare il rischio ma assicurarsi che vi siano i piani e le condizioni per un probabile successo. Negli USA questo strumento e’ stato il network dei venture capitalists, che agisce anche da filtro degli investimenti, considerando solo quelli che, almeno sulla carta, hanno probabilita’ di successo. Il binomio R&S - Venture Capital si e’ dimostrato vincente. Come affermato da Joshua Lerner, di I-Iarvard, l'impatto del venture capital sull'innovazione e’quattro o cinque volte piu’ esteso della ricerca e sviluppo a livello aziendale. 6. Anche in Italia il venture capital, focalizzato su high-tech e high- growth, puo’ essere lo strumento adatto a gestire l'innovazione. Ma non bastano pochi fondi, occorre una rete di fondi professionalmente validi che, insieme o in concorrenza, alimentino con capitale la R&S necessaria per le nuove iniziative. Se i capitali destinati alla R&S venissero, per la maggior parte, incanalati verso i fondi di venture capital, si avrebbe un'alta probabilita’ di successo. Strumenti appropriati per alimentare il venture capital sono i "Funds of Funds", vale a dire fondi governativi, regionali, o di assicurazioni, banche c/o fondazioni, che scelgono su quali fondi di venture capital investire. Si crea un sistema a cascata: gli investitori interessati allo sviluppo forniscono capitale ai "Funds of Funds", i quali, a loro volta, investono in fondi di venture capital che investono nelle singole iniziative innovative. Ovviamente ad ogni livello e’ associato un diverso processo decisionale: piu’ burocratico ai piani superiori, piu’ flessibile al livello dell'investimento finale. Il modello di riferimento e’ quello che l'Unione Europea ha sponsorizzato: European Investment Fund, un Fund of Funds che ha gia’ dato risultati significativi. 7. Ovviamente lo schema operativo si differenzia a seconda di dove la R&S e’ localizzata. Se si tratta di una nuova iniziativa, che prevede una nuova impresa o uno spin-off universitario, il binomio R&S e Venture Capital e’ la formula vincente e forse I' unica. Se si tratta di R&S nell'ambito di una azienda esistente, deve essere l'azienda stessa a farsi garante dell'investimento in R&S, 8. Un'obiezione allo schema proposto (binomio R&S- Venture Capital) potrebbe essere che e’ valido solo perla ricerca applicata , e non per la ricerca base. RubQ bia sostiene che "la ricerca applicata e’ una banalita’; come diceva Einstein, esistono soltanto le applicazioni della ricerca". A mio avviso occorre anche, e soprattutto, supportare la ricerca applicata (lo sviluppo) in quanto e’ fondamentale per la competitivita’ del Sistema Italia, che ha bisogno di nuovi prodotti per competere e per creare c/o sostenere imprese. La stessa ricerca di base rischia di non trovare i I necessario sviluppo se, a valle della stessa, non esistono tecnici e ricercatori che la traducano in prodotti per il mercato. 9. Occorre comunque sottolineare che, nonostante le statistiche, nello scenario italiano vi sono aree di successo. Si e’ dimostrato che i! Sistema Italia sa fare impresa. Ad esempio, nelle telecomunicazioni: - E-Biscom/Fastweb e’, tra gli operatori wireline, italiani e non, il piu’ innovativo in termini tecnologici ed e’ stato il primo a realizzare la vera convergenza tra voce, dati e video; - Omnitel (ora Vodafone), e’ certamente una delle piu’ efficienti ed innovative aziende nel campo della telefonia mobile a livello mondiale ed e’ (a "perla" del gruppo Vodafone. La competitivita’ di Omnitel ha obbligato TIM ad operare con standard elevati, e pure Tini e’ una delle piu’ efficienti aziende nel campo della telefonia mobile; - Tiscali, e’ l'unico ISP trans= europeo (anche se definirlo ISP e’ riduttivo, in quanto e’ un fornitore completo di servizi di telecomunicazioni). Si puo’ dire che: la cosiddetta " irrational exuberance", che ha generato la bolla, ha creato qualcosa di valido almeno nel mondo telecom (basti citare e- Biscom e Tiscali); - non sono necessari partner strategici stranieri per aziende di telecomunicazione. Omnitel, Infostrada, Tiscali, Fastweb sono state gestite esclusivamente dal management italiano, indipendentemente dalle partecipazioni azionarie; - tutte le iniziative citate sono state gestite dal capitale privato, senza intervento di capitale pubblico; -in Italia,quindi, sappiamo ben gestire l'innovazione se vi e’ il capitale necessario, avendo disponibilita’ di management qualificato. Quali paesi europei possono essere paragonati all'Italia in termini di iniziative di successo nel campo telecom (in numero e qualita’)? Certamente non Regno Unito, Francia e Germania, per citare i maggiori. 10. Occorre anche notare, purtroppo, che i successi indicati sono conseguenza di iniziative e di capitale "anni 90". Non si hanno ancora segnali su "nuove aziende" innovative appartenenti agli anni 2000. Inoltre tutte le aziende citate sono aziende di servizi. Con l'unica eccezione di STM (grazie a Pistorio),l'Italia e’ praticamente assente nei settori hardware e componentistica; stiamo pagando la distruzione di aziende come Telettra, Olivetti ed altre. E’ quindi necessario avviare una nuova fase di sviluppo, per la quale occorre evitare iniziative inutili, scegliere bene le aree in cui investire e disporre di capitale di rischio (venture capital alimentato da "funds of funds"), dedicando risorse imprenditoriali e di ricerca alla gestione innovativa delle nuove tecnologie emergenti. Si e’ ancora in tempo a raccogliere, in questa decade, successi significativi. ___________________________________________ Il Sole24Ore 16 nov. ’03 QUANDO I CERVELLI FUGGONO VERSO L'ITALIA DI FRANCO DEBENEDETTI Millesettecento ricercatori sarebbero in procinto di lasciare il Paese per cercare altrove un ambiente in cui lavorare e studiare: la notizia fa scalpore e desta preoccupate considerazioni. All'Interaction Design Institute nove studenti su dieci sono stranieri. Se si guarda. solo ai numeri, il confronto puo’ sembrare una provocazione: gli studenti di Ivrea sono meno di 50. Ma non e’ una provocazione rovesciare il problema, chiedersi non solo perche’ siano tanti i cervelli italiani che emigrano, ma perche’ siano cosi’ pochi coloro che, in America, Giappone, Cina, scelgono l'Italia come il Paese in cui portare avanti i propri studi e i propri esperimenti. C'e’ sempre un elemento di provocazione nel nuovo, e Interaction Ivrea non fa eccezione. In una certa misura, deliberatamente, e fin dal suo oggetto: un approccio alla progettazione che, nonostante sia ormai adottato dalle imprese piu’ innovative, rompe gli schemi convenzionali anche nelle strutture organizzative. E poi: situata in un luogo decentrato, seppure di fortissimo valore simbolico; centro di cultura, ma di una cultura non codificata in testi, che necessita della presenza di una scuola per dispiegarsi; volta a fornire uno strumento strategico al sistema industriale italiano, dalle comunicazioni all'automobile, dalla moda all'entertainment, dagli elettrodomestici ai servizi per la salute, ma voluta e interamente finanziata da imprese private, Telecom e Olivetti. Non e’ solo per ragioni economiche se in Italia si fa poca ricerca nelle universita’ e forse ancora meno nelle imprese: e’ per problemi che affondano le loro radici nella struttura organizzativa, nei criteri premianti, nella scala delle priorita’. Per un centro di cultura progettuale come Interaction Ivrea, tuttavia, i rapporti con il mondo dell'impresa e con quello universitario sono cruciali: come mantenere la propria identita’ senza chiudersi nell'isolamento della propria differenza? Dal lato del mondo delle imprese, abbiamo interposto tra l'associazione e l'istituto uno Steering Committee formato da personalita’ mondiali di questa disciplina, responsabile in piena autonomia di dare l'indirizzo scientifico, e di valutare il valore dei risultati. Dal lato del mondo universitario, viene adottato un rigoroso criterio meritocratico, nella selezione degli studenti - numero chiuso, rette costose, elevato numero di borse di studio -, in quella degli insegnanti, selezione internazionale, largo ricorso a visiting professor. E’ di questi tempi la proposta di creare in Italia un grande centro di ricerca, con l'intenzione sottostante di promuovere il cambiamento attraverso lo stimolo di un esempio. Seppure su dimensioni totalmente diverse, e focalizzandoci su un unico settore di ricerca, abbiamo l'ambizione di svolgere la stessa funzione. Esclusivamente con capitali privati, e in tre anni, siamo passati dalla definizione del progetto alla consegna dei diplomi agli allievi del primo biennio. E con il symposium appena, terminato, iniziamo la seconda fase, quella della disseminazione del nostro progetto culturale: la "provocazione" continua. ================================================================== ___________________________________________ Il Sole24Ore 18 nov. ’03 SANITA’, INDIVIDUATI I POSTI PER LE LAUREE SPECIALISTICHE ROMA a Lauree specialistiche di area sanitaria: il penultimo scoglio e’ superato. I governatori hanno ufficializzato giovedi’ scorso, con l'intesa in Stato-Regioni, il fabbisogno di laureati specialisti nelle quattro classi delle professioni sanitarie per l'anno accademico 2003-2004. Si tratta di 1.209 posti, di cui 741 per le «Scienze infermieristiche e ostetriche», 191 per quelle «delle professioni sanitarie della riabilitazione», 192 per le «Scienze delle professioni sanitarie tecniche» e 85 per quelle «della prevenzione». Un passaggio indispensabile questo, assieme agli ordinamenti didattici (l'ultimo scoglio, appunto) che il ministero dell'Istruzione non ha ancora trasmesso al Consiglio universitario nazionale, per consentire l'avvio dei corsi biennali previsti dalla legge 251/2000. Proprio in attesa delle decisioni regionali, hanno dichiarato giorni fa i vertici del ministero. Attendismo non gradito alle professioni sanitarie, secondo cui la determinazione del fabbisogno e i curricula avrebbero dovuto camminare di pari passo cosi’ da con sentire l'avvio dei corsi dal 2003-2004. Per quanto riguarda le richieste delle Regioni, la parte del leone la fa la Campania, con 164 posti per le scienze infermieristiche, 52 per quelle della riabilitazione, 82 per le professioni tecnico-sanitarie e 32 per quelle della prevenzione: il27% di tutti i corsi richiesti. Al secondo posto la Calabria con 160 richieste e terza e’ la Toscana che di posti ne ha messi in preventivo 125. Il minor numero di posti e’ quello calcolato dalla Valle d'Aosta (7), seguita da Basilicata (14), Trento e Marche (20). E quest'ultima Regione ha concentrato il fabbisogno solo sulla prima classe di laurea (Scienze infermieristiche e ostetriche). Lo stesso hanno fatto Lombardia, Piemonte e Veneto, di posti ne hanno chiesti 25. Stesso tenore per Veneto, Sicilia e Lazio che hanno indicato, rispettivamente, un fabbisogno di 50, 30 e 100 infermieri specialisti. Per il momento restano a zero Sardegna, Molise, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Bolzano. P.D.BU. ___________________________________________ Il Sole24Ore 20 nov. ’03 LA NUOVA FRONTIERA DELLA TELEMEDICINA SI CHIAMA TELBIOS L’ultima frontiera della telemedicina si chiama Telbios, societa’ per azioni messa in piedi da Teleccm, Alenia, Ospedale San Raffaele cl: Milano e a cui partecipa un fondo come Value Partners. Come dire: due gruppi come Telecom e Alenia che sostengono in Telbios l'aspetto altamente tecnologico e poi l'azienda ospedaliera che mette tutta la sua conoscenza e la sua scienza in materia medica. Le quote sono paritetiche: 31% a testa e il rimanente 7% e’ nel portafoglio di Value Partners. Con 3 milioni di capitale sociale e 2 milioni di ricavi gia’ in questo primo esercizio, con stime di 4 milioni per il prossimo, Telbios si pone al centro dell'interesse nel settore della telemedicina italiana. L'idea. La nostra idea di Telemedicina - dice l'amministratore delegato della societa’, Marco Ragazzini (presidente e’ Umberto Rosa, e anche di Snia, ndr) - e’ improntata su due :filoni: il Ii2b e la razionalizzazione dei costi del Sistema sanitario nazionale. Cosi’ com'e’ strutturato oggi il sistema sanitario italiano non puo’ reggere». L'idea, infatti, e’ quella di creare una struttura che colleghi le varie unita’ ospedaliere al centro di eccellenza (una sorta quindi di service provider) che a sua volta recepisce tutte le indicazioni che arrivano dal paziente. Cosi’, in possesso dei dati relativi allo stato di salute dell'ammalato, i medici dei vari ospedali possono intervenire suggerendo al paziente come comportarsi, oppure attivare le strutture di pronto intervento. Inutile aggiungere che a risentirne in maniera piu’ che positiva, oltre naturalmente alla salute di chi e’ sotto le cure mediche, e’ il bilancio del sistema sanitario nazionale. «Oggi - riprende Ragazzini - un giorno di ospedale co<,ta all'incirca 550 euro. Con la stessa cifra Telbios puo’ provvedere alla telemedicina di un paziente per un anno». Fare dei conti precisi su questo terreno e’ tuttavia molto difficile, ma qualche esempio puo’ bastare per rendere l'idea. Ogni anno da tutta Italia chiedono di essere visitati dai medici del San Raffaele di Milano. Spesso si tratta di veri e propri viaggi "inutili" che comportano costi elevati e non sempre le tasche sono di persone abbienti. In genere, questi malati si fanno accompagnare da altri parenti: quindi ci sono spese di trasporto, di albergo e cosi via. «In molti casi - riprende Ragazzini - ci troviamo di fronte a gente che poteva essere tranquillamente controllata da casa e poi, casomai, poteva essere visitata presso il San Raffaele». L'esperimento. Ecco, il progetto che si propone Telbios e’ anche quello di evitare che i pazienti si carichino di viaggi spesso lunghi e faticosi, oltre che molto costosi. In Sicilia, per esempio, Telbios ha fatto un esperimento. E’ stato scelto l'ospedale di Messina> clinica di traumatologia. Il nosocomio della citta’ siciliana a sua volta e’ collegato, con i sistemi Telbios, al picco lo ospedale di Lipari, "capitale" delle Eolie. «Da qui abbiamo cominciato questo esperimento - dice ancora l'amministratore delegato di Telbios - il numero dei ricoveri da trauma cranico da Lipari a Messina si e’ ridotto del 50%». Con un risparmio per lo Stato di molti milioni perche’ dall'isola al capoluogo i ricoveri si fanno con l'elicottero. Insomma, Telbios in maniera indiretta si pone anche l'ambizioso obiettivo di "svuotare" gli ospedali di ammalati immaginari, senza tuttavia che a questi venga tolta la possibilita’ di curarsi da casa. E in Italia c'e’ un terreno fertilissimo se si pensa che purtroppo 2,8 milioni di cittadini sono malati diabetici, ma c'e’ chi stima che siano addirittura 4 milioni. Gente che, come si diceva, . spesso si muove da regioni del Sud molto lontane per arrivare a Milano, al San Raffaele. Stesso discorso vale per gli oltre 800mila cardiopatici. A molti di questi malati Telbios offre la possibilita’ di fare una prima visita con il sistema della telemedicina. La prima Regione a stipulare un accordo e’ stata la Lombardia, che ha aderito a un progetto di teleconsulto cardiologico interattivo attraverso una rete di 18 ospedali. Vincenzo Del Giudice _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 18 nov. ’03 LAUREE BREVI "PARALIZZATE" E sono a rischio anche i corsi di specializzazione SASSARI. Oltre quaranta corsi di specializzazione in Medicina e un numero considerevole di lauree brevi paralizzati dalla mancata realizzazione del protocollo d'intesa fra universita’ e Regione. E’ questa la conseguenza piu’ appariscente del blocco che ormai da tempo affligge l'attivita’ dell'amministrazione regionale in materia di sanita’. L'assessore competente Oppi a suo tempo si era impegnato a sciogliere il nodo che impediva l'adeguamento della formazione alle direttive europee, ma a tutt'oggi c'e’ il rischio concreto che anche il prossimo anno accademico non veda partire i corsi. E’ gia’ successo quest'anno, quando sono scaduti i termini per le iscrizioni alle lauree che la facolta’ di Medicina avrebbe dovuto attivare. Gia’ a gennaio i rettori dei due atenei isolani avevano lanciato l'allarme: "Se non saranno stipulati gli accordi fra universita’ e Regione per dare vita alle aziende miste non sara’ possibile rendere operativi i corsi. Perderemo una grande opportunita’". E l'opportunita’ e’ stata puntualmente persa a causa, probabilmente, della perenne crisi nella quale si e’ trovato il governo regionale. Sono cosi’ saltati otto corsi triennali: Infermieristica, Ostetrica, Fisioterapia, Logopedia, Tecnico di laboratorio, Igienista dentale, Tecniche audiometriche e Tecniche audioprotesiche. In mancanza del tanto sospirato protocollo anche il prossimo anno tanti studenti rimarranno delusi. _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 18 nov. ’03 ASL E UNIVERSITA’: CHI NON VUOLE LE "AZIENDE"? Una rivoluzione annunciata a febbraio ma che non si riesce a far decollare SASSARI. Nel febbraio scorso la VII commissione regionale permanente ha approvato la risoluzione che prevede la costituzione in azienda delle strutture sanitarie della universita’ di Sassari e la creazione dell'azienda ospedaliera Santissima Annunziata di Sassari. Ma da allora nulla e’ successo. La vicenda viene sollevata oggi da un intervento del consgliere regionale di Alleanza Nazionale, Tonino Frau, secondo il quale "a suo tempo tutte le componenti coinvolte nel provvedimento - organizzazione sindacali ospedaliere, vertici dell'Universita’ e dirigenza dell'azieda Usl n. 1 - hanno espresso il loro consenso unanime". "Tutti contenti,- dice Frau - soprattutto l'utenza dell'ospedale sassarese che potrebbe contare in un sistema ospedaliero capace ed efficiente, destinato a crescere qualitativamente sulla spinta del reciproco confronto". A distanza di circa nove mesi, pero’, tutto tace. E non si tratterebbe, secondo i soliti bene informati, di un silenzio casuale. Qualche maligno, a esempio, sostiene che la situazione si sblocchera’ solo dopo le prossime elezioni regionali quando nella giostra di poltrone che seguira’ i nuovi assetti politici, entreranno anche quelle della sanita’ sassarese. Nel frattempo, pero’, sul piano formale, nessuno, a livello istituzionale, ha posto in discussione il senso politico della operazione secondo quanto previsto dalla lettera b) del Decreto legislativo 517. "Per quanto mi risulta- dice Tonino Frau- la risoluzione della VII commissione consiliare rappresenta ancora la progettualita’ tecnico-politica espressa dalla attuale maggioranza al riguardo degli assetti ospedalieri sassaresi". Ma come mai, mentre nel resto d'Italia e anche a Cagliari, sono state costituite aziende saniatrie miste, a Sassari questo non e’ stato ancora possibile? "E' un problema politico - taglia corto Antonello Scano, direttore generale dell'Asl n.1- Noi come azienda sanitaria locale n.1 siamo pronti. Se la Regione prende l'iniziativa e ci chiama, noi rispondiamo subito". I tempi di una tale operazione? Impossibile, secondo Scano, tentare di fare delle previsioni. "Guardi - dice il direttore generale dell'Asl 1 al cronista della Nuova- lei e’ la prima persona che mi parla di quest'argomento. Nessuno, finora, ci ha interpellato. Tantomeno siamo stati convocati per partecipare a qualche riunione operativa. Per quanto ci riguarda, il problema e’ che l'azienda si faccia badando alla qualita’ nell'investimento delle risorse". Che cosa cambiera’ per gli utenti della sanita’ sassarese? "Gli utenti - precisa Scano- forse non si accorgeranno neanche dei cambiamenti che verranno introdotti dalla nuova strutturazione della sanita’. Sara’, in sostanza, un cambiamento che, fondamentalmente, avra’ delle ripercussioni organizzative interne alla struttura sanitaria. E' presto anche per parlare dei luoghi e della varieta’ di servizi erogati. L'importante, e lo sottolineo, e’ che non si disperdano preziose risorse". Ma sul fronte della razionale utilizzazione delle risorse e’ fresca la polemica col professor Giulio Rosati, preside della facolta’ di Medicina e Chirurgia, sollevata circa un mese dalla Funzione Pubblica della Cgil. Il professor Rosati, scriveva a suo tempo il segretario della Cgil "riconosce che a Sassari gli attuali 600 posti letto "universitari" sono in forte esubero rispetto ai 110 iscritti al primo anno di medicina, e dichiara che nei diversi incontri istituzionali ha convenuto sulla esigenza di ridurre i posti letto. Ma i fatti dimostrano il contrario". Per quanto concerne Sassari, ricordava il sindacato in quella polemica, il polo integrato tra l'Universita’ e dal presidio ospedaliero Marino di Alghero avrebbe comportato un incremento di 97 posti letto. Ma se nella struttura venisse incluso anche l'ospedale Civile di Alghero, si avrebbe "un incremento di ben 250 posti letto". "Sugli atti ufficiali e sui fatti- ricordava la nota del sindacato-, la Fp Cgil ha assunto la posizione di assoluta contrarieta’ alla costituzione di una mega azienda mista sassarese di 850 posti letto. E una scelta fuori da ogni logica formativa, incompatibile con le risorse, uno spreco di soldi pubblici che aggraverebbe la crisi del sistema sanitario a danno dell'utenza, dei lavoratori, delle imprese" Pasquale Porcu _____________________________________________________ L’Unione Sarda 19 nov. ’03 CHIRURGO SCAGIONATO DAL GIUDICE RIVENDICA L’INCARICO AL BROTZU I titoli li aveva, eccome: quando vinse il concorso per dirigente responsabile della divisione chirurgia epatica del Brotzu, il professor Giovanni Ambrosino aveva tutte le carte in regola. Nessun trucco, nessun imbroglio. Dopo un anno e mezzo di indagini l’inchiesta e’ archiviata. E ora il chirurgo (difeso dall’avvocato Agostinangelo Marras) occupera’ il posto che gli spetta di diritto. A convincere il sostituto Mario Marchetti a iscrivere Ambrosino nel registro degli indagati era stata una nota del direttore generale del Brotzu che segnalava il ricorso presentato al Tar dal professor Alberto Porcu dell’universita’ di Sassari per l’annullamento della graduatoria. Porcu esternava dubbi sulla autenticita’ delle certificazioni rilasciate ad Ambrosino dalle strutture scientifiche e ospedaliere, allegate alla domanda di partecipazione al concorso. A farla breve: Ambrosino era accusato di falso perche’ risultava professionalmente impegnato contemporaneamente in posti diversi, perfino negli Stati uniti. Non solo, risultava avesse partecipato a interventi chirurgici negli Usa senza abilitazione. Ebbene: le indagini hanno fugato il sospetto di falsita’ di quelle certificazioni. E’ stata infatti riscontrata una totale coincidenza tra le attestazioni rilasciate ad Ambrosino dall’azienda ospedaliera di Padova e l’esito degli accertamenti della polizia giudiziaria. «Io sono sempre stato tranquillo», e’ serena la voce del professor Ambrosino, al telefono da Padova. «Non ho mai presentato documenti falsi, non mi sono mai fatto raccomandare per superare concorsi ed esami. Ho avuto fiducia nella magistratura cosi’ come ho contato sulla buona fede di tutte le persone che mi stavano intorno». Quanto alla possibilita’ di un immediato insediamento al Brotzu, Ambrosino e’ sicuro: «Non penso ci sia necessita’ di rivendicare il posto. Se finora non sono andato in servizio a Cagliari e’ solo perche’ si era palesato un sospetto basato su accuse che, com’era ovvio, si sono rivelate assolutamente infondate. La direzione generale del Brotzu si e’ mossa in buona fede, non ho dubbi. E allora, visto che ho vinto il concorso, chiunque sia in buona fede penso debba ritenere quella vicenda chiusa». Si intuisce che Ambrosino presentera’ una denuncia per calunnia. «Certo, se fossi in coloro che mi hanno denunciato non sarei tranquillo, pero’ non saro’ io a decidere, sara’ il mio avvocato a indicarmi la strada migliore». La vicenda era cominciata nel giugno 2002: Ambrosino sei mesi prima aveva vinto un concorso che, quando fosse passata la legge, gli avrebbe consentito di eseguire i trapianti di fegato al Brotzu. 44 anni, allievo del professor Davide D’Amico di Padova, Ambrosino era notissimo per aver - primo in Italia - utilizzato il fegato bioartificiale, per aver trapiantato cellule epatiche in un bambino di 10 anni mentre guardava i cartoni animati, per aver innestato parte del fegato di un adulto in un ragazzino. Una vera star del bisturi. Aveva dunque vinto il concorso per dirigere la divisione di Chirurgia epatica ma l’azienda sanitaria aveva deciso di non dar corso alla nomina e di trasmettere la documentazione alla Procura della Repubblica. Il concorso era stato infatti impugnato dal professor Porcu che, in un ricorso al Tar, sosteneva la falsita’ di parte della documentazione presentata da Ambrosino. Risultato: il Brotzu non firmo’ il contratto. (m. f. ch.) _____________________________________________________ L’Unione Sarda 15 nov. ’03 La Corte dei Conti indaga sulla Regione SANITA’ IN SARDEGNA DISAVANZO RECORD Disavanzo record, da 1.600 miliardi di vecchie lire, nelle casse della sanita’ regionale. A denunciarlo e’ la Corte dei Conti nel rapporto relativo al triennio 99-2001. L’aumento rilevante della spesa sanitaria (dai 3345 miliardi del ’99 ai 4082 del 2001) ha creato disavanzi consistenti: le spese sostenute hanno, in sostanza, superato le risorse assegnate di circa 500 miliardi l’anno. I giudici della sezione di controllo passano al setaccio anche altre voci e rilevano anche la mancata approvazione del Piano sanitario regionale («continua a rimanere in vigore quello del 1983-1985») e della razionalizzazione della rete ospedaliera, il peggioramento dell’efficienza dell’assistenza negli ospedali e l’aumento del ricorso a presidi fuori dall’Isola. L’assessore regionale alla Sanita’, Roberto Capelli, sottolinea che «apprendiamo i risultati dell’indagine dalla stampa. Ma e’ un verdetto contraddittorio che contrasta col precedente che segnalava per gli stessi anni uno sforzo della Regione per il contenimento della spesa». a pagina10 _____________________________________________________ L’Unione Sarda 19 nov. ’03 IL BUCO NERO DELLA SANITA’ SARDA Cresce la spesa, non i servizi di Alfredo de Lorenzo* La magistratura arriva sempre dopo. Un alto magistrato lo aveva ripetuto, nella paura e nelle incertezze di Tangentopoli, a un dirigente pubblico che insisteva nel chiedere l’imprimatur ad alcune sue decisioni. L’articolo del 15 novembre (“Sanita’ in Sardegna, disavanzo record”) e’ sconvolgente. La legge che regola la Sanita’ in Italia impone ai direttori generali delle aziende, alla Regione, allo Stato, due vincoli: quello finanziario e quello economico. La Legge regionale 5/1995 da’ ai direttori generali la condizione limite della crescita della spesa annua del 5 per cento. Oltre tale limite, vengono automaticamente destituiti. Il dato aggregato per tutta la Sanita’ della Sardegna negli anni 1999-2001 mostra che tale limite e’ stato sorpassato, e di molto. E’ danno all’Erario? Di chi e’ la responsabilita’ del disastro finanziario? I bilanci delle nove aziende sarde sono immediatamente verificabili dalla Regione e dallo Stato, anno per anno. Non occorre aspettare il 2004 per conoscere i conti del 2001. La Regione non ha imposto l’applicazione della Legge? La magistratura contabile e’ arrivata troppo tardi? La questione non e’ solo la sottostima delle risorse da parte dello Stato. Occorre un buon governo di risorse limitate; in Italia, negli anni recenti, gli sprechi nella Sanita’ pubblica sono stati valutati intorno ai 40 mila miliardi di lire all’anno. Occorre un piano sanitario, che consenta la separazione fra domanda e offerta, quel simulacro di mercato che e’ presupposto della Sanita’ in Europa, la cui mancanza indurra’, sempre di piu’, i sardi a attraversare il mare. Occorre che le leggi non siano ineffettive. Ma v’e’ di piu’, per mia esperienza personale. Di recente sono stato operato nell’ospedale di San Gavino da un ottimo chirurgo, un ottimo anestesista, un’ottima squadra. Se la Medicina era ottima, il contesto era pessimo: i cessi non funzionavano, le porte non si chiudevano, le luci non si accendevano. Il processo clinico, che altrove in Italia e’ in mano a Universita’ di chiara fama (e anche questo dimostra la mancanza di un piano sanitario) e che poteva essere implementato con il vantaggio dei cittadini, dell’azienda e della Regione, e’ stato interrotto per difetto di minime risorse finanziarie. Alla crescita della spesa e’ corrisposta una crescita dei servizi e della qualita’? Infine, che cosa e’ successo nel triennio 2001 -2003, se il deficit del triennio 1999-2001 e’ gia’ tanto rilevante? E’ solo questo o sara’ ancor piu’ tremendo lo stato della finanza regionale che si presentera’ alla prossima giunta, nel dopo elezioni? *Gia’ dir. gen. delle aziende ___________________________________________ Il Riformista 21 nov. ’03 CELLULE STAMINALI, FALLISCE LA TRAPPOLA YANKEE SCIENZE. ORA L'ITALIA POTREBBE TROVARSI POLITICAMENTE IN DIFFICOLTA’ . Di ANNA MELDOLESI Europarlamento, non passa la linea filoamericana e la ricerca comunitaria tira un sospiro di sollievo La lunga battaglia europea sulle cellule staminali embrionali e’ arrivata alle battute finali e a cantare vittoria a un passo dal traguardo e’ il fronte favorevole alla ricerca. Ieri infatti l'Europarlamento ha approvato un testo che consente di utilizzare fondi europei per finanziare la ricerca con gli embrioni sovrannumerari che giacciono nelle cliniche di fecondazione assistita in attesa di essere distrutti. II fronte anti-staminali guidato dal Ppe ha mostrato piu’ di una crepa e la "trappola americana" predisposta per bloccare la ricerca non e’ scattata. Tutto e’ cominciato nel settembre del 2002, quando il governo italiano ha minacciato di far saltare tutto il sesto programma quadro - il principale strumento di finanziamento della ricerca comunitaria - se non fossero stati esclusi i progetti che utilizzano cellule staminali ricavate da embrioni umani. Per risolvere l'impasse la Commissione ha proposto una moratoria di un anno, in attesa di mettere a punto delle linee guida che chiarissero le regole per questo filone di ricerca. E sono proprio queste regole, proposte dal commissario alla ricerca Busquin lo scorso luglio, che ieri sono arrivate all'esame dell'Europarlamento. Gli emendamenti tesi a rendere ancor piu’ restrittivo il testo Busquin sono stati respinti uno dopo l'altro, tanto da costringere l'intransigente relatore tedesco Peter Liese a ritirare la propria firma dalla proposta legislativa e poi a dissociarsi dal voto che ne ha decretato l'approvazione con 300 voti a favore, 210 contrari e 19 astenuti. Evidentemente molti conservatori del nord Europa, gli inglesi innanzitutto, non se la sono sentita di seguire il falco della bioetica comunitaria e l'asse proibizionista - che va dal Ppe ai Verdi all'Europa delle Nazioni - non ha retto. La vera partita si e’ giocata su una serie di date scelte ad arte. Busquin aveva proposto di finanziare soltanto i progetti di ricerca che utilizzassero embrioni prodotti prima del 27 giugno 2002. Questo spartiacque, legato all'adozione del sesto programma quadro, e’ privo di qualsiasi significato dal punto di vista scientifico ma aveva lo scopo di segnalare che l'Europa e’ fermamente contraria alla creazione di nuovi embrioni. All'interno della Commissione industria Liese aveva gia’ tentato di muovere le lancette dell'orologio indietro fino al 7 agosto 2001 e di spostare il riferimento temporale dagli embrioni alle cellule staminali embrionali. In questo modo il vero intento della Commissione - che e’ di consentire l'utilizzo degli embrioni sovrannumerari - veniva tradito perche’ i ricercatori non avrebbero potuto sviluppare linee cellulari nuove dagli embrioni gia’ prodotti, ma avrebbero dovuto limitarsi a utilizzare le linee di cellule staminali sviluppate in precedenza dagli embrioni stessi. La nuova deadline, anch'essa arbitraria, e’ la stessa fissata da Bush per la ricerca pubblica sulle cellule staminali, perche’ secondo Liese la scienza avrebbe guadagnato da regole condivise a livello internazionale. Come dire che mal comune e’ mezzo gaudio e se gli Usa hanno deciso di tagliare le gambe ai propri ricercatori pubblici, noi dovremmo fare altrettanto. In vista del voto in plenaria e’ stato il forzista Giuseppe Nistico’ a riproporre lo stesso escamotage sotto mentite spoglie: la data restava quella indicata da Busquin - 27 giugno 2002 - ma riferita alle cellule invece che agli embrioni. Insomma anche in questo caso l'Europa sarebbe finita dritta dritta in quella che il socialista inglese David Bowe ha chiamato la trappola americana. Una vera presa per i fondelli e anche un serio danno alla ricerca perche’ le linee autorizzate da Bush sono vecchie e hanno il difetto di essere state coltivate su strati di cellule di topo, percio’ potrebbero ospitare dei virus murini. Proprio per questo un panel bioetico formato dalla Johns Hopkins University scrive sull'ultimo numero di Fertility and Sterility che sarebbe immorale e rischioso trapiantarle in soggetti umani, visto che oggi disponiamo di nuovi metodi per sviluppare linee cellulari sicure. Lo stesso Busquin prima del voto si e’ voluto soffermare sui contraccolpi del falso compromesso ideato da Nistico’: la ricerca europea sarebbe finita alla completa merce’ di quella americana, le cui linee cellulari per di piu’ sono brevettate e quindi accessibili solo a pagamento, mentre non avrebbe potuto lavorare sulle linee prodotte in Europa - due britanniche e sette svedesi - che sono state sviluppate prima del 27 giugno 2002. Per fortuna la plenaria non e’ caduta nella trappola, e anzi ha approvato l'emendamento presentato da socialisti liberali e radicali per eliminare qualsiasi riferimento temporale. E cosi’ ora e’ probabile che Busquin torni a puntare sulla sua deadline per trovare un compromesso con il Council, che dovra’ esprimersi entro la fine del mese. Il parere dell'Europarlamento non e’ vincolante, ma la nettezza del voto rappresenta un segnale politico forte a tutto vantaggio della Commissione. La maggior parte degli stati membri 8 favorevole alla ricerca sugli embrioni sovrannumerari: 8 su 151a consentono gia’ all'in terno dei confini nazionali e il trend e’ in espansione. La Spagna ha abbandonato a ottobre il fronte proibizionista divenendo il primo paese cattolico a consentire l'utilizzo degli embrioni che non possono piu’ essere impiantati e, qualche segnale di apertura inizia ad arrivare persino dall'intransigente Germania. Alla fine di ottobre il ministro della giustizia Brigitte Zypries ha dichiarato che gli embrioni in vitro non sarebbero protetti dalla costituzione tedesca. L'Italia, insomma, potrebbe incontrare serie difficolta’ a coalizzare intorno a se’ un blocco di minoranza che impedisca al Council di raggiungere la maggioranza qualificata. ___________________________________________ L’Espresso 20 nov. ’03 ANTIBIOTTICI 2:LA VENDETTA MALATTIE INFETTIVE/ LA PROSSIMA BATTAGLIA I batteri si sono evoluti. I farmaci esistenti non fanno piu’ effetto. E allora scende in campo la genetica Per ora si tratta di sostanze del tutto sperimentali, ma l'interesse con cui sono state accolte dalla comunita’ scientifica e lo spazio che ha dedicato loro la rivista "Science" lasciano pochi dubbi sulle aspettative che hanno generato: per la prima volta dopo parecchi anni due gruppi di ricercatori dell'Universita’ dell'Ohio e del Wisconsin, con il supporto di una societa’ privata di Dallas, sono riusciti a mettere a punto una nuova classe di antibiotici capace di uccidere i batteri senza intaccare le cellule umane, con un meccanismo innovativo, e cio’ che piu’ conta - basati sulla conoscenza specifica del meccanismo molecolare che permette alla nuova sostanza di uccidere il parassita. La famiglia di molecole, per il momento ribattezzata con la sigla Cbr703, sfrutta le conoscenze della biologia di base della vita microbica per colpirne uno dei punti piu’ delicati: la sintesi dell'Rna, cioe’ di quella parte di materiale genetico che fa da tramite tra l'informazione contenuta nel Dna e la sua trasformazione in prodotto finale, le proteine. Ha spiegato Irina Artsimovitch, coordinatrice dei diversi team che hanno contribuito allo studio: «Queste sostanze bloccano un enzima chiamato Rna polimerasi, che e’ quello che permette la costruzione, pezzo dopo pezzo, dell'Rna. Senza di esso si arrestano non so lo la riproduzione, ma la vita stessa del batterio, come e’ accaduto nei ceppi di escherichia coli (un batterio comunissimo e molto usato negli studi di base) che abbiamo utilizzato noi. Inoltre una visione cosi chiara del fenomeno dell'assemblaggio dell'Rna permettera’, in futuro, di studiare altre classi di sostanze dirette contro lo stesso bersaglio e di prevenire il fenomeno della resistenza». Cbr 703 e’ l'ultima delle sostanze di nuovissima concezione messe a punto dai farmacologi nell'infinita lotta contro i microbi che, mutando a velocita’ straordinarie, finiscono col rendere inutili le sostanze man mano preparate dai tecnici. La affiancano classi di sostanze come i peptidi o i batteri modificati, prodotti dell'ingegneria molecolare che entra oggi in una vecchissima contesa, la ricerca di sostanze antibiotiche, scompigliandone le carte. La farmacopea potrebbe quindi disporre presto di una nuova classe di strumenti per combattere le infezioni, un avvenimento sempre piu’ raro e altrettanto necessario, vista la crescente inefficacia di quelli esistenti, cui fa da contro altare la permanenza di virus c batteri a ogni latitudine e, anzi, il riaffacciarsi di piaghe che sembravano non fare piu’ paura come la tubercolosi. I dati piu’ recenti, del resto, descrivono assai bene lo stallo attuale: secondo quanto affermato nell'annuale rapporto della Farmindustria americana, la Pharntaceutical Research and Manufaeturers Association, nel 2003 la Food and Drug Administration ha approvato l'immissione in commercio di due soli nuovi antibiotici, dei 32 che erano gia’ in fase avanzata di sviluppo. Secondo l'Fda, piu’ o meno nello stesso periodo la resistenza alle molecole disponibili e’ cresciuta ancora, addirittura del 20 per cento. E la situazione, con il panico da Sars che cova sotto la cenere in attesa della prima polmonite sospetta e dell'arrivo dell'influenza, non sembra destinata a migliorare. Le responsabilita’ del corto circuito, stando agli esperti, sono ripartite tra tutte (e parti in causa: le case farmaceutiche, certo, ma anche i medici e i pazienti. « Per questo e’ sempre piu’ importante che quinto e’ a disposizione sia usato in modo razionale e che il meccanismo dei controlli, che si e’ messo in moto ormai da diversi anni, sia mantenuto e, anzi, rafforzato», commenta Albano Del Favero, direttore del Dipartimento di medicina interna del Policlinico Monteluce di Perugia e membro della Commissione unica del farmaco. L'appello potrebbe suonare scontato, ma i fatti dimostrano quanto poco sia stata recepito da chi gli antibiotici li prescrive e da chi ne fa uso, in modo spesso sconsiderato. Secondo gli esperti dei Cdc di Atlanta solo negli Stati Uniti sarebbero piu’ di 50 milioni, ogni anno, le prescrizioni errate o inutili, effettuate soprattutto per curare i raffreddori (la quasi totalita’ dei quali e’ di origine virale) e altri malanni non causati da batteri. I medici, non solo quelli di medicina generale, avrebbero quindi parecchio da farsi perdonare sr e’ vero, come affermano ancora gli esperti dei Centers for diseases control (Cdc) di Atlanta, che il 30 per cento degli streptococchi responsabili di otiti, meningiti e polmoniti (streprococcus pneumoniae) e’ ormai resistente alla penicillina e ai suoi derivati, cosi’ come lo stafilococco aureo, che causa infezioni anche molto gravi della pelle, delle ossa, dei polmoni e del sangue, e che circa il 70 per cento dei batteri in circolazione negli ospedali e’ insensibile ad almeno un antibiotico, compresi quelli di effettiva necessita’, e’ una questione centrale, perche’ e’ una delle principali cause della diffusione delle resistenze», sottolinea Del Favero. A questo proposito, il settimanale scientifico "British Medicai Journal" ha di recente richiamato l'attenzione su un fenomeno sconosciuto ai piu’, che andrebbe invece sfruttato meglio: non pochi batteri, curati ormai da anni con farmaci sempre piu’ nuovi, sembrano aver riacquistato la sensibilita’ ad antibiotici antichi, talvolta caduti in disuso. E’ il caso, per esempio, di vari ceppi di stafilococco aureo insensibili alla vancomicina (negli Stati Uniti) o alla meticillina e al linesozid (in Israele) che sono ridiventati sensibili al cotrimossazolo, una molecola di molti anni fa, Un discorso analogo vale per il cloramfrniccr lo, tra i primissimi a essere scoperto e abbandonato gia’ da tre decenni, che si’ sta rivelando di nuovo efficace contro vari enterobatteri responsabili di febbri tifoidee (in India); in Francia e’ stata la colistina, un antico e poco usato antimicrobico, a mostrare un potere insospettato contro lo I'seudomonas aeruginosa, causa di gravi infezioni ossee. La lista potrebbe continuare, ma cio’ che va sottolineato, secondo Del Favero, e’ che sarebbe opportuno percorrere anche questa via con maggiore convinzione-. -I test per la sensibilita’ ai medicinali passati di’ moda sovente non si fanno neanche piu’, mentre sarebbe il caso di verificare sempre se e’ possibile ricorrere a farmaci di cui i batteri possono aver perso la memoria». Resta da capire, aggiunge, se la resistenza persa puo’ essere riacquistata, e in che tempi e modi, ma e’ indubbio che tralasciare questa opportunita’ puo’ essere un errore. Il secondo elemento fondamentale che rende le pallottole magiche (cosi’ furono chiamati gli antibiotici all'epoca della loro scoperta) proiettili di gomma nell'arco di pochi mesi o anni e’ la superficialita’ nelle prescrizioni, attestata dal fatto che, nonostante il problema delle resistenze sia emerso pochissimo tempo dopo l'inizio dell'impiego su larga scala, salo a meta’ degli anni Novanta I'Amencan Medical Association, l'American College of Physician e, a seguire, le principali societa’ scientifiche occidentali, hanno provveduto a stilare linee guida per i medici c per i pazienti. Spiega Del Favero: «Innanzitutto un antibiotico andrebbe assunto quando vi e’ la certezza, per i sintomi o perche’ si sono fatti gli opportuni esami di laboratorio, che l'organismo sta soffrendo per l'aggressione di un batterio e che il germe in questione risponde a una certa molecola. A quel punto la cura, che in genere dura almeno una settimana, va fatta fino in fondo, anche se i sintomi sono scomparsi, perche’ questo non significa che i batteri siano stati sconfitti. Anzi, lasciarne anche una piccola quantita’ favorisce la selezione di ceppi resistenti che possono prendere il sopravvento e non essere piu’ sensibili alle terapie. Bando quindi alle cure consigliate da amici e parenti e all'assunzione fai da te, magari perche’ in casa e’ rimasta una confezione di farmaci usati in precedenza». Fin qui le colpe della classe medica e dei malati. Ma l'industria farmaceutica non puo’ certo chiamarsi fuori. La rivista "Nature" ha appena pubblicato un editoriale assai allarmato, in cui erano riportati i dati emersi alla quarantatreesima Interscience Conference on Antimicrobial Agents and Chemiotherapy che delineano un quadro di progressivo assottigliamento degli investimenti nel settore. Un dato per tutti: rispetto all'anno scorso la presentazione di nuovi studi e’ diminuita del dieci per cento, e anche se le molecole in commercio occupano stabilmente i vertici della classifica delle vendite, i fondi a disposizione sono sempre meno, cosi’ come i ricercatori che si dedicano a un settore sentito, a torto, perdente. «Le aziende devono fare sforzi ciclopici per trovare un nuovo prodotto, che richiede in media dieci anni di ricerche e milioni di dollari», spiega Del Favero: «Nel caso degli antibiotici il profitto che ne deriva puo’ essere seriamente limitato dall'insorgere della resistenza, che entro pochi mesi o anni relega il farmaco in una nicchia. Se poi questo non succede e’ il cliente che viene meno, perche’ con la terapia, che in genere dura pochi giorni, guarisce. Piu’ redditizio, invece, e’ investire in patologie croniche che assicurano l'assunzione per anni c che sono destinate ad aumentare con l'allungamento della vita media»,. Per cercare di arrestare il declino e mantenere vivo un mercato che interessa miliardi di persone in ogni angolo del pianeta, negli Stati Uniti si avanzano le prime proposte concrete, come quella di Stuart Levy, della Tufts University School of Medicine di Boston, che, sempre dalle pagine di "Nature", chiede piu’ fondi pubblici e regole meno rigide per la ricerca e l'immissione in commercio, perche’ gli antibiotici, chiosa, «vanno considerati a tutti gli effetti farmaci sociali. PRIMA CHE SIA PANICO In un manuale le regole dell'Oms contro la Sars II 17 ottobre l'Organizzazione mondiale della sanita’ ha concluso la attesissima Consensus conference sul rischio Sars. Nel documento si legge, in sintesi: non c'e’ alcuna prova che la Sars sia una malattia che si trasmette per via area; i lavoratori sanitari devono prestare particolare attenzione; il rischio di trasmissione e’ maggiore dopo 10 giorni dal contagio; non c'e’ alcuna prova che i pazienti trasmettano l'infezione anche dopo che la febbre e’ scomparsa da dieci giorni; i bambini sono raramente colpiti. II documento rassicura poi sul fatto che i mesi trascorsi dal 21 febbraio 2003 sono serviti a mettere a punto una strategia efficace di controllo e di prevenzione della malattia. E allora, quali sono i criteri di inclusione ed esclusione nella diagnosi di Sars? Come si possono gestire casi probabili? Quando si puo’ dimettere un paziente? A tutte queste domande l'Oms ha dato una risposta e chi volesse avere le idee chiare trova tutto su "Contagio", scritto da Cristiana Pulcinellí, Enrico Girardi e Pietro Greco (Editori Riuniti, euro 9,50) che riporta in maniera chiara le indicazioni seguite a livello internazionale. Niente panico, quindi, la malattia per ora i’? sotto controllo. Ma rimangono alcuni problemi aperti: l'evoluzione dei coronavirus, l'agente infettivo della malattia, la sicurezza dei laboratori in cui si lavora su questo patogeno, l'incapacita’ degli ospedali, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, di fronteggiare un'eventuale ritorno della malattia. Ma cio’ che preoccupa di piu’ il mondo scientifico e’ l'assenza di un sistema di allerta mondiale. II caso Sars infatti non e’ ancora chiuso, avvertono gli autori di "Contagio". E se i governi lasceranno sola l'Oms a combattere la prossima offensiva, potrebbero essere guai. Letizia Gabaglio NON SI UCCIDONO COSI’ I BATTERI La somministrazione di antibiotici ai neonati puo’ aumentare il rischio di un successivo sviluppo di allergie e asma allergiche. E’ la conclusione di un'indagine condotta dagli epidemiologi dell'Henry Ford Health System di Detroit. La ricerca, illustrata al congresso annuale della European Respiratory Society, sembra confermare la cosiddetta "ipotesi dell'igiene", in base alla quale l'esposizione dei neonati ai batteri puo’ contribuire a proteggerli dall'asma e dalle allergie in generale. Alterando la flora batterica intestinale, gli antibiotici potrebbero invece danneggiare b sviluppo del sistema immunitario. La ricerca ha seguito 448 bambini dalla nascita fino ai sette anni, tenendo conto del tipo di antibiotici somministrato, e di fattori come la convivenza con animali domestici, la durata dell'allattamento e asma o allergie della madre. Per esempio, in presenza di meno di due animali domestici (considerati fattori protettivi) e dato l'uso di qualsiasi tipo di antibiotici, il rischio di sviluppare allergie cresce almeno del 73 per cento. Invece nei bambini che vengono allattati oltre le 16 settimane, condizione che da se’ pare favorire l'insorgere di allergie, la somministrazione di antibiotici ne triplica il rischio. Ma il dato piu’ rilevante riguarda gli antibiotici ad ampio spettro (combinazioni di penicillina o cefalosporine di seconda o terza generazione): il rischio relativo di sviluppare asma allergiche cresce di quasi nove volte. ___________________________________________ Il Sole24Ore 18 nov. ’03 «LA RICERCA GENETICA? VA PIÚ VELOCE» II numero uno di Decode, Kari Stefansson, avvia test su una molecola contro l'infarto bruciando le tappe della sperimentazione clinica La societa’ comincia a sfruttare la scoperta del gene dell'attacco miocardico lavorando a farmaci personalizzati DAL NOSTRO INVIATO REYKJAVIK a E chi l'ha detto che la ricerca genetica sia per forza lenta e dispendiosa? Puo’ andare anche di corsa. La Decode Genetics, fondata nel 1996 dallo scienziato-manager Kari Stefansson - che dopo la cantante Bjork e’ ormai l'islandese piu’ conosciuto in patria e nel mondo - ha gia’ inanellato una serie non trascurabile di traguardi: tre banche dati (l'intero albero genealogico degli islandesi, i loro dati sanitari e oltre 80mila campioni di Dna), otto geni gia’ isolati e la quotazione al Nasdaq (dove dal primo settembre il titolo ha segnato un fragoroso +296%). Proprio ieri pero’, Stefansson ha tagliato un'altra tappa: da inizio 2004, la Decode mettera’ il suo primo farmaco in sperimentazione clinica, passando direttamente alla fase II e saltando a pie’ pari la fase I e tutti gli studi pre-clinici. Di fatto, dopo aver individuato un target genetico per l'infarto miocardico, la societa’ islandese ha preso in licenza da Bayer un composto (al momento segreto) che ha gia’ superato gli esami di tossicita’ e che ritiene possa aver rilevanza clinica. «Con questa intesa - assicura Stefansson - saremo in grado di saltare numerose fasi e di accorciare di parecchi anni i tempi della ricerca contro la patologia che fa piu’ vittime nel mondo industrializzato». La Decode (che poche settimane ha annunciato di aver trovato il gene dell'osteoporosi) sembra muoversi a grande velocita’. Dov'e’ il trucco? Elaborando le informazioni in nostro possesso, abbiamo individuato i geni che conferiscono all'individuo il rischio di attacco cardiaco. E questo ci assicura un enorme vantaggio - sia in tempo che in denaro - nel valutare l'efficacia di un particolare composto nella prevenzione dell'infarto. La nostra squadra e’ la migliore al mondo: sia nella rapidita’ delle scoperte, sia nella capacita’ di condurre i test contro uno specifico target. In pratica, da oggi entrate nel business della cosiddetta drug discovery... Si, gli obiettivi sono due. Il primo e’ portare sul mercato un significativo numero di farmaci, entro cinque o dieci anni, usando la nostra conoscenza delle patologie genetiche. E il secondo e’ quello di commercializzare dei test genetici capaci di valutare le probabilita’ che una persona ha di sviluppare nel tempo una particolare malattia. Questo e’ un altro prodotto capace di rivoluzionare il mondo della sanita’, perche’ mettera’ nelle mani dei medici un serio strumento per la prevenzione: il futuro della medicina e’ nei farmaci personalizzati. D composto preso in licenza dalla Bayer sara’ sviluppato autonomamente e, se tutto andra’ bene, la casa tedesca percepira’ una royalty. Ma il progetto iniziale non era quello di lavorare sempre in tandem con grandi case farmaceutiche? No, no. Abbiamo un'alleanza con Merck per un farmaco contro l'obesita’ e un'altra con Roche per schizofrenia e diabete. Ma su altri fronti corriamo da soli: il gia’ citato infarto miocardico e l'occlusione arterica periferica, ad esempio. Due anni fa abbiamo fatto un'acquisizione negli Stati Uniti, che ci ha portato in dote due laboratori grazie ai quali possiamo farci la sperimentazione clinica in casa. In altre parole, a volte ammortizziamo il rischio e altre volte ce lo prendiamo tutto. Ma avete risorse fmanziarie sufficienti? Nell'ultimo trimestre avevamo in cassa piu’ risorse di quelle disponibili ai tempi della fondazione di Decode. L'attivita’ sul fronte dei test genetici gia’ produce fatturato e siamo in grado di andare avanti con le nostre gambe. Certo, questo e’ uno "sport" dove la posta in gioco e’ altissima: non e’ adatto ai deboli di cuore... Forse nemmeno ai deboli di spirito: se non sbaglio, anche dopo aver avuto l'assenso del Governo e della popolazione islandese, la Decode non manca di detrattori... In Europa, l'atteggiamento nei confronti della genetica industriale e’ piuttosto curioso. Ho sentito dire cose del tipo: «Voi cercate di diventare ricchi sulle disgrazie della gente». Ma c'e’ un piccolo problema: le uniche istituzioni che si occupano di aprire questa nuova strada, nell'interesse del genere umano, sono le industrie. E poi vengono sollevati anche i problemi di privacy. Posso capirlo, ma e’ anche mia opinione che il valore della sanita’ pubblica trascenda il valore delle informazioni private. Negli ultimi sei mesi ho visitato 25 Paesi e, in tutti quanti, ho prelevato soldi dai Bancomat locali: non capisco perche’ nessuno si faccia problemi se i propri dati sono immessi in una banca dati finanziaria globale e invece tutti abbiano paura di rivelare le proprie informazioni sanitarie. Beh, lo sa benissimo: c'e’ sempre il timore di assistere un giorno a discriminazioni basate sul determinismo genetico... Sono tutte sciocchezze. Prima di tutto perche’, anche se i test genetici potranno misurare sempre meglio il rischio di sviluppare una certa patologia, non e’ detto che quella malattia si palesi. E poi perche’ mi sembra che non ci sia bisogno della genetica per discriminare: ci pensano gia’ i voti agli esami, il colore della pelle e quant'altro. Negli Stati Uniti si teme che, se una persona viene trovata con il gene del cancro al seno, un giorno potrebbe vedersi rifiutare la copertura assicurativa. Ma in realta’ basterebbe rendere questa pratica illegale, con una semplice legge. Sarebbe criminale non far avanzare la ricerca scientifica solo per difendersi dalle assicurazioni. I profili genetici sono destinati ad aiutare la gente, non l'esatto contrario. Che intende dire? Se lei avesse un incidente, ad esempio, in Belgio, i medici di Bruxelles potrebbero consultare un database, scoprire che lei ha problemi con le ghiandole surrenali e quindi salvarle la vita. Prevede che i test genetici a largo spettro potranno diventare di routine? Certo. Attualmente sono in uso nelle strutture ospedaliere. Presto i kit verranno utilizzati dai medici come prassi diagnostica. E, in prospettiva, saranno di uso comune come i test di gravidanza. E qual e’ il prossimo obiettivo di Decode? Quello di sempre: generare i maggiori profitti possibili per gli azionisti, producendo le migliori medicine per le malattie piu’ comuni. MARCO MAGRINI ___________________________________________ Il Sole24Ore 22 nov. ’03 DAL POMODORO L'ANTIDOTO ALLA TBC BIOTECNO i vaccini orali derivati da vegetali geneticamente modificati: l'anno prossimo i test sull'uomo In campo Universita’, imprese e l'Enea per portare avanti in Italia la ricerca nel campo delle scienze della vita ROMA a Patate, pomodori e tabacco promettono di diventare presto armi micidiali per sconfiggere malattie devastanti: a cominciare dalla tubercolosi e dal colera. Segnando la vigilia di una nuova era nel pianeta del biotech: quella dei vaccini ottenuti da piante geneticamente modificate che gia’ dal prossimo anno cominceranno a essere sperimentati sull'uomo. Un fronte promettente, questo, sul quale la ricerca made in Italy ha deciso di scommettere uomini e risorse: «E’ una nuova frontiera e per questo abbiamo deciso di puntarci sul serio», ha annunciato il presidente del Comitato nazionale per le biotecnologie e la biosicurezza, Leonardo Santi, durante la Convention europea delle scienze della vita e il biotech che ieri e oggi vede riuniti a Roma, presso il ministero degli Esteri, rappresentanti ed esperti dei 25 Paesi dell'Unione europea allargata. L'identikit delle piante-vaccino. Dai pomodori i ricercatori - in particolare un team dell'universita’ americana dell'Arizona - hanno sintetizzato un vaccino che permettera’ di curare la Tbc, una malattia che nel mondo colpisce ancora 10 milioni di persone, uccidendone 4 milioni. Mentre dal tabacco e dalle patate si sta mettendo a punto la cura contro la diarrea e il colera: «Questi vaccini ottenuti da piante geneticamente modificate - ha aggiunto Santi - hanno un'importanza decisiva nei Paesi in via di sviluppo, in quanto possono essere somministrati per via orale». Superando, cosi’, sia i problemi della "catena del freddo" necessaria per la conservazione dei vaccini tradizionali che quelli igieni ci legati alla somministrazione per iniezione. In questa frontiera delle piante vaccino anche l'Italia spera di fare la sua parte: saranno, infatti, presto messi in rete l'Enea - gia’ all'avanguardia su questo terreno inesplorato -, un gruppo d'aziende (specialmente le Pmi), l'universita’ di Milano, il Polo di Lodi, Sviluppo Italia della Toscana e l'Universita’ di Pisa, «per far si - ha spiegato Santi -- che il nostro Paese unisca leforze in questo settore». In pista e l'Europa a livelli d'eccellenza». c'e’ anche un accordo con il Re- Tra l'altro, essendo «settori relativamente giovani» necessitano - Il biotech, del resto, promette secondo Buttiglione - d'investimenti «relativamente contenuti». tanti che nessun Paese puo’ trascurare: secondo le stime di piu’ esperti, riuniti a Roma, tra due presto una frustata d'energia per anni i mercati europei delle biotecnologie potrebbero valere oltre; 100 miliardi di euro. Ed entro la fine del decennio, se si competenze della vita rappresentano la parte principale delle nuove tecnologie applicate, questa stima potrebbe toccare la stratosferica cifra dei 2mila mld di euro. Da qui il coro unanime a serrare le fila, in Italia e in Europa. «Colmare le lacune». E’ stato lo stesso presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, - in un messaggio inviato per l'apertura della Convention europea -- a suonare l'allarme: «Ci vogliono i fatti - scrive il premier - e un impegno operoso per colmare; lacune e recuperare i ritardi. E’ tempo di decidere sulla base di progetti ben articolati e di ampio respiro, con tempi certi e definiti». Un appello, questo, raccolto anche dal ministro delle Politiche comunitarie, Rocco Buttiglione: «Nel futuro prossimo- ha precisato il ministro - ci aspettiamo quattro rivoluzioni: biotecnologie, nanotecnologie, nuovi materiali e nuove fonti d'energia. Questi settori rappresentano priorita’ fondamentali per piazzare l'Italia ___________________________________________ Il Giornale 22 nov. ’03 SCOPERTO IN ISRAELE UN LASER SOLIDO CHE RIVOLUZIONA LA CHIRURGIA RETINICA GIANNI MOZZO Il laser ad eccimeri "solido" e’ l'ultima novita’ della chirurgia refrattiva: arriva da Israele e offre maggiore sicurezza e maggiore precisione, come ha ricordato il professor Umberto Merlin presentando il congresso della Societa’ oftalmologica italiana, in programma a Roma dal 26 al29 novembre (saranno quattromila gli specialisti presenti, con una piccola rappresentanza francese). In oculistica, questa e’ la quinta generazione di laser. Un'altra novita’ arriva dalla Grecia: si tratta d'uno strumento che riesce a rimuovere l'epitelio della cornea prima che venga eseguito un trattamento di fotoablazione con il laser ad eccimeri senza alcol. L'ha inventato l'oculista greco Pallikaris, di Creta, che gli ha dato il nome di «epilasik», allo scopo di richiamare la tecnica «lasik, che seziona assieme all'epitelio anche uno strato di tessuto proprio della cornea. Il nuovo strumento, invece, riguarda soltanto l'epitelio corneale. L'assenza di alcol permette di mantenere la totale vitalita’ delle cellule epiteliali, assicurando cosi’ una guarigione piu’ rapida e indolore. Un oculista italiano, il dottor Massimo Camellin, aveva proposto alcuni anni fa una tecnica simile, chiamata «lasek» che garantiva la rimozione temporanea dell'epitelio attraverso una soluzione di alcol e il successivo riposizionamento dell'epitelio stesso nella sua sede naturale dopo il trattamento con il laser; ma il sospetto che l'alcol possa far perdere vitalita’ a una certa quantita’ di cellule, da’ maggior valore alla invenzione del professor Pallikaris. Avanza intanto la microchirurgia. Dagli Stati Uniti d'America vengono proposti strumenti ancora piu’ piccoli di quelli attuali per l'intervento di cataratta che per la chirurgia vitreo-retinica. Per la cataratta c'e’ una nuova tecnica, chiamata «bimanuale», nata in Italia, che permette di praticare un'incisione di un millimetro (attualmente l'incisione e’ di tre millimetri). La tecnica in parola propone di eliminare la guaina di silicone della sonda a ultrasuoni che generalmente serve per raffreddare la sonda stessa. Con la «bimanuale» l'infusione del liquido di raffreddamento viene effettuata con una nuova modalita’: una piccola incisione laterale. Ogni tipo di intervento, durante le giornate congressuali, verra’ illustrato dai relatori e in molti casi eseguito in diretta; ci saranno telecollegamenti con gli ospedali in cui sono al lavoro le e’quipe di microchirurgia oculare. Naturalmente si parlera’ anche di contattologia. ___________________________________________ Il Sole24Ore 22 nov. ’03 IN ITALIA IL LASER A ELETTRONI LIBERI» Il ministro Moratti / Candidate Trieste e Frascati milioni di euro in dieci anni, quale contributo finanziario all4 realizzazione dello strumento scientifico che comportera’ nella prima fase l'impegno di 50 milioni di euro nel quinquennio. Il piano finanziario si inserisce nella nuova strategia dell'Ue per lo sviluppo della ricerca e coinvolgera’ anche la Bers, investitori privati e altri Stati. Gia’ si sono detti disponibili la Grecia, l'Ungheria e l'Austria. Ed e’ questa la filosofia della Commissione Ue. «Serve piu’ coordinamento tra gli Stati europei per vincere la sfida degli Usa e del Giappone nel campo delle infrastrutture e della ricerca» ha sottolineato nel corso TRIESTE a Sara’ quasi sicuramente realizzato a Trieste uno dei laser di ultima generazione, il Free electron laser. Il condizionale e’ d'obbligo, visto che sara’ il Consiglio europeo di dicembre a dire l'ultima parola sui progetti da inserire nella quick start list per il potenziamento del sistema europeo della ricerca. Ma la firma ieri di un protocollo di intesa, siglato dal ministro dell'Istruzione Letizia Moratti e dal governatore del Friuli Venezia Giulia, Riccardo Illy a margine della conferenza internazionale sulle grandi infrastrutture scientifiche, lascia credere che la candidatura di Trieste a ospitare il laser a elettroni liberi sia ormai acquisita, assieme a quella di Frascati (dove e’ gia’ presente il Cnr). «Questa iniziativa - ha affermato il ministro Moratti - fa parte della valorizzazione della Macchina di luce di sincrotrone Elettra» che 'della conferenza di Trieste il commissario Philippe Busquin. Dal canto suo l'Italia, secondo il ministro, sta riducendo praticamente a zero il gap che la divide dagli altri Paesi europei. «Il Governo nella Finanziaria ha previsto per la ricerca un' ampia manovra, con un incremento complessivo che si aggira attorno a 1,6-1,7 attualmente e’ uno dei piu’ avanzati al mondo e opera con analoghi laboratori in Europa, Stati Uniti e Giappone. A conferma della concretezza del progetto ieri la Giunta regionale ha stanziato a bilancio 13 miliardi di euro con un aumento dei finanziamenti a carico dello Stato pari a circa il 22-a:5%» ha affermato Letizia Moratti. II rapporto tra investimenti pubblici per ricerca e sviluppo e il Pil per il2004 salirebbe cosi’ dall'attuale 0,53% allo 0,63 con una media Ue dello 0,66 per cento. Il protocollo di intesa Miur-Regione prevede anche l'espansione delle attivita’ a sostegno di nuovi insediamenti di ricerca e industriali in regione, il sostegno all'avvio del Centro di Biologia molecolare dell'Area science park di Trieste e l'incremento delle ricadute applicative e di sviluppo nel campo delle nanatecnologie e del loro utilizzo, con speciale attenzione alte applicazioni biomediche ed energetiche. _____________________________________________________ Corriere della Sera 20 nov. ’03 NANOPARTICELLE A CACCIA DEI VIRUS di GIULIANO FERRIERI Un’iniezione di nanoparticole magnetiche (particelle della dimensione di un miliardesimo di metro) nel flusso di sangue ci permettera’ presto di conoscere rapidamente e senza altri esami quali virus dannosi stanno agendo al nostro interno e in quale punto preciso dell’organismo si annidano. La nuova tecnica sostituira’ le metodiche attuali, che riconoscono i virus solo indirettamente, catturando o amplificando, attraverso varie tecniche, il loro DNA. Queste metodiche, pero’, sono lente e complesse e presentano il rischio di dare spesso falsi positivi e falsi negativi. La tecnologia che stanno ora mettendo a punto i ricercatori della facolta’ di medicina dell’Universita’ di Charlestown, nel Massachusetts, non presenta questi limiti. «La nostra metodica, gia’ sperimentata con successo sull’animale, - spiega il dottor Manuel Perez, che dirige il gruppo impegnato nella tecnica delle nanoparticole magnetiche - permette, in pratica, di individuare identita’ e localizzazione delle particelle virali con sicurezza e istantaneamente». _____________________________________________________ La Repubblica 20 nov. ’03 CURE ANTIDOLORE, IN ITALIA LE RICEVE IL 30 PER CENTO MILANO «In Italia manca l’attenzione verso il dolore. Fra i paesi occidentali siamo agli ultimi posti per quanto riguarda la terapia del dolore. Ogni anno circa 150 mila persone, di cui piu’ della meta’ sopra i 70 anni, muoiono per tumore. Il 90 % di questi necessita di cure palliative. E il 3040% non riceve un trattamento farmacologico adeguato per il dolore». E’ la denuncia di Carlo Vergani, direttore della Cattedra di Gerontologia e Geriatria dell’Universita’ degli Studi di Milano. L’occasione e’ stata il recente convegno sul "Dolore totale dell’anziano". Vivono con dolore anche i malati di angina. Quelli affetti da Alzheimer o da demenza, che non possono comunicare. Quelli colpiti da malattie cardiorespiratorie in cui il dolore e’ associato alla mancanza di respiro. L’invecchiamento della popolazione, fenomeno in aumento in Italia, sta inevitabilmente portando all’aumento di malattie cronicodegenerative spesso accompagnate da dolore, tanto che, secondo Vergani, la medicina del XXI secolo nei paesi occidentali sara’ proprio caratterizzata dal ‘chronic pain’, il dolore cronico. Manca una cultura di accompagnamento alla morte, e nei nostri ospedali non c’e’ ancora un’organizzazione articolata per la somministrazione delle cure palliative o piu’ semplicemente per il controllo del dolore. Aggiunge Vittorio Ventafridda, direttore scientifico della Fondazione Floriani: «La lotta contro il dolore, per essere efficace nelle persone affette da una malattia incurabile, deve essere diretta verso il ‘dolore totale’, cioe’ a quell’insieme di sofferenza fisica, emozionale, sociale e spirituale che colpisce l’essere umano in quei particolari momenti». Per questo l’anno prossimo l’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanita’, in collaborazione con la Fondazione Floriani, emettera’ un documento per sensibilizzare i governi su questo grave problema. (alessandra margreth) _____________________________________________________ La Repubblica 20 nov. ’03 SCLEROSI MULTIPLA USARE CANNABIS E’ UTILE A 3 SU 4 ASTI Un gruppo di neurologi coordinati da Alan J. Thompon dell’Universita’ di Londra, ha reclutato in due anni 657 pazienti con sclerosi multipla. A 200 di loro e’ stato somministrato l’estratto di cannabis, a duecento il THC principio attivo di sintesi, ai rimanenti placebo. Ogni paziente e’ stato assegnato a caso ad uno dei tre gruppi. I risultati dello studio pubblicato su Lancet di novembre fanno discutere e sono stati oggetto di dibattito al recente convegno "Trattamenti convenzionali e innovativi della sclerosi multipla", organizzato ad Asti dall’Aism. In sintesi, il 75 per cento dei malati appartenenti ai primi due gruppi ha riferito il miglioramento soggettivo di sintomi quali la spasticita’, il dolore, e i disturbi del sonno. E questo era l’obiettivo dei ricercatori, valutare cioe’ l’effettiva utilita’ dei farmaci cannabinoidi come terapie complementari per alleviare i sintomi piu’ gravi correlati alla sclerosi multipla. Punto debole dei risultati e’ la "soggettivita’" dei miglioramenti avvertiti dai pazienti e riscontrati dalle visite specialistiche ma non dalla scala di Ashworth che valuta il grado di spasticita’ muscolare, ne’ dal Rivermeade Mobility Index che misura invece la mobilita’. Lo studio prosegue ma sarebbe opportuno, secondo Vincenzo Di Marzo, ricercatore dell’Endocannabinoids Research Group del Cnr di Napoli, preoccuparsi durante queste delicate ricerche di piu’ degli effetti terapeutici dei cannabinoidi piuttosto che di minimizzare i loro effetti collaterali e di puntare su un filone interessante di ricerca che prevede il potenziamento attraverso l’utilizzo di specifiche molecole, del sistema endogeno cannabinoide che viene prodotto fisiologicamente e in certe situazioni patologiche nel nostro organismo, bloccandone la degradazione. In Italia sono 52 mila i malati di sclerosi multipla, ogni anno 1800 i nuovi casi. Diverse le ricerche sulle terapie tradizionali (interferone, copolimero, immunosoppressivi). Nessuna sui cannabinoidi. (mariapaola salmi) _____________________________________________________ Corriere della Sera 18 nov. ’03 IL SAN RAFFAELE AVRA’ IL PRIMO SUPERCOMPUTER BLU GENE" DON VERZE' MILANO - "Un importante progetto che si realizza. E un desiderio, svanito sul nascere". Nel giorno delle celebrazioni dei dieci anni del Dibit, il Dipartimento di biotecnologie del "suo" San Raffaele di Milano, don Luigi Verze’ ha "un motivo di soddisfazione e un altro di rammarico". Prima la soddisfazione: "Dal 2005 potremo sfruttare le eccezionali potenzialita’ di Blue Gene, il computer piu’ potente del mondo. Il secondo esemplare, il primo al di fuori degli Stati Uniti, sara’ il cuore del nostro nuovo sistema di calcolo del Dibit 2, dedicato alla medicina molecolare, per la ricerca sull'uomo e sulla vita", spiega il fondatore e presidente del San Raffaele. Poi il rammarico: "La tragedia di Nassiriya mi ha profondamente ferito. Cosi’ ho personalmente scritto, tramite l'ambasciatore, al presidente americano George W. Bush. Per chiedergli il permesso di costruire un ospedale in Iraq, in riva al Tigri. Mi ha risposto di no", evidenzia con amarezza don Verze’. Che in passato ha costruito ospedali in aree disagiate del mondo: a Gerusalemme, a Salvador de Bahi’a in Brasile, a Nuova Dehli e a Dharamsala, nel nord dell'India, dove vive il Dalai Lama in esilio. Ma come? Gli Usa osteggiano un progetto di cosi’ ampio respiro umanitario? "Proprio cosi’. A dire il vero non e’ stato un no secco. Ma nella lettera che ho ricevuto proprio nella giornata di oggi (ieri per chi legge, ndr. ), il presidente Bush ha avuto parole di circostanza. Che corrispondono a un rifiuto". Resta pero’ la gratificazione della disponibilita’ del supercomputer Blue Gene. "Appena il presidente di Ibm Italia, Elio Catania, me ne ha parlato, gli ho detto che lo volevo. A tutti i costi". E cosi’ sara’, a quanto pare. Solo venerdi’ scorso l'Ibm ha presentato in America la messa a punto di un prototipo su piccola scala. Tre giorni dopo il San Raffaele annuncia che il secondo modello arrivera’ in Italia. "Se tutto andra’ bene. Se troveremo i soldi... Ma quelli li troveremo. Ne sono certo. Questo supercomputer sara’ in grado di ridurre enormemente i tempi per individuare le cause di gravissime malattie e per trovare farmaci innovativi. E' un sistema capace di effettuare un milione di miliardi di operazioni al secondo ed e’ progettato proprio per studiare le proteine". E non sara’ utilizzato solo dal San Raffaele. "E' questo l'aspetto ancora piu’ importante. Servira’ a noi, ma entrera’ in rete. Sara’ infatti creato un network: su questa macchina potranno lavorare tutti i centri italiani ed europei". Un supercomputer, un ospedale in Iraq. In fondo, presidente, non e’ questo lo "stile" del San Raffaele? Uno stile che rispecchia la sua filosofia di vita, nel quale si coniugano l'aspetto scientifico con quello umano? "Per questo il San Raffaele e’ al tempo stesso ateneo di Scienze biologiche e ateneo di Scienze umanistiche. All'origine di tutto c'e’ la necessita’ di coniugare la scienza, irrefrenabile attrazione umana, con la saggezza di cui l'uomo e’ dotato dal Signore. Esistono tre sfere: corpo, intelligenza e spirito. Che si devono muovere assieme. Il vero valore e’ quello di curare la salute, anche attraverso la ricerca, e lo sviluppo intellettuale". Ma la ricerca sta davvero vivendo una crisi cosi’ drammatica in Italia e in Europa? "Non c'e’ l'abitudine mentale a pensare e a muoversi in questa direzione. Ora pero’ qualcosa sta cambiando" In che senso? "Finalmente, parlando di ricerca, si ragiona sulle eccellenze. Non piu’ interventi a pioggia. Bisogna partire da qui. Una volta creato il clima, il resto verra’ a traino". Anche i privati, che hanno drasticamente ridotto i fondi come e’ stato evidenziato dal presidente Romano Prodi e dal ministro Letizia Moratti, seguiranno l'onda? "Ne sono certo. Oltre alle istituzioni pubbliche, anche i privati, le banche, le fondazioni bancarie, la stessa finanza, capiranno l'importanza della ricerca. Magari serviranno benefici fiscali. Ma i contributi e i fondi, alla fine, arriveranno". Davide Gorni _____________________________________________________ Le Scienze 21 nov. ’03 CELLULE DELLA MILZA PER PRODURRE INSULINA E’ possibile rigenerare le cellule pancreatiche distrutte Una cura per il diabete potrebbe essere piu’ vicina, dopo che alcuni scienziati hanno scoperto che alcune cellule della milza possono trasformarsi in cellule produttrici di insulina. I ricercatori sono stati in grado di arrestare e persino di invertire il decorso della malattia nei topi. Il risultato e’ importante soprattutto per i pazienti con diabete di tipo 1, che necessitano di iniezioni di insulina per sopravvivere. Il diabete colpisce quasi 200 milioni di persone in tutto il mondo. Chi soffre del tipo 1 non e’ in grado di produrre insulina, normalmente prodotta dalle isole del pancreas e necessaria per convertire lo zucchero in energia. Le loro cellule pancreatiche vengono infatti distrutte dal sistema immunitario, causando un pericoloso accumulo di zucchero nel sangue. I ricercatori americani del Massachusetts General Hospital di Boston avevano gia’ mostrato che, iniettando cellule della milza di topi sani in topi diabetici, era possibile rieducare il sistema immunitario rendendo piu’ facile un trapianto di cellule pancreatiche. Ma, a sorpresa, i topi hanno cominciato a produrre da soli cellule pancreatiche generatrici di insulina. Il nuovo studio, pubblicato sulla rivista "Science", ha permesso di scoprire che cio’ si verifica soltanto se ai topi viene iniettato un tipo specifico di cellule della milza. Queste possono essere distinte da altre cellule delle milza perche’ sono prive di una particolare molecola chiamata CD45. Finora, gli scienziati ritenevano che fosse impossibile rigenerare le cellule produttrici di insulina. Il team spera ora di cominciare al piu’ presto trial clinici sugli esseri umani. _____________________________________________________ Le Scienze 18 nov. ’03 SEMPRE PIU’ ALLERGIE In un decennio i ricoveri ospedalieri a Londra sono piu’ che triplicati Uno studio pubblicato sulla rivista "British Medical Journal" rivela un forte aumento nell'ultimo decennio dei ricoveri ospedalieri in Gran Bretagna per disturbi allergici sistematici. I ricercatori della Medical School del St. George's Hospital di Londra hanno usato le statistiche delle dimissioni dagli ospedali nazionali fra il 1990/91 e il 2000/01 per determinare l'andamento dei ricoveri che riguardano quattro condizioni allergiche: anafilassi, angioedema, allergia alimentare e orticaria. Nel periodo dello studio, corrispondente a 11 anni, si sono verificati piu’ di 49.000 ricoveri. I ricoveri totali sono aumentati dai 1.960 del 1990/91 ai 6.752 del 2000/01. Secondo gli autori, questi dati riflettono quasi certamente una crescita dell'incidenza delle malattie. L'aumento maggiore e’ stato rilevato per quanto riguarda l'anafilassi e l'allergia alimentare. Nel periodo preso in esame, i tassi dell'anafilassi sono cresciuti da 6 a 41 casi su un milione, e quelli dell'allergia alimentare da 5 a 28 su un milione. I ricoveri per orticaria e angioedema sono aumentati in maniera piu’ modesta, rispettivamente da 20 a 43 per milione e da 10 a 17 per milione. Le cifre suggeriscono che i cambiamenti possono essere stati causati da una maggiore esposizione a fattori di rischio ambientali (come determinati tipi di cibo), da una piu’ forte suscettibilita’ della popolazione agli allergeni, o da una combinazione di questi fattori.