RICERCA E SVILUPPO, L'ITALIA INVESTE SOLO L’1,1% DEL PIL - MORATTI, LIBERISTA GIACOBINA - ARMISTIZIO TRA MORATTI E I RETTORI - GLI STUDENTI SARDI BOCCIANO LA RIFORMA - UN DISASTRO: STA UCCIDENDO GLI ATENEI ITALIANI - PERCHE’ LA RICERCA VA DI MALE IN PEGGIO - INTELLIGENZE A TEMPO DETERMINATO - ATENEI GRATUITI? UN DISASTRO - DISCO VERDE AI PRIN - BIASOTTI: PER GENOVA IN ARRIVO LA SEDE DELL' IIT - UN ERRORE IL NUOVO ISTITUTO DI RICERCA A GENOVA - UNIVERSITA’, I PROF DENUNCIANO I CONCORSI-FARSA - SASSARI: ISCRIZIONI IN CALO DELL'11,6% - SASSARI: IL LAVORO C'E’, IL MERCATO RICHIEDE PIU’ NEOLAUREATI - ================================================= IL PROTOCOLLO PIACE AI PROF PIU’ SEVERI: I SINDACATI - IL SINDACATO CISAL SULLA BOZZA DEL PROTOCOLLO D’INTESA - MEDICI, UNO SCIOPERO IN PUNTA DI PIEDI - MEDICI SARDI SUL PIEDE DI GUERRA - FUORI I PARTITI, MALATI AL PRIMO POSTO - PIU’ RISORSE AGLI OSPEDALI UNIVERSITARI - BUTTIGLIONE:LA LEGGE SULLA FECONDAZIONE SERVIRA’ A RIPARARE I GUASTI - LA TERAPIA CELLULARE E’ UTILE, MA SI PUO’ OTTENERE PER ALTRE STRADE - LA RICERCA NEGATA - COLPO DI FRUSTA? MUOVERSI - TRAPIANTI, IN BASILICATA «BOOM» DI DONATORI - SE LA GENETICA FORENSE MAPPA IL DNA DELLE POPOLAZIONI SARDE - COSI’ I FARMACI INTELLIGENTI VINCERANNO LA LEUCEMIA - LEUCEMIE, SI GUARISCE CON LE- NUOVE TERAPIE - L'ERA DELLA MEDICINA PERSONALIZZATA - QUANDO LA PUBERTA’ ARRIVA IN ANTICIPO - DIABETE MELLITO: NUOVI VALORI - ================================================= _______________________________________________ Italia Oggi 10 feb. ’04 RICERCA E SVILUPPO, L'ITALIA INVESTE SOLO L’1,1% DEL PIL I dati sul biennio 2001-2002 emersi al convegno Isim, fondazione Bordoni DI FILIPPO CALERI Sono troppo bassi in Italia gli investimenti nella ricerca, soprattutto da parte del settore privato. Nel biennio 2001-2002 le risorse complessive non hanno superato l’1,1% del pil. Meno della meta’ rispetto agli Stati Uniti (2,7% del pil) e alla Francia (2,1%). E se la spesa per l'innovazione del settore pubblico e’ abbastanza simile a quella delle nazioni piu’ avanzate (tra l0 0,6 e lo 0,7% della ricchezza prodotta) a mancare in Italia e’ la ricerca sviluppata dai privati. Che si ferma a un modesto 0,5% del pil contro f1,4% francese, il 2% degli Usa e l’1,8% della Germania. I dati sono emersi ieri a Roma nel corso di un convegno organizzato dall'Isimm, presieduto da Enrico Manca, e dalla fondazione Ugo Bordoni sul tema della «R&S e competitivita’: responsabilita’ dello stato e responsabilita’ delle imprese». E sottolineano una delle cause della perdita di competitivita’ delle aziende italiane nel mondo. Una pecca, quella dell'imprenditoria che punta poco dei suoi guadagni nella ricerca di nuovi prodotti, che e’ stata sottolineata anche da Lucio Stanca, ministro per l'innovazione e le tecnologie, intervenuto al meeting. «L'Italia e’ l'unico grande paese Ocse a ricerca socialista», ha detto Stanca che ha evidenziato «come la maggior parte della ricerca sia fatta in Italia dal sistema pubblico, mentre in Francia solo i137% delle ricerca e’ pubblica e in Gran Bretagna il 28%». La difficolta’ dei privati non e’ solo un problema legato alle risorse disponibili ma anche e soprattutto al modo in cui queste vengono utilizzate. Servono nuovi meccanismi, insomma, per renderle produttive. La maggiore mobilita’ delle risorse umane e’ una soluzione caldeggiata dal ministro. Ma anche la necessita’ di una piu’ stretta cooperazione tra le imprese e le universita’ che devono essere piu’ internazionalizzate, in grado cioe’ di attrarre professori e allievi stranieri. Non sono solo gli stanziamenti non adeguati a frenare il decollo della ricerca made in Italy. A mancare sono i cervelli in grado di svilupparla e un sistema universitario competitivo. Sono, infatti, ancora pochi rispetto agli altri paesi i cittadini con una formazione di rango universitario. In Italia, nella fascia di eta’ compresa tra 25 e 64 anni, sono solo il 10,3%. E sono, invece, piu’ del doppio in Francia (23%), in Germania (23,8%) e in Spagna (23,l’70 e il triplo negli Stati Uniti (36,5%). Non sono confortanti, poi, le cifre relative ;ai ricercatori. Quelli italiani sono l0 0,9% della forza lavoro contro l’1,5% della Francia, l’1,6% della Germania e l’1,1% della Spagna. I segnali di recupero non ci sono ancora. Ma forse le premiesse per un'inversione di rotta sono state gettate. L'associazione Insme (l’International network for small and medium enterprises) avra’, infatti, sede a Roma. Questo l'annuncio fatto da Riccardo Gallo, presidente dell'Istituto promozione industriale, al convegno. L’INNOVAZIONE ITALIANA - La spesa per R&S e’ pari all'1,1% del pil - II contributo statale per l'innovazione e’ dello 0,6% del pil - La ricerca privata si ferma allo 0,5% del pil - Pochi i ricercatori italiani (0,9% della forza lavoro) - La popolazione italiana tra 25 e 64 anni in possesso di formazione post- secondaria e’ il 10,3% _________________________________________ Il Secolo XIX 9 feb. ’04 MORATTI, LIBERISTA GIACOBINA DINO COFRANCESCO Sara’ l'improvvisazione della sua classe dirigente, sara’ la difficile congiuntura internazionale, sara’ l'odio implacabile di una opposizione divisa su tutto ma unita dall'anti berlusconismo teologico, certo e’ che ogni volta che il governo del Polo mette mano a una riforma riesce a scatenare le tempeste. Va detto che in una societa’ a dir poco complicata come quella italiana, caratterizzata da consolidati privilegi professionali e sindacali, nonche’ da ' rendite di posizione assurte quasi ' a diritti costituzionali, e’ difficile ' cambiare qualcosa senza ledere ' interessi e suscitare i risentimenti ': dei ceti e delle categorie colpite. E tuttavia, dalle pensioni alla scuola, riformare e’ necessario giacche’, se tutto rimane com'e’, e’ facile prevedere il baratro in cui precipitera’ la finanza pubblica. Sennonche’ proprio perche’ la situazione e’ drammatica, c'e’ bisogno di grandi leader in grado di incidere nel tessuto economico e istituzionale senza compromettere la pace sociale fondata sulla consapevolezza che i diritti e i valori della gente comune non verranno intaccati. Purtroppo di questi leader, a destra e a sinistra, non ce ne sono molti. E sicuramente non ce ne sono al ministero della Pubblica istruzione che, con le sue improvvide riforme, si sta assicurando, all'interno della compagine governativa, il piu’ alto indice di sgradimento. La malattia e’ sempre la stessa, il giacobinismo, ovvero la pretesa di risanare una realta’ che non si conosce sulla base di principi astratti che non tengono in alcun conto le persone in carne e ossa che vi operano, la struttura delle loro relazioni, i costumi di casa e le flessibilita’ che ne consentono, bene o male, le prestazioni sociali. E' giacobino, in tal senso, sia lo statalismo di certa sinistra, sia il «meno Stato piu’ mercato» della destra, nella misura in cui - per citare il vecchio Giolitti - l'uno e l'altro pretendono di fare indossare a un gobbo l'abito confezionato per un ballerino. A scanso di equivoci, il mercato e’ una gran bella cosa e, in ogni caso, il modo migliore per produrre ricchezze e conoscenze. Ma proprio per questo deve essere preso sul serio: non si puo’ barare al gioco, introducendo schegge di mercato in istituzioni che obbediscono a una logica diversa. In Italia abbiamo un'universita’ del tutto svincolata dalla logica dello scambio: gli studenti pagano solo una parte dei costi dell'istruzione e i corsi vengono istituiti non in funzione delle necessita’ del sistema economico ma in funzione del progresso delle conoscenze scientifiche che, certo, non potranno non avere significative ricadute sull'economia. La mentalita’ manageriale del ministro Moratti, intesa a introdurre criteri di produttivita’, meritocrazia e concorrenza in un istituto sostanzialmente ottocentesco, come tutte le strategie giacobine si risolve nel colpire gli anelli deboli del sistema (i ricercatori e sembra pure gli associati). Questi ultimi, nel progetto di legge, saranno messi in ruolo solo in base a indici di produttivita’ di cui dovranno dar prova in un arco di tempo non inferiore ai dieci anni. In tal modo, verranno esposti a una precarizzazione sopportabile solo in una "societa’ affluente" in cui le opportunita’ di lavoro sono infinite e l'incertezza del posto e’ compensata da sicure prospettive di maggior guadagno passando da un impiego a un altro. Pensare che in Italia vi siano studiosi disposti a fare i ricercatori per 10 anni, con stipendi bassi e una concorrenza spietata per le poche cattedre ormai disponibili, siqnifica avere una concezione a dir poco stravagante della societa’ di mercato. Quel che e’ peggio, pero’, e’ che nella politica del ministro vi sono buchi neri in cui il giacobinismo liberista cede al piu’ sconfortante clientelismo vetero democristiano. II denaro pubblico riversato sulle casse di universita’ private come la romana San Pio V, per citarne una, non si giustifica certo ne’ con Hayek e Popper, e tanto meno col progresso della ricerca scientifica - oltretutto, l'Universita’ in questione ha solo facolta’ umanistiche - ma unicamente con la bassa cucina politica da Prima Repubblica (nell'Universita’ in questione e’ inquadrato Rocco Buttiglione). Ma e’ mai possibile che, da noi, si debba dire della coerenza,come dell'araba fenice del Metastasio, dove sia nessun lo sa? ________________________________________________ La Stampa 12 feb. ’04 ARMISTIZIO TRA MORATTI E I RETTORI CONFERMATA LA MANIFESTAZIONE NAZIONALE DEL 17 FEBBRAIO Un tavolo sullo stato giuridico dei professori ROMA Il disegno di legge sullo stato giuridico dei docenti universitari - quello che introduceva i co.co.co della ricerca - sara’ la base di una discussione tra docenti e ministro, e non piu’ una proposta di legge da considerarsi «chiusa». I rettori delle universita’ italiane hanno infatti ottenuto dal ministro di costituire un tavolo tecnico per rivedere l’intera materia, in uno spirito «di ampia collaborazione». Il governo, per contro, mantiene vigente lo strumento della delega. Cosi’ si e’ concluso, con fair-play, uno scontro che si prospettava duro tra il ministero dell’Istruzione e la Crui (la Conferenza dei rettori presieduta da Piero Tosi), il cui comitato di presidenza ha incontrato ieri mattina, per tre ore, il ministro Letizia Moratti. Il disgelo, comunque, non impedira’ la manifestazione nazionale del 17 febbraio all’universita’ La Sapienza di Roma: vedra’ scendere in piazza tutte le sigle sindacali e dell’associazionismo professionale universitario. La protesta dei docenti un! iversitari (e dei rettori) si era gia’ fatta sentire al consiglio di presidenza della Crui il 14 gennaio ed era stata ribadita in quello del 29 gennaio. In un documento i rettori esprimevano preoccupazione su alcuni punti: la possibilita’ di fare contratti a professori di prima fascia pagandoli con finanziamenti di aziende o fondazioni (il che configurerebbe un reclutamento su indicazione delle aziende medesime); la riduzione dei ricercatori a super precari a contratto di collaborazione continuativa; l’abolizione del tempo pieno dei docenti, con facolta’ per tutti di fare libera professione; la sottrazione di autorita’ alla comunita’ scientifica nel reclutamento dei professori; infine, risorse insufficienti per adeguare la nostra universita’ ai parametri europei. Il documento non fu diffuso, apparve qualche giorno dopo sul sito della Crui. Ieri i dissensi erano ancora quelli ma il confronto tra il ministro e i rettori, se non ne ha intaccato la sostanza, ha prodotto almeno una via! di superamento. Intanto - ha spiegato il ministro uscendo dalla riunione - la spinosa questione dei ricercatori verra’ affrontata come accade nel resto del mondo occidentale, con contratti possibilmente ben pagati, ma comunque a termine. Il testo del ddl diventa base per un confronto in un tavolo tecnico costituito da ministero, Conferenza dei rettori e Consiglio universitario nazionale (massimo organo collegiale dell’universita’). Il confronto di merito iniziera’ prima possibile e non dovrebbe durare piu’ di due mesi. Lo strumento d’intervento resta sempre la legge delega perche’ - ha spiegato il ministro - questo consente una maggiore flessibilita’ di azione, senza bisogno di passaggi parlamentari ulteriori. Il provvedimento si dovra’ inserire in un piu’ ampio progetto sull’universita’ che deve prevedere tre pilastri: la programmazione, la valutazione e le risorse. La cifra necessaria resta quella indicata nel settembre scorso dalla Crui: 5 miliardi in tre anni. Il segretario dell! o Snur (sindacato di categoria aderente alla Cgil), Paolo Saracco, ha confermato che - indipendentemente dal tavolo che il ministro intende aprire con i rettori - la manifestazione di protesta dei docenti e dei ricercatori ci sara’ lo stesso. «Di un tavolo di concertazione si puo’ parlare anche con i sindacati che sono stati convocati per il pomeriggio stesso di martedi’ prossimo - ha aggiunto Saracco - ma prima il ministro deve ritirare il ddl che non puo’ essere preso come base di discussione». ________________________________________________ L’Unione Sarda 12 feb. ’04 GLI STUDENTI SARDI BOCCIANO LA RIFORMA «La riforma? Un pretesto per impegnare e stabilizzare il personale docente». E’ la sparata di Giuseppe Bertotto, rappresentante di tutti gli studenti sardi all'interno del Comitato di coordinamento regionale delle Universita’ sarde. «Sono stati aperti tanti nuovi corsi di laurea», ha sostenuto lo studente dell'ateneo sassarese nel corso della prima Conferenza sulla didattica dell'Universita’ sassarese. «In troppi casi - aggiunge - si tratta di corsi con pochi iscritti, a fronte di risorse investite». Non lesinano critiche gli studenti universitari, che valutano in maniera severa anche un altro aspetto della riforma. «L'introduzione dei corsi di laurea triennali - rincarano i rappresentanti - e’ stato un vero e proprio fallimento». Le lauree brevi dovevano servire per accelerare e facilitare l'accesso dei giovani al mondo del lavoro, ma per il momento «si tratta di titoli che non possono essere spesi», dice Valeria Dettori, rappresentante degli studenti. «Gli allievi di Scienze politiche, Medicina, Leggi e non solo - sostiene Maoddi saranno costretti a frequentare anche gli anni di specializzazione per poter partecipare a quei concorsi per i quali in teoria dovrebbe bastare la laurea di primo livello». Logica conseguenza, «i tempi del corso di studi si allungano e l'accesso al lavoro viene ritardato - dice ancora Giuseppe Bertotto - se l'obiettivo era quello di adeguare il nostro sistema a quello di altri Paesi, non ci siamo». (g.m.s.) ______________________________________________ L’Unita’ 10 feb. ’04 UN DISASTRO: STA UCCIDENDO GLI ATENEI ITALIANI LE UNIVERSITA’ ITALIANE VERSO LA PARALISI Clamorosa protesta dei 4000 professori senza contratto: fermeremo l'attivita’ didattica e gli esami Sonia Renzini FIRENZE Ricorsi in massa al Tar e blocchi delle sessioni di esame e di laurea. Dopo un braccio di ferro lungo ed estenuante il coordinamento dei professori idonei, che raccoglie 4000 vincitori di concorso da professore associato e ordinario, ha deciso che adesso puo’ bastare. Di stare ad aspettare 1a sequenza infinita di promesse inadempiute del governo. Che prima fa capire di dare il via alle assunzioni e poi interviene per bloccarle. Beffa al merito Per la seconda volta consecutiva i vincitori di concorso si sono visti «scippare» un loro diritto. «Abbiamo vinto un concorso - dice Donatella Merlini, ricercatrice di informatica all'Universita’ di Firenze - eppure continuiamo a svolgere una mole di lavoro che non ci compete e senza la qualifica che ci spetta». E la rabbia sale. Ovvio. Ognuno di loro ha alle spalle lunghi anni anni trascorsi nelle aule universitarie, tra gli impegni di ricerca, l'attivita’ didattica e le sessioni di esame da sostenere. In attesa di vincere il concorso buono a fare il salto accademico. Solo che il salto non arriva mai. Nemmeno quando ce ne sono tutte le condizioni. Ora, pero’ il coordinamento dei professori idonei ha deciso che se non arrivera’ in tempi rapidissimi lo sblocco delle assunzioni sospendera’ fattivita’ didattica oltre a ricorrere a vie giuridiche. Intanto, le prime sentenze sono arrivate dal Tar del Lazio e del Molise, ma se le cose non cambiano nei prossimi mesi le procedure di ricorso al tribunale regionale potrebbero essere migliaia. Tempi incedi L'inizio della protesta era previsto per il 17 febbraio, ma la convocazione del coordinamento annunciata giovedi’ dal viceministro Giovanni D'Addona per il 20 febbraio al momento congela le iniziative. Non a oltranza pero’. «Vogliamo sapere da D'Addona come il ministero intenda sbloccare le assunzioni», precisa il professore associato in Storia medievale e presidente del coordinamento dei professori idonei Cristina La Rocca. La soluzione e’ a questo punto in mano alle famose «deroghe» che dovrebbero essere concesse dal ministero, le uniche in grado di permettere ai singoli atenei di continuare le procedure d'assunzione che di propria iniziativa avevano in molti casi gia’ iniziato nei mesi scorsi. Tuttavia, quando queste deroghe ci saranno e in che numero non e’ dato sapere. «A D'Addona chiederemo quale stanziamento intende utilizzare il ministero per le deroghe del 2004 - continua La Rocca - e soprattutto quali sono i tempi previsti». Perche’ il meccanismo delle deroghe e’ tutt'altro che cristallino. «Proprio cosi’ - conferma La Rocca - basti pensare che gia’ Fanno scorso l'utilizzazione delle deroghe e’ stata fatta con i criteri piu’ disparati, quasi sempre economici e mai di merito. Sono state 170 in tutto le deroghe nominative, con le quali sono state assunte 1180 persone». II fantasma delle macerie Ma il blocco delle assunzioni non e’ il solo problema che angustia i professori idonei. In ballo c'e’ tutta la riforma Moratti. «Non c'e’ dubbio che da parte nostra non possiamo cne contestare il ddl Moratti - incalza La Rocca - che prima modifica il Cnr, poi blocca le assunzioni e alla fine disintegra tutta l'Universita’ abolendo la figura del ricercatore per trasformarla in una professionalita’ con contratto Co.co.co. a 5 anni rinnovabile per soli 2 anni». La precarizzazione del personale universitario e’ il fantasma che si agita dietro la riforma Moratti. Per il ricercatore d'informatica dell'Universita’ di Firenze Michele Boreale il timore e’ proprio questo: che alla fine il ministero cerchi di mercanteggiare lo sblocco delle assunzioni con il beneplacido del mondo accademico al disegno di legge. Ma il coordinamento su questo ha le idee chiare. «Il paradosso di tutto questo - conclude La Rocca - e’ che le Universita’ private possono continuare indisturbate ad assumere, oltretutto sono previsti finanziamenti extra per certi atenei, mentre l'Universita’ pubblica viene man mano trasformata in un grande liceo dove i ricercatori abbandonano la ricerca per fare attivita’ didattica». La speranza adesso e’ tutta riposta nell'incontro del 20 febbraio con il viceministro D'Addona, ma a giudicare dagli ultimi avvenimenti la sensazione e’ che la vicenda rimanga uguale a se stessa: avvolta in un infinito gigantesco caos. «Basta promesse»: dopo il ricorso in massa al Tar, ora i docenti sono pronti a nuove azioni se il ministero non sblocchera’ le assunzioni Le universita’ private possono assumere come vogliono. In quelle pubbliche e’ impossibile fare ricerca ________________________________________________ Il Manifesto 14 feb. ’04 PERCHE’ LA RICERCA VA DI MALE IN PEGGIO Modelli universitari a confronto, i guai italiani. Parla Giulio Cossu LUCA TANCREDI BARONE ROMA «In Italia non c'e’ nessuno stimolo a essere bravi ricercatori». Giulio Cossu, medico, e’ uno dei piu’ accreditati ricercatori italiani nel campo delle cellule staminali. E’ «naturalmente contrario alla riforma Moratti», ma non risparmia critiche all'universita’ di oggi. Ci spieghi perche’. Dopo anni di immobilismo in questo paese a un certo punto parte una ope legis e tutti quelli che hanno passeggiato in un corridoio universitario vengono assunti in ruolo a vita. Io stesso, a 29 anni, sono entrato con l'ope legis del 1981 perche’ ero un borsista. Dopodiche’ abbiamo saturato e si e’ creato un tappo per tutti quelli che sono venuti dopo. E da allora mi sarei potuto sedere, limitandomi a quel numero minimo di lezioni, e nessuno avrebbe valutato la mia produzione scientifica. Lei ha lavorato in Francia e negli Stati uniti. In che modo le cose sono diverse? La Francia e’ piu’ simile all'Italia per molti aspetti. Ma li’ ogni anno, in maniera regolare, i giovani ricercatori hanno la possibilita’ di accedere a un certo numero di posti, con un esame molto duro e una valutazione della qualita’ scientifica. Invece negli Usa? Il modello americano, che pure potrebbe funzionare, non credo sia esportabile in Europa. Perche’ ogni anno bisogna riguadagnarsi da zero il proprio status. E certe volte questo crea situazioni ingiuste verso l'individuo. Dopo il dottorato c'e’ un periodo di postdottorato dopo il quale il ricercatore chiede di diventare assistant professor. Una posizione a tempo determinato, solitamente 5 anni, durante i quali si cerca un posto da associate professor, cioe’ una posizione di ruolo. I professori una volta assunti possono negoziare stipendio, laboratori, strutture. Perche’ le universita’, che vivono sui grant ottenuti dai ricercatori, hanno tutto l'interesse ad avere i migliori ricercatori e a farli lavorare bene. E il difetto dov'e’? Quando un bravo ricercatore di ruolo non riesce piu’ a pubblicare e non garantisce piu’ i finanziamenti, viene mobbizzato in maniera terribile. Gli pagano solo l'insegnamento, gli tolgono il laboratorio, viene messo da parte, senza un riconoscimento per il lavoro fatto. Trovo che ci possa essere una via di mezzo fra questo e l'estremo opposto, in cui una volta che uno ha un laboratorio non glielo porta piu’ via neppure il ministro. Lei cosa proporrebbe? Un sistema in cui, oltre a un livello base di retribuzione, ci fosse un bonus proporzionale alla quantita’ di finanziamenti ottenuti su progetti di ricerca: questo motiverebbe le persone. Invece oggi i laboratori diventano i feudi di un potere gestito in modo medievale. Il nodo del reclutamento e’ uno dei punti chiave per ogni riforma del sistema universitario. In Italia purtroppo spesso si trasforma in una guerra tra poveri. E spesso anche chi e’ in buona fede e’ posto di fronte a un dilemma etico. Preferisco una persona che ho scelto anni fa perche’ era bravo, potendogli offrire solo contrattini poco dignitosi, e che ha cercato come ha potuto di tirare la carretta in attesa dell'unico posto? O magari quello che e’ stato negli Stati uniti, dove ha trovato un ambiente certamente piu’ fertile e ha prodotto di piu’? Come posso dire arrivederci e grazie al primo senza avergli potuto offrire nulla? Ci sono pochi posti e un sistema che si basa su forme dischiavismo - lavoro mal retribuito e privo di prospettive concrete. E non e’ certo con un concorso, quasi sempre pilotato, che posso valutare un bravo ricercatore, con un ridicolo temino. I concorsi andrebbero aboliti e l'assunzione andrebbe legata alla capacita’ dei nuovi arrivati di attrarre finanziamenti. Perche’ secondo lei il nostro sistema non funziona bene? Primo, le persone che distribuiscono i fondi sono elette da chi li riceve, con la conseguenza che vengono dati a pioggia e si formano delle «cosche». Negli ultimi anni per fortuna conta anche la peer review, il giudizio della comunita’ scientifica. E poi la nostra comunita’ e’ troppo piccola, per forza ci conosciamo tutti. L'altra tragedia del nostro paese e’ che si rimane professori nelle stesse sedi dove ci si laurea e magari si fa il dottorato... senza aver avuto occasione di conoscere realta’ diverse. Oltre a insegnare alla Sapienza di Roma, lei lavora con il San Raffaele di Milano. Non vede una contraddizione in questo suo ruolo nel pubblico e nel privato? C'e’ un distinguo da fare. Un conto sono le industrie o le case farmaceutiche, un altro le fondazioni come il San Raffaele. Lo stimolo a fare ricerca finalizzata e’ meno forte e rimane la liberta’ di fare una ricerca di base di buona qualita’. Le universita’ invece sono sclerotizzate - anche per l'eta’ di chi ci sta dentro - ed elefantiache, mancano competitivita’ e dinamismo. Impossibile rendere piu’ efficiente la ricerca. Il 17 lei manifestera’? Certo, aderisco perche’ e’ importante. Ma la piazza non e’ nella mia natura. Sono un topo di laboratorio, e’ li’ che mi sento a mio agio ed e’ li’ che vorrei fare bene il mio lavoro. _______________________________________________ Il Manifesto 13 feb. ’04 INTELLIGENZE A TEMPO DETERMINATO - PRECARIATO NELLA RICERCA Un'intervista a Sveva Avveduto e Maria Carolina Brandi, autrici di un'inchiesta sul precariato nella ricerca LUCA TANCREDIBARONE bbasso il precariato, viva il precariato. Per gli sventurati che vorranno dedicarsi alla carriera accademica in futuro, l'entourage del ministro Moratti propone uno spezzatino che prevede una bella dose di precariato e di insicurezza lavorativa strutturale. Lo si evince leggendo la proposta di legge delega approvata nelle scorse settimane dal Consiglio dei ministri. Ma quello che il progetto Moratti non dice e’ che l'universita’ gia’ si regge sul lavoro dei ricercatori precari, soprattutto «giovani» (termine che oggi arriva a comprendere i quarantenni), ma non solo. Qualcuno ha calcolato che il 60% del personale incluso nei progetti di ricerca finanziati dal Firb (Fondo istituzionale per la ricerca base) e’ personale «non strutturato» (e cioe’ dottorandi, assegnisti, e ogni altra forma di precariato piu’ o meno definibile). Un dato che dovrebbe far riflettere chi oggi, soprattutto dal fronte accademico, attacca la riforma proposta dal governo. Senza questo status quo su cui si regge il sistema universitario, con la complicita’ e in taluni casi il protagonismo dei docenti cui fa comodo una schiera di «schiavi della ricerca», sarebbe stato difficile al ministro prospettare un futuro in cui il precariato assuma un ruolo pienamente istituzionalizzato. Il fenomeno fino ad oggi non e’ stato quantificato precisamente, anche se il Nidil, il sindacato degli «atipici» della Cgil, calcola che, per quanto riguarda la ricerca e l'universita’, ci siano circa 55mila persone che sono legati all'universita’ da rapporti di lavoro precari. Maria Carolina Brandi e Sveva Avveduto, dell'«Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali» del Cnr di Roma, stanno conducendo un'indagine che mira a fare un po' di chiarezza su questo tema. Titolo della ricerca: «Indagine sulla flessibilita’ del lavoro in ambiente scientifico». Chiunque voglia partecipare all'indagine puo’ compilare il questionario, che prevede un ampio spazio per i commenti, che si trova sul sito: www.irpps.cnr.it. Cosa vi ha spinto a fare questa ricerca? L'idea - spiega Brandi - era nata qualche anno fa dopo aver analizzato la situazione dei precari al Cnr. Allora c'erano migliaia di persone che lavoravano da 15 0 20 anni senza progressione di carriera, con contratti rinnovati volta per volta, senza possibilita’ di partecipare alle decisioni scientifiche, quasi senza tutele. Il malessere era diffuso. Poi per fortuna sono partiti i concorsi e questa situazione si e’ risolta. Allora volevamo capire come percepivano la situazione quei ricercatori. La ricerca che e’ in corso da piu’ di un anno e’ la naturale estensione di quella di allora ed e’ stata promossa dal Corus (Commissione sulle risorse umane per la scienza e la tecnologia), una commissione nata per volere dell'ex presidente Bianco per coadiuvare Sveva Avveduto, delegata all'Ocse nel comitato per la politica scientifica e tecnologica. A chi si rivolge la vostra indagine? Nasce diretta soprattutto al personale «non strutturato» degli enti perche’ nel Corus sono rappresentati tutti gli enti di ricerca. Ma poi abbiamo visto che la ricerca suscitava interesse e via via sempre piu’ precari, anche dell'universita’, la stanno compilando. Finora abbiamo ricevuto piu’ di 700 risposte, speriamo di arrivare almeno a mille. Mille persone sono significative per inquadrare un problema cosi’ complesso? In realta’ prevediamo anche di intervistare una ventina di cosiddetti «testimoni privilegiati», persone cioe’ che secondo noi conoscono a fondo il problema perche’ sono precari da anni, o perche’ hanno creato una rete, o magari perche’ se ne occupano come sindacato. Poi vorremmo intervistare anche l'altra parte, quella dei datori di lavoro: dirigenti amministrativi, direttori di ricerca o di istituto per capire quali sono secondo loro gli aspetti positivi o negativi dei contratti a termine. In questo modo possiamo approfondire alcuni degli aspetti che immaginiamo emergeranno dallo studio statistico. Qual e’ l'ipotesi da cui siete partite? La mia tesi e’ che se si e’ precari si fa cattiva ricerca. Ma naturalmente non basta: i ricercatori che avevamo sentito la volta scorsa lamentavano il maggiore stress dovuto all’assenza di tutele rispetto agli altri lavoratori, l'impossibilita’ ad accedere a mutui, la sana competitivita’ che si trasforma in rivalita’. La serenita’ e’ indispensabile nell'attivita’ di ricerca. Non solo. Con i contratti a termine si incoraggiano i ricercatori a lavorare in progetti che diano risultati a breve termine, trascurando ricerche di ampio respiro 0 buone idee che magari richiedono investimenti temporali piu’ cospicui. Sveva Avveduto, quali sono oggi le tipologie di precariato piu’ diffuse nel mondo della ricerca? E' difficile dare una risposta a questa do manda. Oltretutto molto dipende anche dalla percezione di se’: per alcuni, soprattutto giovani, un contratto a termine di uno, due o tre anni (come per esempio un dottorato) non e’ percepito come «precariato». Ma magari al terzo, quarto rinnovo di un contratto senza prospettive le cose cambiano... Quello che dopo la laurea appare come maggiore liberta’, a 35 anni diventa frustrazione. In generale comunque le forme di precariato sono le piu’ fantasiose. Le piu’ diffuse sono gli assegni di ricerca (1 0 2 anni), le borse di studio (tipicamente annuali), le forme di contratto tipo prestazioni occasionali, di durata variabile. Ma poi ci sono anche contratti «una tantum» o chiamate con varie modalita’, magari per partecipare o essere associato a un progetto di ricerca europeo. Perche’ il precariato e’ negativo per la ricerca? Perche’ in Italia diventa sempre qualcosa che si protrae in forma patologica, senza possibilita’ di sbocco. Dal punto di vista umano un eccessivo turnover e’ negativo. Ma lo e’ anche dal punto di vista della ricerca: non consente di accumulare conoscenze ed esperienza. Diverso sarebbe un precariato che consentisse da una parte di valutare dopo un anno di mollare una persona che non funzionasse ma dall'altra di assumere chi invece funziona e lavora bene nel gruppo di ricerca. Tenere una persona per decine di anni senza darle garanzie non e’ costruttivo: ne’ per la struttura ne’ per il ricercatore. Fra le domande che fate chiedete quali sono le mansioni che svolgono i ricercatori. Vi aspettate che non facciano ricerca? Dall'esperienza del passato e’ risultato spesso che in effetti cosi’. A fronte di un minimo impegno nella ricerca, molte persone si sentivano sottoutilizzate e sentivano frustrate LE PROPRIE COMPETENZE E ASPIRAZIONI. Nel questionario chiedete anche da chi e’ finanziato il contratto da precario. Vi aspettate che le cose siano cambiate con l'ingresso dei finanziamenti privati o di quelli europei? Si’. Pensiamo che il precariato sia cresciuto cosi’ tanto negli ultimi anni anche per questa ragione. Ma non le nascondo che ci siamo accorti che molti ricercatori precari hanno confessato di non sapere chi finanziasse il proprio contratto. Un ulteriore indice di frustrazione: la disperazione e’ tale che non importa chi paghi, basta che qualcuno paghi. Chiedete pure di ricostruire la storia del precariato di ciascun ricercatore. Cosa vi aspettate da queste racconti? Il fatto e’ che siamo partiti pensando alla situazione del Cnr. Moltissimi erano precari da anni nello stesso posto. Un chiaro indice del fatto che era il tipo di precariato piu’ «malato», quello che non tutela neppure la liberta’ del ricercatore di cambiare e di formarsi in centri di ricerca diversi ma lo incatena all'incertezza permanente. Uno degli aspetti su cui si concentra maggiormente il vostro questionario, oltre a quello umano e sociale, e’ Paspetto del potere decisionale del precario. Che evidentemente e’ pressoche’ nullo. Entrare in un ingranaggio senza poter avere la possibilita’ di influire nelle decisioni legate alla ricerca o alla struttura di cui si entra a far parte e’ uno degli aspetti piu’ malsani di questa condizione. Perdipiu’, da’ vita a un circolo vizioso in cui il meccanismo dell'esclusione e dell'autoesclusione e’ sempre all'opera. Un processo che mina alla base il principio fondante della scienza: la comunita’ scientifica non e’ piu’ una comunita’ di pari, egualitaria. Ma diventa una comunita’ spaccata fra chi detiene diritti e potere e chi occupa solo posti di bassa manovalanza. Assegni di ricerca, borse di studio, contratti «una tantum». Sono solo alcune delle tipologie lavorative nella ricerca e nell'universita’ in Italia. A1 punto che gran parte dell'istituzione universitaria e dell'attivita’ scientifica hanno le proprie basi su personale «non strutturato» _______________________________________________ Economy 12 feb. ’04 ATENEI GRATUITI? UN DISASTRO VOGLIA DI SUPER LAUREA UNIVERSITA’: PER LA FORMAZIONE DELLA CLASSE DIRIGENTE, IN GERMANIA SI PENSA A SCUOLE D'E’LITE Il risultato degli atenei gratuiti e’ stato disastroso. Perche’ i diplomati hanno una preparazione inadeguata a sostenere lo sviluppo del Paese. Cosi’ i primi a protestare sono proprio gli studenti. In Germania sta per cadere un altro tabu’. Gli studenti universitari dovranno pagare per i loro studi. In cambio avranno atenei migliori, professori piu’ motivati, laboratori moderni. E si progetta di creare universita’ di e’lite per i giovani piu’ dotati. Oggi, unico caso tra i Paesi industrializzati, gli studi superiori sono gratuiti, anzi gli iscritti ricevono una somma mensile per le loro prime necessita’, anche quelli che finiscono fuori corso. Ma il risultato e’ disastroso. Per le casse dello Stato e per la qualita’ della preparazione dei diplomati. La Germania, un tempo locomotiva d'Europa, e’ retrocessa a fanalino di coda e la colpa e’ anche del livello di istruzione. Mancano scienziati in grado di fare ricerche di rilievo, il made in Germany soffre per la concorrenza, l'ultimo Nobel per le scienze e’ stato assegnato a un tedesco 48 anni fa, il numero dei brevetti e’ inchiodato a quota 72 mila all'anno, la meta’ rispetto agli Usa. Non si alleva neppure la futura e’lite di imprenditori e dirigenti, che domani dovranno amministrare il Paese, o la loro azienda. Dagli atenei, si denuncia, escono burocrati o diplomati dalla cultura economica superata e futuri politici privi di idee. I piu’ bravi cercano rifugio all'estero, e pochi ritornano. L’ultimo anno se ne sono andati in 110 mila. La situazione e’ cosi’ grave che la Bundesbank, la banca centrale, si e’ offerta di vendere parte delle riserve auree per finanziare le nuove universita’. Perfino i ragazzi si offrono di pagare per ottenere condizioni di studio decenti, mentre i politici sono riluttanti ad approvare tasse per le universita’. «Non saro’ io la prima a far pagare chi vuole studiare, sarebbe un'ingiustizia sociale» si ribella la socialdemocratica Edelgard Bulmann, ministro federale per l'Istruzione. Intanto un gruppo di 48 studenti di Dresda ha scritto al governo regionale offrendo di pagare 100 euro a semestre, a patto che il Land della Sassonia non riduca il bilancio dell'istruzione. Gli universitari di Costanza si sono uniti all'iniziativa. Le paure di Frau Bulmann non sono giustificate dai dati: appena il 12% dei figli delle famiglie meno privilegiate arriva alla laurea. Solo negli ultimi anni sono state create universita’ private, ma nessuna al livello di una Bocconi. Una delle prime, a Witten, e’ diretta da Konrad Schily, fratello del ministro degli Interni, Otto. La retta e’ modesta, 250 euro al mese, e viene ammesso anche chi non se la puo’ permettere: «Paghera’ dopo, una volta laureato» spiega Schily. «Per otto anni, versera’ l’8% dei guadagni» (calcolati su una media di 17 mila euro annui). Chi ha uno stipendio piu’ alto, versa di piu’ di quanto siano costati i suoi studi, ma fino a un tetto di 30 mila euro. Perche’ non adottare lo stesso sistema per le future universita’ di e’lite pubbliche? Alla Bremer Intemational University, il costo si aggira sui 15 mila euro all'anno. La nuova European School of Management and Technology chiede mille curo alla settimana. Ma le rette vengono pagate in gran parte dalle imprese, che si vogliono assicurare i dirigenti migliori.di Roberto Giardina _______________________________________________ Il Sole24Ore 14 feb. ’04 DISCO VERDE AI PRIN, I PROGETTI DI RICERCA FINANZIATI DAL MIUR Contributi statali / II termine scade il 31 marzo ROMA a Via libera ai Prin, i progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale. Ieri il ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, ha firmato il decreto che apre il bando di cofinanziamento dei progetti di ricerca proposti dalle Universita’ per il 2004. I progetti saranno condotti da un coordinatore e svolti da una o piu’ "unita’ operative" di ricerca, appartenenti a singoli atenei o a piu’ strutture. «La novita’ di quest'anno - sottolinea il Miur - e’ la possibilita’ per i ricercatori universitari confermati di ricoprire il ruolo di coordinatori scientifici del programma, riservato fina allo scorso anno esclusivamente ai professori ordinari e associati. I ricercatori universitari non confermati avranno invece la possibilita’, al contrario degli anni precedenti, di coordinare le singole unita’ operative». I responsabili nazionali e locali dovranno garantire all'attivita’ di ri’cerca un impegno temporale di almeno 6 mesi per anno. Di conseguenza, i docenti e i ricercatori finanziati lo scorso anno non potranno presentare domanda nel 2004. Il cofinanziamento erogato dal Miur copre il 50% del costo totale nel caso di progetti intra universitari e del 70% nel caso di progetti interuniversitari. Sulla base della valutazione di revisori anonimi (italiani e stranieri) scelti tra i 30mila nominativi inseriti nella banca dati del Cineca, la graduatoria finale delle proposte sara’ affidata a una Commissione di garanzia, nominata dal ministro e composta da un presidente e da nove membri «di elevato profilo scientifico». II termine per la presentazione delle proposte scade il prossimo 31 marzo. Intanto e’ partito il confronto tra il Miur, il Cun (il Consiglio universitario nazionale) e la Crui (la Conferenza dei rettori delle universita’ italiane) sul disegno di legge delega che lo riforma lo status giuridico dei docenti universitari. Nell'incontro avuto con la Crui mercoledi’ scorso. il ministro Moratti ha assicurato che «ci sara’ una collaborazione con i rettori» per «lavorare su eventuali modifiche o integrazioni al testo e nella ricerca di percorsi per i decreti attuativi che siano anche correlati con risorse aggiuntive» ma anche « su un nuovo sistema di programmazione, che preveda una valutazione e quindi possa dare conto della qualita’ dei risultati». Sulla questione dei ricercatori c'e’ gia’ qualche dettaglio in piu’: i rapporti di lavoro per chi fa ricerca non saranno cococo., ma contratti a termine che consentano una ricostruzione della carriera. Piero Tosi, presidente della Cui, ha detto che «con questo confronto potremo incidere positivamente sul testo, ma - ha aggiunto - r on possiamo prescindere dalla necessita’ di risorse aggiuntive». ALESSIA TRIP0D1 _______________________________________________ Il Sole24Ore 10 feb. ’04 BIASOTTI: PER GENOVA IN ARRIVO LA SEDE DELL' IIT GENOVA a Rush finale per portare a Genova la sede dell'Iit, l'Istituto italiano di tecnologia. Il presidente della Giunta regionale ligure, Sandro Biasotti, ha indicato il sito che dovra’ ospitare il nuovo istituto. Si tratta dell'area dell'ex ospedale psichiatrico di Quarto dove l’Iit sara’ ospitato in un edificio di 20mila metri quadrati che sara’ ristrutturato e concesso in comodato gratuito per 99 anni. Il governatore ligure conta di ottenere l’imprimatur definitivo del Governo all'inizio della prossima setti-, mana. «La scelta di Genova - ha dichiarato - e’, a questo punto, altamente probabile. Confido che il ministro Tremonti possa annunciarla ufficialmente gia’ lunedi’ prossimo». Il capoluogo ligure dovrebbe quindi aver superato la residua concorrenza di altre citta’ (Milano, Roma, Torino e Pisa) che si erano candidate a ospitare l’Iit, una struttura che convogliera’ 50 milioni per l'anno in corso e 100 milioni all'anno a partire dal 2005 e per i successivi 10 anni. L'area dell'ex ospedale psichiatrico si delinea come una scelta definitiva da parte della Regione, anche se non e’ escluso un futuro trasferimento dell'Iit sulla collina degli Erzelli quando sara’ completato il progetto per la creazione del technology village al quale sta lavorando Renzo Piano. D.RA. ________________________________________________ La Stampa 12 feb. ’04 UN ERRORE IL NUOVO ISTITUTO DI RICERCA A GENOVA IL MONDO ACCADEMICO E I RAPPRESENTANTI DELLE ISTITUZIONI UNANIMI NEL CONTESTARE IL PROGETTO DEL GOVERNO Torino boccia l’idea di Berlusconi: e’ uno spreco Un Massachusetts Institute of Technology italiano? L’ha rilanciato ieri sera a «Porta Porta», la trasmissione di Bruno Vespa, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. «Si fara’, come abbiamo previsto nella legge finanziaria», ha detto, annunciando che nascera’ a Genova. Sollevando non poche proteste, sotto la Mole. «Non perche’ abbia scelto il capoluogo ligure - dice il sindaco Sergio Chiamparino - ma per il fatto che, a giudizio di gran parte, se non di tutta la nomenclatura scientifica italiana, si tratta di un’idea sbagliata: invece di realizzare una nuova sede di ricerca, il governo farebbe meglio a finanziare quelle esistenti». In tal senso, lo stesso presidente della Regione-Piemonte, Enzo Ghigo, insieme con il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni (entrambi del partito di Berlusconi), aveva scritto al ministro Tremonti facendo presenti le istanze dei due Politecnici di Torino e di Milano, ossia di due centri di «alta eccellenza» nel campo della ricerca e ! delle nuove tecnologie. Spiega Ghigo: «La nostra presa di posizione aveva ricevuto il plauso del mondo accademico». Ma, a questo punto, se sara’ ancora possibile intervenire, Ghigo lancia una sorta di appello ai parlamentari piemontesi affinche’ prendano posizione, suggerendo al governo di «meditare a fondo la questione». «L’illusione che facendo una cosa grossa si possano risolvere i grossi problemi e’ sbagliata», afferma la presidente della Provincia, Mercedes Bresso. «Per la ricerca - aggiunge -, a Torino, Milano o nel resto del Paese, esiste il problema della carenza di risorse. Le Universita’, i Politecnici, centri come il Cnr, sono all’osso. Non ha quindi senso costruire un nuovo istituto. Sarebbe molto piu’ utile e positivo spalmare i finanziamenti nei punti di eccellenza, dove la ricerca sta gia’ andando avanti. Non siamo nel Terzo mondo: in Italia gli enti sono numerosi. E allora diamo loro fiato, senza convogliare nuove risorse in strutture che impiegherebbero anni ad es! sere realizzate e a funzionare». Il mondo accademico, dai ricercatori al premio Nobel come Carlo Rubbia, ha sempre chiesto investimenti, ma non su un nuovo ente quale potrebbe essere l’«Iit», ossia l’Istituto italiano di tecnologia. E, alla notizia rimbalzata dalla trasmissione Rai, Marco Mezzalama, pro-rettore del Politecnico, ha osservato: «Quello del governo e’ un passo affrettato. Non solo perche’ i Politecnici di Torino e Milano, che hanno deciso di unire le forze costituendo una scuola d’eccellenza, sono degni di riconoscimento. Ma per il fatto che, in Italia, non c’e’ bisogno di nuove realta’, ma di potenziare gli istituti di ricerca esistenti, eventualmente cambiando alcune regole del gioco». Come, peraltro accade in tutto il mondo, in Europa e negli Stati Uniti d’America, dove la ricerca scientifica, soprattutto di base, si fa nelle Universita’. «A meno che - spiega il professor Mezzalama - si vogliano considerare alcuni istituti militari, e’ negli Atenei che si raggiungo! no i risultati migliori. Il paragone con il Mit fa sorridere: la sua forza sta nel collegamento con un territorio fertile nel sostenere la ricerca». Fra l’altro, sempre secondo Mezzalama, non ci sono le condizioni industriali e socio-economiche «perche’ si crei un simile circuito virtuoso intorno ad un nuovo ente». Conclude: «E’ probabile che sotto vi siano altre ragioni. Forse la completa sfiducia nel lavoro universitario, o la volonta’ di svolgere sulla stessa ricerca un controllo politico piu’ attento». Anche a giudizio di Angelo Garibaldi, pro-rettore dell’Universita’ degli Studi di via Po, «sarebbe una tragedia se ulteriori risorse fossero sottratte agli istituti di ricerca universitaria, gia’ oggi in forti difficolta’ per l’esiguita’ dei fondi». Chiarisce: «Se cosi’ non fosse, e se si trattasse di un progetto serio, non ci si potrebbe tuttavia dolere che l’Italia investa nel settore della scienza» Il Prorettore non ha pero’ dubbi a confermare che avrebbe preferito «accogliere a ! Torino il nuovo istituto». «Evidentemente - osserva - la scelta della sede risponde a ragioni politiche. Ma sotto la Mole non abbiamo paura della competizione. Anzi, magari potremmo creare nuove forme di sinergia anche con Genova». ________________________________________________ Il Messaggero 13 feb. ’04 UNIVERSITA’, I PROF DENUNCIANO I CONCORSI-FARSA L’inchiesta/Viaggio nei meccanismi di accesso e di avanzamento nella carriera accademica, mentre e’ in discussione il progetto di riforma «I vincitori scelti prima di bandire l’esame. Premiata la fedelta’ piu’ della bravura» di LUIGI PASQUINELLI ROMA Concorsi. Di colpa. L’apparato parallelo tira le fila delle carriere, nell’ombra ma non troppo. Tutti sanno, la maggior parte si adegua, chi contesta viene fatto fuori. L’universita’ italiana, in cerca di una difficile rigenerazione, ridefinisce per volonta’ del ministro Moratti le norme di accesso e di avanzamento nella professione. Ma non sempre le regole scritte dettano legge, soprattutto in Italia. Le regole scritte prevedono, per ogni cattedra che si libera, un concorso pubblico, e vinca il migliore. In realta’ nei nostri atenei vige, non dichiarata, la chiamata diretta, un ferreo regime di cooptazione che, quasi sempre, promuove i piu’ fedeli, non i piu’ bravi. Non si tratta di eccezioni, di episodi, per quanto diffusi. Si tratta di un vero e proprio sistema, consolidato, con la sua ideologia, i suoi meccanismi, i suoi centri di manovra, i suoi manovratori, le sue sanzioni. In barba alle leggi ufficiali, quelle dello Stato che tace, quindi acconsente. Un esempio: nel 1992 si costituisce a Palermo la Societa’ Italiana di Estetica. La presiede Luigi Russo, direttore del Dipartimento di Filosofia dell’universita’ di Palermo. Sergio Givone e’ uno dei grandi maestri dell’Estetica in Italia, ma non per questo abbellisce le sue parole: «Quella societa’ e’ nata esclusivamente per gestire le cattedre di Estetica. Favorisce solo i propri iscritti. Ignoro se siano contemplati riti di iniziazione. E’ un’associazione paramafiosa». Il professor Luigi Russo, nel 1999, fu denunciato pubblicamente da Giuliano Compagno, candidato alla cattedra di Estetica a Roma, Tor Vergata. «Per 14 anni dice ho fatto l’assistente del professor Mario Perniola. Nel ’99, per farmi entrare, l’universita’ bandi’ un concorso per associato. Alcuni membri si accordarono, misero in minoranza Perniola e imposero i loro protetti. Denunciai i commissari Luigi Russo e Maurizio Ferraris alla radio, segui’ un’interrogazione parlamentare e tutto fini’ li’. I docenti in questione ! non mi hanno mai querelato». Ogni materia ha i suoi centri di potere, le ”cupole” decisionali. Storia economica e’ gestita da un professore di Bari, Storia dell’arte medioevale da un ”comitato” di tre ordinari afferenti alle universita’ di Roma, Siena, Milano. E via manipolando. Quando si libera un posto l’universita’ bandisce il concorso. Prima sceglie il vincitore, poi forma la commissione che dovra’ consacrarlo. La legge prevede che i commissari d’esame vengano eletti a livello nazionale dai docenti di quella materia. Per pilotare le elezioni e’ dunque richiesta un’efficiente organizzazione. «C’e’ tutto un giro di telefonate, un tam tam tra docenti dice il cultore della materia Sergio Cortesini (Storia dell’Arte contemporanea alla Sapienza) che precede la votazione. Si scelgono i colleghi compiacenti. Oggi facciamo un favore ai professori tizio e caio, domani ci restituiranno la cortesia. Talvolta al concorso si presenta un candidato non previsto. Potrebbe disturbare i giochi. Capita allora che il docente ! lo chiami a casa e gli chieda di ritirarsi. Lui allora se e’ furbo coglie la palla al balzo e replica: per questa volta mi ritiro, ma la prossima ricordati di me». In America vige la chiamata diretta e nessuno si scandalizza perche’ li’, a essere convocati, sono i migliori. Le universita’ tra di loro sono concorrenti, per mantenere alte le rette devono difendere il proprio prestigio per cui attirano i piu’ bravi. Da noi invece, dietro la farsa dei concorsi, fa premio non il talento ma l’amicizia. «Da dieci anni entrano solo i portaborse», dice Grazia Marchiano’, ex docente nella facolta’ di Lettere di Siena, da due anni in pensione. «I miei studenti non sono mai potuti accedere alla ricerca perche’ io non ho mai voluto esercitare un certo tipo di potere. Per lo stesso motivo mi sono sempre rifiutata di fare l’esaminatrice ai concorsi». Un sistema corrotto, guidato da logiche e meccanismi occulti, che si e’ consolidato nel corso dei decenni. «I concorsi sono sempre stati fasulli», ricorda l’ex docente di Patologia generale a Ferrara, Tristano Sapigni, oggi in pensione. «Nel 1980 il direttore d’istituto mi garanti’ il posto. Durante l’esame per l! a libera docenza la commissione neanche mi ascoltava, non ne aveva bisogno, tanto sapeva che ero io il vincitore designato. Una frustrazione atroce». Nell’universita’ italiana non si accede per concorso ma entrando nelle grazie del ”barone” di turno. «Ricercatori umiliati dice Giuliano Compagno costretti al giro delle sette chiese, alla frequentazione dei finti convegni, organizzati dai professori per incontrarsi e spartirsi i concorsi. Una volta respinto da Tor Vergata ho mandato i miei titoli in Norvegia per un posto di associato all’universita’. Sono arrivato secondo su 19 persone. Non mi avevano mai visto in faccia». Il ministro Moratti vorrebbe ripristinare il concorso nazionale, per combattere gli interessi localistici, per garantire la trasparenza. «Cosi’ le commissioni esaminatrici prevede Givone avranno un potere pressoche’ assoluto su tutte le cattedre messe a concorso negli ultimi due, tre, quattro anni. A dominare saranno gli interessi delle scuole, degli allievi, per non dire di peggio: se le cattedre di Estetica sono manipolate in questo modo mi chiedo che cosa potra’ accadere a Medicina, a Giurisprudenza, in tutte quelle facolta’ con importanti ricadute professionali e industriali». L’INTERVISTA «Le lobby? Esistono: e’ identita’ di vedute» Luigi Russo: «E’ facile prevedere chi otterra’ il posto, e’ tutta gente che si conosce» ROMA Luigi Russo, direttore del Dipartimento di Filosofia dell’universita’ di Palermo e responsabile della Societa’ Italiana di Estetica, nata nel 2002 a Palermo. Professor Russo, perche’ ha fondato questa nuova societa’ di estetica? «Per organizzare la presenza dell’Estetica in ambito universitario. Per portare l’Estetica nelle scuole, nella vita di tutti i giorni. C’e’ una grande domanda di Estetica». La sua societa’ e’ correlata con l’universita’ ? «No, e’ una societa’ autonoma anche se ad essa aderisce la stragrande maggioranza dei docenti universitari di Estetica, ne contiamo oltre 200». Fate attivita’ di ricerca? «Ricerca in quanto tale no. Facciamo convegni, proponiamo iniziative, pubblichiamo un notiziario dei libri che escono». Vi occupate di concorsi universitari? «Direttamente no. Naturalmente esprimiamo valutazioni, osservazioni». Esistono lobby che decidono chi vince i concorsi? «Bisogna capirsi sulla parola lobby. Se intendiamo modalita’ mafiose, interessi privati, sono certamente da condannare. Se invece per lobby si intende il consenso, il comune apprezzamento, l’identita’ di vedute dei docenti su un candidato bravo, allora credo che il lobbismo faccia parte di qualsiasi sistema universitario. E’ facile prevedere chi vincera’ il concorso perche’ e’ gente che si conosce, che frequenta i convegni, che pubblica». Allora a vincere sono i piu’ bravi? «La comunita’ scientifica si assume le sue responsabilita’. E’ difficile fare errori, parliamo di poche persone, le conosciamo tutte, partecipano agli incontri, pubblicano». Lei conosce i candidati di tutta Italia? «Io conosco tutti nel campo dell’Estetica, docenti, studenti, molti li ho visti nascere, come si dice. Ho un continuo monitoraggio su tutto il Paese». Dicono che lei, tramite la sua societa’, decide chi verra’ promosso e chi no in tutti i concorsi di Estetica. «Il 90 per cento dei docenti di Estetica sono soci della societa’, forse per questo si dice cosi’». Come mai i nomi piu’ noti dell’Estetica italiana, da Cacciari a Givone, da Rella a Zecchi, non fanno parte della sua societa’? «E’ gente che non si vuole impegnare nelle universita’, non fanno nulla in questo campo». Dicono che il controllo che lei esercita sui concorsi di Estetica abbia un carattere para-mafioso. «Ognuno puo’ dire quello che vuole. C’e’ tanta invidia, malelingue... Le pare che abbia un senso? Boh?». ________________________________________________ La Nuova Sardegna 13 feb. ’04 UNIVERSITA’, ISCRIZIONI IN CALO DELL'11,6% Da ieri la conferenza d'ateneo, radiografia della didattica SASSARI. "Questa conferenza d'ateneo sulla didattica e’ un appuntamento fondamentale dal quale vogliamo partire per costruire un'universita’ piu’ efficiente e piu’ competitiva, per rispondere alla sfida della riforma". Con questa iniziale considerazione del rettore Alessandro Maida, si e’ aperta ieri, nel complesso didattico della facolta’ di Scienze, in via Vienna, la conferenza sulla didattica, in programma sino a domani. E' stato osservato un minuto di raccoglimento in memoria di tre docenti scomparsi in questi giorni. Glauco Lepori, gia’ preside della facolta’ di Scienze, Marco Tangheroni, che a Sassari aveva guidato la facolta’ di Magistero, e Paolo Ruiu, gia’ preside della facolta’ di Medicina, maestro della gran parte degli anestesisti che operano nell'isola, sono scomparsi nei giorni scorsi. Entrando nell'argomento della conferenza il rettore Alessandro Maida ha auspicato un intervento significativo degli studenti su un tema centrale come la didattica. L'ateneo sassarese conta, al 31 dicembre scorso, circa 15.300 iscritti rispetto ai 17.548 studenti dello scorso anno accademico con un deciso e preoccupante calo di immatricolazioni dell'11,6 per cento. I docenti sono 694 (196 di prima fascia, 229 di seconda fascia, 237 ricercatori, 24 assistenti e 8 stabilizzati) mentre il personale tecnico-amministrativo si attesta sulle seicento unita’. "L'ateneo dovra’ procedere all'individuazione di iniziative formative, in particolare corsi di laurea specialistica, che rispondano alle esigenze di professionalita’ espresse dal territorio - ha sottolineato il rettore Maida -. In questo percorso, anche sulla base della riforma degli ordinamenti didattici e dello stato giuridico dei docenti, si dovra’ tenere conto, modificandole, di alcune iniziative che hanno dato luogo a un'eccessiva frammentazione degli ambiti formativi, ad alcune sovrapposizioni tra corsi, a dispersioni delle risorse didattiche". Il rettore ha rimarcato quindi l'impegno perche’ in tempi bresi si possa potenziare l'edilizia universitaria, una necessita’ per andare incontro alle esigenze didattiche e di spazi per gli studenti. La prossima primavera, ad esempio, dovrebbero essere completati il secondo lotto del "Quadrilatero" di viale Mancini, per Giurisprudenza e Scienze Politiche e il primo lotto di Farmacia, a Monserrato. Il professor Attilio Mastino, prorettore, ha proposto invece un'ampia relazione sull'alta formazione nell'universita’ sassarese, abbracciando i diversi aspetti. "Si deve segnalare un certo riequilibrio nell'offerta formativa - ha affermato Mastino - Attualmente le sei facolta’ scientifiche vedono attivati 18 corsi di laurea piu’ 8 di Medicina, le 5 facolta’ umanistiche 16 corsi di laurea. Per la laurea specialistica sono attivi i corsi di Farmacia e Farmacia industriale, Medicina e Chirurgia, Veterinaria e Odontoiatria". Oggi seconda giornata di lavori, con le conclusioni del rettore previste alle 20. Marco Deligia ________________________________________________ La Nuova Sardegna 13 feb. ’04 SCUOLA E UNIVERSITA’: IL LAVORO C'E’, IL MERCATO RICHIEDE PIU’ NEOLAUREATI Sassari. I nuvoloni cupi del petrolchimico fanno ombra anche sull'universita’. La facolta’ di chimica di Sassari sopravvive su un numero risicato di iscritti. Colpa delle aspettative dei ragazzi: l'orizzonte occupazionale e’ a corto raggio, chi sogna poi di lavorare nel comparto industriale deve fare i conti con la convinzione diffusa che le prospettive sono tutt'altro che rosee. Visione, questa, completamente distorta. La crisi esiste, e’ vero, ma chi si laurea in chimica finisce per sistemarsi. "Il mercato a livello nazionale e’ in grado di assorbire 5000 chimici l'anno - spiega Antonio Saba, docente universitario ed ex assessore all'ambiente - invece le facolta’ ne sfornano in media 1000, molto meno rispetto alla domanda. Naturalmente i nuovi laureati trovano lavoro piuttosto facilmente". Nell'immaginario collettivo l'industria chimica richiama autommaticamente un'immagine di declino. "Questo e’ profondamente sbagliato - prosegue Saba - perche’ si guarda questo settore da un'angolazione sbagliata. La chimica non e’ solo il petrolchimico, la chimica e’ ambiente, e’ disinquinamento, trasporti, tecnologia. Dalla mattina, da quando ci alziamo sino al momento di riandare a letto, ognuno di noi ha a che fare con la chimica nella proprio quotidianita’. Non e’ un comparto che si puo’ cancellare da un momento all'altro". Una gestione che fa discutere e’ quella ad opera dell'Eni. "L'Ente vuole smantellare, e’ convinta che si possa lucrare dal petrolio. La e’ considerata solo una palla al piede. E non c'e’ niente di piu’ sbagliato, non bisogna lasciarla morire. In Sardegna ci sono impianti unici da salvare: il cloro soda di Assemini, modernissimo, fatto con celle a membrana, unico nel suo genere in Italia. Come si fa a chiuderlo? Certe specificita’ bisogna solo salvaguardarle e valorizzarle". Certo, ne e’ passato di tempo dal boom della Sir, da quegli anni settanta che hanno visto l'industria macinare a pieno regime. "Poi e’ cominciata la guerra, la disputa per accaparrarsi i contributi, la gara a costrire l'impianto piu’ grande. Da qui e’ iniziata la crisi, e ancora a livello nazionale va avanti. Ma la politica di smantellamento non porta a niente. Bisogna fermarsi un attimo, riflettere e percorrere le altre vie di sviluppo". Una strada simile e’ quella imboccata dall'istituto tecnico industriale di Sassari. Gli ultimi anni le iscrizioni al corso di chimica hanno registrato un lieve aumento, ma il numero degli alunni e’ sempre basso. "Ci siamo adattati alla situazione locale e nazionale - dicono il preside Massimo Sechi e l'insegnante Gianni Saba - buona parte della didattica si concentra sui settori di maggior sviluppo, che sono quello del controllo ambientale (laboratori Asl, Universita’) oppure il comparto privato, quello dello smaltimento dei rifiuti o dell'acqua. I piani di studio fanno si’ che i neodiplomati abbiano delle competenze spendibili sul mercato del lavoro". Luigi Soriga ================================================= ________________________________________________ La Nuova Sardegna 6 feb. ’04 IL PROTOCOLLO PIACE AI PROF PIU’ SEVERI: I SINDACATI La bozza per l’azienda mista Regione-Universita’ L’assessore: "Chiedero’ una sessione su questo" "Il consiglio discuta sull’intero pacchetto della sanita’ sarda" CAGLIARI. E brava la commissione dell’assessorato che ha prodotto un distillato di equilibrio tra le esigenze degli universitari e quelle dei medici ospedalieri nella bozza di protocollo per l’azienda mista Regione-Universita’. Ieri pomeriggio il documento ha ricevuto l’approvazione (ancora informale) dei sindacati dei medici in una riunione convocata dall’assessore regionale Roberto Capelli. C’e’ qualcosa da rivedere e i rappresentanti delle varie sigle invieranno note scritte nei primi giorni della prossima settimana. Ma l’impostazione e’ piaciuta e s’e’ diffuso un certo sollievo perche’ gli ospedalieri temevano la voracita’ universitaria e gli universitari non sapevano cosa aspettarsi dalla novita’ inusitata di una truppa ospedaliera che si ribella e riesce a farsi ascoltare. Il protocollo e’ il documento guida perche’ l’universita’ e il servizio sanitario regionale diano uomini e mezzi alla didattica, alla ricerca e all’assistenza finalizzata sia al malato che cerca l’alta specializzazione sia all’apprendimento dei giovani che vogliono diventare medici, infermieri, fisioterapisti via elencando le figure che la riforma della facolta’ ha assegnato a Medicina. Ieri in assessorato si e’ fatto un passo avanti perche’ la bozza di protocollo ha superato uno degli esami piu’ temuti: quello dei sindacati dei medici che nei mesi scorsi avevano detto in ogni sede di non essere disposti a finire sottomessi agli universitari. La commissione di tecnici esterni all’assessorato ha tenuto una gran quantita’ di audizioni, il risultato dell’equita’ del trattamento sembra raggiunto. Sandro Loche, dell’Anaao-Assomed: "L’impianto del documento e’ ben fatto. Temevano un predominio universitario invece si e’ riusciti a studiare situazioni che consentono ruoli paritetici". Franco Tiddia dell’Anpo, l’associazione che raduna i primari (oggi chiamati dirigenti di secondo livello): "Presenteremo alcune annotazioni, ma il documento va bene e i principi di parita’ sono fissati sulla carta. Si va dal bilanciamento degli orari di lavoro alla equa presenza di ospedalieri e universitari nei dipartimenti. I dipartimenti saranno di tre tipi: integrati, dove c’e’ la predominanza di personale universitario e quindi saranno a direzione universitaria, col vice ospedaliero; assistenziali, dove il direttore sara’ un ospedaliero e il vice universitario; interaziendali dove si inquadrano le situazioni atipiche di reparti che non verranno trasferiti negli edifici delle nascenti aziende miste. Una preoccupazione e’ sulla rete ospedaliera: se in consiglio regionale passa prima il protocollo e poi si pensera’ alla razionalizzazione degli ospedali, dove si decidera’ il numero di posti letto, c’e’ il rischio che parte delle previsioni del protocollo restino inattuate". Luigi Maxia della Cimo: "Il documento e’ equilibrato ed e’ una buona base per cominciare. C’e’ parita’ di orari e di guadagni. Gli universitari hanno la loro quota dedicata alla didattica, ma devono certificare anche la presenza in turni e guardie garantendo una quota all’assistenza nei reparti. L’unica perplessita’ che ci rimane e’ che l’argomento protocollo Universita’-Regione sia stralciato dalla razionalizzazione delle rete ospedaliera di cui fa parte. E’ indispensabile che ci sia un coordinamento perche’ in commissione e in consiglio regionale vengano discussi assieme sia la rete ospedaliera (con eventuali scorpori di ospedali) sia il piano sanitario, sia l’agenzia per la sanita’ (strumento di verifica dei risultati). Si tratta di argomenti che si intersecano. La razionalizzazione degli ospedali prevede tagli: se si dovesse approvare prima l’azienda mista questa avra’ posti letto per acuti e per cronici concessi senza tenere conto del numero complessivo finale destinato a calare. Le realta’ valutate dopo rischiano di subire tagli piu’ drastici soprattutto fra gli acuti, quelli presi di mira. L’agenzia e’ passata in commissione gia’ da due anni, la razionalizzazione risale a luglio e il piano sanitario e’ pronto per la presentazione". L’assessore Capelli: "Conto di finire la concertazione e presentero’ la bozza alla giunta. Ai capigruppo del consiglio proporro’ una sessione di lavoro dedicata alla sanita’. Se si vuol fare programmazione sanitaria, bisogna affrontare il pacchetto intero dei diversi argomenti sul tappeto". Riassumendo: alla sanita’ sarda senza distinzioni di appartenenze serve che si lavori su tutti i documenti elencati, all’universita’ ne puo’ bastare uno. In stralcio. ________________________________________________ La Nuova Sardegna 7 feb. ’04 IL SINDACATO CISAL SULLA BOZZA DEL PROTOCOLLO D’INTESA "L’azienda mista non ignori i lavoratori ancora precari" CAGLIARI. "Parzialmente soddisfatta" si dichiara la Cisal (confederazione italiana sindacati autonomi lavoratori) della bozza del protocollo d’intesa per l’azienda sanitaria mista Regione-Universita’. Ci sono ancora aspetti controversi. Per esempio: "Dalla lettura del protocollo non traspare il motivo principale per cui l’azienda deve nascere che e’ quello di fornire, nel contesto del piano sanitario regionale, un tipo di assistenza funzionale alla didattica e alla ricerca". "Riguardo alle modalita’ di attribuzione dell’organico alla costituenda azienda mista, la Cisal ha evidenziato che i due comparti, in proporzioni uguali, devono mantenere lo stato giuridico ed economico di rispettiva appartenenza". Altro aspetto evidenziato da Cisal nell’incontro con i funzionari dell’assessorato: "C’e’ il problema del personale precario delle varie categorie a contratto che da anni presta servizio prezzo l’universita’ e in particolare con il policlinico, personale al quale deve essere garantito il mantenimento del posto di lavoro e il corrispondente salario previsto dai contratti di categoria. Un ulteriore problema - scrive ancora Cisal - riguarda il finanziamento delle attivita’ assistenziali e del corrispettivo che deve essere posto a carico della Regione per le lauree triennali delle professioni sanitarie ________________________________________________ L’Unione Sarda 10 feb. ’04 MEDICI, UNO SCIOPERO IN PUNTA DI PIEDI Garantiti pronto soccorso e servizi essenziali, molti pazienti sono rimasti a casa La protesta riesce ma gli ospedali non vanno in tilt E’ una tranquilla giornata di sciopero quella che ieri ha visto incrociare le braccia i medici ospedalieri. Tutti, o almeno tutti quelli che potevano: tra pronto soccorso, interventi che non potevano essere rinviati e altri servizi essenziali piu’ di un camice cagliaritano ha dovuto aderire solo in spirito alla protesta nazionale indetta da tutte (record storico) le sigle sindacali della sanita’. La maggioranza comunque non ha lavorato, tanto che l’Anaao Assomed nel pomeriggio parlava di adesioni oltre il novanta per cento: «In mattinata ho fatto un giro per gli ospedali cittadini - dice soddisfatto il segretario regionale Marcello Angius - e ho constatato che l’astensione e’ stata molto, molto massiccia, come d’altronde e’ successo nel resto dell’Isola». Basterebbe un dato assolutamente empirico per confermare il successo della protesta: la facilita’ di parcheggio ieri mattina di fronte al Brotzu. «Poca gente, c’e’ lo sciopero» spiegava allargando le braccia uno degli ambulanti senegalesi che propongono vestiario d’occasione a chi esce dal San Michele. Pochi camici, ma soprattutto pochi pazienti un po’ in tutti gli ospedali cittadini: molti sapevano dai giornali e dalla tv dello sciopero e hanno rinviato le visite, altri lo hanno saputo telefonando al Cup, il centro unico di prenotazione telefonica. E poi, inevitabilmente, qualcuno lo ha scoperto ieri mattina sul posto:! «Qualche caso c’e’ stato - dicono all’ufficio relazioni col pubblico del Binaghi - In particolare pazienti di una certa eta’. Nel complesso pero’ siamo riusciti a rispondere alle esigenze di tutti». Qualche scricchiolio la macchina dell’emergenza programmata l’ha fatto sentire. E’ il caso di un’insegnante che ha visto svanire il suo appuntamento per una mammografia dopo un mese e mezzo d’attesa e ora dovra’ lanciare di nuovo i dadi al gioco dell’oca delle prenotazioni. Ma nel complesso pochi disagi e poche sorprese: e’ la situazione descritta piu’ o meno dappertutto. Appena un paio di telefonate per chiedere informazioni al San Giovanni di Dio, dove «e’ filato complessivamente tutto liscio». Giornata «abbastanza tranquilla» anche al Marino. In qualche reparto hanno dato una mano anche i camici fantasmi, cioe’ i professionisti che hanno aderito allo sciopero evitando di timbrare il cartellino all’ingresso ma dando ugualmente una mano in corsia. Pochi, a giudicare dal silenzio che ieri regnava nella maggior parte degli ambulatori. Una delle poche zone affollate di camici era la sala conferenze dell’Oncologico, dove si sono riuniti i medici piu’ sindacalizzati per ribadire tre concetti davanti al presidente provinciale dell’Ordine, Mondino Ibba. Il primo, piu’ immediato: «Di questo passo rischiamo di guadagnare il trenta per cento in meno rispetto a oggi, e chi vuole restare sui livelli attuali dovra’ tuffarsi a testa bassa su straordinari e festivi non pagati pur di centrare gli obiettivi prefissati». Il secondo, tra il preoccupato e il preoccupante: «Gli autoferrotranvieri hanno scioperato per anni secondo le regole e nessuno li ha mai notati. Quando hanno deciso di non rispettare leggi e decreti sono finiti sulle prime pagine: speriamo davvero di non dover mai ipotizzare nulla del genere per la nostra categoria». E infine il terzo, quello di fondo: «Dobbiamo dirlo chiaro ai giornali e alle televisioni in modo da farci capire: questo sciopero non e’ contro i pazienti. Al contrario, lo abbiamo proclamato ! proprio perche’ vogliamo essere messi in grado di offrire un servizio migliore, non solo e non tanto perche’ venga rinnovato il nostro contratto». Celestino Tabasso ________________________________________________ L’Unione Sarda 10 feb. ’04 MEDICI SARDI SUL PIEDE DI GUERRA «ABBIAMO GLI STIPENDI PIU’ BASSI» Massiccia adesione allo sciopero nazionale per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro Dopo il ministro Sirchia anche i sindacati contro i manager delle Asl I camici bianchi vanno alla guerra. Ieri hanno vinto la prima battaglia, con un’adesione bulgara allo sciopero. Coordinati da quaranta sindacati, (150 mila unita’ in tutto il Paese, circa 3000 in Sardegna) sono inquadrati secondo specializzazione: medici, psicologi, chimici, fisici, biologi, farmacisti, veterinari e parte degli amministrativi. Ma la punta di diamante dell’esercito e’ formata dai “dottori”: direttori di reparto (ex primari), direttori di strutture (ex aiuti), dirigenti specialisti (ex assistenti) tutti accomunati, dall’ultimo contratto, nella dirigenza, perche’ tutti hanno “responsabilita’ di spesa”. Todos caballeros? Non si direbbe «perche’ - spiega Marcello Angius, segretario regionale del sindacato Anaao - i medici sardi hanno gli stipendi piu’ bassi d’Italia. In Sardegna, infatti, il contratto scaduto il 31 dicembre 2001 non e’ stato applicato riguardo alle indennita’ di carattere regionale». Il che pone i medici dell’Isola in una posizione di inferiorita’ rispetto ai colleghi del resto d’Italia. Situazione critica, cui si aggiunge il mancato rinnovo del contratto stesso. Da qui la comprensibile reazione del popolo della Sanita’ pubblica, deciso a portare la protesta alle estreme conseguenze, come la denuncia della legge che regola lo sciopero nelle strutture pubbliche. Ma non e’ solo una questione di soldi: i medici chiedono di essere messi in grado di affrontare un processo di aziendalizzazione che li ha trasformati in amministratori, senza la preparazione necessaria; vogliono avere voce in capitolo nell’organizzazione dell’assistenza; dicono basta al blocco delle assunzioni; all’affidamento dei servizi all’esterno. In altre parole, vogliono contare di piu’, rilanciare un’organizzazione pubblica in cui credono ma che tende a spingerli ai margini, mentre non riesce a garantire prestazioni decenti a tutti i cittadini. Obiettivi difficili da raggiungere in una regione che, secondo Angius, «sfiora nella sanita’ un deficit di mille miliardi di lire, considerando quello relativo all’anno in corso e i residui del passato». Situazione destinata ad aggravarsi con la riduzione dei finanziamenti da parte dello Stato, ma soprattutto se andra’ avanti il processo di modifica Costituzionale che affida alle Regioni «la responsabilita’ di organizzare e gestire la sanita’». Un progetto dal quale ha preso le distanze (con un articolo sul Corriere della Sera) il ministro della Sanita’ Girolamo Sirchia, che ha addirittura solidarizzato con gli scioperanti e sparato a zero sulla figura dei direttori generali della Als. «La Sanita’ e’ una cosa seria che non si puo’ lasciare solo nelle mani dei manager» ha scritto il ministro nel delineare questa figura di dirigente «totipotente» portatore di «alcuni effetti negativi come il rischio di ingerenza della politica nella sanita’». Un personaggio che «sceglie i primari e le scelte non sono sempre basate sulla qualita’ delle persone o sul rapporto favorevole qualita’/ prezzo per i beni e servizi». Marcello Angius e’ assolutamente d’accordo: «Io li ho sempre chiamati dittatori generali, perche’ hanno le prerogative di gestire la sanita’ senza mai interpellare i medici». Il sindacalista mette sotto accusa le scelte dei manager: «Il cittadino ha bisogno di risposte, noi non riusciamo a dargliele perche’ i direttori generali, che pensano solo in termini ragionieristici, tagliano, chiudono, orientano diversamente scelte che dovrebbero essere di natura medica». Sembrera’ singolare, ma in questa vertenza i manager sono diventati oggetto di un vero e proprio tiro al bersaglio, considerati, a torto o a ragione, responsabili della progressiva decadenza dell’assistenza pubblica. Anche per questo, Franco Trincas, direttore generale della Asl di Sanluri, solidarizza coi medici «che chiedono il rinnovo del contratto» ma e’ sconcertato dalle parole del ministro: «Mi viene da pensare che abbia voluto lanciare una provocazione a mezzo stampa. Certo dispiace non potersi confrontare con lui, che non ha la piu’ pallida idea di cosa sia la gestione in campo sanitario. Il ministro sa benissimo che la spesa e’ sottostimata e i direttori generali devono far quadrare i conti con le provviste finanziarie disponibili. Altro che strapotere: abbiamo solo straresponsabilita’». Franco Mulas, manager della Asl di Nuoro, ridacchia invece quando sente le accuse del ministro: «Ma come si possono dire cose del genere! La verita’ e’ che anche tra i direttori generali ci sono, come in tutte le categorie, buoni e cattivi. Evidentemente chi li nomina deve stare attento a individuare le persone giuste. Esercitando le quattro grandi funzioni tipiche della Regione e dello Stato: la programmazione, gli indirizzi, il coordinamento e i controlli. Solo allora il direttore generale lavora in un quadro adeguato. L’unica cosa che condivido nelle dichiarazioni del ministro e’ che non dobbiamo avere una sanita’ con un taglio economicistico. La sanita’ e’ una cosa troppo seria per essere affrontata in termini economicistici». Anche l’assessore regionale alla Sanita’ Roberto Capelli invita alla cautela: «Quando si parla di manager non bisogna generalizzare. Ma certo i criteri di scelta e soprattutto le norme che regolano i rapporti tra assessorati e direttori generali sono da rivedere. Poiche’ li abbiamo selezionati noi, come classe politica, non possiamo pero’ riversare su di loro responsabilita’ di scelte a volte non adeguate». Per questo Sirchia sostiene che i manager, nella sanita’, rappresentano soprattutto la politica. «Condivido questa lettura, anche se nella nostra esperienza, certe situazioni negative non sono ascrivibili ai direttori generali». A proposito di responsabilita’, i sindacati chiamano in causa la Regione per l’enorme deficit, la mancata applicazione del contratto, ma anche per l’assenza (dal 1985) di un piano Sanitario. «Io so soltanto - risponde Capelli - che negli ultimi tre mesi abbiamo recuperato 980 miliardi tramite mutui e assegnazioni statali; stiamo programmando gli interventi di finanza innovativa perche’ si possa affrontare piu’ serenamente il futuro; sono presenti in aula il Piano di razionalizzazione ospedaliera e l’Agenzia della sanita’; stiamo elaborando la riorganizzazione delle Asl in rapporto alle nuove province; stiamo presentando proposte di legge per le aziende ospedaliere; presentero’ entro pochi giorni il Piano sanitario regionale. Insomma, credo che tutti gli atti per una seria programmazione sanitaria siano pronti per l’approvazione». Peccato che la legislatura sia ormai agli sgoccioli. Lucio Salis ________________________________________________ Corriere della Sera 10 feb. ’04 FUORI I PARTITI, MALATI AL PRIMO POSTO Manifesto per la rinascita della sanita’ Le proposte di nove grandi medici: «Migliorare il sistema senza aumentare le spese» SANITA' IN CRISI LA PROPOSTA In Italia, il «diritto alla salute» e’ sancito dalla Costituzione. Perche’ questo si possa realizzare c' e’ una legge - la numero 833 del 21 dicembre 1978 - che istituisce il Servizio sanitario nazionale. In questo modo la societa’ si fa garante del diritto alla salute e i costi sono sostenuti dalla collettivita’ attraverso le tasse. Questo consente al governo di destinare alla sanita’ un determinato budget che si esprime in percentuale del Prodotto interno lordo (Pil). In questo momento, in Italia, la percentuale del Pil destinata alla sanita’ e’ nella media europea (8,4%), ma spendiamo meno di Francia, Germania, Olanda, Belgio, Svizzera. LA SPESA SANITARIA - Da qualche anno le spese per la sanita’ (in Italia e in tutti i Paesi industrializzati) tendono ad aumentare. L' aumento delle spese e’ legato soprattutto all' invecchiamento della popolazione e alla scoperta di nuove terapie e strumenti di diagnosi che vengono presentati come indispensabili alla cura delle malattie. Dal momento! che lo Stato (in Italia come negli altri Paesi industrializzati) incontra difficolta’ crescenti nel fare fronte a una spesa in costante aumento, agenzie internazionali come l' Organizzazione mondiale del commercio spingono per privatizzare le strutture che forniscono servizi sanitari e auspicano che il finanziamento per la sanita’ si possa incrementare con fondi privati. Questa impostazione prevede che i cittadini paghino parte delle prestazioni mediche (onere che si aggiunge alla tassazione). Nel Paese che ha il sistema sanitario piu’ fortemente regolato dalle leggi del mercato e che spende per la salute poco meno del 14% del Pil, gli Stati Uniti, 8.000 medici hanno firmato un documento che chiede la fine del sistema basato sulle assicurazioni private e degli ospedali for-profit, e propone l' istituzione di un sistema assicurativo nazionale unico, finanziato dallo Stato. LE COMPETENZE - Uno stimolo alla discussione: cosa si potrebbe fare subito (senza aumentare le spese)? Azi! ende sanitarie locali e ospedali sono retti da direttori generali. Il direttore generale che ha sostituito il Consiglio d' amministrazione nel 1995 doveva dare dinamicita’, rispondere in prima persona delle sue scelte (e del bilancio). Ma presto ci si e’ accorti che direttori generali si diventa solo se vicini a questo o quel partito. E' necessario, invece, separare la politica dalla gestione e scegliere i direttori delle Asl e degli ospedali sulla base delle competenze. La questione dell' appartenenza ad un partito non riguarda solo il direttore generale. A loro volta i direttori generali scelgono i primari e i direttori di dipartimento privilegiando il criterio di appartenenza politica piuttosto che le competenze. E' forse il problema piu’ grave della sanita’ italiana. Per limitare il potere del direttore generale (che oggi molti giudicano eccessivo) non c' e’ bisogno di tornare al Consiglio di amministrazione, basta valorizzare il Collegio di direzione (che c' e’ gia’ per legge)! e la direzione sanitaria. Vuol dire, per il direttore generale, progettare le attivita’ e verificare i risultati insieme al direttore sanitario, ai direttori di dipartimento e ai direttori di unita’ operativa e cioe’ a chi, in definitiva, ha la responsabilita’ della cura degli ammalati. L' INTEGRAZIONE - La medicina di base e la medicina specialistica ospedaliera andrebbero integrate. Ci sono modelli gia’ collaudati come i dipartimenti di cura primaria (gestiti da medici di medicina generale). Collegarli formalmente con i dipartimenti ospedalieri eviterebbe agli ammalati di peregrinare tra ambulatori e ospedali alla ricerca della diagnosi o della cura e consentirebbe di realizzare percorsi ben definiti per determinate malattie (o gruppi di malattie). Favorire il trasferimento di conoscenze fra medici di base e medici dell' ospedale da’ uniformita’ alla richiesta di prestazioni, evita esami inutili (che si ripetono ogni volta che l' ammalato viene visto da un medico diverso) ed e’ o! ccasione di formazione continua. Basta realizzare accordi fra aziende sanitarie ed aziende ospedaliere, cominciando con qualche iniziativa pilota che puo’, se funziona, essere estesa all' intera Regione. E' necessario anche avviare programmi di ricerca cui possano accedere medici di base e specialisti ospedalieri e che abbiano l' obiettivo di integrare e valorizzare le rispettive competenze. La ricerca rappresenta la forma piu’ efficace di educazione continua, aumenta lo spirito critico, contribuisce alla qualita’ delle prestazioni e consente grandi risparmi. LE LISTE D' ATTESA - Andrebbero gradualmente eliminate, ma senza aumentare l' offerta di prestazioni. Impegnare altri specialisti o aumentare le visite porta ad una riduzione delle liste nel breve periodo, ma in poco tempo il sistema si riorganizza su un nuovo livello di domanda. Questo riduce anche la necessita’ di ricorrere al ticket. Molte Regioni l' hanno introdotto per fare quadrare il bilancio ed e’ servito, ma la stra! da giusta e’ un' altra: risparmiare su prestazioni e sulle terapie non efficaci e quindi non necessarie. «Efficace» in un contesto di medicina basata sull' evidenza coincide con «essenziale» e dovrebbe essere la base di quello che oggi si chiama Lea (livelli essenziali di assistenza). Gli ospedali vanno riconosciuti come «imprese» (articolo 2082 del codice civile e articolo 41 della norma costituzionale). Impresa per il codice e’ «attivita’ economica diretta alla produzione di beni o servizi». Inoltre l' articolo 43 della Costituzione sancisce indirettamente che possa configurarsi la natura di impresa per chi - sia pubblico o privato - eserciti «servizi pubblici essenziali». Ne deriva che anche le imprese sanitarie pubbliche possono funzionare con le norme del diritto privato (codice civile) che regolano le attivita’ gestionali (personale, acquisizione dei beni e servizi, lavori di manutenzione, di ristrutturazione e di nuove costruzioni). Questo serve a sottrarre le amministrazioni degli ospedali ai vincoli e alle procedure di oggi e consente di organizzare l' attivita’ degli ospedali pubblici ispirandosi ai principi di efficienza, tempestivita’ e flessibilita’ che caratterizzano le organizzazioni private. RIORGANIZZARE IL LAVORO - L' organizzazione del lavoro dei medici e degli infermieri negli ospedali va ripensata in modo che sia piu’ aderente alle esigenze degli ammalati con l' obiettivo, per esempio, che lo stesso ammalato non sia affidato a medici e infermieri sempre diversi. E tenga conto del fatto che gli ammalati dai medici vogliono informazioni sulle malattie e sulle vere possibilita’ di cura. E sui progressi della scienza. Le soluzioni pratiche vanno individuate nell' ambito di ciascuna azienda coinvolgendo personale medico ed infermieri in progetti che comportino percorsi comuni. L' attivita’ privata «intramoenia» che i medici svolgono negli ospedali pubblici va ripensata in accordo con le organizzazioni dei medici, con l' obiettivo di trova! re soluzioni piu’ eque per il cittadino. Non deve succedere che all' interno della stessa struttura, chi ha possibilita’ economiche possa essere curato prima e meglio di chi non le ha. Questa situazione e’ vissuta come ingiusta dagli ammalati ed e’ difficile da sostenere per un servizio pubblico. Le esigenze di chi desidera un trattamento alberghiero migliore, e puo’ permetterselo, possono essere rispettate, ma non devono sottrarre energie al sistema, a scapito di chi non ha possibilita’ economiche. Il rimborso per prestazione (drg), che ha portato ad un aumento dei costi senza aver contribuito a migliorare la qualita’ delle prestazioni, andrebbe eliminato e sostituito con un budget globale di ospedale, non solo economico, ma di obiettivi (indirizzo tecnico), che tenendo conto dei costi indichi le attivita’ che si intendono svolgere in base ai bisogni di salute del territorio. Il budget andrebbe stabilito dalle Regioni d' intesa con gli ospedali all' inizio di ciascun esercizio fina! nziario (indirizzo politico). I CONTROLLI - Vanno eliminati i controlli attuali che verificano solo la corrispondenza dell' atto medico alle norme di legge e mai i risultati. I controlli dovrebbero essere veri e propri «controlli di gestione» che controllino anche l' uso delle risorse, ma soprattutto verifichino attivita’ e risultati (e’ appropriato un determinato intervento a curare una certa malattia? Si puo’ fare meglio spendendo meno? E come si comparano i risultati con quelli degli altri, in Italia e fuori?). Questi controlli dovrebbero prendere in considerazione indicatori clinici (quanti ammalati abbiamo guarito rispetto a quanti se ne possono guarire in rapporto ai dati di letteratura internazionale?) e devono venire dalla consapevolezza di medici e amministratori che e’ venuto il momento di lavorare insieme. ORGANIZZAZIONE «IN RETE» - Per ogni provincia ci dovrebbe essere un piano di riorganizzazione che metta in rete le varie strutture ospedaliere (pubbliche e private)! di quel territorio in una attivita’ integrata che eviti sovrapposizioni e spreco di risorse e che tenga conto anche delle esigenze degli ammalati di malattie rare. Le strutture inefficienti o ridondanti - o troppo piccole per svolgere bene attivita’ essenziali - vanno chiuse. Si potra’ considerare, a seconda delle situazioni locali, di convertirle in strutture di lunga degenza, di cui c' e’ e ci sara’ sempre di piu’ grande bisogno e che hanno costi inferiori a quelli degli ospedali. Piu’ strutture di lunga degenza consentono agli ospedali ricoveri piu’ brevi a costi inferiori e una migliore organizzazione. SOLO CURE UTILI - La domanda di prestazioni mediche aumenta di anno in anno perche’ aumentano le possibilita’ di cura, ma anche per richieste improprie o ridondanti. Occorre intensificare programmi di informazione e di educazione sanitaria. I medici e il pubblico devono avere le idee chiare su quello che in medicina e’ utile davvero e per chi. Per i medici si tratta di aumentare le ! occasioni di formazione elaborando con loro strategie che li aiutino a distinguere cio’ che serve da cio’ che serve poco o nulla. Questo lavoro di informazione-formazione, pero’, va fatto anche per il grande pubblico che deve essere aiutato a capire che il Servizio sanitario, per poter dare a tutti quello che e’ davvero utile, non puo’ piu’ pagare per prestazioni per cui non ci sia nella letteratura medica dimostrazione di efficacia, e a parita’ di efficacia, si dovrebbero scegliere tra le cure e gli esami diagnostici quelli che costano meno. Il ministero della Salute pubblica ogni anno una sintesi delle migliori prove di efficacia in medicina che potrebbe fare da guida per una sperimentazione «sul campo». Le cure vengono definite efficaci sulla base dei risultati di studi clinici (trials) controllati. Ma non tutti quelli che partecipano agli studi clinici controllati traggono vantaggio dai farmaci. Un modo per migliorare la qualita’ delle cure ed insieme realizzare grandi risparmi e’ quello di avviare progetti di ricerca che aiutino a stabilire quali sono gli ammalati che si avvantaggiano dalle cure piu’ nuove e a distinguerli da quelli che invece non ne traggono beneficio. IL BENESSERE DEI MALATI - L' evoluzione delle conoscenze impone continue revisioni dell' attivita’ medica: si potrebbero istituire commissioni regionali che, in sintonia con le linee guida del ministero, mettano di anno in anno a disposizione degli operatori elementi di giudizio critico sulle cure «efficaci» e aiutino il medico a capire per quali pazienti lo sono davvero. Piu’ in generale, medicina di base e ospedali vanno organizzati tenendo conto in primo luogo delle esigenze di benessere della popolazione e delle necessita’ degli ammalati. Sono queste ultime, prima di qualunque altra considerazione, che devono far da guida alle scelte. Dovrebbe valere per tutti: politici, chi e’ chiamato ad amministrare le risorse e chi opera per la salute (medici, infermieri e tutti quelli che contribuiscono col loro lavoro alla prevenzione e alla cura delle malattie). Un manifesto per una buona sanita’. Attraverso proposte, regole, e provvedimenti in grado di migliorare il servizio pubblico, dare ai medici un ruolo da protagonisti e con il malato al centro del progetto. I nove firmatari, che riprendono una lettera- appello scritta 18 anni fa da altri medici, tra cui Sirchia e Veronesi, sono: Pier Mannuccio Mannucci, universita’ di Milano; Giuseppe Masera, universita’ di Monza; Attilio Maseri, San Raffaele di Milano; Luigi Daniele Notarangelo, universita’ di Brescia; Carlo Alberto Redi, universita’ di Pavia; Luigi Tavazzi, San Matteo di Pavia; Ettore Vitali, Niguarda di Milano; Silvio Garattini, Istituto Mario Negri di Milano; Giuseppe Remuzzi, Ospedali Riuniti-Istituto Mario Negri di Bergamo. il Documento 1 Direttori generali scelti per competenza E' necessario separare la politica dalla gestione e scegliere i direttori generali delle Asl e degli ospedali non in base all' appartenenza politica, ma alle competenze 2 Specialisti integrati con i medici di base La medicina di base e quella specialistica ospedaliera andrebbero integrate. E' necessario avviare programmi di ricerca comuni 3 Liste d' attesa piu’ brevi senza le terapie inutili Le liste di attesa andrebbero gradualmente eliminate, ma senza aumentare l' offerta di prestazioni: vanno eliminate le terapie non necessarie. Riorganizzare il lavoro sui bisogni del malato L' organizzazione del lavoro di medici e infermieri deve essere ripensata: lo stesso ammalato non deve essere affidato a personale sempre diverso 5 Non si deve favorire chi puo’ pagare le cure Non deve succedere che, all' interno della stessa struttura, chi ha possibilita’ economiche possa essere curato prima e meglio di chi non le ha 6 Verifiche dei risultati, non controlli formali Vanno eliminati i controlli attuali, che verificano solo la corrispondenza dell' atto medico alla normativa, mai ai risultati. Amministratori e medici lavorino insieme 7 Servono piu’ informazione ed educazione sanitaria Piu’ informazione ed educazione sanitaria. I medici e il pubblico devono avere le idee chiare su quello che in medicina e’ davvero utile e per chi COME RIDURLE Liste d' attesa Impegnare altri specialisti e aumentare le visite serve a ridurre le liste di attesa, ma solo sul breve periodo. La strada giusta e’ un' altra: «tagliare» le terapie non necessarie CHI PAGA E CHI NO Le prestazioni Va ripensata l' attivita’ privata «intramoenia» che i medici svolgono negli ospedali pubblici: non deve succedere che chi puo’ pagare venga curato prima e meglio ________________________________________________ Corriere della Sera 8 feb. ’04 PIU’ RISORSE AGLI OSPEDALI UNIVERSITARI Il San Paolo festeggia 25 anni. Nuove sale parto e un polo per gli studenti di Medicina. Tra gli invitati il primo nato e la sua mamma Allarme del preside Guido Coggi sul taglio delle spese. La Cgil: da piu’ di 1200 i posti letto sono scesi a 400 Cremonese Antonella Una sala operatoria, sale parto. E un intero polo universitario. L' ospedale San Paolo ha festeggiato il suo quarto di secolo inaugurando le nuove strutture. Il presidente della Regione, Roberto Formigoni, e’ arrivato e ripartito, decollando dalla piazzola degli elicotteri del 118. Andava a inaugurare la nuova superstrada della Valcamonica, ma non poteva mancare alla festa per i 25 anni del San Paolo (aperto il 5 febbraio 1979) che con le sue stanze confortevoli e le sue alte specialita’ contende al San Raffaele il ricovero dei personaggi famosi: il che sembra frivolo, ma e’ un indicatore infallibile del successo di un ospedale. Non che non ci siano problemi. C' erano ieri e ci sono oggi. Nel 1959, quando si delibero’ di far nascere il San Paolo dalla fusione dei due enti ospedalieri Ronzoni e Principessa Jolanda, era l' epoca del boom economico, e Milano cresceva ogni anno di 40-50mila abitanti. Ancora nel 1974, cinque anni prima dell' apertura, era stato deciso che avesse 1236! posti letto. Per anni, impallinato dai media per i lavori che non finivano mai e per vicende poco chiare, resto’ mezzo vuoto tra i prati della Barona. Poi ha preso la rincorsa, e’ cresciuto in eccellenza grazie a medici di gran vaglia, e’ diventato il secondo polo universitario, ma ora soffre della stretta economica. Percio’ tra i lavoratori c' e’ preoccupazione. Ieri mattina Formigoni e il sindaco Gabriele Albertini sono stati accolti all' entrata da picchetti sindacali che brandivano uno striscione: «Meno parate elettorali, piu’ posti letto», perche’ - hanno spiegato i rappresentanti della Cgil - i 700 posti letto «ufficiali» sono stati via via ridotti, e adesso ne rimangono piu’ o meno 400. Ma Carlo Pampari, il direttore generale del San Paolo, e’ apparso ottimista e dinamico: «Compiere 25 anni vuol dire essere giovani e proiettati nel futuro». E ha annunciato una stretta collaborazione con il Sacco e con il San Carlo per il soccorso agli infartuati, programmi di ricerca insieme ! con l' Istituto oncologico di Umberto Veronesi e un accordo con l' Humanitas per le urgenze. Un ospedale al passo con i tempi, hanno detto il presidente Formigoni, il rettore dell' universita’ Enrico Decleva, il preside della facolta’ di Medicina, Guido Coggi. Formigoni ha ricordato che l' ospedale, oltre al polo universitario, ospita i corsi di laurea breve per infermieri professionali, fisioterapisti, igienisti dentali. E ha citato iniziative come il progetto «Dama» per facilitare le cure ai disabili, realizzato in collaborazione tra il San Paolo e le associazioni, in testa la Ledha, che fu guidata dal compianto Edoardo Cernuschi. L' ex rettore Paolo Mantegazza ha ricordato gli anni in cui c' erano 17mila iscritti a Medicina (ora sono 1800) e ha spiegato la scelta di spostare l' insegnamento nei «poli» ospedalieri, per portare gli studenti al letto del malato. E Coggi ha lanciato un appello: «Occorrono piu’ risorse per gli ospedali universitari». Infine, le inaugurazioni. Per! prima, l' apertura di una nuova sala operatoria per i cesarei e le urgenze e di tre sale parto «a misura di donna». Colori allegri, e soprattutto lettini da parto in grado di assicurare piena liberta’ di posizioni, come ha spiegato la capo-ostetrica Redenta Ciocca. Il San Paolo vi ha impiegato 560.000 euro, la Regione 583.596. A quando, pero’, un reparto di terapia intensiva neonatale? Poi sono stati inaugurati i cinque nuovi piani del polo universitario, con grandi aule luminose e un grosso corredo di mezzi audiovisivi, da universita’ americana. Ha commentato, compiaciuto, l' assessore Carlo Borsani: «Continuo ad inaugurare nuove strutture negli ospedali pubblici. Non si dira’ che la Regione non investe». Antonella Cremonese IL RITORNO Tra gli invitati il primo nato e la sua mamma E' stato il primo bimbo nato all' ospedale San Paolo, e i suoi quasi 23 anni coincidono con l' apertura della maternita’. Ieri Giacomo Santambrogio, un bel ragazzone biondo che studia Filosofia, e’ sta! to invitato alla festa del San Paolo insieme con la mamma Cristina e il papa’ Giampietro, e ha ricevuto in dono la medaglia ricordo. Dice la signora Cristina: «Quel giorno ero l' unica donna, la prima. Quando e’ nato il mio Giacomo, e’ stata una festa per tutti». LA CERIMONIA PER IL QUARTO DI SECOLO Dalla Milano del boom ai nuovi reparti La prima pietra posata dal futuro papa Paolo VI Il primo paziente fu ricoverato in Medicina 1 La costruzione dell' ospedale San Paolo fu decisa nel 1959, per dare assistenza alla vasta zona intorno alla Barona. C' era il boom, Milano cresceva ogni anno di 40-50mila abitanti 2 Fu l' arcivescovo di Milano cardinale Giovan Battista Montini, poi divenuto Papa col nome di Paolo VI, a posare la prima pietra dell' ospedale, il 7 novembre 1964 3 Il San Paolo fu aperto il 5 febbraio 1979, e il giorno stesso fu ricoverato il primo paziente: nella divisione di medicina diretta dal professor Mario Chirico _________________________________________ Il Giornale 12 feb. ’04 BUTTIGLIONE: LA LEGGE SULLA FECONDAZIONE SERVIRA’ A RIPARARE I GUASTI FATTI FINO A ORA DOPO L'APPROVAZIONE IN PARLAMENTO Il Nuovo Psi rilancia il referendum abrogativo. L'Ordine dei medici: «Cosi’ sara’ penalizzata la ricerca» da Roma Non e’ vero che la legge sulla procreazione assistita e’ ferma al medioevo. Anzi: guarda al futuro perche’ in molti Paesi del progredito Nord Europa sono stati fatti significativi passi indietro rispetto a un eccessivo permissivismo. All'indomani dell'approvazione del testo sulla fecondazione artificiale a Montecitorio continua a infuriare la polemica tra laici e cattolici. A difendere la scelta del Parlamento interviene il ministro per le Politiche comunitarie, Rocco Buttiglione. «E’ una buona legge», dice Buttiglione, ricordando che se certi Paesi hanno una legislazione molto restrittiva in materia, cio’ e’ dovuto a eccessi del passato nel senso opposto. «La Spagna ha una legislazione molto permissiva, la Norvegia una severissima, - spiega - perche’ li’ sono piu’ "vecchi", sono passati attraverso la fase neolibertina, ne hanno subito i danni, stanno cercando di uscirne: e’ quello che facciamo anche noi». Dunque era necessario porre dei paletti come sottolinea Luisa Santolini, presidente del Forum delle famiglie, parlando ai microfoni di Radio vaticana. «Non possiamo che accogliere con favore questa approvazione che, finalmente, rende giustizia a un Far West che era veramente inaccettabile - afferma Santolini - Una legge, quindi, che non e’ una legge cattolica, come ben si sa, ma che, comunque, limita i danni della fecondazione assistita e finalmente riconosce una dignita’ al bambino che deve venire al mondo». Ora il ministro della Salute, Girolamo Sirchia, «deve fare i decreti attuativi» prosegue la Santolini, e «noi vigileremo perche’ rispettino lo spirito della legge». Ma la Santolini vede profilarsi all'orizzonte una vera e propria «guerra di religione». Il rischio, conclude, «e’ che le opposizioni a questa legge, che sono trasversali, si organizzino per fare dei referendum abrogativi». E i timori della Santolini sono piu’ che fondati. II fronte laico infatti e’ pronto a dare battaglia e dopo la promessa di indire un referendum abrogativo da parte dei radicali arriva l'appello dei socialisti per bocca di Chiara Moroni. Il Nuovo Psi sollecita un'iniziativa referendaria comune contro la legge chiamando a raccolta i laici di entrambi gli schieramenti ai quali le norme appena varate non piacciono e sottolineando come il provvedimento rappresenti «un attacco alla legge 194». «Avremmo preferito norme piu’ flessibili - spiega la Moroni - che garantissero la qualita’ e la sicurezza delle prestazioni offerte ai cittadini e in special modo alle donne. E avremmo preferito che tali prestazioni venissero inserite nei livelli essenziali di assistenza, mentre la legge approvata ieri discrimina anche sotto il profilo economico». E, una critica arriva anche dal presidente della Federazione degli Ordini dei medici (Fnom), Giuseppe Del Barone. «Per la prima volta, una legge dello Stato lede l'indipendenza decisionale del medico - denuncia - E nel contempo, crea inappropriati vincoli alla ricerca italiana, che sara’ penalizzata rispetto agli altri Paesi». [FA] _______________________________________________ IL FOGLIO 14 feb. ’04 LA TERAPIA CELLULARE E’ UTILE, MA SI PUO’ OTTENERE PER ALTRE STRADE Quella che fino ad ieri alcuni avevano temuto come un disastro morale e sociale e altri avevano sperato come la panacea di molte malattie e sofferenze e’ diventata una realta’, documentata sulle colonne di una tra le piu’ autorevoli riviste scientifiche internazionali, la prestigiosa Science. La clonazione per trasferimento di nucleo da una cellula del corpo in un ovocita di donna ha dato origine a trenta embrioni umani che sono stati fatti sviluppare in laboratorio e sezionati per prelevarne le cellule di tipo staminale destinate ai tentativi di terapia cellulare, la cosiddetta "medicina rigenerativa". Il tutto e’ avvenuto all'Universita’ Nazionale di Seul, attraverso la collaborazione tra ricercatori coreani e statunitensi, con a capo due veterinari esperti in clonazione animale, i professori Woo Suk Hwang e Jose B. Cibelli. Dall'animale (la pecora Dolly nacque nel 1996) all'uomo il passo sembrava lontano, ma la scienza e la tecnologia hanno fatto passi da gigante, che ne’ codici morali ne’ leggi sembrano in grado di contenere. Lo scopo per il quale questi embrioni umani (e altri ancora, di cui non abbiamo notizia pubblica) sono stati generati e’ diverso da quello che ha spinto i ricercatori a clonare Dolly e tutti gli altri animali. Non si e’ voluto far nascere e vivere un nuovo essere vivente, sia pure con caratteristiche biologiche speciali e predeterminate, ma ci si e’ mossi secondo un pensiero opposto e perverso: generare un essere umano per distruggerlo. Un progetto cosi’ e’ senza precedenti nella storia dell'umanita’. Vi e’ stato chi ha ucciso figli che non aveva desiderato e concepito, ma mai chi ha desiderato e concepito un figlio per poterlo uccidere. Non sono mancati popoli che hanno realizzato progetti per fare strage di altri popoli; eppure non si era ancora udito di qualcuno che abbia costruito un piano preordinato per far crescere degli uomini o una popolazione per poter disporre di un numero sufficiente di individui da sopprimere per qualsivoglia motivo. Per quanto crudo possa apparire il raffronto, nessuna ideologia disumana e violenta della storia si e’ fondata su un simile progetto: chiamare alla vita per togliere la vita. Oggi, in nome del progresso scientifico e della cura delle malattie e’ stato fatto esattamente questo: generare per clonazione esseri umani all'inizio della loro vita (embrioni umani) in numero sufficiente per prelevare e coltivare in vitro una nuova linea di cellule staminali pluripotenti - indicata dai ricercatori con la loro distruzione programmata e preordinata. La vicenda della clonazione cosiddetta "terapeutica" e’ legata a quella della ricerca sulle cellule di tipo staminale, individuate da alcuni anni come una promettente e affascinante strategia per riparare tessuti lesionati o non funzionali, ripopolandoli con innesti di cellule "giovani" potenzialmente in grado di rigenerarli. Teoricamente, l'elenco delle malattie metaboliche, muscolari, cardiovascolari, neurologiche, neoplastiche e di altra natura che potrebbero essere affrontate mediante la terapia cellulare e’ lungo, e numerosi ricercatori e clinici si stanno orientando su questa strada, investendo il loro talento e le loro energie migliori verso lo sviluppo di un approccio terapeutico mirato ad alcune di esse: tra le piu’ spesso citate il diabete mellito, il morbo di Parkinson, le distrofie muscolari, l'infarto miocardico e alcune forme tumorali. Anche chi scrive e’ personalmente convinto della ragionevolezza scientifica e della convenienza medica di perseguire la via della terapia cellulare. Non mancano infatti buone evidenze sperimentali che suggeriscono questo. Ma come ottenere le cellule staminali per la terapia? Qui le strade della ricerca si dividono. Diverse sono le sorgenti di questo tipo di cellule, cosi’ come le loro proprieta’ biologiche e le loro potenzialita’ di sviluppo e di rigenerazione tessutale. Cellule di tipo staminale non si ritrovano solo negli embrioni ai primissimi stadi del loro sviluppo (prima dell'impianto nell'endometrio uterino), ma anche nel corpo del feto, nel sangue del cordone ombelicale, nel midollo osseo, nella pelle, nel tessuto adiposo, nell'intestino, e perfino nel tessuto nervoso. Alcuni studiosi attribuiscono alle cellule staminali embrionali una capacita’ di proliferazione e di differenziazione tale da renderle in ogni caso preferibili in partenza; altri ricercatori, che da tempo lavorano su cellule staminali provenienti da sangue cordonale o da tessuti dell'adulto sono invece riusciti a mostrare che anche queste cellule sono delle buone candidate per la rigenerazione di alcuni tessuti. Inoltre - come nel caso dello studio condotto a Seul - e’ in corso il tentativo di produrre cellule staminali embrionali autologhe, cioe’ contenenti nel nucleo lo stesso patrimonio genetico del paziente da curare, il che consentirebbe di evitare il serio problema del rigetto. Anche in questo caso, un approccio diverso al problema del rigetto e’ offerto dal prelievo e dall'impiego terapeutico di cellule staminali o pre-differenziate dello stesso paziente (autoinnesto). Come in altri campi, le opinioni si dividono e lo spazio della discussione resta aperto. Ma con una decisiva e irriducibile differenza: in gioco non e’ una scelta solo intellettuale o sperimentale, ma la realta’ della stessa vita dell'uomo. E' possibile cercare di restituire la salute ad alcuni uomini malati attraverso la distruzione della vita di altri uomini che si trovano all'inizio della propria vita, per di piu’ generata artificialmente ed esclusivamente per questo destino di morte? La nostra ragione ci impone di rispondere negativamente. La stessa ragione, pero’, suggerisce di tenere aperta la ricerca di una soluzione al bisogno di terapia. Non si puo’ negare la possibilita’ di risposta a questo bisogno. La categoria suprema della ragione e’ la categoria della possibilita’, che moltiplica la passione per trovare soluzioni tanto clinicamente efficaci quanto umanamente vere, perche’ rispettose di tutto l'uomo e di tutti gli uomini. Invece, una societa’ ideologica tende a congelare ogni autentica ricerca. Roberto Colombo Universita’ Cattolica del Sacro Cuore _______________________________________________ L’Unita’ 10 feb. ’04 LA RICERCA NEGATA CONTRO LA SCIENZA Luca Coscioni Oggi, inizia alla Camera dei Deputati, la discussione definitiva della legge 1514 sulla fecondazione medicalmente assistita. Partiro’ da Orvieto questa mattina, per raggiungere piazza Montecitorio, non con la macchina blu, ma con una ambulanza e con alcune persone al seguito, tra cui Maria Antonietta, mia moglie, irriducibile compagna di vita e di battaglie. Se questo testo venisse approvato considerano la possibilita’ di scegliere tra la vita e la morte fisica, psicologica, quotidiana. Per la fondamentale, necessaria costruzione di una vita possibile: sia essa quella di un figlio o quella che da’ fiato reale alle speranze e ai desideri di milioni di malati. Luca Coscioni l'Italia sarebbe condannata ad una sorta di medioevo scientifico o arretramento scientifico, nei confronti delle terapie derivanti dalla sperimentazione sulle cellule staminali embrionali. E lo scontro e’, di nuovo, tra il Vaticano e i suoi dogmi oscurantisti e la liberta’ di pensiero e di ricerca scientifira_ L ~ associazione Luca Coscioni lotta per impedire che i princi’pi della laicita’ dello Stato e della liberta’ di ricerca siano ancora una volta bruciati sul rogo clericale da questi partiti politici. Si schiera a favore di una ricerca libera, dove l'etica della scienza sia definita da parametri laici e scientifici e non da parametri religiosi o conservatori. Penso che un referendum sia necessario per ribadire la separazione tra lo Stato e la Chiesa e per ristabilire una liberta’ fondamentale pesantemente violata, cioe’ quella della liberta’ di cura. Lo stato democratico nasce per garantire liberta’ e sicurezza ai cittadini, per consentire loro, fra le altre cose. di praticare il culto e le convinzioni che desiderano: da questo deriva la sua legittimita’. Uno stato democratico non puo’ imporre convinzioni religiose o ideologiche. Come per altri diritti civili, la classe politica italiana e’ distante anni luce dalle opinioni dei cittadini. Ci troviamo nell'assurda situazione, di un terreno assolutamente fertile che rischia di essere inaridito e reso sterile dalla classe politica asservita al Vaticano e da un'informazione drogata che mette sullo stesso piano, confondendoli, scienziati e fattucchieri. Quindi il referendum deve essere percorso. Sara’ percorso ed e’ percorribile con un coinvolgimento non solo delle donne, ma di tutti i soggetti che l’utilita’ _________________________________________ Corriere della Sera 7 feb. ’04 COLPO DI FRUSTA? MUOVERSI Via il collare e sotto con gli esercizi leggeri per i muscoli del collo lesionati da un colpo di frusta. La nuova ricetta per uno dei traumi piu’ frequenti arriva da una ricerca condotta in Svezia. Gli studiosi sono partiti dall'osservazione del fatto che molti dei trattamenti attualmente in uso per il colpo di frusta non poggiano sull'evidenza di ampie ricerche cliniche e quindi potrebbero anche essere meno utili di quanto si pensi. Per capire di piu’ 97 persone che avevano subito questo tipo di trauma sono state divise in due gruppi e seguite per 3 anni: il primo e’ stato curato solo con esercizi per il collo insegnati da un fisioterapista e svolti a casa, il secondo con la tradizionale prescrizione di riposo e collare cervicale. Alla fine del periodo di osservazione, i risultati hanno dimostrato che il primo tipo di trattamento e’ piú efficace dei metodo tradizionale poiche’ riduce il dolore e garantisce il recupero della mobilita’ dei collo. In particolare, il movimento piu’ benefico sembra essere la rotazione del collo. Su questa ricerca abbiamo ascoltato il parere di Andrea Costanzo, docenze de La Sapienza di Roma e presidente della societa’ italiana di traumatologia della strada. «Gia’ altre ricerche di questo tipo hanno assodato che l'uso prolungato del collare e manipolazioni non specifiche danno scarsi risultati, al contrario di altri interventi. Anche in una nostra ricerca all’universita’ di Roma La Sapienza abbiamo curato 200 traumatizzati con applicazione di collare per non piu’ di 7 giorni seguita da appropriate terapie mediche e kinesiterapiche (ginnastica globale) e abbiamo visto una guarigione completa nell'85% dei casi dopo la 10ma giornata di trattamento cioe’ dopo 18-20 giorni dai trauma). E’ Importante, sottolineare l’importanza di cominciare subito dopo il trauma e non aspettare, altrimenti si irrigidiscono i muscoli del collo. Capobianco _______________________________________________ La Gazzetta del Mezzogiorno 14 feb. ’04 TRAPIANTI, IN BASILICATA «BOOM» DI DONATORI I DATI Nella regione lucana sono aumentati del 247% In Puglia diminuiscono del 14% ROMA - Aumentano le donazioni c i trapianti in Italia, secondo quanto riferisce il Report 2003. Elaborato dal Centro Nazionale Trapianti il documento registra che il numero di donatori per milione di abitanti, infatti, e’ salito da 18,1 nel 2002 a 78,5 nel 2003. Quanto alle liste di attesa, ad ora sono 8.287 i pazienti in attesa di rene, 1550 quelli in attesa di fegato, 654 in attesa di cuore, 232 in attesa di pancreas, 231 in attesa di polmone. In crescita anche il numero dei trapianti effettuati, che da 2.750 nel 2002 salgono a 2.820 nel 2003, nonostante un maggior controllo sulla sicurezza abbia portato ad una minore disponibilita’ di organi idonei al trapianto. Un dato che rivela un miglior utilizzo degli organi disponibili. Nel dettaglio, i dati del secondo semestre del 2003 appaiono migliori di quelli relativi ai primi sei mesi, un risultato dovuto alla maggiore attenzione data al tema della donazione attraverso una serie di’ iniziative dedicate all'informazione, alla manifestazione di volonta’ ed alle rianimazioni. Anche la percentuale di opposizioni e’ calata nella seconda parte dell'anno (27,0%) dopo l'incremento registrato nei primi mesi (32,8%). Il mese di Dicembre 2003 e’ stato, in termini di donazioni e trapianti , il mese piu’ positivo sinora osservato. I primi dati relativi al Gennaio 2004 lasciano intravedere una permanenza del trend positivo soprattutto nell'area Centro Sud. A livello regionale, il numero maggiore di donatori utilizzati e’ quello raggiunto dall'Emilia Romagna (30,0), seguita dalla Provincia autonoma di Bolzano (28,2), Piemonte-Valle D’Aosta (26,8), Liguria (25,6), Toscana (25,1), Veneto (23,4), Marche (23,2); a livello intermedio, poco sopra o sotto la media nazionale (16,8), si collocano, invece, l'Umbria (19,6), il Friuli (19,5), la Lombardia (18,2), la Sardegna (15,0), la Basilicata (11,8), l'AbruzzoMolise (10,3), il Lazio (10,2); mentre nella fascia piu’ bassa troviamo Calabria (9,5), Puglia (9,0), Campania (8,3), Sicilia (6,4), Provincia autonoma di’ Trento (4,2). Accanto all'attivita’ complessiva, va tuttavia sottolineato l'incremento osservato in alcune regioni tra cui Basilicata (+247,1%), Marche (+69,3%), Sardegna (+50,0%), Calabria (+35,7 % ), Liguria (+21,3%), Piemonte e Valle D’Aosta (+20,7%), Umbria (+14,0%), Campania (+12,2 %); a cui fa riscontro negativo la diminuzione registrata da Provincia autonoma di Trento (-66,7%), Abruzzo e Molise (-51,2%), Provincia autonoma di Bolzano (-27,9%), Sicilia (15,8%), Puglia (-14,3%). Nel complesso, appare evidente la differenza tra le regioni del Centro Nord (circa 25 donatori per milione in una area di 30 milioni di abitanti) e quelle del Centro Sud (circa lo donatori per milione in un area di 25 milioni di abitanti), nonostante ciascuna regione presenti criticita’ e problemi di fondo propri e diversi rispetto alle regioni vicine. ________________________________________________ L’Unione Sarda 9 feb. ’04 SE LA GENETICA FORENSE MAPPA IL DNA DELLE POPOLAZIONI SARDE Caro Watson, notevoli questi studi sul Dna" avrebbe commentato Sherlock Holmes, anche se la geniale intuizione e la stringente (o arbitraria?) capacita’ analitico deduttiva del detective privato inglese ne facevano a meno, con successo. Eppure conoscere il profilo genetico degli abitanti di una regione, al fine di confrontarlo con la persona indagata e ricavarne indicazioni sulla sua innocenza o colpevolezza, avrebbe facilitato le ricerche dell'eccentrico personaggio di Conan Doyle. Agevola senz'altro, le indagini odierne su fatti delittuosi, per dirla in gergo poliziesco, che gia’ si avvantaggiano di moderne e futuribili tecnologie. A questo scopo e’ rivolto il progetto dei medici legali cagliaritani Valeria Sanna e Stefano Gessa. La prima, 39 anni, ha un dottorato di ricerca in Scienze biologiche forensi all'universita’ Federico II di Napoli; il secondo, 40 anni, e’ specialista in Ematologia forense. Allievi di Alessandro Bucarelli, in comune la passione per la genetica forense, i due ricercatori stanno svolgendo per la scuola di Medicina legale dell'universita’ di Sassari uno studio di carattere genetico sulla popolazione sarda. In particolare, si occupano di analizzare strette zone di Dna, utili ad identificare la singola persona perche’ caratterizzano in maniera specifica ognuno di noi. In altre parole la ricerca riguarda quelle regioni dell'acido desossiribonucleico che individuano la propria impronta genetica. L'obiettivo e’ rilevare i profili genetici che si riscontrano nella popolazione sarda e registrarne la frequenza nei vari gruppi genetici in cui la popolazione e’ divisa. Lo studio, iniziato da un anno e finanziato dall'ateneo turritano, e’ originale per l'isola, soprattutto non ha niente a che vedere con le numerose ricerche a carattere genetico proliferate negli ultimi anni, ma che perseguono scopi differenti. La Sardegna, per via della sua storia e delle caratteristiche geografiche, presenta una serie di specificita’ dal punto di vista genetico. L'isola risulta composta di 22 isolati genetici, ossia sub-regioni nell'ambito delle quali c'e’ omogeneita’ genetica tra le persone che le abitano. Alcuni di questi sono: il Sulcis Iglesiente, l'Ogliastra, il Sarrabus, il Gerrei, la Trexenta, il Logudoro nord est e il Logudoro sud est, La Maddalena e cosi’ via. Il filone di studi legato alla genetica forense e’ relativamente nuovo. Gli esiti potrebbero essere di grande interesse e utilita’. Conoscere i profili genetici caratteristici della popolazione sarda e’ uno strumento di valutazione in piu’ ai fini giudiziari. E, aggiungono i ricercatori cagliaritani, potrebbe avere numerosi e interessanti altri impieghi. Dall'analisi di un reperto rinvenuto nella scena di un delitto (un capello, un mozzicone di sigaretta o un collo di bottiglia che reca tracce di saliva, tracce di sangue o liquido seminale e cosi’ via) e’ possibile ricostruire il profilo genetico del probabile colpevole e successivamente, confrontarlo con l'indagato. Statistiche alla mano, si verifica la frequenza nel luogo del delitto del profilo genetico individuato: tanto minore sara’ la frequenza, tanto piu’ alta la probabilita’ degli indizi di colpevolezza a carico della persona inquisita. Non si tratta tuttavia, di esami probanti, precisano i ricercatori, ma di elementi utili a orientare l'indagine. Con il sostegno prezioso e indispensabile dei medici di base i due ricercatori hanno analizzato il liquido salivare di un campione composto da 400 persone, disomogeneo per eta’, equamente diviso tra maschi e femmine residenti da tre generazioni nella regione. Lo studio, svolto finora in quattro sub regioni sarde: il Campidano, il Sulcis Iglesiente, la Trexenta e Transizione Gerrei Trexenta, sara’ presentato al Congresso nazionale di ematologia forense, che si terra’ fra due anni, con tutta probabilita’ a Cagliari. Franca Rita Porcu _________________________________________ La Repubblica 8 feb. ’04 COSI’ I FARMACI INTELLIGENTI VINCERANNO LA LEUCEMIA L'Ail lancia un manifesto e una campagna per la ricerca. La fiducia di Franco Mandelli Salviamo vite che pochi anni fa sarebbero state condannate ma per continuare gli studi servono fondi ELENA DUSI PER comunicare che la ricerca nel campo dei tumori del sangue, silenziosamente, ha fatto importanti passi avanti e per chiedere ulteriore sostegno alle istituzioni e all'opinione pubblica, l'AU (Associazione italiana contro le leucemie, linfomi e mieloma) ha preparato un manifesto che sara’ ufficialmente lanciato l’ 11 febbraio a Roma in Campidoglio, ma che ha gia’ raccolto le adesioni di un centinaio di personalita’ di scienza, sport, cultura e politica (Umberto Veronesi, Margherita Hack, Susanna Agnelli, Piero Angela, Francesco Totti fra i tanti; e’ possibile aggiungere il proprio nome sul sito www.ail.it). «Molto e’ cambiato in questi anni - si legge nella presentazione - nella prognosi e nella cura dei tumori del sangue. Le stesse persone che ieri avevano poche speranze, oggi possono avere un futuro. Ma c'e’ ancora bisogno del sostegno di tutti per conseguire l'obiettivo piu’ ambizioso: rendere leucemie, linfomi e mieloma sempre guaribili». Franco 1VIandelli, vicepresidente dell'Ail, professore di Ematologia alla Sapienza di Roma, e’ uno dei decani della ricerca nel campo dei tumori del sangue. Ama spesso ricordare l'inizio della sua carriera, quando la diagnosi equivaleva a una condanna. Oggi si ha l'impressione che nel campo dei tumori del sangue si sia un passo avanti rispetto agli altri settori dell'oncologia, e che la ricerca in questo settore sia foriera di buone notizie anche per il futuro della lotta contro i tumori solidi. «Gli ematologi hanno un grande vantaggio: per studiare molte malattie basta un semplice prelievo del sangue o del midollo. Abbiamo avuto la possibilita’ di intuire in anticipo il ruolo e l'importanza delle cellule staminali. Non le chiamavamo ancora cosi’, per noi 35 anni fa erano semplicemente cellule progenitrici capaci di trasformarsi in globuli bianchi, rossi e piastrine. Oggi le cellule staminali sono diventate un settore di ricerca fra i piu’ promettenti in quasi tutti i settori della medicina. E mentre in generate ci si sforza ancora per capire il meccanismo biologico che :ne sta alla base, in ematologia vengono impiegate da molti anni per curare alcuni tipi di tumore. Oggi abbiamo scoperto dei fattori stimolanti, le citochine, che fanno risalire il livello dei globuli bianchi e allo stesso tempo stimolano il passaggio delle cellule staminali dal midollo al sangue, da dove si possono prelevare per il trapianto». Sono sempre di piu’ le alternative ai trapianto di cellule staminali? «Il trapianto mantiene ancora un grosso ruolo, ma per alcuni tipi di tumori del sangue sta diventando meno indicato. E' rischioso, ha una certa tossicita’, puo’ generare una reazione immunitaria nei confronti del ricevente. Va usato con una certa cautela: deve essere disponibile un donatore compatibile, un fratello o un donatore volontario. Un'alternativa. e’ il sangue da cordone ombelicale. In tutto il mondo oggi ci sono centinaia di migliaia di esemplari di sangue ombelicale congelato, di tutti i gruppi. E' vero, contengono un numero non elevato di staminali, ma oggi siamo diventati piu’ bravi nel prelievo e sono sicuro che presto troveremo le citochine adatte per riuscire a far moltiplicare queste cellule». La cura della leucemia mieloide cronica puo’ avvalersi del primo farmaco anti- tumore «intelligente», cioe’ capace di porre rimedio al danno del Dna che sta alla base della malattia. Le percentuali di risposta a sono balzate- al 90 per cento. Ancora una volta, cio’ che in molti settori dell'oncologia rappresenta il futuro, nel campo dell'ematologia e’ gia’ realta’. «A causa di un'anomalia dei cromosomi l'enzima tirosin-chinasi viene attivato, portando alla leucemia mieloide cronica. Il Glivec inibisce quest'enzima, bloccando all'origine il meccanismo che fa ammalare la cellula. Si tratta di un farmaco straordinario, che e’ stato approvato dalle autorita’ di controllo a tempo di record, visti i suoi risultati. I pazienti assumono questa pillola e, se tutto va bene e non si sviluppa resistenza, ottengono una risposta nel giro di alcune settimane. Poi possono condurre una vita normale, anche se devono continuare ad assumere la medicina. Il Glivec e’ in uso solo da quattro-cinque anni, e per il momento gli effetti collaterali gravi sono molto rari». Ci sono altri farmaci intelligenti in arrivo? «Le case farmaceutiche ne hanno allo studio molti, ma per realizzarli occorre approfondire la conoscenza del meccanismo biochimico che provoca i vari tipi di tumore. Servono strumenti, tempo e ricercatori, in una parola, grandissimi capitali. Anche i nuovi anticorpi di origine sintetica, capaci di aggredire selettivamente le cellule tumorali con risultati gia’ molto favorevoli nei linfomi, richiedono uno sforzo finanziario notevole. AI punto in cui siamo oggi abbiamo individuato una serie di strategie valide per combattere le leucemie e i linfomi, ora dobbiamo calibrare esattamente le armi a seconda del nemico che abbiamo di fronte. L'impegno e’ grande, ma per fortuna abbiamo i frutti sotto agli occhi: riusciamo a salvare delle vite umane che in passato sarebbero state condannate». _______________________________________________ Avvenire 12 feb. ’04 LEUCEMIE, SI GUARISCE CON LE- NUOVE TERAPIE Da leucemie, linfomi e altri tumori del sangue si guarisce sempre piu’, grazie alla ricerca e ai nuovi farmaci intelligenti", che aggrediscono le cellule malate risparmiando quelle sane. Parola del professor Franco Mandelli, vicepresidente dell'Associazione italiana contro le leucemie, che ieri ha sottolineato l'attuale «rivoluzione copernicana» nella lotta a queste neoplasie, presentando la nuova campagna Ail al Campidoglio a Roma. Cioe’ iniziative in molte citta’ d'Italia e un manifesto (gia’ sottoscritto da 100 scienziati, politici e artisti) per spiegare alla gente che «il futuro c'e’». Nel nostro Paese si registrano 15mila nuovi casi l'anno: «I130, 40% - ha detto Mandelli - guarisce definitivamente. Gli altri convivono con la malattia, conducendo una vita perfettamente normale». Ecco perche’ «c'e’ un futuro per chi e’ colpito dai tumori del sangue». All'iniziativa dell'Ail e’ arrivato anche il «vivo plauso» del presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi: «E un esempio di alto impegno civile -ha fatto sapere in un messaggio - Un patrimonio di conoscenze essenziali per favorire la cultura della prevenzione». _______________________________________________ Il Sole24Ore 13 feb. ’04 L'ERA DELLA MEDICINA PERSONALIZZATA Diana Bracco ha ricevuto ieri all'Universita’ Cattolica di Roma la laurea honoris causa in Medicina e chirurgia: nella «lectio magistralis» ha sottolineato il ruolo cruciale di ricerca e innovazione DI DIANIA BRACCO La medicina e’ una scienza e allo stesso tempo un'arte, o, come si diceva, "un'arte guidata dalla scienza" che affonda le sue radici nell'antichita’. La malattia e; sempre stata, nella storia dell'umanita’, oggetto di studio e di pratica. I primi documenti medici come "il papiro chirurgico", come anche la prima figura di donna medico. risalgono a circa tre millenni prima di Cristo. La malattia, che in origine veniva interpretata come una porta di accesso al soprannaturale e al mondo degli Dei, con Ippocrate viene desacralizzata. Il padre fondatore dell'ars medica antiqua compie un passo decisivo per lo sviluppo della scienza medica, arricchendola di un carattere antropocentrico attraverso il quale si conciliavano tecnofilia e filantropia. E’ proprio il. delicato rapporto tra paziente e medico che innerva tutta la storia della medicina, una storia che e’ perenne ricerca di un equilibrio tra acquisizioni scientifiche e tecnologiche, da una parte, e valori esistenziali e dimensione umana dall'altra. Un equilibrio che prelude alla rifondazione di una medicina moderna, caratterizzata da un'interazione tra malato e medico che deve essere paritetica, bidirezionale e differenziata per competenze. La scienza medica non solo deve essere impegnata nel ridurre continuamente i suoi margini di errore, ma deve anche essere capace di individuare tempestivamente le risposte migliori per la persona nella sua complessita’. Il nome di Bracco e’ associato alla diagnostica per immagini. disciplina quanto mai affascinante e in costante progresso. Noi siamo sempre stati convinti che una sola tecnologia non avrebbe potuto risolvere da sola tutte le problematiche della fase diagnostica. Prevedevamo che la tomografia computerizzata, pur accompagnata da un'aura di eccellente risoluzione spaziale, non sarebbe riuscita a consentire una distinzione adeguata di aree sane da aree malate in diversi organi e apparati. E pensavamo invece che la tomografia computerizzata si sarebbe grandemente giovata di nuovi mezzi di contrasto. I fatti ci diedero ragione: la tomografia computerizzata si giovo’ grandemente dello iopamidolo sviluppato da Bracco e dei composti che lo seguirono. Su iopamidolo Bracco ha fondato il suo processo di internazionalizzazione. Nel 2003 in Europa e negli Usa sono stati eseguiti 44 milioni di esami Tac con mezzo di contrasto. Di questi, oltre 10 milioni con iopamidolo, 14 milioni con prodotti Bracco. Queste grandi soddisfazioni non ci hanno appagato. La nostra bussola rimane sempre orientata ai bisogni clinici dei medici e dei loro pazienti. Con questa visione Bracco ha ampliato il suo impegno industriale fino a comprendere tutti gli strumenti per la diagnostica: dalle apparecchiature ai mezzi di contrasto e alle tecnologie per iniettarli, ai sistemi informatici e quelli organizzativi e di supporto impiegati nell'erogazione dei servizi di diagnostica per immagini. Nuove apparecchiature, nuovi software, nuovi mezzi di contrasto si connotano come vera innovazione, potenzialmente in grado di trasformare in modo radicale ad esempio la gestione dei pazienti coronaropatici, o lo studio non invasivo di diverse malattie neoplastiche, vascolari, neurologiche. L'ingresso della medicina nell'era della genomica ha avviato un nuovo, inarrestabile processo nella capacita’ di fornire soluzioni ai problemi di salute della nostra societa’. Si sta delineando una vera rivoluzione della medicina, che entro una decina di anni potra’ passare da "preventiva" a "predittiva" o "personalizzata". Il concetto di medicina personalizzata domina la ricerca scientifica. Dobbiamo attenderci enormi progressi nella capacita’ di diagnosticare le malattie sulla base del genotipo, di identificare condizioni di maggior rischio correlate alla presenza di geni di suscettibilita’ e di identificare la terapia migliore per lo specifico problema di salute di un determinato paziente. Ad esempio, in presenza di predisposizione per una o piu’ malattie, si potra’ monitorarne l'evoluzione e realizzare interventi preventivi appropriati. Se, nonostante queste misure preventive, la malattia raggiungera’ la fase clinica, saranno disponibili accertamenti diagnostici per verificare in modo specifico la presenza della malattia e la sua gravita’> cosi’ da poter selezionare la terapia piu’ appropriata per la specifica condizione; monitorando successivamente la r7sposta terapeutica. La conoscenza del genoma umano sta rivoluzionando la capacita’ di scoprire nuovi bersagli per migliorare l'accuratezza dell'identificazione e caratterizzazione di processi patologici, di studiare e seguire nel tempo la funzione di tessuti e organi, nonche’ di curare malattie oggi non trattate con farmaci o trattate in modo inadeguato. Nell'ambito della diagnostica per immagini, sta emergendo una nuova generazione di strumenti e di procedure operative che permetteranno un salto di qualita’ in termini di alta risoluzione, specificita’ e quantificazione del segnale proveniente da un tessuto malato o da un processo patologico. _ L'obiettivo di questo approccio e’ la possibilita’ di visualizzare la presenza di molecole che siano in grado di indicare precisamente e specificamente l'insorgenza di uno stato patologico molto prima della manifestazione di trasformazioni anatomiche che caratterizzano i protocolli diagnostici correntemente utilizzati nella pratica clinica. L'evoluzione della diagnostica per immagini permettera’ di eseguire una diagnosi personalizzata e di conseguenza di scegliere una terapia molta piu’ mirata alle esigenze del paziente. Si assistera’ all'evolversi sia del mezzo di contrasto, che sara’ in grado di caratterizzare la patologia a livello cellulare e mole colare, sia della strumentazione, che includera’ software sempre piu’ sofisticato per processare le immagini e lo sviluppo di sistemi ibridi che combinano diverse modalita’ di imaging. Inoltre, gli stessi vettori ala base dell'imaging molecolare potranno essere utilizzati per farmaci che vengono veicolati e resi attivi sugli stessi bersagli. La biologia molecolare offre la possibilita’ di passare da tecnologie "pre’t a’ porte-:" a tecnologie "su misura". Malattie neoplastiche e malattie cardiovascolari sono tra le aree sulle qua; i si sono maggiormente concentrati gli interessi e le iniziative della ricerca basata sulla genomica. Tuttavia la biologia molecolare puo’ anche ampliare significativamente il campo delle opzioni della medicina. La medicina molecolare puo’ prefiggersi di migliorare la qualita’ della vita attraverso un maggior controllo delle capacita’ degli individui. In altre parole, che a una medicina "preventiva" o "riparativa" si aggiungera’ una medicina che potremmo chiamare "potenziativa". E’ indubbio che la medicina molecolare ci costringe a ridiscutere tutta una serie di nozioni, quali quelle di malattia e di salute e, in definitiva, della stessa concezione esistenziale e di cio’ che ci costituisce come esseri umani. I rapporti fra conoscenza ed etica si fanno piu’ complessi, non solo nella medicina genomica del futuro, ma anche nella medicina sempre piu’ tecnologica di oggi, che consente nuove forme di vita, come nel caso dei trapianti o della fecondazione tecnologica. Ogni medico, peraltro, all'inizio del suo cammino, pronuncia il giuramento di Ippocrate. Ogni medico giura solennemente di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell'Uomo e il sollievo dalla sofferenza. Questo deve ispirare ogni suo atto professionale, con responsabilita’ e costante impegno scientifico, culturale e sociale. La medicina molecolare, la medicina genomica, la medicina predittiva devono continuare ad avere come riferimento l'essere umano e le sue sofferenze. Gli ausili diagnostici di oggi, e quelli che verranno, devono rimanere uno strumento finalizzato a migliorare le capacita’ diagnostiche, preventive, predittive e -le possibilita’ di terapia, ma non devono diventare il fine ne’ tantomeno il riferimento centrale della professione medica. Il paziente e la complessita’ della sua persona sono e devono restare i riferimenti cardinali della prassi medica, affinche’ questa prassi divenga, giorno dopo giorno, luogo e momento in cui armonizzare i due fondamentali orizzonti della professione medica: quello scientifico e quello umanistico. E sara’ anche questo un modo per saldare con il paziente un millenario debito di conoscenza, poiche’, come ha scritto Marcel Proust, «una gran parte di quello che i medici sanno e’ insegnato loro dai malati».' Un settore chiave La diagnostica Diana Bracco, presidente e amministratore delegato dei Gruppo Bracco e presidente di Federchimica, ha ricevuto ieri mattina nella sede romana dell'Universita’ Cattolica del Sacro Cuore la laurea honoris causa in Medicina e chirurgia. L'imprenditrice milanese ha tenuto la lectio magistralis (di cui proponiamo un ampio stralcio) sul tema «Ricerca e tecnologia per terapie personalizzate», ripercorrendo le principali tappe del gruppo industriale leader mondiale nelle soluzioni globali per la diagnostica per immagini. Per rilanciare la ricerca made in Italy esistono, secondo la Bracco, «modalita’ per dare respiro e anche ispirazione alle imprese», non solo attraverso finanziamenti. «Ad esempio I'Irap - ha sottolineato - e’ qualcosa di patologico che penalizza la forza lavoro: piu’ ricercatori si hanno e piu’ si viene tassati con I'Irap. Un segnale potrebbe essere quello di esonerare i ricercatori dell'industria dall'Irap. L'accoglimento di questa ipotesi rappresenterebbe gia’ un grande messaggio per le aziende». Diana Bracco LE PRINCIPALI PROCEDURE DIAGNOSTICHE IN VIVO, IN EUROPA E USA Ultrasuoni (con e senza contrasto) 44% RM (con o senza contrasto) 14% Altri raggi X Contrasto 7% Medicina nucleare 7% Tac (con o senza contrasto) 28% _______________________________________________ L’Avvenire 10 feb. ’04 QUANDO LA PUBERTA’ ARRIVA IN ANTICIPO GLI ANNI DELLO SVILUPPO. Un congresso internazionale a Verona sulle problematiche dell'eta’ evolutiva. Ma non c'e’ concordanza di idee «Anche le componenti ambientali possono influire sui cambiamenti fisici» L'arrivo della puberta’ porta modificazioni somatiche, endocrinologiche e psicologiche Pubere, eta’ puberale, puberta’. Tutti termini che attengono alle modificazioni anatomiche e funzionali cui vanno incontro gli esseri viventi nell'ambito dei processi evolutivi, che portano a maturazione gli organi della riproduzione. Si tratta di modificazioni di carattere endocrino-ormonale, psicologico, somatico. Nel ragazzo-adolescente si modifica il timbro della voce, e compaiono le prime pulsioni erettive dell'organo genitale. Nelle femmine si verifica il primo ciclo mestruale (menarca), si sviluppano le ghiandole mammarie (telarca), si arrotondano i contorni corporei e si amplia la conformazione del bacino. In entrambi i sessi, si ha una accelerazione di crescita corporea che si arresta dopo qualche po'. Per quanto riguarda l'inizio dei primi cicli mestruali, del menarca, gli specialisti calcolano che si sia abbassato di 4 mesi negli ultimi 100 anni. E cosi’ dicasi della prima eiaculazione dei ragazzi. Qualcuno, pero’, obbietta che queste oscillazioni si siano verificate anche nei secoli passati. Da notare che le adolescenti del Nord tendono a posticipare le mestruazioni rispetto a quelle del Sud. Comunque nel momento del passaggio dall' eta’ infantile a quella adulta avvengono delle modificazioni somatiche, endocrinologiche, psicologiche e dell'assetto pilifero. in questa delicata fase evolutiva, matura in parallelo anche la capacita’ della funzione procreativa. Con queste premesse di grande rilievo culturale e pratico e’ apparso un congresso internazionale, organizzato a Verona dal Dipartimento materno infantile e di biologia genetica, presieduto dal clinico pediatra universitario professor Luciano Tato’, coadiuvato dall'allievo dottor Franco Antoniazzi. Non vi e’ concordanza uniforme tra gli esperti nell'attribuire tempi anticipati in tema di eta’ dello sviluppo puberale, specie nelle bambine. Ovviamente e’ ammissibile che componenti etniche e ambientali influiscano sui tempi di inizio e svolgimento delle fasi puberali. A1 congresso, il professor Jacques Drouin di Montreal - noto ricercatore internazionale - si e’ intrattenuto sui meccanismi dello sviluppo ipofisario, sottolineandone le componenti genetico molecolari che modulano le risposte funzionali della ghiandola ipofisi. Il professor Gianni Bona ha riferito sulle variabili etniche dello sviluppo puberale, sulla precocita’ delle bambine adottate provenienti da paesi in via di sviluppo. Su questo ultimo fenomeno influiscono anche le condizioni dell' habitat. Sono ipotizzabili inoltre delle contaminazioni ambientali definite dagli autori anglosassoni «endocrine disruptors». Il professor Franco Rigon di Padova sostiene che ricerche eseguite nel Veneto confermano anche qui una lieve anticipazione dello sviluppo puberale, per quanto attiene all'inizio del ciclo e del vissuto psicologico. Il professor Carlo de Sanctis di Torino ribadisce analogo concetto, prendendo in considerazione lo sviluppo precoce dei capezzoli e dei seni (telarca). Chaussain e Czernichow (Parigi) riportano i dati dello sviluppo puberale quando sussiste ritardo di crescita intrauterina. Franco Antoniazzi, della clinica pediatrica universita’ di Verona, puntualizza i rapporti tra supplementazione di calcio, sviluppo puberale, e influenza a distanza di tempo sulla massa ossea, per prevenire in futuro l'osteoporosi. Al convegno si e’ affrontato anche la problematica dei deficit staturali avviati da situazioni di patologia puberale-endocrina. Puntuali interventi dei professori Anna Maria Pasquino di Roma, Alessandro Cicognani di Bologna, Mauro Bozzola di Pavia, Filippo De Luca di Messina. Alla conclusione dei lavori, il professor Tato’ ha annunciato che Verona tra due anni ospitera’ un importante Convegno sulle malattie della tiroide in eta’ pediatrica. Roberto Morgante ________________________________________________ La Stampa 11 feb. ’04 DIABETE MELLITO: NUOVI VALORI SI prevede che, se proseguira’ l'attuale tendenza, il panorama mondiale del diabete mellito sia destinato a dilatarsi a dismisura, passando nel prossimo ventennio dagli attuali 150 milioni di casi a 300 milioni. E si prevede che a contribuire maggiormente saranno i paesi in via di sviluppo che, dopo la malaria, la Tbc e l’Aids, conosceranno un'altra epidemia, questa volta non infettiva ma altrettanto pericolosa. Il motivo sta nel fatto che il sonnacchioso pancreas delle popolazioni cronicamente iponutrite difficilmente potra’ reggere il rapido impatto con l'adozione delle peggiori abitudini alimentari dell’Occidente. Questo l'allarme che l'OMS (Organizzazione mondiale della sanita’) ha lanciato nell’ultima Giornata mondiale del diabete. Ma l’espansione del diabete e’ destinata a continuare anche nei paesi sviluppati. Oggi in Italia vivono due milioni di malati di diabete (ma si presume che altrettanti siano coloro che non sanno ancora di esserlo) e si stima che nel 2025 saranno ! 5 milioni. E, quel che e’ peggio, si sta assistendo alla rapida diffusione di tale patologia anche nelle fasce piu’ giovani a causa dalla micidiale combinazione di una vita sempre piu’ sedentaria, davanti a tv e computer, e di un'alimentazione sempre piu’ scorretta. Parallelamente alla maggiore diffusione del diabete sono destinate ad aumentare anche le gravi complicanze ad esso associate. Il diabete aumenta di 3-5 volte la frequenza di infarti del miocardio e di ictus cerebrale, ed e’ la prima causa di cecita’, di insufficienza renale, di arteriopatia e neuropatia degli arti inferiori e di deficit della funzione sessuale con evidenti gravi ripercussioni sull’aspettativa e sulla qualita’ di vita, nonche’ sui costi socio-sanitari, diretti e indiretti. Il diabete di tipo 2, non insulino-dipendente (di gran lunga il piu’ diffuso) ha una forte componente genetica, che condiziona sia la secrezione pancreatica sia l'azione periferica dell'insulina. E' tuttavia accertato che senza il concorso di fattori acquisiti (obesita’, sedentarieta’, alimentazione qualitativamente squilibrata, fumo) che svolgono un decisivo ruolo promovente il rischio genetico, potrebbe non manifestarsi mai o acquisire notevole rilevanza clinica. Questo e’ il concetto cruciale del metabolismo glicidico, da cui deriva che l'unico modo per arginare la pandemia di diabete e’ la prevenzione, rivolta principalmente verso le persone a rischio elevato di sviluppare la malattia, le quali dovrebbero essere riconosciute il piu’ precocemente possibile per porre in atto misure comportamentali efficaci. Questa considerazione ha recentemente indotto le Societa’ diabetologiche internazionali a rivedere i criteri di diagnosi e di classificazione del diabete mellito. I nuovi criteri prevedono che si parli di diabete mellito gia’ con una glicemia uguale o superiore a 126 mg/dL, mentre prima il valore limite era 140 mg/dL; che venga definita "alterata glicemia a digiuno" una glicemia compresa fra 110 e 125; che si! a considerato stato diabetico anche se la glicemia a digiuno e’ inferiore a 126 mg/dL, ma se e’ uguale o superiore a 200 mg/mL la glicemia 2 ore dopo un carico orale di glucosio di 75 g (OGTT), e stato di "ridotta tolleranza glucidica" se 2 ore dopo un carico di glucosio la glicemia e’ compresa fra 140 e 199 mg/dL. La American Diabetes Association consiglia di sottoporre a glicemia a digiuno e dopo carico di glucosio tutte le persone oltre i 45 anni, gli obesi ed i parenti di primo grado di diabetici, gli appartenenti ad etnie ad alto rischio di malattia, le donne che abbiano partorito figli macrosomici (di peso oltre i 4 chilogrammi) o che abbiano avuto un diabete gestazionale, i dislipidemici e gli ipertesi. L'Oms conduce un'opera di capillare sensibilizzazione affinche’ la prevenzione del diabete mellito e delle sue complicanze basata sull'adozione stili di vita corretti divenga consapevole e permanente patrimonio culturale delle popolazioni di tutti i paesi. Antonio Tripodina