UNIVERSITA’, STIPENDI FLESSIBILI PER I DOCENTI UNIVERSITA’ ALL’AMERICANA: CONTRATTI A TERMINE PER I PROF MA IL CRUI NON APPROVA LA RIFORMA MORATTI CO.CO.CO QUINQUENNALI AL POSTO DEI RICERCATORI L' UNIVERSITA’ E’ ASSENTE ATENEI, IL CONSIGLIO DI STATO BOCCIA IL DECRETO DI RIFORMA UNIVERSITA’ TELEMATICA DI SARDEGNA DOCENTI UNIVERSITARI, 3.500 RICORSI AL TAR ATENEI, UNO SCAMBIO FECONDO DI DOCENTI II MODELLO INGLESE DI UNIVERSITA’, EQUA ED EFFICIENTE BLAIR RISCHIA SULL'UNIVERSITA’ SCUOLA E UNIVERSITA’, BOOM PER LE ASSUNZIONI NEL 2004. NASCE UN GRANDE PARCO NEL POLO UNIVERSITARIO STRANIERI: POSTI DESERTI NEGLI ATENEI CONTRORIFORME: LE BARRICATE DEGLI INGEGNERI PICCOLI ATENEI A MISURA DI TERRITORIO IIT: IL VITELLO D’ORO NON SPARATE SULL’IIT ================================================= CLONAZIONE E RELIGIONE MEDICINA, ESPOSTO CONTRO IL NEPOTISMO DRG, LA CATENA DI MONTAGGIO DEGLI INTERVENTI INUTILI NON E’ IL DNA IL SEGRETO DELLA VITA CANCRO: PREVENZIONE PERSONALIZZATA SUI TUMORI CALA IL SILENZIO INDIVIDUATO IL GENE DELL'ARTEROSCLEROSI LA RISONANZA MAGNETICA GUARISCE LA DEPRESSIONE INTERVENTO RESTITUISCE L'UDITO A DUE "SORDI NATI" LA TERAPIA GENICA NON E’ PIU’ UN'UTOPIA PARTI CESAREI, IL DOPPIO DEI LIMITI OMS QUELLE SUBDOLE MOLECOLE CHE DISTURBANO GLI ORMONI LE RUGHE? QUESTIONE DI MUSCOLI ================================================= ___________________________________________ Corriere della Sera 9 gen. ’04 UNIVERSITA’, STIPENDI FLESSIBILI PER I DOCENTI Sara’ approvato la prossima settimana il disegno di legge che ridefinisce lo stato giuridico dei professori. Entrera’ in vigore entro l'anno Retribuzione legata all'impegno didattico, fine dei concorsi locali. Ricercatori sostituiti dai co.co.co. ROMA - Fine dei concorsi universitari locali e ritorno a quelli nazionali, con quote di posti riservate a ricercatori e associati anziani. Possibilita’ per tutti i professori di svolgere attivita’ esterne. Retribuzione variabile legata all'impegno nell'attivita’ didattica, nella ricerca e nella gestione degli atenei. Corsi e cattedre finanziati da imprese, fondazioni ed aziende sanitarie. Aumento dell'impegno didattico fino a 120 ore l'anno. Ricercatori - il ruolo va ad esaurimento - sostituiti via via da giovani assunti dalle universita’ con contratti co.co.co quinquennali rinnovabili una sola volta. Maggiori possibilita’ per ciascun ateneo di avvalersi della collaborazione di studiosi di chiara fama italiani e stranieri o di attingere al mondo delle professioni. Sono i principali aspetti della riforma che regolera’ i rapporti di lavoro nelle universita’. L'approvazione del disegno di legge delega, che affida al governo il compito di definire il nuovo stato giuridico dei docenti universitari, e’ prevista nella prossima settimana. Il provvedimento doveva essere varato oggi. An ha chiesto pero’ un rinvio per approfondire alcuni temi. La riforma dovrebbe entrare in vigore entro l'anno. RETRIBUZIONE - Si va verso un rapporto di lavoro sempre piu’ liberalizzato: con la delega scompare la distinzione tra docenti a tempo pieno e definito. I professori potranno dedicarsi ad attivita’ professionali senza subire alcuna penalizzazione. In compenso aumentera’ il carico di lavoro: 350 ore annue di impegno scientifico di cui 120 - prima erano 60 - per lo svolgimento "delle attivita’ didattiche". A questo impegno, uguale per tutti, corrispondera’ la retribuzione fissa, equiparata a quella di un docente a tempo pieno. La parte della retribuzione variabile verra’ invece "attribuita, nei limiti delle disponibilita’ di bilancio, in relazione agli impegni ulteriori di attivita’ di ricerca, didattica e gestionale oggetto di specifico incarico". CONCORSI - Si chiude dopo sei anni l'esperienza dei concorsi locali ritenuti scarsamente selettivi. Le prove, o giudizi di idoneita’ scientifica, si terranno ogni due anni, alternativamente per docenti ordinari e associati. Il numero dei posti riflettera’ il fabbisogno indicato dagli atenei - che devono disporre della copertura finanziaria - piu’ un'ulteriore quota di posti non superiore al venti per cento. La commissione composta da tre commissari, tra i quali uno interno, sostengono i detrattori dei giudizi locali, finiva quasi sempre per premiare il candidato della facolta’ che aveva bandito il posto. La comunita’ accademica nazionale dunque tornera’ a gestire le selezioni. L'intento e’ di garantire un maggior controllo. Sara’ il governo a stabilire i criteri di formazione delle commissioni: sorteggio o elezione? L'inconveniente del vecchio sistema: i tempi lunghi che hanno sempre caratterizzato - spesso bloccato - i concorsi nazionali dovrebbe essere superato attraverso un meccanismo piu’ snello. Quando un'universita’ ha necessita’ di uno o piu’ docenti e dispone dei fondi necessari lo comunica al ministero e i posti entrano a far parte del bando. Nei concorsi per professori associati una quota non superiore al 15 per cento dei posti verra’ riservata ai "ricercatori confermati con almeno 5 anni di insegnamento". La stessa riserva e’ prevista nei concorsi per professore ordinario a vantaggio degli associati con anzianita’ di servizio non inferiore a 15 anni. LE FONDAZIONI - L'universita’ si aprira’ sempre piu’ al mondo esterno. Gli atenei potranno "realizzare specifici programmi di ricerca sulla base di convenzioni con imprese, fondazioni che prevedano anche l'istituzione, con oneri a carico delle medesime, di posti di professore di prima fascia" con incarichi triennali rinnovabili". "Si creano le premesse per un'universita’ piu’ seria, in cui sia possibile valorizzare l'impegno dei docenti - dice il professor Giuseppe Valditara, responsabile universita’ di An -. Qualche miglioramento sara’ possibile nel corso del suo iter. Lo sforzo finanziario gia’ avviato con la finanziaria 2003 e’ decisivo per il successo della riforma". Il mondo accademico e’ pero’ in agitazione. Il Cipur, uno dei maggiori sindacati dei professori di ruolo, sta attuando un referendum su una petizione in cui si chiedono le dimissioni del ministro dell'Universita’. Giulio Benedetti ___________________________________________ Il Messaggero 9 gen. ’04 UNIVERSITA’ ALL’AMERICANA: CONTRATTI A TERMINE PER I PROF Presto in Consiglio dei ministri la riforma del ministro Moratti di LUIGI PASQUINELLI ROMA Lo spirito anglosassone cerca di entrare, spinto dalla volonta’ del ministro Moratti, nell’universita’ italiana. Gli esperti del Miur, il ministero che si occupa di atenei e ricerca scientifica, stanno mettendo a punto un disegno di legge delega che, qualora venisse approvato, cambiera’ radicalmente lo stato giuridico di docenti e ricercatori, circa 57 mila persone, e l’accesso alla carriera universitaria. Annunciata circa un anno fa dal ministro la riforma dovrebbe essere giunta alle sue battute finali tanto da essere stata inserita in un primo momento nell’agenda del consiglio dei ministri di oggi, salvo poi essere depennata all’ultimo istante. All’origine della retromarcia, probabilmente, le molte perplessita’ del mondo accademico rispetto al progetto discusso nei mesi scorsi dai diretti interessati, vale a dire dai rettori riuniti in Conferenza, la Crui, che raccoglie i vertici di 77 universita’ italiane, pubbliche e private. Al termine di questa discussione i “magnifici” hanno bocciato il provvedimento. Ora si sono messi al lavoro su una proposta alternativa mentre il governo sembra intenzionato ad andare avanti per la sua strada presentando il proprio elaborato a uno dei prossimi consigli dei ministri. I punti fondamentali della proposta di legge sono i seguenti: Concorsi : l’idea e’ di bandire ogni due anni un concorso nazionale, uno per i professori associati, uno per gli ordinari. I vincitori entrerebbero a far parte di una lista unica, centralizzata, alla quale le singole universita’ potranno attingere in base alle loro esigenze. E’ previsto un esubero del 20 per cento rispetto ai posti disponibili. Attualmente i concorsi si svolgono su base locale, il reclutamento viene gestito dalle singole universita’ e per ogni posto disponibile risultano esistere due candidati idonei. Incarichi a tempo: i professori vincitori di un concorso dovranno lavorare con un contratto a termine di tre anni presso l’universita’. Al termine di questo periodo l’ateneo potra’ rinnovare il vincolo per altri tre anni. Dopodiche’ l’istituto potra’ decidere per l’assunzione a tempo indeterminato o per il rinvio a casa del soggetto in questione. Attualmente i docenti vengono valutati al termine di un primo triennio ma in caso di responso negativo non vengono licenziati, al massimo bloccati nella carriera. Attualmente i professori ordinari sono 18 mila, gli associati 18.500. Ricercatori : E’ una figura che il disegno di legge vorrebbe abolire. I ricercatori attuali continueranno a lavorare ma ad esaurimento, non verranno cioe’ sostituiti. Attualmente sono circa 21 mila, i due terzi hanno un’eta’ media di 50 anni. Orari: le ore annue di lezione obbligatorie saliranno dalle attuali 60-80 a 120 mentre l’arco di impegno dei docenti non dovra’ essere inferiore alle 350 ore. ___________________________________________ Il Messaggero 9 gen. ’04 I RETTORI: BASTA APPLICARE LE REGOLE ATTUALI LA PROTESTA SALE IN CATTEDRA Bianchi: il modello del governo non ci appartiene. Puglisi: il problema sono le lobby ROMA La riforma all’americana, all’insegna della mobilita’ e della flessibilita’, non piace ai cattedratici. L’organismo dei rettori, il Crui, ha respinto al mittente, il ministero per la ricerca e l’universita’, la bozza di legge della Moratti. «Abolire il ruolo dei ricercatori e’ un’assurdita’. E’ come eliminare gli impiegati di base in un ufficio. Prima di insegnare e’ indispensabile farsi le ossa»: non ha dubbi Alessandro Bianchi, membro del comitato di presidenza della Crui. «Non ci sarebbe bisogno di una riforma aggiunge se le regole attuali venissero applicate. E’ giusto guadagnarsi il contratto a tempo indeterminato ma anche oggi sono previsti, per ricercatori, associati e ordinari i giudizi di conferma. Il problema e’ che sono puramente formali, se diventassero reali garantirebbero maggiore efficienza all’universita’. La sciocchezza di base di tutta questa storia e’ l’idea di trasferire in Italia il modello americano che, e’ ovvio, non puo’ essere applicato a una realta’ cosi’ diversa da quella che lo ha generato». Per Gianni Puglisi, rettore dell’universita’ privata Iulm di Milano e di conseguenza membro della Crui, tra il dire e il fare ci sono di mezzo mentalita’ e costumi italiani. «Il testo della Moratti non sarebbe da buttare ma sara’ difficilissimo tradurlo in pratica conoscendo la farraginosita’ del nostro sistema. Si creerebbe prima di tutto una guerra tra i nuovi assunti a termine e i vecchi ricercatori, inseriti nel ruolo a esaurimento, che avrebbero dalla loro parte sindacati e tar. Il reclutamento con contratti a termine non e’ affatto una novita’, diversi anni fa c’erano gli assegnisti che dovevano superare due bienni prima di conquistare il contratto definitivo. Il vero problema non e’ il metodo di reclutamento ma chi lo gestisce, cioe’ noi professori. Ogni docente ha la sua scuola, come Aristotele, nel bene e nel male. Il che significa che ci sono le preferenze, le simpatie e le antipatie. Fino a meta’ anni ’80 i concorsi erano centralizzati ma poiche’, si disse, erano gestiti dalle lobby accademiche, si decise di decentrarli. Ora si sostiene che gli i meccanismi di accesso sono troppo vulnerabili ai compositi interessi delle singole universita’ per cui si invoca il ritorno al centralismo. L’unica cosa che mi pare sensata, in quel progetto di riforma, e’ l’aumento, in termini di ore, dell’impegno dei professori. Ma, di fatto, e’ un criterio che molte universita’ hanno gia’ introdotto». L. P. ___________________________________________ Corriere della Sera 9 gen. ’04 CO.CO.CO QUINQUENNALI AL POSTO DEI RICERCATORI Ecco che cosa cambiera’ per i professori con la riforma. Premi all'impegno: in Universita’ gli stipendi flessibili ROMA - Orari, retribuzioni, impegno didattico, concorsi: e’ in arrivo la riforma che modifica i rapporti di lavoro e il reclutamento dei docenti nelle universita’. Stop alle selezioni locali e ritorno a quelle nazionali. Possibilita’ per tutti i professori di svolgere attivita’ esterne. Retribuzione flessibile legata all'impegno nell'attivita’ didattica, nella ricerca e nella gestione degli atenei. Corsi e cattedre finanziati da imprese, fondazioni ed aziende sanitarie. Aumento dell'impegno didattico fino a 120 ore l'anno. Ricercatori che saranno sostituiti via via da co.co.co. assunti con contratti quinquennali rinnovabili una sola volta. Sono i principali aspetti della riforma che reca la firma del ministro Moratti. IDONEITA' Piu’ controlli Si ritorna ai concorsi nazionali, dopo sei anni di "prove" locali. I concorsi si terranno ogni due anni, alternativamente, per ordinari e associati. L'intento e’ garantire un maggior controllo, le prove locali infatti erano poco selettive: spesso veniva favorito il candidato dello stesso ateneo che aveva bandito il posto. DOCENTI Impegno e denaro I professori avranno la possibilita’ di svolgere attivita’ esterne. Cresce il loro impegno: 120 ore (erano 60) di attivita’ didattiche all'interno delle 350 annue di impegno scientifico. A fronte di cio’ una retribuzione fissa equiparata a quella di un docente a tempo pieno, ed una variabile per ulteriore attivita’ di ricerca, didattica o di gestione degli atenei RICERCATORI Nuovi contratti La riforma, che dovrebbe ... RICERCATORI Nuovi contratti La riforma, che dovrebbe entrare in vigore entro l'anno, prevede che i ricercatori vengano sostituiti da giovani assunti con contratti co.co.co. quinquennali rinnovabili una sola volta. Il ruolo dei ricercatori andra’ ad esaurimento IMPRESE Fondi in arrivo Gli atenei potranno realizzare programmi di ricerca sulla base di convenzioni con imprese e fondazioni. Posti di professore di prima fascia potrebbero essere istituiti con oneri a carico delle fondazioni o delle imprese private. In futuro gli atenei potranno avvalersi della collaborazione di studiosi di chiara fama italiani e stranieri e potranno anche attingere al mondo delle professioni ___________________________________________ Corriere della Sera 2 gen. ’04 L' UNIVERSITA’ E’ ASSENTE Mancano aule, fondi, personale Oliverio Ferraris Anna Dopo La Sapienza anche Tor Vergata e’ travolta dal numero della immatricolazioni, come risulta dai servizi pubblicati sulla cronaca di Roma del Corriere del 4 gennaio in cui, in un' intervista, il Rettore si dice preoccupato per un possibile scadimento della qualita’ dell' insegnamento. La preoccupazione del Rettore di Tor Vergata e’ piu’ che giustificata. Non sono poche le facolta’ universitarie romane che lamentano carenza di spazi, di fondi, di personale amministrativo, di docenti. Nelle segreterie gli studenti fanno lunghe code. Le lezioni sono spesso in luoghi non idonei come cinematografi o locali non sufficientemente attrezzati. Parcheggiare e’ impossibile. Gli esami quiz stanno diventando una routine. Se poi ci aggiungiamo gli effetti di una riforma che ha frantumato i vecchi corsi di insegnamento di 60-65 ore in corsi brevi di 32 o 16, raddoppiando il numero degli esami, non e’ difficile immaginare i disagi cui vanno incontro molti studenti romani. La dispersione degli spazi e la frantumazione dei tempi non favoriscono certamente un impegno organico e studi approfonditi. Sono gli stessi studenti a denunciarlo, non appena si apre un dialogo con loro su questi argomenti. Non tutti i ragazzi infatti sono alla ricerca del semplice titolo di studio, da conseguire trascorrendo il minor tempo possibile all' universita’; al contrario, molti vorrebbero fare la vita del «campus», approfondire i contenuti, laurearsi con una buona tesi, avere un rapporto continuativo con alcuni dei docenti. Anche i ragazzi che vanno all' universita’, non soltanto i liceali o i bambini, hanno l' esigenza di trovare dei punti di riferimento e di essere riconosciuti come individui, con la loro personalita’, i propri modi di apprendere, le proprie lacune ed esigenze. Gli anni della formazione universitaria sono spesso decisivi per orientarsi nella vita e perche’ cio’ si verifichi e’ necessario sentirsi incoraggiati, trovare delle risposte e sviluppare fiducia nelle proprie capacita’. Occorre anche un confronto e una discussione con dei «buoni maestri». Oggi pero’ molti docenti, sopraffatti dal numero degli studenti che si trovano di fronte e impegnati a svolgere non piu’ un unico corso approfondito, ma svariati corsi brevi a gruppi diversi di studenti, si trovano prima o poi costretti a mettere in atto strategie didattiche «di massa» e, per poter dare un minimo a tutti, finiscono per penalizzare loro malgrado gli studenti migliori. Ma se persino i Rettori si lamentano, significa che i tempi sono maturi per riflettere senza preclusioni ideologiche sull' opportunita’ delle cosiddette lauree brevi e sulle politiche universitarie della nostra regione. _____________________________________________________ Il Sole24Ore 24 Dic. ’03 ATENEI, IL CONSIGLIO DI STATO BOCCIA IL DECRETO DI* RIFORMA ROMA a Dal Consiglio di Stato uno stop al decreto del ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, che riscrive parte della riforma universitaria dell'autonomia didattica. II ministero, infatti, nel decreto inviato ai giudici di Palazzo Spada, ha «trascurato o disatteso» in modo immotivato i suggerimenti del Consiglio universitario nazionale, cui pure ha dichiarato di aver attribuito la prevalenza rispetto ai pareri del Consiglio universitario nazionale (Cnsu), alla Conferenza dei rettori (Crui) e al Comitato di valutazione (Convsu). «Il dare, sic et simpliciter, prevalenza al parere del Cun - scrive il Consiglio di Stato - significa privare di ogni valore le opinioni degli altri organi consultivi, ponendoli in una posizione ingiustamente subordinata». In ogni caso, se anche il Cun avesse un ruolo "principe", «sarebbe stato necessario che a esso fossero stati preventivamente trasmessi gli avvisi degli altri» organismi, cosi da consentirgli di esprimersi essendo a conoscenza di tutte le osservazioni. Le carenze nella definizione del decreto hanno percio’ convinto il Consiglio di Stato a sospendere il parere. Il ministero - concludono i giudici - dovra’ valutare «se dall'esame degli avvisi degli organi collegiali (...) emergono elementi tali da indurre a rivedere lo schema proposto». In verita’ i giudici - nel parere della sezione consultiva 4846, depositato il 15 dicembre – hanno elencato i punti di maggiore rilevanza sollevati dagli organi consultivi (si veda «Il Sole-24 Ore» dell'8 ottobre). In particolare, uno dei punti su cui Cun e rettori hanno sollevato perplessita’ e’ il cosiddetto percorso a «Y» per le lauree, che dovrebbero essere caratterizzate da un percorso professionalizzante accanto a uno piu’ a valenza «scientifica e metodologica». E se, a questo proposito, l'ultima formulazione del decreto - secondo i rettori - appare migliorativa, in quanto e’ abbandonata la secca dicotomia tra iter professionalizzante e scientifico, la Crui ha rilevato che le correzioni, a scapito dell'autonomia universitaria e con disorientamento degli studenti, obbligherebbero a rifare, anche se le carte non sono ancora scoperte, i curricula elaborati in due-tre anni. Le lauree magistrali (le ex specialistiche), per esempio, diventerebbero un percorso autonomo rispetto alla laurea (misurato in 120 crediti e non piu’ su 300, comprendendo anche quelli del corso di "primo livello). Inoltre, cambiano percentuale e parametro di calcolo di crediti vincolati a livello nazionale: il 50% (rispetto al 50-65% della prima formulazione) per le lauree e i140 (era il 50-60%) per le quelle magistrali. Infine, i rettori criticano l'abolizione dei riconoscimento del percorso dei master: questa definizione, che diventa sinonimo di laurea magistrale, potra’ continuare a essere utilizzata per i corsi "brevi" nel settore privato. MARIA CARLA DE CESARI ___________________________________________ La Nuova Sardegna 30 Dic. ’03 UNIVERSITA’ TELEMATICA DI SARDEGNA" 24 dicembre. Un protocollo tra l'universita’ di Sassari e quella di Cagliari per "creare l'universita’ telematica della Sardegna". Lo ha annunciato il rettore dell'ateneo cagliaritano Pasquale Mistretta durante la conferenza di presentazione della cittadella degli studi linguistici nell'ex clinica Aresu, lasciata libera dalla facolta’ di Medicina trasferita al policlinico di Monserrato. Per Sassari verra’ avviato un corso di laurea in architettura, Cagliari pensa ad informatica e scienze della comunicazione. "Ci sara’ anche un corso gestito in comune - diceva il rettore cagliaritano -. Tutto questo discende anche dal decreto di aprile Stanca-Moratti, che mette in gioco parecchie risorse". A proposito di risorse, il rettore dell'universita’ di Cagliari ha toccato un tasto dolente: l'85 per cento dei soldi che arrivano nelle casse universitarie e’ di provenienza statale. La Regione, i privati che altrove fanno la fortuna di interi corsi di laurea, qui finanziano la formazione dei giovani per un 25 per cento stretto. "Il nostro trend di laurea adesso e’ forte, negli ultimi due anni si sono laureati 3.300 studenti, prima eravamo a 1.600. Questo e’ stato possibile anche grazie a una interpretazione piu’ idonea ai tempi della gestione dei corsi, ma sui 16mila fuori corsi si potra’ incidere promuovendo un cambiamento della lettura dell'essere studente universitario. Gli strumenti per favorire il mutamento sono le borse di studio, il progetto Erasmus, i tirocinii nel territorio ma cio’ si scontra col fatto che la mano pubblica non tiene nel dovuto conto il valore aggiunto dell'istruzione.Un valore per tuta l'isola". ___________________________________________ Corriere della Sera 5 gen. ’04 DOCENTI UNIVERSITARI, 3.500 RICORSI AL TAR Protesta di massa dei professori vincitori del concorso ma «vittime» del blocco delle assunzioni Pierluigi Contucci, fisico all' Ateneo di Bologna, e’ uno dei leader: la situazione e’ inaccettabile, cosi’ si sta sfasciando tutto La Finanziaria ha confermato lo stop ai contratti anche nel 2004. La rivolta si e’ diffusa via Internet Arachi Alessandra ROMA - Lo avevano annunciato e adesso lo faranno: presenteranno tutti insieme i ricorsi legali, ognuno nel proprio Tar di riferimento. E quando si dice tutti, si intendono circa 3 mila e 500 persone, docenti universitari vittime del blocco delle assunzioni. Anche per il 2004 la legge Finanziaria ha deciso di confermare questo blocco all' interno degli atenei e i docenti che ne sono rimasti vittima hanno sperato fino all' ultimo che qualche cosa invece potesse cambiare. Nulla e’ cambiato. E i giovani docenti stanno affilando le armi con gli avvocati e limando i documenti legali, forti degli esempi dello scorso anno: per le stesse ragioni vennero presentati una decina di ricorsi ai Tar, casi singoli e sporadici di una protesta che non era ancora stata organizzata. I ricorsi sono stati tutti vinti. I giovani docenti hanno sperato fino all' ultimo, ovvero fino al 31 dicembre scorso: era questa la data entro la quale tutti quelli, circa 3 mila e 800 persone, che avevano vinto i loro concorsi avrebbero potuto essere regolarizzati, occupare finalmente il posto che avevano vinto nei concorsi fatti all' interno delle loro stesse universita’. Per capire: tra queste 3 mila e 800 persone ci sono ricercatori che il concorso lo hanno vinto ma che non sono mai riusciti ad entrare dentro l' universita’ insieme con ricercatori che dovrebbero occupare posti da professori associati e professori associati che dovrebbero essere in carica come professori ordinari. «Una situazione che ha dell' incredibile. Qualche cosa di inaccettabile che sta davvero sfasciando l' universita’ italiana», lamenta incredulo Pierluigi Contucci, fisico dell' universita’ di Bologna, reduce da una lunga permanenza nelle universita’ statunitensi. E’ stato lui uno degli artefici della protesta dei giovani docenti. E’ cominciata a meta’ dello scorso novembre con un comitato messo in piedi in poche ore grazie ad un sito internet e ad un frenetico tam tam telematico. E’ stata un' esplosione di rabbia. E adesso basta aprire il sito internet(www.dm.unibo.it/idonei) per capire e vedere quante sono le adesioni all' appello lanciato dal comitato che si e’ rapidamente battezzato: comitato professori idonei. Ma non basta contare le adesioni. E’ importante anche soffermarsi a leggere i nomi di chi ha voluto appoggiare il comitato. A dare manforte ai giovani professori italiani ci sono, infatti, luminari come Luciano Maiani, direttore del Cern di Ginevra, l' astrofisica Margherita Hack, il genetista Luca Cavalli Sforza, il Nobel Carlo Rubbia, i fisici Carlo Bernardini, Giovanni Jona Lasinio e gli accademici dei lincei Giorgio Careri e Giorgio Salvini. Il presidente dell' Accademia dei Lincei, Giovanni Conso, ha fatto anche qualche di piu’: per appoggiare la protesta dei giovani docenti ha fatto approvare una mozione «ad hoc» dall' Accademia dei 40 (il corpo scelto dell' Accademia dei Lincei). «Credo che questa protesta sia importante per la sostanza stessa della nostra universita’», dice ancora Pierluigi Contucci, aggiungendo che lui continuera’ a rimanere alla guida del comitato anche se, tuttavia, lui non sara’ tra i 3 mila e 500 che presenteranno ricorso al Tar. «Il perche’ e’ molto semplice: io sono tra quei pochissimi, meno del 5% del totale, che e’ stato assunto grazie ad una deroga che e’ stata fatta alla legge Finanziaria. Dal 7 gennaio prendero’ finalmente servizio come professore associato, come previsto dal concorso che ho vinto. Sono contento, certo. Ma non basta: l' universita’ non e’ una questione privata, e’ un bene pubblico che tutti i docenti dovrebbero difendere dal profondo». Alessandra Arachi SENZA LAVORO FINANZIARIA Il blocco Anche per il 2004, la Finanziaria ha confermato il blocco delle assunzioni all' interno dell' Universita’ di quei docenti che, avendo vinto il concorso, avrebbero diritto al posto I DOCENTI Quanti sono Sono circa 3.800 i professori e ricercatori vittime del blocco delle assunzioni: avrebbero dovuto essere assunti entro il 31 dicembre scorso LA PROTESTA Ricorso al Tar Ora tutti insieme minacciano di presentare ricorso al Tar della propria zona di residenza _____________________________________________________ Il Sole24Ore 27 Dic ’03 ATENEI, UNO SCAMBIO FECONDO DI DOCENTI Ricerca qualificata e competizione con il trasferimento di «cervelli» DI SERGIO CARRA’* Si tratta sicuramente del migliore studente che abbiamo avuto da diversi anni, altamente qualificato sia per la sua preparazione scientifica sia per la sua personalita’». Con queste parole Philip Morse professore di fisica al Mit raccomandava al preside del dipartimento di fisica dell'Universita’ di Princeton un giovane che sarebbe diventato uno dei piu’ brillanti scienziati del secolo scorso, Richard Feynman. Questo comportamento non puo’ che stupire chi non abbia consuetudine con le procedure educative praticate negli Stati Uniti, e induce a chiedersi perche’ un professore di una prestigiosa universita’ agevolasse la fuga di uno dei suoi piu’ validi studenti verso un'altra universita’ con la quale peraltro era in competizione. Aldila’ della semplice curiosita’, il fatto menzionato costituisce un esempio di quella consuetudine in virtu’ della quale gli Stati Uniti riescono a mantenere elevato il livello delle istituzioni culturali e dell'attivita’ di ricerca. La reciproca fertilizzazione di scienziati e ricercatori costituisce la migliore garanzia per la creazione di nuove esperienze e stimoli intellettuali. Gli stessi professori che hanno intrapreso la carriera in una determinata universita’, per migliorare la loro posizione ritengono opportuno migrare in un'altra sede che trovi conveniente ospitarli. La chiamata di un professore presso un'universita’ riflette un impegno programmatico in virtu’ del quale vengono rafforzati determinati settori di ricerca o ne vengono creati dei nuovi. Questi comportamenti meritano un'attenta considerazione poiche’ la constatazione del nostro declino scientifico e tecnologico impone una profonda revisione delle strutture e dei meccanismi del nostro sistema educativo. Ovviamente ogni confronto deve essere condotto con grande cautela, in particolare quando ci si riferisca a un Paese, come gli Stati Uniti, dove la mobilita’ costituisce fattore dominante. Il confronto con la situazione vigente nel nostro Paese appare purtroppo incongruo, e cio’ non solo per ragioni storiche, ma soprattutto per una profonda involuzione che si e’ manifestata negli ultimi anni nelle procedure e nei criteri con i quali la nostra universita’ consolida o istituisce la sua classe dirigente. Ed e’ curioso osservare che anche le segnalazioni sulla stampa di fatti clamorosi sembrano lasciare le cose inalterate, salvo suscitare qualche notazione umoristica come si e’ verificato quando si e’ appreso che alcuni professori non hanno esitato ad adoperarsi per trovare sistemazione a figli, amici e, talora, anche alle amanti. Non e’ difficile rendersi conto che la menzionata situazione finisca per sfociare in quell'immobilismo che, come e’ gia’ stato segnalato da Giorgio Squinzi su questo giornale i12 dicembre scorso, favorisce fatalmente l’autoreferenzialita’ e la protezione di privilegi consolidati e di interessi corporativi. Il fatto paradossale e’ che tale modo di procedere risulta agevolato da una delle piu’ significative conquiste del nostro sistema universitario, quella dell'autonomia. Non si puo’ fare a meno di constatare amaramente come la metodologia centralizzata di gestione dei concorsi che veniva praticata qualche decina di anni fa offrisse una maggiore garanzia di tutela della qualita’ della classe docente. Non che le cose andassero del tutto bene, poiche’ talora nelle terne dei vincitori dei concorsi alle persone di qualita’ ne venivano associate alcune piu’ modeste che erano poi chiamate nella universita’ di origine per poter coadiuvare il maestro nello svolgimento delle attivita’ tediose e meno ripaganti. Questa operazione da parte di alcuni veniva brutalmente definita incesto, dimostrando che la classe dei vecchi baroni non era priva di caustico umorismo. Con l'ordinamento attuale la gestione dei concorsi e’ demandata alle universita’ attraverso una commissione nella quale e’ presente un membro nominato dal consiglio di facolta’ dello stesso ateneo, con il compito precipuo di tutelarne particolari interessi che vengono manifestati attraverso la stesura di un profilo della persona ideale per il posto messo a concorso, che pero’ guarda caso costituisce, anche nei dettagli, il ritratto di un ben definito candidato locale. Tutto cio’ risulta cosi ben accettato da costituire una prassi consolidata. Spesso alcuni di tali candidati locali sono persone degne, in grado di ottemperare con dignita’ al compito cui sono designati, anche se purtroppo non sempre riescono a scrollarsi di dosso la gratitudine nei riguardi di chi si e’ preso cura della loro carriera. Un ulteriore fattore involutivo e’ il prevalere del criterio decisionale basato sulle "unita’ di costo" che caratterizzano il valore economico dei docenti in relazione al loro livello di inquadramento (professore ordinario, professore associato, ricercatore). II vincolo economico attuale che non permette l'aumento dei costi e l'intercambiabilita’ delle "unita’ di costo" ne hanno stimolato un uso disinvolto, facendo prevalere la logica di Parkinson che favorisce l'aumento dei dipendenti a discapito del livello culturale e scientifico. Se gli atenei continueranno a fare cattivo uso della propria autonomia fatalmente la perderanno, e si tornera’ verso un sistema centralizzato; segnali in questa direzione si sono gia’ manifestati. Mi auguro che il mondo accademico, che non puo’ seguitate a ignorare il problema, sappia mettere in discussione le proprie regole di governance e i propri comportamenti, proponendo i cambiamenti necessari: i buoni modelli non mancano. Nel frattempo un forte segnale positivo sarebbe l'applicazione con maggiore frequenza di quel metodo aureo di chiamata di un professore mediante trasferimento da un'altra universita’. Nell'attuale ordinamento e’ infatti possibile, da parte di un'universita’, arricchire la qualita’ del suo corpo docente arruolando un professore che in un altro ateneo stia raccogliendo successi scientifici e culturali. Questa procedura, che costituisce un importante fattore di quella competizione che viene attualmente invocata, viene purtroppo applicata sempre piu’ raramente, nonostante venga unanimamente riconosciuto l'alto prestigio di quelle universita’, come la Scuola Normale Superiore di Pisa, che ne fanno ampio, o addirittura esclusivo uso. Professore fuori ruolo di Chimica Fisica del Politecnico di Milano e Accademico dei Lincei. _____________________________________________________ Il Sole24Ore 28 Dic. 03 II MODELLO INGLESE DI UNIVERSITA’, EQUA ED EFFICIENTE LA QUALITA DELLA RICERCA DI GIACOMO VACIAGO E’ assai istruttivo confrontare il recente dibattito, m Italia e nel Regno Unito, sulla qualita’ della ricerca e dell'istruzione universitaria. Confrontare le diagnosi dei nostri problemi - e valutare i rimedi proposti - ci aiuta da tre punti di vista, tutti importanti. Anzitutto, perche’ in ciascun Paese il capitale umano e’ la risorsa piu’ importante. Il suo contributo alla crescita dipende pero’ da un sistema di incentivi che renda conveniente la ricerca dell'eccellenza. Infine, e questo terzo aspetto e’ il piu’ ' importante nel contesto europeo, e’ ovvio perche’ accumuliamo solo sconfitte: e’ mai possibile che ciascuno dei Paesi del Vecchio continente, da solo, riesca a competere con gli Stati Uniti? Se non facciamo l'Europa, saremo sempre perdenti. Il "declino" di cui tanto si parla non solo in Italia e’ il sintomo piu’ evidente di questa insoddisfatta "domanda di Europa": solo insieme potremmo sperare di vincere. Ma consideriamo brevemente il diverso approccio con cui Italia e Regno Unito si sono posti il problema della qualita’ della ricerca e dell'Universita’. Anzitutto, il metodo. Nel Regno Unito, abbiamo avuto all'inizio dell'anno da parte del Governo un buon "libro bianco" sul futuro dell'universita’. Gia’ nell'introduzione del ministro Clarke e’ evidente il filo conduttore di quell'analisi: come garantire che i giovani piu’ dotati possano accedere all'universita’; e come garantire che le migliori universita’ inglesi possano competere con le migliori del mondo. Si osserva infatti con preoccupazione che un numero elevato di giovani brillanti non ha i mezzi per accedere all'universita’. E con ancora maggiore preoccupazione si osserva che sempre piu’ giovani inglesi, dopo il liceo, scavalcano Oxford e Cambridge per iscriversi direttamente alle migliori universita’ americane. Di qui le proposte - che Tony Blair sta ora cercando di far passare ai Comuni, nonostante l'opposizione della sua sinistra - di aumentare le borse di studio e i prestiti per i migliori studenti appartenenti a famiglie non benestanti; e di aumentare le tasse e i contributi che gli studenti devono pagare alle universita’ migliori. Cio’ e’ importante per motivi sia di equita’ sia di efficienza, come si conviene a un Paese governato dalla sinistra meritocratica. Una bella lezione per tanti nostri governi che non sono riusciti - ma non ci hanno neppure provato - a garantire il dettato costituzionale (art. 34) secondo il quale in Italia «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi piu’ alti degli studi». Nel nostro caso, poco si chiede agli studenti e poco si da’ loro. Siamo da anni tuffi impegnati in una riforma (la cosiddetta 3+2) Ci cui nessuno ha mai chiarito obiettivi e strumenti, e mentre l'universita’ italiana continuamente affonda, l'unica cosa che il Governo ha saputo inventare con lo strumento del decreto legge, cioe’ di qualcosa che per definizione esclude un dibattito meditato e approfondito) e’ stato il nuovo "Istituto Italiano di Tecnologia". II modello e’ esplicitamente quello dell'Mit che a Boston, da piu’ di un secolo, rappresenta una delle punte del sistema di ricerca e formazione avanzata degli Stati Uniti. e’ ovvio che il Mít, come Harrard, Berkeley, Stanford, e un'altra dozzina di grandi universita’ americane sono al vertice di un sistema formativo, meritocratico, che sempre piu’ attira i migliori docenti e studenti di tutto il mondo. L'idea di copiare un pezzettino di quel sistema e’ patetica. Ma neppure l'anbizioso progetto di Tony Blair ha grandi speranze di riuscita. A differenza dell'Italia, nel Regno Unito c'e’ un sistema di valutazione che consente di accertare chi siano gli studenti "capaci e meritevoli". Gli esami di ammissione all'universita’ sono infatti nazionali e competitivi, come sono tra loro in competizione le universita’. Qualcosa che in Italia e’ per legge assolutamente vietato (addirittura i professori vincitori di concorso da noi sono indicati in ordine alfabetico!). Il problema e’ che anche un Paese meritocratico come il Regno Unito non riesce da solo a competere con gli Stati Uniti perche’ questi hanno una dimensione molte volte maggiore e possono quindi permettersi ogni tipo di universita’, cioe’ sia tante mediocri sia alcune assolutamente eccezionali. Solo un'Europa capace di coordinarsi in un sistema di universita’ di eccellenza ha qualche speranza di competere. E se l'Europa non inizia dal capitale umano, tutto il resto e’ tempo perso. GIACOMO VACIAGO _____________________________________________________ Il Sole24Ore 9 gen. ’04 BLAIR RISCHIA SULL'UNIVERSITA’ LONDRA a Tony Blair ha presentato ieri la controversa bozza di riforma universitaria su cui ha deciso di giocarsi la residua credibilita’. Una decisione tormentata e rischiosa, poiche’ la sinistra del partito lo ha messo in guardia dal creare un sistema di privilegi che smantelli il diritto universale agli studi superiori e ha minacciato di votare contro, insieme all'opposizione conservatrice. La resistenza nel partito di Governo alla riforma e’ altissima e, secondo gli esperti, per la prima volta ci sono i numeri perche’ Blair venga battuto platealmente in Parlamento. Una sconfitta che potrebbe essere esiziale, specie se unita a un risultato negativo dell'inchiesta Hutton sul suicidio dello scienziato David Kelly. Risultato atteso entro fine mese. Ieri, per addolcire la pillola ai compagni di partito, il segretario all'Istruzione Charles Clarke ha offerto un pacchetto di incentivi da 500 milioni di sterline. Finora tutti gli studenti universitari pagavano 1.125 sterline di retta annua. Da cui erano esenti le famiglie con un reddito cumulativo uguale o inferiore a 15mila sterline l'anno (21mila euro). La riforma prevede che dal 2006 gli studenti contribuiscano alla propria istruzione in misura variabile fino a un massimo di 3mila sterline l'anno. Per pagare tale cifra gli studenti potranno ricorrere a prestiti, rimborsabili in deduzione dei futuri salari non appena supereranno le 15mila sterline annue. Gli studenti poveri potranno peraltro usufruire di un sistema di sussidi ed esenzioni che permettera’ loro di studiare gratuitamente. Chi dopo la laurea non riuscira’ ad elevarsi da un lavoro mal pagato si vedra’ cancellare il debito dopo 25 anni. Convinto dell'importanza crescente della conoscenza per 1'economia, Blair vuole far accedere all'Universita’ in tempi rapidi circa meta’ dei giovani in eta’ accademica. L'ambizioso obiettivo necessita pero’ di una collaborazione finanziaria da parte dei singoli. Agli occhi di molti osservatori esteri le richieste di Blair non sono esose. Ma l'ala sinistra del partito ha fatto dell'universalita’ della Sanita’ e dell'Istruzione due aspetti irrinunciabili per cui e’ pronta a battersi fino in fondo. Ieri il Governo ha messo in chiaro che la controparte delle nuove concessioni e’ l'immodificabilita’ del pacchetto: non potranno essere posti emendamenti che riducano le rette senza ridurre d'altra parte i sussidi ai poveri. Si andra’ dunque allo scontro. Da tempo le Universita’ inglesi sono sempre piu’ a corto di’ fondi e minacciano di prendere piu’ studenti extracomunitari per finanziarsi. Nella riforma vedono l'unica via d'uscita. _____________________________________________________ Italia Oggi 2 Gen. 04 SCUOLA E UNIVERSITA’, BOOM PER LE ASSUNZIONI NEL 2004. Dpr in Gazzetta. In arrivo 15 mila dipendenti, ma solo 150 ricercatori DI ALESSAN-DRA RICCIARDI Via libera alle assunzioni della scuola e dell'universita’. Nel 2004 saranno 15 mila i nuovi dipendenti che entreranno in ruolo nei ranghi della scuola, tra insegnanti e personale ausiliario, tecnico e amministrativo. Solo 170 i ricercatori che potranno invece essere assunti dagli atenei. I relativi decreti di autorizzazione sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale del 30 dicembre scorso, serie generale n. 301. II primo decreto del presidente della repubblica, datato 19 novembre 2003, assegna al ministero dell'istruzione, «a decorrere dal 1° settembre 2004, sia agli effetti giuridici che economici, un contingente di personale docente, educativo e Ata per l'anno scolastico 2004/2005 non superiore a 15 mila unita’». II fabbisogno evidenziato dal responsabile del dicastero di viale Trastevere, Letizia Moratti, era stato di circa 21 mila unita’, di cui i 3/4 per i soli docenti. Ma dopo un anno di trattative, il via libera dAl ministero dell'economia e’ stato parziale. Secondo Tremonti i nuovi assunti dovrebbero comunque sopperire all'effettiva necessita’ di personale a tempo indeterminato, tenuto conto anche delle previsioni relative al turnover. II contingente autorizzato sara’ ripartito dalla Moratti nei prossimi mesi in base alle priorita’ evidenziate per le varie classi di concorso sul territorio. Per quanto riguarda la ripartizione tra insegnanti e Ata, il decreto nulla dice, tranne precisare che «per le assunzioni del personale Ata non puo’ essere comunque superato il limite complessivo del relativo turn over», che appunto si aggira sulle 5 mila unita’. Con un successivo atto di programmazione, prevede sempre il decreto, «si procedera’ a una quantificazione del fabbisogno di personale della scuola da autorizzare ai fini della stipula dei contratti a tempo indeterminato in relazione agli effetti concreti della riforma dell'istruzione di cui alla legge 28 marzo 2003, n. 53». Una formulazione che lascia intendere come possibile una nuova ondata di immissioni in ruolo a seguito della piena attuazione della riforma Moratti. La programmazione, secondo quanto puntualizza il comma 4 dell'articolo 1, dovra’ tenere conto anche «delle cessazioni dal servizio correlate alle modifiche normative che potranno intervenire in materia di quiescenza e previdenza». II dpr del 24 novembre 2003 invece effettua la ripartizione delle assunzioni autorizzate il 31 luglio 2003 tra i singoli istituti universitari. Si tratta di 170 posti per ricercatori universitari, per una spesa di 8 milioni di euro. Le universita’ potranno, precisa l'articolo 1, comma 2, assumere personale anche con professionalita’ diverse rispetto a quelle inizialmente richieste, qualora siano sopravvenute nuove esigenze organizzative e gestionali. Potranno anche utilizzare graduatorie differenti da quelle considerate nel corso dell'istruttoria. L'unico limite invalicabile e’ la quota di risorse disponibili per ogni ateneo. Il Politecnico Milano e’ l'istituto che porta a casa il numero piu’ alto di assunzioni e dunque di finanziamenti, seguito da quello di Torino e dall'universita’ di Salerno. ___________________________________________ L’Unione Sarda 3 gen. ’04 NASCE UN GRANDE PARCO NEL POLO UNIVERSITARIO L’area tra viale Merello e viale Fra’ Ignazio sara’ riqualificata. E’ imminente l’avvio della prima parte dell’intervento Un progetto del Comune per i 40 mila metri quadri dell’Orto dei Cappuccini Un nuovo polmone verde, dopo i colli di Monte Urpinu, San Michele e Monte Claro, a disposizione della citta’. L’orto dei Cappuccini, cioe’ il terreno tra viale Merello e viale Fra’ Ignazio che i religiosi hanno ceduto al Comune, diventera’ un grande parco nel cuore del polo universitario. I primi lavori per la sistemazione a verde attrezzato partiranno entro breve tempo, e il risultato finale sara’ un’area di 40 mila metri quadri trasformata in un grande giardino fiorito. Il progetto, che e’ stato redatto dall’agronomo Raimondo Congiu, prevede una riqualificazione complessiva dell’intera zona con piante, prati all’inglese, fontane, panchine, chioschi e perfino un piccolo parcheggio. La prima parte dell’intervento, pari a circa 130 mila euro, comprendera’ invece la ristrutturazione del fabbricato dove un tempo veniva esposto il presepe, ma anche la realizzazione del percorso che unira’ i due ingressi, la pavimentazione e le staccionate. Sara’ interessata un’area di quasi 4 mila metri quadri, che verra’ dotata di un nuovo impianto di irrigazione. L’assessore all’Ambiente Giampaolo Marchi illustra cosi il piano di riqualificazione adottato dal Comune: «Il progetto definitivo per l’intera area e’ gia’ pronto ed e’ agli atti dell’amministrazione. Per il momento partiamo con questo primo finanziamento regionale, poi, man mano che i fondi comunitari arriveranno, completeremo l’intervento». Buone notizie anche per quanto riguarda il sistema idrico, perche’ all’interno dell’area c’e’ un grande pozzo di acqua non potabile. «Anche se in pochi lo sanno», continua Marchi, «i nostri tecnici hanno realizzato un sistema di collegamento che ci permette di irrigare quotidianamente gia’ da molto tempo, con l’acqua proveniente dal pozzo, il verde di viale Buoncammino. Il problema acqua, percio’, non si verifichera’ neanche nei periodi di maggiori restrizioni idriche». Particolare importante, le caratteristiche climatiche sono particolarmente favorevoli, in quanto l’area risulta protetta dai venti, in particolare dal maestrale, e questo puo’ favorire l’innesto di vari tipi di piante. Non ultime, assieme a quelle tipicamente mediterranee, anche le specie tropicali e subtropicali, cosi come successo in passato per l’Orto botanico, che dista solo poche centinaia di metri e presenta varie analogie con quello dei Cappuccini, tra tutte la presenza di un pozzo di origine romana. Sono varieta’ di piante in grado di acclimatarsi facilmente e di raggiungere col tempo notevoli dimensioni. Il progettista Raimondo Congiu e’ convinto che questo, in un’area dove attualmente c’e’ carenza di spazi, sara’ un intervento decisivo: «L’intera zona, che e’ molto frequentata e quindi strategica, sara’ a disposizione dei giovani e dei turisti che soprattutto d’estate affollano l’Anfiteatro per i grandi eventi culturali e musicali». L’iniziativa dell’amministrazione comunale e’ vista di buon occhio anche dalla Circoscrizione 2, nel cui territorio sorge l’area interessata. L’idea, portata avanti gia’ a partire dalla scorsa legislatura, e’ quella di fare del parco un grande polo di aggregazione per studenti universitari e per le scuole dell’obbligo. «Non possiamo trascurare il fatto che l’orto si trova in una posizione strategica», spiega convinto il presidente del secondo parlamentino Edoardo Tocco, «ogni giorno in viale Fra’ Ignazio gravitano migliaia di universitari. E’ nostro compito concedere loro un’area attrezzata dove andare a rilassarsi nelle pause tra le lezioni e, perche’ no, dove studiare nei ritagli di tempo. Senza dimenticare che la nuova struttura potra’ rendersi disponibile per visite guidate, da parte delle scolaresche, per scoprire e studiare le piante ornamentali e aromatiche della nostra citta’». Mauro Caproni _____________________________________________________ Il Sole24Ore 5 gen. ’04 STRANIERI: POSTI DESERTI NEGLI ATENEI Pochissimi studenti stranieri frequentano gli atenei italiani solo l’1,5% degli iscritti totali e l'1,7% degli immatricolati. Ultimi dati disponibili sono quelli dell'anno accademico 2001/2002, che indicano un numero totale di 25.977 studenti non italiani. Anche all'universita’, come a scuola, la presenza piu’ consistente e’ quella degli albanesi (1.42%), seguiti pero’ dai greci (509). Problemi di lingua. «Questa scarsa presenza - spiegano al Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario - ha diverse motivazioni: innanzitutto l'italiano e’ una lingua poco conosciuta a livello internazionale; a cio’ bisogna aggiungere la mancanza di una politica di accoglienza che faciliti questi studenti e un prestigio poco riconosciuto dei nostri atenei all'estero». Eppure i punti di forza non mancano: basti pensare al costo della vita piu’ basso soprattutto rispetto ai Paesi anglosassoni. La normativa. I cittadini stranieri non comunitari sono soggetti al Testo unico dell'immigrazione (Dlgs D,6/98). Ogni anno, con decreto, i ministeri degli Affari esteri e dell'Interno programmano il numero massimo (cosidetto "contingente") dei visti d'ingresso e dei permessi di soggiorno per l'accesso all'istruzione universitaria da parte degli studenti stranieri sulla base delle disponibilita’ comunicate dagli atenei. Posti deserti. Spesso pero’ i posti disponibili non vengono coperti come accade, ad esempio, all'Alma mater di Bologna. Quest'ateneo ha il maggior numero di posti "dedicati" agli stranieri e quest'anno poteva accogliere piu’ di 2.300 studenti extra-Ue, mentre ne ha iscritti al primo anno poco piu’ di 500. «E’ gia’ accaduto negli anni passati - spiega il responsabile delle segreterie studenti dell'Universita’ Fabrizio Loschi - ma il nostro ateneo vuole puntare molto su questa risorsa. Abbiamo un ufficio dedicato agli stranieri, per affiancarli sia nella gestione degli obblighi burocratici sia nella ricerca di un alloggio, e abbiamo appena inaugurato un laboratorio per l'apprendimento delle lingue». Tutti in Accademia. L'Alta formazione artistica e musicale, invece, sembra avere una forte capacita’ di attrazione. La pre senza di stranieri nelle Accademie di belle arti, nei Conservatori e Istituti musicali e negli Isia, e’ stata nell'anno accademico 2002/2003 del 7,5%, in crescita nspetto agli anni passati (6,5% nel 2001/2002, 5,6% nel 2000/2001). Aumentano anche i visti concessi per motivi di studio: l'annuario statistico del ministero degli Affari esteri rileva infatti che, mentre si riducono gli stranieri che globalmente hanno ottenuto il permesso di soggiorno (anche transitorio), aumentano i permessi concessi per motivi di studio, che nel 2001 sono stati 38.366, il 7,9% in piu’ rispetto all'anno precedente. __________________________________________________ Economy 1 Gen. CONTRORIFORME: LE BARRICATE DEGLI INGEGNERI La guerra tra gli ingegneri prosegue senza esclusione di colpi. Tutto inizia con la riforma dell'universita’ che ha indicato per i laureati tre specializzazioni, con relativi elenchi: civile e ambientale, industriale, dell'informazione. La logica delle etichette, e in questo caso della legge, vorrebbe che i laureati in ingegneria informatica (8.200 su complessivi 25 mila) entrassero nell'albo dalla porta numero tre (ingegneri dell'informazione). Ma il Consiglio nazionale della categoria ha alzato una barricata, anzi un muro, per evitare questa possibilita’. II ragionamento del Consiglio merita una citazione per la sua sofisticatezza: i laureati in informatica non possono partecipare agli esami di Stato per l'iscrizione all'albo degli ingegneri, perche’ «la loro competenza e’ altamente tecnica e specifica per un settore che invece risulta piu’ complesso». Ancora, dicono dai vertici del Consiglio, gli informatici sono «poco poliedrici». E la riforma dell'universita’? E’ congelata nella parte che riguarda le facolta’ di ingegneria, in attesa che si chiarisca la posizione degli informatici che attualmente vivono, da un punto di vista professionale, «tra color che son sospesi». Per bloccare i concorrenti, gli altri ingegneri organizzano convegni dall'accattivante titolo «II futuro delle nuove figure professionali». Parlano di mercato, tecnologie, innovazione, ma intanto provano a blindare la loro riserva indiana. E gli informatici? Spingono per una soluzione del conflitto con gli ingegneri in Parlamento. _____________________________________________________ Il Sole24Ore 29 Dic. 03 PICCOLI ATENEI A MISURA DI TERRITORIO NUOVE Universita’ Sono 26 i poli nati dal 1982 a oggi molti dei quali in realta’ provinciali e per dar voce a esigenze legate al mercato locale A Milano, Roma e Napoli, invece, le strutture recenti sono gia’ parecchio affollate L’ obiettivo di decongestionare i grandi atenei non e’ stato centrato, ma la proliferazione dell'offerta accademica ha soddisfatto un bisogno della provincia italiana aprendo le porte dell'universita’ a una platea piu’ ampia di potenziali studenti. Crescita uniforme. Puo’ suonare cosi, ventun'anni dopo la sua approvazione, il bilancio della legge 590/82, che per diminuire l'affollamento delle universita’ maggiori ha fissato il tetto massimo di 40mila studenti per ateneo e ha avviato la nascita di nuovi poli. La barriera dei 40mila e’ tuttora superata da 13 universita’ (La Sapienza di Roma contava 137mi1a iscritti nel 2002/03), ma dopo la legge sono sorti 26 nuovi atenei che raccolgono circa 270mi1a studenti (il 15,2% del totale). Le nuove strutture, sorte in maniera uniforme nelle diverse zone del Paese (11 al Nord, 9 al Centro e 7 al Sud), hanno prodotto una sorta di unificazione culturale riducendo la distanza fra le metropoli e i piccoli centri, perche’ in gran parte sono nate in citta’ che prima non ospitavano atenei. E’ il caso ad esempio di L'Aquila che oggi, contando circa 70mila abitanti e quasi 20mila studenti, e’ diventata una vera e propria citta’ universitaria. «Il nostro ateneo - racconta il rettore Luigi Bignardi - si trova in una posizione atipica, per soddisfare le esigenze culturali di un territorio che voleva crescere». Limiti alla crescita. Le piccole universita’ nate dopo il 1982 registrano in media un aumento elevato degli studenti, ma la loro crescita non puo’ essere infinita e la competizione non si gioca con i grandi. «Noi - spiega Luciano Russi, rettore dell'Universita’ di 'Teramo - possiamo contare su strutture che presentano ancora un margine di crescita, ma ci pongono confini ben chiari». L'offerta nasce dal territorio. L'ateneo abruzzese indica anche una delle strade seguite dalle universita’ di provincia per strutturare la loro offerta formativa. «Accanto a un ceppo tradizionale - afferma il rettore - abbiamo puntato sull'inedito, con il corso di laurea in scienze giuridiche, economiche e manageriali dello sport, e sulle esigenze del territorio con il corso in management dei parchi, ispirato dalla presenza del Gran Sasso». I1 tessuto produttivo di un territorio ricchissimo di Pmi e’ invece all'origine della Liuc; di Castellanza ('Va), creata dalle imprese della zona con l'obiettivo di promuovere le competenze manageriali di cui hanno bisogno. L'offerta si articola in tre discipline, ingegneria gestionale, economia e giurisprudenza, che non rappresentano blocchi autonomi ma si integrano in vario modo nei curricula. Alla ricerca dell'identita’. Molti dei nuovi atenei sono nati come sedi distaccate di universita’ piu’ grandi e si trovano sulla linea di confine fra la tradizione ereditata e la costruzione di una nuova identita’. «Nelle lauree triennali - spiega ad esempio Ilario Viano, rettore dell'Universita’ del Piemonte orientale - proponiamo un ampio ventaglio di corsi sfruttando anche le competenze che gia’ c'erano quando eravamo sede distaccata dell'Universita’ di Torino, mentre per il biennio specialistico abbiamo cominciato con un numero di corsi piu’ limitato, attivati dopo un lungo confronto con gli Enti locali e le imprese della zona». Anche a Bolzano l'Universita’ ha dovuto fare i conti con le particolarita’ locali. «Il nostro ateneo - ricorda il presidente della Libera universita’ Friedrich Schmidl - e’ nato per formare gli insegnanti di lingua tedesca, e il plurilinguismo caratterizza oggi tutti i nostri corsi». Un'arma che si e’ rivelata vincente anche per frenare l'esodo dei cervelli che rappresentava uno dei limiti storici dell'Alto Adige. Nuove grandi. La giovane eta’ non e’ sempre sinonimo di piccole dimensioni. I nuovi nati nelle grandi citta’, infatti, hanno intercettato in pochi anni un gran numero di studenti e hanno raggiunto subito dimensioni considerevoli. Roma Tre, nata anche per svuotare un po' le aule della Sapienza, ha gia’ largamente superato i 30rnila iscritti, quota verso cui viaggiano rapidamente anche la Seconda universita’ di Napoli e Milano Bicocca. DI FEDERICA MICARDI GIANNI TROVATI Il confronto / Docenti, studenti, spese MA I GRANDI NON PERDONO LA SFIDA Gli iscritti non godono di particolari vantaggi Essere piccoli non significa sempre essere migliori. Almeno fra gli atenei statali, gli studenti dei poli con meno iscritti non sono piu’ "coccolati" dei loro colleghi delle grandi universita’, non sono piu’ vicini ai loro docenti e non sono oggetto di spese maggiori da parte dell'ateneo. I docenti. Considerando il numero di studenti per docente, la classifica dei virtuosi vede in testa l'Universita’ di Pavia (21.500 iscritti, 18,5 studenti per docente), mentre il primo dei nuovi atenei (l’Insubria, con 22,5 studenti per docente) occupa solo il nono posto. Il fondo della graduatoria, dove si trovano le universita’ con piu’ di 80 iscritti per professore, e’ interamente occupato dai piccoli, mentre colossi come La Sapienza di Roma e la Statale di Milano non superano la soglia dei 30 studenti per docente. Due eccezioni sono rappresentate dal Campus Biomedico di Roma e dall'Universita’ del San Raffaele di Milano, che registrano rispettivamente 14 e 15 studenti per docente, ma va considerato che l'area medica che contraddistingue questi atenei comporta un numero di insegnanti maggiore. Spese. Un capitolo delicato riguarda invece il calcolo della spesa sostenuta dagli atenei per ogni studente. Questo valore, infatti, puo’ rappresentare una bussola significativa per misurare gli investimenti ma non deve essere assunto tout court come indice di virtuosita’, perche’ il bilancio comprende anche voci che prescindono dal numero di studenti. Anche in questo caso, comunque, gli atenei piu’ "generosi" hanno dimensioni ragguardevoli. Il primo posto va a Siena (18.708 iscritti), che nel 2001 ha speso 14.558 euro per ogni studente, seguita da Roma Tor Vergata (13.609 euro), mentre la prima delle piccole e’ l'Universita’ della Basilicata, che con i suoi 7.929 euro per iscritto occupa il 16esimo posto. La Statale di Milano o il Politecnico di Torino (piu’ di 59mila studenti, e piu’ di 7mila euro per ciascuno di loro) spendono molto piu’ di Bergamo (9mila iscritti), e anche altre piccole realta’ come Foggia, Chieti e Catanzaro occupano i posti bassi della classifica. Un po' di conti Spesa per studente, docenti e borse di studio degli atenei nati dopo la legge del 1982 PER IL TRIENNIO STUDIARE «A CASA» E’ UN VANTAGGIO Dai tempi in cui la legge 590 del 1982 pose espressamente il problema del "decongestionamento" delle universita’ ritenute troppo grandi, diede il via libera a nuovi poli e pose come tetto massimo il numero di 40mila studenti per ateneo, il panorama e’ cambiato profondamente. Sono sorte 26 nuovi atenei e molte citta’ di provincia ne hanno uno tutto loro. Quale bilancio si puo’ stilare di questo processo? Guido Fiegna, membro del Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario, spiega che «quella legge ha avviato la diffusione dei servizi formativi universitari senza decongestionare in misura significativa gli atenei piu’ grandi, perche’ in molti casi le nuove universita’ hanno intercettato bisogni latenti del loro territorio. Si tratta comunque di un processo positivo, perche’ in Italia il numero di studenti universitari e’ ancora molto basso rispetto alla media Ue». Cosa non ha funzionato dal punto di vista del decongestionamento? La legge ha fissato un tetto di 40mila studenti senza stabilire se bisogna contarli fra gli iscritti in corso o se bisogna considerare anche i fuori corso. Inoltre, i successivi piani di sviluppo presentano in molti casi il difetto di dare luogo alla gemmazione delle sedi, mantenendo "ricca" sia l'universita’ madre sia la figlia. La moltiplicazione delle sedi aumenta anche la qualita’ degli studi e i luoghi di ricerca? Non sempre ci sono stati buoni risultati. Un piccolo ateneo che vuole promuovere la ricerca deve concentrarsi su poche aree di specializzazione, ma si tratta di una scelta difficile perche’ i rettori sono eletti da tutti i docenti, devono tener conto delle loro esigenze e per questo sono spesso impegnati piu’ nella mediazione che nella decisione. Ricerca e qualita’ della didattica sono i pilastri della valutazione da parte del Comitato. Un'universita’ che non fa ricerca non ha senso, e inevitabilmente offre ai propri studenti una didattica "datata" e di scarsa qualita’. Per questo abbiamo fissato dei requisiti minimi di qualita’, sulla base dei quali vogliamo passare all'accreditamento degli atenei, che e’ indispensabile per creare un vero sistema universitario. Oggi la mobilita’ in Italia e’ a livelli ' bassissimi ed e’ frenata anche dal fatto che gli studenti, se cambiano universita’, possono non vedersi riconosciuti tutti i crediti formativi ottenuti perche’ la nuova facolta’ ha un sistema di valutazione diverso. Una volta attuato questo procedimento, invece, l'ateneo accreditato potra’ fornire crediti validi per tutte le universita’. E chiaro che un ateneo piccolo e ai primi anni di vita e’ svantaggiato, ma noi abbiamo considerato non solo l'esistente, ma anche i progetti messi in cantiere. ___________________________________________ La Stampa 27 Dic. ’03 IIT: IL VITELLO D’ORO IL NUOVO ISTITUTO ITALIANO DI TECNOLOGIA TUTTI sanno che la ricerca, in Italia, non e’ proprio al suo massimo. Ce lo dicono alcuni dati dell'Istat e di altre istituzioni europee, che richiamo rapidamente: (a) su 1000 persone impiegate, i ricercatori (compresi i docenti universitari) sono 3,2, una delle ultime posizioni in Europa; (b) nell'ultimo decennio l'eta’ media del personale addetto e’ salita da 41-50 anni a 51-60; (c) nel 2010 andranno in pensione circa il 60% delle persone attive in quest'ambito; (d) i ricercatori del settore pubblico sono circa 17.000, molti meno della media europea, per raggiungere la quale ne occorrerebbero 50.000 in piu’; (e) da vent'anni, senza interruzione, il rapporto tra finanziamenti di ricerca e Pil, in Italia, e’ il piu’ basso d'Europa. Cosa fa il governo per porre rimedio a questa situazione, che ci colloca agli ultimi posti europei? Potenzia le universita’? Macche’, crea una Cosa, che battezza Istituto Italiano di Tecnologia (in sigla Iit), con un nome ripreso, con rischiosa superbia, da quello del Mit americano. La breve storia dell'Iit non e’ tranquillizzante. Intanto, e’ stato partorito dal Ministero dell'Economia con un allegato della finanziaria 2003, tenendone all'oscuro il mondo universitario e della ricerca. Strana circostanza, aggravata dal fatto che, per propagandarlo all'estero, si stanno adoperando gli uomini delle finanze e non quelli della ricerca. Pensate: per magnificare l'Iit e invogliare al ritorno alcuni «cervelli» italiani espatriati, e’ stato spedito a Harvard il Ragioniere Generale dello Stato. Inoltre, prima ancora di essere istituito, l'Iit ha lucrato un finanziamento mai visto nella storia della ricerca italiana: 50 milioni di euro per il primo anno e 100 milioni l'anno per i successivi nove. Un'immensa massa di denaro, la cui gestione sara’ affidata a un commissario che, secondo la proposta di legge, verra’ designato entro quest'anno dai ministri dell'Economia e dell'Istruzione. Il fatto e’ che, dietro la sigla Iit, per ora non si vede nulla. Nessuno sa quali siano i compiti di quest'enorme Vitello d'Oro, dove verra’ localizzato, come saranno scelti i suoi componenti, e quali ambiti della ricerca saranno accolti nel fastoso sinedrio. Ricordo che il Mit ospita anche filosofi e linguisti (tra cui Noam Chomsky), ma si puo’ dubitare che l'Iit avra’ la stessa vastita’ di orizzonti. Per ora, oltre a qualche raro apprezzamento, si registrano solo proteste e sommosse. La Conferenza dei Rettori delle Universita’, ignorata al momento di creare l'Iit e scontenta per il mancato rifinanziamento della rete universitaria «normale», ha rilasciato un durissimo comunicato, in cui parla senza mezzi termini di «disprezzo per la ricerca e l'universita’». Alcuni prestigiosi professori dell'Universita’ di Torino definiscono l'Iit «un intervento ex machina» che «alla fine distruggerebbe piu’ di quanto potrebbe creare». Per contro, imperturbabile come al solito il silenzio del ministro dell'Economia, che con l'universita’ (e’ stato suggerito da qualcuno) deve avere qualche sua personale ruggine. Qual e’ il senso di questa singolare operazione? Secondo me, solo uno, indicato anche da altri segnali: nell'Iit si concentrera’ la parte presunta «alta» dell'attivita’ scientifica italiana, che verra’ racchiusa in ambienti protetti e selettivi (anche se non si sa chi e come curera’ la selezione). Giu’, a valle, le universita’ saranno lasciate a occuparsi della fastidiosa parte «bassa»: far lezioni, esami, formazione di base, cosi’ allontanandosi gradualmente (come oggi accade sempre di piu’) dalla ricerca. ___________________________________________ La Stampa 2 gen. ’04 NON SPARATE SULL’IIT ALCUNE IDEE PER L’ISTITUTO ITALIANO DI TECNOLOGIA AI-AI-TI e’ il nome, in inglese, dell’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit), nuovo centro di ricerca che nel periodo prenatalizio ha ricevuto il principesco stanziamento di un miliardo di euro. Ahi-Ahi-Ti e’ stata la replica piccata del mondo accademico nostrano: tutti, dalla Conferenza dei Rettori al presidente del Cnr e a Raffaele Simone (La Stampa del 27 dicembre), si sono lagnati per il nuovo istituto, che sottrarrebbe fondi alle esangui universita’ esistenti. Hanno ragione? Probabilmente no. L'Iit nasce dalla convinzione che l'universita’ italiana sia irrecuperabile dal punto di vista della ricerca. Ha alcune aree di eccellenza, ma nel complesso soffre di una burocrazia sclerotizzante e di troppe assunzioni non qualificate o inqualificabili. La sua crisi e la sua scarsa capacita’ di produrre non dipendono tanto dalla mancanza di fondi, come si ripete spesso, ma da un'inefficienza cronica. Gli ideatori dell'Iit sostengono pertanto che per rilanciare la ricerca scientifica in Italia si debba creare una nuova struttura, capace di competere ad armi pari nello spietato scenario accademico internazionale. Una struttura flessibile, che possa investire velocemente in un campo piuttosto che in un altro o assumere e licenziare come le principali universita’ internazionali (non a caso l'Iit dovrebbe avere l'agile statuto giuridico di una fondazione). In modo simile all'Interaction Design Institute di Ivrea, universita’ privata fondata da Telecom Italia nel 2001 che in pochi anni si e’ affermata come una delle top five al mondo nel suo campo. L'idea dell'Iit, quindi, sembra buona e merita incoraggiamenti e proposte. Ecco tre suggerimenti, discussi nelle settimane scorse a Boston con un gruppo di giovani ricercatori di Mit e Harvard (tra cui Alfredo Iorio e Marco Albani). 1)La scala europea. Un miliardo di euro e’ una cifra ingente per il nostro paese. Ma e’ anche quello che il Mit, universita’ cui l'Iit si ispira nel nome, ha appena speso per costruire 5 (cinque!) nuovi edifici. Perche’ allora non mettere insieme Italia, Francia, Germania e altri paesi per creare un Eit, European Institute of Technology, superando quel fattore di scala che spesso penalizza le nostre iniziative? 2)Il rapporto col territorio. Un rischio dell'Iit, anche se avra’ successo, e’ che resti isolato e non riesca a dialogare col territorio e con altre realta’ di ricerca italiane. Un suggerimento potrebbe essere quello di istituire un certo numero di cattedre e gruppi di ricerca affiliati all'Iit, ma distaccati presso normali sedi universitarie. Unita’ autonome anche nel finanziamento, capaci di costituire l'interfaccia con gli atenei esistenti. 3)La crescita economica. Gli ingenti stanziamenti per l'Iit provengono dal Ministero dell'Economia italiano. Bisogna pertanto presupporre che le finalita’ dell'istituto non puntino soltanto all'avanzamento della conoscenza scientifica, bensi’ anche alla crescita economica. Affinche’ cio’ accada occorre un fertile sostrato imprenditoriale e finanziario, capace di far decollare delle «Sylicon Valley» o «Route 128» nostrane. Per questo motivo vale la pena di riflettere a fondo sulla scelta della citta’ che ospitera’ l'Iit. Genova e Pisa, di cui si e’ parlato finora, sono davvero le piu’ adatte? Se sopravvivera’ e sapra’ risolvere alcune di queste contraddizioni, l'Iit potrebbe rivelarsi un grande successo nazionale e contribuire ad arginare l'attuale declino economico e culturale del paese. Docente all’Universita’ di Harvard e al Massachusetts Institute of Technology ================================================= _____________________________________________________ Il Sole24Ore 4 gen. ’04 CLONAZIONE E RELIGIONE BIOETICA Paolo Vezzoni fa il punto sulla liceita’ della ricerca a scopi terapeutici Ebrei, buddisti, induisti, confuciani e taoisti non hanno assunto atteggiamenti antiscientifici. I maggiori investimenti in Cina, Giappone e Israele. In Inghilterra la legge piu’ permissiva GILBERTO CORBELLINI Anche se nel libro non risponde mai direttamente alla domanda del titolo, Paolo Vezzoni fornisce al lettore le informazioni e le linee di ragionamento essenziali per farsi un'idea propria. Si tratta della migliore pubblicazione tra quelle sinora prodotte in Italia sulle potenzialita’ biomediche e le implicazioni etiche della tecnologia della clonazione; piu’ precisamente del trasferimento del nucleo cellulare per creare embrioni umani che si potrebbero far nascere (clonazione riproduttiva) o da cui derivare cellule staminali per scopi terapeutici (clonazione terapeutica). L'approvazione, poche settimane dopo la distribuzione del libro, della legge proibizionista (o «legge burka» come l'ha definita «Le Monde») sulla fecondazione assistita rende superati i riferimenti alla situazione di incertezza esistente quando il libro veniva scritto. Rimane comunque utile la presentazione dei ragionamenti sul diritto o meno a utilizzare le tecnologie della fecondazione assistita nell'ambito della medicina riproduttiva, cosi. come rispetto alla possibilita’ che gli embrioni crioconservati e destinati alla distruzione (perche’ in soprannumero e non piu’ utilizzabili) siano resi disponibili per condurre esperimenti sui meccanismi dello sviluppo, allo scopo di mettere a punto nuove terapie cellulari per le malattie cronico-degenerative. Dopo aver esaminato con grande precisione i dati scientifici, Vezzoni passa ad analizzare i dilemmi morali che riguardano prima la clonazione riproduttiva e poi la clonazione terapeutica. Infine conclude con una panoramica sui risvolti economici del settore. Opportunamente, sottolinea come, di fatto, molte informazioni che arrivano ai mass media siano puramente propagandistiche e che, dopo i primi entusiasmi, ci si comincia ad accorgere che la strada per sviluppare la ricerca e l'applicazione della tecnologia del trasferimento nucleare non e’ in discesa e non sono dietro l'angolo le auspicate ricadute terapeutiche. Vezzoni assume una posizione che assegna completa autonomia al discorso morale rispetto a quello scientifico. E cerca, almeno per quanto riguarda l'etica della clonazione terapeutica, di trovare una posizione di "mezzo" tra i due estremismi che vedono nell'embrione o solo un ammasso di cellule o gia’ una persona. Afferma correttamente che non si potra’ mai stabilire il grado di dignita’ di un embrione o di una persona sulla base di qualche marcatore biologico. Piuttosto, si tratta di constatare semplicemente come noi attribuiamo in modo spontaneo, ma influenzati da un contesto, valori diversi a differenti stadi dello sviluppo umano (un aborto ai primi mesi non provoca lo stesso dolore della perdita di un feto di sette mesi, o la disperazione che scatena la scomparsa di un figlio gia’ nato) e che siamo naturalmente orientati (come dimostrano gli studi di etica sperimentale) a ragionare e decidere nelle situazioni di conflitto in modo pragmatico per cercare di minimizzare le sofferenze. Ed e’ probabilmente cosi che ragiona anche la grande maggioranza dei cittadini italiani - ma per motivi di ingiustificabile ignoranza e arroganza moralistica non la maggioranza dei parlamentari - quando si dice contraria agli articoli della legge sulla fecondazione assistita che trasformano in norme giuridiche credenze e pregiudizi etico-religiosi condivisi come tali solo da una minoranza. Credenze e pregiudizi difesi da chi spesso non ha neppure una personale esperienza dei temi su cui pretende di dettare le norme. Le conseguenze saranno l'aumento di disagi, sofferenze e discriminazioni per i cittadini italiani. A quanto detto da Vezzoni, si potrebbe aggiungere che, senza sorpresa per chi considera come Dewey l'etica «irriducibilmente empirica», i criteri pragmatici di valore tendono a convergere con i dati via via prodotti anche dalla ricerca scientifica sulle condizioni che segnano delle specifiche differenze e novita’ relazionali nello sviluppo di un essere umano, piuttosto che con certe idee metafisiche o pseudoscientifiche sull'embrione. Infine, andrebbe detto che, per quanto riguarda le prospettive della clonazione terapeutica, un ruolo fondamentale nel determinare il futuro della ricerca e degli sviluppi applicativi lo giocheranno le religioni, ovvero le diverse concezioni morali dell'embrione presenti nelle religioni diffuse sul pianeta. Orbene, solo la religione cattolica e una parte dei movimenti protestanti americani, tra cui gli evangelici del fondamentalista presidente Bush - che infatti persegue l'obiettivo di mettere al bando ogni forma di clonazione e per ora non ci riesce a causa dei forti interessi economici collegati alla ricerca nel settore - sono contrari alla sperimentazione sugli embrioni ai primi stadi di sviluppo e alla clonazione terapeutica. Mentre la legislazione piu’ permissiva, quella inglese sulla fecondazione assistita e che ammette la clonazione terapeutica, e’ stata voluta e accompagnata nel suo iter parlamentare dalle gerarchie protestanti anglicane. E non e’ un caso che le principali linee cellulari staminali derivate da embrioni umani vengano da Israele: per la teologia ebraica fino al quarantesimo giorno l'embrione e’ acqua. Ne’ e’ senza un legame con lo statuto morale dell'embrione nelle religioni e filosofie morali orientali (buddismo, induismo, confucianesimo, taoismo) il fatto che i piu’ ingenti investimenti e alcuni dei piu’ avanzati progetti di ricerca che utilizzano la tecnologia della clonazione su embrioni umani vengano sviluppati in Estremo Oriente: Cina, Singapore e Giappone. Alla luce di tutto cio’, stupisce che non ci sia chi nel mondo cattolico italiano si preoccupi delle conseguenze che potrebbero avere per il futuro di questa tradizione morale le scelte illiberali oggi praticate in ambiti sempre piu’ cruciali della sfera provata, che riguardano la vita, la morte e la salute. _____________________________________________________ La Stampa 4 gen. ’04 MEDICINA, ESPOSTO CONTRO IL NEPOTISMO NUOVA BUFERA ALLE MOLINETTE SUL DIPARTIMENTO DIRETTO «I concorsi per titoli e per capacita’ devono consentire la partecipazione a tutte le persone che sono meritevoli» DAL PROFESSOR GIUSEPPE PICCOLI, PRESIDE DELLA FACOLTA’ L'esposto contro l'Universita’ e’ stato inviato al rettore, Rinaldo Bertolino, e ai vertici della Facolta’ di Medicina Nefrologa contesta il sito dell'Universita’: «E di parte» Marco Accossato All'Universita’ e alle Molinette e’ gia’ stata battezzata ala guerra al nepotismo». Lei, Caterina Canavese, medico assunto nel '75 nella Nefrologia universitaria, oggi prima nella graduatoria di reparto fra i colleghi ospedalieri per numero di pubblicazioni scientifiche e Impact factor dopo i professori Segoloni e Stratta, la definisce piu’ semplicemente una «battaglia contro l’ingiustizia». Ha fatto ricorso per non esser stata neppure avvertita dell'esistenza di un concorso per la cattedra di Professore associato nel reparto universitario diretto dal professor Giuseppe Piccoli, preside di Facolta’. Contemporaneamente, con un esposto al rettore e alle massime autorita’ accademiche dell'Ateneo torinese, denuncia un altro «torto»: la mancanza, nel sito Internet che rappresenta la Cattedra, la Divisione e la Scuola di specializzazione in Nefrologia, di tutti i lavori, le pubblicazioni scientifiche, le tesi di laurea, e i libri curati da lei e da altri colleghi come lei, «figli di un Dio minore». «Come se la mia vita professionale non fosse mai esistita», sbotta. Trent'anni di attivita’, 25 al fianco del professor Vercellone, oltre cento pubblicazioni all'attivo registrate da PubMed, cd didattici, poi docente aggiunta alla Scuola di specialita’ e a quella Infermieri, responsabile in passato di un laboratorio di ricerca, organizzatrice e coordinatrice di corsi Ecm, «e’ come se non avessi diritto non solo a partecipare a un concorso per diventare professore, ma neanche a essere citata in una pagina Web che dovrebbe rappresentare la vetrina istituzionale dell'intera struttura». «Del concorso - prosegue - nessuno dei miei superiori mi ha informata, l'ho scoperto all'ultimo grazie a una segnalazione di amici di un altro reparto, ho preparato in fretta i documenti e ho presentato il ricorso al Tar». Delle mancanze sul sito, «mi chiedo con quali criteri abbiano scelto e si continuino a scegliere i lavori da evidenziare e quelli da escludere, visto che di mio e di altri colleghi non c'e’ neppure una riga». Del reparto di Nefrologia e della burrascosa successione del professor Piccoli, si e’ parlato gia’ di recente, dopo l'invio di lettere anonime che accusavano espressamente il professore di voler spianare alla figlia la strada per la successione. La dottoressa Canavese ha scelto la via del Tar: «Non credo che l'anzianita’ valga di per se’ per avere un titolo di "professore". Credo alla meritocrazia, e penso di essere un candidato decoroso per la cattedra come per la segnalazione su un sito Internet del mio dipartimento e della Cattedra universitaria: non dare la possibilita’ di partecipare a un concorso a tutti quelli che ne avrebbero diritto, o escluderne i lavori da un sito visibile in tutto il mondo e’ un'ingiustizia che non puo’ essere taciuta». La dottoressa Canavese non avrebbe voluto parlare di questa faccenda, prima del pronunciamento del Tar e dei vertici accademici. Sottolinea: «Ho la massima stima nei confronti dell'Universita’ come nucleo formativo della societa’, e ho trovato appoggio nel rettore, persona di eccezionale onesta’ intellettuale». Ma quest'accusa di nepotismo accademico e’ diventata di dominio pubblico anche in ospedale, inutile tacere. «Danno e beffa - dichiara allora la Canavese -: il concorso per la cattedra di Professore associato in Nefrologia del quale non sono stata avvisata e per cui ci sono cinque candidati e’ stato possibile anche grazie al fatto che il reparto ha collezionato una serie di lavori scientifici pubblicati, compresi i miei!». «Un articolo pubblicato sul Corriere della Sera diceva che il ministro della Salute, Sirchia, invitava i rettori a liberarsi dalle pastoie e dai privilegi dell'Universita’. E i rettori rispondevano, quasi offesi, "ci dia le prove che ci sono pastoie e privilegi"». La vicenda della dottoressa Canavese e’ una sorta di risposta: «I concorsi devono consentire la partecipazione a tutte le persone meritevoli e un sito istituzionale non puo’ essere una celebrazione parziale e incompleta. Non mi dicano che e’ stata una svista: sono mesi che il sito e’ attivo on-line». In cima alla graduatoria delle pubblicazioni scientifiche protesta: «Mi hanno tagliata fuori anche da un concorso» «Un indirizzo Internet istituzionale non puo’ mai essere una celebrazione parziale e incompleta di nomi e lavori» ___________________________________________ Corriere della Sera 30 Dic. ’03 MEDICINA, LA CATENA DI MONTAGGIO DEGLI INTERVENTI INUTILI Con il rimborso delle prestazioni a tariffa prestabilita molti ospedali tendono ad operare anche senza motivo 30 dicembre. Dal primo gennaio 1995 si opera in modo diverso. Non si tratta di un'affermazione di carattere scientifico: in realta’ non e’ accaduto nulla nelle tecniche chirurgiche da quella fatidica data, che non fosse nel normale progredire della chirurgia; semplicemente e’ cambiato il management delle malattie, in altri termini il modo e la quantita’ di trattare i pazienti. D'accordo con Giuseppe Remuzzi sull'abolire il sistema di rimborso delle prestazioni a tariffa prestabilita in relazione al gruppo di malattia (Drg), a quella data partito, non solo per evitare dimissioni premature dall'ospedale per motivi di risparmio. Accade di peggio per "efficientismo" o per guadagno: puo’ capitare che un'operazione su tre sia inappropriata o inutile, l'unnecessary surgery degli anglosassoni che per primi hanno studiato e denunciato il fenomeno. Posso peraltro testimoniare, in tre anni di presidenza della Societa’ lombarda di Angiologia e Patologia Vascolare, come proprio alcuni modelli lombardi efficienti abbiano condotto alla corsa ad operazioni inutili. Si sarebbe portati a presumere che estranea a questa corsa all'efficienza sia la medicina, ma ormai sono troppi gli esempi di cio’ che potrebbe essere definito "medicina in catena di montaggio". L'esempio migliore di tale tendenza, come sempre derivante dagli Usa e ben descritta dal sociologo George Ritzer (Il mondo alla McDonald's, Il Mulino, '97) pochi giorni fa intervistato sul "Corriere della Sera" durante una sua visita in Italia, e’ l' influsso dilagante della McDonaldizzazione di centri chirurgici e sanitari. Un fattore cruciale in questo senso e’ rappresentato dall'arrivo di investimenti di societa’ di capitali che sono interessate alla medicina in quanto occasione di profitto. Poiche’ essere competitivi e’ diventata una necessita’ universale, e’ probabile che il grande rilievo accordato all'efficienza nelle organizzazioni di tipo manageriale passi anche all'interno di quelle che non hanno scopi di lucro. Storicamente, non si puo’ dire che la medicina sia stata qualcosa del genere. I medici, nella loro pratica privata, hanno sempre agito in grande autonomia e secondo i propri metodi ed etica. In ospedali e studi professionali, mantenevano una notevole liberta’ rispetto ai possibili condizionamenti della struttura che avrebbero potuto uniformare la loro attivita’. I "McDoctors", concepiti sul modello dei fast food, si basano su regole, procedure e controlli, sicche’ cio’ che i medici fanno in tali strutture li porta ad abbandonare la tecnologia umana, con le personali ed autonome valutazioni, a favore di quella delle macchine e dei programmi su base diagnostico-economica (Drg). Altro fattore decisivo, al riguardo, e’ l'aumento della concorrenza, incoraggiata negli Usa da una decisione della Corte Suprema sulla base di una serie di istanze antitrust avanzate con successo contro le pratiche monopolistiche della classe medica, nonostante l'Associazione Medica Americana da lungo tempo avesse fatto il possibile per imporre restrizioni alla concorrenza sulla base di un codice etico. Eppure - e’ l'opinione di chi scrive - l'associazionismo medico solidale, gli Ordini dei Medici, corporativismo in senso positivo, potrebbe essere l'unica strada d'uscita per un miglior trattamento dei cittadini e dei pazienti da parte di medici che tornino ad essere "liberi professionisti" e non "impiegati dipendenti d'aziende sanitarie". Servono "medici non piu’ sottoposti a continui e inutili controlli, ma autonomi e quindi piu’ responsabilizzati. Un primo passo, questo, per sciogliere la matassa del riordino del Ssn" (G. Sirchia). Ancora un punto, e unico discordante da Remuzzi per l'idea ricorrente della chiusura dei piccoli ospedali. Ricordate? Non si vorrebbe che si nascesse in un ospedale come quello di Domodossola, come se non fosse il buon ginecologo, ed in generale il buon medico, e non l'ospedale a fare la differenza. Siamo sicuri infatti che la sanita’ e’ di eccellenza solo nei McDonald's o supermarket della sanita’ dove le prestazioni sono "Piu’ A Meno", ovvero si praticano con efficienza tre prestazioni per darne solo due veramente necessarie? Giovanni B. Agus Professore Ordinario di Chirurgia Vascolare Universita’ di Milano _____________________________________________________ Il Sole24Ore 28 Dic. 03 NON E’ IL DNA IL SEGRETO DELLA VITA BILANCIO DELLE CELEBRAZIONI La vera rivoluzione e’ quella dell’ingegneria genetica, avvenuta trent’anni fa. e la sequenziazione del genoma umano non e’ che la fine del sogno di trovare ogni spiegazione nei geni DI GILBERTO CORBELLINI Alla fine de '2003 saranno rimasti pochi a non sapere chi sono e che cosa hanno fatto James Watson e Francis Crick; o che cosa grosso modo e’ il Dna. Anche in Italia sono state promosse numerose iniziative per ricordare l'evento scientifico ritenuto forse il piu’ importante per la biologia del Novecento. Alcune mostre sono state allestite negli ultimi mesi, sotto gli auspici del ministero dell'Istruzione, dell'universita’ e del[a ricerca, prima a Napoli e ora anche a Milano (Museo della Scienza e della Tecnica «Leonardo da Vinci"), a Roma (Centrale Montemartini) e a Padova. L'enfasi con cui e’ stato celebrato il contributo di Watson e Crick ha praticamente fatto dimenticare che esattamente trent'anni fa veniva inventata, all'Universita’ di Stanford in California, la tecnica per ricombinare il Dna stesso; ovvero che esattamente da tre decenni viviamo nell'era dell'ingegneria genetica, E, leggendo qua e la’ quanto e’ stato scritto sul Dna in chiave celebrativa, sembra che non ci si sia proprio accorti che con il sequenziamento del genoma umano forse si e’ definitivamente esaurita la spinta propulsiva dell'idea che nel Dna sia contenuta la spiegazione della vita. Michel Morange, biologo molecolare all'E’cole normale supe’rieure di Parigi, e uno dei migliori storici della biologia molecolare, analizza criticamente nel suo ultimo libro i procedimenti concettuali che nella storia della biologia hanno cercato di rispondere alla domanda «che cosa e’ la vita?». E si sofferma sulle ragioni che nel corso dell'ultimo decennio hanno definitivamente messo in crisi quella che sembrava la risposta definitiva. Vale a dire il concetto emerso con la scoperta della struttura del Dna e la decifrazione del codice genetico per cui la vita coinciderebbe con l'informazione genetica. I sistemi viventi sarebbero, secondo la visione divulgata dalla biologia molecolare negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, riconducibili all'informazione contenuta nelle sequenze del Dna. Morange sottolinea che la scoperta degli Rna con funzioni catalitiche - i ribozimi - ha dimostrato che l'informazione genetica e il codice genetico sono un'invenzione successiva del mondo vivente, ovvero un modo escogitato per riprodurre piu’ efficacemente l'organizzazione biologica. Prima che il Dna diventasse la molecola che porta l'informazione genetica esisteva il inondo dell'Rna, che racchiudeva in se’ entrambe le funzioni che successivamente si sarebbero separate, ovvero quella di funzionare allo stesso tempo come memoria sia e come catalizzatore di reazioni chimiche. Il Dna sta alla vita, afferma Morange, come la scrittura sta alla parola. Gli acidi nucleici, peraltro, non devono le loro proprieta’ genetiche al fatto di essere dei polimeri o di potersi duplicare, ma alla trama di relazioni tra le loro proprieta’ e determinate funzioni intra cellulari consente la riproduzione di queste funzioni. Anche per quanto riguarda i geni e’ entrata da tempo in crisi la visione ontologica tradizionale, che associava fisicamente e univocamente un gene a una data sequenza nucletidica e quindi a una altrettanto data funzione: geni ritenuti essenziali possono essere inattivati senza conseguenze e geni gia’ noti trovano sempre nuove funzioni. L'informazione biologica, ovvero le determinazioni che operano nella costruzione e nel funzionamento dei sistemi viventi non coincide dunque con il loro genoma, cioe’ con il loro Dna. Come dimostra peraltro il fatto che i dati riguardanti le sequenze genomiche non fanno aumentare le conoscenze sui meccanismi fisiologici, e che sono sempre piu’ in auge i progetti cosiddetti di "postgenomica". II che non vuol dire che il Dna non conti nulla, ma soltanto che il suo ruolo va compreso in un contesto evolutivo e funzionale. La spiegazione della vita a livello genetico e’ utile oramai solo a chi vuole dare una parvenza di scientificita’ a posizioni metafisiche. Consente ai teologi, ai filosofi e agli antievoluzionisti di argomentare contro l'ingegneria genetica e cellulare, o contro le idee di Darwin; ovvero di far coincidere il genoma con l'identita’ individuale, come i bioeticisti cattolici, per attribuire in modo alquanto contraddittorio uno statuto etico a stadi dello sviluppo umano nei quali non esiste la minima traccia o potenzialita’, al di fuori di un contesto che la realizzi, della persona. Ma, allora, che cosa e’ la vita? Morange osserva che non esiste a tutt'oggi una risposta a questa domanda che metta d'accordo tutti i biologi. Le caratteristiche comuni a tutti gli esseri viventi sono: a) il possesso di strutture molecolari complesse e in grado di produrre organizzazione (acidi nucleici e le proteine); b) la capacita’ di mantenere con continuita’, scambiando materia ed energia con l'ambiente esterno, un insieme enorme di reazioni chimiche estremamente specifiche (metabolismo); c) la capacita’ di riprodursi in modo imperfetto (evoluzione). I ricercatori che studiano i differenti aspetti tendono a privilegiare una o l'altra di queste caratteristiche. Ma esse sono strettamente collegate. Le strutture molecolari complesse, come gli acidi nucleici e le proteine, rendono possibili le reazioni chimiche del metabolismo, che mantengono in vita gli organismi e consentono loro di riprodursi. Il metabolismo permette la sintesi delle molecole complesse. La capacita’ di riprodursi in modo imperfetto rende possibile l'adattamento del metabolismo e delle strutture molecolari all'ambiente. Michel Morange, «La vie explique’e. 50 ans apre’s la double he’lice», Odile Jacob, Parigi 2003,« 22,50. _____________________________________________________ Panorama 8 Gen. 04 PREVENZIONE PERSONALIZZATA Umberto Veronesi Il cancro e’ il risultato di un danno al dna cellulare. Alcune sostanze, virus o radiazioni ionizzanti, a contatto con il dna lo alterano causando progressive mutazioni. Queste rendono la cellula colpita incapace di percepire i messaggi che giungono dall'interno per un'attivita’ coerente con il programma generale dell'organismo. Diventa una cellula •sprogrammata. Il segreto della malattia cancro sta non solo nella conoscenza del genoma, ma soprattutto nella capacita’ di capirne l'interazione con l'ambiente. Oggi conosciamo motti fattori cancerogeni ambientali: sostanze chimiche (amianto, benzene, benzopirene, anine aromatiche, affatossine) o tabacco. Si possono percio’ evitare i tumori di cui si sanno le cause, come quello del polmone legato al fumo. La prevenzione oncologica sara’ sempre piu’ personalizzata. La conoscenza del profilo genico ha aperto le porte ah la valutazione del rischio individuale per un certo tipo di tumore, permettendo di attuare piani di controllo specifici: da proogrammi diagnostici piu’ accurati alla somministrazione di farmaci che interferiscono con lo sviluppo della malattia. Dalla prevenzione alla diagnosi precoce: alcune alterazioni geniche sono state identificate come segnati di un possibile processo di cancerogenesi agli esordi: i marker o biomarcatori tumorali, che possono indicare b stadio della malattia e la risposta alle terapie. Quando si scopre un tumore, la conoscenza della struttura del dna alterato delle cellule tumorali (ritratto genico) ci indica il numero e il tipo di mutazioni avvenute, elementi preziosi per valutarne gravita’ e risposta a specifiche terapie. Ma la prospettiva piu’ allettante della genomica, perlomeno la piu’ vicina al nostro concetto di cura, viene dai nuovi farmaci. La sua grande promessa e’ offrirci terapie mirate, che non distruggono la cellula ma riparano f danni cellulari, e soprattutto personalizzate, studiate per il malato e il suo tipo di cancro. Per ottenere questo dobbiamo, per ogni forma tumorale, individuare quali sono le alterazioni da riparare (i bersagli molecolari) e quindi trovare altre molecole che, interferendo con esse, cioe’ inibendole o inattivandole, riescano a riportare la cellula al suo normale funzionamento o alla sua morte. L'identificazione dei bersagli e’ gia’ a buon punto nei laboratori di tutto il mondo e decine i farmaci molecolari in fase di sperimentazione clinica. _____________________________________________________ L’Espresso 8 Gen. 04 SUI TUMORI CALA IL SILENZIO All'Istituto Superiore di Sanita’ i relatori si succedevano sul palco, snocciolando dati e analisi da lasciare a bocca aperta: su quanto si campa (sempre piu’ a lungo, per fortuna) con il cancro in Europa, confrontando come vanno le cose anno per anno, paese per paese e tumore per tumore. Informazioni di enorme interesse per i malati con i loro familiari, i medici, gli amministratori, sino alle responsabilita’ politiche locali e nazionali, che devono decidere i piani e le risorse: li apriamo un reparto di radioterapia, la’ rinforziamo lo screening del tumore al seno. Informazioni che possono essere raccolte solo grazie ai registri dei tumori, che si sono diffusi negli ultimi vent'anni, e dal 1989 scambiano e confrontano i risultati di tutti i paesi europei attraverso il progetto Eurocare. Ma nell'aula dell'Istituto si respirava un'aria surreale. Perche’, fra tanto compiacimento per la qualita’ e la rilevanza dei dati, nessuno era in grado di dire con quali mezzi la macchina Eurocare potra’ continuare a girare in futuro. La Comunita’ europea, che ha finanziato la prima fase di avvio, si e’ rifiutata di scucire altri euro: altri grandi progetti meritano attenzione, soprattutto quelli legati alla genomica e alla biologia molecolare; secondo gli euroburocrati e’ ora che degli studi sui tumori si assumano l'onere i singoli Stati. AI convegno di Roma, pero’, il rappresentante del Ministero si e’ guardato bene dal, parlare di soldi: la finanziaria incalza. Eppure l'iniziativa, se nazionale deve essere, dovrebbe partire dal nostro paese, che ha sin dall'inizio il privilegio e il vanto di essere coordinatore dell'impresa, attraverso l’Iss stesso e l'istituto dei tumori di Milano. Per gli ultimi due anni se ne sono fatti carico alcuni privati, soprattutto la Fondazione San Paolo, ma domani chissa’. A pensare male, c'e’ la tentazione di chiedersi se sia un caso che Eurocare resti in bolletta. Forse i dati rigorosi che fornisce danno fastidio a chi preferisce avere le mani libere per decidere secondo criteri di marketing, che nulla hanno a spartire con l'uso razionale delle risorse e con il miglioramento dei servizi. A pensare sempre male a volte si sopravvaluta la controparte. Tornati a casa, i responsabili dei registri tumori italiani si sono trovati un'altra grana: nuove norme sulla privacy renderanno di fatto impossibile il loro lavoro dall'inizio del 2004, se non succede un miracolo. _______________________________________________ la Repubblica 03-01-2004 23 INDIVIDUATO IL GENE DELL'ARTEROSCLEROSI Usa, possibilita’ di nuove cure ROMA-Trovato il gene che amplifica il rischio di arterosclerosi, la malattia cardiovascolare piu’ pericolosa, essendo una delle principali cause di ictus e di infarto. L'hanno scovato - riferisce la rivista «New England Journal of Medicine» - scienziati della Keck School of Medicine dell'Universita’ del Sud della California e della David Geffen School of Medicine presso l'Universita’ di Los Angeles. Ora si spera di usare questa informazione come base di un test genetico per stimare il rischio individuale dell’arterosclerosi e poi di realizzare nuove cure. _____________________________________________________ Libero 3 Gen. 04 LA RISONANZA MAGNETICA GUARISCE LA DEPRESSIONE ORE CONTATE PER IL MALE DEL SECOLO DOPO UNA SCOPERTA STATUNITENSE di ROBERTO MANZOCCO BELMONT - Soffrite di depressione? Allora sottoponetevi a uno scanning mediante risonanza magnetica. Stando infatti un gruppo di ricercatori americani la semplice esposizione a un campo magnetico generato mediante la tradizionale RMI potrebbe avere effetti decisamente positivi su una malattia psichica molto diffusa, e cioe’ il cosiddetto disturbo bipolare (una patologia per cui chi ne e’ affetto attraversa momenti di prostrazione psicologica alternati a periodi di forte iper-eccitazione). Ad affermarlo sono Michael Rohan e il suo team del McLean Hospital di Belmont (Massachusetts): gli scienziati hanno fatto questa scoperta in modo del tutto casuale, mentre stavano studiando l'azione di alcuni psicofarmaci su un gruppo di pazienti sofferenti di depressione. Ed e’ cosi che, mentre Rohan e colleghi stavano passando allo scanner il cervello di queste persone (per poter vedere in modo diretto l'azione di alcuni medicinali), si sono accorti che, subito dopo la conclusione di un'applicazione con la RMI, molti pazienti tendevano a sentirsi meglio psicologicamente, atteggiandosi anche in modo piu’ positivo. Incuriositi da questo inaspettato effetto collaterale, gli scienziati Usa hanno allora effettuato il seguente esperimento: Rohan e colleghi hanno un nutrito gruppo di persone composto sia da pazienti bipolari in cura con psicofarmaci, sia da persone malate ma mai trattate con tali medicine; tutti i soggetti sono stati sottoposti a una se rie di test mediante RMI. Risultato: il 77 per cento dei soggetti in cura con i farmaci ha dimostrato un netto miglioramento subito dopo pochi interventi con la RMI, mentre tra i pazienti non trattati con le medicine il responso positivo alla risonanza e’ stato addirittura del 100 per cento. Non e’ ancora chiaro il motivo per cui la RMI eserciti questo influsso benefico (anche se e’ probabile che i campi magnetici impiegati in questa procedura possano stimolare l'attivita’ cerebrale, contrastando quindi la depressione), e ora Rohan e’ intenzionato ad effettuare dei trial di piu’ ampio respiro. _____________________________________________________ Libero 9 gen. ’04 UN ECCEZIONALE INTERVENTO AL CERVELLO RESTITUISCE L'UDITO A DUE "SORDI NATI" ENTRO POCHI ANNI LA PATOLOGIA CONGENITA, FINORA INCURABILE, POTREBBE ESSERE DEBIII,ATA Chirurghi americani hanno innestato degli appositi sensori nel "tronco encefalico" delle pazienti prive di nervo acustico di LUIGI SPARTI !OS ANGELES - Due donne americane affette da sordita’ sono state recentemente sottoposte all'impianto di protesi acustiche collegate direttamente con il loro tronco encefalico: si tratta di un'operazione piuttosto ríschiosa, ma che potrebbe dare risultati molto superiori a quelli ottenibili con i tradizionali impianti cocleari. A effettuare l'intervento sono statiBob Shannon e il suo team dell'House Ear Institute di Los Angeles, e l'operazione in questione rappresenta il coronamento di ben quindici anni di ricerche in quest'ambito. In molti casi la sordita’ e’ causata dal fatto che le cellule nervose preposte alla percezione dei suoni (situate nella coclea, un organo che si trova nel nostro orecchio interno) non funzionano molto bene, e gli impianti cocleari tradizionali agiscono proprio bypassando questi neuroni e svolgendo cosi il loro lavoro; quando pero’ la coclea o il nervo acustico sono gravemente danneggiati tali protesi sono completamente inutili. L'unica soluzione sarebbe quindi quella di innestare gli impianti acustici direttamente nel tronco encefalico, (cioe’ quella parte del nostro cervello in cui convergono molti nervi fondamentali, come per l'appunto quelli uditivi), ma intervenire in questa zona comporta molti rischi: poiche’ infatti tale area processa stimoli sensoriali provenienti da tutto il corpo, danneggiarla involontariamente potrebbe avere conseguenze molto gravi anche su funzioni non connesse direttamente con l'udito. Dopo attenta riflessione Shannon e colleghi hanno voluto pero’ tentare ugualmente, realizzando per l'occasione degli speciali elettrodi strutturati in modo da danneggiare il meno possibile i neuroni con i quali sarebbero venuti in contatto. E, almeno da un punto di vista chirurgico, l'operazione ha avuto pieno successo, anche se per ora non ci sono ancora prove sufficienti per affermare con certezza che l'impianto realizzato dal team delI'House Ear Institute sia effettivamente in grado di restituire l'udito a coloro che l'hanno perso. Un'impresa coraggiosa quindi, ma che andava tentata: se Shannon dimostrera’ l'effettiva funzionalita’ dei suoi elettrodi, in futuro sara’ possibile restituire l’udito anche a coloro che, a causa di un tumore, di un grave trauma o di altri problemi di salute, hanno dovuto subire l’asportazione di tutto il nervo acustico. Ma l'esperimento di Shannon da’ una speranza anche a chi un apparato uditivo funzionale non l'ha mai posseduto a causa di malformazioni presenti fin dalla nascita. _____________________________________________________ Il Sole24Ore 7 gen. ’04 LA TERAPIA GENICA NON E’ PIU’ UN'UTOPIA Gia’ si lavora a farmaci che agiscono sui fattori responsabili delle patologie Gia’ si lavora a farmaci che agiscono sui fattori responsabili delle patologie Si inaugura oggi a Genova l'Istituto mediterraneo per_ l'infanzia promosso dalla Fondazione Gaslini Il pioniere europeo Alain Fischer ottimista dopo i primi interventi sul Dna umano per curare molte malattie GENOVA a Non si puo’ fermare la terapia genica, ma occorre valutarne le reali potenzialita’ prima di lasciarsi andare a promesse che non possono essere mantenute. E soprattutto, non si puo’ pensare alla correzione dei geni come terapia a se’ stante per la cura delle grandi patologie della nostra epoca, come i tumori, ma come "componente" di un cocktail curativo di cui fanno parte anche le altre armi a disposizione dei medici. E’ questo il punto di vista di Alain Fischer, dell'Hopital Necker di Parigi, famoso nel mondo scientifico perche’ ha effettuato con successo per primo al mondo la terapia genica in alcuni pazienti con gravi immunodeficienze. Fischer e’ uno degli ospiti scientifici presenti sulla nave Mistral ormeggiata a Genova per il Convegno di presentazione dell'Istituto mediterraneo per l'infanzia (Imi) in programma oggi e domani. L'Imi, che ha sede nel capoluogo ligure, avra’ il compito di creare un ponte scientifico e sociale tra le varie culture dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo (si veda l'articolo in basso). Secondo Fischer, che «Il Sole-24 Ore» ha intervistato in anteprima, «attualmente dobbiamo soprattutto mettere in corrispondenza i vari geni con le malattie da essi causate. Poi si potra’ fare un altro passo avanti: realizzare farmaci "causali" che agiscano non solo sui sintomi, ma sul fenomeno biologico che determina la patologia e che ne e’ quindi il primo responsabile». Non solo. Per il futuro prossimo ci sono speranze per la terapia cellulare che prevede la sostituzione delle cellule malate con cellule sane dello stesso individuo sviluppate in ,laboratorio, e che gia’ Fischer utilizza. Sono queste le due vie alternative complementari alla classica terapia genica, che rappresenta comunque il campo di interesse maggiore per Fischer, come dira’ lui stesso questa sera nella sua relazione. Professor Fischer, a che punto siamo con la terapia genica? Oggi esiste solo un gruppo di malattie caratterizzate da deficit di sviluppo dei linfociti T, peraltro molto raro, per il quale la terapia genica ha dimostrato di essere efficace. Questi deficit immunitari severi provocano la morte nel primo anno di vita nei piccoli colpiti, in assenza di trattamento, che peraltro puo’ essere tentato in pochi casi con il trapianto di midollo. Ma anche questo approccio presenta pesanti limiti, per cui e’ stato quasi "necessario" studiare una terapia genica. Noi abbiamo dimostrato l'efficacia di un trattamento genico in una specifica forma di immunodeficienza, utilizzando un retrovirus per trasportare all'interno delle cellule del midollo osseo dei malati il gene sano. Una cura simile, ma per un'altra malattia di questa famiglia di immunodeficienze, e’ stata effettuata a Milano. In ogni caso questo approccio e’ stato favorito dalle caratteristiche della malattia, che e’ causata dall'alterazione di un unico gene che quindi puo’ essere modificato con la terapia genica. Sulla base di questa esperienza si puo’ prospettare un trattamento simile per l'emofilia e altre malattie del midollo osseo. Quali sono le difficolta’ da superare? Per quanto riguarda la terapia geni;a dei deficit immunitari, cioe’ delle patologie che seguo direttamente, dobbiamo conservare nel tempo l'efficacia del trattamento. Dobbiamo quindi essere sicuri che immettendo la copia sana del gene difettoso riusciamo a restaurare la normale produzione dei linfociti T nel tempo, ma soprattutto che il retrovirus "infiltrato" non si posizioni in una zona sbagliata del Dna, inducendo un'espressione aberrante di un altro gene e, di conseguenza, la proliferazione cellulare patologica. Bisogna, quindi, impedire che il materiale genetico del virus, una volta inserito nel genoma delle cellule "trattate", eserciti un effetto negativo sui geni vicini. Esistono diversi metodi per ridurre questo rischio e ci stiamo lavorando. Per altre applicazioni della terapia genica, invece, la maggior difficolta’ e’ la definizione della cellula bersaglio su cui dobbiamo intervenire. Mi riferisco per esempio alle malattie del sistema nervoso, per le quali e’ molto complesso ipotizzare un'azione mirata di un vettore nei confronti di uno specifico tipo cellulare senza interferire con gli altri. Nei mesi scorsi c'e’ stato uno stop alle vostre ricerche in terapia genica , Per la comparsa di effetti collaterali gravi in alcuni pazienti. Pensate di riprendere a lavorare presto? Le sperimentazioni non si sono mai fermate. Per quanto riguarda gli studi clinici, due nostri pazienti hanno in effetti sviluppato una complicazione e quindi i nostri trial si sono fermati temporaneamente. Noi auspichiamo una ri1 presa delle indagini cliniche nel corso del 2004, non appena avremo raccolto ! tutte le informazioni necessarie per ritenere legittima la ripresa dei trattamenti. La ricerca in terapia genica e’ importante, come dimostra il fatto che altri Paesi come l'Italia e l'Inghilterra non hanno interrotto le loro ricerche. Che futuro individua per la terapia genica? Credo che arriveremo all'integrazione tra questa via terapeutica e le altre gia’ disponibili. L'esempio piu’ evidente di questa associazione e’ il cancro. In alcune forme tumorali si puo’ ipotizzare un cocktail con chirurgia, chemio e radioterapia, immunoterapia e trattamento genico, a patto che si dimostri l'efficacia di quest'ultimo. D'altro canto gia’ oggi noi associamo la terapia genica con quella cellulare, dal momento che dobbiamo purificare e coltivare in laboratorio cellule midollari dei malati durante la fase di "correzione" del gene malato. FEDERICO MERETA ______________________________________________ Corriere della Sera 3 gen. ’04 PARTI CESAREI, IL DOPPIO DEI LIMITI OMS L' Istituto superiore di sanita’: in Italia avviene cosi’ oltre il 30% dei parti, spesso la scelta e’ ingiustificata I dati di «Lancet» sulla mortalita’ in gravidanza: mezzo milione di donne ogni anno nel mondo De Bac Margherita ROMA - Lei si chiama Catherine Hamlin, ottant' anni, australiana. Il suo quieto sorriso non lascia immaginare di cosa sia stata capace questa donna, innamorata dell' Africa, caparbia nel volerne alleviare i problemi. Col marito ha realizzato un ospedale ad Addis Abeba dove vengono operate le donne vittime delle fistole ostetriche. Buchi che si aprono tra vescica e vagina durante manovre ostetriche maldestre, spesso guidate da mammane senza preparazione ne’ scrupoli. La sventurata non puo’ evitare di gocciolare urina per il resto della vita e cio’, in un ambiente retrogrado, le impone emarginazione, mortificazione, la cacciata di casa. I NUMERI - Nel centro della Hamlin, premiata quest' anno dalla Federazione mondiale ginecologi, vengono ricoverate migliaia di donne. Fortunate rispetto a tutte quelle che muoiono per complicazioni legate alla gravidanza. Almeno 500 mila all' anno, secondo la rivista Lancet, che nell' ultimo numero dedica a questo triste capitolo dell' enciclopedia femminile una serie di pagine pregne di dati. Il 99 per cento delle morti avvengono nei paesi in via di sviluppo, Asia e Africa in testa. Tra le cause piu’ frequenti emorragie (25%), infezioni (15%), aborti clandestini (13%), gestosi (12%) e difficolta’ di espulsione del bimbo (8%). Una realta’ difficile da accettare nel XXI secolo, inimmaginabile per il mondo occidentale, compresa l' Italia, dove la media si aggira tra le 3 e le 6 morti in gravidanza ogni 100 mila contro le 1.500 della Somalia. CESAREO - In Italia, ricorda Nicola Di Natale, del direttivo della Societa’ italiana di ginecologia e ostetricia, la mortalita’ in gravidanza e’ di 3 ogni 100 mila parti, dati Istat. «Ma e’ solo una stima, credo che bisognerebbe raddoppiare la media - aggiunge -, raccogliere informazioni attraverso le cartelle cliniche e’ difficile. La meta’ dei decessi sono dovuti a cattiva assistenza e potrebbero essere evitati». Le mamme muoiono per emorragia, gestosi e infezioni legate ad aborti volontari. A monte c' e’ un ritardo di diagnosi. Circa 600 mila i parti ogni anno, i tagli cesarei in perpetuo e spesso ingiustificato aumento, come viene sottolineato dall' indagine conoscitiva sul percorso nascita dell' Istituto Superiore di sanita’: «La percentuale e’ in crescita - scrivono gli autori - e si attesta su un valore superiore al 30%, molto piu’ elevato della media europea e della soglia del 10-15% indicata dall' Organizzazione mondiale della Sanita’». Il 90% delle pazienti hanno il bebe’ in ospedale, ma il 75% si affidano a medici privati. Di Natale completa il quadro non del tutto positivo: «Non sono scomparsi i parti a casa. E ancora troppe donne capitano in centri inadeguati, dove il numero annuo delle nascite e’ inferiore ai 500». ABORTO - Nello speciale di Lancet saltano all' occhio i dati sull' aborto procurato che ogni anno uccide circa 67 mila donne. Le interruzioni di gravidanza illegali costituiscono il 43% dei 46 milioni di aborti effettuati in tutto il mondo. Uno studio dell' universita’ di Londra alza il sipario invece sullo sconvolgente scenario della sterilizzazione forzata. In Peru’, tra il 1996 e il 2000, questa pratica e’ stata imposta a 250 mila mamme, nell' ambito di un programma di pianificazione familiare. Margherita De Bac IN ITALIA ASSISTENZA Il 99,6% delle donne in attesa di un figlio riceve assistenza nei tempi raccomandati: le morti sono 3 ogni 100 mila parti. La percentuale di nati prematuri si e’ stabilizzata intorno al 6% ECOGRAFIE Problematico e’ l' eccesso di prestazioni diagnostiche: solo il 15% delle donne effettua 3 ecografie, come raccomandato dal ministero, mentre il 50% si sottopone a 4-6 esami e il 30% a 7 o piu’ CESAREI La percentuale di parti cesarei in Italia e’ la piu’ alta d' Europa. Nel 1980 erano l' 11,2%, nel 2000 il 33,2%, con notevoli variazioni per area geografica: il 18,7% a Bolzano, il 53,4 in Campania ALTERNATIVE Le alternative al lettino sono la sedia ostetrica (8,6%), la posizione accovacciata (1,3), in acqua (0,6), sul fianco (0,2). Nel parto spontaneo, solo una donna su 4 decide lei la posizione MAMMA AMBRA E' nata ieri Jolanda ___________________________________________ La Stampa 7 gen. ’04 QUELLE SUBDOLE MOLECOLE CHE DISTURBANO GLI ORMONI SI CERCA DI FAR LUCE SUGLI «INTERFERENTI ENDOCRINI» CHE POSSONO ANCHE CAUSARE GRAVISSIME MALATTIE UN piccolo esercito di sostanze, eterogenee e ancora misteriose, attira l'attenzione del mondo della ricerca medica e della Sanita’. Parliamo degli «interferenti endocrini», chiamati talvolta anche «distruttori endocrini»: molecole che hanno la capacita’ di disturbare il funzionamento del sistema ormonale creando scompiglio nell'intero organismo. «Sono sostanze sfuggenti, la cui pericolosita’ e’ difficile da valutare perche’ dipende anche dall’individuo o perche’ spesso si manifesta quando piccole quantita’ di molecole diverse si trovano in una opportuna miscela, negli alimenti o nell’ambiente. Eppure alcuni effetti sono gia’ identificati: un aumento delle patologie dell'utero, in particolare endometriosi, ritardi nello sviluppo cognitivo dei bambini, alta frequenza di tumori al testicolo, infertilita’ e disturbi immunitari», spiega Alberto Mantovani, ricercatore dell'Istituto Superiore di Sanita’ e coordinatore del gruppo di lavoro sugli interferenti endocrini nell'ambito della Strategia Europea Ambiente e Salute, nonche’ coordinatore di un progetto del Ministero della Salute conclusosi alla fine del 2003. Gli interferenti endocrini agiscono alterando i meccanismi di produzione degli ormoni o sfruttando il fatto di possedere una struttura simile a quella di questi ultimi per prendere il loro posto. Il problema e’ che gli ormoni hanno un compito importantissimo: sono portatori di ordini e fanno si’ che i 100.000 miliardi di cellule che compongono il nostro corpo funzionino armoniosamente anziche’ come un'accozzaglia di individualiste. Dagli ormoni dipendono le reazioni alla fame, alla sete, alla paura, oltre che l'attrazione sessuale, ma essi governano anche lo sviluppo e la crescita. Basta che nel sangue ci sia una molecola di un ormone su un milione di molecole diverse per ottenere un qualche effetto. Mancano ancora prove definitive, ma l'azione degli interferenti endocrini sembra ripercuotersi soprattutto sul sistema immunitario, sul sistema nervoso centrale e sul sistema riproduttivo. E naturalmente gli effetti sono maggiori se l'esposizione avviene nel ventre materno o nell'infanzia. Chi sono esattamente questi subdoli nemici? In cima alla lista ci sono delle sostanze note e proibite da tempo, come il Ddt, i famigerati policlorobifenili (Pcb), le diossine. Poiche’ in passato ne e’ stato fatto largo uso, esse sono ancora abbondantemente disperse nell'ambiente. Poi ci sono alcuni pesticidi e antiparassitari utilizzati di norma in agricoltura e negli allevamenti, mentre in molti altri casi le molecole interferenti si nascondono in prodotti d'uso quotidiano. «I prodotti in commercio sono accuratamente controllati e nessuna delle sostanze che contengono supera la dose considerata sicura. Pero’, una volta nell'ambiente, molecole di provenienza diversa formano miscele dall'effetto imprevedibile» spiega Leopoldo Silvestroni, endocrinologo alla facolta’ di Medicina dell'Universita’ romana La Sapienza e coordinatore del tavolo "Inquinanti chimici ambientali e salute riproduttiva umana", istituito un anno fa dal Ministero della Salute e sul punto di produrre un documento che analizza la situazione in Italia. Certe volte non appena ci si e’ accorti del pericolo si e’ corsi ai ripari. E’ il caso delle pellicole da cucina in Pvc. «Questo materiale e’ innocuo ma duro. Per renderlo elastico, si aggiungevano sostanze chiamate ftalati fino al 50 per cento. Gli ftalati pero’ hanno una struttura molto simile a quella degli ormoni estrogeni e facilmente le cellule li scambiano per questi ultimi. E hanno anche la proprieta’ di sciogliersi lentamente nel grasso. Un bel pezzo di formaggio avvolto per un po' di tempo nella pellicola diveniva quindi una sorta di spugna per simil-estrogeni, con prevedibili conseguenze soprattutto sullo sviluppo del sistema riproduttivo dei bambini. Il problema e’ stato affrontato da una legge del 2000, che impone che il contenuto in ftalati non superi la soglia di sicurezza del 5 per cento. Cio’ nonostante molte pellicole recano ancora una avvertenza che dice di non metterle in contatto con grassi. Ftalati in dosi di sicurezza si trovano anche in ammorbidenti e giocattoli, mentre altre molecole dall’azione simile entrano nei detergenti. Il bisfenolo A, un altro simil- estrogeno, si trova invece in vernici antigraffio e colle. Il problema e’ sempre lo stesso: «Nel singolo prodotto si rispettano le dosi di sicurezza, ma poi tutto si accumula nell’ambiente e negli organismi», dice Silvestroni. Eppure un po' di contromisure potremmo prenderle anche verso questi nemici sfuggenti. La regola migliore e’ sempre usare il buonsenso. «La principale via con cui gli interferenti endocrini entrano nel nostro corpo resta quella alimentare, nutrendoci di piante o animali che li hanno assorbiti dall'ambiente - conclude Silvestroni -. Una dieta varia non ci espone sistematicamente a sostanze presenti solo in determinati cibi. Poi occorre cercare di utilizzare poche sostanze inquinanti e bisogna stare attenti ai prodotti di origine ignota: chi puo’ immaginare com’e’ la colla di certe scarpe che non segue i normali circuiti di commercio? E cosa c'e’ in certi cosmetici venduti per strada? Poi naturalmente occorre procedere con gli studi: l'obiettivo e’ prevenire disturbi come l'infertilita’, invece di doverli curare». ___________________________________________ La Stampa 7 gen. ’04 LE RUGHE? QUESTIONE DI MUSCOLI I MIOFIBROBLASTI SI CONTRAGGONO IN QUELLE AREE DEL DERMA CHE NEL VOLTO CONTRIBUISCONO ALLE ESPRESSIONI. NUOVO RITROVATO: ADENOXINA E MAGNESIO RECENTI ricerche di biologia molecolare hanno messo in luce un meccanismo relativo all’invecchiamento cutaneo, che viene definito «mio-invecchiamento» (il prefisso «mio» rivela un interessamento muscolare). I responsabili di questa alterazione cutanea sono i fibroblasti (le cellule del derma che producono le fibre elastiche e il collagene) e i miofibroblasti, cellule che hanno capacita’ contrattili, grazie a microfibrille presenti nel citoplasma. La capacita’ contrattile dei miofibroblasti si riscontra esclusivamente nelle aree del derma a stretto contatto con i muscoli (fronte, area tra le sopracciglia, zona naso- labiale, contorno degli occhi), proprio quelle in cui si formano piu’ facilmente le «rughe d’espressione». Quando i muscoli del viso si contraggono, viene infatti coinvolto il derma sovrastante, con successiva contrazione dei miofibroblasti. In eta’ giovanile, alla contrazione cellulare segue una completa decontrazione che accompagna quella muscolare. Con il passare degli anni i miofibroblasti rimangono contratti, rendendo sempre piu’ evidenti le rughe d’espressione. Alla formazione delle rughe concorre anche l’invecchiamento cutaneo provocato dai raggi ultravioletti (per eccessiva esposizione solare), quello provocato dalle alterazioni ormonali (perdita di densita’ del derma con rilassamento e secchezza della cute), quello provocato dall’eta’ (perdita del film idro-lipidico e alterazione dei melanociti che danno origine alle caratteristiche macchie senili). Oggi la dermatologia plastica ha puntato i fari sui miofibroblasti, perche’ si e’ visto che contengono filamenti di actina e miosina (strutture presenti anche nelle cellule muscolari) che, in seguito a specifici stimoli chimici, scorrono gli uni sugli altri, formando filamenti di actomiosina (piu’ corti dei precedenti) che sono i responsabili della contrazione della cellula. Affinche’ questo avvenga e’ necessario uno stimolo chimico dato da un enzima, la MLCK chinasi, attivato dalla concentrazione di calcio intracellulare. Quando il muscolo si rilassa entra in gioco un’altra sostanza (AMP ciclico o adenosinmonofosfato ciclico) che inattiva la MLCK. Grazie all’individuazione di queste reazioni biochimiche, i laboratori di ricerca Oreal-Vichy hanno potuto sviluppare un principio attivo (Adenoxina) che attiva la produzione di AMP ciclico (quindi riduzione della contrazione cellulare), e l’hanno associato a magnesio per bloccare l’afflusso degli ioni calcio nei miofibroblasti. Con questo mix di adenoxina-magnesio applicato per alcune settimane sulla fronte, tra le sopracciglia ai lati delle labbra, i ricercatori hanno verificato in test clinici una significativa diminuzione (circa un terzo) delle rughe provocate dal «mio-invecchiamento». Per attenuare le rughe d’espressione ormai consolidate, la medicina estetica ricorre anche alle infiltrazioni di dosaggi ridottissimi di tossina botulinica che blocca le contrazioni involontarie dei muscoli mimici. La tossina botulinica pero’ (si chiama cosi’ perche’ e’ prodotta dal terribile «Clostridium botulinum») deve essere maneggiata dallo specialista e prevede trattamenti limitati nel tempo. Il nuovo dermocosmetico invece viene applicato dal diretto interessato, senza particolari effetti collaterali. Renzo Pellati