RICERCA, SPESA IN KO MISTRETTA: PER L’UNIVERSITA’, FINANZIAMENTI DA OGNI ASSESSORATO UN PATTO TRA IMPRESE E UNIVERSITA’ II MODELLO SORU PER LA RICERCA E QUELLO SCIPPO DEL TRIFOGLIO GIOVANNA SI LAUREA CON UNA TESI IN LIMBA QUELLA CASA CHIAMATA NANOTECH L’ITALIA E’ NATA IN SARDEGNA NEGLI UFFICI DELLA PA COMUNICAZIONI SOLTANTO VIA E-MAIL SANITA’. PROGETTO HI-TECH PER L'OSPEDALE FUTURO ================================================================== IL BUON MEDICO E LA NUOVA ETICA CONVEGNI MEDICI PIU DIFFICILI MEDICI, L'«INTRAMOENIA» PIACE AL NORD SASSARI: NATALE IN ROSSO PER I LAVORATORI DELLA SANITA’ SASSARI: ESCALATION DELL’AIDS: IN UN ANNO 22 NUOVI CASI SIRCHIA: CONTRO L' AIDS, LA CASTITA’ EMBRIONI, VETO ITALIANO ALLA RICERCA BIOTECNOLOGIE, L'OCCASIONE MANCATA FARMACI, IN GIOCO L’INNOVAZIONE LA COCAINA ALTERA IL DNA E’ PUO’ PROVOCARE I TUMORI» COSI’ IL CERVELLO RICORDA E IMPARA SE L'ELETTRONICA RICOLLEGA MENTE E CORPO TUNNEL NEL CUORE ALTERNATIVA AL "BY-PASS" IL GENE DELL'ATTACCO CARDIACO UNA TECNICA PER UCCIDERE LE CELLULE TUMORALI VITAMINA B PER BATTERE LA DEPRESSIONE SFIDA ALLA DEPRESSIONE COLLO UTERO, LO SCREENING "COMBINATO" UN NUOVO RUOLO DELL'ESTROGENO LA PROSTATA INGROSSATA? PIU’ VANTAGGI DOPO IL LASER DAL CERCAMINE AL CERCATUMORI (ALLA PROSTATA) QUEI CANCELLI ELETTRICI CHE REGOLANO LE CELLULE ARRIVA LA COLONSCOPIA VIRTUALE ================================================================== ________________________________________________ Italia Oggi 4 dic. ’03 RICERCA, SPESA IN KO DI LUIGI BERLIRi L'Italia e’ l'unico paese che negli ultimi anni ha diminuito la quota di ricercatori sul totale degli occupati e la sua spesa in ricerca e’ la meta’ di quella europea. A denunciare la situazione di ritardo nella quale si trova l'Italia sono stati Pasquale Pistorio, presidente della StMicroelectronics, e Adriano De Maio, commissario straordinario del Cnr, nel corso di un convegno organizzato a Roma dalla Compagnia delle opere che ha sollecitato al mondo politico un metodo bipartisan per portare al centro dell'agenda politica il tema degli investimenti in capitale umano. «Bisogna evitare», ha sostenuto Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione ,della Compagnia delle opere per la sussidiarieta’, -di scivolare verso un modella di sviluppo che ci spinge alla Florida, dove si investe nel divertimento, nel'intrattenimento e nella televisione, mentre noi dobbiamo investire nella nostra forza che e’ l'impresa altamente tecnologica». Di qui la richiesta «di una linea strategica per la ricerca», sollecitata dal presidente della Compagnia delle Opere, Raffaello Vigriali, che ha ricordato come «questa non puo’ che essere selettiva, bisogna darsi delle priorita’ e queste sono collegate alla produzione». ________________________________________________ L’Unione Sarda 5 dic. ’03 UNIVERSITA’, FINANZIAMENTI DA OGNI ASSESSORATO Proposta del rettore mistretta Il ministero dell’Universita’ ha messo un pacco di euro sul piatto della Formazione, ma la Regione sarda non ha ancora afferrato l’opportunita’. Teorema targato Pasquale Mistretta, rettore dell’ateneo cagliaritano, che lancia una proposta: «La formazione universitaria dovrebbe essere legata direttamente agli assessorati regionali, per un rapporto di collaborazione piu’ razionale e piu’ proficuo. Come? Ogni assessore dovrebbe mettere a disposizione due milioni di euro». Risorse e collegamenti: «Per esempio, l’assessorato ai Lavori pubblici potrebbe finanziare le facolta’ di Ingegnera e di Economia. Quello all’Ambiente potrebbe stringere rapporti con Scienze, Medicina, piu’ Agraria e Veterinaria a Sassari. Le Facolta’ di Lettere e Magistero potrebbero entrare in sintonia con l’assessorato al Turismo». ________________________________________________ Il Sole24Ore 5 dic. ’03 UN PATTO TRA IMPRESE E UNIVERSITA’ Accordo tra Confindustria e Conferenza dei rettori per rilanciare l'innovazione ROMA a Crescono gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo. Nel 20041a manovra finanziaria garantira’ un incremento pari a oltre 1,6 miliardi di curo che tradotto in termini di Pil equivale a un +0,012 per cento. Un'iniezione di risorse che portera’ l'Italia ad annullare il gap con il resto dei Paesi europei: dal prossimo anno il rapporto tra investimenti pubblici in ricerca e sviluppo e Pil salira’ dall'attuale 0,53 a un piu’ significativo 0,65 contro una media Ue (che risale pero’ al 1999) dello 0,66 per cento. Letizia Moratti snocciola i dati uno dietro l'altro. Il ministro dell'Istruzione e della Ricerca e’ appena salita sul palco dell'aula magna della Luiss. Davanti a lei, pochi minuti prima, Giorgio Squinzi, vicepresidente di Confindustria con delega per ricerca e innovazione, e Pietro Tosi, presidente della Conferenza dei Rettori delle Universita’ Italiane (Crui) hanno sottoscritto il primo accordo tra il sistema universitario e quello produttivo per rilanciare la ricerca e l'innovazione in Italia. Il matrimonio tra universita’ e imprese dopo anni di attesa e’ avvenuto. La strada della competizione per l'Italia, per l'Europa e’ in salita; tuttavia - come ha detto il ministro - ci sono i presupposti per tornare in vetta. E nell'aula magna della Luiss, dove per un'intera giornata si e’ discusso di «Ricerca universitaria, business e sviluppo territoriale», risuona ancora forte l'eco delle parole pronunciate martedi’ da Carlo Azeglio Ciampi: «La competitivita’ del continente ristagna» e’ ora di scorporare le spese per progetti europei di ricerca dal calcolo del deficit. Il messaggio del Capo dello Stato trova molti sostenitori. «Gli ayatollah del rigore non vedono che il Patto e l'incapacita’ della Bce stanno diventando un peso», ha tuonato il presidente del San Paolo-Imi, Rainer Masera. «La proposta di valutare non rilevanti ai fini del vincolo del Patto gli investimenti per infrastrutture fisiche e ricerca e sviluppo, soprattutto se sostenuti con il cofinanziamento Bei, dovrebbe essere riconsiderata», ha aggiunto Masera ricordando le ripetute richieste in tal senso pronunciate sia dal presidente di Confindustria, Antonio D'Amato, che da numerosi esponenti del sistema imprenditoriale e bancario. Masera ha sottolineato che non a caso «il Governatore Ciampi abbia detto da Presidente» che lo «scorporo» di queste spese non lede il principio della stabilita’. Occorre pero’ fare presto perche’ il rischio e’ che mentre l'Europa si affanna a rincorrere l'America il sorpasso arrivi da Est: «Oggi la Cina e’ paragonabile all'Italia degli anni 'S0 ma potrebbe essere gli Stati Uniti di domani». Parole condivise anche da Letizia Moratti e da Giorgio Squinzi il quale non ha nascosto, tuttavia, la sua parziale insoddisfazione per le scelte assunte dal Governo nella Finanziaria che non sostiene adeguatamente gli investimenti delle imprese nell'innovazione. «Avevamo chiesto ad esempio di dedurre dall'Irap il costo dei ricercatori e invece questa ipotesi e’ stata circoscritta solo per quei ricercatori che arrivano dall'estero», ha detto Squinzi. Che boccia anche l'ipotesi del Mit italiano: «I ` punti di eccellenza non mancano in Italia, quel che occorre e’ sostenerli». Ma il vicepresidente di Confindustria ritiene che dall'accordo sottoscritto con i Rettori possano arrivare significative risposte. II patto tra universita’ e imprese si fonda su dieci azioni specifiche, che coinvolgono non solo il sistema universitario e produttivo ma anche il Governo. Confindustria e Crui chiedono la i previsione di risorse aggiuntive sia per la ricerca universitaria che per quella s privata «da veicolare attraverso strumenti a competizione»; misure per favorire erogazioni liberali da parte di imprese e cittadini per la ricerca pubblica e anche agevolazioni fiscali per le commesse di ricerca dirette ad Universita’ e enti da parte delle imprese. Non solo. Tra le intenzioni rientra anche l'introduzione di una norma per destinare parte delle risorse dell'8 per mille di pertinenza dello Stato «al finanziamento di progetti di ricerca pubblica di alto valore scientifico» oltre che lo sviluppo delle collaborazioni tra universita’ e aziende finalizzate alla promozione di corsi di laurea ad alta integrazione con il sistema produttivo. Fondamentale, infine, la messa punto di meccanismi per premiare le Universita’ che ottengono risultati di alto rilievo e la promozione di iniziative per orientare i giovani alle discipline scientifiche. BARBARA FIAMMERI ________________________________________________ Il Riformista 6 dic. ’03 II MODELLO SORU PER LA RICERCA E QUELLO SCIPPO DEL TRIFOGLIO IDEE. SARDE . Di ANNA MELDOLE•1 Il debutto in politica di Renato Soru come aspirante presidente della regione Sardegna ha scatenato un vero terremoto nell'isola dei nuraghi. Il centro-destra fatica ;a trovare un antagonista all'altezza della sfida, mentre il centrosinistra ha opposto una certa resistenza prima di ritirare per manifesta debolezza il candidato alternativo proposto dalla Margherita - Antonello Soro - e dare finalmente la sua benedizione al padre di Tiscali. Qualche diffidenza del resto era inevitabile dal momento che Soru non ha mai fatto mistero di voler portare anche nella sua avventura politica lo stesso spirito fuori dagli schemi che lo ha contraddistinto come imprenditore. La scommessa e’ tutt'altro che semplice: concretizzare in un programma politico l'inconsueto mix di etnicita’ e innovazione che ha fatto la fortuna iconografica di Soru. Gia’, ma come? Un primo assaggio del Soru politico (o antipolitico) lo si avra’ oggi nella sede cagliaritana di Tiscali che ospita un seminario scientifico a porte chiuse. Una decina di ricercatori tracceranno un bilancio dei problemi dell'agricoltura e dello stato della ricerca agricola in Sardegna davanti al candidato e al suo entourage. A giudicarlo secondo gli standard della politica italiana salta subito agli occhi che si tratta di un esperimento inconsueto. I politici nostrani hanno ben scarse frequentazioni con il mondo della scienza, per lo piu’ rituali se non imposte dalle emergenze. Un paio di anni fa si sono improvvisamente accorti della scienza quando 8 scoppiato il manifesto dei Mille per la liberta’ di ricerca, salvo poi tornare a dimenticarsene fino alla rivolta successiva, dalla riforma del Cnr ai ricercatori senza contratto. Ma nessuno ha mai avuto l'ardire di pensare che la scienza potesse offrire un contributo utile per inquadrare problemi e soluzioni in vista di un appuntamento elettorale ne’ ha mai allargato ai ricercatori il consueto pellegrinaggio a caccia di consensi tra stakeholder e lobbies di varia natura. Fuori dall'Italia le cose vanno diversamente:Tony Blair ha rapporti molto stretti con la comunita’ scientifica e ripete spesso che una buona politica deve essere science-based, mentre gli scienziati laburisti sono soliti presentare analisi e proposte sui temi scientifici piu’ caldi. C'e’ un po' di Blair nel Soru che si candida alla regione? Sostenerlo sarebbe azzardata e nulla garantisce che una bella idea si trasformi in una politica illuminata. Ma resta il fatto che il modello inaugurato a Cagliari meriterebbe di trovare orecchie attente anche a Roma. Nella campagna elettorale sarda ad esempio e’ ricomparso l'allarme biopirateria e il seminario scientifico di oggi potrebbe rivelarsi utile per trasformare un sentimento potenzialmente ostile alla scienza e all'innovazione in un'occasione di rilancio per la ricerca agricola sarda. Secondo la vulgata, ampiamente riportata dalla stampa locale, una multinazionale australiana avrebbe trafugato dalla Sardegna alcuni campioni di trifoglio per poi brevettarlo e costruirci sopra una fortuna rivendendolo a caro prezzo agli stessi sardi. I presunti biopirati erano in realta’ dei ricercatori del programma australiano di miglioramento genetico delle foraggere, che a meta’ degli anni '70 hanno iniziato a lavorare sui genotipi sardi per riuscire quasi 20 anni dopo a selezionare delle varieta’ utili a innescare una sorta di rivoluzione verde. Ma gli scambi di germoplasma da un angolo all'altro del pianeta - ora severamente regolamentati rispetto a qualche decennio fa - rappresentano un indice: della vitalita’ della ricerca agricola internazionale piuttosto che atti di biopirateria. Invece di piangere sul trifoglio perduto, insomma, vale la pena di chiedersi se oggi la ricerca sarda sia in grado di svolgere un ruolo attivo in questo network e di sfruttare le proprie risorse genetiche al meglio. Anche perche’ mentre la Sardegna continua a importare e piantare trifoglio, nel frattempo l'Australia ha accantonato questa specie che ha il difetto di causare fenomeni di salinizzazione ed erosione del suolo. Al suo posto hanno preso piede altre foraggere - la bisemila per esempio - capaci di arricchire il terreno di composti azotati e piu’ adatte a un'agricoltura sostenibile. Per ironia della sorte anche una delle due biserrule che stanno trasformando il paesaggio australiano con sterminate distese di fiori rossi e’ originaria della Sardegna. Mentre l'artefice di quest'ultima rivoluzione verde e’ un giovane ricercatore nato nel nuorese ed emigrato a Perth, Angelo Loi. Una parabola che racconta meglio di mille discorsi quanto sia importante coltivare i cervelli oltre che le colture sovvenzionate. E quanto possa essere fecondo il matrimonio tra la conservazione delle risorse locali -l'etnicita’ appunto - e l'innovazione. In mancanza di un'agricoltura dinamica, radicata nel territorio ma capace di rinnovarsi e di competere sul mercato, la stessa Sardegna rischia di perdere qualcosa della propria identita’, pericolosamente sospesa com'e’ tra un entroterra in crisi di vocazione e una costa sempre piu’ appaltata al turismo di massa. L'isola si puo’ rassegnare a mangiare i macarones de busa fatti con grano scadente trasgredendo alla ricetta tradizionale che non prevedeva l'utilizzo delle uova come addensanti. Puo’ persino fare finta che, il pane carasau abbia la stessa fragranza di un tempo. Oppure puo’ importare grano di alta qualita’ dal Canada o dalla Francia. Ma ha anche un'altra possibilita’: avviare dei programmi di miglioramento genetico pensati per proteggere la tradizione. Riuscira’ a farla? ________________________________________________ La Nuova Sardegna 5 dic. ’03 GIOVANNA SI LAUREA CON UNA TESI IN LIMBA Orotelli, la giovane ha scelto il sardo anche durante la discussione "Ho scoperto un mondo e ora continuero’ a scavare negli archivi" OROTELLI. Che curiosita’ tra le persone che affollavano l’aula magna della Facolta’ di economia per quella parlata orotellese, cosi’ diversa dal linguaggio comune. E che grand emozione per amici e parenti arrivati dal paese, a vedere la loro Giovanna, 25 anni appena, discutere la tesi di laurea proprio nella lingua usata nell’intimita’ delle mura domestiche, o nelle serate con gli amici in quel di Orotelli. Un’occasione proprio da non perdere per molti paesani curiosi. Magie della legge 482 del 1999, una legge dello Stato che tutelando e valorizzando le minoranze linguistiche regala opportunita’ come quella sfruttata da Giovanna Busu di Orotelli, che con la complicita’ del suo relatore, Gianni Loy, docente di diritto del lavoro, ha potuto presentare il frutto di una ricerca durata oltre un anno: "Su limbazu zuridicu a pustis de sa leze 482/99". Uno scavare di documenti giuridici piu’ vecchi della Sardegna, alla ricerca di contratti, atti notarili, amministrativi, e quant’altro a scandito nei secoli la vita giuridica isolana. Per la giovane di Orotelli e’ stato un trionfo: perche’ se in passato gia’ qualcuno ha pensato di usare il sardo per scrivere la propria tesi di laurea, lei e’ stata la prima a usarlo anche per discuterla. "Perche’ ho deciso di scrivere la tesi di laurea in lingua sarda? Perche’ siamo sardi e vedere tanta gente che parla slo l’italiano senza conoscere il suo dialetto, francamente mi fa ridere". Basta dunque ai pregiudizi che vedo come rozze o poco acculturate le persone che parlano i dialetti. Giovanna, ieri ha voluto dire anche questo. "A casa, con gli amici, conla gente del mio paese, sin da piccola sono sempre stata abituata a parlare in sardo - racconta - una volta arrivata a scuola, ricordo invece che mi hanno proibito di usarlo". Ma quel divieto non ha mai cancellato l’amore di Giovanna per le proprie radici. E all’Universita’, la sorpresa: "Il professor Loy organizzava non solo dei seminari sul diritto del lavoro in lingua sarda, ma ci ha dato pure l’opportunita’ di usarlo negli esami. Cosi’ ci siamo messi d’accordo perche’ anche la tesi fosse in dialetto. Dopo mesi passati a frugare tra gli archivi di Stato di Cagliari e Nuoro, curie arcivescovili, biblioteche, cio’ che rimane a Giovanna e’ il suo desiderio, fortissimo, di continuare nella ricerca. "Dalla Carta De Logu, in poi, ho potuto scoprire un mondo affascinante e per molti versi ancora nascosto tra i documenti. Ne sono incuriosita e credo proprio che ora lavorero’ per portarlo alla luce quanto prima e pezzo per pezzo". Sabrina Zedda La possibilita’ offerta da un’apposita legge regionale Esami e lauree in limba per i giovani cagliaritani CAGLIARI. Si puo’ parlare in sardo sia agli esami che nella discussione della tesi di laurea. Lo hanno ricordato le associazioni "Limbasarda" e "Shardana" mercoledi’ mattina a Sa Duchessa a centinaia di studenti universitari distribuendo opuscoli informativi sulle possibilita’ offerte da una legge regionale del 1998. Il volantinaggio, aiutato da una scenografia a base di bandiere dei quattro mori e da una colonna sonora tutta sarda con la musica dell’organetto diatonico, ha coinvolto le facolta’ di Scienze della Formazione, Lettere e filosofia, Psicologia e Ingegneria. Una delegazione dei partecipanti alla manifestazione e’ stata ricevuta dal preside della facolta’ di lettere Giulio Paulis. E dal docente universitario e’ arrivata la conferma che la limba, in facolta’, e’ gradita: tra i corsi di laurea specialistici, quello di Lingua e Letteratura sarda e’ risultato il piu’ gettonato per quest’anno dagli studenti della facolta’ di Lettere di Cagliari. Paulis ha spiegato che il corso di lingua sarda ha superato in iscrizioni perfino Lettere Classiche e Archeologia. Una scelta che, col nuovo ordinamento universitario, puo’ essere fatta dopo il triennio che consente di conseguire la laurea di primo livello, o breve. "Il segnale che emerge da questo dato e’ chiaro - ha detto Antonello Carai, presi dente di Limbasarda - i giovani vogliono credere e sperare nell’identita’ e nella lingua sarda: speriamo che anche le istituzioni imparino a crederci senza i troppi tentennamenti e distinguo cui purtroppo siamo abituati. Crediamo che il risultato della facolta’ di Lettere sia dovuto, oltre che alla tenacia dei responsabili della facolta’, al sostegno della legge regionale 26/97 che, pur nelle sue manchevolezze, comincia a funzionare". (s.a.) ________________________________________________ Il Sole24Ore 5 dic. ’03 QUELLA CASA CHIAMATA NANOTECH Studio materiali innovativi che perfezioneranno tradizionali elementi architettonici In arrivo vetri, piastrelle e sanitari autopulenti e un intonaco che non sbiadisce con l’esposizione alla luce solare Vetri autopulenti, piani di lavoro in cucina su cui le macchie di sugo non attecchiscono, intonaci refrattari ai raggi ultravioletti, vernici fotovoltaiche capaci di produrre elettricita’ a basso costo. E la nano-casa del futuro, un'abitazione rivoluzionata dall'impiego massiccio delle nanotecnologie che potrebbe vedere la luce gia’ fra tre anni. A lavorare al progetto Nanohouse, cominciato l'anno scorso, e’ l'Universita’ della tecnologia di Sidney (Uts), insieme all'agenzia governativa Csiro (Commonwealth scientific and industrial research organisation) e a un consorzio di una ventina di aziende specializzate, tra cui Sgi. Il gruppo e’ coordinato dal professor Carl Masens, dell'Uts: «Nanohouse - spiega - e’ stata concepita all'interno dell'Istituto per la tecnologia su nanoscala all'Universita’ della tecnologia di Sydney con l'obiettivo di realizzare un insieme di esempi chiari e concreti che mostrassero le applicazioni della nanotecnologia. Il nanotech, ad esempio, ha un'importante impatto sul trattamento delle superfici. Attraverso il controllo della chimica delle superfici, infatti, i ricercatori possono verificare effettivamente come un oggetto interagisce con il suo ambiente». I primi risultati di queste ricerche sono stati presentati durante il Forum nanotecnologico dell'Asia e del Pacifico (Asian Pacific nanotechnology forum), che si e’ recentemente concluso a Queensland, in Australia. Occorrera’ tuttavia ancora un po' di tempo prima di riuscire a vedere realizzato un progetto commercializzabile: «Il primo prototipo di casa nanotecnologica - annuncia Masens - dovrebbe essere pronto non prima di due o tre anni. Attualmente, siamo ancora nella fase iniziale di disegno del progetto». L'iniziativa durera’ tra i quattro e i cinque anni e ha trovato per ora quasi 450mi1a dollari di fondi. Se dunque e’ vero che molte tecnologie sono ancora in fase di sviluppo, e’ anche vero che gia’ oggi e’ possibile descrivere la casa del futuro in molte sue componenti. I vetri, ad esempio, saranno ricoperti da una pellicola formata da polimeri a cui saranno aggiunte nanoparticelle che lasciano passare la luce visibile, ma che riflettono i raggi infrarossi. Il risultato sara’ costituito da finestre trasparenti, ma impermeabili al calore. Questo significa avere una casa piu’ fresca d'estate, con un ridotto consumo energetico legato al condizionamento, ma piu’ calda d'inverno, grazie alla diminuzione delle perdite termiche dalle finestre. Progetti simili sono gia’ disponibili in commercio, realizzati da aziende come Vanceva o V-Kool. I vetri, poi, saranno anche auto pulenti grazie all'ossido di titanio, una soluzione gia’ applicata in alcuni prodotti commerciali come l'Aktiv glass della societa’ Pilkington. Questo vetro impedisce l'adesione degli aggregati di sporco, con il risultato che basta un po' d'acqua per pulirlo completamente. Inoltre, l'ossido di titanio funziona da fotocatalizzatore ed e’ in grado di auto sterilizzarsi. I raggi ultravioletti che colpiscono l'ossido producono una reazione che allontana gli elettroni dalla materia organica, ossia dallo sporco, in modo tale che questa non attecchisca. La stessa tecnica puo’ essere applicata sulle superfici ceramiche o di metallo, con il risultato di avere piani di lavoro in cucina e lavelli che si puliscono semplicemente con una passata di spugna, e su cui le macchie di sugo non attecchiscono. Gli stessi materiali consentiranno di ripulire i sanitari del bagno con una semplice sciacquata. Un prodotto simile e’ stato realizzato dalla societa’ italiana Global engineering, su licenza del gruppo Italcementi. Si tratta dell'eco-rivestimento Global millennium, un cemento contenente biossido di titanio che puo’ essere steso come un normale intonaco e che riesce a essere autosbiancante trasformando gli elementi tossici dell'atmosfera - tra cui gli ossidi di azoto - in componenti meno dannosi rimanendo sempre candido. La casa nanotecnologica prestera’ una grande attenzione alla tinteggiatura: nel progetto Nanohouse, ad esempio, e’ allo studio una pellicola all'ossido di zinco che offre protezione ai raggi ultravioletti e che quindi previene i danni del sole, essendo poco fotosensibile, permettendo cosi’ di conservare a lungo la tonalita’ iniziale. Sono in progetto vernici che riescono ad assorbire ogni riflesso fastidioso per gli occhi, e che quindi risultano riposanti per la vista. Alcune pellicole di polimeri saranno in grado di modificare, grazie a un debole campo elettrico, le modalita’ di assorbimento delle radiazioni luminose, variando quindi la propria tonalita’. In altre parole, con un interruttore si potra’ cambiare il colore della propria abitazione. Altri polimeri potrebbero essere utilizzati per produrre luce: una casa simile non avrebbe quindi piu’ bisogno di punti luce precisi, ma potrebbe anche essere dotata di una luminosita’ diffusa, che si adatta automaticamente all'illuminazione esterna. La nanocasa sara’ dotata anche di vernici fotovoltaiche da stendere sulle pareti, capaci di produrre elettricita’ a basso costo. In questo senso va ad esempio il progetto seguito in maniera congiunta dai laboratori catanesi della STMicroelectronics e dai centri di ricerca chimica dell'Universita’ Federico II di Napoli, dell'Enea e del Cnr. Anche le tende e i tappeti saranno realizzati con tessuti autopulenti capaci di ridurre il numero di lavaggi e la quantita’ di detergente necessaria per pulirli. Le fibre saranno rese idrofobiche e oliofobiche, ossia repellenti all'acqua e all'olio, in modo tale che l'unto non si attacchi formando i depositi di sporco. Persino il legno, il materiale da costruzione piu’ antico, assumera’ un volto nuovo. Grazie alle nanotecnologie questo materiale modifichera’ alcune sue proprieta’ e non avra’ piu’ bisogno di essere mantenuto con cura. L'inserimento di alcune nanoparticelle lo rendera’ ignifugo e resistente ai raggi ultravioletti. Non ci sara’ quindi piu’ bisogno di ridipingere periodicamente le proprie imposte. ANDREA CAROBENE ________________________________________________ L’Unione Sarda 8 dic. ’03 L’ITALIA E’ NATA IN SARDEGNA L’altra faccia della storia Seicentosettantanove anni fa di Francesco Cesare Casula Anche se l’argomento e’ difficile, cerchero’ di essere il piu’ chiaro possibile perche’ e’ di fondamentale importanza per noi sardi, viventi all’interno di uno Stato che abbiamo fatto nascere senza trarne vantaggio, per ignoranza. E’ cosi’. Lo Stato che oggi si chiama Repubblica Italiana, al quale paghiamo le tasse, per il quale lavoriamo, combattiamo, preghiamo, e’ nato in Sardegna, a Cagliari-Bonaria, seicentosettantanove anni fa col nome di Regno di Sardegna, e la sua storia e’ la nostra storia e non quella del continente italiano che ci propinano a scuola. A dirlo non sono io, che potrei essere tacciato di cieco sardismo, ma il “Diritto costituzionale” che riporto nella sostanza dal capitolo dedicato alla Origine storica e successive trasformazioni dello Stato italiano. Esso recita: «L’attuale Stato italiano non e’ altro che l'antico Regno di Sardegna, profondamente mutato nella sua struttura politica e non meno mutato nei suoi confini territoriali...»; «tutte le trasformazioni che si ebbero, dall’antico Regno di Sardegna ad oggi, furono trasformazioni interne, per le quali si trasformo’ bensi’, e per importanti materie, l’ordine giuridico preesistente, ma senza che questo venisse mai meno e cedesse il luogo a uno nuovo»; «lo stesso appellativo di Regno d’Italia, assunto con legge 17 marzo 1961 n. 4671, e’ solo il nuovo nome, piu’ appropriato alla nuova situazione di fatto, assunto dall’antico Stato. Ma non vi fu, ne’ in tale occasione, ne’ in alcuna altra antecedente o susseguente, alcuna costituzione ex novo di una entita’ politica statale»; «vi fu adunque una ininterrotta continuita’ dell'antico ordinamento dello Stato sardo. Ne’ questa continuita’, a piu’ forte ragione, e’ venuta meno per gli avvenimenti successivi, come la rivoluzione fascista dapprima, e quella antifascista in seguito, e il passaggio dalla forma monarchica a quella repubblicana». In parole povere vuol dire che in noi e’ l’infanzia, l’adolescenza e la giovinezza di quell’individuo adulto - il nostro Stato - oggi formato dalla penisola, dalle isole, dall’esclave svizzero di Campione d’Italia. Vuol dire che le grandi tappe della storia che hanno fatto nascere l’Italia-Stato sono le battaglie di Lutocisterna (1324) e di Sanluri (1409); che l’impalcatura costituzionale dell’Italia-Stato sono le Corti sarde dal 1355 in giu’, oggi trasformate in Senato e in Camera dei Deputati; che l’inizio della Magistratura italiana sta nel Regio Consiglio di Giustizia, divenuto Reale Udienza nel 1564, poi Senato di Sardegna, poi Magistrato d’Appello e, infine, Corte d’Appello nel 1854; che Ciampi e’ il trentaseiesimo capo dello Stato chiamato in origine Regno di Sardegna, ecc., ecc. Non si tratta di una semplice rivendicazione accademica, una cervellotica teoria di un docente universitario. Tutto e’ controllabile nei documenti d’archivio, nella carte geografiche d’epoca, nei simboli statali passati. A livello politico, la proposizione: “Storia di Sardegna = Storia d’Italia”, se sfruttata, e’ senza dubbio dirompente; si avrebbe: una massima considerazione sociale a livello nazionale; una contrattazione privilegiata con il Governo centrale; un’autonomia unica e particolare, al limite della sovranita’. ________________________________________________ Il Sole24Ore 4 dic. ’03 DIRETTIVA. NEGLI UFFICI DELLA PA COMUNICAZIONI SOLTANTO VIA E-MAIL ROMA - Svolta in arrivo per le comunicazioni interne delle pubbliche amministrazioni. La "Gazzetta Ufficiale" ha in corso di pubblicazione una "Direttiva per l'impiego della posta elettronica nelle pubbliche amministrazioni", emanata dal ministro per l'Innovazione e le tecnologie di concerto con il ministro per la Funzione pubblica. Il documento trae origine dalle "Linee guida del Governo per lo sviluppo della societa’ dell'informazione nella legislatura", approvate dal Consiglio dei ministri il 31 maggio 2002. Testo nel quale, tra gli obiettivi da raggiungere prioritariamente, viene indicata la diffusione dell'impiego della posta elettronica nella "Pa". Inoltre, il Comitato dei ministri per la societa’ dell'informazione, ha approvato il 18 marzo 2003 un progetto di sostegno alla diffusione delle e-mail in tutte le amministrazioni statali. Progetto (denominato @P@) che si sviluppera’ nell'arco di due anni (con una spesa complessiva stimata in 18 milioni di euro) e che prevede, anche, un costante monitoraggio della velocita’ del processo di cambiamento. La precedente scadenza porta come conseguenza che "ogni amministrazione e’ tenuta a porre in essere le attivita’ necessarie al raggiungimento dell'obiettivo di legislatura, in modo da garantire che, entro la data della sua scadenza, tutte le comunicazioni nelle pubbliche amministrazioni possano avvenire esclusivamente in via elettronica". La direttiva, in primo luogo, ricorda come l'utilizzo della posta elettronica, quale valido mezzo di trasmissione di documenti informatici, e’ gia’ previsto dell'articolo 14 del Testo unico delle Disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa (Dpr 445/ 2000), che consente di utilizzare tale sistema di comunicazione quale strumento sostitutivo o integrativo di quelli gia’ ordinariamente utilizzati. La posta elettronica puo’ essere usata per la trasmissione di tutti i tipi di informazioni, documenti e comunicazioni in formato elettronico e, a differenza di altri mezzi tradizionali, offre notevoli vantaggi. Tra questi vengono ricordati: la maggiore economicita’ di trasmissione, inoltro e riproduzione; la semplicita’ di archiviazione e ricerca; la facilita’ di invio multiplo con costi estremamente piu’ bassi di quelli tradizionali; la velocita’ e asincronia della comunicazione (che non richiede la contemporanea presenza degli operatori); la possibilita’ di consultazione e uso anche da postazioni diverse dal proprio ufficio; l'integrabilita’ con altri strumenti di automazione di ufficio. Da ricordare anche il fatto che, a proposito della certezza della ricezione dei documenti, il mittente, qualora lo ritenga necessario, potra’ richiedere al destinatario un messaggio di risposta che confermi l'avvenuta ricezione. Le singole amministrazioni, per poter utilizzare al meglio il nuovo strumento, dovranno dotare tutti i dipendenti e le proprie strutture di una casella di posta elettronica. Il progetto e’ in avanzata fase di attuazione a cura del Centro tecnico per l'informatica nella Pa (Cnipa). Esso prevede, tra l'altro, l'istituzione di: un indice della Pa (che individui gli indirizzi istituzionali), dell'indirizzario elettronico dei singoli dipendenti; di caselle di posta elettronica certificata; di specifici progetti delle amministrazioni. Le amministrazioni, inoltre, dovranno identificare il proprio soggetto cui fare riferimento per tale attivita’ e inserire nel sito relativo (indirizzo www.indicepa.gov.it) tutte le necessarie informazioni. Loro compito sara’ anche quello di aggiornare tempestivamente le stesse informazioni. Il Cnipa viene anche incaricato di effettuare, con cadenza semestrale, un monitoraggio sullo stato di attuazione della direttiva. BENITO CAROBENE ________________________________________________ Il Sole24Ore 1 dic. ’03 SANITA’. PROGETTO HI-TECH PER L'OSPEDALE FUTURO Umano e hi-tech. Grande, ma non troppo. Ad alta intensita’ di cura, ma in continua osmosi con la citta’. Una struttura che mette al centro il paziente, privilegiando accoglienza, comfort e organizzazione delle cure. E’ il ritratto dell'ospedale del futuro, tracciato in uno studio finanziato dal ministero della Salute e promosso dall'Agenzia per i servizi sanitari regionali. Un lavoro in linea con le indicazioni del Piano sanitario nazionale 2003-2005, che ha indicato tra le priorita’ anche il cambiamento strategico del ruolo dell'ospedale, con il suo inserimento nell'ambito della piu’ ampia rete di servizi e col definitivo abbandono delle caratteristiche generaliste. La realta’ di oggi. Traguardi ancora oggi molto lontani, come sottolineano gli stessi autori della ricerca: strutture vetuste, finanziamenti utilizzati con discontinuita’, assenza di standard e di linee guida per la realizzazione ottimale degli ospedali, iniziative affidate al buon senso e alla buona volonta’ dei singoli promotori sono mali diffusi da un capo all'altro della Penisola. Proprio i "Princi’pi guida tecnici, organizzativi e gestionali per la realizzazione e gestione degli ospedali ad alta tecnologia e assistenza", dunque, si propongono ambiziosamente di colmare il vuoto attuale di linee di indirizzo. Il progetto. Ma come sara’, a grandi linee, l'ospedale del futuro, in grado di coniugare hi-tech, attenzione al paziente e collegamento con il "mondo esterno"? "Le nuove strutture - ha spiegato Laura Pellegrini, direttore dell'Assr, nel corso della presentazione dei risultati dell'indagine, a Perugia - dovranno essere in grado di inserirsi nella piu’ ampia rete di servizi sul territorio". Il che significa, in gran parte, anche realizzare il decalogo per l'ospedale del Terzo millennio (sintetizzato nello schema in pagina). E ancora, soprattutto, significa che la mission del nuovo ospedale sara’ quella di assicurare, in qualsiasi circostanza, la cura piu’ appropriata per ogni paziente. Senza discriminazioni, attraverso una pratica clinica integrata, la ricerca e la formazione. L'ospedale dei nostri sogni, insomma, non potra’ piu’ essere un'isola. Dovra’ essere piuttosto flessibile e aperto al mondo esterno. Non piu’ un luogo (per quanto possibile) di dolore, ma di armonia e serenita’, dotato anche di una zona commerciale, di servizi bancari e di strutture per l'accoglienza di degenti e familiari, al di la’ dei luoghi strettamente deputati alla cura. E sul fronte dell'assistenza andra’ superato il concetto del reparto tradizionale: vincera’ l'organizzazione per processi, in cui la diagnosi e la cura del singolo malato seguano percorsi integrati, possibilmente predefiniti, organizzati "orizzontalmente" e non gerarchicamente. Un sistema di indicatori e l'applicazione di una serie di politiche di gestione, dal clinical audit al risk management, dovrebbero garantire efficacia ed efficienza. In cantiere. Di ospedali con queste caratteristiche, nei prossimi anni, potrebbero esserne realizzati dai 200 ai 240, riferiti ad aree di 250/300mila abitanti ciascuna. Uno e’ gia’ in cantiere in Umbria: riunira’ quelli di Gubbio e Gualdo Tadino. I costi varierebbero dai 160 milioni per un polo da 600 posti letto ai 50 milioni per centri con non piu’ di 200 letti. Si tratta, cioe’, di strutture medio- grandi, ma limitate nelle dimensioni dall'esigenza di coniugare investimento economico e sostenibilita’ dell'intero sistema. BARBARA GOBBI ================================================================== ________________________________________________ Corriere della Sera 5 dic. ’03 IL BUON MEDICO E LA NUOVA ETICA Un convegno a Milano su farmaci e industria. "Servono nuove regole nel rapporto con i pazienti" L' INTERVENTO Malliani Alberto Che si parli cosi’ tanto di etica, negli ultimi tempi, e’ segno buono e cattivo insieme. Buono, quando riflette volonta’ e speranza, cattivo quando e’ soprattutto diagnosi di bancarotta. Il mondo assai complesso della medicina si e’ spesso trovato nell' epicentro della bufera. Ne nascevano dibattiti di ogni tipo, ma tutti col fiato corto, tanto che molti pensano che nulla possa cambiare. E' vero l' opposto: nulla puo’ restare immutato. Nella pubblica opinione spesso manca una visione d' assieme della struttura di quelle trappole in cui spesso inciampa la medicina. Schematizzarne alcune puo’ essere utile, senza volere con questo spiegare com' e’ fatto il mondo. La medicina e’ osservazione clinica, e’ ascolto, e’ pietas ed e’ anche necessita’ permanente di nuovi strumenti tecnici sempre piu’ raffinati ed efficaci. Quando si tratta di farmaci, a fabbricarli e’ la grande industria, progressivamente rappresentata da colossi multinazionali. Il medico, in linea di principio, desidera sempre i farmaci migliori per il bene dei propri pazienti. Il successo professionale si identifica, in tal caso, con il successo terapeutico. Quanto all' industria essa persegue, ovviamente, anche dei fini commerciali e il profitto e’ essenziale per la sua esistenza. C' e’ chi crede che possa esistere anche un' etica d' impresa e c' e’ chi non ci crede. Ma, di fatto, sul piano del profitto qual e’ il valore di un nuovo ed essenziale strumento terapeutico? Teoricamente infinito, poiche’ la vita non ha prezzo. Ogni Re di Francia avrebbe ceduto il suo regno per un farmaco che gli avesse allungato di vent' anni la vita. Nella realta’ di tutti i giorni, qualunque innovazione tecnica finisce per diventare un prodotto e, come tale, ha un prezzo. Ma raramente il prezzo viene percepito dagli esperti neutrali come giusto e su ogni novita’, e sempre piu’, aleggia anche il sospetto. C' e’ troppa confusione nel clima promozionale dei media tra i veri progressi e quelli sbandierati come tali. E cosi’ si rafforza, appunto, il sospetto che le industrie vogliano arricchirsi piu’ del dovuto e che i medici facciano di tutto non per opporsi ma per partecipare ai guadagni eccessivi. I rapporti tra le due parti nel frattempo si sono fatti sempre piu’ intricati fino a costituire un perfetto esempio, il complesso medico-industriale, di quell' epidemia che ha colpito in culla il terzo millennio, nota come conflitto d' interesse. Ed e’ questo il nocciolo che va spiegato. Le industrie, in feroce competizione tra loro, vogliono non solo sempre e comunque rafforzare i propri bilanci ma anche salvarsi da quell' altra degenerazione epocale che e’ il predominio della finanza sul mestiere dell' uomo. Quando un' industria lavora bene e occupa una interessante fetta di mercato diventa un bersaglio e rischia di essere comprata da un' altra ancora piu’ potente la quale, ad acquisto avvenuto, per prima cosa mandera’ a casa una buona parte di quegli uomini che, appunto, avevano ben lavorato. La finanza non conosce pietas. L' industria si vede costretta a giocare sempre piu’ duro, o forse quella e’ la sua vera natura. Il gioco duro coinvolge un numero crescente di medici che spesso vi perdono la loro innocenza. Da semplici utilizzatori di strumenti terapeutici si trasformano in strumenti nelle mani della promozione industriale. Ne risultano delle ondate di eccessivi profitti industriali, spesso non sostenibili e quindi pericolosi, mentre i medici venditori, come mosche cocchiere, si sentono portatori di progresso e senza rischi personali partecipano al banchetto. Per loro i vantaggi sono variabili. Dal viaggetto con noccioline per i piccoli si va alle cifre con tanti zero per i piu’ grossi, i cosiddetti opinion leader. Coloro che attraverso le raccomandazioni terapeutiche (definite linee guida), le riviste o le societa’ scientifiche, fanno ricadere i loro conflitti d' interesse sulla valutazione globale delle conoscenze e, per lo piu’ dimentichi delle esigenze socio- economiche, finiscono per incidere sulla spesa sanitaria nazionale. Non e’ mai un salto brutalmente qualitativo, come la scelta di commettere o non commettere un reato. E’ solo un progressivo slittamento quantitativo. Il risultato e’ che come raramente neutrale e’ l' informazione fornita dall' industria, soprattutto ai medici di medicina generale che rappresentano la parte piu’ essenziale della sanita’ pubblica, ancora piu’ di parte e’, assai spesso, l' informazione fornita da quella accademia che dal conflitto d' interesse ricava potere, visibilita’, denaro. Affrontando con spirito costruttivo e in maniera bilaterale i rapporti tra medicina e industria, come e’ accaduto nell' occasione di un Forum organizzato a Milano dalla Societa’ Italiana di Medicina Interna, cercando di individuare dei codici di comportamento su temi essenziali quali l' integrita’ della ricerca clinica, l' educazione continua dei medici, l' informazione che viene loro fornita sugli strumenti terapeutici, la prescrizione delle cure, si potrebbe tentare di trasformare il tutto in un vero patto sociale in cui il bene dei piu’ prevalga sull' interesse di pochi. Questa potrebbe essere l' applicazione ai nostri giorni dell' etica della responsabilita’ di Max Weber. Mai come ora la medicina ha avuto strumenti cosi’ numerosi e di provata efficacia, altrettante possibilita’ di diffondere le conoscenze e di esplorare l' ignoto, e mai come ora, tra conflitti d' interesse e bisogni indotti, ha avuto un volto altrettanto rugoso, non amabile, spesso poco credibile. Alberto Malliani ________________________________________________ Italia Oggi 4 dic. ’03 CONVEGNI MEDICI PIU DIFFICILI DI LUCA SIIVIEONI Nel corso del convegno sui Congressi medici, svoltosi ieri alla Btc di Firenze, e’ stato evidenziato il nuovo quadro normativo e con esso le problematiche che angustiano quello che era uno dei segmenti piu’ produttivi del turismo congressuale e convegnistico italiano (fino a tre anni fa uno share sul globale del 37%). Con la trasformazione del settore innescata dal nuovo programma dell'educazione continua in medicina, l'accreditamento di questi eventi, che va presentato al ministero della sanita’, e’ stato ripensato dal parlamento che lo ha reso molto piu’ difficile da ottenere. Nel passato, questo tipo di congressi erano soprattutto il mezzo per trasmettere prodotti innovativi e commercializzarli. Cosi’ oggi le stesse case farmaceutiche frenano e comunque indietro non si torna. Il contesto e’ ormai sancito da una legge e bisogna adeguarsi senza opzioni operative. ________________________________________________ Il Sole24Ore 8 dic. ’03 MEDICI, L'«INTRAMOENIA» PIACE AL NORD Una spesa totale a carico degli assistiti di 792 milioni di euro, in crescita del 12,55 per cento. Onorari al personale per 700 milioni, in aumento del 15,4 per cento. Ricavi per le aziende sanitarie per 91,7 milioni, sostanzialmente stabili. E’ andata bene nel 2002 l'attivita’ libero professionale dei medici all'interno del Ssn. Gli italiani hanno pagato in media 13,82 euro pro capite, ma con grandi oscillazioni: la spesa piu’ alta e’ stata al Nord (19,44 euro a testa), con l'Emilia Romagna (24,02) leader assoluto, e il Sud (5,91 euro a testa) fanalino di coda, con la Calabria (2,46) in fondo alla classifica. E se i costi a carico dei cittadini aumentano, crescono anche i ricoveri in libera professione intramoenia: nel 2001 sono stati 37.494 (lo 0,93% dei ricoveri totali), con macroscopiche differenze regionali e una pesante incidenza della chirurgia generale. Gli interventi sul cristallino e per il parto (cesareo e non) sono i piu’ gettonati. Ma non mancano, non sempre giustificabili, i ricoveri a pagamento per i malati di cancro. E’ un quadro a tinte opache quello che emerge dai «Dati di sintesi sulla libera professione intramoenia» relativa al 2002, elaborata dall'Agenzia per i servizi sanitari (Assr) e appena consegnata a tutte le Regioni. Un quadro nel quale le statistiche dicono molto e poco insieme: quanto, soprattutto, abbia inciso la necessita’ di evitare i lunghi tempi d'attesa per ottenere le prestazioni a pagamento all'interno del servizio pubblico. Prestazioni di cui si ha diritto gratuitamente, e che nel caso delle neoplasie gridano vendetta. Costi e ricavi allo specchio. Il Nord sbanca in valori assoluti e pro capite sia per i ricavi che per i costi: 492 milioni di incassi, con una quota per cittadino di 19,44 euro; 418,4 milioni di corrispettivi al personale (16,53 euro) a testa. Seguono le regioni del centro Italia, con poco piu’ di 178 milioni di incassi (16,27 euro a cittadino) e 163 milioni di oneri per il personale. In fondo alla graduatoria stanno Sud e isole maggiori, con 121 milioni di ricavi (5,91 euro a testa) e 118,5 di oneri per i dipendenti (5,77 pro-capite). Una classifica che vede la Lombardia in pole position per incassi assoluti (141,5 mln) e la Basilicata ultima (con 3,9); ma che assegna all'Emilia Romagna la leadership per i ricavi pro capite (24,02 euro) e la Calabria con ricavi al lumicino (2,46). Classifiche che valgono anche per quanto riguarda gli oneri per il personale. E se l'intera operazione ha comportato per il Ssn un guadagno di 91 milioni di euro (che serve alla copertura di altri costi), non tutte le Regioni possono cantare vittoria. Sono 5 le Regioni in perdita nel rapporto costi/ricavi pro-capite: Umbria, Marche, Abruzzo, Molise e Puglia. Un risultato, avverte l'Assr, che «verosimilmente e’ da attribuire alla circostanza che le aziende sanitarie hanno previsto lo svolgimento dell'attivita’ libero professionale intramoenia con oneri a proprio carico allo scopo di ridurre le liste d'attesa». Nel confronto tra 2001 e 2002, il Lazio (+42,6%) ha segnato l'aumento piu’ sostenuto nei ricavi e l'Abruzzo (- 3,3%) il dato peggiore. Ma per quanto riguarda i costi e’ sempre il Lazio (+42,78%) a tenere la testa, con l'Abruzzo (+0,25) in coda. Ricoveri a quota 37.494. I dati sui ricoveri sono riferiti al 2001, perche’ solo per quell'anno s'e’ potuta fare per la prima volta una rilevazione. Rilevazione purtroppo ancora impossibile per l'assistenza specialistica in intramoenia. E anche per quanto riguarda i ricoveri, si registra la solita Italia a piu’ velocita’. I ricoveri in prestazioni a pagamento sono stati 37.494, lo 0,29% del totale (12,9 milioni) del Ssn. Ma con percentuali che variano dai picchi dello 0,86% del Lazio e dello 0,57% del Piemonte, allo 0,1% di Basilicata e Sardegna. Dati, sottolinea lo studio, da prendere con le molle, considerato che, essendo il primo anno di rilevazione, le aziende sanitarie potrebbero non aver compilato esattamente le Sdo (schede di dimissione ospedaliera). La chirurgia generale (27,61%) sbanca per numero di interventi, seguita da ostetricia e ginecologia (18,35%) e da ortopedia e traumatologia (9,28%). L'oncologia, con l'1,15%, ha riguardato 430 pazienti. ROBERTO TURNO ________________________________________________ L’Unione Sarda 2 dic. ’03 SASSARI NATALE IN ROSSO PER I LAVORATORI DELLA SANITA’ Le famiglie di circa 500 lavoratori della sanita’ rischiano di passare il Natale senza stipendi e tredicesime. La situazione riguarda tre aziende convenzionate con il sistema sanitario pubblico: Policlinico sassarese, Gesu’ Nazareno e fondazione San Giovanni Battista. Lo denuncia la Cisl-Fps, secondo cui l’Asl n.1 non potra’ garantire il pagamento delle fatture del 2003: cosi’ per i lavoratori, gia’ in arretrato di diverse mensilita’, si fa concreta la drammatica prospettiva di un Natale a tasche vuote. Secondo i sindacati la responsabilita’ e’ da addebitare in parti uguali ad Asl e assessorato regionale alla Sanita’. Aziende convenzionate Asl Natale senza stipendi per 500 camici bianchi Per 500 famiglie si annuncia un Natale all’insegna della disperazione: per i dipendenti della Fondazione San Giovanni Battista di Ploaghe, del Policlinico Sassarese e dell’Istituto Gesu’ Nazareno si prospetta l’ipotesi che, alle varie mensilita’ arretrate, si aggiungano anche quelle relative agli stipendi di novembre e di dicembre e che si perda nella profondita’ della crisi della sanita’ regionale anche la tredicesima mensilita’. La preoccupazione per un Natale in crisi e’ alla base di una nota con cui la segreteria territoriale della Cisl, che raccoglie il grido delle segreterie aziendali dei tre enti, si rivolge all’assessore regionale alla sanita’, per avere risposte sull’effettiva garanzia dei ripiani finanziari per assicurare gli emolumenti ai dipendenti delle aziende della sanita’ privata. Secondo le informazioni in possesso dei sindacalisti, infatti, parrebbe cha alla Asl numero 1, da parte della Regione siano arrivati 22 mila euro; altrettanti se ne sono aggiunti nei giorni scorsi, destinati al pagamento degli stipendi ai dipendenti. In tutto, quindi, sarebbero disponibili 44 mila euro. Ebbene, per pagare gli stipendi di novembre e di dicembre, oltre alla tredicesima, per i soli dipendenti pubblici della Asl occorrono 48 mila euro. Ne mancano percio’ 4 mila, per soddisfare le sole esigenze dell’Azienda sanitaria. Per i privati, quindi, non rimarrebbe neppure un euro. La preoccupazione delle 500 famiglie di dipendenti della sanita’ privata sono, percio’, piu’ che giustificate. Anche perche’, sempre secondo notizie piu’ che valide, l’incontro per un mutuo con le banche e’ stato spostato al 4 dicembre: ammettendo pure che il contratto si firmi, con i tempi burocratici che distinguono banche, Regione ed Asl, per far giungere i soldi a Sassari, ben che vada, si impiegheranno almeno 20 giorni. Il che ci porta al 23-24 dicembre: a quel punto, il Natale e le festivita’ seguenti, sono belli che rovinati. Giuseppe Florenzano ________________________________________________ L’Unione Sarda 2 dic. ’03 SASSARI: ESCALATION DELL’AIDS: IN UN ANNO 22 NUOVI CASI Le istituzioni, dai politici alla Sanita’ sembrano aver dimenticato che l’Aids e’ ancora un’emergenza. E proprio per attirare l’attenzione su un fenomeno di fronte a cui non si deve abbassare la guardia, medici e rappresentati di associazioni di volontariato hanno presidiato, per tutta la giornata, piazza d’Italia. I dati forniti dai principali osservatori nazionali sono agghiaccianti. Secondo il Centro operativo Aids dell’Istituto superiore di Sanita’, nell’isola i casi di sieropositivita’ sono in aumento: 74 quelli rilevati nel 2003, contro i 60 dello scorso anno. Il dato piu’ allarmante riguarda proprio Sassari: mentre a Cagliari l’incidenza del fenomeno e’ in calo (31 casi contro i 49 di un anno fa), in citta’ si e’ passati dai 7 casi del 2002 ai 39 del 2003. Un aiuto importante, nel deserto della prevenzione, viene dall’informatica. Attraverso Internet e’ possibile per chi soffre o per chi ha dubbi su questa malattia terribile, ottenere delle risposte. E’ l’obiettivo di sieropositivo.it, il sito presentato in diverse piazze italiane in occasione della Giornata mondiale della lotta all’Aids. (g. m. s.) ________________________________________________ Corriere della Sera 2 dic. ’03 CONTRO L' AIDS, LA CASTITA’: SIRCHIA SULLA LINEA VATICANA» CRITICHE DELL' ARCIGAY A MINISTRO E SANTA SEDE ROMA - Sull' Aids, il ministro Sirchia ha accettato la linea del Vaticano, cancellando dalla campagna ministeriale ogni riferimento all' uso del preservativo e ai gay: e’ l' accusa rivolta da Arcigay al titolare della Sanita’ e al Vaticano. Nella giornata mondiale per la lotta all' Aids, erano stati proprio il «ministro della Sanita’» della Santa Sede, cardinale Barragan e i vescovi dell' Africa, continente colpito in modo preoccupante dall' infezione, a ribadire che la castita’ e’ la forma piu’ sicura di prevenzione. Fine modulo L' Arcigay attacca Sirchia «Stessa linea del Vaticano contro l' Aids, la castita’» La Santa Sede: l' astinenza e’ il modo migliore per fermare il diffondersi dell' infezione Critiche alla nuova campagna ministeriale ROMA - «Sull' Aids il ministro Sirchia ha accettato la linea del Vaticano, cancellando dalla campagna ministeriale ogni riferimento all' uso del preservativo e ai gay». E' questa l' accusa rivolta da Arcigay al titolare della Sanita’ e al Vaticano. «Il ministero della Salute - sostiene l' Arcigay - ha escluso i gay dalla campagna di prevenzione in corso». Secondo l' associazione «e’ la prima volta, da quando negli anni Ottanta sono partite le campagne di prevenzione contro la malattia, che non e’ prevista alcuna iniziativa rivolta ai gay». «E' grave e ingiustificato - ha commentato Sergio Lo Giudice, presidente nazionale Arcigay - che, mentre stiamo assistendo a un incremento percentuale della diffusione della malattia per via sessuale, anche relativamente ai rapporti omosessuali, il ministero decida di non prevedere, contrariamente a un suo preciso dovere, iniziative espressamente rivolte alla popolazione gay. La prevenzione e’ bloccata, le nuove infezioni no. Il ministero si assume una responsabilita’ gravissima». Secondo il rapporto semestrale dell' Istituto superiore di sanita’, nel primo semestre 2003 i nuovi casi di Aids registrati, dovuti a rapporti omosessuali, sono stati 84, il 18 per cento del totale. Questo accade mentre il Vaticano, nella giornata mondiale per la lotta all' Aids, ha emesso ieri una forte difesa della sua posizione contro il preservativo, affermando che la fedelta’, la castita’ e l' astinenza sono i modi migliori per fermare l' Hiv e l' Aids. Il messaggio del cardinal Javier Lozano Barragan, presidente del Consiglio pastorale per la cura della salute, ha definito i nuovi modi per aiutare la gente a cambiare stile di vita, parlando dell' importanza di rispettare i «valori religiosi e morali della sessualita’ e del matrimonio, chiamati fedelta’, castita’ e astinenza». _____________________________________________________ Il Manifesto 4 dic. ’03 EMBRIONI, VETO ITALIANO ALLA RICERCA A Bruxelles scontro tra il ministro Letizia Moratti e l'esecutivo dell'Ue. Salta l'accordo sul finanziamento dei progetti di ricerca che utilizzano cellule staminali Avanti tutta contro la ricerca, quella sugli embrioni, necessaria contro l’Alzheimer, il Parkinson e il diabete, ma un peccato mortale per chi ne fa una questione di religione. Il tutto grazie alla presidenza italiana e al ministro dell'istruzione Letizia Moratti che da’ spettacolo a Bruxelles: impone il voto su una proposta di compromesso che di fatto impedisce la ricerca, perde, pur contando i suffragi come pare a lei, e poi si rifiuta di mettere ai voti la proposta della Commissione, ben piu’ aperta e, soprattutto, piu’ utile. Alla fine la Mortatti prova a spiegarsi di fronte ai giornalisti ma finisce in un discorso patetico, pieno di errori e imprecisioni tanto da indurre il Commissario alla ricerca, il belga Philippe Busquin, normalmente un signore, ad assumere una serie di espressioni improbabili, ritenendosi stupito, seccato, incredulo. Risultato: l'Europa rimane senza una guida con cui decidere come e se finanziare i progetti sulle cellule staminali. Eppure il parlamento europeo si e’ pronunciato a larga maggioranza (contro popolari, eurodestra, verdi e lega) a favore dei fondi alla ricerca in quei paesi in cui e’ permessa (stessa storia per la Commissione che proponeva solo qualche limite etico praticamente insignificante a livello scientifico). Rimangono i 15 a non mettersi d'accordo. Intanto i131 dicembre scade la moratoria di un anno e da allora in poi e fino alla fine del IV Programma quadro sulla ricerca (31 dicembre 2006) sara’ la Commissione a decidere caso per caso, cioe’ esperimento per esperimento, se concedere i fondi o no. I paesi membri dovranno quindi esprimersi a maggioranza qualificata, ma al contrario: chi vuole bloccare il progetto dovra’ avere la maggioranza. In pratica tanta battaglia oscurantista solo per far perdere tempo alla ricerca. La riunione di ieri era iniziata con la proposta Moratti sul tavolo: finanziare solo gli esperimenti che utilizzano «cellule madri (cellule estratte dagli embrioni sovrannumerari, ndr) o linee cellulari (le cellule madri trattate, riproducibili e utilizzabili per gli esperimenti, ndr) create prima del 3 dicembre 2003». Un limite di questo tipo equivale a condannare a morte la ricerca perche’, come ha rilevato Busquin, «al momento in Europa abbiamo pochissime catene di linee cellulari, 4-5 in Svezia e una nel Regno unito. Ci vogliono almeno due anni per crearle e la percentuale di successo e’ bassissima. Porre limiti di data rende impossibile la ricerca». Di diverso parere la Moratti: «E’ una proposta piu’ avanzata della legge statunitense, approvata dall'amministrazione Bush, che prevede come limite il 7 agosto 2001». Non e’ un peccato mortale andare piu’ avanti degli Usa, soprattutto se a guida Bush, ma il problema principale e’ che i modelli di ricerca, come ha fatto notare lo stesso Busquin, sono assai diversi tra i due lati dell'Atlantico: «Da loro e’ quasi tutta ricerca privata, a cui tra l altro non vengono imposti limiti, da noi e’ praticamente tutta ricerca con fondi pubblici». Germania, Portogallo, Lussemburgo e all'ultima ora la Spagna (che ha recentemente approvato una legislazione ben piu’ permissiva) hanno appoggiato l'Italia. Astenuta l'Austria, contro tutti gli altri anche se la cattolicissima Irlanda, pur votando contro la proposta Moratti, e’ stata conteggiata come astenuta. La Commissione ha allora proposto un'altra formula: finanziare gli esperimenti che utilizzano embrioni (non cellule madri o linee cellulari) creati prima del 3 dicembre 2003. «Non diamo denaro per il prelievo, e’ una questione etica importante - ha spiegato Busquin - ma non poniamo limiti per lo sviluppo delle cellule, la cosa e’ scientificamente importante». Effettivamente gli embrioni sovrannumerari gia’ esistenti (quelli creati in piu’ per l'inseminazione in vitrio) sono svariate centinaia di migliaia in tutta Europa, con un problema reale di cosa farne. A1 tempo stesso non finanziare il prelievo della cellula madre dall'embrione non comporta grossi danni per la ricerca visto che si tratta di un'operazione relativamente semplice e economica. La presidenza invece di votare questa proposta ha chiuso la sessione. ________________________________________________ Il Sole24Ore 7 dic. ’03 BIOTECNOLOGIE, L'OCCASIONE MANCATA INCHIESTA;,_ Ottava nel mondo per numero di pubblicazioni, l'Italia fatica a concretizzare le scoperte scientifiche Mancano norme di riferimento e istituzioni, ma anche investitori, cultura e imprese - Lo Stato e le universita’ latitano MILANO Le biotecnologie sono un moltiplicatore di opportunita’, di ricchezze e - in molti casi - anche di speranze. La somma di conoscenze, capitali e tecnologiche puo’ spalancare possibilita’ mai viste prima nella storia dell'umanita’, con dividendi enormi per gli investitori e anche per il benessere e la salute degli individui. Peccato che. dopo moltiplicazioni, somme e divisioni, se in Italia si sottrae la retorica, il risultato finale assomigli a un mezzo disastro. «Il ventunesimo secolo e’ il secolo della biologia - ha detto l'economista Lester Thurow - ma l'Europa non l'ha ancora capito». E se non l'ha capito l'Europa figurarsi l'Italia. Secondo la retorica corrente, nel Belpaese ci sono 71 aziende biotech. il 41% in piu’ dell'anno scorso. Un dato che, epurato dalle iperboli, dice poco (nel 2002 ce n'erano 360 in Germania, 331 in Inghilterra. 239 in Francia. 179 in Svezia) e niente (quelle che fanno davvero ricerca si contano sulle dita di due mani). L'Italia e’ l'ottavo Paese al mondo per quantita’ di pubblicazioni scientifiche. Ma il livello della ricerca non si traduce in realta’ per l'endemica assenza di norme, istituzioni, investitori. «Con l'aiuto della Provincia di Milano e della Re;ione - racconta Gianfranco Greppi, professore di biotech - ho trovato 40mila curo per Lea Biotech, una startup con la quale applicare certe scoperte di biologia molecolare al settore veterinario. Seimila euro se ne sono andati solo per la costituzione della societa’. E le banche si ostinano a non dare fiducia ai documenti della Provincia che ci danno fiducia: non riesco a trovare i soldi necessari». «Nell'imminenza della fusione-rincara Silvano Spinelli, amministratore delegato di Novuspharma, quotata al Nuovo Mercato - ci prepariamo ad ospitare in Italia la ricerca preclinica del nostro partner americano Cell Therapeutics. Gli ispettori del ministero della Salute ci hanno dato l'approvazione. Ma io non posso ancora far lavorare i ricercatori gia’ assunti perche’ la commissione dello stesso dicastero, chiamata a ratificare l'operazione, non ha i fondi necessari per riunirsi. E sconcertante». Novuspharma e’ una di quelle poche dita di quelle poche mani. E nata piu’ per urgenza che per ispirazione - da uno spinoff per evitare di gettare al vento un centro di ricerca che la Berhinier Mannheim intendeva chiudere. Una storia praticamente identica a quella di quasi tutte le altre vere biotech nazionali. Biosearch (da poco fusa con l'americana Vicuron) nasce da un analogo 'abbandono" di Lepetit e Hoechst. La Neuron nasce dalle costole di Pharmacia, la Bioxell da Roche, la Nikem da GlaxoSmithKline, la Axxam da Bayer, mentre MoIMed origina sempre da Boehringer. Adesso rischia di chiudere il centro di ricerca di Pharmacia a Nerviano, perche’ alla nuova padrona Pfizer non serve: o si trovano investitori, o vanno a casa in 700. Un'eccezione al modello spinoff di emergenza" c'e’: si chiama NicOx, che punta a potenziare farmaci gia’ esistenti con l'ossido nitrico. «Quando abbiamo deciso di lanciarci nell'avventura - racconta Piero Del Soldato, uno dei tre fondatori - in Italia non abbiamo trovato un solo investitore disposto a finanziare, il progetto, Abbiamo risolto il problema in Francia». Il risultato? La NicOx ha si aperto un centro di ricerca nel milanese, unico vero distretto nazionale del biotech fra un gran numero di aspiranti epigoni. Ma - su esplicita richiesta dei venture capitalist - la societa’ ha sede vicino a Nizza, ed e’ quotata a Parigi. Peraltro, tutte altre le societa’ gia’ citate hanno spiegato le ali grazie al contributo di capitali stranieri. «Se non includiamo l'Italia nel nostro rapporto - spiega Siegfried Bialojan, uno degli analisti di Ernst & Young che redige un dossier annuale sul biotech europeo - e’ perche’ da voi manca la massa critica». Danimarca, Olanda, Finlandia e Irlanda nel rapporto ci sono. Anche coloro che devono fare appello a un po' di retorica per motivi istituzionali - come Sergio Dompe’, proprietario dell'omonimo gruppo farmaceutico e presidente di Assobiotec - ammettono che c'e’ piu’ di un motivo per lanciare l'allarme. «Sono d'accordo cori Thurow - confessa - a maggior ragione nel caso italiano, dove una buona legge come la 297 del '99 (quella che ha finalmente consentito di piantare i semi della ricerca universitaria sul terreno dell'industria privata, ruir non ha i finanziamenti necessari per far fronte alle richieste». Le possibilita’, assicura Dompe’, sono pressoche’ infinite: dalla terapia alla diagnostica, dall'ecologia alle oltre 8mila patologie "orfane" (quelle talmente rare da non accendere gli appetiti dei colossi farmaceutici). «Lo stato della ricerca italiana non e’ disastroso e abbiamo 5-6n-ila laureati in biotecnologie», dice Dompe’. «Molte universita’ non hanno ancora adattato i propri regolamenti alla 297 -commenta Luigi Ricciardi, presidente di Biopolo, una societa’ che offre servizi e consulenza alle societa’ del settore - nel timore di perdere una verginita’ che non hanno. Senza questi pero’, i venture capitalist staranno sempre alla larga e la buona ricerca non si trasformera’ mai in prodotto». Certo, il Ventunesimo secolo e’ appena cominciato: in teoria c'e’ ancora tempo per agguantare il «secolo della biologia». «Pero’ bisogna fare in fretta», commenta Paolo Barbanti, consulente aziendale specializzato in biotech. «Il treno e’ appena passato e si puo’ ancora afferrare la maniglia dell'ultimo vagone. L'idea migliore e’ concentrarsi sui temi che la ricerca italiana conosce meglio (oncologia, immunologia, neuroscienze, patologie cardiovascolari) invece di disperdersi in mille rivoli. Bisogna fare qualcosa, o la marginalizzazione ci costera’ cara». Nelle ultime settimane - anche sulle ali della ripresa dei titoli biotech al Nasdaq, cominciata a marzo - il finanziere Francesco Micheli ha annunciato il suo debutto nel settore con la societa’ Genextra, a fianco di Umberto Veronesi e dei ricercatori dell'Ifom e dello Ieo di Milano. Obiettivo: trovare la molecola giusta per inibire il gene P66, ritenuto responsabile nell'invecchiamento dei topi (nell'Evoluzione piu’ vicini agli esseri umani di quanto si pensi). «Lo scenario ottimale - commenta Micheli - e’ trovare la molecola giusta e poi mettere il brevetto all'asta: in tutto il mondo, le big pharma si affidano abitualmente alle piccole biotech per le scoperte piu’ avanzate». Curiosamente, piu’ o meno negli stessi giorni, la Cdb Web Tech di Carlo De Benedetti ha annunciato un'investimento nella Elixir Pharmaceuticals, societa’ americana che persegue lo stesso obiettivo studiando i geni di forme di vita meno evolute del topo. Se fosse vero che una nuova e’ra -1' e’ra della biologia - e’ cominciata, le universita’, gli imprenditori, gli investitori e soprattutto coloro che hanno in mano le leve della politica economica, potrebbero forse rifare i conti. Meglio sottrarre la retorica e puntare alle moltiplicazioni. MARCO MAGRINI ________________________________________________ Il Sole24Ore 4 dic. ’03 FARMACI, IN GIOCO L’INNOVAZIONE Federico Nazzati; presidente Farmindustria: il Governo decida se vuole evitare il declino del settore Il 2004 sara’ in salita: la Finanziaria porta solo tagli - Bene la tecno- Tremonti - Via libera ai Fondi integrativi ROMA «La farmaceutica e’ uno dei pochi treni dell'innovazione sui quali l'Italia puo’ ancora salire. Ma a questo punto decida se vuole dare lo stop al suo declino o se investire sullo sviluppo, come fa l'Europa». Federico Nazzari, presidente di Farmindustria, rilancia con forza la proposta di costruire una politica industriale di settore avveduta e strategica. E alla vigilia dell'- Annual Sanita’ - spesa sanitaria pubblica e privata in Italia», il convegno organizzato con «Il Sole-24 Ore» che si terra’ oggi a Roma, elenca tutte le preoccupazioni del settore. Aggiungendo: se lo Stato non ce la fa a tenere il passo della spesa sanitaria, servono forme «alternative» di finanziamento, come Fondi integrativi e ticket ma «equi e intelligenti». Presidente Nazzari, per la Finanziaria 2004 e’ gia’ tempo di bilanci. Qual e’ il giudizio degli industriali farmaceutici? II difetto della Finanziaria e’ di essere assai poco innovatrice. Secondo una ormai lunga tradizione, sembra prendersela solo con i farmaci, che rappresentano appena il 13% della spesa sanitaria. Cito solo due misure. La prima e’ il pay back a nostro carico del 60% de’l disavanzo di spesa: una misura che considero iniqua e di dubbia legittimita’. Su un euro di spesa farmaceutica del Ssn, 67 centesimi li incassa l'industria e 33 la distribuzione. Chiederci di restituire anche la quota degli altri mi sembra assurdo. Non e’ che io voglia far pagare la distribuzione. Ma perche’ dobbiamo pagare per gli altri? Se c'e’ una categoria disagiata, e lo Stato ritiene di farsene carico, lo faccia. Ma non a nostro danno. La seconda iniquita’? Il contributo del 5% sulle spese promozionali, per alimentare un Fondo che sosterra’ la ricerca sulle malattie rare e l'informazione scientifica pubblica. Un altro onere di 200 milioni che si aggiunge a una serie di indeducibilita’ fiscali sulle attivita’ promozionali delle industrie. Bilancio negativo, insomma. Ci sono anche segnali positivi. Penso alla "tecno-Tremonti", che per la prima volta introduce incentivi fiscali a investire in ricerca. Per ora in misura limitata e solo per il 2004. Speriamo non resti una meteora e che rappresenti un segnale d'inversione di rotta. Sarebbe importante per tutto il settore industriale e per la competitivita’ del Paese. Piu’ un settore e’ ad alto tasso di innovazione e ricerca, e noi sicuramente siamo tra questi, piu’ e’ interessato a queste misure. Come si prospetta il 2004? Si prospetta male. Sara’ un altro anno in cui il tetto verra’ sfondato. Le imprese avranno serie difficolta’ a far tornare i conti e quindi dovranno rivedere costi e investimenti. I prezzi sono del 14°lo piu’ bassi della media Ue. Abbiamo prodotti nuovi che non riescono ad arrivare sul mercato. In tutto questo, non vedo una politica che, oltre al contenimento dei costi, tenga conto anche dei problemi industriali. Speriamo di avere qualche mese di tregua per cominciare a ragionare su un progetto di sviluppo industriale. Se ne parla inutilmente da anni. Ma c'e’ lo spazio, oggi? Dipende dalla volonta’ delle istituzioni di scegliere se avere una politica industriale farmaceutica, come finora non e’ mai avvenuto. Se si vuole mantenere un'industria farmaceutica che abbia un minimo di senso, e non farne un puro mercato di consumo, i margini ci sono. Altrimenti? Si farebbe una scelta politica disastrosa per l'economia del Paese. L'Italia deve decidere se fare come l'Europa, che considera il settore strategico per lo sviluppo. A questo punto e’ indispensabile capire se si vuole dare lo stop al declino del comparto in Italia. Altrimenti saremo debitori di farmaci scoperti, prodotti e brevettati all'estero. Magari diventeremo grandi produttori di generici, con tutte le conseguenze per l'occupazione, le conoscenze, l'accesso all'innovazione. Insomma, si deve scommettere tutto sull'innovazione? Poiche’ i settori a tecnologici avanzata nei quali l'Italia ha ancora qualcosa da dire non sono cento, uno di quelli che si potrebbero conservare e’ il farmaceutico. Uno dei pochi treni dell'innovazione sui quali ancora salire. Se l'Italia pensa di restare competitiva su mercati globali con manifatture a basso contenuto tecnologico, ha sbagliato tutti i calcoli: I fondi pubblici non bastano a tenere il passo della spesa Ssn. E la spesa privata cresce. Qual e’ la ricetta possibile? Se lo Stato non ce la fa a coprire piu’ tutto, si deve pensare seriamente a forme alternative di finanziamento. Per i chimici, a esempio, sta per partire il Fondo di assistenza integrativa. Questa, accanto a sistemi equi e intelligenti di compartecipazione alla spesa dei cittadini, puo’ essere la strada da seguire. Dire ai cittadini di arrangiarsi, e’ impossibile. Siamo in un Paese con un Servizio sanitario nazionale. E io mi auguro che rimanga. Ma va integrato. M TURNO Federico Nazzari (Imagoeconomica) ________________________________________________ Il Giornale 5 dic. ’03 LA COCAINA ALTERA IL DNA E’ PUO’ PROVOCARE I TUMORI» da Roma L'ecstasy e la cocaina, ovvero le droghe piu’ diffuse, soprattutto tra i giovani, oltre a essere tossiche e creare dipendenza, agiscono direttamente a livello del Dna trasformandolo e provocandone delle mutazioni. A scoprire l'inedito danno genetico di questi stupefacenti sono stati i ricercatori del reparto di Mutagenesi e differenziamento della sezione di Pisa dell'Ibba-Cnr, Istituto di biologia e biotecnologia agraria del Consiglio nazionale delle ricerche Lo studio, durato oltre tre anni e oggetto delle tesi di laurea di Dinuccio Dinucci e Giuseppe Mauceli, e’ stato realizzato in collaborazione con Mario Giusiani, tossicologo dell'Istituto di medicina legale dell'Universita’ di Pisa. Giusiani, oltre a fornire il materiale per gli esperimenti, si e’ occupato della caratterizzazione chimico-analitica. «la cocaina e l' ecstasy si sono rivelate piu’ pericolose di quanto sapevamo», sottolinea Giorgio Bronzetti, responsabile scientifico del reparto delI'Ibba-Cnr. «Queste droghe, infatti, oltre a tutti gli aspetti tossicologici, aggrediscono il Dna provocandone delle mutazioni, cioe’ alterando il materiale ereditario. Cio’ solleva molte preoccupazioni sugli effetti che si possono avere nelle generazioni future. Inoltre - continua Bronzetti - se consideriamo la stretta relazione tra mutagenesi e cancerogenesi, si puo’ affermare che tali droghe possono essere causa di neoplasie». In base ai risultati ottenuti su sistemi submammiferi, i ricercatori dell'Ibba San Cataldo di Pisa hanno inoltre dimostrato la stretta dipendenza che esiste tra dose ed effetto. In altre parole, l'assunzione prolungata nel tempo aumenta il danno a livello del Dna. Un pericolo questo sottovalutato dai consumatori di droghe e dai tanti atleti impegnati in sport che, necessitando una prolungata resistenza come per esempio il ciclismo, utilizzano dopanti contenenti cocaina. Lo stesso avviene con l'ecstasy: gli stupefacenti aggrediscono il codice genetico ________________________________________________ Il Sole24Ore 6 dic. ’03 COSI’ IL CERVELLO RICORDA E IMPARA Nobel per la medicina Eric Kandel studia i meccanismi molecolari della memoria umana Il processo dell'apprendimento e’ innescato da trasformazioni delle proteine presenti nelle connessioni tra neuroni La mente puo’ scartare a livello inconscio alcuni eventi L’apprendimento e la memoria sono processi che proiettano la mente nell'infinito permettendole di giocarsi e rigiocarsi sempre in nuove esperienze che, poi, diventano storia e ricordi di vita. Ma che cosa succede nel cervello quando impariamo? E una volta che abbiamo appreso come facciamo a ricordare? Queste sono le due domande che hanno portato Eric Kandel a Stoccolma nel 2000 per ritirare il premio Nobel per la medicina. Kandel ha cominciato la camera come psicoanalista, ma lo studio della biologia ha impresso una svolta determinante nella sua vita. Attraverso un approccio "riduzionista", come egli stesso l'ha definito (cioe’ partire da organismi semplici per arrivare a quelli piu’ complessi), ha dimostrato che l'apprendimento e il ricordo sono possibili grazie a cambiamenti delle funzioni sinaptiche. Piu’ precisamente, sono trasformazioni di proteine che alterano la forma delle sinapsi a formare il ricordo. «Il Sole-24 Ore» ha incontrato Kandel a Milano al convegno organizzato da Newron. Professor Kandel, che cosa ha spinto uno psicoanalista a interessarsi di neuroni? Forse il desiderio di capire meglio l'affascinante binomio mentecervello? Si’ esatto. Pensai che anche uno psicoanalista avrebbe dovuto conoscere il cervello e, cosi’, ho iniziato a chiedermi come il cervello potesse essere il mediatore dell'Io, Super-Io e l'Es. Ma ho poi realizzato, grazie agli studi in medicina, che anche la biologia poteva fare la sua parte nella comprensione di tali meccanismi. Soprattutto il problema della formazione del ricordo era affascinante sia da un punto di vista psicoanalitico sia biologico. Molti biologi sono scettici rispetto alla psicoanalisi. Io no. La sua storia, essere ebreo in Austria durante il nazismo ha, in qualche modo, guidato i suoi interessi? O ha inciso sul suo modo di fare scienza? Sono sempre stato interessato a tutto cio’ che riguardava la mente, come qualcosa che una persona si porta sempre con se’. Certo le mie esperienze di quegli anni hanno aiutato a indirizzare i miei studi sulla mente e sul comportamento umano, la sua imprevedibilita’. e sulla memoria. E la mia vita a Vienna durante il nazismo ha contribuito ad alimentare la mi;a curiosita’ circa le contraddizioni e la complessita’ dell'agire umano. A proposito di biologia del ricordo, il suo modello teorico ha chiarito i meccanismi biologici dell'apprendimento e della memoria... Il problema della memoria si articola in due aspetti: come si forma il ricordo, cioe’ quali sono i meccanismi molecolari che permettono al nostro cervello di "trattenere" informazioni e l'altro punto riguarda come i luoghi che servono appunto per formare il ricordo interagiscono tra loro per codificare, formare e rievocare il ricordo. Per capire questi passaggi ho studiato l'apprendimento e la memoria in animali semplici, come l'Aplysia (un mollusco marino), convinto che i meccanismi molecolari fossero simili a quelli dell'uomo ma piu’ semplici da individuare. Negli anni sono riuscito a dimostrare che esistono tappe, sia per la memoria implicita (cioe’ inconscia), sia per quella esplicita, in cui si verificano cambiamenti a livello sinaptico. Per quanto riguarda la memoria a breve termine, i cambiamenti a livello sinaptico causano una modifica delle proteine preesistenti e, quindi, una trasformazione delle connessioni sinaptiche stesse. Mentre nella memoria a lungo termine si verificano un'attivazione genetica, una nuova sintesi proteica e la formazione di nuove connessioni ira neuroni. Professore lei ha anche fatto riferimento a una sorta di inibizione delle sinapsi... Sia nella memoria implicita sia in quella esplicita il passaggio da un ricordo di breve durata a uno che persiste nel tempo e’, infatti, regola to da tale inibizione che agisce sull'ippocampo comese il cervello decidesse quali informazioni sono "buone" e quali "cattive", cioe’ attua una selezione delle informazioni: non tutti gli stimoli che arrivano dal contesto, dunque, possono trasformarsi in ricordo. E l'apprendimento? Anche in questo caso, gli studi biologici dell'apprendimento hanno messo in luce che noi impariamo grazie a cambiamenti che avvengono nella trasmissione sinaptica e, soprattutto, a nuovi funzioni cellulari che riguardano i segnali che partono dalle sinapsi. Come avviene la formazione dei ricordi autobiografici, la storia di vita di una persona? La memoria autobiografica e’ una sottocategoria, un tipo di memoria che coinvolge l'ippocampo, chiamata «memoria episodica» perche’ riguarda una sorta di ricostruzione temporale delle nostre esperienze. La memoria autobiografica e’ dunque una memoria di eventi che mette in gioco l'ippocampo e, dunque, i meccanismi molecolari relativi alla formazione della memoria esplicita e della rappresentazione dell'esperienza. Neuroscienze: qual e’ la strada del futuro? Ci stiamo muovendo verso confini illimitati. Anche se la natura della mente umana e’ molto complessa, io credo che nei prossimi anni riusciremo a svelarne i suoi misteri. Si faranno sempre piu’ scoperte che arriveranno a comprendere le funzioni del cervello sempre piu’ in dettaglio. VITTORIA ARDINO ________________________________________________ Il Sole24Ore 3 dic. ’03 SE L'ELETTRONICA RICOLLEGA MENTE E CORPO Ferdinando Mussa-Ivaldi spiega come ha realizzato un robot guidato dal cervello di un'anguilla. L'obiettivo e’ creare protesi intelligenti - L'esperimento negli Usa studia l'interazione tra neuroni ed elettrodi AGRIGENTO a Creare un'interfaccia tra essere vivente e robot che consenta al primo di comunicare con l'esterno attraverso il secondo, sia in uscita per "informare" il mondo esterno sia in entrata per ricevere stimoli sensitivi. E’ questo l'obiettivo della moderna neuro ingegneria secondo uno dei maggiori studiosi del settore, l'italiano Ferdinando Mussa Ivaldi, che lavora alla Northwestern University di Chicago. Lo studioso, che nei giorni scorsi era al Teatro Pirandello di Agrigento in occasione del Convegno internazionale "Bioetica e bioingegneria: le sfide del terzo millennio", organizzato dall'Accademia di studi mediterranei Lorenzo Gioeni,in realta’ e’ gia’ riuscito a creare una chimera. Nei mesi scorsi, insieme ad altri ricercatori, e’ riuscito a collegare il cervello di una lampreda - una sorta di serpente marino simile a un'anguilla - con un piccolo robot. E il cervello dell'animale - isolato in vitro - e’ riuscito a mandare impulsi al robot, che a sua volta ha utilizzato’ questi stimoli come sorgente di movimento. Il cervello dell'animale sottoposto a stimoli e’ riuscito a far muovere le ruote del robot. E il robot stesso, rispondendo a impulsi esterni, ha dimostrato di poter trasmettere segnali al cervello, creando quindi quella "doppia via" che rappresenta l'obiettivo fondamentale per le applicazioni della robotica alle neuroscienze. Ovviamente, si tratta solo di un esperimento, che ha pero’ dimostrato la possibilita’ di creare questo "link" efficace attraverso elettrodi impiantati nella materia grigia, aprendo la porta ad applicazioni future per l'essere umano. «L'idea e’ semplice: far partire e arrivare informazioni dal cervello attraverso un robot esterno, che possa eseguire ordini impartiti dal cervello stesso - spiega Mussa Ivaldi -. L'obiettivo e’ creare dei sistemi efficaci, che possano essere utilizzati anche dall'essere umano quando per una patologia grave esista la capacita’ di pensare, ma siano inevitabilmente distrutte le vie che portano i messaggi nervosi dal corpo al cervello e viceversa. Un esempio tipico di questa situazione e’ una forma di ictus molto rara che interessa il "ponte" (una struttura che si trova tra l'encefalo e il midollo spinale, ndr). In questi casi si puo’ avere una sopravvivenza del paziente prolungata e la permanenza delle capacita’ di pensare, ma senza che il malato abbia la possibilita’ di comunicare con l'esterno, per cui creare una via di comunicazione con il mondo e’ importantissimo. E le prime osservazioni sperimentali dicono che questa strada puo’ essere perseguita attraverso l'impiego di elettrodi impiantati nel cervello e collegati a un calcolatore». Gli studi clinici in questo settore sono agli inizi. Ma se la tecnologia ha consentito di risolvere i problemi di miniaturizzazione degli elettrodi da impiantare nelle aree del cervello deputate a rilasciare e ricevere gli stimoli, tanto da consentire la messa a punto di "array" contenenti microchip che possono comodamente trovarsi all'interno di una monetina da un cent, rimangono ancora problemi applicativi difficili da risolvere. Purtroppo non si tratta di problematiche tecnologiche, ma di difficolta’ legate alle ancora carenti conoscenze neurofisiologiche sul cervello umano. «Prima di tutto si deve prevenire che gli elettrodi non debbano solamente essere impiantati, ma anche essere asportati dall'encefalo, e non sappiamo quali possano essere le reazioni a questo intervento - fa notare Mussa Ivaldi -. Ma non basta. L'inserimento degli elettrodi puo’ portare modificazioni sia nel macroambiente, sotto forma di potenziali infezioni, sia sui singoli neuroni. Soprattutto pero’ non abbiamo ancora informazioni sufficienti sulla "plasticita’" del cervello e sulle possibilita’ di rimodellamento delle cellule nervose in seguito agli stimoli meccanici che ricevono per la presenza degli elettrodi. In ogni. caso c'e’ anche chi sta lavorando per attivare direttamente una specifica area cerebrale lesa attraverso una sorta di stimolo che favorisca l'attivita’ cellulare. Per esempio e’ gia’ stato trattato un paziente in cui, attraverso sottili tubetti di vetro, sono state immesse gocce di'Ngf (sigla che sta per Nervous growth factor, o fattore di crescita nervoso) proprio per fare sviluppare connessioni nelle zone alterate». Questa strada, tuttavia, e’ solo una del le tante che si stanno sviluppando nel tentativo di far comunicare attraverso un sistema esterno il cervello. La ricerca e’ agli inizi, anche perche’ non si sa ancora se gli elettrodi impiantati potranno risultare il mezzo piu’ efficace per connettere, come e’ successo per la lampreda, il cervello di un essere vivente con un robot. ; 5i sa infatti che le cellule nervose utilizzano per comunicare correnti ioniche e c non segnali elettrici come quelli che pos1 3ono essere recepiti e trasmessi dagli elettrodi. Per cui si stanno valutando altre i possibili "unita’" operative di collegamento, come cellule staminali o polimeri sintetici. «Il problema e’ quello di stabilire ~ connessioni stabili, e per raggiungere ; questo obiettivo abbiamo bisogno di aumentare di molto le nostre conoscenze ' sul cervello - conclude Mussa Ivaldi Di certo sta nascendo un nuovo modello di studio del cervello umano che si trova a meta’ tra la visione organico- bio- chimica e la semplice valutazione del comportamento. Questo modello vede il cervello come un organo computazionale e quindi oggetto di studio per la neuroingegneria. Attenzione pero’: non bisogna fare l'errore di considerare il cervello umano come una sorta di computer, perche’ anche gli animali piu’ piccoli hanno una complessita’ cerebrale che supera di moltissimo i modelli informatici disponibili. E soprattutto dobbiamo fare in conti con le modificazioni che l'esperienza induce sulle sinapsi. Quando aumenteremo le nostre conoscenze di base anche le possibilita’ di comunicazione del cervello con l'esterno cresceranno di molto». FEDERICO MERETA _______________________________________________ Corriere della Sera 5 dic. ’03 UN «TUNNEL» D' ACCIAIO PER SALVARE LE CORONARIE Al Monzino una delle piu’ importanti novita’ degli ultimi anni in cardiochirurgia Cremonese Antonella «La chirurgia guarisce i sintomi, non le malattie». Con questa premessa concettuale il professor Paolo Biglioli, cattedra di cardiochirurgia all' Universita’ degli Studi di Milano e direttore scientifico del Centro Cardiologico Monzino, ha illustrato ieri mattina, insieme con il professor Gianluca Polvani, una delle novita’ cardiochirurgiche piu’ importanti degli ultimi vent' anni: poter intervenire di nuovo su un paziente cui anni prima e’ gia’ stato fatto un bypass aorto-coronarico, e che dopo aver vissuto felicemente e aver guadagnato anni di vita, e’ di nuovo alle prese con gli effetti dell' arteriosclerosi, cioe’ ha di nuovo un «tappo» che gli restringe la coronaria e non fa arrivare abbastanza sangue al cuore attraverso l' aorta. E' un paziente con 10-15 anni in piu’, e con un problema in piu’: nel primo intervento e’ stato gia’ utilizzato un tratto della grande vena safena presa da una gamba, e ora non rimarrebbe che ricorrere a quella dell' altra gamba o a un tratto di arteria mammaria. E anche questi possibili «pezzi di ricambio» sono invecchiati. Che fare, allora? La chirurgia, amante delle sfide, ha inventato un altro metodo. Biglioli ha raccontato che e’ stato ideato negli Stati Uniti, e che dopo una sperimentazione su 280 maiali e’ stato applicato in sei istituti europei. I centri pilota sono il Monzino di Milano e un altro centro cardiochirurgico di Monaco di Baviera. E ha spiegato: «Purtroppo, il 44% di tutte le morti sono dovute a malattie del sistema cardiocircolatorio. Il bypass permette di contrastare eventi coronarici maggiori che ogni anno colpiscono in Italia 78.800 persone, di cui 13.500 in Lombardia. Avere in mano un' arma efficace da usare se la patologia si ripresenta, costituisce una nuova vittoria. Nel mondo, sono circa 800 mila le persone che hanno bisogno di un reintervento a distanza di anni dal bypass.» Ha spiegato Polvani: «Invece del bypass, pratichiamo un buco che collega la coronaria direttamente con il ventricolo sinistro del cuore, serbatoio di sangue fresco ricco di ossigeno». E Biglioli, usando un' immagine efficace: «Invece di fare una tangenziale di 15 centimetri, come nel bypass, facciamo un tunnel di 2-3 centimetri». Polvani ha mostrato un tubicino cavo in rete di acciaio inox ricoperta da un velo di goretex, non piu’ lungo della falange di un dito, e piu’ sottile della ricarica di una biro: «Lo inseriamo nel buco praticato, e ci garantisce che il "tunnel" rimarra’ aperto al passaggio del sangue». L' intervento, per ora ancora a cuore aperto, dura due-tre ore come il bypass, e al Monzino e’ stato effettuato con successo su un primo gruppo di 10 pazienti. E' un nuovo plus per il Monzino, che ha l' unica «banca» del Nord Italia di vasi e valvole cardiache, e ha un pronto soccorso dedicato solo al cuore, da questa estate inserito nella rete di emergenza-urgenza del 118: nel primo anno (2002), 7816 accessi. A.Cre. I pionieri Il maestro Paolo Biglioli, nato a Modena nel 1939, dal 1985 e’ direttore della cattedra di cardiochirurgia dell' Universita’ di Milano. Ha presieduto la Societa’ italiana di chirurgia cardiaca e cardiovascolare L' allievo Gianluca Polvani, 43 anni, e’ aiuto di Biglioli ed e’ professore associato di cardiochirurgia ________________________________________________ Le Scienze 7 dic. ’03 IL GENE DELL'ATTACCO CARDIACO Nuovi studi determineranno se MEF2A svolge anche altri ruoli In una numerosa famiglia dello Iowa, da generazioni afflitta da malattie alle arterie coronarie, e’ stato isolato il primo gene direttamente associato agli attacchi cardiaci. Il gene, chiamato MEF2A, svolge un ruolo nella protezione delle pareti arteriose dall'accumulo di placche che possono ostruire il flusso sanguigno e portare ad attacchi cardiaci. "Chiunque possieda una variante mutata di questo gene - ha spiegato Eric J. Topol della Cleveland Clinic, principale autore dello studio - e’ destinato a manifestare la malattia. I membri della famiglia che non presentavano la mutazione, infatti, sembrano non svilupparla". La scoperta e’ stata descritta in un articolo pubblicato sulla rivista "Science". Il team di Topol ha analizzato i geni di quasi 100 membri della famiglia dello Iowa, nella quale malattie e attacchi cardiaci sono comuni da molte generazioni. I ricercatori hanno scoperto che molti presentavano un gene MEF2A privo di alcuni pezzi fondamentali di DNA. Cio’, a quanto sembra, provoca un ispessimento delle arterie e la loro ostruzione. Saranno necessari ulteriori studi per determinare se MEF2A svolge un ruolo anche al di fuori delle famiglie dove la mutazione e’ ereditaria. Il gene produce una proteina che regola altri geni, che verranno ora analizzati per capire se sono collegati alla malattia. ________________________________________________ Le Scienze 5 dic. ’03 UNA TECNICA PER UCCIDERE LE CELLULE TUMORALI Una cura basata sul composto e’ pero’ ancora lontana Alcuni chimici dell'Universita’ dell’Illinois di Urbana-Champaign hanno prodotto una molecola che uccide in modo selettivo e in maniera desiderata le cellule dei tumori, lasciando virtualmente intatte le cellule sane. Pur essendo incoraggianti, i risultati non significano che una nuova cura e’ imminente. Gli esperimenti in laboratorio sono stati infatti condotti in colture dove il composto e’ stato semplicemente esposto a cellule leucemiche, a linfomi e a globuli bianchi di topo. "E’ difficile dire se questa scoperta servira’ a qualcosa, - afferma Paul J. Hergenrother, direttore dello studio finanziato dalla National Science Foundation (NSF) - ma il processo che abbiamo individuato e’ reale e molto stimolante". La ricerca e’ stata pubblicata sul numero del 3 dicembre della rivista "Journal of the American Chemical Society". Il composto, che nello studio viene chiamato 13-D, viene gia’ sperimentato dal National Cancer Institute, mentre l'Universita’ dell'Illinois ha fatto richiesta di brevetto. Hergenrother e i suoi collaboratori Vitaliy Nesterenko e Karson S. Putt hanno fabbricato una libreria di 88 composti artificiali basandosi sulle strutture di determinati prodotti naturali. Tre dei composti hanno mostrato una capacita’ significativa di uccidere le cellule tumorali. Sono stati poi esaminati ulteriormente per determinare se uccidevano le cellule tramite apoptosi o necrosi. L'apoptosi e’ preferibile perche’ le cellule muoiono in maniera programmata, semplicemente inglobate da altre cellule, mentre la necrosi e’ una rottura accidentale che stimola una risposta anti-infiammatoria non desiderabile. Il composto 13-D e’ risultato avere il maggior effetto sulle cellule dei tumori, oltre ad essere l'unico a indurre le caratteristiche tipiche dell'apoptosi. Inoltre, non mostra virtualmente alcuna tossicita’ verso le cellule T sane. ________________________________________________ Le Scienze 4 dic. ’03 VITAMINA B PER BATTERE LA DEPRESSIONE Supplementi di vitamine nell'alimentazione potrebbero essere molto utili Supplementi dietari di vitamina B possono aiutare a combattere la depressione. Una ricerca pubblicata sulla rivista "BMC Psychiatry" mostra che i pazienti che soffrono di depressione rispondono meglio alle cure se presentano alti livelli di vitamina B12 nel sangue. Alcuni ricercatori dell'ospedale dell'Universita’ di Kuopio, in Finlandia, hanno controllato 115 pazienti esterni, sofferenti di depressione, lungo un periodo di sei mesi, e li hanno raggruppati a seconda di quanto rispondevano al trattamento: per niente, parzialmente, o del tutto. Misurando il livello di vitamina B12 nel sangue dei pazienti il primo giorno in cui sono venuti in clinica e durante il check-up di sei mesi dopo, i ricercatori hanno potuto calcolare se il livello della vitamina influenzava la risposta alle cure. I pazienti che rispondevano completamente al trattamento avevano maggiori concentrazioni di vitamina B12 nel sangue sia all'inizio sia alla fine dello studio rispetto a coloro per i quali la cura era meno efficace. L'associazione del livello di vitamina B12 con la risposta al trattamento rimaneva significativa anche se venivano presi in considerazione altri fattori, come l'abitudine a fumare o a bere, il tipo di anti-depressivi ricevuti, e se altri membri della famiglia avevano sofferto di depressione. Uno studio precedente aveva gia’ mostrato che i pazienti piu’ anziani potevano trarre giovamento da un supplemento di vitamine B1, B2 e B6 nella loro dieta. Questo supplemento aumenta indirettamente il livello di vitamina B12 nel sangue. Il nuovo studio rinforza l'idea che i supplementi possano aiutare i pazienti a rispondere positivamente agli anti-depressivi. ________________________________________________ Il Sole24Ore 8 dic. ’03 SFIDA ALLA DEPRESSIONE «Spesso il male di vivere ho incontrato», scriveva il poeta Eugenio Montale. Forse, una delle definizioni piu’ illuminanti della depressione: una vera e propria malattia, causata da fattori biologici e psicologici, i cui sintomi sfociano in una fatica a vivere e a svolgere le attivita’ piu’ banali del quotidiano. Secondo una stima dell'Oms (Organizzazione mondiale della sanita’), la depressione colpisce ogni anno circa 8,5 milioni di italiani, soprattutto nelle eta’ piu’ produttive - dai 25 ai 44 anni - per un costo sociale di 400 milioni di euro. Un dato, questo, che invita a riflettere sul rapporto tra la malattia e l'attivita’ professionale. Sul lavoro. Non si sa ancora molto sul rapporto fra depressione e lavoro, che si presenta come una medaglia a due facce. C'e’ chi e’ costretto a recarsi al lavoro pur essendo malato e chi, invece, diventa depresso proprio per situazioni o episodi che si verificano nell'ambiente lavorativo. Tanto per il manager quanto per l'impiegato, stress, mobbing, mancanza di flessibilita’ o autonomia e incertezza sul futuro possono contribuire alla comparsa della depressione. Secondo uno studio dell'Ispesl (Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro), il mobbing e il burn out sono tra i fattori psicosociali piu’ pericolosi per l'equilibrio all'interno delle aziende e spesso sono responsabili dell'insorgenza di sintomi depressivi. Fra le cause di stress di natura fisica, invece, ci sono orari e turni (troppo lunghi o imprevedibili), il carico di lavoro, la monotonia e la frammentarieta’. Nel privato. Nella vita di oggi, poi, si sono annullati i filtri che separavano l'ambito privato da quello lavorativo. Succede, quindi, che sempre piu’ spesso la famiglia generi o aumenti le tensioni fisiche, emotive e comportamentali che poi si riversano nel contesto lavorativo. Accade, cosi’, che un professionista si presenti, di fronte a normali preoccupazioni professionali, gia’ ipersensibilizzato. Allo stesso tempo, non e’ raro che le tensioni lavorative vengano trasportate nella vita privata, non pronta a compensarle, fino a causare "rotture comunicative", incomprensioni, frustrazioni, solitudine e aggressivita’. In Italia, soltanto lo scorso anno la Corte di Cassazione ha stabilito che la depressione sia da considerare una condizione invalidante, riconoscendo a un'impiegata siciliana la riduzione della capacita’ lavorativa del 50% e il diritto all'assegno di invalidita’ versato dall'Inps. Nei contesti lavorativi, insomma, non e’ piu’ possibile far finta che il problema non esista, poiche’ la depressione influisce sulla produttivita’, sulla capacita’ di lavorare in team, comporta assenteismo e, in alcuni casi, puo’ portare all'uso eccessivo di alcol o droghe. L'intervento. Gli esperti, in ogni caso, concordano sul fatto che non e’ facile capire a fondo una malattia cosi’ complessa e ancora piu’ difficile e’ dare consigli che valgano per tutti. Su un punto, pero’, insistono: il primo passo e’ quello di riconoscere la depressione come una qualsiasi altra malattia da curare in modo appropriato. Occorrono, poi, strategie di "prevenzione primaria", impedendo l'insorgenza di nuovi casi di patologie legate allo stress, uno dei maggiori responsabili nell'insorgenza della malattia. Come? Promuovendo una cultura, soprattutto sul lavoro - dove i livelli di stress sono spesso elevati - centrata sulla dignita’ della persona, scoraggiando la violenza psicologica; favorendo la partecipazione e la condivisione degli obiettivi dell'impresa; e, soprattutto, informando e formando sullo stress. Ma non solo: e’ anche importante riconoscere che a volte non ci sono le risorse necessarie per "farcela da soli", mentre potrebbero essere utili le risorse messe a disposizione da qualcun altro, uno specialista, che possa essere un aiuto concreto in una situazione di malessere. pagina a cura di Vittoria Ardino ________________________________________________ Repubblica 4 dic. ’03 COLLO UTERO, LO SCREENING "COMBINATO" PALERMO "TruScreen", frutto della ricerca australiana, e’ il nuovo sistema di screening per il carcinoma del collo dell’utero che riesce a dare risposte immediate: in tempo reale, e’ in grado di escludere o meno possibili mutamenti cancerogeni dei tessuti del collo dell’utero. A Palermo ne sono in funzione due: presso l’IMI (Istituto Materno Infantile) e presso la Clinica Ostetrica e Ginecologica dell’Universita’. Si tratta delle due uniche macchine in Italia che offrono prestazioni sanitarie al pubblico. Le pazienti che volessero o dovessero sottoporsi a questo screening possono telefonare ai numeri 0916555439 (IMI) o 0916552035 (Clinica Ostetricoginecologica). Lo strumento e’ composto da una sonda di 5 millimetri di diametro, simile ad una penna, che posta a contatto con i tessuti della cervice uterina, emette degli impulsi ottici ed elettronici che, interagendo con i tessuti, inviano "risposte" al sofisticato computer di cui e’ dotata l’apparecchiatura. Il computer, processa le risposte ricevute dal sistema optoelettrico ed e’ capace di riconoscere se il tessuto cervicale e’ normale o se presenta delle anomalie precancerose o cancerose. L’esame e’ indolore e dura soltanto pochi minuti poiche’ il sistema e’ capace di attuare ben 14 misurazioni al secondo, fornendo cosi’, in poco tempo, indicazioni su eventuali cambiamenti del tessuto uterino. In Europa e altri paesi, il nuovo metodo per la rilevazione di anomalie alla cervice uterina e’ stato autorizzato in combinazione col Paptest, in considerazione che i due esami, insieme, offrono una piu’ elevata possibilita’ (fino al 95%) di riconoscere mutazioni del tessuto della cervice uterina, rispetto al solo utilizzo del Paptest. (tiziana lenzo) ________________________________________________ Le Scienze 4 dic. ’03 UN NUOVO RUOLO DELL'ESTROGENO Identificato il processo genetico che regola la formazione di piastrine nel midollo osseo Alcuni scienziati hanno scoperto un nuovo ruolo dell'estrogeno nel mantenimento della salute. In un articolo pubblicato sul numero del primo dicembre della rivista "Genes & Development", Yuka Nagata e Kazuo Todokoro riferiscono che la forma piu’ abbondante di estrogeno naturale, l'estradiolo, innesca la formazione di piastrine del sangue. La scoperta ha importanti implicazioni cliniche per il trattamento di condizioni associate con livelli alterati di piastrine, come l'anemia, alcune leucemie, e persino con la chemioterapia. Il sangue e’ composto da tre tipi di cellule: globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. Queste ultime circolano nel flusso sanguigno per facilitare la coagulazione e arrestare le emorragie. Le piastrine derivano da una cellula specializzata del midollo osseo chiamata megacariocita, che estende dalla sua superficie lunghe appendici citoplasmatiche (propiastrine), le quali si frammentano simultaneamente in migliaia di nuove piastrine. Nagata e colleghi hanno identificato il segnale cellulare di questo evento. Studi precedenti avevano individuato un gene regolatore (fattore di trascrizione) chiamato p45 NF-E2, necessario per la formazione delle propiastrine. Ora gli scienziati hanno scoperto che p45 NF-E2 attiva normalmente il gene 3b-HSD durante lo sviluppo dei megacariociti. 3b-HSD codifica un enzima che regola la biosintesi di tutti gli ormoni steroidi. Studiando quali di questi viene prodotto nelle cellule megacariociti, Todokoro e colleghi hanno scoperto con sorpresa che si tratta dell'estrogeno. Il meccanismo genetico che regola la formazione di piastrine risulta pertanto delineato: il fattore di trascrizione p45 NF-E2 attiva l'espressione del gene 3b-HSD, portando alla sintesi di estradiolo e alla susseguente attivazione della formazione delle propiastrine. Questi risultati permetteranno ai ricercatori di sviluppare nuove strategie terapeutiche per manipolare l'intero processo, in modo da aumentare o diminuire la formazione delle propiastrine. ________________________________________________ Repubblica 4 dic. ’03 LA PROSTATA INGROSSATA? PIU’ VANTAGGI DOPO IL LASER Il primo grande studio italiano conferma la validita’ della tecnica per l’ipertrofia benigna della ghiandola DI FRANCESCO MONTORSI * E’ stato accettato per la pubblicazione su "The Journal of Urology" l’articolo scientifico che riferisce dei risultati del primo studio multicentrico Italiano che ha paragonato la enucleazione endoscopica di prostata eseguita con laser ad Holmio alla tecnica di resezione endoscopica classica. La prostata e’ la ghiandola che produce gran parte del liquido seminale essendo quindi fondamentale per la fertilita’ maschile. E’ localizzata a ridosso della vescica, l’organo che funziona da serbatoio per le urine, ed avvolge l’uretra, il canale che conduce le urine all’esterno al momento della minzione. Nella maggior parte degli uomini, a partire di solito dai 40 anni d’eta’ la prostata s’ingrossa, a seguito d’una serie di influenze ormonali. L’aumento di dimensioni della ghiandola prostatica puo’ anche essere considerevole: dalle dimensioni di una castagna, tipiche di un uomo giovane, si puo’ infatti passare a quelle di un grande mandarino. L’ingrossamento puo’ causare un difficoltoso svuotamento della vescica, creando fastidiose difficolta’ urinarie. Si possono avere disturbi irritativi caratterizzati dalla necessita’ sia di doversi alzare di notte per urinare che di urinare spesso anche nelle ore diurne o dalla necessita’ di correre ad urinare quando al primo stimolo. Inoltre si possono avere disturbi da ostruzione meccanica alla minzione, come la presenza di un getto urinario debole, la sensazione di incompleto svuotamento urinario e la presenza di un fastidioso sgocciolamento al termine della minzione. Questi disturbi possono spesso essere curati con successo con diversi tipi di medicinali. In presenza pero’ di vera e propria ostruzione urinaria da ingrossamento della prostata, le medicine possono fare poco e puo’ essere necessaria la chirurgia. Da alcuni anni ha preso piede una tecnica endoscopica di rimozione della prostata con l’utilizzo del laser ad Holmio. La via endoscopica s’esegue inserendo in anestesia (di solito periferica cioe’ senza necessita’ di addormentare completamente il paziente) un sottile strumento in titanio lungo il canale uretrale. Raggiunta la prostata, col laser si enuclea la porzione centrale detta adenoma che e’ poi ridotta in piccoli frammenti e rimossa con lo stesso strumento. Questa metodica risolve l’ostruzione anche in casi di prostate voluminose, senza incisione cutanea e completamente per via interna. E’ quindi una tecnica miniinvasiva, non dolorosa e ottimamente tollerata dal paziente. Al termine dell’intervento, che dura di solito 4560 minuti, si posiziona un catetere vescicale che e’ rimosso il mattino successivo, permettendo al paziente di lasciare l’ospedale. Lo studio di prossima pubblicazione sulla rivista scientifica americana e’ stato condotto in collaborazione tra la Universita’ Vita Salute San Raffaele di Milano e l’Ospedale Gavazzeni di Bergamo ed ha dimostrato che la nuova tecnica operatoria con laser ad Holmio presenta la medesima efficacia nel guarire il paziente dai suoi disturbi rispetto alla tecnica endoscopica classica. Nei 100 pazienti inseriti nello studio si e’ pero’ dimostrato che coloro che sono stati operati con il laser hanno dovuto mantenere un catetere vescicale in sede per meno tempo rispetto alla tecnica classica (un giorno contro tre giorni circa), hanno avuto meno perdite di sangue senza nessun bisogno di trasfusioni e sono stati dimessi dall’ospedale in tempi significativamente piu’ brevi. Il laser ad Holmio ha anche il grande vantaggio di potere essere utilizzato anche per la enucleazione di adenomi prostatici molto voluminosi (anche oltre ai 100 grammi di peso), di solito trattati con l’intervento chirurgico tradizionale a cielo aperto (cioe’ con il taglio sul basso addome). In questi casi i vantaggi del laser diventano ancora piu’ evidenti poiche’ con l’intervento tradizionale il catetere vescicale deve essere tenuto per 46 giorni con un ricovero chiaramente piu’ lungo ed un decorso ospedaliero decisamente piu’ sofferto per il paziente. La tecnica di enucleazione endoscopica di prostata con laser ad Holmio e’ quindi destinata ad acquisire sempre piu’ spazio nel trattamento dei pazienti affetti da ingrossamento benigno della prostata. * Urologo, Universita’ Vita Salute, San Raffaele, Milano ________________________________________________ La Stampa 3 dic. ’03 DAL CERCAMINE AL CERCATUMORI (ALLA PROSTATA) LA CURIOSA STORIA DI UN NUOVO MEZZO DI DIAGNOSI NON INVASIVO: «VEDE» ANCHE ATTRAVERSO GLI ABITI LA caccia ai tumori si fa sempre piu’ serrata. Un dispositivo che li scopre sul nascere e’ il "bioscanner" o sonda biologica inventato nel 1992 da un fisico ed ingegnere elettronico italiano, Clarbruno Vedruccio, messo a punto e migliorato con la collaborazione della moglie Carla Ricci, ricercatrice. L'appIicazione in medicina del bioscanner, ora TRIMprob, capace di "vedere" anche attraverso i vestiti del paziente, deriva da una sua precedente invenzione in campo militare fatta sui dispositivi cercamine. Si trattava di un generatore coerente di segnali elettromagnetici multifrequenza di alta purezza spettrale, utilizzabile per analisi sul terreno. TRIMPprob genera un campo elettromagnetico di bassissima potenza, che interagisce con la materia a livello microscopico. La geometria di questo campo viene deformata dall'interazione con i tessuti alterati. Un analizzatore di spettro-ricevitore visualizza questo effetto di "Non Linear Resonance Interaction" in grafica di facile interpretazione. «Il passaggio dal cercamine al cercatumori e’ stato concettualmente naturale - dice Vedruccio -. Nel 1993 ho iniziato le prime scansioni sperimentali diagnostiche con la collaborazione di medici e biologi. Poi ho scoperto che l'attenuazione delle righe spettrali generate dall'apparecchiatura corrispondono a diversi stati patologici e con la collaborazione di mia moglie ho migliorato la tecnologia». «Molte sono le tecniche gia’ utilizzate da anni per scoprire l'esistenza o la gravita’ di un tumore: questo bioscanner sa trovare proprio quel 20 per cento di tumori non altrimenti rilevabili (neoplasie, calcificazioni e recidive) o che vengono dati per falsi negativi con l'esame Psa«, dice Edoardo Austoni, presidente della Societa’ italiana di andrologia e direttore Clinica urologia dell'Ospedale San Giuseppe, Universita’ di Milano, dove e’ stato istituito il primo centro specializzato dell'Italia centro-settentrionale per la diagnosi di massa dei tumori urologici. In questo centro di diagnosi precoce, coordinato da Carlo Bellorofonte, un esperto in tumori alla prostata, si utilizza la nuova sonda che in pochi minuti viene fatta passare sopra i vestiti del paziente. Solo in caso di esito positivo si procedera’ a esplorazioni piu’ invasive come la biopsia. Attualmente essa viene usata al Policlinico di Bari e in altri ospedali per lo screening di massa. La diagnosi precoce potra’ cosi’ anticipare le cure alla fase iniziale delle malattie. Carla Ricci, che ha sviluppato i primi protocolli diagnostici, su incarico di Galileo Avionica (Finmeccanica), dice che la sperimentazione ha dato buoni risultati anche nelle indagini su mammelle (IEO Milano), stomaco, duodeno (Ospedale Marina Militare a Taranto), fegato, polmoni (S. Giuseppe a Milano) e anche in campo veterinario (Universita’ di Milano). Il sistema diagnostico e’ portatile ed e’ prodotto dal Laboratorio di Elettromagnetismo Avanzato della Galileo Avionica. Pia Bassi ________________________________________________ La Stampa 3 dic. ’03 QUEI CANCELLI ELETTRICI CHE REGOLANO LE CELLULE SONO I CANALI IONICI, CHE SI APRONO E CHIUDONO IN PRESENZA DI MOLECOLE DI DIVERSE DIMENSIONI E CARATTERIZZATE DA CARICHE POSITIVE O NEGATIVE BIOLOGICAMENTE parlando, siamo fatti di cellule, geni e DNA. Ma molti nostri meccanismi sono «elettrici» e i canali ionici sono la loro componente fondamentale. Il 10 dicembre meta’ importo del premio Nobel 2003 per la chimica andra’ a Roderick MacKinnon, 47 anni, per avere fatto luce "sulla struttura e il meccanismo dei canali ionici". I canali ionici sono proteine di membrana presenti in tutti gli organismi viventi, dai batteri all’uomo. Regolano il flusso degli ioni, che e’ alla base dei segnali elettrici nel sistema nervoso centrale, che controlla il ritmo del cuore e il rilascio di ormoni nel sangue. E fungono da cancelli tra spazio intra- ed extracellulare, aprendosi e chiudendosi a molecole di varie dimensioni cariche positivamente o negativamente, per mantenere la cellula in equilibrio con l'ambiente circostante. Nel 1952 gli scienziati inglesi Alan Hodgkin e Andrew Huxley descrissero per primi il flusso degli ioni sodio e potassio in risposta ai cambiamenti di potenziale di membrana, nell'assone del calamaro gigante, e fecero riferimento a strutture sconosciute, ipotetici trasportatori per mezzo dei quali gli ioni potevano passare selettivamente attraverso la membrana cellulare. Poi Hodgkin, con Richard Keynes, propose che gli ioni potassio attraversassero la membrana lungo una sorta di tunnel di cariche negative. Un'interpretazione piu’ molecolare dei canali venne tracciata da Bertill Hille e Clay Armstrong negli Anni 60 e 70. Indipendentemente, i due scienziati suggerirono che questi "buchi o canali" fossero entita’ ben distinte dalla membrana cellulare, con funzioni di conduzione, selezione, apertura e chiusura. Hille e Armstrong non riuscirono a vedere gli ioni in azione ma registrarono la corrente elettrica che il passaggio degli ioni produceva; e quindi l'esistenza dei canali ionici fu messa in discussione. Molte domande restarono in sospeso: come sono questi canali? come conducono gli ioni? come si regola la loro apertura e chiusura? Il viaggio di MacKinnon nel canale inizia a carriera gia’ avviata. Decise, infatti, di dedicarsi alla ricerca di base dopo una laurea in medicina e diversi anni di clinica medica. Nel laboratorio di Christopher Miller alla Brandeis University (Boston) comincio’ a interessarsi al meccanismo di selezione e apertura/chiusura del canale al potassio con misurazioni elettriche e per mutagenesi. Questi esperimenti furono cruciali per individuare una sequenza proteica ben specifica che concorre a formare il poro del canale, un codice comune a tutti gli organismi viventi. I dati di elettrofisiologia e biologia molecolare si consolidarono nel suo laboratorio di Harvard ma non diedero ancora risposte chiare alle domande lasciate in sospeso. MacKinnon, invece, voleva "vedere" il canale e ben presto capi’ che l'unica via da imboccare era la cristallografia ai raggi X, una tecnica che permette di «vedere» le strutture molecolari. Ma i canali ionici, essendo proteine di membrana, erano considerati dai cristallografi tra le molecole piu’ difficili, se non impossibili, da cristallizzare. Nel 1996 MacKinnon accetto’ l'invito di spostarsi alla Rockefeller University (New York), che gli diede carta bianca sulla ricerca da perseguire e uno straordinario finanziamento, sostenuto anche dall'Howard Hughes Medical Institute. Solo un giovane collega lo segui’ a New York. La moglie Alice, chimica, si uni’ al gruppo quasi per pieta’! Il piccolo neo-laboratorio di neurobiologia molecolare e biofisica intraprese la laboriosa impresa di cristallizzare il canale al potassio, vagliando centinaia di cristalli prima di ottenere quello adatto all'analisi ai raggi X. Nel 1998 il lavoro di MacKinnon fu ripagato con la risoluzione atomica della struttura del canale al potassio dello «Streptomyces lividans». Cinquant’anni di studi furono confermati: la composizione atomica del canale al potassio smaschero’ la meravigliosa semplicita’ con cui la natura ha architettato il filtro selettivo. Ora si doveva capire perche’ lo ione potassio, e non il sodio, che e’ piu’ piccolo e anch'esso carico positivamente, e’ "selezionato" dal canale. L'entusiasmo di questa prima occhiata ha avviato una serie di straordinarie tappe tuttora in corso nel laboratorio, nel frattempo cresciuto, di MacKinnon. Nel 2002 un miglioramento della risoluzione atomica ha spiegato il meccanismo di idratazione e deidratazione dello ione potassio, e cioe’ come fa il canale ad aprire le porte soltanto all'ospite gradito, il potassio, e non al sodio, nonostante questo sia piu’ piccolo. Le pareti del filtro, una sorta di tubo molecolare, presentano atomi di ossigeno posizionati in modo simile a quello degli ossigeni delle molecole di acqua che normalmente coordinano il potassio. Il lasciapassare e’ dato solo allo ione potassio poiche’ e’ l'unico che si trova alla giusta distanza dagli ossigeni della proteina, dopo aver subito un processo di deidratazione all'entrata del canale. Quindi, in questa fase di identificazione, il sodio, essendo piu’ piccolo, non viene riconosciuto. Questa soluzione del filtro selettivo e’ stata ritrovata, con sorpresa, anche in un secondo canale, quello al cloro, di gran lunga piu’ intricato di quello al potassio. La conoscenza di una struttura molecolare puo’ facilitare il disegno razionale di farmaci specifici. Considerando la loro ubiquita’, e’ facile predire che in molte malattie si troveranno mutazioni nei canali ionici. ________________________________________________ La Stampa 3 dic. ’03 ARRIVA LA COLONSCOPIA VIRTUALE I giorni per la colonscopia tradizionale - l'esame clinico che tramite lo spiacevole inserimento di un tubo nel colon dei pazienti verifica l'eventuale presenza di tumori - sembrano contati: una nuova analisi radiografica ad altissima tecnologia e’ risultata ancora piu’ efficace e sicura della vecchia nell'individuare formazioni sospette nell'intestino. Il nuovo test, che usa il modello e gli strumenti della tomografia computerizzata con l'aggiunta dello studio al computer delle immagini del colon a tre dimensioni, si e’ rivelato corretto in piu’ del 92% dei casi nell'identificare polipi al colon. I test sono stati condotti al «Bethesda Naval medical hospital» su 1.233 adulti con un rischio medio di sviluppare polipi intestinali, considerati crescite pre- tumorali: gli esperti hanno sottoposto i pazienti sia alla nuova «colonscopia virtuale» che a quella tradizionale. Il nuovo test radiografico ha individuato il 99,2% dei polipi presenti, la colonscopia vecchio stile circa l'89%. La ricerca, pubblicata sul «New England journal of medicine», e’ stata guidata dal professore di radiologia dell'universita’ del Wisconsin, Perry Pickhardt. «Questo nuovo approccio - ha commentato l'autore dello studio - potra’ salvare un numero infinito di vite».