LA MAGGIORANZA DEI RETTORI CONTESTA LA RIFORMA - ABOLIRE I CONCORSI E PENSARE A INCENTIVI - UNIVERSITA’, LA PROTESTA PARTE DA ROMA - PATTO TRA ATENEI E SINDACATO PER RILANCIARE LA RICERCA IN SARDEGNA - SINDACATO E UNIVERSITA’ INSIEME PER LO SVILUPPO - L'UNIVERSITA’ CHE RESISTE - IL DOCENTE TRASVERSALE - ATENEI ALLA PROVA DEI CONTI - LA RICERCA LIBERA, NON LIBERISTA - UNIVERSITA’, E’ L’ORA DEL PROFESSOR CO COCÓ - ORA DECOLLA LA LAUREA SPECIALISTICA IN SCIENZE DELL’AMMINISTRAZIONE – ROMA TRE CAMBIA ROTTA: CROLLANO LE MATRICOLE - BLAIR SUPERA. L'ESAME DELL'UNIVERSITA’ - ================================================= CAMBIAMENTO E AGILITA’ NON ABITANO ALLA ASL - POLICLINICO, TOCCA AL CONSIGLIO – NELL’ISOLA UN REGISTRO REGIONALE DEI TUMORI - LA DURA REALTA’ DELLA SANITA’ SARDA - APPROVATA IN COMMISSIONE LA TERZA AZIENDA SANITARIA - BROTZU: 14 ANNI E SENZA UN NUOVO CUORE LA SUA VITA E’ AGLI SGOCCIOLI - PIU’ CAMICI ROSA - IL BAMBINO-FARMACO - COSI IL CERVELLO IMPARA A CAMMINARE - BIOTECNOLOGIE SOLO PER LE UNIVERSITA’ - UN CASO DI TUMORE SU DUE NASCE DA UNA DIETA SBAGLIATA - L'ENDOSCOPIA? ORA SI INGOIA - OSTEOPOROSI, I FRATTALI SEGNALANO QUANDO C'E’ IL RISCHIO DI ROTTURA - ECOGRAFI D’ULTIMA GENERAZIONE - VACCINARSI CONTRO LA COCAINA? ORA SI PUO’ – TUMORE AL POLMONE C’E’ CHI E’ PREDISPOSTO - DUE MARCATORI GENETICI PER LA LEBBRA - ================================================= ____________________________________________ Il Sole24Ore 30 gen. ’04 LA MAGGIORANZA DEI RETTORI CONTESTA LA RIFORMA La maggioranza dei rettori contesta la riforma del ministro Letizia Moratti sullo stato giuridico e il reclutamento dei professori universitari. Il cambiamento proposto dal governo e’ radicale. Scompaiono, per esempio, i ricercatori a tempo indeterminato; si chiude con le manfrine dei concorsi locali e si prevedono commissioni nazionali; le ore annue che ciascun prof deve dedicare alla didattica passano da 60 a 120, con l'introduzione di una quota variabile dello stipendio. Fin qui la riforma. Tutte le obiezioni dei rettori sono possibili, e perfino comprensibili, considerando gli interessi in gioco. Avvelenati, e’ bene ricordarlo, da una cronica carenza di finanziamenti che il mondo accademico considera il male assoluto dell'universita’ italiana. C'e’ pero’ un punto di attacco alla riforma sul quale i rettori, nonostante il loro prestigio, fanno il gioco delle tre carte. «E molto grave che un tema cosi importante per l'universita’ sia stato affrontato dal governo senza un vasto confronto con le comunita’ accademiche» protesta Piero Tosi, presidente della Conferenza nazionale dei rettori. Ma che cosa significa «senza un vasto confronto»? Nulla, se si pensa che il ministero sta discutendo da almeno un anno questa legge con le comunita’ accademiche. Soltanto con i rettori ci sono state sei assemblee pubbliche, oltre ai vari incontri privati con il ministro: il professor Tosi ha fatto con la signora Moratti piu’ incontri di lavoro di qualsiasi direttore del ministero. Infine, la legge e’ passata per il giudizio, favorevole, di una commissione, voluta dal ministero, presieduta da un rettore (il professor Adriano De Maio) e formata da altri autorevoli colleghi, capi di universita’. Forse i rettori contestatori, quando parlano del «vasto confronto», si riferiscono . a un metodo molto consolidato nell'Italia delle corporazioni: di riforme si discute, ma non si fanno. A meno che un ministro non decida di scriverle sotto dettatura della categoria interessata. Piero Tosi, presidente della conferenza rettori. ____________________________________________ Il Sole24Ore 28 gen. ’04 ABOLIRE I CONCORSI E PENSARE A INCENTIVI Parla Alesina /Capo Dipartimento ad Harvard DAL NOSTRO INVIATO BOSTON a Da Alberto Alesina, capo del Dipartimento di economia all'Universita’ di Harvard, uno dei piu’ celebrati degli Stati Uniti, ci si potrebbe attendere, nella ricerca di una spiegazione sulle insufficienze del sistema universitario italiano e delle scelte da compiere per trattenere gli economisti piu’ brillanti, un elogio del sistema americano. E lo fa. Ma sottolinea anche che non c'e’ neppure bisogno di guardare cosi lontano, bast,A seguire l'esempio di Barcellona. «II mio ex collega di Harvard, Andreu Mas-Colell - e’ rientrato in Spagna, dove ci sono molti dei problemi che affliggono l'universita’ italiana e, dal nulla, con il sostegno del Governo della Catalogna, ha creato un'universita’, che e’ a1 di fuori del sistema, funziona come il modello americano e nel giro di poco tempo ha saputo attrarre molti bravissimi economisti. Italiani compresi». Alesina e’ per le soluzioni radicali a problemi che ritiene intrattabili anche nelle universita’ italiane che si considerano nel novero delle migliori. II suo discorso apertamente critico all'inaugurazione dell'attuale anno accademico in Bocconi e’ andato di traverso anche a molti dei suoi ex professori. «Alla fine - ricorda - le uniche congratulazioni senza riserve mele ha fatte Mario Monti». Sulle necessita’ di riforma del sistema italiano e la fuga dei cervelli, l'economista di Harvard ha le idee chiare. «In Italia il sistema delle assunzioni - sostiene - e’ lentissimo. Negli Stati Uniti i migliori studenti hanno un posto ancor prima di finire i1 Phd. In Italia andrebbero aboliti i concorsi e le idoneita’. Ogni universita’ dovrebbe essere libera di assumere chi vuole. Lo stesso discorso vale per la progressione di carriera: Guido Tabellini, premiato come il miglior economista europeo sotto i 45 anni, ci ha messo 5-6 anni ad arrivare in Bocconi». A 45 anni, Alesima e’ stato nominato preside a Harvard. L'altro punto dolente e’ quello degli incentivi. «Ci vogliono salari differenziati - sostiene Alesina, la cui produzione scientifica e’ torrenziale - che premino la produttivita’ sia nella ricerca sia nell'insegnamento. Non e’ possibile che un professore con zero pubblicazioni riceva lo stesso trattamento di uno che sta per vincere il premio Nobel». Un diverso finanziamento dell'universita’ (alla quale peraltro, secondo Alesina, in Italia non mancano i fondi, se comparata con altri sistemi europei) rappresenterebbe un altro passo avanti verso il mercato e la selezione delle scuole "vincenti" nell'attrarre i migliori talenti fra gli studenti e fra i professori. «Il finanziamento - sostiene Alesina - andrebbe spostato dal contribuente all'utente e al fundraising esterno. Questo determinerebbe un utente che "vota con il portafoglio" e cosi la competizione entrerebbe in azione. E’ populista pensare che tutte le universita’ possano produrre la stessa qualita’, sarebbe meglio invece concentrare la ricerca di eccellenza su uno-due centri». E, per far questo, il gradualismo, secondo Alesina, non funziona. «Per creare un Dipartimento di economia di eccellenza - afferma - per fare il vero salto di qualita’ che porti una facolta’ italiana al livello di quelle americane, non dico le primissime, ma quelle della cerchia immediatamente successiva, o anche di quelle europee di punta, si dovrebbero poter fare dieci offerte tutte insieme a dei bravi economisti. Anche all'estero, anche agli italiani all'estero. Una Bocconi deve essere in grado di fare un'offerta che alletti l'economista che riceve altre offerte da posti come Pompeu Fabra o la London School of Economics. Ma questo, almeno finche’ ci saranno i concorsi e finche’ i concorsi continueranno a favorire gli interni, non e’ possibile». A.ME. ____________________________________________ Il Messaggero 29 gen. ’04 UNIVERSITA’, LA PROTESTA PARTE DA ROMA I docenti della “Sapienza”: sciopero e occupazione del Rettorato di LUIGI PASQUINELLI ROMA I professori universitari hanno deciso di dare una lezione al ministro Moratti. La riforma dello stato giuridico e dei meccanismi di reclutamento dei docenti non piace ai diretti interessati che sono 57 mila persone di cui 20 mila ricercatori. I cattedratici della Sapienza, che stanno diventando il traino della protesta nazionale, hanno definito un calendario di agitazioni: il 5 febbraio non terranno lezione, garantiranno solo gli esami, e occuperanno simbolicamente il Rettorato. Nei prossimi giorni, nelle aule, spiegheranno agli studenti i motivi della loro preoccupazione. Aderiranno inoltre allo sciopero nazionale contro la riforma del sistema universitario indetto per il 17 febbraio dai sindacati confederali e autonomi. Lunedi’, sempre nella cittadella universitaria, un comitato di professori elaborera’ una proposta alternativa a quella del governo. Su un punto ministero e docenti sono d’accordo: l’universita’ cosi’ non va. Le divergenze riguardano i modi e le filosofie che stanno alla base dei cambiamenti. La controffensiva della Sapienza e’ partita ieri mattina nell’aula uno di scienze statistiche, presenti ricercatori, professori associati, ordinari, direttori di dipartimento, membri del consiglio d’amministrazione, del senato accademico, il prorettore (il numero due dell’ateneo). «Da vent’anni non vedevo una simile mobilitazione», commenta l’ordinario di Ingegneria Francesco Gallerano. Roma Uno e’ la piu’ grande universita’ europea e tra le mura di Statistica si respira aria di riscatto. «Torniamo a essere un punto di riferimento nazionale», esorta il prorettore Gianni Orlandi: «Siamo aperti a ogni discussione ma dove li prendiamo i soldi per gli stipendi flessibili e i contratti a termine? Senza copertura finanziaria la riforma e’ un imbroglio. L’universita’ di qualita’ unisce ricerca e didattica. Eliminando la ricerca cosa diventera’ l’universita’ pubblica? Chi le fara’ le scuole di eccellenza? Le faranno i privati, con buona pace nostra». I ricercatori puntano a organizzare un coordinamento nazionale. Il Comitato Nazionale Universitario, sindacato dei prof, raccoglie firme su internet. «Finora dice il responsabile dell’iniziativa, Tristano Sapigni siamo a quota 1500. Invieremo l’appello alle forze politiche e alle massime autorita’ dello Stato». Della riforma Moratti agli universitari non piace la visione di fondo, ispirata a mobilita’ e flessibilita’, con massiccio ricorso ai contratti a termine. «La flessibilita’ va bene, ma non rispetto ai ricercatori, l’anello piu’ debole della catena. Applichiamola ai gradini alti della carriera», suggerisce il sociologo Mario Morcellini. Si cita la Costituzione che tutela il carattere pubblico dello studio, un diritto di tutti. L’antropologa Alessandra Ciattini precisa: «Non ci dobbiamo mobilitare contro il morattismo e il berlusconismo ma contro una certa idea dell’universita’ che appartiene anche al centrosinistra: pochi anni fa, quando governava, propose un disegno di legge con verifiche per i docenti ogni quattro anni e la possibilita’ di licenziamento». Si passano in rassegna i mali della riforma che riguardano il metodo (una legge delega piovuta dall’alto, senza discussione con gli interessati), l’accentramento di funzioni nelle mani del potere politico, l’abolizione dei ricercatori, l’equiparazione tra tempo definito e tempo pieno (che favorirebbe i professionisti meno coinvolti nell’ateneo). E, sullo sfondo, insistente e ricorrente, il vero, ineludibile guaio dell’universita’ italiana, la cronica carenza di fondi che rende evanescente ogni tentativo di riforma, o di controriforma. ____________________________________________ L’Unione Sarda 29 gen. ’04 UNIVERSITA’ UN PATTO TRA ATENEI E SINDACATO PER RILANCIARE LA RICERCA IN SARDEGNA Il tavolo a tre Universita’ di Cagliari-Universita’ di Sassari-Sindacato, per monitorare lo stato del sistema universitario sardo e avviare un progetto contro le emergenze e per il potenziamento dei due Atenei e delle loro articolazioni territoriali, e’ in dirittura d’arrivo. All’iniziativa partita dal segretario della Cisl sarda Mario Medde ha risposto positivamente il Rettore di Sassari, Alessandro Maida, e si attende ora la risposta di quello di Cagliari, Pasquale Mistretta. Nei giorni scorsi, i due rettori avevano lanciato un appello per sollecitare una maggiore attenzione all’attivita’ dei due Atenei, soprattutto da parte della Regione, ma anche dei privati. La Cisl ha subito risposto con la proposta di un incontro triangolare. «Non si tratta - spiega Mario Medde - di chiedere solo e semplicemente l’incremento della dotazione finanziaria da parte della Regione, ma di garantire l’avvio di specifiche politiche regionali per l’insegnamento e la ricerca universitaria. Oggi, infatti, si e’ di fronte unicamente ad interventi che non rispondono a direttrici chiare e che, soprattutto, non consentono un costante e sistematico rapporto delle universita’ con le imprese, con le istituzioni e con la societa’ in genere. Un deficit - aggiunge il segretario generale della Cisl - che va colmato da parte della Regione sul versante legislativo, finanziario e programmatico per far fronte all’obiettivo piu’ generale di una migliore competitivita’ dell’intero sistema Sardegna. Un ritardo che e’ urgente recuperare non solo rispetto alle altre realta’ regionali e nazionali, ma anche per i tempi dettati dal necessario protagonismo della Sardegna nel processo di coesione e integrazione europeo». Per la Cisl e’ urgente un confronto tra i diversi soggetti interessati e la Regione, per avviare l’attuazione delle leggi gia’ esistenti, per programmare gli interventi utili ad istituzionalizzare, nelle rispettive autonomie, gli indispensabili rapporti tra Universita’, Regione, sistema delle imprese, rappresentanze sociali. E’ interesse di tutti - rileva Medde - che le Universita’ sarde rafforzino la loro missione rivolta all’incremento del numero dei laureati sia rispetto alla popolazione universitaria (oggi al 4,1%), sia rispetto alla forza lavoro (8,2%). Inoltre, Medde auspica un maggiore contributo nella definizione e costruzione di un nuovo modello di sviluppo regionale, competitivo nella qualita’ delle risorse umane, nella produzione e nella locazione delle merci, nell’offerta dei servizi, nel lavoro che cambia, nelle interazioni tra ricerca e il sistema delle imprese. ____________________________________________ L’Unione Sarda 29 gen. ’04 SINDACATO E UNIVERSITA’ INSIEME PER LO SVILUPPO rettori raccolgono l’invito: si’ a un tavolo permanente L’Universita’ chiama, il sindacato risponde. «Apriamo un tavolo permanente con gli atenei e le forze sociali per studiare le emergenze, trovare soluzioni e iniziare a costruire un sistema unico regionale efficiente e competitivo». La proposta, fatta dal segretario generale della Cisl, Mario Medde, trova piu’ che favorevoli i rettori. Pronti a combattere la loro rivoluzione in nome della cultura, del lavoro, della ricerca all’avanguardia, dello sviluppo. E il numero uno dell’Universita’ di Cagliari, Pasquale Mistretta, rilancia: «I criteri con cui vengono assegnate le risorse devono essere completamente rivisti, proponiamo che ogni assessorato destini una quota di denaro alle facolta’, chiediamo un piu’ stretto legame tra universita’ e imprese per superare le difficolta’ dei neolaureati nel mercato del lavoro». Anche il magnifico di Sassari ha detto si’: il primo incontro operativo a tre sara’ fissato la settimana prossima. Il tavolo Universita’-sindacato, «per monitorare lo stato del sistema universitario sardo e avviare un progetto contro le emergenze e per il potenziamento dei due atenei e delle loro articolazioni territoriali, e’ quasi fatto», spiega Medde. «Nei giorni scorsi i rettori avevano lanciato un appello per sollecitare una maggiore attenzione, soprattutto da parte della Regione. Noi abbiamo voluto raccogliere la sfida, abbiamo inviato subito una lettera ai rettori per cominciare una riflessione che sfoci in una conferenza che coinvolga anche i privati». Dice Mistretta: «Sono d’accordo, il tavolo con il sindacato puo’ costituire uno strumento valido. L’Universita’, con i suoi docenti di economia, sociologia e pianificazione e’ in grado di conoscere perfettamente la realta’ regionale ma purtroppo non puo’ influire sulle scelte politiche. E’ qui che la funzione di Cgil, Cisl e Uil diventa cruciale». Le emergenze - aggiunge il rettore - sono la mancanza di lavoro per chi si laurea e l’insufficiente aiuto ai giovani che per capacita’ e intelligenza dovrebbero iscriversi ma non se lo possono permettere». C’e’ poi il problema dei fondi. Cagliari ha un bilancio lordo che ammonta a 300 milioni di euro, ma quello di gestione non raggiunge quota 50 milioni. Poco per far marciare una macchina con 2300 dipendenti tra docenti e non docenti e circa 35 mila iscritti. Mistretta, proprio il giorno in cui il premier britannico Tony Blair riesce a far passare una riforma che pesa parecchio sui portafogli degli studenti, non perde occasione di ribadire la vecchia querelle sulle tasse universitarie. «All’appello, tra Cagliari e Sassari, mancano 10 milioni di euro, cioe’ il divario tra quanto si paga in tutti gli atenei italiani e le tasse politiche che si pagano qui». La proposta per riempire il vuoto e’ semplice e provocatoria: «Ogni assessorato deve trovare nel suo bilancio una quota per finanziare gli atenei, soprattutto quelli che si interfacciano con le facolta’ o con aree specifiche di ricerca. Ad esempio: l’assessorato ai Lavori pubblici puo’ stanziare soldi per stage formativi nelle aziende degli studenti di Economia, quello all’Agricoltura puo’ provvedere ai giovani iscritti a Veterinaria e Agraria». Secondo il segretario della Cisl, «non si tratta di chiedere soltanto l’incremento della dotazione finanziaria da parte della Regione, ma di garantire l’avvio di specifiche politiche regionali per l’insegnamento e la ricerca universitaria. Oggi, infatti, siamo di fronte unicamente ad interventi che non rispondono a direttrici chiare e che, soprattutto, non consentono un costante e sistematico rapporto delle universita’ con le imprese, con le istituzioni e con la societa’ in genere. Un ritardo che e’ urgente recuperare non solo rispetto alle altre realta’ regionali e nazionali, ma anche per i tempi dettati dal necessario protagonismo della Sardegna nel processo di coesione e integrazione europeo». Ancora: le leggi regionali in vigore - secondo il sindacato - sono inadeguate. «L’istituzione di un fondo unico regionale sulla base di un piano predisposto da un Comitato paritetico Regione-Universita’, non ha avuto le ricadute utili a garantire un unitario progetto di rafforzamento del sistema universitario sardo», denuncia Medde. Insomma, bisogna lavorare alla «filiera formativa», far crescere il numero dei laureati e creare un nuovo modello in termini di qualita’ delle risorse umane, di produzione, di offerta di servizi, di lavoro che cambia, di interazioni con la ricerca e con il sistema delle imprese. (cr. co.) ____________________________________________ Il Manifesto 24 gen. ’04 L'UNIVERSITA’ CHE RESISTE RNRP-CONPAC* Sul Corriere della sera del 20 gennaio scorso Angelo Panebianco spiega che la riforma dello stato giuridico della docenza universitaria approvata dal governo rappresenta l'intervento che piu’ di ogni altro «condizionera’ il funzionamento del sistema di istruzione superiore» nei prossimi anni . Vorremmo rassicurarlo e rispondergli che nessuno ha dubbi in proposito: lo condizionera’ certamente in peggio, checche’ ne dica il piu’ diffuso quotidiano italiano. Panebianco critica l’odierno sistema di reclutamento localistico (si puo’ dargli torto?), ma plaude anche alla precarizzazione dei giovani ricercatori, che costituisce l'asse portante di un provvedimento irricevibile. Asse non unico: vi si aggiungono infatti le prebende per gli ordinari professionisti, la privatizzazione delle cattedre, la micropromozione ope legis di parte dei ricercatori e degli associati e il tentativo di controllare le commissioni nazionali per le idoneita’ di professore, rese anch'esse instabili per sei anni. Gia’ oggi un giovane ricercatore e’ tale fino a un'eta’ stagionata (quarant'anni). E fattivita’ didattica e’ assicurata da un esercito di dottorandi, tecnici, borsisti, assegnisti e docenti a contratto pagati con cifre miserabili, con tutto cio’ che questo comporta nelle scelte di vita e nella liberta’ di ricerca. E tuttavia Panebianco gioisce e consiglia al governo di aprire i cordoni della borsa, fingendo cecita’ su uno dei reali scopi della legge: il risparmio sui contratti, sulle pensioni, sullo stato sociale. Ben vengano dunque i soldi, e non solo per chi scrive (che non intende fare una battaglia corporativa), ma per tutta la struttura universitaria pubblica, ridotta in uno stato comatoso dall'impoverimento economico e intellettuale degli ultimi anni. Dubitiamo pero’ della generosita’ governativa. Perche’ non si puo’ e non si deve scambiare la qualita’ del lavoro di ricerca con un po' di soldi in piu’. E perche’ non e’ vero che la precarieta’ garantisce una migliore selezione, tanto piu’ se prolungata per dieci anni. Davvero occorre tanto tempo per capire se un giovane studioso sa fare ricerca o insegnare? E' cosi scarsa la fiducia nei confronti dei docenti? Lungi dall’essere una garanzia, il precariato costringe invece a rinunciare allo studio meditato e lungo; a elemosinare borse annuali e contrattini; crea una mentalita’ servile; spinge all'emigrazione intellettuale che tutti lamentano. Panebianco usa parole severe contro il molo dei ricercatori. Gli diciamo, e diciamo alla Moratti, un sonoro «no grazie». Non e’ questo che merita l'universita’ di una democrazia avanzata; non e’ questo che merita una generazione colpita dalla flessibilita’, dal taglio delle pensioni, dalla crisi. Nei giorni scorsi la Cnai ha espresso un parere assai negativo sul provvedimento; autorevoli professori sono intervenuti per criticare la legge; molte facolta’ hanno votato per il mantenimento del molo di ricercatore a tempo indeterminato. Salutiamo con soddisfazione ciascuna di queste posizioni. Ma invitiamo l'universita’ tutta a fare un passo in avanti: a manifestare chiaramente il proprio dissenso sul provvedimento governativo; a chiedere procedure di assunzione certe che sanino l'invecchiamento della classe docente. Come giovani precari, con alle spalle lunghi anni di dottorato, di ricerca e di didattica e come professori a contratto annunciamo, da subito, iniziative pubbliche per contestare la riforma e chiedere l'immediato ritiro. La Rete Nazionale Ricercatori Precari (Rnrp) e il Coordinamento Nazionale Professori a Contratto (Conpac) annunciano un'assemblea a «La Sapienza» di Roma per il 10 febbraio (Aula 6 di Lettere, ore 10.30); promuovono il blocco della didattica, (spesso retribuita 1.000 euro all'anno!); invitano gli studenti, il personale universitario, i docenti e tutti i ricercatori ad appoggiare in ogni sede le iniziative di protesta. * Rete Nazionale Ricercatori Precari e Coordinamento Nazionale dei Professori a Contratto ____________________________________________ Il Sole24Ore 30 gen. ’04 IL DOCENTE TRASVERSALE Protesta corporativa o difesa dei diritti? La sollevazione di una parte del mondo universitario contro il tentativo di Letizia Moratti di cambiare lo status dei professori era prevedibile. Il "partito trasversale" dei docenti si muove anche stavolta di fronte all'ennesimo tentativo di cambiare regole professionali che risalgono al 1980. Ogni proposta di modificare le norme -l’ultima, prima della Moratti, risale al ministro ds Luigi Berlinguer, ex rettore dell'ateneo di Siena - e’ stata affondata in Parlamento. Qualunque modello riformatore non e’ esente da difetti. Sorge pero’ il fondato sospetto che la categoria degli interessati respinga gli schemi innovativi a prescindere dai contenuti. Trasformando la questione in una polemica puramente politica contro il ministro pro tempore. II progetto Moratti sui professori universitari prevede il ritorno al concorso unico nazionale, dopo anni di gestione locale assai discutibile. Propone di legare una quota di retribuzione ad attivita’ speciali svolte dal docente nell'ateneo, una sorta di "premio al merito". Rafforza il collegamento tra universita’ e imprese e incentiva il ricorso a esperti provenienti dall'estero. Elimina inoltre la fascia dei ricercatori lasciando quelli attualmente in servizio in una specie di limbo. A questo proposito, sarebbe meglio garantire percorsi piu’ certi. La sollevazione in atto si muove spesso con toni e accenti che fanno pensare piu’ ai girotondi che non a critiche argomentate degne di illustri accademici. Lo schema di disegno di legge delega, non contrattato con la classe universitaria - come accadeva spesso in passato -, ha irritato una categoria abituata, forse troppo, a essere trattata con i guanti di velluto, senza peraltro dover rendere conto dei propri risultati se non attraverso meccanismi fittizi. Ed e’ noto all'interno del settore che la tanto decantata autonomia universitaria ha consentito anche di largheggiare fin troppo nelle spese di gestione. Le risorse certo non abbondano, ma quelle disponibili negli atenei sono state spesso usate con molta disinvoltura. Come ben sa il ministero dell'Economia. ____________________________________________ Il Sole24Ore 31 gen. ’04 ATENEI ALLA PROVA DEI CONTI UNIVERSITA’ La crisi finanziaria e operativa e’ stata affrontata dal Governo con interventi che possono cambiare gli equilibri dell'intero sistema I recenti provvedimenti sono forse troppo dirigisti, ma l'attuale struttura non e’ esente da colpe DI ALESSANDRO MONTI* L’universita’ italiana e’ attraversata da uno stato di crisi finanziaria e operativa. L'origine e’ riconducibile non tanto a patologie endogene, quanto all'operare di interventi esterni. Modifiche ricorrenti del quadro legislativo e ordinamentale, promosse da Esecutivi poco attenti alla complessita’ delle implicazioni e alla vulnerabilita’ della macchina sulla quale intervenivano, hanno finito per danneggiare la funzionalita’ del sistema di istruzione universitaria. Sui provvedimenti per fronteggiare la crisi, il Governo non ha una posizione unanime. Da un lato il ministro che, dopo una lunga fase di disattenzione, e’ disposto a concedere risorse previa valutazione piu’ stringente dei risultati. Dall'altro il ministro dell'Economia restio a ulteriori trasferimenti, convinto che la dirigenza degli atenei abbia dato prova di uso non oculato del denaro pubblico. La politica "lesinante" finora prevalsa non si limita a contenere la spesa. Si propone di liberare risorse per finanziare strutture organizzative nuove, meglio in sintonia con le scelte governative. Queste dovrebbero assumere una funzione trainante del sistema, sostituendo progressivamente le attuali universita’ ritenute per lo piu’ inefficienti e irrecuperabili. Gli strumenti utilizzati sono di tipo omissivo (mancata assunzione degli oneri degli automatismi stipendiali dei docenti decisi per legge, posti a carico degli atenei), coercitivo (requisiti per l'attivazione dei corsi di studio talmente rigidi da impedire l'avvio di molte iniziative e tradursi in risparmi di spesa), inibitorio (blocco delle assunzioni di personale, disposto dalle Finanziarie per il 2003 e il 2004, che interferisce sull'autonomia organizzativa degli atenei e peggiora il basso rapporto docenti/studenti). Rientrano in questa strategia recenti iniziative legislative di natura redistributiva, sia del Parlamento (legge 293/03 che attribuisce la qualifica di ente di ricerca non strumentale alla neo universita’ non statale San Pio V, con una dote annua di 1,5 milioni), sia del Governo (decreto-legge 269103 che crea la Fondazione "Istituto Italiano di Tecnologia" con una dote di 1.150 milioni fino al 2014 per attrarre ricercatori < sfornare innovazioni, senza troppa burocrazia). I prevedibili effetti d spiazzamento finanziario e operati vo si cumuleranno a danno dei Poli tecnici, specie quelli di Milano e di Torino, e delle facolta’ scientifiche i di ingegneria, con inevitabile impoverimento scientifico. La compressione ad appena un quinto (poi, si pressione del Capo dello Stato, a m terzo) dello stanziamento aggiunti vo richiesto dal ministro dell'Istruzione (un miliardo) per fronteggiando le esigenze funzionali di oltre 71 atenei, appare, al tempo stesso, cau sa e effetto di questi provvedimenti L'annunciata creazione del "Fondo per la programmazione e il finanziamento del sistema universitario mostra l'intenzione del Governo di riassumere il controllo della destinazione d'impiego dei fondi statali. La proposta, per ora accantonata dopo la protesta dei Rettori, affida al ministro dell'Economia l'erogazione delle risorse previa verifica di compatibilita’ della spesa universitaria e dei suoi esiti con gli indirizzi del Dpef e la Finanziaria. Il Ddl delega sullo stato giuridico dei professori, approvato dal Consiglio dei ministri il 16 gennaio, che centralizza i meccanismi di reclutamento e precarizza i rapporti di lavoro dei docenti sul modello degli incarichi temporanei di insegnamento negativamente sperimentato fino all'inizio degli anni 80, si colloca in questa direzione. Una logica analoga muove la prospettata soppressione del Consiglio universitario nazionale e la trasformazione da organo elettivo di consultazione e proposta un ristretto comitato di consulenti di nomina ministeriale. L'obiettivo di promuovere il principio di prevalenza del parere tecnico-scientifico su quello politico, gia’ in parte realizzato con la legge 127/97, viene rilanciato. La contrarieta’ del mondo accademico ha indotto il Governo a rinviare l'approvazione del progetto, prorogando con decreti-legge il mandato del Cun. La forzata proroga fino ad aprile 2004 e il continuo rinvio delle elezioni - anomalia istituzionale gia’ praticata dai Governi in carica nel 1994-97 - hanno finiyo pero’ per sottrarre al Cun autorevolezza e rappresentativita’. Anche la decisione di puntare sui corsi a distanza e di istituire "universita’ telematiche" si basa sulla ritenuta incapacita’ degli atenei di adeguarsi tempestivamente alle esigenze formative del sistema produttivo e, in particolare, ai metodi e-learning. La Finanziaria 2003 e il decreto 17 aprile 2003 (criticati da Crui e Cun) prevedono che le nuove universita’ online possano rilasciare tutti i titoli di studio e, ai fini del loro accreditamento, conferiscono poteri speciali a un comitato di esperti ministeriali. Operando fuori della programmazione del sistema universitario e sostenuti da stanziamenti, tali organismi rischiano di emarginare le universita’ dai settori emergenti dell'Ict e favorirne il declino. E il rallentato andamento con il quale si procede all'istituzione del "Sistema nazionale di accreditamento dei corsi di studio" e all'individuazione di parametri omogenei di valutazione contribuisce all'ulteriore disarticolazione del sistema. Gli atenei vittime sacrificali, dunque, della strategia di risanamento della finanza pubblica del Governo? In realta’ l’academic governance, non e’ esente da responsabilita’. Nella gestione degli oltre 10 miliardi destinati all'istruzione universitaria, gli atenei statali raramente si sono serviti di utili strumenti aziendali quali pianificazione strategica, pro, getti di fattibilita’, controlli di gestione, verifica dei risultati. Il processo decisionale e’ scandito, invece, dalla presenza di organi monocratici affidati a docenti spesso senza alcuna ~ esperienza gestionale e di organi collegiali pletorici a competenze sovrapposte, la cui operativita’ e’ rallentata da estenuanti negoziazioni e adempimenti burocratici. Certo gli i "eccessi creativi" indotti dalla recente riforma dei corsi di laurea (3+2) voluta dal Centro-sinistra, ma non sconfessata dal Centro-destra, giustificano una piu’ selettiva allocazione delle risorse. Meno giustificati, invece, appaiono interventi neo-centralisti, nuovi enti e risparmi di spesa a danno delle esigenze minime di funzionamento di un sistema di istruzione che il mondo del lavoro e delle professioni ha finora mostrato di apprezzare. La crescita (dal 53 al 61%) della quota dei giovani che trovano un lavoro stabile a distanza ; di un anno dal conseguimento della laurea quadriennale (dal 52 al 79°Io dopo tre anni), accertata dal Consorzio Almalaurea negli anni 1997-2002, insieme al ridursi della mortalita’ studentesca e all'aumento dei laureati, testimoniano, infatti, il forte recupero di produttivita’ degli atenei seguito all'impegnativo riordino della didattica attuato nella prima meta’ degli anni 90. *Universita’ di Camerino. ____________________________________________ Il Sole24Ore 25 gen. ’04 UNIVERSITA’, E’ L’ORA DEL PROFESSOR CO COCÓ DI PIERO IGNAZI Mobili, flessibili, agili al balzo come bersaglieri, ecco i professori con le piume della riforma Moratti. Basta con il posto fisso sogghignava anni fa Massimo D Alema, via al prof coccoco’ riprende ora la signora Moratti. A vent'anni dalla riforma universitaria, finalmente, si mette mano allo stato giuridico dei professori. Era ora. Ma, a volte, e questo e’ il caso, di buone intenzioni e’ lastricata la via dell'inferno. I gironi nei quali i nuovi docenti si troveranno a vagare sono quelli del precariato, della subordinazione baronale, dell'indeterminatezza. Proprio quello che i migliori laureati si attendono dalla vita: una lunga, indefinita fase di parcheggio alle dipendenze di un professore in attesa di un concorso che per altri anni li manterra’ nell'incertezza prima dell'agognata cattedra. E’ vero che la nostra universita’ e’ asfittica, immobile, endogamica e provinciale. C'e’ disperato bisogno di immettere energie fresche, ma senza farle passare sotto lunghe e umilianti forche caudine, di attrarre i migliori studenti e docenti dall'estero, di favorire la mobilita’ territoriale per evitare il tasso abnorme di reclutamenti interni, visto che ormai si compie tutta la carriera accademica nello stesso dipartimento. Ma per far questo sono necessari corposi investimenti. Con un budget tagliato dell'8% non si va da nessuna parte. Se veramente si vuole la mobilita’ territoriale dei docenti, vanno create strutture residenziali adeguate, come nel resto del mondo (oppure la signora Moratti pensa che trasferirsi in una grande citta’ italiana senza nessun incentivo o supporto da parte della amministrazione universitaria sia una prospettiva allettante?). Se veramente si vogliono attrarre i migliori studenti, soprattutto da quelle aree che stanno dimostrando una grande attenzione al nostro Paese (Balcani, est Europa e Mediterraneo), vanno costruiti i campus, non li si puo’ abbandonare allo strozzinaggio degli affittacamere. , Se veramente si vogliono stimolare i giovani a intraprendere la carriera accademica - e a rimanere in Italia - vanno retribuiti dignitosamente, inseriti in carriere dalle scansioni ben definite, sottratti all'arbitrio dei baroni e garantiti da valutazioni in tempi certi, a scadenza fissa, e, soprattutto obiettive, slegate da nepotismi e scambi di favore (senza illudersi che tornare al concorso nazionale interrompa il flusso di telefonate, sollecitazioni, inviti, fino a convegni organizzati al solo scopo di gratificare i commissari dei concorsi...). Insomma, invece di inventarsi una Universita’ rampante in un mercato inesistente, il Ministro metta mano al portafoglio per creare le precondizioni minime dello sviluppo di una Universita’ aperta ed efficiente. Senza chiedere ai baldi giovani (docenti) salti nel cerchio di fuoco. ____________________________________________ L’Unita’ 31 gen. ’04 LA RICERCA LIBERA, NON LIBERISTA Marcello Cini La scienza e la tecnologia hanno un ruolo fondamentale nel forgiare la struttura e la cultura della societa’ contemporanea, sia direttamente nelle sue regioni ad al to tasso di sviluppo dove si concentrano il potere e la ricchezza, sia indirettamente in quelle periferiche che di quello sviluppo pagano costi pesanti in termini di spoliazione e di degrado. Tuttavia, nella cultura dominante, la scienza e la tecnologia sono considerate fattori neutri di sviluppo economico e di progresso sociale dotati di una dinamica autonoma, che non dipende dalle forze che determinano l'evoluzione della societa’ e dai conflitti che la attraversano. Per questo motivo esse non sono soggette ai vincoli e ai controlli che nei paesi democratici regolano le altre attivita’ sociali. Secondo questa convinzione compito degli scienziati e dei tecnologi sarebbe dunque quello di fornire ai produttori di beni e servizi e ai rappresentanti politici dei cittadini i risultati delle proprie ricerche e gli artefatti che ne possono derivare lasciando ad essi la responsabilita’ della loro utilizzazione secondo i criteri di utilita’ e di legittimita’ che ritengono piu’ opportuni, mentre compito della societa’ e delle sue istituzioni sarebbe soltanto di finanziare congruamente le attivita’ dei ricercatori lasciando al libero dibattito all'interno delle rispettive comunita’ e alle autonome determinazioni dei loro enti di autogoverno la valutazione e le decisioni sugli indirizzi da perseguire, gli ostacoli da affrontare e le relative priorita’. Questa convinzione e’ cosi radicata, anche nella cultura delle organizzazioni che rappresentano gli interessi e gli ideali delle classi subalterne, che la prospettiva di un controllo sociale della ricerca viene ancora considerata come una indebita violazione della sua autonomia, volta a subordinarne le attivita’ a pregiudizi ideologici o a interessi di parte, distorcendone e sterilizzandone le potenzialita’ creative e innovative. Non va dimenticato, per esempio, che meno di due anni fa una violenta campagna, ampiamente pubblicizzata dai mass media, veniva scatenata in nome della liberta’ della ricerca da alcuni esponenti della comunita’ scientifica contro gli ambientalisti, accusati di diffondere nell'opinione pubblica, con le loro denuncie dei pericoli che corre l'ecosistema terrestre, ingiustificate paure nonche’ diffidenza e ostilita’ nei confronti della scienza e della tecnologia. Tuttavia, gli esempi storici talvolta addotti a fondamento di questa posizione di principio - dal processo a Galileo fino alle perversioni della scienza nella Germania hitleriana e alle persecuzioni degli scienziati non allineati all'ideologia dominante nell'URSS di Stalin - che possono aver giustificato in passato sacrosante battaglie per la liberta’ della ricerca, non autorizzano a chiudere gli occhi di fronte all'evidenza dei pesanti condizionamenti che oggi - in condizioni radicalmente differenti sia sul piano politico e sociale che su quello delle capacita’ di dominio sulla natura raggiunte dalla scienza - vengono esercitati non solo sulla ricerca tecnologica, ma anche piu’ o meno direttamente su quella scientifica «pura», in nome dell'ideologia liberista, che pone il mercato a fondamento di tutte le funzioni della societa’ e adotta il denaro come unico metro di valutazione delle azioni umane. Nei problemi sociali che accompagnano questo vorticoso sviluppo si intrecciano infatti tassi di inquinamento e consulenze miliardarie, tecnologie sofisticate e quotazioni di borsa, posti di lavoro e cumuli di rifiuti, catastrofi ecologiche e guerre. Alla loro soluzione debbono concorrere dunque tutti gli attori sociali coinvolti, attraverso garanzie istituzionali un po’ piu’ certe e trasparenti di quella che dovrebbe derivare dalla fiducia nella buona fede e nella competenza professionale dei ricercatori. II mercato e la giustizia sociale A partire dalla meta’ dell'Ottocento - come si legge nelle prime righe del Capitale di Karl Marx - «la ricchezza della societa’ si presenta come una immane raccolta di merci». E questa immane raccolta si e’ moltiplicata da allora all'infinito in ogni remoto angolo del globo, come una marea che ha sommerso ogni cosa, crescendo nei minimi interstizi della vita individuale e collettiva di tutti noi. Anche se la produzione di merci materiali e’ tuttora la base dell'economia, essa si trova gia’, e ancor piu’ si trovera’ in futuro, di fronte ai limiti fisici derivanti dalla carrying capacity finita del pianeta. La produzione di merci immateriali (informazione, comunicazione multimediale, intrattenimento, conoscenza) appare invece potenzialmente illimitata. A partire dagli ultimi decenni del Novecento, dunque, i risultati delle attivita’ umane, qualunque sia la loro natura materiale o immateriale, e la loro motivazione immediata, vengono immessi sul mercato e valutati in base all'unica unita’ di misura del profitto. Da questo punto di vista diventa «naturale» attribuire le fattezze di merce a ogni componente, dal singolo gene al'intero organismo, della straordinaria varieta’ di forme viventi e a ogni manifestazione, dal singolo bit all'opera piu’ monumentale, delle infinite possibili espressioni del pensiero umano. Se non si affronta con urgenza questo problema ogni discorso sulla possibilita’ di assicurare alla societa’ globale del pianeta uno «sviluppo sostenibile» in grado di scongiurare le catastrofi ecologiche e i conflitti apocalittici che incombono all'orizzonte diventa solo un insieme di vuote parole. Persino Georg Soros, che certo non puo’ essere considerato un sovversivo afferma: «E’ pericoloso riporre eccessiva fiducia nel meccanismo del mercato. I mercati sono concepiti per facilitare il libero scambio delle merci e dei servizi tra chi lo desidera, ma non sono in grado, da soli, di provvedere a necessita’ collettive... Ne’, tantomeno, sono in grado di assicurare la giustizia sociale». L'ingegno e l'affare Un anello fondamentale della catena che lega la scienza al mercato e’ il brevetto. Come e’ noto, infatti, fino alla sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti del 1980, che ha concesso il primo brevetto su di un batterio geneticamente modificato, la materia vivente non poteva essere brevettata. Non solo. Si potevano brevettare solo le invenzioni (il risultato dell'ingegno), non le 'scoperte (cio’ che esiste in natura). Nemmeno gli elementi transuranici (per esempio il plutonio) che pure non esistono stabili in natura, sono mai stati brevettati, in quanto essi sono comunque il risultato di trasformazioni artificialmente indotte in elementi chimici naturali. A maggior ragione la regola sarebbe dovuta valere per gli organismi geneticamente modificati, dato che si tratta sempre di modificazioni artificiali di organismi naturali. Ma gli interessi in gioco erano troppo grossi, e la regola e’ stata soppressa. In genere si giustifica il brevetto con l'argomento della protezione della «proprieta’ intellettuale». Scrive tuttavia a questo proposito ancora George Soros: «L'istituzione di brevetti e diritti di proprieta’ intellettuale ha contribuito a trasformare l'attivita’ dell'ingegno in un affare, e naturalmente gli affari sono mossi dalla prospettiva del profitto. E’ lecito affermare che ci si e’ spinti troppo oltre. I brevetti servono a incoraggiare gli investimenti nella ricerca, ma quando scienza, cultura e arte sono dominate dalla ricerca del profitto, qualcosa va perduto». In realta’ gli interessi da tutelare sono assai piu’ consistenti e forti di quelli degli scienziati. Dietro la bandiera del riconoscimanto della Proprieta’ intellettuale ci sono ;li interessi delle multinazionali dei farmaci, dell'alimentazione, dell'energia e, non dimentichiamolo, degli armamenti. Una cosa infatti e’ ricompensare adeguatamente la creativita’ degli scienziati e altra cosa e’ riempire le tasche degli azionisti delle imprese per le quali lavorano. Nascondere la seconda dietro la prima e’ fuorviante e disonesto. Il secondo argomento che viene avanzato a favore dei brevetti e’ quello che la ricerca costa molto e che, senza di essi i privati non la farebbero. Questo puo’ anche essere vero, ma il corollario di questa verita’ e’ che i privati fanno soltanto quella ricerca che promette di dare presto e con ragionevole certezza i profitti sperati. Tuttavia, come abbiamo gia’ visto, questa soluzione rischia di non dare ai popoli della Terra gli strumenti per affrontare i drammatici problemi che incombono nel prossimo futuro. Basta citare in proposito un editoriale del British Medical Journal di poche settimane fa che scrive: «Negli ultimi 10 anni il gia’ enorme gap nelle condizioni economiche e nello stato di salute tra le nazioni ricche e quelle povere si e’ ancora allargato... Il 70% dei 40 milioni ammalati di Aids e’ concentrato nei paesi con istituzioni sanitarie malfunzionanti. La tubercolosi e’ riemersa con 9 milioni di nuovi casi e due milioni di morti all'anno. Tassi di mortalita’ simili provengono dalla malaria, e in tutti i casi aumenta l'emergenza di agenti patogeni resistenti ai farmaci... Meno del 10% della spesa in ricerca medica e’ devoluta a malattie responsabili de190% della morbilita’. Dei 1233 nuovi farmaci posti in commercio nel periodo 1975-99 solo 1_; sono stati introdotti per le malattie tropicali». Dunque non e’ dalle multinazionali dei farmaci e dell'alimentazione che possiamo attenderci la soluzione del problema della crescente divaricazione tra ricchi e poveri. Come ricorda Joseph Stiglitz, premio Nobel per l'economia, gia’ vicedirettore della Banca Mondiale dimessosi da questa carica per protesta contro la subordinazione della sua istituzione agli interessi di Washington: Malgrado le, reiterate promesse di ridurre la poverta’ fatte negli ultimi dieci anni del XX secolo il numero effettivo di persone che vivono in poverta’ e’ invece aumentato quasi di cento milioni mentre, allo stesso tempo, il reddito mondiale complessivo e’ cresciuto in rialta del 2,5 per cento annuo». Gli strumenti necessari potrebbero invece essere forniti da una ricerca scientifica e tecnologica libera di estendersi in tutte le direzioni all'interno dei vincoli imposti dai limiti fisici, economici e sociali di una politica sovranazionale orientata verso uno sviluppo sostenibie del pianeta. C'e’ allora un solo modo per divulgare la ricerca dagli «affari». Finanziarla pubblicamente e renderne pubblici i risultati. Scienza e tecnologia sono sottoposte oggi a pesanti condizionamenti Per assicurare alla societa’ globale del pianeta uno sviluppo sostenibile e giusto bisogna salvarle dagli affari finanziandole pubblicamente e rendendo pubblici i risultati ____________________________________________ L’Unione Sarda 26 gen. ’04 Universita’. ORA DECOLLA LA LAUREA SPECIALISTICA IN SCIENZE DELL’AMMINISTRAZIONE Corso scippato da Cagliari Nuoro al palo benche’ cinquecento iscritti frequentino il ciclo di studi triennale Delusione tra i vertici del consorzio. Il presidente Porru: «Scelta incomprensibile» Cinquecento iscritti, oltre cinquanta laureati. Numeri di gran rispetto che fanno del corso di laurea in scienze dell’amministrazione il fiore all’occhiello dell’universita’ nuorese. Nonostante tutto, l’ateneo di Cagliari ha preferito far decollare nel capoluogo sardo il corso di laurea specialistico in scienze dell’amministrazione pubblica, prosecuzione naturale del triennio nuorese. L’iniziativa lascia l’amaro in bocca al presidente del consorzio universitario Bachisio Porru. «Non si capisce la ratio di questa decisione», commenta prima di rilanciare una domanda insistente: «Che senso ha attivare un corso con cinque iscritti?». Interrogativi e perplessita’ restano forti anche perche’ tra i cinque iscritti al corso di Cagliari due sono nuoresi. E qui l’interesse per la laurea specialistica era gia’ forte al punto da prevedere un bacino d’utenza di una cinquantina di iscritti. Il corso nuorese e’ triennale, partito negli anni passati come scuola a fini speciali, diventata poi diploma universitario. Quindi il passaggio a corso di laurea di primo livello, legato alla facolta’ di scienze politiche dell’universita’ di Cagliari. Si parte con il numero chiuso. Invece piovono a Nuoro tante domande, richieste da boom che consigliano di cancellare il tetto massimo delle trenta iscrizioni. Si decide cosi’ di introdurre il numero aperto superando anche non poche resistenze. Il corso nuorese cresce fino a sbaragliare la concorrenza. Gli iscritti qui sono centinaia. Raggiungono la quota ragguardevole dei 468. E si registrano anche i primi 54 laureati. Il corso diventa un punto di riferimento a livello regionale. Intanto, il desiderio di crescere, benche’ non definito in un progetto, si proietta verso il corso specialistico. Sarebbe un passo naturale visto il radicamento in citta’ del percorso didattico triennale. Costituisce soprattutto un auspicio, oscurato, quasi a sorpresa, il 12 gennaio con l’avvio del corso quinquennale a Cagliari, legato alle facolta’ di giurisprudenza e scienze politiche. Decollo annunciato, ma non certo, almeno fino a quella data, che fa sbiancare di meraviglia i vertici dell’universita’ nuorese. «Qui molti erano interessati a frequentare il quarto e il quinto anno del corso Ñ dice Porru Ñ. Invece, improvvisamente si parte a Cagliari. Non c’e’ stata una grande informazione sull’iniziativa». La’ gli iscritti si contano sulle dita di una mano, ma l’ateneo cagliaritano non si scoraggia. Non si ferma neppure di fronte ai numeri di gran lunga superiori che sforna il corso nuorese. «Qui studia il venti per cento degli iscritti di tutta la facolta’ di scienze politiche di Cagliari. I numeri avrebbero consigliato una scelta che andava nella direzione nuorese. Sarebbe stata la prosecuzione naturale del nostro corso. Noi l’avremmo attesa, era un nostro auspicio. Invece si e’ deciso in un modo che non capiamo, ci interroghiamo sul perche’ di quella scelta». Porru e’ misurato, ma dalle sue parole traspare la delusione per un’iniziativa che mortifica l’universita’ nuorese e il suo territorio visto che, numeri alla mano, gli studenti di casa privilegiano il corso di scienze dell’amministrazione rispetto ad altre proposte. Il presidente del consorzio, tuttavia, non perde l’ottimismo. Guarda al futuro confidando in una correzione che rimetta in gioco l’universita’ di via Salaris. «Auspichiamo che per l’anno prossimo ci sia un ripensamento», dice esibendo una dose di fiducia. Per adesso, pero’, il corso quinquennale resta un sogno inappagato, intinto nella delusione. ____________________________________________ Il Corriere della Sera 30 gen. ’04 ROMA TRE CAMBIA ROTTA: CROLLANO LE MATRICOLE Il rettore Fabiani: «Meno studenti coi test d' ingresso. E pesano le difficolta’ economiche delle famiglie» Le iscrizioni al primo anno sono diminuite del 12,7 per cento, le altre del 5,3 «C' e’ anche il problema di una Riforma che ci spinge verso il degrado Capponi Alessandro Il crollo degli immatricolati (12,7 per cento in meno) «e’ stato voluto dall' ateneo», quello degli iscritti (5,3) e’ da imputare alle difficolta’ economiche del Paese che condizionano le famiglie, «costrette a pagare in ritardo»: il rettore Guido Fabiani analizza la situazione di Roma Tre, l' ateneo piu’ giovane tra quelli pubblici e realta’ sempre piu’ importante anche per gli spazi all' interno della citta’. Una crescita costante negli ultimi cinque anni (da 22 mila a 35 mila iscritti), interrotta bruscamente negli ultimi mesi: «L' universita’ ha adottato una linea precisa, non potevamo accettare che il numero degli studenti continuasse a salire. Cosi’ abbiamo fatto una scelta, il diritto al titolo: per conseguirlo, ogni ragazzo ha bisogno di avere a disposizione le strutture piu’ idonee». E con decisione del Senato Accademico, Roma Tre ha adottato una politica chiarissima: «Scoraggiare le iscrizioni». E’ per questo che i dati dell' anno accademico 2003/2004 sono stati accolti «con un sospiro di sollievo». Uno dei pochi, forse, visto «il clima che si vive nel mondo dell' universita’, e il favore fatto agli atenei privati, a danno di quelli pubblici, da questa riforma». Roma Tre, dunque, dopo anni di crescita repentina e costante, e’ stata costretta a scegliere il «ridimensionamento»: «Abbiamo inserito dei test iniziali, e i risultati si sono visti subito». Undicimila domande d' ingresso, quest' anno, che dopo la prova sono diventate settemila matricole. Certo, ci sono studenti che, preda dell' indecisione, si sottopongono a piu’ di un test, ma «il metodo scelto funziona». E cosi’, come immatricolazioni: rispetto all' anno precedente, Economia perde quasi il 18 per cento, Ingegneria il 26,7, Lettere e Filosofia il 12, Scienze della Formazione il 9, Scienze Politiche il 15,8, Giurisprudenza il 5,7. Insomma, escluse Architettura (piu’ 2 per cento) e Scienze Matematiche, fisiche e naturali (piu’ 3,6), perdono tutte. E se le matricole diminuiscono, gli iscritti certo non aumentano. Anzi: Architettura perde quasi il 18 per cento, Economia piu’ del 6, Ingegneria quasi l' 8, Lettere e filosofia il 3, Scienze della Formazione l' 8,7, Scienze Matematiche il 10, Scienze Politiche il 6,5. La flessione complessiva e’ del 5,3 per cento. «Ma per le iscrizioni il discorso e’ diverso. Gli studenti adesso si iscrivono in ritardo per la crisi economica che travolge il Paese. Anche perche’ possono continuare a frequentare le lezioni, intanto. E pagare poi, quando magari avranno trovato i soldi». Eppure questi dati, soprattutto quelli delle immatricolazioni, avrebbero fatto impallidire qualsiasi rettore, una volta: «Aumenteranno ancora un po' , e’ inevitabile, arriveremo ad ottomila nuovi studenti. Ma noi crediamo sia giusto crescere quando si ha lo spazio per farlo». Aule, in sintesi. «Arriveranno», garantisce Fabiani. I ventimila metri quadrati dell' ex Mattatoio (9 mila sono gia’ stati consegnati, investimento di 10 milioni di euro, tre anni di lavori), due nuovi edifici per Scienze Politiche e Ingegneria (tre padiglioni, l' ultimo sara’ pronto a marzo, 1.083 posti complessivi), in attesa, a meta’ 2005, della nuova sede (a Marconi/Ostiense) dove sara’ trasferita’ tutta Scienze Politiche. Alle difficolta’ note, se n' e’ aggiunta un' altra. «La Riforma». «Ci spingono verso il degrado. Spero che le forze politiche, nessuna esclusa, lo capiscano. Che il ruolo dei docenti andasse rivisto e’ innegabile, ma farlo cosi’ significa non conoscere questo mondo: non ci sono funzioni certe, risorse certe, criteri di selezione certi. Per quanto influenzata dalle logiche baronali, la selezione prima esisteva, esisteva un percorso chiaro. Adesso, inoltre, io paghero’ lo stipendio pieno a un docente che sara’ anche direttore di un istituto privato. Chi ci guadagna? L' universita’ pubblica?». E’ una domanda retorica, ovviamente. Alessandro Capponi ____________________________________________ Il Sole24Ore 28 gen. ’04 BLAIR SUPERA. L'ESAME DELL'UNIVERSITA’ Per una manciata di voti (316 a 311) i1 Parlamento approva il controverso piano che triplica le rette scolastiche Azione decisiva del «rivale» Gordon Brown, che convince moltî ribelli laburisti a sostenere il leader DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA a Confermando ancora una volta le proprie doti acrobatiche, Tony Blair e’ riuscito a far passare ieri sera alla Camera dei comuni, con una maggioranza di soli 5 voti, il progetto di riforma universitaria britannica, scongiurando la minaccia di andare in minoranza. Ore di incontri e trattative con i parlamentari ribelli, protrattesi fino a una manciata di minuti prima del voto, hanno permesso al primo ministro britannico di scongiurare una sconfitta umiliante, che avrebbe potuto segnare l'inizio della fine della carriera di leader politico. Il verdetto e’ stato 316 voti a favore e 311 contro. A imprimere una svolta determinante alle sorti di un voto, che pareva destinato a ferire a morte Blair, e’ stata la defezione di Nick Brown, ex- ministro dell'Agricoltura e uno degli architetti della rivolta. Brown, nella tarda mattinata, si e’ detto soddisfatto di avere strappato nuove concessioni, come una verifica della riforma il prossimo anno con possibilita’ di ritocchi nel caso si rivelasse troppo penalizzante per le fasce meno abbienti. La riforma introduce contributi personali degli studenti per finanziare gli studi fino a 3mila sterline all'anno, oggetto di un possibile prestito pluriennale ripagabile in 25 anni. I contributi sostituiscono una retta fissa di 1.125 sterline. Nick Brown e’ uomo molto legato al campo del cancelliere dello Scacchiere Gordon Brown. Poiche’ le concessioni ottenute dal leader ribelle non paiono cruciali, l'ipotesi che circolava ieri era che Gordon Brown abbia richiamato all'ordine l'amico e i suoi alleati. Salvando cosi per il rotto della cuffia il primo ministro, che ora si troverebbe in debito con l'eterno rivale, che punta alla sua successione. Date le estreme convulsioni che hanno attraversato ieri il partito di Governo, alcuni osservatori hanno fatto notare come i giochi si siano scomposti e ricomposti con una logica di bande. Dando un pericoloso segnale di scollamento. Considerando che il Governo gode sulla carta di una maggioranza di 161 voti, una vittoria che si conta sulle dita di una mano rivela quanto sofferto sia stato il voto di ieri e quanto simbolico. Da giorni ormai i motivi dello scontro non erano piu’ giustificabili con ragioni di principio radicate nel merito della riforma. La falange dei ribelli pareva ormai ispirata da una nuova missione: quella di mostrare a Blair quanto fosse vulnerabile, lanciandogli un avvertimento di stampo "mafioso" sui rischi che potrebbe correre in futuro se tentasse nuovamente di sfidare la Sinistra del partito su un terreno ostile. Il fatto che Brown, con un fischio, abbia provato di essere in grado di richiamare una muta inferocita a un passo dallo sbranare Blair, mostra in piena luce il potere del cancelliere. Blair ha abilmente cercato di ostentare in questi giorni fiducia nella vittoria, per quanto la ritenesse sofferta. Ieri mattina, pero’, prima della "conversione" di Nick Brown, a Downing Street c'era aria di rassegnazione. Blair non ha mai fatto mistero dell'importanza della riforma universitaria, che egli considera come il vessillo nell'opera di rigenerazione dei pubblici servizi, cuore della politica del Governo in questa legislatura. Una sconfitta avrebbe vanificato tutto, rendendo il premier poco credibile su tutti gli altri fronti in cui si sta battendo. Una sconfitta avrebbe provato che ogni futuro passo avrebbe trovato ostacoli sempre piu’ insormontabili da parte di un'ala del partito decisa a non collaborare. La vittoria di ieri e’ stata vista dagli osservatori come una forte boccata d'ossigeno per Blair. Ma il minimo vantaggio e’ da leggere allo stesso tempo come un avvertimento che un nucleo duro di 50-60 parlamentari irriducibili e’ orinai in grado di creare alleanze in grado di minacciarlo seriamente. MARCO NIADA ____________________________________________ Il Sole24Ore 26 gen. ’04 CAMBIAMENTO E AGILITA’ NON ABITANO ALLA ASL SANITA’ La diagnosi di una ricerca Universita’ Cattolica-A.T. Kearney che propone un coordinamento nazionale Vertici d'azienda assorbiti dalla gestione ordinaria Disattenzione per la ricerca di nuove forme di lavoro Leadership debole e troppo impastoiata nella quotidianeita’ per progettare il cambiamento; zero possibilita’ di incentivi mirati per il personale; scarso interesse per l’e-health; poca, pochissima voglia di partnership con altre strutture. Se queste sono le premesse, e’ inutile meravigliarsi se le aziende sanitarie non sanno fare le capriole al servizio della customer satisfaction. La diagnosi e’ presto fatta: le strutture sanitarie pubbliche non sono "agili". Sono le conclusioni dell'indagine «Agile Healthcare», realizzata su un campione di 80 strutture (tutte con oltre 400 posti letto, compresi tutti gli Irccs) da Walter Ricciardi e Amerigo Cicchetti dell'Universita’ Cattolica del Sacro Cuore e da Piero Masera e Andrea Ciravegna, della societa’ di consulenza A.T. Kearney. Obiettivo: rilevare il grado di "agilita’" del sistema sanitario, di fronte alla necessita’ di rispondere al cambiamento della domanda di prestazioni e di servizi da parte degli utenti. I risultati non sono incoraggianti: solo il 30% delle strutture sanitarie risponde ai canoni dell'agilita’ e solo il 6% si autodefinisce tale, anche se l’80°Io dichiara di essere «in cammino», a fronte di un 14% di altre aziende che sembra aver fatto dell'assenza di cambiamento la propria bandiera. Sei i fattori organizzativi considerati determinanti per l’agility di settore: leadership, cultura e valori, cambiamento organizzativo, e-health, customer servie’e e gestione della performance. Tra questi a incidere sulla classifica sono soprattutto i tasti dolenti della leadership e della gestione della performance. Ad assorbire le forze ai leader delle strutture e’ soprattutto la gestione ordinaria (63% delle risposte) indice anche di una scarsa inclinazione alla ricerca di innovazioni nelle modalita’ operative (74 per cento). A tarpare le ali a ipotetici miglioramenti sul fronte delle prestazioni sono soprattutto i sistemi di misurazione basati su indicatori quantitativi di corto respiro (77%) e le valutazioni di categoria prive di impatto sugli incentivi individuali (82 per cento). Viste le premesse a far subito le spese della «vision debole» impressa dalla leadership e’ il fattore organizzativo «cultura e valori»: meno di dieci aziende riconoscono nei propri dipendenti un senso d'appartenenza all'organizzazione nel suo complesso (nel resto del campione l'appartenenza e’ «verso il team»). Flessibilita’ a tasso zero anche sul fronte dell'e-health: le stesse aziende "agili" scontano l'atavica disattenzione per la ricerca di nuovi modelli di lavoro escludendo questo fattore dall'agenda delle priorita’. L' information technology sembra avere decisamente poco appeal: quasi il 50% del campione e’ d'accordo sulla necessita’ di migliorare la gestione dei sistemi informativi, ma ritiene poco importante investire nel sito web, nell'intranet aziendale e in genere nelle tecnologie che abilitano lo scambio di informazioni. A completare coerentemente il quadro di una sanita’ pubblica quanto meno anchilosata e’ lo scarso interesse verso qualsiasi forma di collaborazione con altri enti pubblici o privati. Ben il 70% del campione si dichiara convinto della necessita’ del cambiamento, ma al momento dell'azione si rifugia in restyling di facciata che trascurano elementi essenziali come la riduzione dei costi operativi (contemplata solo nel 23% delle azioni intraprese da Asl e ospedali), l'incremento del livello di soddisfazione dei dipendenti (19%), la riduzione della complessita’ dei processi di business (11 per cento). E par di capire che non e’ solo questione di risorse. Il settore parte con una marcia in meno anche quando viene invitato a selezionare gli interventi prioritari a fronte di un budget ipotetico: meno del 20% dei finanziamenti verrebbe indirizzato su iniziative volte all'esterno. Di qui la diagnosi di «Agile Healthcare». Le singole strutture non possono farcela da sole. Il cambiamento ha bisogno di una "cabina di regia" nazionale che capitalizzi le esperienze regionali ricavandone un modello integrato di riferimento. Un programma quasi impossibile da realizzare senza passare per il potenziamento della collaborazione pubblico-privato. ' SARA TODARO ____________________________________________ La Nuova Sardegna 27 gen. ’04 POLICLINICO, TOCCA AL CONSIGLIO La bozza del protocollo d’intesa e’ all’esame dei sindacati e comincia a raccogliere consensi E’ urgente che passi la creazione dell’azienda mista Il documento riesce a garantire il giusto equilibrio tra esigenze universitarie e ospedaliere CAGLIARI. Piace la bozza per il protocollo d’intesa dell’azienda mista Regione- Universita’, perno della riforma della facolta’ di Medicina e nuovo punto di riferimento per l’assistenza e la cura dei pazienti. Il documento elaborato dalla commissione nominata dall’assessore regionale alla sanita’ (l’ex e poi, ovviamente viste le appartenenze, confermata dal nuovo) e’ all’esame dei sindacati Cgil, Cisl e Uil e presto verra’ sottoposto ai rappresentanti di altre sigle del sindacalismo sanita’. C’e’ fiducia che, oltre ai suggerimenti, arrivino anche altri consensi. Sul documento, infatti, si dice che la commissione sia riuscita a raggiungere un buon punto di equilibrio tra le esigenze del mondo universitario e quelle dell’ambito ospedaliero. Non ci sarebbero sacrifici di una parte a totale favore dell’altra ma una costante ricerca del miglior risultato per ciascuna componente. Quasi un miracolo, viste le premesse che erano le pressioni universitarie per il mantenimento di alcune posizioni di favore e l’acquisto di nuove, e le ribellioni ufficiali e striscianti dell’apparato ospedaliero preoccupato di ritrovarsi con un protocollo che tappasse carriere e aspirazioni di miglioramento professionale con tante incombenze in piu’. Il riserbo accompagna il documento e trapelano pochi particolari. Sembra che siano garantite le carriere sia universitarie che ospedaliere (ci saranno direzioni espressioni degli uni e degli altri), il direttore generale sara’ di nomina regionale con parere universitario, il cosiddetto atto aziendale, vale a dire il documento che mette in moto il funzionamento della macchina sanitaria, sara’ fatto dal direttore generale che concertera’ con l’universita’ solo la parte di competenza di questo settore. Didattica e ricerca scientifica avranno tutto lo spazio che e’ indispensabile per mettere sul mercato giovani preparati, ci sara’ un punto di incontro tra personale universitario e personale ospedaliero per gli opportuni travasi di aggiornamento scientifico. Due mondi, insomma, in facile contrasto, dovrebbero avere trovato un percorso che favorira’ la convivenza e non i dissidi. Il problema successivo all’elaborazione del documento, adesso, diventano i tempi di approvazione. Ci sono passaggi che non possono essere saltati. Una volta ottenuto il consenso delle parti, il protocollo e’ pronto ma soltanto dal punto di vista tecnico. Ci vuole il passaggio politico che e’ quello del consiglio regionale. In teoria potrebbe essere un passaggio molto breve, basterebbe infatti inserire l’argomento all’ordine del giorno stralciando la questione policlinici (Cagliari e Sassari, s’intende) dalla proposta di riorganizzazione della rete ospedaliera in cui e’ contenuta. Una volta che il consiglio regionale approvasse la costituzione delle aziende miste (saranno due e avranno due protocolli con una parte generale identica e una invece differenziata perche’ i due capoluoghi hanno realta’ diverse), all’assessorato basterebbero pochi giorni per varare la stesura definitiva del protocollo. Ecco percio’ che il consiglio regionale assume adesso un ruolo chiave: se fa presto, entro il 2004 le facolta’ di Medicina di Cagliari e di Sassari avranno colmato un divario sempre piu’ grande con le facolta’ del resto d’Italia e d’Europa. Se invece il consiglio regionale lascera’ cadere l’argomento, come si teme, in vista delle elezioni, l’argomento slittera’ chissa’ quanto, di sicuro abbastanza per mettere in ponte anche l’anno accademico 2005-2006 perche’ pregiudichera’ la programmazione di corsi ecc. Nelle prossime settimane in consiglio regionale potrebbe approdare un appello al senso di responsabilita’. Non e’ detto che ci sia entusiasmo rispetto alla soluzione del problema perche’ se cambia lo scenario politico cambieranno ancora una volta uomini e centri di potere: magari si aspetta proprio questo. ____________________________________________ L’Unione Sarda 31 gen. ’04 NELL’ISOLA UN REGISTRO REGIONALE DEI TUMORI La Sardegna avra’ un registro tumori regionale, dopo quello provinciale di Sassari, e avra’ sede a Cagliari, nell’assessorato regionale della Sanita’. Il progetto coinvolge i diversi centri oncologici e consentira’ di avere a disposizione degli specialisti dati aggiornati sull’andamento delle varie neoplasie nelle singole realta’ locali, consentendo anche di programmare interventi di prevenzione, informazione e cura. E’ uno dei temi di cui si parlera’ oggi a Cagliari (hotel Caesar’s, ore 9.30) durante un corso di formazione per i medici di famiglia in programma a Cagliari e organizzato dall’associazione italiana oncologia (Aiom) e dalla Societa’ medicina generale (Simg). «Il progetto del registro e’ un’iniziativa importante - ha affermato il direttore di Oncologia medica dell’Universita’ di Cagliari, Bruno Massidda - soprattutto in Sardegna dove la scarsita’ di informazioni non ha consentito sinora un accurato controllo epidemiologico come in altre regioni. Anche da noi i tumori piu’ diffusi sono quelli della mammella nelle donne e del polmone negli uomini, seguiti dal tumore della prostata e del colon retto. Ma e’ anche vero che queste stime si basano su singole realta’ e su un numero limitato di casi. Il registro - ha aggiunto Massidda - sara’ fondamentale per organizzare la prevenzione e migliorare le cure e la qualita’ di vita dei nostri pazienti». ____________________________________________ L’Unione Sarda 31 gen. ’04 LA DURA REALTA’ DELLA SANITA’ SARDA Tra eccellenze ed emergenze Come “Tribunale per i diritti del malato” abbiamo un osservatorio molto ampio e necessariamente diverso da quello del manager del “Brotzu” Franco Meloni. Concordiamo con quanto egli scrive su L’Unione: negli «ultimi 10 anni la sanita’ ha fatto progressi da gigante» come investimenti tecnologici e impiantistici, adeguamento alle norme di sicurezza, rete di emergenza e 118; oltre che nelle prestazioni ad altissima specializzazione e negli importanti livelli professionali raggiunti in molti settori. Anche noi ne siamo giustamente orgogliosi. Tuttavia non possiamo dimenticare che purtroppo la quotidianita’ presenta situazioni difficili da accettare e non tutte hanno bisogno di nuovi apporti al bilancio per essere risolte. Le lunghe liste d’attesa potrebbero essere ridotte sensibilmente aprendo alle visite specialistiche ambulatoriali anche qualche reparto ospedaliero: per quanto concerne l'Oculistica, l’ultimo nostro controllo (effettuato il 26 gennaio) dava 18 maggio 2004 come prima data possibile per una visita nel Poliambulatorio di viale Trieste. Le code presso gli sportelli ticket potrebbero essere notevolemente ridotte dotando il servizio di una semplice mecchinetta “scacciacode” e soprattutto consentendo agli esenti di autocertificare il diritto all'esenzione direttamente presso la struttura che effettua la prestazione. Alcuni reparti sarebbero piu’ confortevoli se l’acqua calda arrivasse tutti i giorni; la comunicazione con il paziente sarebbe meno problematica se gli operatori dedicassero pochi minuti a spiegare che cosa e’ successo o che cosa si dovra’ fare, invece di limitarsi a parlare fra loro attorno al letto del paziente come spesso avviene nei nostri “ospedali civili”; se le lenzuola in certi reparti fossero cambiate regolarmente (non dopo dieci giorni!) e se i rifiuti non restassero abbandonati per ore nelle corsie. A tutt’oggi il cittadino ha difficolta’ ad ottenere le prestazioni cosidette “ordinarie”! Ottenere poi in tempi accettabili una visita specialistica con impegnativa (non intra moenia per intenderci) e’ quasi impossibile per quasi tutte le le branche specialistiche. Siamo sicuri che con una maggiore organizzazione si otterrebbe anche una razionalizzazione della spesa. Se da una parte siamo convinti che nella nostra Regione operino altissime professionalita’ con eccellenti risultati, constatiamo nel contempo che le grandi carenze organizzative ne mortificano, e a volte vanificano, agli occhi dell’utente, i risultati. Ci sentiamo perfettamente in sintonia con Daniela Pinna quando dice che «la sanita’ percepita» dal cittadino e’ ben diversa da quella che si evince dai dati, seppure autorevoli, del Ministero della Salute. Luisanna Cossu Giua Tribunale per i diritti del malato ____________________________________________ L’Unione Sarda 29 gen. ’04 APPROVATA IN COMMISSIONE LA TERZA AZIENDA SANITARIA La Sardegna potrebbe avere una nuova azienda sanitaria speciale che si aggiungera’ alle nove esistenti. La commissione Sanita’ del Consiglio regionale ha approvato all'unanimita’ la proposta di legge che istituisce l'azienda ospedaliera intitolata a "Fra Nicola da Gesturi". Il provvedimento - stando al provvedimento legislativo - prevede lo scorporo dalla Asl 8 di Cagliari, per farli confluire nella nuova azienda, degli ospedali : l’oncologico "Businco" il Microcitemico, per la cura e la ricerca delle talassemie e di altre malattie genetiche; il "Binaghi" per i disturbi polmonari con annesso centro trapianti. Quest'ultimo e’ stato inserito tra gli ospedali con cui si intende far nascere la nuova azienda sanitaria, tera nell’Isola, con un emendamento presentato dai consiglieri di maggioranza, tra i quali l'ex assessore alla Sanita’ Giorgio Oppi (Udc) e dal presidente dell'Ordine dei medici della Provincia di Cagliari Mondino Ibba (Sdi-Su). La pdl dovra’ essere approvata in aula assieme ad altre sulla ristrutturazione della rete ospedaliera e delle aziende sanitarie isolane tra cui figura l’ospedale civile di Sassari. Stando a indiscrezioni l’iter burocratico della legge potrebbe registrare una accelerazione per evitare la pausa elettorale. Ma ancora non ci sono posizioni ufficiali. Si’ della commissione regionale Sanita’ all’unione tra Businco, Microcitemico e Binaghi Da tre diversi ospedali una sola azienda sanitaria Proposta di legge per creare l’Asl Fra’ Nicola da Gesturi Come il Brotzu, piu’ grande del Brotzu, perche’ comprenderebbe tre diversi ospedali cittadini. Nascera’ (ma c’e’ ancora di mezzo un “forse”) una nuova azienda ospedaliera, intitolata a Fra’ Nicola da Gesturi, della quale faranno parte l’oncologico Businco, il Microcitemico e il Binaghi, che ora fanno parte dell’Asl 8. Lo prevede una proposta di legge approvata all’unanimita’ dalla commissione Sanita’ del Consiglio regionale, ma il provvedimento deve ancora passare all’esame dell’aula. Impossibile prevedere come finira’, ma il voto bipartisan della commissione sembra spianare la strada alla decima Azienda sanitaria locale (la seconda speciale) della Sardegna. «Dal punto di vista operativo sara’ un’Asl, una repubblica sanitaria autonoma», commenta Mondino Ibba (Sdi-Su), relatore della proposta e presidente dell’Ordine dei medici, «ma rispetto al Brotzu avra’ compiti in piu’: non soltanto l’assistenza ai pazienti, ma anche la ricerca scientifica. Dovra’ farla», aggiunge Ibba, «sulle malattie genetiche, su quelle rare come la sclerosi multipla, sulle patologie che richiedono il trapianto di midollo osseo e sul grande capitolo dei tumori, nel quale si sta affermando un legame con la genetica». Insomma, sarebbe un grande salto in avanti per l’Oncologico, il Microcitemico e il Binaghi, «perche’ questi tre ospedali», fa notare Mondino Ibba, «sono legati da un filo rosso di una funzione coordinata. Con l’autonomia potranno collaborare per l’assistenza e per la ricerca scientifica, creando un sistema di riferimento regionale e spero anche europeo, come abbiamo fatto col Microcitemico». I tre nosocomi, insomma, dovranno diventare ancora di piu’ un punto di riferimento per tutti i sardi, non soltanto per quelli del sud dell’Isola. Se nascera’, e questo dovra’ deciderlo il Consiglio regionale, sara’ un’Asl molto diversa dalle altre nove, anche se una certa parentela con l’Azienda sanitaria speciale del Brotzu c’e’. Quest’ultima ha un bilancio distinto, non e’ un calderone come succede nelle Asl che fanno un po’ tutto: ricoveri, prestazioni ambulatoriali, convenzioni con case di cura e laboratori, esami clinici e le altre mille funzioni che sono di loro competenza. Efisio Aste, direttore generale dell’Asl 8 (alla quale fanno capo attualmente i tre ospedali che dovrebbero confluire nell’azienda “Fra’ Nicola da Gesturi”) non accoglie la notizia come una doccia fredda, anzi: «Sono contentissimo, prima la realizzano e meglio sara’ per tutta l’assistenza sanitaria in Sardegna, per l’Asl 8 e per l’attivita’ dei tre ospedali». Dunque, la perdita di potere non lo spaventa: «Tutt’altro: l’oncologico Businco, il Microcitemico e il Binaghi sono vere aziende, che devono garantire le prestazioni a tutto il territorio non soltanto dell’azienda sanitaria locale, ma dell’intera regione». Secondo Efisio Aste, l’Asl deve avere compiti di programmazione e controllo: «Governarne una vasta come questa non da’ potere, ma soltanto grandi preoccupazioni. Abbiamo un bilancio di 650 milioni di euro, e’ una galassia che comprende sette ospedali, cioe’ Microcitemico, Businco, Binaghi, Marino, San Giovanni, SS. Trinita’ e San Marcellino di Muravera. Con l’autonomia», garantisce il direttore generale dell’Asl 8, «gli ospedali si gestiscono molto meglio: credete a me». Gli crede senz’altro, per esperienza fatta sul campo, Franco Meloni, che dell’unica azienda sanitaria speciale esistente in Sardegna (il Brotzu) e’ direttore generale. «Tutti gli ospedali dovrebbero essere scorporati dalle Asl: l’unica maniera per rendere gestibile un nosocomio e’ renderlo un’azienda autonoma controllando i costi. Il Brotzu», aggiunge Franco Meloni, «ha un suo fatturato, incassa una cifra certa per ogni prestazione e ricovero e con quei soldi va avanti nella propria attivita’. Basta con gli immensi calderoni delle Asl». Luigi Almiento ____________________________________________ L’Unione Sarda 31 gen. ’04 HA QUATTORDICI ANNI E SENZA UN NUOVO CUORE LA SUA VITA E’ AGLI SGOCCIOLI Sos internazione dal Centro trapianti del Brotzu: in fin di vita un ragazzino nuorese «Serve un cuore per un quattordicenne» . Oggi e’ all’ospedale Brotzu, attaccato a una macchina che potra’ farlo respirare a tempo determinato, in attesa che da qualche parte d’Italia o d’Europa arrivi la notizia di un donatore compatibile. L’appello e’ partito dal Dipartimento trapianti di Cagliari quattro giorni fa: serve urgentemente un cuore per un ragazzo colpito da una malattia che non lascia scampo, la cardiomiopatia dilatativa. Il cuore deve appartenere a una persona del peso di 45-50 chili, con gruppo sanguigno zero. Avant’ieri i medici si erano preparati a partire per la Grecia: una bambina e’ morta in un incidente stradale e i parenti hanno detto si’ all’espianto. Purtroppo si e’ scoperto che era troppo piccola - appena 12 chili. E’ triste ma non c’e’ via d’uscita, la morte di qualcuno puo’ regalare la resurrezione a chi e’ condannato. Come il paziente sardo. Angelo e’ di Nuoro. Una settimana fa e’ stato ricoverato al San Francesco per una brutta influenza. Aveva difficolta’ a respirare e a camminare e si e’ deciso di trasferirlo. Martedi’ scorso e’ arrivato alla divisione di cardiologia del Brotzu: gli e’ stata diagnosticata una «cardiomiopatia dilatativa con grave scompenso», dicono i medici. Non c’era alcuna possibilita’ di andare avanti con le normali terapie grazie alle quali i malati possono aspettare, con un briciolo di serenita’, il trapianto. Il giorno successivo dal Centro regionale dello scompenso cardiaco partiva un sos internazionale: il ragazzino si e’ ritrovato in cima alla lista delle emergenze, dove figurano una decina di nomi in tutta l’Isola. Da quel momento e’ iniziato un drammatico conto alla rovescia: le possibilita’ di salvezza possono arrivare entro poco piu’ di una settimana. Angelo ha bisogno del cuore di un coetaneo o di un adulto, maschio o femmina poco importa, 45-50 chilogrammi, gruppo zero. E poiche’ non puo’ essere trasportato, l’Azienda sanitaria ha acquistato un apparecchio sofisticatissimo e costosissimo dal Niguarda di Milano, una macchina che consente di tenerlo in vita ancora per un po’. Il cuore della bambina greca probabilmente ha gia’ ripreso a battere in un piccolo cardiopatico, per Angelo la corsa continua. Cristina Cossu ____________________________________________ Repubblica 29 gen. ’04 PIU’ CAMICI "ROSA" In aumento le dottoresse ma poche dirigono Il problema maggiore resta conciliare carriera e famiglia. Devono superare quel gap invisibile che le separa dai maschi DI ELVIRA NASELLI Neppure 65 anni fa, ricordano Elena Doni e Manuela Fugenzi nel bel libro "Il secolo delle donne, l’Italia del Novecento al femminile" (Laterza, 8,50 €), un noto medico studioso di endocrinologia, Nicola Pende, non aveva timore di sostenere che alle donne dovrebbero essere preclusi quegli studi per i quali «sappiamo che il cervello femminile non e’ sufficientemente preparato: come sono le carriere delle scienze, delle matematiche, della filosofia, dell’ingegneria, dell’agricoltura». Nessuna sorpresa, visto che ancora piu’ tardi, nel 1945, il famoso sindacalista Giuseppe Di Vittorio bollo’ come «demagogica» la richiesta delle lavoratrici di guadagnare quanto gli uomini. Oggi queste affermazioni fanno sorridere, ma e’ un sorriso venato di amarezza. Perche’ se e’ vero che la presenza femminile dentro certi mondi considerati maschili (ma da chi?) e’ aumentata, oggi le donne medico sono al 32 per cento con quasi 115 mila unita’, e’ altrettanto vero che hanno meno potere degli uomini: solo il 3 per cento e’ direttore generale. Inoltre impiegano piu’ tempo a fare carriera e devono dimostrare ogni giorno vittime di un pregiudizio non esplicito di essere non come i colleghi maschi, ma molto meglio. Piu’ affidabili, tenaci, disponibili, piu’ facilmente omologabili ad un modello di lavoro che e’ maschile, per superare quel gap invisibile che le separa dai colleghi. E rassegnate a dover pagare dei prezzi in termini personali. Come se non ci fosse altra strada. «E’ solo questione di tempo», ragiona Rita Spirito, responsabile dell’Unita’ Operativa di Chirurgia Vascolare al Centro Cardiologico Monzino di Milano e professore a contratto all’universita’ di Milano, «appena arrivera’ la grande ondata di donne, quelle che adesso sono in maggioranza all’universita’, questo mondo dovra’ necessariamente cambiare. E allora le donne che oggi devono lavorare al 120 per cento per essere allo stesso livello di un collega, potranno scendere al 105 e forse tra un po’ d’anni saremo finalmente pari. Oggi le donne sono costrette a faticare di piu’ e a compiere rinunce piu’ gravose. Per fare il chirurgo io ho lasciato Sassari, la mia citta’, mi sono sposata a 40 anni, non ho figli. Ovvio che se fai un figlio a 30 anni e stai fuori per un anno e’ difficile rientrare. Inoltre i ritmi di lavoro sono faticosi, io lavoro mediamente 1214 ore al giorno tra sala operatoria, pazienti, attivita’ di ricerca, lezioni di specializzazione. Con dei bambini sarebbe impossibile…». A meno che non si abbia la fortuna di avere un marito come quello della dottoressa Vincenzina Lucidi, 50 anni e responsabile dell’Unita’ Operativa Fibrosi Cistica all’ospedale pediatrico Bambin Gesu’ di Roma, dove lavora da 25 anni. «Se non ci fosse stato lui, che ha fatto molte rinunce per aiutare me», racconta, «non so come avrei fatto. E invece, con tre marmocchi piccoli, riuscivo anche a partecipare ai convegni all’estero. Ovvio che tutto questo e’ costato: in termini economici, perche’ per cinque anni il mio stipendio e’ andato a baby sitter e scuole private, e in termini personali perche’ sono stata una madre poco presente e ho rischiato che i miei figli potessero risentirne. E invece sono stata fortunata, sono adolescenti sereni, studiosi, persino un po’ secchioni. Ma un prezzo lo hanno pagato, in termini di ansia, perche’ la mia ricetta per non farli sentire estranei alla mia attivita’ e’ stata di raccontare che cosa faceva la mamma in ospedale». E spesso non erano cose allegre. «Oggi, comunque», conclude Lucidi, «non c’e’ una cultura che aiuti le donne a lavorare e ad avere una famiglia: non ci sono sostegni veri, come asili a lungo orario, e neppure economici, come in Francia». Inoltre, sottolinea Narcisa De Vincentis, dottoressa al reparto di Medicina Nucleare dell’ospedale Mazzini di Teramo, le donne che hanno voglia di arrivare vengono guardate male e bollate come carrieriste. Mentre per gli uomini e’ scontato che lo siano. «Io ho avuto due figli», racconta, «e ho fatto veramenti dei salti mortali tra famiglia, ospedale e anche, per un periodo, l’Ordine dei medici, che ho presieduto. Dopo 24 anni di lavoro, pero’, ho le funzioni di primario e non la qualifica. Per fortuna amo talmente il mio lavoro che non ci penso…». ____________________________________________ Il Foglio 27 gen. ’04 IL BAMBINO-FARMACO Mentre ci si mobilita contro la legge "crudele", nuovi dubbi , bioetici in arrivo dalla Francia Roma. "Nessuna decisione etica resiste all'argomentazione medica". Anche in casa nostra, i fautori della protesta e della disobbedienza organizzata contro la legge sulla procreazione assistita, possono consolarsi con quello che scrive, sul Monde, Jacques Testart, lo scienziato francese pioniere delle tecniche di riproduzione artificiale negli anni Ottanta, che delle stesse e’ oggi autorevole "critico". Testart si riferisce, per criticarla duramente, alla nuova regolamentazione francese delle ricerche sugli embrioni umani. Oggi autorizzate "a titolo eccezionale", per una durata di cinque anni, a condizione "che siano suscettibili di consentire dei progressi terapeutici superiori", cosi come e’ stato autorizzato, sempre in via sperimentale il ricorso al cosiddetto "be’be’-me’dicament" ("bambino-farmaco"). Significa, in sostanza, che i genitori di un bambino affetto da un male incurabile possono ricorrere a tecniche di procreazione assistita che consentano la selezione, attraverso la diagnosi genetica pre-impianto, di un embrione indenne dalla malattia. A1 momento della nascita di questo secondo figlio, sara’ possibile prelevare dal suo cordone ombelicale le cellule staminali per cercare di guarire il fratello malato. La lobby medica, scrive Testart, puo’ ben sostenere che "il be’be’me’dicament riguarda solo coppie suscettibili di trasmettere una grave patologia. Ma perche’ dovrebbe fermarsi, se altre esigenze d'impianto apparissero giustificate?". Gia’, perche’ fermarsi, se altri grandi, medi o piccoli ma significativi "difetti di fabbricazione" dovessero turbare il sogno del figlio perfetto, impedirne la realizzazione al massimo livello "qualitativo" possibile? Se l’eugenismo e’ la selezione dei migliori e l'eliminazione degli altri, tecniche come la diagnosi genetica pre-impianto consentono per la prima volta di scegliere dei "buoni" embrioni, di fabbricare bambini di buona qualita’. E' anche cosi, secondo Testart, che le lodevoli intenzioni dei genetisti lastricano la via che porta all'eugenetica. Con queste allarmate conclusioni concorda Bruno Dallapiccola, medico genetista alla Sapienza di Roma, che spiega al Foglio: "Il bambino-farmaco, programmato per essere d'aiuto a qualcun al tro, ricorda la clonazione terapeutica. In tutto il mondo l'Organizzazione mondiale ,della sanita’ vieta le ricerche sui minori e sugli adolescenti, se non sono fatte nel loro interesse e con un ritorno evidente per la loro salute. Qui, invece, s'iscrive d'ufficio al registro dei donatori un nuovo nato, venuto al mondo appositamente per aiutare un fratello, senza chiedere il suo parere". Non e’ d'accordo con questa interpretazione Claudia Mancina, docente di Etica dei diritti all'Universita’ di Roma: "Si parte da una premessa inesistente, quando si sostiene che la generazione naturale sia totalmente disinteressata e `innocente'. Anche nella generazione naturale e’ possibile individuare forme di strumentalizzazione analoghe a quelle che ci sembrano cosi terribili nella procreazione artificiale. Quanta gente fa un figlio per salvare un'eredita’ o un cognome? Allora perche’ non per aiutare la guarigione di un altro figlio? Alcune pratiche possono essere discutibili, ma una ripulsa generale di tutta la materia e’ una forma di terrorismo. I rischi di slittamento ci sono sempre, in qualunque attivita’ umana, e tutto questo c'invita a esercitare controllo, riflessione, prudenza, precauzione. Ma la paura degli esiti non puo’ portarci a chiudere le vie di sviluppo della scienza. E non mi sembra che nella ricerca genetica ci siano piu’ rischi rispetto a mille altre attivita’ umane". Produzione semi-industriale Scriveva nel 1987, su Nature, il grande biochimico autriaco Erwin Chargaff, che nella "produzione semi-industriale di bambini la domanda era meno travolgente del desiderio di parte degli scienziati di sperimentare le loro nuove tecniche". Oggi, dalle colonne del Monde gli fa eco Testart, che alla classe dei medici e dei ricercatori attribuisce gravi responsabilita’ in quelli che definisce "slittamenti" della bioetica: "L'etica e’ solubile nel tempo, nello spazio (lo fanno gli altri, perche’ non possiamo farlo noi?) e nella casistica (dall'eccezione in nome di un caso drammatico al suo allargamento). Potrebbe anche sembrare ridicolo ostinarsi a perseguire una legge francese di bioetica mentre tutte le nostre attivita’ riguardano progressivamente decisioni europee, e mentre il `turismo medicale' va per la maggiore. Ma non voglio prendere in giro nessuno, quando dico che questi sviluppi, limitati alla Francia e condannati al niente, siano malgrado tutto necessari all'esercizio permanente della responsabilita’ e all'apprendistato delfinesorabile". Meno pessimista di Testart, e disposta a credere che questa battaglia sia piu’ che simbolica, e’ invece Eugenia Roccella, che negli anni Settanta fu segretaria del Movimento di liberazione della donna: "Quello che oggi appare inarrestabile, la liceita’ di qualsiasi pratica in nome del progresso scientifico, e’ in realta’ sempre meno scontato. Ci sono esempi macroscopici di queste controtendenze. Pensiamo alla tutela della privacy, principio fino a poco tempo fa considerato inattaccabile e ormai sempre meno invocato". Nicoletta Yliacos ____________________________________________ Il Sole24Ore 30 gen. ’04 COSI IL CERVELLO IMPARA A CAMMINARE Emilio Bizzi, docente al Mit di Boston, guidera’ a Roma il centro voluto dal Nobel Montaicini - Suoi gli studi sulla mappa della memoria motoria A volte ritornano. E danno lustro alla ricerca italiana. E’ il caso di Emilio Bizzi, 70 anni, professore di neuroscienze al prestigioso Massachusetts institute of technology (Mit) di Boston che ha deciso di tornare in Italia per dirigire l’Ebri (European brain research institute) di Roma. Il neo-istituto, voluto dal premio Nobel Rita Levi di Montalcini, ha come obiettivo quello di studiare le basi biologiche, genetiche e neurofisiologiche delle funzioni superiori del cervello, con particolare attenzione ai meccanismi della memoria motoria. Settore a cui Bizzi ha dedicato la sua vita di ricercatore. Le neuroscienze sono infatti state al centro dei suoi studi fin da quando, appena laureato in Medicina (siamo nel 1958), da Roma si trasferisce a Pisa nei laboratori di Giuseppe Moruzzi, fisiologo di fama mondiale per le sue scoperte sulla regolazione del sistema sonno-veglia. E’ qui che Emilio Bizzi comincia a studiare i misteri del cervello; poi parte per gli Stati Uniti: frequenta per un anno i laboratori della Montalcini a Saint Louis e, successivamente, quelli dei National institutes of health (Nih) di Bethesda. I suoi lavori sui meccanismi generali di inibizione ed eccitazione a livello pre-sinaptico gli aprono infme le porte, nel 1969, del prestigioso Mit. «Il Mit e’ un posto straordinario per fare ricerca - dice Bizzi - perche’ esistono poche "pareti divisorie" tra i vari dipartimenti, e questo permette una stretta collaborazione multidisciplinare, indispensabile per il progresso della scienza». Ed e’ proprio questo tipo di organizzazione, oltre alla lunga esperienza nel campo delle neuroscienze, che Bizzi vuole portare in Italia. «Una scommessa che si puo’ vincere - continua Bizzi - dal momento che il programma e il team del nuovo centro romano vanno costruiti partendo da zero. E sempre nell'ottica della ricerca integrata abbiamo gia’ preso accordi anche con altri importanti istituti italiani, tra cui il team di proteomica dell'Universita’ romana di Tor Vergata, e stranieri, come il Max Plank di Tubinga». Gli obiettivi. Si tratta senza dubbio di un progetto all'avanguardia che ha come bersaglio di studio il lobo frontale del cervello, sede delle attivita’ motorie e della working memory, dove si pianificano le sequenze temporali delle azioni, e come fine la comprensione del meccanismo delle malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer, la sclerosi a placche, ma anche l’ictus. «La speranza - sottolinea Bizzi - e’ che capendo i geni che sono espressi e i processi biochimici coinvolti in questi disturbi saremo presto in grado di attivare e accelerare i meccanismi di relearning, cioe’ di apprendimento, e quindi di recupero funzionale». Ed e’ questa la linea di ricerca di Bizzi al Mit. «Da anni mi occupo del sistema senso motorio, cioe’ di come il cervello programma i movimenti volontari del corpo, e in parallelo quali sono i meccanismi che sottostanno all'apprendimento motorio. Studiando i primati ho potuto verificare che quando l'animale impara in laboratorio a eseguire nuovi movimenti, all'interno della corteccia del lobo frontale vengono "costruiti" nuovi circuiti cerebrali. Le cellule di questo circuito, apparentemente non correlate a quel movimento, si modificano gradualmente entrando a far parte della mappa della memoria motoria. In pratica, il nuovo movimento appreso induce nelle cellule una diversa frequenza di attivita’: i loro potenziali elettrici passano cioe’ da pochi a molti impulsi al secondo». Questo significa che le cellule cerebrali possono sempre imparare, basta innescare il circuito giusto. Non solo. L'interesse di Bizzi e’ stato rivolto negli ultimi 10 anni anche all'organizzazione in piccoli moduli del midollo spinale. Le unita’ motorie. «Ogni volta che noi compiamo un movimento - spiega il neuroscienziato - viene attivato un muscolo, il quale e’ suddiviso in tante piccole unita’, dette appunto unita’ motorie. II loro numero e’ molto vasto, migliaia per ogni muscolo, quindi il cervello deve operare una selezione per attivare proprio quel muscolo. Per facilitare la scelta, il sistema nervoso spinale e’ suddiviso in piccoli moduli, ciascuno dei quali attiva un determinato muscolo. L'operazione di selezione del cervello, quindi, si riduce a pochi moduli. Arrivare a comprendere questi "messaggi in codice" e’ fondamentale per capire come si possono attivare certe aree muscolari rispetto ad altre». E se pensiamo che buona parte delle malattie neurologiche, anche successive a traumi, implicano quasi sempre difficolta’ motorie, aumentare la conoscenza in questo campo e’ il primo passo per incominciare a realizzare terapie razionali. «Noi, in particolare, stiamo studiando l’ictus - continua Bizzi -. Il fatto di aver scoperto che i n diverse aree motorie della corteccia cerebrale ci sono cellule in grado di apprendere fa sperare in un potenziale recupero del movimento. Infatti, anche se una o due zone vengono colpite da ictus, ne esistono altre integre, che possono essere attivate. Da qui, abbiamo messo a punto c strategie di riabilitazione motoria, attraverso la stimolazione (feed- back) delle cellule presenti nelle aree non danneggiate da malattie o traumi». La terapia e’ virtuale. La tecnica si basa anche sulla realta’ virtuale. II paziente che ha difficolta’ a muovere un braccio i viene fatto sedere davanti a un computer i che riproduce virtualmente i suoi movimenti, come per esempio bere un bicchiere d'acqua. In questo modo, il paziente riceve anche un feed-back visivo che stimola le cellule del cervello a imparare il movimento; in piu’, si tratta di un sistema che, non annoiando, mantiene alta l'attenzione del malato. E ogni volta che il soggetto riesce a copiare un movimento guadagna punti sentendosi emotivamente invogliato a fare di piu’. «Adesso, grazie anche al Nih, stiamo sviluppando un sistema Internet attraverso cui il fisioterapista comanda a distanza la terapia riabilitativa, con un notevole vantaggio per il paziente, che difficilmente e’ in grado di muoversi per -seguire il trattamento in Istituto, e i suoi Familiari, costretti ad accompagnarlo regolarmente nel centro». Ecco perche’, insieme ad Antonio Cattaneo, della Sissa di Trieste, genetista che lo affianchera’ nella direzione dell'Ebri, Bizzi ha deciso di unire biologia molecolare, genetica ed elettrofisiologia computazionale. Insieme, questi tre pilastri della scienza rappresentano, secondo Bizzi, lo strumento piu’ potente per conoscere il sistema nervoso centrale. ____________________________________________ Italia Oggi 30 gen. ’04 BIOTECNOLOGIE SOLO PER LE UNIVERSITA’ DI PASQUALE SCORDINO Per il biotecnologo, l'unico camice disponibile e’ quello del ricercatore. Sono, infatti, le universita’ a impegnare la maggior parte delle giovani leve. Ma nonostante la lunga strada da percorrere e l'ambiente particolarmente selettivo, gli esperti delle biotecnologie mediche sono fortemente attaccati alla loro professione. Da una ricerca dell'Associazione nazionale biotecnologi italiani risulta che la maggioranza degli associati si riscriverebbe in biotecnologie e si ritiene soddisfatto della propria retribuzione. «II biotecnologo non e’ altro che un ricercatore», dice Fabio Grohovaz, coordinatore del corso di laurea in biotecnologie mediche del S. Raffaele di Milano, «la cui attivita’ viene svolta prevalentemente nei laboratori in cui si e’ formato. Non c'e’ sinergia tra la ricerca pubblica e la ricerca industriale come a Cambridge o Stanford. Nonostante le partnership non siano rare, probabilmente c'e’ alla base un reciproco disinteresse». Questo trova conferma nelle cifre. «L'Italia e’ uno dei fanal'ini di coda»,, continua Grohovaz, «basti pensare che gli investimenti per la ricerca biomedi ca sono l’1,03% del pil, contro l'oltre 2% della Germania o della Francia». Eppure i fronti su cui impegnare le energie non sono pochi: dall'implementazione di nuovi processi per riparare i tessuti allo sviluppo della farmacogenomica (cioe’ rendere piu’ efficace l'utilizzo dei farmaci, riducendone al minimo gli effetti collaterali). Una spiegazione alle alte barriere all'ingresso e’ data dall'alto livello di professionalita’ che il settore privato richiede. Le gemmazioni delle grandi case farmaceutiche, che costituiscono centri all'avanguardia per la ricerca e lo sviluppo, assorbono infatti solo profili fortemente specializzati. II conseguimento della laurea triennale, in sostanza, che risponde all'idea fortemente professionalizzante del nuovo ordinamento, per i biotecnologi serve solo ad accedere al bienno di studi successivo. E il processo formativo non termina con la specializzazione (il famoso +2). «Non abbiamo», conclude Grohovaz, «riscontri del nuovo corso di studi, in quanto e’ all'inizio. I pochi neolaureati del vecchio ordinamento, comunque, sono ancora in formazione attraverso dottorati, assegni di ricerca e borse di studio nei nostri laboratori». ____________________________________________ Il Sole24Ore 29 gen. ’04 UN CASO DI TUMORE SU DUE NASCE DA UNA DIETA SBAGLIATA L'iniziativa dell'Associazione italiana per la ricerca sull cancro: ecco come evitare 4 milioni di malati l'anno ELENA DUSI ROMA - Un caso di tumore su due puo’ essere imputato a una cattiva alimentazione. «Studi condotti negli Stati Uniti - dice Giuseppe Carruba dell'universita’ di Palermo - indicano che il 50-60 per cento dei tumori e’ legato a fattori nutrizionali e dietetici». Con il duplice obiettivo di finanziare la ricerca e promuovere un'alimentazione sana, l’Airc (Associazione italiana per la ricerca sul cancro) lancera’ sabato 31 gennaio l'iniziativa «Le arance della salute». Un milione e 400 mila chili di arance rosse regalate dalla Regione Sicilia, varieta’ Tarocco e Moro, saranno vendute in 2.500 piazze italiane e di fronte a molte scuole al prezzo di 8 euro per tre chili (informazioni al numero verde 840001001, uno scatto da tutta Italia, o sul sito www.airc.it). Il ricavato sara interamente speso in ricerca per la lotta contro il cancro. «L'Airc-sottolinea il presidente Alfio Noto- contribuisce con i suoi fondi al 40 % della ricerca nazionale. Il nostro comitato scientifico sta valutando in questi giorni le richieste di finanziamento. I progetti candidati sono il 30 %« in piu’ rispetto all'anno scorso». Grazie a frutta, verdura, pesce e cibi integrali-secondo una stima dell’Qms- si potrebbero evitare circa 4 milioni di casi di tumore all'anno. «Dal 1998 - sostiene Alberto Costa, direttore della Scuola europea di oncologia di Milano - l'incidenza dei tumori ha subito un'inversione di tendenza. Per la prima volta nei paesi occidentali le probabilita’ di morire sono in diminuzione. Merito dell'attenzione alla dieta e degli allarmi contro il fumo». Sono molti i meccanismi attraverso cui la dieta incide sul rischio cancro. «Alcuni cibi – spiega Franco Berrino> epidemiologo dell'Istituto nazionale tumori di Milano - sono in grado di danneggiare il Dna, altri di proteggerlo. E sappiamo da tempo che alla base del cancro ci sono alterazioni all'interno dei cromosomi di alcune cellule». La dieta puo’ influenzare l'attivita’ di alcuni geni, stimolare le difese immunitarie o la produzione di ormoni, puo’ indurre le cellule a dividersi e differenziarsi oppure a suicidarsi - a compiere la cosiddetta apoptosi -quando qualche danno si produce al loro interno. «Ciascuno di noi - dice Berrino - ha prima o poi una cellula tumorale. Ma il meccanismo dell'apoptosi di solito interviene in tempo per eliminarla. Il patrimonio principale di sostanze protettive, vitamine e antiossidanti, si trova in frutta e verdura. Nessuna pillola e’ finora riuscita a dimostrarsi altrettanto efficace». Per approfondire il rapporto fra dieta e rischio cancro, l'Istituto tumori di Milano ha avviato uno studio sulle donne che si sono ammalate di cancro al seno prima dei quarant'anni (informazioni allo 02-23903515). Allo stesso telefono, sempre al dipartimento di medicina preventiva di Franco Berrino, informazioni sui corsi di cucina salutare e protettiva contro i tumori. Uno studio apparso oggi su Nature e condotto sui topi rivela anche che una dieta troppo ricca di zuccheri in gravidanza puo’ ridurre la durata della vita della prole. ____________________________________________ Il Sole24Ore 30 gen. ’04 L'ENDOSCOPIA? ORA SI INGOIA DIAGNOSTICA A due anni dal debutto primi bilanci per la videopillola che esplora l'intestino Oltre 65mila finora nel mondo le somministrazioni della capsula hi-tecch che costa 535 euro A due anni dal suo debutto M2A, la videopillola senza fili che per prima ha permesso di esplorare l'intestino umano senza che il paziente se ne accorga, e’ un successo. E stata inghiottita da 65mila pazienti in tutto il mondo (2mila in Italia), le ultime ricerche pubblicate sulle riviste internazionali dimostrano che garantisce diagnosi migliori dei sistemi tradizionali nel tratto dell'intestino tenue e alla fine dell'anno scorso la Fda americana ne ha approvato l'uso pediatrico per bambini di eta’ superiore ai dieci anni. «La videocapsula ha aperto la porta all'endoscopia senza fili e ha scoperchiato una vera e propria scatola nera nel campo della diagnostica - spiega Paul Swain, gastroenterologo presso il Royal Hospital di Londra, che ha tenuto a battesimo la tecnologia inghiottendo egli stesso le prime due capsule nel 1999 - perche’ i quasi sei metri dell'intestino tenue erano sempre rimasti inaccessibili agli endoscopi tradizionali». La videocapsula, del diametro di 11 mm e lunga 26, e’ simile a una pillola piuttosto corpulenta, ma al posto di molecole e principi attivi al suo interno nasconde tre sistemi sviluppati ad hoc da ingegneri israeliani. Il microprocessore Cmos (Complementary metal oxyde silicone), grande pochi millimetri quadrati, ma in grado di dare due immagini da 90mila pixel al secondo con qualita’ paragonabile a una telecamera Ccd, il sistema Asic (Application specific integrated circuit), un circuito integrato che garantisce il funzionamento di un trasmettitore video a bassissimo consumo energetico e, risorsa indispensabile, un Led potente e miniaturizzato per illuminare i 140° ripresi dalla telecamera. Gli esami diagnostici non potrebbero esser piu’ semplici. Si ingerisce la videocapsula insieme con un bicchier d'acqua, senza bisogno di bere litri di preparato per la pulizia dell'intestino, ne’ di anestesia, come nel caso degli endoscopi tradizionali, e si va per una passeggiata. La pillola non e’ infatti dotata di un sistema di avanzamento proprio e sono le contrazioni muscolari dell'apparato digerente a farla avanzare. Le immagini trasmesse dalla videocamera vengono registrate su un disco rigido appeso alla cintura del paziente che e’ libero di spostarsi dove vuole e successivamente scaricate in ambulatorio. «L'endoscopia senza fili non e’ solo indicata per la diagnosi di sanguinamenti dell'intestino tenue, per i quali l’Italia.puo’ vantare l'esperienza maggiore - spiega Marco Pennazio, gastroenterologo presso l'ospedale San Giovanni Antica Sede di Torino - ma anche per il morbo di Crohn, un'infiammazione delle mucose intestinali che colpisce almeno SOOmila persone in Europa e puo’ degenerare in tumori e ora si studiano anche la celiachia e altre patologie ereditarie». Il tallone di Achille di questa metodica rimangono l'analisi dell'esofago, dove passa troppo velocemente per permettere una diagnosi, quella dello stomaco, troppo ampio dive la capsula avrebbe bisogno di essere guidata dall'esterno e il colon, dove le immagini non sono nitide. «E’ una tecnologia giovane - osserva Roberto De Franchis, gastroenterologo presso il Policlinico dell'Universita’ di Milano - ma credo che i sistemi di guida per dirigere la pillola dove vuole il medico e magari addirittura la possibilita’ di eseguire prelievi dei tessuti e somministrazioni di farmaci potrebbero diventare una realta’ nel giro dei prossimi otto o dieci anni» . Il futuro della pillola, che ha ottenuto il marchio CE che ne certifica la sicurezza come strumento diagnostico in Europa e’ in espansione. «In Austria e Portogallo la capsula viene gia’ rimborsata dal sistema sanitario nazionale - spiega Enrico Lorenzatto, della Lorenzatto Spa, distributrice unica per l'Italia - mentre nella Penisola, dove gia’ cinquanta centri hanno investito almeno 40mila euro per dotarsi dell'attrezzatura, l'esame con videocapsula viene rimborsato quando il paziente e’ ricoverato, mentre l'uso piu’ indicato, visto la non invasivita’, sarebbe proprio quello ambulatoriale». Dalle poco piu’ di 2mila capsule distribuite in Italia l'una nel 2003 Lorenzatto spera di raggiungere le 3mila alla fine di quest'anno. 535 euro per ogni capsula possono sembrare tanti, ma uno studi di farmacoeconomia dell'Ospedale delle Molinette di Torino ha appena calcolato che l'intero esame costa 1198 euro tutto compreso. La videocapsula M2A prodotta dall'israeliana Given imaging (www.givenimaging.com) e’ ancora una tecnologia unica, ma gli annunci di nuovi prototipi non mancano. Quello piu’ recente viene dall'Italia, dove, nei laboratori della Scuola superiore Sant'Anna di Pisa, alla fine dell'anno scorso Paolo Dario ha messo a punto Emil, (Endoscopic microcapsule locomotion), un microrobot fornito di telecamera e mini bisturi, che, una volta ingoiato dai pazienti, viaggiando e muovendosi all'interno dell'intestino come un millepiedi, dovrebbe essere in grado di non solo di fare diagnosi, ma anche di prendere prelievi di tessuto e, se necessario, opera il paziente telecomandato dal chirurgo. Il primo viaggio di Emil nel corpo umano dovrebbe cominciare proprio quest'anno. GUIDO ROMEO ____________________________________________ Libero 31 gen. ’04 OSTEOPOROSI, I FRATTALI SEGNALANO QUANDO C'E’ IL RISCHIO DI ROTTURA Il sistema e’ stato messo a punto in Francia Non e’ la massa dell'osso a influire sulle fratture ma la sua struttura MILANO - Semplice ed efficace. E’ il nuovo metodo per tenere sotto controllo e prevenire i rischi di frattura che comporta l'osteoporosi. Come si legge sull'ultimo numero della rivista "Science & vie", il sistema e’ stato messo a punto all'Istituto nazionale di Francia per la salute e la ricerca medica (Inserm). E’ semplice, perche’ consiste nel fare una radiografia del tallone. Ed e’ efficace in quanto l'analisi matematica - basata sullo studio dei frattali - di questa radiografia permette di fare una diagnosi accurata della fragilita’ dell'osso causata da un deficit di estrogeni. L'analisi dei frattali nel campo dell'osteoporosi e’ ancora in fase sperimentale, e al momento e’ studiata in una decina di ospedali e centri di ricerca francesi. Ma gia’ da oragli specialisti si sbilanciano e affermano che si tratta del piu’ grande progresso mai compiuto nella lotta contro questa malattia. Le analisi oggi in uso sono metodi come l’osteodensitometria che misurano la massa ossea e la sua variazione con il progredire del - l’eta’. Ma la massa - anche se fornisce un indice del progredire della malattia - non e’ il fattore decisivo perche’ si verifichino le fratture. Pur avendo la stessa massa ossea, alcune persone si rompono quasi a ogni caduta, mentre altre, in pratica, mai. Soltanto negli anni '80 e’ stata fornita una spiegazione a vesto fenomeno grazie all’utilizzo della biopsia. Le fratture si producono solo quando la trama della parte centrale (o parte spugnosa) dell'osso e’ scompaginata, perforata e indebolita dalla malattia. La biopsia pero’ e’ un esame che presenta difficolta’ e puo’ risultare doloroso per il paziente. E’ cosi che l'attenzione degli scienziati si e’ concentrata sull'individuazione di un esame indolore o poco invasivo in grado di segnalare il rischio di frattura. La soluzione e’ arrivata lo scorso anno dai laboratori LESI di Orle’ans. Qui Rachid Harba e Rachid Jennane hanno notato che piu’ l’immagine di una radiografia del tallone e’ "rugosa", irregolare - come capita con i tessuti colpiti dall'osteoporosi - e piu’ da un punto di vista matematico la dimensione frattale e’ elevata (la dimensione definisce un frattale; ad esempio, un segmento ha dimensione 1, un quadrato ha dimensione 2 e un cubo ha dimensione 3; un frattale invece e’ un oggetto a dimensione frazionaria). In questo modo la dimensione frattale definisce in modo altamente specifico il grado di destrutturazione dell'osso e quindi il pericolo di fratture. ____________________________________________ Repubblica 29 gen. ’04 ECOGRAFI D’ULTIMA GENERAZIONE Dalla ricerca Cnr universita’ privati la sonda al silicio Il prototipo permette di "vedere" in modo piu’ esteso e profondo con immagini tridimensionali: parla il fisico Foglietti DI LAURA CAPPOZZO Esami ecografici che daranno diagnosi piu’ dettagliate e sicure riuscendo ad evitare la necessita’ di ulteriori controlli paralleli in virtu’ delle piu’ precise immagini tridimensionali che se ne trarranno. Le recenti apparecchiature ecografiche al silicio (ma ora e’ un prototipo, bisognera’ aspettare tra uno e due anni), evidenzieranno anomalie o patologie dei singoli organi umani in pochi secondi riproducendo l’immagine equivalente tridimensionale che per esempio in ostetricia permettera’ di esaminare con maggior precisione le caratteristiche fisiche dell’embrione e del feto portando un buon margine di sicurezza nelle diagnosi di anomalie prenatali, e nelle indagini del tumore al seno introdurra’ nuovi parametri per riconoscere e differenziare nodularita’ maligne in formazione prima che siano in grado di compromettere l’esito di facili interventi medici. Le nuove apparecchiature ecografiche al silicio sono nate dalla collaborazione, nell’ambito del progetto europeo Eureka Umic, tra ricercatori dell’Istituto di fotonica e nanotecnologie del Cnr, del dipartimento di Ingegneria elettronica dell’universita’ Roma Tre e della societa’ Esaote Biomedica, un’azienda del gruppo Bracco leader nel campo degli ecografi. «Gli ecografi attuali impiegano sonde (elementi che inviano e ricevono ultrasuoni) piezoelettriche in ceramica che non coprono bande di frequenza molto estese e quindi, in funzione dell’organo che si vuol vedere e a che profondita’ e’ situato bisogna utilizzare sonde diverse mentre le nuove sonde al silicio, avendo nello stesso campo di frequenze la capacita’ di selezionare gruppi di bande piu’ ristrette, analizza segnali molto piu’ estesi e possono essere utilizzate come sonde universali coprendo cosi’ varie applicazioni e fornendo inoltre, con il sussidio degli elaboratori, immagini a tre dimensioni» spiega il fisico Vittorio Foglietti dell’Istituto di fotonica del Cnr. La sonda innovativa sostituisce quella normale lasciando immutati i mezzi di contrasto, che invece verranno meglio utilizzati, e la potenza radiante delle "vibrazioni" che, in alcune indagini puo’ esser persino abbassata. «Non ci sono quindi controindicazioni, o almeno non ce ne sono altre rispetto a quelle eventuali dell’ecografia tradizionale», conclude Foglietti. ____________________________________________ La Nuova Sardegna 30 gen. ’04 VACCINARSI CONTRO LA COCAINA? ORA SI PUO’ Scoperto il metodo per bloccare gli effetti Un importante convegno a Cagliari Ieri si e’ parlato di eroina e metadone Oggi il convegno affrontera’ il tema di come annullare gli effetti piacevoli dello stupefacente e della relazione tra la droga e i disturbi psichici CAGLIARI. Il vizio della cocaina potra’ essere spazzato via come si fa con l’influenza e la poliomielite: con un vaccino. Un rimedio che blocchera’ non la dipendenza farmacologia, ma gli effetti: anestesia ed eccitazione dei centri psico-sensoriali e motori prima di tutto. E’ l’ultima frontiera della lotta allo stupefacente che, stando ai risultati delle operazioni di polizia effettuate negli ultimi anni e ai riscontri dei Sert di tutta Italia, sta prendendo il posto dell’eroina. Del futuro della battaglia contro la cocaina si parla in questi giorni al padiglione D (sala Tola Sulis): ieri e’ iniziato il convegno nazionale "Aggiornamenti nella terapia delle tossicodipendenze". Nella giornata inaugurale si e’ parlato soprattutto di eroina e metadone con gli interventi di esperti di fama mondiale: tra gli altri Gian Luigi Gessa ("Dalla preclinica alla clinica delle dipendenze", Marie Jeanne Kreek ("La scoperta della tossicodipendenza da eroina" e "Tossicodipendenza: ricerca clinica, di laboratorio e genetica", Fabrizio Faggiano ("Effetto della dose dei farmaci agonisti degli oppiacei sui risultati del trattamento") e Marina Davoli ("I dosaggi del metadone in Italia"). Oggi sara’ la volta della cocaina. E si sapra’ di piu’ sugli esperimenti che nel giro di pochi anni potrebbero portare alla scoperta del vaccino che rende nulli gli effetti "piacevoli" dello stupefacente. "Mentre per l’eroina - dice Pierpaolo Pani, Sert di via Dei Valenzani a Cagliari - il metadone e’ ormai una terapia consolidata e, nonostante le mille polemiche sull’argomento, utilizzata anche in molte comunita’ terapeutiche, per la cocaina un rimedio farmacologico vero e proprio non esiste. In parole povere la scienza non ha ancora trovato un metadone della cocaina. Esistono terapie si’, ma si lavora soprattutto sulla psiche del paziente". Il rimedio potrebbe essere proprio il vaccino: sono in corso esperimenti sugli animali. Ma anche sugli uomini: alcuni ricercatori dell’universita’ di Yale e di Cantlab Pharmaceuticals avrebbero gia’ messo a punto il Ta-cd, un vaccino che agisce direttamente contro la molecola della cocaina bloccandone il principio attivo. I test hanno dato buoni risultati. L’effetto del vaccino puo’ essere aggirato con l’assunzione di superdosi di cocaina. Per gli scienziati, pero’, si tratta di un’ipotesi inverosimile: il vaccino sara’ proposto solamente a persone estremamente motivate a smettere. Previsti per oggi, a partire dalle 9.30 le relazioni di Gilberto Gerra ("Pattern d’uso della cocaina: quando trattare?", Augusto Consoli ("L’uso di cocaina nei pazienti in trattamento per dipendenza da oppiacei" e Mauro Cibin ("Cocaina e poliabuso: l’approccio residenziale"). Nel pomeriggio si parlera’ invece delle relazioni tra disturbi psichici a assunzione di stupefacenti. "Spesso - dice Pani anticipando il contenuto del suo intervento - dietro l’assunzione di sostanze stupefacenti ci sono precedenti problemi psichiatrici. Cosi’ come dall’assunzione di droghe derivano spesso disturbi psichiatrici". Domani in programma la quinta e la sesta sessione dei lavori: "Dalla terapia alla cura" e "La flessibilita’ del contesto di cura: le strutture intermedie". Tra i relatori, Paolo Jarre, della Asl 5 della Regione Piemonte: parlera’ dell’esperienza della comunita’ "Lucignolo & co." e del modulo definito "Il diavolo e l’acquasanta": una via di mezzo tra classica comunita’ terapeutica e trattamento a base di metadone. Stefano Ambu ____________________________________________ La Stampa 28 gen. ’04 TUMORE AL POLMONE C’E’ CHI E’ PREDISPOSTO UNO STUDIO MULTICENTRICO CERCA DI INDIVIDUARE LE CAUSE GENETICHE IN MALATI CHE NON FUMANO IN Italia ogni anno 35 mila persone vengono colpite dal tumore al polmone, ma 4 mila di esse non hanno mai toccato una sigaretta nel corso della vita. Le indagini epidemiologiche dicono che una persona su sei che fuma in media un pacchetto di sigarette al giorno dai 18 ai 75 anni sviluppera’ una forma di tumore al polmone: non possiamo pero’ prevedere chi delle sei sviluppera’ sicuramente la malattia. Questo significa che, oltre al fumo, concorrono altri fattori di rischio, come quelli legati alla predisposizione genetica, che possono essere individuati solamente attraverso specifiche ricerche. Nella maggior parte dei casi, la malattia e’ causata da alterazioni (mutazioni) del DNA che si sviluppano casualmente nel corso della vita a livello delle cellule del nostro organismo. Una piu’ piccola quota di tumori e’ pero’ di origine ereditaria. Gli individui che sviluppano questi tipi di tumori hanno alla nascita uno o piu’ difetti genetici in «tutte» le cellule dell’organismo. Saranno percio’ predisposti a sviluppare una neoplasia quando nel corso della vita altre mutazioni si sommeranno a quella iniziale. Queste persone ereditano la predisposizione a sviluppare piu’ facilmente il tumore rispetto alla popolazione generale. In Italia oggi esistono istituti di ricerca con competenze specifiche rivolte alla decifrazione del genoma umano che andrebbero potenziate con l’aiuto delle istituzioni e dei privati. Per esempio, l’Istituto Nazionale dei Tumori e l’Istituto Mario Negri di Milano, con il sostegno dell’Associazione no-profit Marta Nurizzo (il nome deriva da una ragazza morta a 21 anni per tumore polmonare senza aver mai fumato una sigaretta), stanno effettuando uno studio multicentrico per evidenziare il ruolo della predisposizione genetica al tumore polmonare. L’originalita’ della ricerca consiste nella tipologia dei pazienti reclutati, che sono non fumatori e hanno sviluppato un tumore polmonare in eta’ relativamente giovane (inferiore ai 60 anni). L’analisi dei fattori di rischio richiede uno studio caso-controllo, per cui e’ necessario reclutare anche dei soggetti sani (in genere parenti di primo grado). Per tali studi sono necessari campioni numerosi, perche’ l’obiettivo della ricerca e’ quello di identificare fattori genetici che siano poi utilizzabili sull’intera popolazione. I risultati dei test genetici eseguiti su familiari di pazienti malati possono rivelare una mutazione del DNA in grado di innescare una neoplasia. Si tratta pero’ di un rischio e non di una certezza. La formazione di qualsiasi tumore infatti richiede in media da 3 a 7 mutazioni genetiche: il fatto di averne ereditata una o due non autorizza a pensare che la malattia si presenti con certezza, ma induce ad una maggior cautela e ad una maggiore utilizzazione per la prevenzione. Le persone a rischio possono adottare uno stile di vita corretto, evitando di esporsi a pericolose interazioni come il fumo, sia attivo che passivo, e sottoponendosi a periodici controlli. L’identificazione delle vie biochimiche responsabili della suscettibilita’ o della resistenza al tumore polmonare consentira’ non solo di allestire kit diagnostici per la valutazione del rischio individuale, ma anche di sviluppare nuove terapie personalizzate con farmaci basati su specifici bersagli molecolari. Renzo Pellati ____________________________________________ Le Scienze 30 gen. ’04 DUE MARCATORI GENETICI PER LA LEBBRA La malattia colpisce ancora 700.000 persone ogni anno Alcuni scienziati della McGill University di Montreal, in Canada, sostengono di aver identificato due schemi di DNA che potrebbero aiutare a individuare le persone con maggior propensione ad ammalarsi di lebbra, una malattia altamente infettiva ma curabile. I marcatori genetici potrebbero essere rivelati facilmente con metodi diagnostici o di screening, identificando cosi’ le persone che magari non svilupperanno la malattia ma che potrebbero trasportarne l'agente infettivo. "Si tratta di marcatori di rischio, - spiega il ricercatore Erwin Schurr, il cui studio e’ stato pubblicato sulla rivista "Nature" - e anche molto significativi". Anche se la lebbra puo’ essere diagnosticata e curata, colpisce ancora 700.000 persone l'anno e la sua persistenza e’ tuttora un mistero. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanita’, il settanta per cento dei pazienti si trova in India. "Non sappiamo da dove provengano questi 700.000 nuovi casi ogni anno - dice infatti Schurr - perche’ ogni caso viene individuato e curato abbastanza efficacemente, e non c'e’ alcuna nota resistenza ai farmaci, o focolaio d'infezione animale o umano". Schurr sospetta che alcune persone possano agire da "focolai" conservando dentro di se’ l'agente infettivo. Con i suoi colleghi, ha scoperto i marcatori studiando il corredo genetico di pazienti del Vietnam e del Brasile. La malattia e’ provocata dal Mycobacterium leprae, che si moltiplica lentamente e colpisce soprattutto la pelle e i nervi.