MORATTI FUORI CORSO - MORATTI: IL CAMBIAMENTO E’ NECESSARIO MA LA LEGGE NON E’ BLINDATA - I DOCENTI DEL FUTURO? CON QUESTA RIFORMA SARANNO I MENO BRAVI - LA CATTEDRA IN DISCUSSIONE - LE COLPE CONDIVISE - I DOCENTI NON SONO MANAGER - L'UNIVERSITA’ ROMPE LA GABBIA - II 4 MARZO IL BLOCCO DELL'ATTIVITA’ DIDATTICA - PRESIDI DI FACOLTA’ SI MOBILITANO CONTRO LA RIFORMA - L'AUTONOMIA CHE EVITA LOCALISMI - DUE CAMERE E CUCINA, ECCO L'IIT - P.PANI: UNIVERSITA’ DEMOCRATICA, MA NON TROPPO - ZERO IN RICERCA, COSI L’ITALIA SCIVOLA NEL TERZO MONDO - SE LA RICERCA E’ UN GIOCO DI PAROLE - ARRIVANO 7 MILIARDI DI EURO PER LA RICERCA ITALIANA - UNIVERSITA’, COSI HA VINTO L'AMERICA - ===================================================== MISTRETTA: SENZA DIDATTICA L’AZIENDA MISTA NON CI INTERESSA - CAGLIARI. L’UNIVERSITA’ METTE IL CAPPELLO SULL’AZIENDA MISTA - CAGLIARI: NEL REPARTO DI GINECOLOGIA SOLAMENTE POSTI IN PIEDI - GINECOLOGIA: REPLICA DEL DIRETTORE DELL’ASL - UN CHECK-UP SULLE SPESE DI SANITA’ ED ENTI LOCALI - IN CRESCITA IN SARDEGNA I CASI DI SCLEROSI MULTIPLA - QUEL BUSINESS CHIAMATO PROTEOMICA - GIULIO COSSU, BATTAGLIA FRA GLI EMBRIONI CONGELATI - PRIME PROTESI ANCHE PER LE VERTEBRE - CELLULE STAMINALI PER I CUORI MALATI - CANCRO AL SENO,DONNE A RISCHIO CON GLI ANTIBIOTICI - EFFETTO PLACEBO SVELATI (IN PARTE) I SUOI SEGRETI - L'HIV SFINISCE LE DIFESE DELL'ORGANISMO - ===================================================== ________________________________________________________ L’Espresso 19 feb. ’04 MORATTI FUORI CORSO ATENEI / il PROGETTO DEL MINSTRO Privatizzazione strisciante. Fuga di cervelli. Ricerca svilita, Cosi un insigne professore boccia la riforma dell'universita’ – La dea Minerva coperta da un drappo nero, a simboleggiare la morte della conoscenza. Lezioni bloccate, e il piazzale di fronte all'ateneo pieno di manifestanti- professori, associati, ricercatori, dottorandi. Erano in tanti lo scorso 5 febbraio, davanti alla Sapienza di Roma, a protestare contro la riforma Moratti versione universitaria. Il disegno di legge delega sullo stato giuridico dei professori universitari, criticato dagli accademici per mesi, e’ stato approvato il 16 gennaio dal Consiglio dei ministri. A nulla sono valse le insistenze della Crui, la Conferenza dei rettori universitari italiani, per convincere il ministero dell'Istruzione a sospendere, la riforma e aprire il dibattito con le comunita’ accademiche. E dopo l'approvazione, le universita’ non hanno tardato a reagire. A Padova, Trieste, Bologna, gli stessi commenti: «E’ la fine della carriera universitaria » Un invito a scappare all'estero, ripetono cattedratici e giovani ricercatori, con gli striscioni in mano. Tutti pronti a raggiungere Roma, dove il prossimo 17 febbraio si terra’ una grande protesta nazionale. Sotto accusa, i provvedimenti presi dal governo per riorganizzare le cariche all'interno dell'universita’, il concorso nazionale invece di quello locale per assegnare le cattedre a ordinari e associati, il consenso all'attivita’ professionale esterna alla docenza, la rivoluzione degli orari. Ma soprattutto, la decisione di istituire contratti co.co.co. di cinque anni per i ricercatori, rinnovabili per altri cinque. Una soluzione che sa di precarieta’ per i 21 mila ricercatori italiani, che dopo i due contratti, a quarant'anni suonati, potrebbero trovarsi per strada senza nessuna possibilita’ di riciclare competenze squisitamente accademiche nel mondo del lavoro - «Vogliamo migliorare l'attivita’ didattica e quella della ricerca», afferma la Moratti, che difende il suo progetto ispirato alla flessibilita’ e alla mobilita’ delle universita’ americane. Dimenticando, forse, che a Princeton non si fa lezione nei cinema affittati, che a Yale non si passa in farmacia per comprare da soli quanto serve per le attivita’ di laboratorio, che ad Harvard i laureati piu’ brillanti non vengono incoraggiati a restare con mille euro al mese. «Questa riforma bada alla burocrazia. Certo non alle risorse che sarebbero necessarie per migliorare davvero la situazione», ha dichiarato Guido Fabiani, rettore dell'ateneo di Roma Tre e membro dei comitato di presidenza della Crui. Un pasticciaccio, insomma, a detta di tutti quelli che nell'universita’ ci lavorano e ci credono. Come Raffaele Simone, professore di Linguistica a Roma 30 anni di insegnamento universitario sulle spalle e una vis critica che non risparmia nessuno. nel suo – L’universita’ dei tre tradimenti" (Laterza editore) ha accusato i professori universitari di essere una categoria con pochissimi obblighi e molti privilegi, «piu’ interessata alla propria riproduzione che allo sviluppo e alla ricerca della formazione >. Nessuna indulgenza per il mondo accademico, quindi. Eppure, Simone su questa riforma ha molto da dire. ProfessoR Simone, il disagio delle universitá italiane e’ palpabile. Docenti demotivati, strutture inefficienti, e un investimento sulla ricerca dell'0,8 per cento del Pil, tra i piu’ bassi in Europa. Una riforma era senz'altro necessaria. . che il ricercatore e’ «un prodotto della follia sindacal-corporativa degli anni '70». «Che il ruolo del ricercatore vada modificato non c’e’ alcun dubbio: siamo l'unico paese al mondo, credo, ad avere ricercatori. E c'e’ gente che spesso rimane in quella posizione fino ai cinquant'anni. Ma i dieci anni di precariato previsti da questa riforma sono troppi. se non diventi professore, che fai? Ti metti a cercare un lavoro da impiegato con un dottorato in epistemologia, e magari moglie (o marito) e figli? No , il passaggio da ricercatore serve: nessuno "nasce imparato". Ma devono essere giovani, entro i trent'anni, Due, tre anni bastano a capire se quella persona e’ fatta per la carriera accademica, E poi devono essere seguiti seriamente e giudicati da una commissione, non da un unico professore » . Capitolo concorso. Fino a sei anni fa i concorsi per professori ordinari e associati erano indetti a livello nazionale. ", accusati di clientelismo, erano stati organizzati a livello locale. Ora si torna al nazionale. «Questa e’ una discussione teologica, ci vorrebbe un Concilio di Trento per venirne a capo. Guardi io faccio questo mestiere dal '69, di modalita’ concorsuali ne ho viste a bizzeffe: non ne ha mai funzionato una. La verita’ e’ che e’ la nostra stessa corporazione a guastare i concorsi minandone la logica ». Da 60 ore di insegnamento a 120, su un totale di 350 ore di impegno all'anno previste per i docenti. E alcuni suoi colleghi che si lamentano: cosi manca il tempo per fare ricerca. «Ma non scherziamo: quanto fa 120 ore all'anno diviso 52 settimane. Poco piu’ di due ore alla settimana? Roba da far ridere tutte le altre categorie di lavoratori. La mia opinione e’ che i professori in universita’ ci sanno troppo poco. Bisognerebbe inchiodarli alle sedie. E comunque e’ una misura ipocrita: ci chiedono di insegnare di piu’ e poi.,. E poi? «E poi non ci danno le strutture. Sa che se io volessi fare dieci ore di lezione non potrei? Non ci sono le aule a disposizione ». Forse bisognerebbe inaugurare le prime lezio all’aperto. Anche perche’ i soldi, dice la Moratti, dovete farveli bastare. «I soldi sono pochi ma soprattutto sono distribuiti male. Inutile raccontarsi storie in Italia ci sono universita’ di alto livello e atenei che vivacchiano, scientificamente parlando. E allora, la strada e’ solo una- distinguere i due tipi, come negli Usa si fa con college e universita’,. Chi lavora bene, chi fa ricerca seriamente guadagna di piu’, e crea poli d'eccellenza che detengono il diritto di bandire i dottorati. E gli altri fanno l'insegnamento di base, Solo cosi chi vale puo’ essere pagato il giusto, e si combattera’ sul serio la tanto vituperata fuga di cervelli ». ________________________________________________________ Corriere della Sera 18 feb.’04 MORATTI: IL CAMBIAMENTO E’ NECESSARIO MA LA LEGGE NON E’ BLINDATA» Il ministro dell' Istruzione: molti prof d' accordo sulle linee guida, il 41% non ha aderito alla mobilitazione IL MINISTRO Benedetti Giulio ROMA - «Molti professori universitari non protestano. Ho appena incontrato due sindacati che rappresentano oltre 5.000 tra docenti ordinari e associati e sulle linee portanti della riforma dello stato giuridico ho potuto riscontrare una convergenza di vedute». Nel giorno della rivolta degli atenei contro la riforma dello stato giuridico dei professori che porta il suo nome, il ministro Moratti appare serena. Guadagna rapidamente l' ingresso del teatro Parioli, dove sara’ ospite di un «Maurizio Costanzo show» dedicato alla scuola, rincorsa dalle grida di quattro mamme-sandwich che la invitano a dimettersi e le comunicano che la riforma della scuola merita la «bocciatura». Gli slogan non sembrano turbarla. Ha appena incassato da parte dei due piu’ autorevoli sindacati autonomi della docenza universitaria, l' Uspur e il Cipur, un parere sul disegno di legge dell' universita’ che non suona come un verdetto di condanna inappellabile. Il mondo dell' universita’ appare spaccato. Le due sigle, che non possono essere rappresentate come il «fronte del si’» - il Cipur si pronuncera’ sulla riforma nei prossimi giorni - ma non hanno aderito alla giornata di protesta nazionale, secondo l' ultima misurazione ufficiale sulla rappresentativita’ sindacale pesano per circa il 41,94 per cento. Poi c' e’ l' altra parte dell' universita’, maggioritaria: il 52,51 per cento secondo le stime della Funzione pubblica, che chiede il ritiro della riforma. Sono i confederali, che vedono largamente maggioritaria la Cgil Snur (22,74), lo Snals e il Cnu. Anche a loro il ministro ripetera’ quello che ha gia’ detto agli altri: «La legge non e’ blindata. Siamo disponibili al dialogo e al confronto. Esiste la possibilita’ di migliorare e integrare il testo. Siamo pronti a lavorare con il mondo scientifico su una riforma ritenuta da tutti necessaria». La Moratti respinge le accuse che in queste ore rimbalzano da un' assemblea universitaria all' altra. La riforma e’ stata scritta senza consultare i docenti universitari. «Non e’ vero - dichiara il ministro -. Il testo e’ stato illustrato tre volte all' assemblea dei rettori, l' ultima sette giorni fa. La Commissione De Maio ha mostrato il testo del disegno di legge in sei o sette diverse occasioni». La riforma nega un futuro ai giovani studiosi, li costringe ad emigrare all' estero? «Le cose non stanno affatto cosi’ - e’ la replica della Moratti -. Solo tre Paesi importano cervelli: Stati Uniti, Svezia e Nuova Zelanda. In tutto il resto del mondo i cervelli vengono esportati. La fuga all' estero dei giovani studiosi non e’ un problema solo italiano. Siamo impegnati a rendere la carriera scientifica piu’ attraente. Il problema della ricerca scientifica in Italia non e’ l' inadeguatezza degli investimenti pubblici che ormai sono nella media europea, ma di quelli privati». Infine la questione piu’ dibattuta in queste ore, i finanziamenti. «La legge delega - risponde - e’ uno strumento flessibile, efficace per graduare gli interventi finanziari nel tempo, per trovare via via nuove risorse». Giulio Benedetti ________________________________________________________ Corriere della Sera 18 feb.’04 I DOCENTI DEL FUTURO? CON QUESTA RIFORMA SARANNO I MENO BRAVI IL PRORETTORE DEL PIU' GRANDE ATENEO D' EUROPA Capponi Alessandro Il prorettore della Sapienza Gianni Orlandi ha appena parlato al microfono dell' aula magna del Rettorato, di fronte a studenti seduti in terra, accanto a professori a contratto, docenti, ricercatori. Ha detto che questa non puo’ essere una battaglia solo dell' universita’. Perche’? «Perche’ deve essere della societa’ tutta, bisogna coinvolgere la societa’ civile. L' universita’ forma le nuove generazioni, rappresenta il futuro. Cosi’ come la scuola. La sfida e’ la stessa, si tratta comunque di formare gli studenti. E’ mai possibile che il Paese non se ne renda conto?». Il disegno di legge Moratti sembra padre di ogni male dell' universita’ pubblica, e’ cosi’? «Il fatto e’ che le universita’ pubbliche vivono un momento economicamente delicato, e il disegno di legge non contiene investimenti. Si parla di fondi per gli incarichi per i nuovi precari: ma questi soldi da dove li tiriamo fuori? E inoltre: cosi’ la ricerca scompare. Certo, il governo mira a risparmiare. Ma la ricerca per gli atenei e’ sempre stata la marcia in piu’». Per i giovani questo disegno di legge cosa significa? «Non avere certezze». Prego? «La precarizzazione significa questo: dire ai giovani che le porte del futuro sono chiuse». E per l' ateneo la precarizzazione cosa vuol dire? «Che ci resteranno solo i meno bravi». Le menti migliori andranno all' estero? «Andranno ovunque saranno offerte loro delle certezze. Qui rimarranno solo quelli che non hanno trovato niente di meglio. E sapete tutto cio’ cosa significa?». Lo dica lei. «Che, fatalmente, ad avvantaggiarsi di questa situazione saranno le universita’ private. le pubbliche, degradate e dequalificate. Le private, invece, hanno altre forme di sovvenzionamento. Ecco, loro sono i veri beneficiari di questo disegno di legge. Non certo l' universita’ pubblica, o il Paese, o il futuro delle nuove generazioni». Come si evolvera’ la protesta? «Ci sara’ una settimana di blocco della didattica a marzo. E altro, anche». Si parla del blocco anche di esami e tesi di laurea. «Vedremo, le iniziative di protesta annunciate sono molte. E’ difficile prevedere quello che accadra’, le assemblee si succedono, docenti e studenti sembrano molto vicini. Ecco, forse questo e’ l' unico aspetto positivo: vedere un' assemblea cosi’ gremita e’ stato emozionante, non capitava da tempo». Parla quasi da rettore. «No, e’ che D' Ascenzo in questi giorni non e’ in Italia e allora io cerco di sostituirlo». Ma detto ridendo. Al. Cap. ________________________________________________________ Il Sole24Ore 20 feb.’04 LA CATTEDRA IN DISCUSSIONE Martedi si e’ discusso a Roma il progetto dell'Istituto italiano di tecnologie che presto decollera’ a Genova. L'impresa, promossa dai ministri dell'Economia Giulio Tremonti e dell'Istruzione Letizia Moratti, e’ stata criticata in vari ambienti per astrattezza e verticismo. Anche se l'argomento che andasse promossa un'iniziativa fuori dall'asfissiante burocrazia delle universita’ italiane e’ apparso a molti assai convincente. Tra i sostenitori dell'iniziativa si e’ esposta anche il premio Nobel Rita Levi Montalcini, pochi mesi fa accanita accusatrice dell'operato del Governo sulle questioni della ricerca. Che il mondo della scienza si divida volta per volta sul merito e non sugli schieramenti politici e’ molto confortante. Altro tema assai discusso oggi negli atenei italiani e’ quello delle proposte del ministero dell'Istruzione su concorsi e reclutamento dei ricercatori. In particolare il ministro propone una soluzione non originalissima (ma perche’ mai dovremmo difendere la cosi mal messa "via italiana" per le universita’?), ispirata a modelli prevalenti nelle universita’ europee e americane, e centrata su contratti a tempo per i giovani che intraprenderanno la carriera accademica. Una scelta che, in tempi di scarsita’ di risorse, offre un'opportunita’ per rendere piu’ dinamico e giovane il nostro corpo ricercatori. E per rafforzare concretamente l'autonomia universitaria. La proposta ha scatenato contestazioni. Si e’ evocata una mobilitazione che ricordava i «tempi della pantera»; anzi «il '77»; ancora di piu’: «il mitico '68». E via elencando le stagioni che hanno segnato il declino del nostro sistema di alta istruzione e ricerca. Pero’ questa volta su diversi giornali, alcuni autorevoli rettori e professori rompendo il clima monolitico, prevalente in generale nelle corporazioni italiane, si sono schierati per le proposte della Moratti. Un raggio di speranza: solo se le nostre corporazioni, al di la’ della naturale difesa dei propri buoni redditi e alti principi, si impegneranno a superare i loro poteri chiusi e opachi, le loro deresponsabilizzazioni, e affronteranno il confronto pubblico con proposte difformi, a volte confliggenti, sara’ possibile mettersi sulla via delle riforme di cui l'Italia ha bisogno. ________________________________________________________ Corriere della Sera 19 feb.’04 LE COLPE CONDIVISE Universita’: dopo la protesta De Rienzo Giorgio Chi conosce bene, dal di dentro, la storia dell' Universita’ degli ultimi trent' anni sa perfettamente che il degrado della qualita’ dell' insegnamento, cosi’ come della ricerca, ha due poli di responsabilita’. Ci sono colpe di politici inetti a programmare il futuro, anche perche’ perennemente costretti ad affrontare emergenze. Ma la responsabilita’ e’ anche a carico, per lo meno a meta’, di forti centri di potere accademici, abili a giocare di furbizia per tutelare interessi corporativi, sotto la copertura figurativa di proclamazioni di grandi principi. Gli uni e gli altri sanno come provvedimenti tampone, volta per volta, abbiano determinato immissioni in ruolo, sostanzialmente ope legis, di professori e ricercatori. Migliaia di ex assistenti e professori incaricati sono stati senz' altro dichiarati idonei all' insegnamento, per il solo fatto di essere stati messi in cattedra da disinvolti provvedimenti delle singole Facolta’. Allo stesso modo, borsisti e assegnisti di ogni tipo sono stati trasformati in ricercatori, solo perche’ inseriti in progetti di ricerca che molto raramente hanno trovato sbocco. Poi e’ venuta la «conquista» dell' autonomia da parte delle Facolta’ e, quasi contestualmente, la riforma del «tre piu’ due». Anche in questo caso si e’ verificata una sovrapposizione di responsabilita’ fra decisioni politiche discutibili e giochi di astuzia dei professori. Le Facolta’ hanno spesso moltiplicato, irresponsabilmente, l' attivazione di percorsi di studio avventurosi, senza badare alle reali risorse umane disponibili. Di qui e’ nata una «promozione» di massa dei ricercatori all' insegnamento, un' assunzione spesso scriteriata (o clientelare) di professori «a contratto» e un uso - di contrabbando - di «cultori della materia» nell' attivita’ didattica. Uscire da questo groviglio non e’ facile per nessuno. Ogni tentativo di soluzione puo’ risultare doloroso, creare situazioni paradossali, nonche’ ingiustizie palesi, che rendono legittime le proteste di queste settimane, culminate nella clamorosa protesta di martedi’ alla Sapienza. Ma su un malato di cancro e’ quasi sempre necessario un intervento chirurgico, anche se fatalmente costituisce un trauma. Per riportare ordine nelle nostre Universita’, chiunque abbia buon senso non puo’ che pensare a soluzioni radicali. L' accesso all' insegnamento universitario deve essere garantito da una selezione seria, la conferma dell' insegnante va verificata doverosamente. Creare forme di contratto a tempo determinato e’ dunque cosa buona; prevedere concorsi nazionali per professori associati od ordinari puo’ garantire, piu’ degli attuali concorsi locali, un oggettivo accertamento di competenze; infrangere finalmente il tabu’ dei «professori a vita» sarebbe una scelta saggia. Non sono punti di partenza che appartengano alla «cultura» di questo o di un qualsiasi altro governo. Sono gli unici principi di base che possono garantire per il futuro un' effettiva qualita’ dell' insegnamento e della ricerca. ________________________________________________________ Corriere della Sera 20 feb.’04 I DOCENTI NON SONO MANAGER UNIVERSITA' Magrelli Valerio L' articolo di Giorgio De Rienzo «Le colpe condivise», uscito ieri sul Corriere, invita a ripensare la protesta universitaria di cui si e’ fatta portavoce la Sapienza di Roma. Difficile contestare la sua analisi, che condanna sia la pratica dell' immissione in ruolo «ope legis» (cioe’ senza concorso), sia il sistema dei concorsi locali. Ricostruendo le responsabilita’ del corpo accademico, l' autore ha buon gioco nel denunciare certo corporativismo, rilevando i danni scaturiti dalla cosiddetta riforma tre piu’ due: «Di qui e’ nata una promozione di massa dei ricercatori all' insegnamento, un' assunzione spesso scriteriata (o clientelare) di professori a contratto, e un uso - di contrabbando - di cultori della materia nell' attivita’ didattica». Davanti a tutto cio’, non resterebbero che scelte radicali come quella di creare forme di contratto a tempo determinato, infrangendo cosi’ il tabu’ dei professori a vita. Condivido i presupposti della disamina, ma dissento completamente dalle conclusioni, e per spiegarlo vorrei soffermarmi su due fra i peggiori difetti della proposta Moratti, ossia le modalita’ di reclutamento e il perseguimento della precarizzazione. In verita’, come e’ gia’ stato segnalato, le due cose convergono verso un unico, spaventoso risultato. CONTINUA A PAGINA 53 Universita’: i docenti non sono manager In base a questa logica, prima di approdare alla sospirata meta dell' assunzione indeterminata, un giovane laureato trascorrera’ circa ventidue anni di precariato, scandito da almeno una decina di giudizi o concorsi il cui esito potrebbe portarlo ogni volta alla perdita del posto. E’ la minaccia di un simile futuro ad alimentare la mobilitazione degli atenei romani. Attaccando il «tabu’» dei professori a vita, De Rienzo dimentica il valore di una conquista come la tenure, ovvero l' assunzione a tempo indeterminato. Ne ha parlato Anne Matthews in uno studio sui campus americani: «Adottate contratti quinquennali come quelli di qualsiasi manager dell' industria, e i contrattati perderanno la liberta’ di parola. La tenure sara’ forse dispendiosa, ma preserva all' interno della societa’ civile una sorta di laboratorio dove la gente possa mettere il naso nelle questioni piu’ strane, creando ancora piu’ strane connessioni, e per ragioni non immediatamente palesi». Recensendo il volume, Domenico Fiormonte ha commentato: «L' universita’ dovrebbe essere insomma il luogo dei paradossi in cui elaborare visioni alternative a quella societa’ che essa e’ chiamata a servire». Inutile nasconderlo, la riforma Moratti realizza la stessa ideologia della «fast school« (Franco Martina) e della McUniversity (George Ritzer) paventata nel saggio di Jacques Derrida e Pier Aldo Rovatti. L' universita’ senza condizione: il fantasma dell' azienda soffochera’ l' universita’? Essa esprime una tragica incomprensione dei processi di produzione e riproduzione scientifica, e insieme conferma una profonda ostilita’ verso il «ruolo professionale intransitivo dell' intellettuale, di cui non e’ chiaro come contribuisca al Pil» (Luciano Gallino). Non e’ una scelta grave, ma gravissima, perche’ tocca non tanto i professori, quanto quello che essi rappresentano. Valerio Magrelli ________________________________________________________ Il manifesto 20 feb.’04 L'UNIVERSITA’ ROMPE LA GABBIA RINO FALCONE * Doveva accadere prima o poi che le comunita’ scientifiche trovassero un coagulo visibile e forte. Gia’ da molto tempo questo Governo aveva avviato azioni di ridimensionamento, mortificazione, frustrazione degli spazi vitali e delle ambizioni che attengono al mondo della conoscenza e dei saperi nuovi e piu’ aggiornati. Si era iniziato con le riforme degli Enti pubblici di ricerca (Consiglio nazionale delle ricerche, Istituto nazionale di fisica della materia, Istituto nazionale di astrofisica, etc.): stravolgendo ruolo e organigrammi, accorpando e scorporando> orientando verso l'applicazione, abbandonando i settori maggiormente strategici come quelli della ricerca di base, in un gioco di puzzle il cui principale obiettivo e’ sempre e solo apparso il ridimensionamento. Anche allora (eravamo nel 2002 inizio 2003) vi furono reazioni importanti e partecipate: grandi assemblee al Cnr, appelli al presidente della repubblica con oltre 10 mila firme di sottoscrittori tra cui premi nobel e scienziati tra i piu’ importanti del Paese. Una grande manifestazione sotto Montecitorio in cui si riconsegnavano gli strumenti della ricerca. A nulla servi tutto cio’ se non a rallentare, forse a correggere la tempistica e le forme di aggressione a questi enti. Oggi l’Infin e’ stato sciolto nel Cnr che allo stesso tempo sta perdendo pezzi (astrofisici e astronomi) a favore dell'Inaf. I commissari procedono lentamente a riformare le riforme che gli sono state consegnate dal Ministro. Nel frattempo i finanziamenti sono al minimo storico (e dire che l'avvio di un processo riformatore tanto imponente presupponeva un surplus di risorse), in compenso pero’ si da’ vita ad un nuovo ente (fondazione/agenzia): l'Istituto italiano di tecnologia che si materializza d'improvviso nella Finanziaria del 2004 privo di risorse umane e ricco di euro (50 milioni ne12004,100 dal 2005 a12014). Con compiti vaghi e duplicanti la missione di altri istituti (di ricerca, politecnici, etc.). La stessa finanziaria, incredibile ma vero, che blocca le assunzioni e taglia i fondi agli enti di ricerca e all'universita’. Quella che costringe i rettori a protestare pubblicamente, i commissari governativi a mugugnare, i giovani a fuggire all'estero. II blocco delle assunzioni produce un altro incredibile paradosso: vincitori pubblici di concorso impossibilitati a prendere servizio dall'immanente provvedimento (che dura da 3 anni negli enti di ricerca e da 2 nelle universita’): altri giovani cui si indica l'uscita dal sistema e dal Paese (forse per sempre). E' a questo punto che il ministro Moratti decide di aggiungere un ultimo segmento al proprio progetto: la trasformazione dello stato giuridico della docenza universitaria. II disegno e’ perfettamente in linea con le direttive che hanno orientato tutte le azioni del governo nel settore: precarizzazione, riduzione di autonomia, aumento dell'ingerenza politica, subordinazione alle burocrazie ministeriali, indirizzamento al servizio. II sistema degli enti di ricerca e dell'universita’ ha necessita’ di riforme, ha bisogno di adeguarsi alle sfide nuove e difficili che le frontiere della globalizzazione, delle rapide e pervasive innovazioni e delle societa’ multi e inter culturali propongono. L'Italia ha necessita’ di affrontare queste sfide preparata al pari degli altri paesi evoluti. Ha bisogno di dare certezze ai competenti e opportunita’ ai giovani in questo settore. Ha quindi bisogno di investire seriamente e con coerenza sui saperi: su tutti i saperi. E forse per questo che nell'ambiente dove questi saperi si aggiornano e producono nasce oggi un cosi sentito e forte movimento di reazione a chi intende ingabbiare gli spazi di elaborazione culturale compromettendo non solo foggi ma anche il futuro del Paese. * Osservatorio sulla Ricerca ________________________________________________________ Il Sole24Ore 20 feb.’04 NEGLI ATENEI I PRESIDI DI FACOLTA’ SI MOBILITANO CONTRO LA RIFORMA Non convince il riordino dello status dei docenti ROMA i Una riforma senza risorse che «apre un'inutile conflittualita’». I presidi delle facolta’ universitarie italiane boccino il disegno di legge delega sullo status giuridico dei docenti proposto dal ministro Letizia Moratti. In un documento appena presentato al Curi (i l Consiglio universitario nazionale), che verra’ reso ufficiale oggi, il coordinamento nazionale dei presidi denuncia la mancanza di un piano finanziario per gli atenei e, pur condividendo la necessita’ di riformare le carriere, non condivide il modello proposto dal Governo. Il coordinamento «valuta negativamente - si legge nel testo - i1 fatto che ancora una volta un provvedimento legislativo di grande rilevanza per il sistema universitario non preveda alcun incremento, ormai indifferibile, delle risorse finanziarie a esso destinate» e «ritiene necessaria, nella discussione parlamentare, un'ampia consultazione e un approfondito confronto con il Curi, la Crui e le Conferenze dei presidi». «II Ddl proposto dal ministro Moratti - afferma Mario Morcellini, presidente della conferenza dei presidi delle facolta’ di Scienze della Comunicazione - tocca questioni non prioritarie e non fa un'analisi corretta dei punti critici dell'universita’ italiana, come il legame tra didattica e ricerca, l'invecchiamento del corpo docente e l'eccesso di offerta didattica che - sottolinea - con la riforma del "3+2" si e’ sviluppato senza un proporzionale aumento del numero dei docenti». Secondo Morcellini l'eliminazione della fascia dei ricercatori esprime «scarsa gratitudine sociale per quelle figure che si sono assunte negli anni buona parte del carico didattico» e «toglie un serbatoio per l'accesso alla carriera dei docenti di ruolo». Morcellini inoltre sostiene che «l'universita’ va avanti se la didattica non soffoca la ricerca» e sarebbe quindi necessario garantire «un corretto funzionamento del sistema, visto che presumibilmente i ricercatori a contratto faranno attivita’ didattica di base». Ma anche il fronte del "si" al Ddl Moratti e’ sempre piu’ compatto. In un appello fumato nei giorni scorsi, un gruppo di rettori e docenti di diverse universita’ italiane giudica «di grande rilievo la proposta di stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa con studiosi in possesso di qualificazione scientifica adeguata» e ritiene necessaria «una correzione della normativa precedente, che attraverso la figura del ricercatore a vita creava i cosiddetti ricercatori sessantenni». Riguardo alla questione finanziaria, i firmatari auspicano «una riflessione sulle risorse da attribuire all'universi ta’, andando verso una tendenziale parificazione del sistema statale e non statale». Il problema della copertura economica e’ stato sollevato ieri anche dalla Margherita: «Mancano i fondi - ha detto Franca Bimbi, responsabile universita’ - per pagare 1 giovani studiosi a contratto, le retribuzioni dei ricercatori e dei professori e i contratti dei docenti a tempo determinato». Secondo Bimbi «il ministro Moratti disegna un'universita’ contro gli studenti» ai quali viene offerta «una didattica dequalificata» e «contro i giovani talenti, privi di opportunita’ serie di carriera». ALESSIA TRIPODI ________________________________________________________ Il Sole24Ore 18 feb.’04 II 4 MARZO IL BLOCCO DELL'ATTIVITA’ DIDATTICA Docenti universitari: pressing sulla riforma ROMA a Si infiamma la protesta contro la riforma dello status giuridico dei docenti universitari proposta dal ministro Letizia Moratti. Docenti e ricercatori chiedono il ritiro del disegno di legge delega e annunciano che il prossimo 4 marzo bloccheranno le attivita’ didattiche e occuperanno i rettorati degli atenei italiani. Ma sale anche il fronte di difesa delle nuove carriere dei professori e lo stesso ministro dice che «sono molti anche i docenti e i ricercatori che non protestano». Il fronte del "no". Ritiro immediato del ddl «illiberale e non emendabile». E' la richiesta dell'assemblea di docenti, ricercatori e studenti riunitasi ieri all'universita’ "La Sapienza" di Roma, che ha visto la partecipazione di delegati di 35 sedi Universitarie italiane. E stata indetta una giornata di mobilitazione per il 4 marzo con occupazione dei rettorati, blocco della didattica e organizzazione di assemblee di ateneo. Le attivita’ didattiche saranno sospese anche nella prima settimana del secondo semestre, con riunioni di docenti e studenti. I manifestanti rifiutano «la precarizzazione del lavoro universitario e la messa ad esaurimento del ruolo dei ricercatori», chiedono «la rimozione del blocco delle assunzioni,> e si dichiarano «contrari all'istituzione di nuove strutture di cosiddetta eccellenza, a fronte del depauperamento di quelle esistenti». E mentre sottolineano «l’assenza di volonta’ di un confronto reale e costruttivo da parte del Governo», docenti e ricercatori chiedono di promuovere «un forte reclutamento» dei giovani nel ruolo della docenza, perche’ «alta formazione e ricerca sono il futuro dell'Italia». Altre manifestazioni di protesta si sono svolte ieri a Trieste-dove 300 tra docenti, ricercatori, assistenti e studenti hanno occupato il rettorato dell'ateneo - a Venezia c Padova. A Cosenza professori e ricercatori hanno tenuto un'assemblea durante la notte per evitare il blocco della didattica. L'opposizione si e’ schierata a fianco dei docenti. «Non si innova precarizzando chi lavora, sbarrando l'accesso ai giovani, comprimendo le risorse a disposizione delle universita’ dell'autonomia» ha dichiarato il segretario dei Ds Piero Fassino, mentre Albertina Svliani, capogruppo della Margherita in commissione Istruzione al Senato, ha chiesto il ritiro del ddl perche’ «mancano i fondi e la stessa Presidenza della Repubblica ne ha chiesto conto» (si veda «Il Sole-24 Ore» di ieri). Ma nella serata di ieri sono arrivati anche i primi segni di distensione tra Governo e sindacati. AI termine di un incontro con i rappresentanti delle universita’, Letizia Moratti ha offerto la sua disponibilita’ ad aprire un tavolo tecnico che partira’ il prossimo 25 febbraio. La difesa del Ddl Moratti. Non tutti dicono "no" alla riforma. Gli oltre 3.500 docenti aderenti all'Uspur Unione sindacale dei professori universitari di ruolo) appoggiano il. testo proposto. «Apprezziamo - ha detto il segretario nazionale Uspur, Antonino Liberatore - lo sforzo del rninistro per riformare la docenza e ricondurre l'universita’ a una piu’ seria e responsabile funzionalita’». E proprio ieri Moratti ha assicurato di essere «disponibile al dialogo» ribadendo, pero’, che «la riforma e’ ritenuta da tutti necessaria». Sul nodo risorse, poi. il Miur fa sapere che «la riforma non e’ priva di copertura finanziaria»: i fondi saranno «recuperati con l'eliminazione delle supplenze» ma e’ comunque previsto «un fondo di copertura di 55 milioni di euro» se le risorse recuperate non fossero sufficienti. Comunque, fa notare il Miur. «con i decreti delegati sara’ possibile attuare tutte le correzioni necessarie». Ma secondo Giuseppe Valditara, responsabile scuola e universita’ di An, «e’ necessario un piano finanziario a copertura della riforma universitaria« ed «e’ fondamentale che emendamenti migliorativi al testo del ddl sullo stato giuridico dei docenti vengano individuati d'intesa con la Crui e con il Cun» ALESSIA TRIPODI , ________________________________________________________ Il Sole24Ore 21 feb.’04 L'AUTONOMIA CHE EVITA LOCALISMI Universita’ / Le sfide aperte DI RENZO DIONIGI* Universita’ italiana aveva bisogno di cambiare e nella riforma ci sono cose interessanti accanto a cose problematiche. Diamo un po' di tempo per assestarsi». E ancora: «Se c'e’ una casa che sta per crollare e’ inutile cercare di puntellarla, buttiamola giu’ e facciamone un'altra. Un'Universita’ come la nostra, che laureava solo il 30% degli studenti, evidentemente qualche malattia l'aveva. La riforma ha cercato di ristrutturarla secondo i modelli internazionali che sono ancora i modelli medioevali, legati a questa grande novita’ che e’ l'autonomia universitaria». Umberto Eco, nel corso della lectio magistralis tenuta di recente a Napoli all'Istituto universitario Suor Orsola Benincasa, ha dato con queste parole la giusta dimensione al dibattito suscitato dai provvedimenti attuativi della riforma universitaria. Il dibattito - e le polemiche - si sono ravvivati proprio dopo che il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro Letizia Moratti, ha approvato in prima lettura il disegno di legge sul riordino delle procedure per il reclutamento dei professori universitari, che costituisce una pietra miliare nel percorso di riforma. Le reazioni negative suscitate in alcuni ambienti dal disegno di legge non ci sono sembrate comprensibili ne’ condivisibili. In realta’ molti osservatori si sono soffermati prevalentemente sugli aspetti di compatibilita’ economica e finanziaria del provvedimento, non certo secondari in questo particolare frangente, mentre altri sembrano piu’ preoccupati degli aspetti politici che riguardano le modalita’ di presentazione del progetto. In piu’ di quarant'anni di vita accademica abbiamo assistito a molteplici interventi legislativi riguardanti sia lo stato giuridico che le modalita’ di reclutamento del personale docente. Nessuno di questi provvedimenti mai e’ riuscito a modificare nella sostanza un sistema che, reggendosi sul meccanismo concorsuale, rimane sempre vulnerabile e suscettibile a possibili "interventi correttivi", che tanto gravano sulla nostra immagine e reputazione anche a livello internazionale. Solo la definitiva abolizione del "concorso" favorirebbe una vera e completa autonomia di ogni ateneo nella formazione e nella chiamata dei propri ricercatori (intesi come studiosi dediti prevalentemente alla ricerca) e dei docenti. Se la proposta Moratti interviene a meno di sei anni dalla Legge 210 del 1998 e’ per tentare di correggere le distorsioni provocate da un'autonomia, intesa come localismo, che indice concorsi che inevitabilmente stanno portando a un'involuzione e a un impoverimento del livello culturale di molte Facolta’. Riteniamo pertanto di grande rilievo la proposta di stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa con studio si in possesso di qualificazione scientifica adeguata. In cio’ il progetto si allinea alle consuetudini di altri Paesi europei, in cui la percentuale di docenti con contratto a termine varia dal 40% della Francia al 72% della Germania, mentre in Inghilterra e’ del 52 per cento. Se da un punto di vista di politica sociale questa strategia puo’ apparire lesiva della sicurezza del posto di lavoro, e’ di comune evidenza, in quei Paesi le cui Universita’ ci vengono indicate come esempio di produttivita’ scientifica, che la mobilita’, la valutazione periodica e la competitivita’ culturale si rivelano fattori decisivi nel processo di formazione dei ricercatori sinceramente appassionati alla loro attivita’. Alcuni ritengono che la proposta non valorizzi sufficientemente le autonomie universitarie. Negli ultimi anni, peraltro, non tutti gli atenei si sono distinti per una responsabile progettazione e gestione delle funzioni e delle risorse che la propria autonomia aveva loro concesso, di qui forse le comprensibili preoccupazioni del ministero dell'Universita’ e anche del ministero dell'Economia di vigilare sull'utilizzo delle risorse in relazione alla valutazione dei risultati in modo tale da garantire l'efficienza dell'intero sistema. Altri motivi che possono indurre a un ragionevole ottimismo sono, unitamente all'abolizione dell'anacronistica distinzione tra docenti a tempo pieno e a tempo definito, quelli legati alla possibilita’ di integrazioni retributive per lo svolgimento di ulteriori attivita’, che sempre dovranno essere correlate alla valutazione dei risultati. La proposta di riforma si presenta pertanto sufficientemente flessibile, pur ribadendo il principio che l'autonomia degli atenei puo’ essere correttamente esercitata solo nel contesto di un sistema che garantisca equita’ di valutazione. *Rettore dell'Universita’ degli Studi dell'Insubria ________________________________________________________ L’Unita’ 20 feb. ’04 DUE CAMERE E CUCINA, ECCO L'IIT La scuola di Triemonti DALL'INVIATO Michele Sartori GENOVA All'ingresso il visitatore e’ accolto da due uffici contrapposti. Uno esegue «Visite Necroscopiche» (e ci si va da vivi?). L'altro e’ f«Ufficio Informazioni». Sotto «Ufficio Informazioni» un cartello avverte perentorio: «NO! Informazioni NO!». Prima ancora, all'esterno, una tabella sopravvissuta da chissa’ quando, ingannava: «Sale e Tabacchi». Questo e’ il corpo centrale dell'ex ospedale psichiatrico di Quarto. E questa e’ la sede designata dell'Istituto Italiano di Tecnologia, il nuovissimo centro di ricerca nazionale, il «Mit italiano», la fondazione autonoma ed alternativa al Cnr fucina del futuro sviluppo scientifico nazionale. SEGUE A PAGINA 13 Segue dalla prima Si scrive IIT ma, hanno avvertito orgogliosi i ministri, «si pronuncia ai-ai- ti», all'inglese; magari, vagamente lamentoso. Blitz di milioni ideato sei mesi fa. Partorito istantaneamente, gia’ ricchissimo: una dote finanziaria di duemila miliardi delle vecchie lire, tanto per capirci.. Un autentico miracolo. Soldi scovati da Tremonti e Moratti mentre altri fondi per universita’ e dintorni sbiadivano tanto da indurre il deputato di An Giuseppe Valditara a proporre una porno-tax per finanziare la ricerca pubblica. Creato L’IIT, bisognava trovargli una sede. Qualche citta’ ha sgomitato, Roma e Napoli, Pisa e Torino: dubbiosi o no, son pur sempre fior di soldi e risorse. Genova, con un fronte unico tra regione, provincia e comune, centrodestra e centrosinistra, ha battuto tutti in volata. Citta’ della cultura, citta’ della scienza, citta’ in trasformazione spumeggiante. E cosi il nuovo cuore della sci enza italiana comincera’ a pulsare sotto i «Tetti rossi», l'ex psichiatrico, che a suo tempo era l'unico edificio con le tegole in un borgo d'ardesia. L'ospedalone, di suo, e’ color arancione. «Immerso nel verde», dicono per invogliare scienziati abituati a ben altri campus, e secondo gli standard metropolitani italiani e’ anche vero: qualche palma, un prugno selvatico in fiore e un paio di praticelli davanti. Sotto, da qualche parte, c'e’ perfino il mare. E il famoso scoglio che porta bene alle imprese garibaldine. Regime di convivenza Vanno e vengono gli operai. Sgombrare, sgombrare. «Non capisco tutta questa velocita’. Ci hanno detto che l'edificio deve essere libero entro fine marzo. Mah! Mah!», sospira dubbioso il professor Luigi Ferrannini, direttore del dipartimento di salute mentale. L'ospedale e’ un gigantesco e traballante patchwork di edifici, portici e chiostri ottocentesci, col corpo centrale eretto nel 1933, anno XI dell'era fascista. Il corpo centrale, 19.000 metri quadri, ospitera’ l’IIT. Nel resto del complesso - ed e’ la maggior parte - rimarranno pero’ i servizi esistenti, psichiatrici e riabilitativi: i centri di assistenza diurna, i laboratori di «arteterapia», del «Teatro internato», dell'«Istituto per le materie e le forme inconsapevoli», le tre comunita’ residenziali - 100 pazienti psichiatrici, 120 anziani, 40 disabili - ed una quarta che sta nascendo: una «Casa per pazienti terminali». «La convivenza e’ una bella sfida. Puo’ funzionare. L'idea in se’ ci piace», dice Ferrannini. Pero’ i suoi dubbi li ha. «Non dicano che faranno qui l’IIT. Qui va bene come.sede centrale, di rappresentanza o poco piu’. Se poi vogliono insediare tutto, laboratori compresi, il luogo non e’ assolutamente adeguato». L'idea «ufficiale» invece e’ proprio questa: l'intero IIT a Quarto. Il Palo Alto, l'Harvard italiana, nel palazzone centrale del «manicomio». La Regione Liguria, sponda locale di Tremonti-Moratti, si sta dando un gran daffare. Tabella di marcia indemoniata: entro i prossimi 5-6 mesi saranno ristrutturati e pronti per il lavoro degli scienziati i primi 5.000 metri quadri. I ricercatori - cifre ufficiose - saranno 600 subito, tra i 1.500 ed i 2.000 entro tre anni; con relativi laboratori e con gli alloggi interni, almeno per una parte. Sotto i «tetti rossi», negli anni di massima attivita’, si stipavano 850 «matti». I conti, evidentemente, non tornano. Domani in collina? Infatti. Sotto sotto, il destino futuro dell'IIT e’ un altro. Si chiama «Technology Village», o «Progetto Leonardo», o piu’ familiarmente «gli Erzelli». E’ una collina alle spalle delle acciaierie di Cornigliano, oggi deposito di container, che e’ diventata il simbolo delle mutazioni genetiche genovesi dalle produzioni sporche e pesanti a quelle tecnologiche e pulite. Un consorzio di imprenditori locali guidato dal manager Carlo Castellano intende acquistare l'area e trasformarla in parco tecnologico, attir arido aziende hi- tech. Renzo Piano ha da poco presentato il progetto, un insediamento di 350.000 metri quadri tutto in verticale, 12 torri d'acciaio che muteranno lo skyline del Ponente. Comune, Provincia, Regione, ne sono entusiasti. E tutti prevedono: non sara’ questa, alla fine, la destinazione naturale anche dell'IIT? C'e’ solo un piccolo problema, per il villaggio tecnologico: i «dine’». Tanti: 500 milioni di curo. L'operazione> stima Castellano, se si avvia subito puo’ concludersi «entro» il 2014. «Entro» il 2014 si concluderanno anche i finanziamenti statali per fI1T: e toccheranno il tetto di 1.050 milioni di curo. I due progetti, nei fatti, sembrano destinati a sorreggersi e spingersi a vicenda, un classico esempio di convergenza parallela. Sotto VU* Ma prima ancora, prima di ogni prima, c'e’ un altro campo da riempire: l'IIT stesso. Immaginate possibile che un governo dica: stanziamo migliaia di miliardi per fare un'autostrada, ed in seguito decideremo «quale» autostrada, dove, come, con che progetti , con quali imprese? La potenzialmente formidabile operazione del «Mit italiano» sta andando un po' cosi. ' Prima e’ stata fatta la legge a fine novembre, un articolo unico nelle pieghe degli aggiustamenti della finanziaria che istituisce «la fondazione denominata Istituto Italiano di Tecnologia» e la dota dei 1050 milioni diluiti in dieci anni. Poi 3 in attesa del futuro statuto un decreto interministeriale ha nominato un «commissario» che con uno staff di 10 dipendenti si occupera’ dell'avvio della fondazione ' per i primi due anni Vittorio Grilli, ragioniere generale dello Stato, l'uomo che primo ed unico ha avuto l'idea dell'IIT stesso - ed un «comitato di indirizzo». Il comitato, internazionale, di altissimo livello (22 membri, scienziati italiani e stranieri inclusi 4 premi Nobel, industriali dell'elettronica e Mediobanca) dovrebbe suggerire, appunto, le linee operative dell'IIT. La prima riunione dei 22 non e’ ancora in calendario. Non che opinioni ed intenzioni non circolino: bizzarramente, e’ il tipico dibattito che precede una decisione. In questo caso, la segue. A chi sara’ affidato l'IIT? Quanto personale avra’? Quali linee di ricerca perseguira’, su che settori puntera’? Fara’ lavori di avanguardia o di base? Autonomi o collegati ad altri istituti mondiali? Avra’ suoi laboratori unici e centrali o coordinera’ una rete di altri istituti? Fara’ anche docenza? Come si colleghera’ al sistema industriale? Dalle risposte dipende, fra l’altro, anche la stima delle dimensioni fisiche dell'istituto, del tipo di attrezzature, dei costi. Non si sbilancia il sito dell'IIT stesso. Obiettivo: «diventare un centro di riferimento internazionale per la ricerca scientifica». Indirizzi: «Saranno privilegiate le aree di ricerca che meglio favoriscono la realizzazione del progresso scientifico». Attrezzature: «Mezzi e laboratori opportuni». I conti in tasca «Lo so, lo so. L'IIT e’ un contenitore. Adesso bisogna riempirlo», sorride ironico Stefano Zara, il presidente degli industriali genovesi. All'inizio era diffidente. Adesso, come ogni genovese che conta, come ogni istituzione loca le, partecipa ad un «Comitato di accoglienza e sostegno» dell'IIT: «La legge c'e’, Genova e’ stata scelta come sede, e’ una grande occasione». Ma lei ci crede? Ci devo credere». Completamente? «Non sara’ un'impresa facile. Incrociamo le dita». Anche Zara dubita della sede designata di Quarto: «Non basta, assolutamente». Pure lui pensa al Villaggio Tecnologico: «Il problema e’ se quel progetto decolla. Ci vogliono tanti soldi». La fondazione IIT prevede anche contributi - detassati - dalle industrie. Quelle di Genova sono disponibili? Eh, calma. «Noi genovesi stavamo gia’ lavorando ad un progetto sui sistemi intelligenti integrati, c'era una certa disponibilita’. Bisognera’ vedere, scegliere: difficilmente potremo supportare due iniziative». Quanto a Confindustria nazionale, l'Iit le sta antipatico: «L'ennesimo carrozzone», etichetta ufficialmente appioppata. Fa il paio con quella affibbiata dal Cnr: «Uno spreco». E da 98 rettori italiani (il novantanovesimo e’ quello di Genova, che come tutti in citta’ plaude all'Itt: «Un segnale di disprezzo per il sistema universitario». Il «disprezzo» e’ esattamente il segnale di Tremonti-Moratti, convinti che la ricerca pubblica italiana sia burocratizzata, impastoiata ed improduttiva al punto d'esigere una rottura, una partenza ex novo. Opinione radicata, anche, tra gli scienziati italiani all'estero, entusiasti della nuova, autonoma, libera, meritocratica e ricca fondazione. Comunque: se una delle intenzioni dell'istituto e’ quella di «richiamare i cervelli» - anche tassando solo al IO% i loro redditi per i primi tre anni dopo il rientro - nessuno ancora si e’ detto pronto a fare le valigie. Un po' di prudente attesa non guasta, a’i-a’i-me’. Michele Sartori ________________________________________________________ L’Unione Sarda 17 feb.’04 P.PANI: UNIVERSITA’ DEMOCRATICA, MA NON TROPPO Un polemico volume di Paolo Pani sul sistema accademico della Sardegna Del professor Paolo Pani, scegliendo la strada della sintesi piu’ liofilizzata, si puo’ dire che insegna Patologia generale all’Universita’ di Cagliari e che ultimamente aveva voglia di litigare. Lo si puo’ desumere da ognuna o quasi delle 76 pagine del suo Universita’ addio (Cuec editore, 5,30 euro). Di un libro breve solitamente si scrive che e’ agile: in questo caso l’agilita’ Pani la dimostra nel colpire. Ed essendo uomo di Universita’ da tempo e con passione, sa dove pestare per far sentire piu’ a fondo gli scappellotti al sistema accademico isolano e a una serie di altri bersagli piuttosto ingombranti. Vale la pena di citarne subito uno per spiegare meglio questo libello (nel senso dell’intento efficacemente polemico che lo anima, piu’ ancora che delle dimensioni, appunto, agili): l’Universita’ diffusa. In concetto di fondo e’ che l’ateneo si sparpaglia sul territorio sardo per far lievitare le intelligenze locali: un’idea che viene spesso citata come esperimento positivo da incoraggiare, da rafforzare. Pani lo boccia in poche righe: «Si avverte un altro pericolo incombente, e cioe’ che sia l’universita’ “diffusa”, per intenderci quella dei “distretti scolastici”, ad avvicinare, ma in modo illusorio, i giovani dei paesi sardi all’Universita’. Questo processo, di “universita’ diffusa”, potrebbe, in modo paradossale, aumentare inconsapevolmente il divario tra gli studenti (cittadini) delle professioni eccellenti e gli universitari “minori” dei paesi della Sardegna. E’ un pericolo di cui dobbiamo essere avvertiti in un processo di per se’ positivo, di “democrazia” culturale. In questo ambito e’ altresi’ del tutto opportuno incentivare la tendenza alla mobilita’ della popolazione studentesca dei sardi, nei due atenei dell’isola, ma soprattutto in quelli nazionali ed europei, anche con “forti” strumenti di incentivazione». Ma di temi per il suo controcanto il professore ne indica a profusione, dallo scadimento della cultura sarda alle perplessita’ sulla ricerca scientifica. Dalla tendenza alla acriticita’ di chi amministra la centrale del sapere («Vi e’ stato sempre un forte appiattimento sulle politiche governative, per l’Universita’ di Cagliari anche su quelle regionali») alla rinuncia da parte degli studenti, nientedimeno, ad essere giovani. Eppure anche quando sono venati di paradosso, come in quest’ultimo caso, i rilievi di Pani non si nutrono mai di polemica per la polemica, ma anzi sono sempre puntigliosamente e dolorosamente argomentati. Tanto da indurre il lettore a prender fiato a meta’ requisitoria e chiedersi se per caso il professore, piuttosto che di litigare, non abbia semplicemente voglia di un’Universita’ migliore. ________________________________________________________ Il Giorno 15 feb. ’04 ZERO IN RICERCA, COSI L’ITALIA SCIVOLA NEL TERZO MONDO» L'allarme di Lucio Pinto La Fondazione Silvio Tronchetti Provera, intestata al padre del presidente del gruppo Pirelli, e’ nata due anni fa con una dotazione di 135 milioni di curo versati direttamente da Marco Tronchetti Provera. E' qualcosa di unico nel panorama italiano. Si pone infatti all'incrocio tra mondo della ricerca pubblico, Universita’, e aziende con l'obiettivo di mettere in sintonia i tre mondi e finalizzarne l'attivita’. Attraverso borse di studio, cofinanzia progetti di ricerca promossi da soggetti pubblici e soggetti privati insieme. Quest'anno e’ cosi riuscita a riportare in Italia tre «cervelli» di spicco a livello internazionale. Il rientro dei migliori ricercatori italiani, del resto, e’ uno degli obiettivi statutari della Fondazione. Nel futuro c'e’ il progetto di creare un «Istituto della ricerca industriale Olivetti-Telecom-Pirelli» che sia al tempo stesso un grande museo della ricerca industriale italiana e un laboratorio virtuale accessibile alle piccole e medie aziende. Direttore, riportare l'Italia ai fasti antichi e’ un'impresa disperata? MILANO - Il declino dell'Azienda Italia, ammesso che ci sia, ha sicuramente una causa: gli scarsi investimenti in innovazione tecnologica. Eppure abbiamo alle spalle una gloriosa tradizione. Montedison invento’ i polimeri, Faggin e’ il padre del chip. Telettra con l'universita’ di Bologna sviluppo’ la tecnologia delle microonde, in Italia e’ stato messo a punto il protocollo Gsm di telefonia mobile, Olivetti rivaleggio’ con Ibm ai vertici dell'informatica grazie alla collaborazione con l'Universita’ di Pisa. «La ricerca e l'innovazione vanno a braccetto con la grande impresa. E noi, purtroppo, di grandi imprese non ne abbiamo quasi piu’» dice con un velo di nostalgia Lucio Pinto , ex manager Olivetti, ora direttore della Fondazione Silvio Tronchetti Provera. «In Usa si investe in ricerca (pubblica e privata insieme) il 2,7°lo del Pil, in Giappone il 3,1% , in Europa 1,8%, in Italia l’1%. L'obiettivo di Bruxelles e’ arrivare a quota 3% entro 10 anni, e l'Italia si e’ impegnata a raggiungere entro il 2006 l'1% del Pil di spesa pubblica. Quest'anno siamo passati, dice il ministro Moratti, dallo 0,53 al 0,63%. Si avanza, ma pianino. Intanto la Cina annuncia di voler investire 60 triliardi di dollari quest'anno...». Non sara’ solo questione di soldi.... «Infatti. L'Europa spende poco e male. O almeno spende in modo poco produttivo. Siamo a buon livello come ricerche pubblicate, segno che le universita’ funzionano, ma siamo in coda come brevetti, segno che le scoperte non diventano innovazione, non fanno business». I brevetti si possono sempre comprare, no? «No, non piu’. L'innovazione e’ diventata il fattore strategico per il successo di un'impresa. Bastano sei mesi di anticipo nello sfruttare una nuova tecnologia per capovolgere i rapporti competitivi. Ecco perche’ innovare in casa e’ questione di vita e di morte per ogni sistema produttivo. Chi non va avanti, scivola verso il terzo mondo». Ma la grande impresa innovativa e’ quasi sparita, le piccole aziende non hanno mezzi sufficienti per finanziare la ricerca in casa e non hanno piu’ accesso al «mercato» internazionale della tecnologia. Ci possiamo ancora salvare? «Spero di si, ma a due condizioni. Una e’ aumentare le risorse. La seconda e’ spenderle bene. Significa cambiare a fondo, trovando il modo di coinvolgere le piccole e medie aziende». Come? «Pensi alla Silicon Valley. In fondo e’ l'equivalente di un nostro distretto industriale, ma nel settore dell'alta tecnologia. Penso a distretti 'hi-tech' creati finanziando idee di impresa innovativa nate fra le mura delle universita’. Poi, naturalmente;, bisogna usare la leva fiscale, detassando le spese in ricerca, e canalizzare gli investimenti pubblici su un unico ente erogatore, e non su quattro diversi ministeri come avviene oggi». Il governo accelera: l"Iit , il Mit italiano, che proprio riproducibile. domani dovrebbe nascere a Genova, la riforma di Cnr ed Enea, fa riforma di scuota e Universita’. II mondo della ricerca, pero’, protesta. Lei cosa ne pensa? «Le riforme servono, anche se scuola e universita’ italiane non sono male nella formazione di base, come dimostrano i successi dei nostri ricercatori all'estero. Cnr e Enea hanno cose che funzionano altre meno. L'Iit per il momento e’ solo un nome. Non si sa come sara’ e quindi e’ assurdo fare battaglie alla Don Chisciotte». Lei come lo vedrebbe? «Con due funzioni:. di indirizzo strategico e di gestione dei laboratori». Supponga di essere il direttore del futuro Iit. Su cosa punterebbe? «Il futuro e’ in tre settori: biotecnologie, nuovi materiale e nanotecnologie, Itc (informatica e telecomunicazioni n.d.r). Con le dovute connessioni interdisciplinari».Tre settori dai quali siamo gia’ tagliati fuori? «Siamo molto in ritardo nelle biotecnologie, essendo quasi sparite in Italia la chimica e la farmaceutica. Sulle nanotecnologie abbiamo qualche punto di eccellenza anche nel Cnr. Siamo messi molto meglio nell'Itc». Cioe’? «Proprio Pirelli Lab, con il Mit di Boston, stanno mettendo a punto circuiti fotonici integrati, cioe’ chip ottici basati su silicio. In altre parole si tratta di basare l'informatica su impulsi ottici ________________________________________________________ Il Giornale 20 feb. ’04 SE LA RICERCA E’ UN GIOCO DI PAROLE Alla fuga dei cervelli e agli investimenti inadeguati si contrappone una iperproduzione di convegni Ecco la tavola delle espressioni piu’ ricorrenti tra gli esperti - Come elaborare idee senza concretezza DI GIORGIO MINIELLI* L e spese per la ricerca in Italia, percentualmente al Pil, sono fra loro le piu’ basse e in calo e’ ben noto e anche troppo conclamato. C'e’ la fuga dei cervelli, scarsa e’ l'attenzione dell'opinione pubblica, sono bassi g;li investimenti delle imprese, che in piu’ hanno visto ridursi (o azzerarsi) gli aiuti dello Stato. Il rimedio? La ricerca parlata. Sta crescendo una variegata pluralita’ di organismi piu’ che mai impegnati a stimolare, coordinare, incentivare, implementare quelle ricerche altrui che non ci sono: e come altro possono dare manifestazione della loro vitalita’ se non in occasione di rituali della parola? Ecco allora il moltiplicarsi di congressi, convegni, giornate di lavoro, in occasione delle quali - anziche’ presentare i risultati di brillanti ricerche - si fa largo uso di un linguaggio iniziatico che promette illusori approfondimenti tecnico scientifici. Un'attivita’ che consente di impegnare per ore ed ore i relatori di turno, che danno spesso anche l'impressione di credere in quello che dicono. Gia’ nel lontano '75 si era verificata una circostanza analoga: era tutto un parlare programmatico sulla razionalizzazione di un sistema sanitario nazionale che avrebbe risolto ogni problema. Dal solito conformistico coro tutto esteriorita’, si staccarono le voci dei professori Marco Marchi e Pietro Morosini che presentarono un brillantissimo «Generatore automatico di piani sanitari»; si trattava di una tabulazione delle espressioni piu’ ricorrenti nel frasario iniziatico, ordinate nella forma di una matrice di sette colonne di dieci righe ciascuna: con la piu’ casuale scelta di una qualunque frase per ciascuna colonna, si potevano comporre un numero sterminato di discorsi completamente privi di qualunque concretezza, ma perfettamente allineati con la roboante campagna discorsiva in corso. A distanza di un quarto di secolo cambiato il tema si ritrova situazione analoga e si puo’ cosi l'opera di Marchi e ora nella veste di un «Generatore automatico di piani di incentivazione R&S», con l'augurio che trovi una accoglienza di rinnovata simpatia. Un'ultima osservazione: in questa rivisitazione, niente e’ stato inventato o creato ad arte: e’ bastata la sopportazione di un paio di convegni. Non c'e’ che dire, la creativita’ dei "ricercatori verbali" nostrani non ha limiti. *Universita’ di Bologna ________________________________________________________ Il Messaggero 20 feb. ’04 ARRIVANO 7 MILIARDI DI EURO PER LA RICERCA ITALIANA Il ministero: «Potremo attivare grandi progetti, dall’utilizzo dell’idrogeno allo studio dei vulcani e del clima» ROMA - Non solo infrastrutture come ferrovie, strade e ponti. Una nuova boccata d'ossigeno, con finanziamenti ad hoc , arriva anche per progetti di ricerca piu’ ampi e che riguardano settori all'avanguardia. E’ quanto prevede l'accordo quadro siglato dal ministro dell'Istruzione, Universita’ e Ricerca, Letizia Moratti, e il presidente della Banca Europea per gli Investimenti (Bei) Philippe Majstadt, che stanzia 45 miliardi di euro a fronte di precisi progetti di ricerca presentati dai Paesi dell'Unione. All'Italia, sulla base di una prima stima dei progetti presentati e del peso che il nostro Paese ha nella ricerca europea, dovrebbe andare un finanziamento pari a circa 6-7 miliardi di euro. «Per la prima volta - ha affermato Moratti - la Bei ha firmato con uno Stato un accordo quadro dedicato alla ricerca; finora, infatti, erano stati siglati accordi riguardanti solo le infrastrutture materiali, come ferrovie, strade o ponti. L'accordo siglato dalla Bei con l'Italia, invece - ha sottolineato il ministro - rappresenta il primo accordo nel campo della ricerca ed e’ dunque molto significativo». Cio’ vuol dire, ha rilevato Moratti, che l'Italia e’ «all'avanguardia in questo settore». Ma quali risvolti avra’, in pratica, questo accordo per la ricerca italiana? A chiarirlo e’ lo stesso ministro Moratti: «Significa, innanzitutto, avere delle risorse aggiuntive. La Banca europea degli investimenti mette infatti a disposizione del settore ricerca, complessivamente, 45 miliardi di euro nel budget 2007-2013, che possono quindi aggiungersi al finanziamento pubblico e al finanziamento attraverso linee di credito del nostro Paese. Le condizioni di questo accordo quadro - ha aggiunto - sono estremamente positive per quanto riguarda i tassi di interesse e il periodo di durata dei mutui; condizioni che possono essere quindi interessanti anche per abbattere il rischio imprenditoriale, soprattutto delle medie e piccole imprese». Dunque, in arrivo ci sono delle «risorse aggiuntive - ha detto il ministro - che ci consentiranno di attivare sia grandi progetti europei di ricerca sia una piu’ diffusa ricerca nell'ambito del sistema imprenditoriale italiano». L’ultimo Consiglio europeo ha gia’ varato una serie di programmi di ricerca, alcuni dei quali a forte partecipazione italiana, gia’ all’esame della Bei. Ecco i principali. Idrogeno : la piattaforma Idrogeno e’ un progetto che mira a sviluppare le tecnologie basate appunto sull'idrogeno come alternativa ai carburanti inquinanti. L'Enea avra’ grande peso in questo progetto. Laser a elettroni liberi: il progetto Laser a elettroni liberi del Centro luce di Sincrotrone di Trieste mira allo sviluppo di materiali innovativi e di biomateriali. Banda larga: il progetto prevede l'applicazione della banda larga per l'informatizzazione della Pubblica amministrazione. Gran parte della tecnologia del progetto e’ italiana. Vulcanologia e sismologia: il progetto prevede la creazione di una rete di osservatori di vulcanologia e sismologia per la prevenzione delle catastrofi naturali. Per l'Italia e’ coinvolto l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Roma. ________________________________________________________ Il Sole24Ore 18 feb.’04 UNIVERSITA’, COSI HA VINTO L'AMERICA Anche la Germania guarda oltre Oceano: Schróder addita Harvard come esempio ad Heidelberg la straordinaria storia di. successo dell'accademia americana, diventata da’ gregaria un modello Il Rapporto Seaborg nel '60 pianifico’ la crescita dei centri (li eccellenza DI MARIO MARGIOCCO Genova nasce il Mit italiano l’ Iit modellato come sigla e come ambizioni di ricerca sul Massachusetts Institute of Thecnology. La Francia rimodella le proprie universita’ sognando la California. anche se nor, lo dice. La Gran Bretagna riforma strutture e tasse di frequenza, guardando agli Usa. E i.l cancelliere Gerhard Schrbder ha affermato recentemente che l'esempio di Friburgo e Heidelberg, della Humboldt Universitat e di Wiirburg sono Narvard e Stanford. E questo dal Paese che a suo tempo strabilio’ il mondo con l'efficienza delle proprie scuole, copiate in primis proprio dagli Stati Uniti. Un cerchio della storia d'Europa si e’ ormai definitivamente saldato, con l'orgoglio accademico ultimo a cedere. In Europa e’ ormai tradizione pensare che la differenza la fecero a suo tempo i docenti e gli intellettuali europei., ebrei in particolare, costretti a lasciare negli anni 30 soprattutto Germania, e Austria (si veda il riquadro in questa stessa pagina). Ma la storia di come il sistema universitario e della ricerca Usa e’ diventato leader indiscusso va ben oltre l'emigrazione europea, e’ una storia tutta americana, che ha alcune: tappe e protagonisti ben precisi. La realizzazione di un programma studiato, si direbbe, a tavolino. Elaborato, dopo una lunga gestazione, tra gli anni 30 e gli anni 50, e dichiarato concluso con gli anni 60. E’ un processo che, semplificando, ha avuto ire tappe: l'uscita del college americano, spesso piu’ un post-liceo che. una vera universita’, dallo schema di scuola professionale,o teologica, o di buone maniere per ragazzi di buona famiglia, processo avviato verso il 1880 e concluso mezzo secolo piu’ tardi; la democratizzazione dell'universita’ con borse di studio e altri aiuti, tra gli anni 30 e gli anni 50; e infine un fatto preciso: il fiume di finanziamenti pubblici scattato da quando il Rapporto Seaborg nel 1960 forni la risposta americana allo Sputnik sovietico. Gli Stati Uniti hanno sempre avuto grande stima per l'esperto e poca simpatia per l'intellettuale e non fu facile quindi spezzare iI concetto di universita’ come fabbrica di esperti di qualcosa, possibilmente di pratico, con scarse letture generali, o di giovanotti di buone maniere, molto sport e sane attitudini a non disturbare la mente: "leave your mind alone". Il modello tedesco di universita’ come ricerca e innovazione fu adottato da centri sorti ex novo, Johns Hopkins (1876), Stanford (1$91) o Chicago (1892), e richiese a Harvard per essere in parte copiato tutta la sagacia del presidente Charies WiIliam Eliot, al timone fino al 1909. In un'analisi rimasta famosa, Thorstein Veblen, norvegese del Minnesota e docente a Chicago, denunciava il fatto che l'universita’ americana fosse troppo legata per i suoi fondi, e quindi per i programmi, a un mondo del business che lui definiva, rispetto a quello europeo, miope e "second rate". I corsi under graduate erano un proseguimento delle superiori e basta. E le Gradute schools, da 50 anni nerbo dell'accademia americana, ancora allora incerte. Ma, fiducioso, Veblen profetizzava con esattezza che l'America sarebbe diventata la capitale anche del sapere accademico (eravamo al termine del massacro europeo di Verdun e della Somme), «non tanto per virtu’ dei propri superiori meriti quanto per la forza dell'insolvenza della comunita’ accademica europea». «Le scuole di medicina sono un disastro e occorre ispirarsi a Germania e Francia», aveva scritto nel 1910 Abraham Flexner in uno storico Rapporto sulla Medical Education finanziato dalla Fondazione Carnegie, di gran lunga la piu’ attiva allora fra l'indifferenza federale sul fronte della riforma unversitaria, e seguita piu’ tardi dalla Fondazione Ford. E nel 1930, mentre gia’ le cose stavano cambiando (Columbia University ebbe un ruolo nell'innovare il curriculum, copiato un po' ovunque negli Usa), lo stesso Flexner denunciava con un secondo Rapporto (University: American, British, German) le istituzioni americane che non avevano ancora deciso che cosa fare da grandi. E’ a meta’ degli anni 30 che Harvard diventa da polo di privilegio un polo di innovazione, con il presidente James Bryant Conant e il suo programma, I'Harvard National Scholarship, che apri per la prima volta le porte dell'Est a studenti del Midwest, bravi ma senza mezzi, accogliendo fra gli altri il futuro Nobel James Tabin e il futuro capo del Pentagono, Caspar Weinberger. La vera trasformazione del sistema universitario parte comunque con la seconda guerra mondiale, in modo empirico, con fondi federali di ricerca prima esigui e poi abbondanti, anche se spesso scoordinati, e legati allo sforzo bellico. Tre furono i passaggi cruciali - Il Servicemen's Readjustment Act del '44, meglio noto come GI Bill, che pagava tra l'altro ai reduci tutta l'istruzione fino al Ph D (esiste ancora oggi) ed ebbe un ruolo chiave nel portare la popolazione studentesca dall' 1,5 milioni del '39-40 ai 3,6 dei primi anni 50 l’esplosione successiva, con il passaggio dagli 8 milioni del 1970 ai 15 milioni attuali. - La consapevolezza che quanto realizzato per lo sforzo bellico andava utilizzato per consolidare il sistema della conoscenza. E qui va ricordata l'opera di Vannevar Bush, un docente del Mit. Aveva guidato la ricerca scientifica federale durante la guerra e scrisse nel '45 Science: The Endless Frontier e un famoso articolo (As we may think, sull'«Atlantic Monthly», luglio '45) in cui diceva che occorreva continuare, non smettere la ricerca con la fine delle ostilita’. Questo va visto insieme al Rapporto chiesto dal presidente Harry Truman su Higher Education for American Democracy (1947), che chiedeva la continuazione del GI Bill e una universita’ a disposizione di tutti i meritevoli e forniva i criteri per una prima sistemazione del vasto programma americano di borse di studio, pubbliche e non, esistente oggi. La cosa straordinaria e’ che il lavoro di Bush e il Rapporto Truman sono il primo tentativo di un coordinamento della ricerca e degli aiuti allo studio; fino a quel punto tutto era lasciato alla libera iniziativa, e al caso. - Infine, piu’ tardi, il terzo pilastro della moderna accademia Usa arrivera’ soltanto nel 1960, dopo lo choc dello primo Sputnik sovietico del 1957. Cambio’ volto al sistema universita’-ricerca americano, con il massiccio intervento dei finanziamenti pubblici, e lo fece diventare quello che e’ oggi. E’ il cruciale Rapporto Seaborg (vedere riquadro) ordinato da Eisenhower e fatto proprio da Kennedy e Johnson. Nel 1968 David Riesman e Christopher Jencks, nel loro The Academic Revolution, dichiareranno raggiunta la maggiore eta’ e la supremazia dell'accademia Usa. Che e’ piena di difetti e problemi, costa molto (ma ci sono abbondanti borse di studio e prestiti), e’ ridondante, produce piu’ pedanti del dovuto, fin troppo competitiva, ma e’ un sistema che lavora, e funziona, e riceve dalla mano pubblica solo il 10% dei propri bilanci per le private e i135% per le scuole degli Stati. Un mondo assai diverso da un sistema europeo dove, come ha detto recentemente l'irlandese Edward M. Walsh presidente emerito dell'Universita’ di Limerick, strutture e mentalita’ statalistiche e burocratiche creano «santuari accademici dove la mediocrita’ puo’ vivacchiare senza sfide e l'eccellenza e’ malamente ricompensata». Quando non e’ osteggiata. Per decenni la Ford Foundation ha finanziato LA ricerca del Governo IL ruolo dell'immigrazione europea in fuga dal nazifascismo e’ stato fondamentale per l'universita’ americana, soprattutto per alcune discipline: fisica, astronomia, biologia ed economia in particolare. Ma non spiega come un sistema considerato di second'ordine sia diventato nel giro di neppure una generazione la pietra di paragone. Varie scelte americane dagli anni 30 in poi, e _.n particolare la politica federale ispirata dal Rapporto chiesto da Eisenhower e firmato da Glenn Seaborg (Nobel per la chimica nel 'S1) nel novembre 1960, spiegano meglio i fatti. Da Germania e Austria e piu’ tardi dall'Europa occupata dai nazisti fuggirono, raccontano Laura Fermi e Herbert A. Strauss in due studi ormai stagionati, in 250-31Omila, per due terzi tedeschi e per meta’ ebrei. Di questi (dati per i provenienti da Germania-Austria), 7.600 avevano una completa formazione accademica e i docenti erano un migliaio. L'arrivo degli immigrati nell'accademia fu efficace inoltre perche’ incanalato da persone e istituzioni lungimiranti, anche se nell'indifferenza generale o addirittura nell'ostilita’ del grande pubblico. Dal '33 era attivo e lo fu fino al '45, grazie in particolare a Stephen Duggan, l’Emergency Committee, creato nell'ambito dell'Institute of International Education per aiutare gli accademici in fuga: ne sistemo’ 335 tra universita’ e laboratori. Altri 303 furono sistemati dalla Rockefeller Foundation, varie dozzine dall'Oberlander Trust, e 167 trovarono ospitalita’ presso la New School of Social Research fondata a New York proprio per dare un tetto agli europei in fuga. Il grande pubblico pensava ad altro, «Fortune» dell'aprile '39 indicava che l’83% degli americani era contrario ai rifugiati, accademici e non, e solo il 9% a favore. Ancora a fine anni '50 finanziava piu’ ricerca universitaria la Fondazione Ford del governo federale. C'e’ da stupirsi che il primo vero coordinamento nazionale della ricerca sii arrivato solo nel 1960 con il Rapporto Seaborg. Dal '45 ad allora il grande impulso del periodo bellico continuo’, a ritmo ridotto, e in ordine sparso. Il Rapporto Seaborg fu di fatto l'ispiratore della Nasa, nata poco prima, del vero rilancio della National Science Foundation, oggi perno della ricerca Usa, e di una serie di punti fermi tuttora validi: la ricerca come investimento; lo stretto legame tra ricerca di base e Graduate Schools; il ruolo del governo federale; la partnership per la ricerca tra universita’ e Washington. Il Rapporto indicava la necessita’ del passaggio in 15 anni dei centri di primi grandezza dai 15-20 esistenti allora a :;0-40. Fu una svolta. E avvio’ una massa di finanziamenti arrivati, nei soli anni 60 e in dollari di allora, a oltre 800 milioni. Seaborg, scomparso nel '99, fece anche parte della commissione che nel 1983, con Reagan, preparo’ il Rapporto intitolato A Nation al Risk: the Imperative of Education Reform, che mise in guardia contro il rischio di "una marea montante di mediocrita’" nell'insegnamento e nella ricerca. M.MAR. ===================================================== ________________________________________________________ L’Unione Sarda 21 feb.’04 MISTRETTA: SENZA DIDATTICA L’AZIENDA MISTA NON CI INTERESSA «Le aziende miste nascono per garantire l’attivita’ didattica e di ricerca. Se questo obiettivo diventera’ secondario, costituire l’azienda non ci interessa «Le aziende miste nascono per garantire l’attivita’ didattica e di ricerca. Se questo obiettivo diventera’ secondario, costituire l’azienda non ci interessa». In un momento di stallo nella trattativa per la sigla del protocollo d’intesa tra Servizio sanitario e universita’ per l’istituzione dell’azienda sanitaria con la Regione, il rettore Pasquale Mistretta lancia un messaggio chiaro agli interlocutori. Non minaccia rotture, chiarisce piuttosto ruoli, competenze, rapporti. Professore, l’accordo sembrava vicino. Che cosa e’ successo? «Che si e’ perso di vista lo spirito della legge 517 che stabilisce che le aziende miste devono garantire l’attivita’ didattica e di ricerca». Invece? «Mi sembra che i pesi siano spostati verso le aziende ospedaliere». Puo’ fare qualche esempio? «Bisogna dire le cose in modo chiaro. Noi portiamo in dote il Policlinico e la clinica pediatrica, cioe’ due gioielli, la Regione il San Giovanni di Dio. Noi portiamo docenti di prima fascia, loro una componente assistenziale che e’ sempre stata governata dai docenti universitari. Noi conferiamo laboratori di ricerca, loro di analisi cliniche. Tutto cio’ che noi portiamo in dote e’ un patrimonio che non possiamo svendere e che loro non possono acquisire come fosse acqua fresca». Chi non vuole accettare questi principi? «Credo che Capelli l’abbia capito bene, ma ritengo che abbia bisogno di un supporto tecnico diverso perche’ quello che ha e’ evidentemente piu’ spostato sull’azienda ospedaliera piuttosto che sull’azienda mista. E’ evidente che non ha gli strumenti politici». E chi dovrebbe affiancarlo nelle scelte? «Vorrei che fosse chiaro che l’assessore ha un ruolo di coordinatore e che se non si coinvolge il consiglio regionale, parlo soprattutto della commissione sanita’, questo protocollo non passera’ mai». E’ solo un problema politico? «Do’ atto a Capelli di aver preso in mano con determinazione un problema difficilissimo piu’ volte messo sul tappeto e sempre rinviato. Questo me lo fa considerare un interlocutore serio. Il problema e’ che nella commissione istruttoria taluno ha svolto il suo incarico con una mentalita’ burocratica e senza l’intelligenza che richiede un accordo in cui l’Universita’, che ha la presunzione di essere al top dell’intelligenza, e’ controparte». Ma a che punto e’ la trattativa? «A buon punto e siamo motivati ad andare al confronto con la commissione sanita’ del consiglio regionale per chiudere la vicenda prima delle elezioni. Ma non possiamo rinunciare a tre punti». Quali? «La valutazione dei criteri sul dimensionamento dell’azienda; il riconoscimento formale e sostanziale dello stato giuridico del nostro personale docente e non solo dal punto di vista contrattuale, ma soprattutto da quello della dignita’ e del ruolo nel lavoro; gli assetti finanziari, non i debiti e i crediti pregressi, ma il pericolo che le perdite possano ricadere sull’universita’ senza che l’universita’ sia coinvolta nella gestione e nel controllo». Non saranno le solite rivendicazioni baronali? «Guardi, sono un ingegnere e non difendo il baronato medico ma la facolta’ di medicina e il futuro degli studenti e degli specializzandi. Difendo il loro diritto alla didattica e alla ricerca con il giusto numero di posti letto: tre per ogni studente del primo anno». Il suo e’ un ultimatum? «No, ma tutte le altre Regioni hanno gia’ siglato il protocollo, noi siamo gli ultimi. E tutti danno il giusto ruolo all’universita’. Possibile che la Regione sarda sia l’unica che vuol fare un’azienda molto piu’ ospedaliera con meno attenzione alle esigenze universitarie? Poi c’e’ un altro rischio». Qual e’? Che se non si trova l’accordo entro 90 giorni dalla trasmissione della proposta regionale del protocollo d’intesa il ministro avoca la pratica». Fabio Manca ________________________________________________________ La Nuova Sardegna 19 feb.’04 CAGLIARI. L’UNIVERSITA’ METTE IL CAPPELLO SULL’AZIENDA MISTA CAGLIARI. Sussurri e per ora niente grida contro il protocollo d’intesa elaborato in bozza da una speciale commissione nominata dall’assessore regionale alla sanita’. E’ stato apprezzato dai sindacati dei medici, risulta sufficientemente gradito a vari esponenti della facolta’ di Medicina, ma c’e’ chi sostiene che l’universita’ e i sindacati, invece, si lamentano. Di cosa e di chi si sta parlando? I sindacati dei medici si sono espressi con una certa chiarezza: la bozza di protocollo, e’ stato il giudizio dato in sintesi, risulta essere una buona traccia per cominciare perche’ stabilisce pari dignita’ di ruoli e di trattamento economico. All’universita’ risulta che ci siano due anime: una abbastanza vicina alle posizioni di chi vede con un certo favore la bozza, un’altra che trova sospetti alcuni vuoti di previsione gestionale e organizzativa. L’ateneo ha parlato attraverso la sua rivista bimestrale, "Unica News". Il rettore Pasquale Mistretta, infatti, dopo aver dichiarato che il protocollo elaborato e’ un buon documento, sottolinea: "... Sui fattori economici va posta attenzione per evitare che l’universita’ debba svolgere ancora il ruolo di cassa continua in anticipazioni dovute dalla Regione". Dice ancora il rettore che, per l’universita’, non bastera’ la firma di questo protocollo: "... ancora prima di firmarlo occorre che la Regione Sardegna stabilisca l’entita’ e le modalita’ per saldare i debiti nei confronti del policlinico". Poi, ancora su "Unica News", c’e’ un altro passaggio-messaggio: "E’ importante che il protocollo, da fare comunque quanto prima, non venga presentato come un totem intoccabile. Non vorrei che, in vista delle elezioni regionali, eventuali imperfezioni si trasformino in responsabilita’ dell’ateneo". Quindi si chiede: come si accontentano gli uni e gli altri? E Mistretta risponde: "Conciliando almeno in prima applicazione e soprattutto per i ruoli a esaurimento, i contratti collettivi, universitario e ospedaliero... Non possiamo accettare qualsiasi operazione tesa a svilire il contratto e lo stato giuridico del personale universitario". Rincarando i messaggi sull’andar d’accordo: "... Ci sono aspetti da chiarire. E va chiarito anche il modo in cui rappresentanze sindacali degli ospedalieri, tante, e quelle dell’universita’, poche, dovranno convivere nel portare avanti una politica comune di produttivita’, di efficacia e di efficienza dei servizi...". Secondo Mistretta "forse c’e’ ancora resistenza da parte dei medici, i quali non possono intravedere una carriera universitaria anche perche’ i numeri non consentono ipotesi di questo genere...". Anche sulle apicalita’ (i direttori) Mistretta mette il cappello: "... l’azienda mista nasce con lo scopo di mettere al servizio del sistema sanitario pubblico la formazione e la ricerca, quindi e’ evidente che se la formazione e la ricerca sono si competenza universitaria e se l’attivita’ sanitaria ne e’ una conseguenza, va garantita una nostra presenza non subordinata a scelte, politiche o resistenze di vario tenore". Chiaro? ________________________________________________________ L’Unione Sarda 19 feb.’04 CAGLIARI: NEL REPARTO DI GINECOLOGIA SOLAMENTE POSTI IN PIEDI San Giovanni di Dio. Il Puerperio e’ sbarrato e le pazienti dormono in corridoio Un caso di malasanita’ causato dalla mancanza di personale Melis: se oggi non arriva un’ostetrica chiudo la sala operatoria Una gestazione lunga due anni e mezzo e il parto sembra lontano. Trenta mesi non sono bastati per consentire l’apertura del Puerperio, una nuova sezione del reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale San Giovanni di Dio. Intanto le pazienti sono costrette a dormire nei corridoi: al diavolo privacy e dignita’. Solo un paravento sistemato all’ingresso della corsia cerca in qualche modo di coprire e riparare le donne, sistemate in branda, da occhi indiscreti. Ieri sera, sei ricoverate in corridoio attendevano le dimissioni di qualche altra degente per poter poi occupare il loro posto. Un paradosso, nella fabbrica dei bambini sei stanze pronte all’uso con dieci posti letto, a misura di mamma e bebe’, dotate di aria condizionata e di tutte le piu’ moderne attrezzature mediche, che non riescono a vedere la luce. Proprio due anni e mezzo fa il direttore della clinica, Gian Benedetto Melis, ha iniziato la sua crociata personale per l’apertura del nuovo reparto. Quei dieci posti letto sarebbero una formidabile valvola di sfogo contro il superaffollamento nelle corsie. Non solo, consentirebbero alle mamme di avere il neonato affianco senza dover affrontare lunghe e faticose transumanze (il Nido e’ a pochi metri dalle nuove stanze). Un organico complessivo di 16 medici e 30 infermieri, al top della preparazione, si danna l’anima per cercare di alleviare le sofferenze di chi in quel posto ci va non certo per le vacanze. Un esercito di donne: l’anno scorso sono state ricoverate circa 3 mila pazienti. Come se non bastasse, poi, tre stanze (I, H e G), sono off limits: l’umidita’ ha causato la caduta del soffitto su letti e attrezzature mediche che sono stati irrimediabilmente danneggiati. Per rimetterli a posto basterebbe l’opera di un imbianchino. Il professor Melis non si e’ mai arreso, ma sino a ora la sua e’ stata una lotta contro i mulini a vento: non e’ servito uno scambio epistolare al vetriolo con i vertici della Sanita’ sarda. Le promesse iniziali, come purtroppo spesso accade quando c’e’ di mezzo la politica, sono rimaste solo chiacchiere. «Ho scritto a tutti - racconta, con tono sconsolato ma non rassegnato, mentre cammina nell’andito del suo reparto - alla Asl, alla Regione, al preside di Medicina, al rettore Mistretta. Ma sino a oggi niente». Ma allora, qual e’ il vero motivo che impedisce l’apertura del reparto? Un’altra vicenda di malsanita’, con soldi pubblici, circa 600 milioni di lire, spesi per strutture inutilizzabili? «Per aprire il Puerperio - spiega Melis - abbiamo bisogno di cinque ostetriche, che ci permetterebbero cosi’ di coprire un turno. Ce lo impone la legge: non possiamo, visto che la nuova sezione e’ un piano sopra, impiegare lo stesso personale su due reparti, anche se di poco, distaccati». Insomma, e’ sempre una questione di soldi e assunzioni, eppure una convenzione firmata nel 1998 impone alla Asl di fornire all’Universita’, da cui dipende la Clinica, tutti gli strumenti per assistere i pazienti. «Secondo la Direzione sanitaria - continua il direttore - il personale e’ sufficiente: vero sulla carta, ma non considerano le assenze per maternita’, ferie, permessi ed esenzioni dal servizio». E ora il reparto rischia la paralisi: «Mancano le ostetriche - conclude Melis - se entro oggi non ne assegneranno una nuova, saro’ costretto a chiudere la sala operatoria». Andrea Artizzu Una gestazione lunga due anni e mezzo e il parto sembra lontano. Trenta mesi non sono bastati per consentire l’apertura del Puerperio, una nuova sezione del reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale San Giovanni di Dio. Intanto le pazienti sono costrette a dormire nei corridoi. Solo un paravento sistemato all’ingresso della corsia cerca in qualche modo di coprire e riparare le donne, sistemate in branda, da occhi indiscreti. Ieri sera, sei ricoverate in corridoio attendevano le dimissioni di qualche altra degente per poter poi occupare il loro posto. Un paradosso, nella fabbrica dei bambini sei stanze pronte all’uso con 10 posti letto, a misura di mamma e bebe’ che non riescono a vedere la luce. Proprio due anni e mezzo fa il direttore della clinica, Gian Battista Melis, ha iniziato la sua crociata personale per l’apertura del nuovo reparto. Quei dieci posti letto sarebbero una formidabile valvola di sfogo contro il superaffollamento nelle corsie. Non solo, consentirebbero alle mamme di avere il neonato affianco. Un organico complessivo di 16 medici e 30 infermieri, al top della preparazione, si danna l’anima per cercare di alleviare le sofferenze di chi in quel posto ci va non certo per le vacanze. Un esercito di donne: l’anno scorso sono state ricoverate circa 3 mila pazienti. Come se non bastasse, poi, tre stanze (I, H e G), sono off limits: l’umidita’ ha causato la caduta del soffitto su letti e attrezzature mediche. Il professor Melis non si e’ mai arreso, ma sino a ora la sua e’ stata una lotta contro i mulini a vento: non e’ servito uno scambio epistolare al vetriolo con i vertici della Sanita’ sarda. Le promesse iniziali, come purtroppo spesso accade quando c’e’ di mezzo la politica, sono rimaste solo chiacchiere. «Per aprire il Puerperio - spiega Melis - abbiamo bisogno di 5 infermiere». E ora il reparto rischia la paralisi: «Mancano le ostetriche - conclude Melis - se entro oggi non ne assegneranno una nuova, saro’ costretto a chiudere la sala operatoria». Andrea Artizzu ________________________________________________________ L’Unione Sarda 20 feb.’04 GINECOLOGIA: REPLICA DEL DIRETTORE DELL’ASL Il manager fa i conti al primario: «Il personale e’ sufficiente» Il direttore generale della Asl 8, Efisio Aste, non ci sta. Si sente chiamato direttamente in causa dalle affermazioni rilasciate ieri al nostro giornale dal direttore della Clinica di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale San Giovanni di Dio, Gian Benedetto Melis, sulla mancata apertura del reparto Puerperio, sull’inagibilita’ di tre stanze e sulla mancanza di personale che portera’ alla chiusura della sala operatoria. In una nota il responsabile dell’Azienda sanitaria precisa che «Per quanto riguarda le tre stanze chiuse, si fa presente che l’inagibilita’ delle stesse e’ stata determinata da una infiltrazione di acqua dal tetto. Questo e’ stato prontamente riparato, ma non si e’ ancora potuto provvedere alla tinteggiatura degli ambienti, in quanto occorre attendere che gli intonaci asciughino». Sin qui la puntualizzazione del direttore della Asl sulle tre stanze chiuse, ora una buona notizia: «Il prof. Melis e’ stato informato tempestivamente di tali aspetti e del fatto che a giorni gli operai avrebbero provveduto alla tinteggiatura». Per quanto riguarda la carenza di personale Aste spiega che «Nel 2003 nella clinica del prof. Melis risultavano presenti in media 36/37 pazienti al giorno; il prof. Melis afferma di dover far fronte all’attivita’ con solo 16 medici e 30 infermieri. Ci si chiede allora - continua Aste - quali attivita’ svolgano o in quali compiti vengano utilizzati gli ulteriori quattro medici e le venticinque ostetriche che risultano assegnate al reparto, tenuto anche conto del fatto che nella clinica svolgono il loro tirocinio un congruo numero di medici e ostetriche specializzandi». Versioni diametralmente opposte quelle tra il direttore della Clinica e il responsabile della Asl 8: poco personale a disposizione per Melis, sufficiente per Aste. Comunque, almeno per il primario di Ginecologia, rimane l’allarme per la mancanza di ostetriche che impedisce di fatto l’apertura del Puerperio. Su questo punto Aste si chiede «Perche’, essendo necessarie solamente 5 ostetriche per poterlo aprire, questo sia ancora chiuso nonostante le ripetute richieste e sollecitazioni da parte della Direzione aziendale». Ora i pazienti si augurano che le precisazioni siano terminate e che finalmente le stanze a disposizione del reparto possano essere utilizzate. ________________________________________________________ La Stampa 17 feb. ’04 UN CHECK-UP SULLE SPESE DI SANITA’ ED ENTI LOCALI ROMA Sulle spese di ospedali, visite specialistiche e analisi diagnostiche, anche quelle relative alle strutture private in convenzione, bisogna puntare a ottimizzare i costi in rapporto ai benefici. Sui conti degli enti locali va invece attuato un piu’ stretto monitoraggio che realizzi «le esigenze di trasparenza, tempestivita’ e qualita’ dei flussi informativi, prevedendo anche una banca dati sui servizi socio assistenziali realizzati dai Comuni». Sono questi gli obiettivi, sul fronte della spesa pubblica, che il ministro dell' Economia Giulio Tremonti ha fissato per il 2004 nella direttiva annuale inviata ai propri uffici. Un ruolo primario sara’ attribuito alla Ragioneria Generale dello Stato. SANITA’. Tra le priorita’ strategiche del 2004 Tremonti prevede un «monitoraggio della spesa a livello centrale e periferico» e chiede «particolare attenzione al settore sanitario». La Ragioneria dello Stato dovra’ cosi’ effettuare una indagine sul territorio con lo scopo di «ottimizzare il rapporto costi-benefici della spesa a carico del Servizio Sanitario Nazionale per le prestazioni rese dagli erogatori pubblici e privati nel campo dell' assistenza ospedaliera, specialistica e diagnostica». Si partira’ da una analisi dei conti effettuata «presso una o piu’ Asl di ciascuna Regione» per poi proseguire presso gli organi di vigilanza e riscontro. Inoltre «le finalita’ di riequilibrio del sistema finanziario sono perseguite anche attraverso il concorso del Dipartimento della Ragioniera alla messa in opera del sistema definito carta sanitaria», una novita’ introdotta con l' ultima Finanziaria. CONTI LOCALI. Nel 2004 Tremonti chiede ai propri uffici uno stretto monitoraggio sui flussi di spesa di Comuni, Province e Regioni. Ma punta anche a procedure di trasparenza informativa sulle operazioni di bilancio degli enti locali «per il conseguimento di piu’ elevati livelli di affidabilita’». Ai fini del patto di stabilita’ interno «la scelta strategica sara’ volta a realizzare un puntuale coordinamento dei flussi di cassa» anche «al fine di integrare ed allineare i sistemi alle esigenze di completezza, tempestivita’ e qualita’ dei flussi informativi». COMUNI E ASSISTENZA. Una «indagine censuaria», cioe’ una sorta di censimento informativo, dovra’ essere attuata nel 2004 sulle attivita’ socio-assistenziali dei Comuni. Tremonti pone l' obiettivo di una rilevazione via Web «degli aspetti qualitativi e quantitativi di queste attivita’». Lo scopo e’ la «progettazione, lo sviluppo e la realizzazione di un portafoglio informativo per l' analisi e la valutazione dei servizi resi nella loro dimensione quali-quantitativa». Saranno redatti questionari che verranno messi in linea entro il prossimo settembre, per poi raccogliere i dati entro il primo novembre. SPESA E STIPENDI PUBBLICI. L' avvio di procedure di controllo piu’ stringenti sulla spesa non riguarderanno solo gli enti locali. Nel 2004 Tremonti chiede cosi’ di avviare anche un »nuovo modello di previsione della spesa per il personale pubblico«: entro marzo saranno raccolti i dati relativi ai corpi di polizia, entro luglio alle universita’, entro novembre sulle forze armate per elaborare le previsioni entro l' anno. Tra le novita’ c'e’ anche una piu’ minuta gestione del fondo per le assunzioni in deroga al blocco previsto dalla legge finanziaria per quest' anno. Il meccanismo prevede l' acquisizione delle richieste di assunzione entro il 30 aprile con l' istruzione e la valutazione entro giugno per le richieste prioritarie e l' emanazione delle autorizzazioni da luglio alla fine dell' anno. r.e.s. ________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 feb.’04 IN CRESCITA I CASI DI SCLEROSI MULTIPLA: nel nord Sardegna ci si ammala di piu’ I dati illustrati ieri in una giornata di studi della Asl Luras Una giornata di studio sulla sclerosi multipla, affidata a specialisti e a ricercatori che lavorano tutti i giorni per sconfiggere questa malattia. Ieri mattina nell’aula magna delle scuole elementari di Luras, diversi relatori hanno fatto il punto sulle terapie e sull’inquadramento clinico della sclerosi multipla. La giornata, articolata in due sessioni di lavoro, e’ stata organizzata dall’assessore comunale Gianni Sanna, dalla Asl n. 2 di Olbia, e aperta dall’intervento del sindaco Alberto Lentinu. Gli specialisti hanno fatto il punto anche sulle nuove terapie. A presiedere i lavori il professor Giulio Rosati, direttore della clinica neurologica di Sassari. Uno dei dati emersi nel corso della giornata di studio, e’ stato il preoccupante incremento dei casi di sclerosi multipla nel nord Sardegna. La dottoressa Maura Pugliatti, della clinica neurologica di Sassari, ha ricordato come le percentuali siano notevolmente superiori alla media nazionale. Gli studi effettuati riguardano un arco di tempo che va dal 1968 al 1997. Dal 1995 i nuovi casi sono stati 828. Si e’ parlato anche della sintomatologia della sclerosi multipla, che in alcuni casi puo’ essere diagnosticata gia’ dall’adolescenza. Stefano Sotgiu, della clinica neurologica di Sassari, nella sua relazione ha trattato la questione delle nuove terapie, invitando tutti alla cautela, in modo particolare per quanto riguarda i trattamenti naturali. Ma la giornata di studio non e’ soltanto affidata a professori universitari e specialisti. Ci sono state anche le testimonianze, come quella di Antonella Lentinu, particolarmente apprezzata dai relatori. L’organizzazione del convegno era affidata a Elio Tamponi e Gasperino Pirriano, responsabile dell’unita’ operativa di fisiatria dell’ospedale di Tempio. I lavori sono stati seguiti da numerosi medici e dal personale che opera nei reparti dei diversi ospedali del nord Sardegna. (a. b.) ________________________________________________________ Il Sole24Ore 19 feb.’04 QUEL BUSINESS CHIAMATO PROTEOMICA FRONTIERE Giulio Superti Furga ha completato lo studio sull'interazione fra proteine durante le infiammazioni Entro il 2005 i test clinici su una molecola innovativa anti-Alzheimer In due anni il mercato potrebbe salire a 5,6 miliardi di dollari E’ il primo passo verso lo sviluppo di farmaci in grado di combattere molte gia’ testato per le cellule di lievito. Utilizzando come esche una selezione di proteine opportunamente marcate, e percio’ riconoscibili, i ricercatori hanno descritto 221 interazioni fra 32 complessi presenti nelle cellule umane. La genetica ha fatto passi da gigante negli ultimi anni, ma questa e’ la prima volta che si descrive un processo infiammatorio a livello del proteoma di una cellula umana. «Studiare il proteoma ci permette di capire come vengono messe in pratica le istruzioni contenute nel nostro Dna - spiega Sankar Ghosh, ricercatore presso la facolta’ di medicina della Yale University, negli Stati Uniti - se sequenziare il genoma e’ come stilare un inventario dei materiali da costruzione che abbiamo a disposizione e ci da’ qualche indicazione su come costruire una casa o un grattacielo, solo la "cartina stradale" dell'infiammazione, ma anche la logica con la quale e’ costruita». Parola di Giulio Superti Furga, direttore scientifico della Cellzone e di uno dei laboratori dell'Embl (European molecular biology laboratory) di Heidelberg, in Germania. L'e’quipe coordinata da Superti Furga ha completato il primo studio su grande scala sull'interazione fra proteine umane, identificando il percorso completo di una reazione infiammatoria all'interno dei tessuti. «La reazione infiammatoria e’ all'origine di molte patologie -- spiega Superti Furga - dalle malattie reumatiche all'A1zheimer e ai tumori. In questo studio abbiamo analizzato la risposta dell'organismo al Tnf, il fattore necrotico tumorale alfa, fondamentale mediatore in processi infiammatori e nello sviluppo di alcuni carcinomi». Per capire come funziona intimamente un sistema biologico e ricostruire le sue logiche di azione molecolare, i ricercatori della Cellzone sono letteralmente andati "a pesca" di proteine nelle cellule umane con un metodo l'analisi del proteoma spiega come si incastrano i mattoni e tutto sta in piedi». E’ un progresso importante perche’ sapere come funziona questa specie di «segnaletica stradale» dei processi infiammatori e’ il primo passo verso lo sviluppo di farmaci in grado di disturbare e combattere l'infiammazione in maniera molto piu’ sofisticata ed efficace di quanto si possa fare oggi. «La proteomica non permette solo di individuare quali proteine stimolano l'infiammazione - osserva Sugerti Furga -- ma anche chi parla con chi. La prima tappa verso le applicazioni terapeutiche sara’ la sperimentazione con i farmaci che gia’ esistono per capire come migliorare la loro azione e comprendere perche’ un bersaglio -e’ un bersaglio». Le ricadute saranno a breve termine. Entro il 2005 la Cellzome, che a quattro anni dalla sua fondazione puo’ contare su un capitale di 70 milioni di curo raccolti dal venture capital e 90 ricercatori divisi tra i laboratori di Heidelberg e Londra, prevede di avviare la prima fase di sperimentazione clinica per un farmaco contro l’Alzheimer, destinata a misurare la non tossicita’ delle molecole, e ha gia’ accordi con la Johnson & Johnson e la Bayer per migliorare il meccanismo di azione delle molecole gia’ esistenti. Le previsioni descrivono un settore in cresci a vertiginosa. L'ultimo rapporto della Frost&Sullivan stima che da un mercato di 963 milioni di dollari del 2000 si raggiungeranno facilmente i 5,6 miliardi entro il 2006. Il primo farmaco interamente , figlio della proteomica potrebbe pero’ essere un vaccino: «In questo campo l'applicazione della proteomica e’ in un certo senso piu’ diretta - spiega Guido , Grandi, vicepresidente della ricerca alla Chiron vaccines di Siena - perche’, a differenza del drug discovery, dove la proteomica consente di individuare un bersaglio a partire dal quale si deve poi identificare un farmaco in grado di colpirlo, nel settore dei vaccini ogni molecola che individuiamo diventa un potenziale vaccino in grado di proteggere l'organismo». I tempi di sviluppo di queste armi sono lunghi, ma i benefici possono essere molto consistenti sia per la salute pubblica che per i bilanci. Chiron ha appena avviato la prima fase di sperimentazione di un vaccino, identificato grazie alla genomica e alla proteomica, contro il Meningococco B, una delle specie batteriche responsabili della meningite, malattia che nei Paesi dove l'infezione e’ endemica colpisce circa un individuo, soprattutto bambini di eta’ inferiore ai 10 anni, ogni 100mi1a abitanti e, nel caso di epidemie, come recentemente successo in Nuova Zelanda, fino a un individuo ogni mille abitanti. Oggi non esiste un vaccino. in grado di contrastare questo microrganismo e gli antibiotici sono spesso poco efficaci, tanto che l'infezione provoca fino al 10- 15% di mortalita’ tra gli infetti e ne rende invalidi, per danni neurologici, fino al 40% con handicap che vanno dalla sordita’ alla demenza. «Nei prossimi mesi avremo i primi risultati - avverte Grandi - e se tutto va bene il vaccino potrebbe essere sul mercato verso la fine del decennio». GUIDO ROMEO ________________________________________________________ L’Unione Sarda 21 feb.’04 GIULIO COSSU, BATTAGLIA FRA GLI EMBRIONI CONGELATI Il ricercatore di origine sarda impegnato sul fronte delle cellule staminali A leggere il suo curriculum pare abbia una passione sfrenata per i topi. A sentirlo parlare pare ne abbia una per gli embrioni congelati. Giulio Cossu ha a che fare con entrambi, da ricercatore e da docente. Dirige il centro per le cellule staminali dell’Istituto San Raffaele di Milano e dal ’94 insegna istologia e embriologia alla Sapienza di Roma. Ultimamente lo si incontra ai convegni sulla liberta’ di ricerca scientifica e lo si ascolta attaccare la legge sulla procreazione assistita (la famigerata legge numero 1514), approvata definitivamente dal Parlamento italiano. L’ultima volta ne ha parlato al congresso dell’associazione Luca Coscioni, un maratoneta, prima che a 28 anni si ammalasse di sclerosi laterale amiotrofica. Ora Coscioni combatte, dalla sua sedia a rotelle, grazie alla sua associazione, che conta sul sito www.lucacoscioni.it, grazie alla presidenza di Radicali Italiani, e alla forza di tante adesioni comuni, ma anche di dottori, premi Nobel e politici. «Ho aderito un anno fa», ricorda Cossu: «E’ l’unica associazione in Italia che fa qualcosa di non sterile per promuovere la ricerca». E se lo dice un ricercatore, viene quasi da credergli. Il suo cognome, Cossu, racconta di un’origine sarda. Lo e’ suo padre, «ma lascio’ l’isola quando aveva 14 anni». Il resto dei suoi 51 anni e’ storia romana e milanese, nota nel mondo grazie ai risultati delle sue ricerche. Nell’estate del 2002 riesce a far camminare un topolino che non lo faceva piu’, perche’ malato di distrofia muscolare. “Science” pubblica la notizia. Il mondo ne parla: grazie alle cellule staminali, si ipotizza una via di studio per la stessa malattia nell’uomo. Ma la strada e’ lunga e ora interrotta dalla legge sulla fecondazione artificiale. Che, per esempio, vieta di usare gli embrioni “sovrannumerari” per le ricerche scientifiche. Si calcola che in Italia siano almeno 30mila. Spiega il professore: «Quando si impiantano gli ovuli nell’utero, altri di scorta vengono congelati, nel caso che l’operazione non abbia successo. Se ha successo, la coppia dice di non essere piu’ interessata agli altri embrioni, che rimangono nei frigoriferi ad azoto liquido. Ma quando non c’e’ piu’ posto per l’ultimo arrivato, si butta il primo». Sono embrioni in sovrannumero, appunto, dai quali potrebbero pero’ estrarsi le cellule staminali, utili alle ricerche per tentare di curare malattie come sclerosi amiotrofica, diabete, Parkinson, Alzheimer, per citarne alcune. Il rapporto del premio Nobel Dulbecco stima che il problema, solo in Italia, tocchi 10 milioni di persone. Eppure in Parlamento e’ passata la linea di chi sostiene non si possano fare esperimenti su uomini in miniatura, quali sarebbero gli embrioni. E’ la posizione dello schieramento trasversale dei cattolici. «Gli embrioni sono ammassi di cellule, cadaveri che ancora respirano», li definisce Cossu: «Come fossero in stato di morte cerebrale, nessuna possibilita’ di vita ma destinati alla spazzatura: meglio quella che la ricerca per capire se possono usarsi a scopo terapeutico». All’inizio, ricorda, c’era un dialogo. Poi il fronte cattolico si e’ irrigidito, «fino a emettere un editto di tipo khomeinista. La storia che la vita comincia con il concepimento e’ una posizione aprioristica: e’ sacra anche la vita dei bambini che muoiono in Africa e la vita del paziente malato». E poi, aggiunge Cossu, anche una coppia che tenta di avere figli rischia di commettere un aborto: «L’embrione si forma con l’incontro tra uno spermatozoo e un ovulo. I cattolici dicono: questo e’ gia’ un individuo. Ma ogni embrione ha solo il 30% di possibilita’ di svilupparsi, 2 volte su 3 non prosegue la sua vita». A parte i paradossi, sono tanti altri i divieti previsti dalla legge che non sarebbero scientificamente ammissibili. Per esempio, e’ un’assurdita’ il divieto di impiantare non piu’ di 3 ovuli per tentativo di fecondazione: non bastano a garantire il successo. «Chi potra’ permetterselo dovra’ emigrare». Solo qualche giorno fa e’ arrivata la notizia che gli scienziati coreani hanno fatto un passo avanti sulla strada della clonazione terapeutica. E chi deve fare ricerca in Italia? Dovra’ dipendere dalle cellule staminali che riuscira’ a farsi inviare da altri paesi. «Oppure andare in Iran o Arabia Saudita, per trovare una legislazione piu’ liberale». Diana Zuncheddu ________________________________________________________ Il Giornale 21 feb.’04 PRIME PROTESI ANCHE PER LE VERTEBRE Presso la Divisione di ortopedia e traumatologia del Policlinico San Matteo di Pavia, diretta dal prof Jelmoni, e’ stato eseguito, perla prima volta in Italia, un intervento di tripla vertebrectomia anteriore dorsale e sostituzione protesica delle vertebre mediante tecnica mininvasiva toracoscopica. Grazie all'innovazione del chirurgo tedesco Boehm e’ stato cioe’ possibile correggere una grave deformita’ della colonna vertebrale dorsale, conseguente a un trauma, con compressione del midollo spinale, in una paziente di 30 anni, affetta da gravi fratture a piu’ vertebre dorsali. «Mediante una piccola incisione (circa 4 cm) intercostale, senza cioe’ apertura completa del torace e senza l'esclusione del polmone dalla normale ventilazione - spiega il professor Roberto Bassani, che ha eseguito l'intervento - abbiamo raggiunto i corpi vertebrali deformati dal trauma. Tali corpi sono stati asportati e, dopo decompressione del midollo, si e’ provveduto a posizionare le protesi vertebrali in sostituzione del tessuto osseo rimosso e a correggere la curva della colonna toracica, ripristinando una fisiologica anatomia. La paziente, dopo un periodo di osservazione di 24 ore in terapia subintensiva, a distanza di tre giorni dall'intervento, ha cominciato a camminare liberamente, senza alcun ausilio esterno di busto o stampelle. In settima giornata e’ stata dimessa in buone condizioni generali, con un quasi completo recupero funzionale e un danno estetico minimo». «Tutto questo - commenta il professor Jelmoni - non sarebbe stato possibile senza il supporto di una videocamera toracoscopica, di strumenti dedicati e di una rigorosa tecnica operatoria, che hanno consentito di minimizzare il trauma chirurgico e di evitare l'esposizione all'aria degli organi della cavita’ toracica, riducendo al minimo le possibilita’ di infezione». La tecnica classica, che prevede invece l'apertura del torace, comporta un tempo di osservazione in terapia intensiva decisamente piu’ lungo e una percentuale elevata di complicanze respiratorie e infettive. In assenza di problemi, la dimissione non avviene prima che siano trascorsi 15 giorni dall'intervento e la ripresa delle normali attivita’ e’ molto ritardata e comunque avviene dopo un lungo periodo di riabilitazione. Con la chirurgia tradizionale numerose strutture delicate come muscoli respiratori, polmone e vasi della cavita’ toracica hanno bisogno di un lungo periodo di rieducazione per riprendere la funzione fisiologica. «La mininvasivita’ - riprende Bassani - non dipende dalla lunghezza della cicatrice chirurgica, bensi dal rispetto delle strutture anatomiche». gloriasj@unipr.it ________________________________________________________ La Stampa 20 feb. ’04 CELLULE STAMINALI PER I CUORI MALATI «SI POTRANNO EVITARE MIGLIAIA DI TRAPIANTI» Cellule staminali prelevate dal midollo osseo potranno evitare il trapianto di cuore a chi ha subito un infarto del miocardio o e’ affetto da «cuore senile», da uno scompenso, o da una cardiopatia dilatativa. Fra tre anni si sperimentera’ sull’uomo cio’ che - primi in Italia - i ricercatori della Sezione di Fisiologia del dipartimento di Neuroscienze dell’Universita’ di Torino hanno dimostrato con successo sui ratti, in laboratorio, insieme ai colleghi del dipartimento di Biologia animale e dell’uomo e di quello di Scienze Cliniche e Biologiche: le cellule staminali prelevate dal midollo e messe in cultura insieme a quelle rimaste sane in un cuore malato, si trasformano in cellule miocardiche impiantabili in sostituzione delle malate. La notizia sara’ resa pubblica oggi durante la prima delle due giornate di convegno «Le cellule staminali nella riparazione del miocardio» in programma a Torino nell’aula magna del dipartimento di Biologia Animale. Un annuncio che spalanca la porta della speranza a migliaia di persone che ogni anno devono ricorrere a un intervento a cuore aperto o muoiono in lista d’attesa. «Riteniamo i tre anni un periodo congruo per completare la nostra fase di studio in laboratorio e passare a quella successiva sull’uomo», conferma il professor Gianni Losano, responsabile dell’Unita’ Operativa di Fisiologia. «L’utilizzo di cellule staminali adulte - sottolinea - consente di portare avanti la ricerca senza affrontare i problemi di bioetica che nascono dall’utilizzo di cellule embrionali». Tutto e’ partito grazie ai risultati di uno studio del professor Piero Aversa, ricercatore italiano al New York Medical College, che negli Usa sta tentando di far differenziare e proliferare cellule sane direttamente nel cuore, anziche’ in vitro. La ricerca che a Torino ha ottenuto questo importante risultato e’ durata un anno, finanziata in parte dalla Compagnia di San Paolo, condotta da un gruppo di lavoro che comprende, oltre ai ricercatori torinesi, colleghi delle sette Universita’ di Bologna, Parma, Firenze, Verona, Milano, Roma e Perugia. A Torino hanno lavorato, col professor Losano, i colleghi Giuseppe Alloatti, Renzo Levi, Pasquale Pagliano, Donatella Gattullo e i dottori Claudia Penna, Maria Pia Gallo, Andrea Mercantoni e Sandra Cappello. Spiega il professor Losano: «Le cellule staminali sono cellule presenti nell’organismo umano, che possono essere impiantate in organi e tessuti lesi, dove si trasformano in cellule del tessuto ospite e, proliferando, possono riparare la lesione». Nei laboratori del Dipartimento di Neuroscienze «abbiamo prelevato cellule dal midollo osseo di ratti transgenici importati dal Giappone per la ricerca. Cellule facilmente individuabili, perche’, durante la modificazione transgenica, producono una proteina fluorescente che le rende di colore verde». Estratte, «sono state affidate ai colleghi del Dipartimento di Biologia Animale, incaricati di metterle in cultura con cellule miocardiche». Dopo quattro giorni, «le staminali adulte del midollo, trattate con anticorpi, hanno assunto le caratteristiche proprie delle cellule del miocardio, a dimostrazione che la trasformazione e’ avvenuta». Al lavoro ha collaborato anche una giovane borsista, la dottoressa Raffaella Rastaldo, oggi a New York per seguire gli studi del professor Aversa. Un passo successivo, che si fara’ nel ratto, sara’ osservare in quale stadio di differenziazione verso le cellule cardiache le staminali raggiungono la massima capacita’ di trasformazione senza compromettere la proliferazione, «poiche’ - evidenzia il professor Losano - tanto piu’ una cellula e’ differenziata, tanto meno prolifera». Il passaggio fra il laboratorio e’ il corpo umano dipendera’ a quel punto anche dal tempo necessario per l’individuazione dei mediatori, cioe’ le sostanze che consentono la metamorfosi cellulare. L’ottimismo e’ reale. «L’impiego terapeutico delle cellule staminali potrebbe portare a una vera e propria rivoluzione in medicina: dei 30 milioni di malati cronici in Italia, un terzo potrebbe essere curato con questa nuova strategia». ________________________________________________________ Repubblica 18 feb.’04 CANCRO AL SENO,DONNE A RISCHIO SE PRENDONO TROPPI ANTIBIOTICI Hanno il doppio delle probabilita’, lo sostiene una ricerca americana pubblicata su Jama DAL NOSTRO CORRISPONDENTE ALBERTO FLORES D'ARCAIS NEW YORK - Le donne che prendono troppi antibiotici hanno maggiori probabilita’, circa il doppio, di essere colpite dal tumore al seno. Lo sostiene uno studio compiuto dai ricercatori della University of Washington di Seattle, a conclusione di una ricerca effettuata sulle cartelle cliniche di 10.219 donne, di cui 2.226,sono state colpite da questo tipo di cancro. I ricercatori americani hanno potuto stabilire che le donne che hanno preso antibiotici per piu’ di 500 giorni - il tutto in un arco di tempo di 17 anni - hanno o corso il rischio di sviluppare la neoplasia al seno in misura doppia di quelle che non hanno mai fatto uso di quel tipo di farmaci. Un altro dei dati emersi durante la ricerca evidenzia che -sempre durante lo stesso periodo di 17 anni le donne che hanno avuto per piu’ di 25 volte dai loro medici ricette che prescrivevano l'uso di antibiotici hanno corso lo stesso rischio (sviluppare un tumore al seno doppio del normale). Quelle che hanno fatto ricorso meno di 25 volte ai medicinali, ma li hanno comunque usati, hanno avuto sino a150 per cento in piu’ delle probabilita’. I dati della ricerca americana confermano quanto gia’ "scoperto" da un'analoga ricerca compiuta tempo fa da medici finlandesi su circa 10mila donne e che aveva portato il ministero della Sanita’ finlandese a consigliare a tutte le donne di usare prudenza nell'uso degli antibiotici. Il rapporto che e’ stato pubblicato su Jama, la rivista dei medici americani, mette tuttavia in guardia dal trarre facili conclusioni, sottolineando che l'aver individuato una chiara associazione tra i due fattori (antibiotici e tumori) non significa ancora avere effettivamente stabilito un rapporto di causa ed effetto. Una delle autrici della ricerca, Christine Velicer, sostiene che e’ «troppo presto» per trarre conclusioni definitive. Sono assolutamente necessari ulteriori approfondimenti e bisogna continuare ricordare come gli antibiotici «sono e restano fondamentali nella terapia di un gran numero di infezioni». Uno dei possibili legami tra antibiotici e aumento del rischio di tumore e’ quello che i farmaci agendo sui batteri intestinali interferiscano con il metabolismo di alcuni cibi, noti per avere un effetto antitumorale. Un'altra teoria e’ invece quella secondo cui le donne che usano piu’ antibiotici sono gia’ piu’ predisposte ai tumori a causa di un sistema immunitario piu’ debole e alle «fluttuazioni ormonali». Per il direttore del dipartimento di epidemiologia analitica dell'American Cancer Society, Jeanne Calle, si tratta in ogni caso di un «importante studio». Anche lei mette in guardia dallo smettere di usare antibiotici «soprattutto in situazioni gravi» solo sulla base di questo studio: «Tocchera’ ora ad altri ricercatori riprendere questo lavoro, approfondirlo e cercare di chiarire veramente se le donne che usano antibiotici rischiano di contrarre piu’ facilmente il tumore al seno». I dati sono stati ricavati da una ricerca effettuata sulle cartelle cliniche di oltre diecimila persone I farmaci agendo sui batteri intestinali possono interferire con il metabolismo di alcuni cibi con effetti antitumorali Un test per il tumore al seno. Un'autrice della ricerca dice che e’ troppo presto per stabilire un nesso preciso tra antibiotici e tumore al seno ________________________________________________________ La Stampa 18 feb. ’04 EFFETTO PLACEBO SVELATI (IN PARTE) I SUOI SEGRETI L'EFFETTO placebo e’ sulla bocca di tutti ma non e’ facile capire come agisce, in cosa consiste e come riconoscerlo. Giorgio Dobrilla nel suo libro «Placebo e dintorni» (ed. Il Pensiero Scientifico) ne affronta gli aspetti clinici, farmacologici ed etici. La stampa si occupa quasi sempre dell'effetto placebo in modo superficiale, dice Dobrilla: l'obiettivo e’ "stupire", non informare il lettore. La consapevolezza di questo effetto e della sua entita’ a volte sconcertante impone di chiarire se l'efficacia di una terapia convenzionale o alternativa sia reale o illusoria. Di solito l'efficacia di un trattamento e’ attribuita a fattori specifici: farmaci o procedure chirurgiche. In realta’ sono molti i fattori che intervengono nel decorso di una malattia e che sono in grado di influenzarne l'esito. Partendo dall'intricata ricerca di una definizione del placebo, Dobrilla analizza le caratteristiche (a volte sorprendenti) del farmaco-placebo e la "fenomenologia" dei suoi effetti, affrontando i problemi della valutazione delle terapie, i dilemmi etici che scaturiscono dall'uso deliberato del placebo come controllo negli studi clinici, il ruolo del placebo nelle medicine alternative, l'azione placebica della preghiera. Negli ultimi anni, conclude Dobrilla, una serie di ricerche di natura prevalentemente neurofarmacologica ha consentito di definire con notevole chiarezza quali sono i principali mediatori chimici responsabili dell'effetto placebo, cosi’ come i composti endogeni o esogeni che possono accentuarlo o bloccarlo. ________________________________________________________ Le Scienze 21 feb. ’04 L'HIV SFINISCE LE DIFESE DELL'ORGANISMO L'infezione provoca una maturazione prematura delle cellule immunitarie Come la maggior parte dei virus persistenti, l'HIV utilizza un gran numero di strategie per controbattere la risposta del proprio ospite alle infezioni. L'HIV infetta direttamente le cellule che coordinano la risposta immunitaria, cosa che compromette le difese dell'organismo e rende il corpo suscettibile anche a microrganismi normalmente innocui. Sono queste infezioni opportunistiche, piu’ che il virus in se stesso, a rendere cosi’ letale l'HIV. Victor Appay dell'Universita’ di Oxford e colleghi hanno ora mostrato che un importante effetto di questa infezione persistente e’ un'attivazione immunitaria generalmente elevata. Anziche’ essere di beneficio all'ospite, questa provoca una prematura maturazione non specifica di molte delle rimanenti cellule T funzionali. Il risultato e’ un prematuro invecchiamento e un esaurimento del sistema immunitario che aumenta la probabilita’ di infezioni opportunistiche. L'HIV ha come obiettivo linfociti con recettori di superficie chiamati CD4. Queste cellule T helper normalmente orchestrano la risposta immunitaria del corpo e, in risposta a un particolare patogeno, inducono altre cellule immunitarie (CD8+) a moltiplicarsi e a differenziarsi. Quando i ricercatori hanno analizzato le cellule T di un gruppo di pazienti con infezioni a differenti stadi, hanno scoperto con sorpresa che era attivata la vasta maggioranza (80-90 per cento) dei linfociti CD8, e non solo quelle specifiche per l'HIV. L. Papagno, C.A. Spina, A. Marchant, M. Salio, N. Rufer, et al., Immune Activation and CD8+ T-cell Differentiation towards Senescence in HIV-1 Infection. PLoS Biology 2(2): e20 DOI: 10.1371/journal.pbio.0020020 (2004).